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Page 1: Lo Spirituale Nell'Arte di Vasilij Kandinskij

Lo Spirituale

nell’Arte

Vasilij Kandinskij

exterius.eu treccani.it it.wikipedia.org

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Indice

Lo Spirituale nell’Arte di Vassilij Kandinskij, Natale 1911 pag. 3

Lo Spirituale nell’Arte di Stella Bottai pag.15

Astrattismo “Immagini oltre il mondo visibile” pag. 15

Arte senza figure pag.15

Gli effetti dell’astrattismo pag.16

I colori e i suoni dello spirito pag.16

Un’arte fatta di forme geometriche essenziali pag.17

Oltre l’apparenza, oltre l’abitudine pag.18

Astratto e aniconico pag.18

Vasilij Kandinskij pag.20

“La spiritualità nell’arte” – Der Blaue Reiter pag.25

Punto, linea, superficie pag.28

I lavori teatrali pag.29

Opere (parziale) pag.31

Bibliografia pag.32

Vasilij Kandinskij nei musei italiani pag.32

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Lo Spirituale nell’Arte

di Vassily Kandinsky, Natale 1911

[…]La vita spirituale è rappresentata schematicamente in modo corretto da un grande triangolo acuto diviso in sezioni orizzontali disuguali, con la più piccola e più aguzza rivolta verso l’alto. Quanto più si scende verso il basso, tanto più grandi, larghe, ampie e alte diventano le sezioni del triangolo. L’intero triangolo si muove lentamente, in modo appena percettibile, in avanti e verso l’alto e dove “oggi” si trova il vertice estremo, “domani”[1] sarà la prossima sezione; in altri termini, ciò che oggi riesce comprensibile solo al vertice, ciò che per le parti restanti del triangolo è un vaniloquio incomprensibile, sarà domani il contenuto, ricco di significato e di sensibilità, della vita della seconda sezione. Alla punta del vertice estremo si trova talvolta soltanto un uomo. La sua gioiosa visione fa tutt’uno con la smisurata tristezza interiore, e neppure coloro che gli sono più vicini sono in grado di comprenderlo. Indispettiti, lo bollano come truffatore o candidato al manicomio. Così, ad esempio, ai suoi tempi rimase solo sulla vetta, oggetto di scherno, Beethoven.[2] Quanti anni dovettero passare prima che una sezione abbastanza grande del triangolo si spostasse al punto dov’egli fu un tempo solitario! E nonostante tutti i monumenti eretti in suo onore, sono veramente molti coloro che si sono innalzati fino a quel punto?[3] In tutte le sezioni del triangolo si possono trovare artisti. Ognuno di coloro che sono in grado di sbirciare al di là dei limiti della propria sezione è un profeta per quanti lo circondano e contribuisce al movimento del carro, che resiste in virtù della propria inerzia. Chi non possiede invece uno

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sguardo così acuto, e per basse ragioni o inseguendo scopi meschini ne fa cattivo uso o addirittura chiude gli occhi per non vedere, viene del tutto compreso dai suoi compagni di sezione, che gli rendono grandi onori. Quanto più grande è questa sezione (ossia, al tempo stesso, quanto più in basso si trova) tanto maggiore è il numero di coloro cui il discorso dell’artista è comprensibile. È chiaro che ciascuna di tali sezioni è affamata, consapevolmente o (molto più spesso) inconsapevolmente, del corrispondente pane spirituale. Questo pane le viene offerto dai suoi artisti e verso questo pane stenderà la mano domani già la sezione successiva. […] Il triangolo spirituale si muove lentamente in avanti e verso l’alto. Oggi tra le sezioni più vaste raggiunge il livello delle prime parole d’ordine del “credo” materialistico; coloro che si trovano in questa sezione attribuiscono a se stessi, credo religiosi diversi, chiamandosi ebrei, cattolici, protestanti ecc. In realtà non sono altro che atei, come del resto riconoscono apertamente anche alcuni fra i più audaci o fra i più limitati. Il “cielo” è per essi vuoto. “Dio è morto”. Politicamente, coloro che si trovano in questo stadio sono parlamentaristi o repubblicani. Il timore, l’orrore e l’odio che essi nutrivano ieri contro queste opinioni politiche li hanno riversati oggi sull’anarchia, che essi peraltro non conoscono e di cui è noto loro soltanto il nome terrificante. Economicamente questi uomini sono socialisti. Essi affilano la spada della giustizia per infliggere all’idra capitalista il colpo mortale e decapitare il male. Poiché coloro che si trovano in questa grande sezione del triangolo non hanno mai risolto un problema da sé e, stando sempre comodamente adagiati nel carro dell’umanità, furono sempre trascinati in avanti da uomini appartenenti a sezioni superiori che si sacrificarono per tutti, non sanno nulla di questa spinta in avanti, che hanno osservato sempre solo da

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molto lontano. Essi immaginano perciò che questo compito di spingere avanti il carro sia impresa assai agevole e credono in ricette di assoluta efficacia e in mezzi infallibili. La sezione immediatamente inferiore viene trascinata ciecamente alla propria altezza da quella descritta sopra, ma resiste, tenendosi aggrappata con tutte le forze alla posizione precedente, per il timore di cadere nell’ignoto, per evitare di essere ingannata. Le sezioni superiori non solo, dal punto di vista religioso, sono ciecamente atee, ma possono fondare la loro posizione su parole altrui (ad esempio le parole di Virchow, indegne di uno scienziato: “Ho sezionato molti cadaveri senza mai trovarvi un’anima”). Politicamente essi sono ancora, per lo più repubblicani, conoscono vari usi parlamentari, leggono sui giornali i principali articoli politici. Sul piano economico sono socialisti di varie sfumature e sanno sostenere le loro “convinzioni” con numerose citazioni (dalla Emma di Schweitzer alla Loi d’airain di Lassalle al Capitale di Marx e così via). In queste sezioni superiori compaiono gradualmente anche altre categorie, che mancavano nelle sezioni appena descritte; scienza e arte, alla quale appartengono anche letteratura e musica. In campo scientifico questi uomini sono positivisti e riconoscono solo ciò che può essere pesato e misurato. Tutto il resto viene da essi considerato dannoso e assurdo così com’era del resto definita ieri la teoria oggi “dimostrata”. In arte sono naturalisti e riconoscono, e perfino stimano entro certi limiti, che furono tracciati da altri e nei quali essi hanno perciò una fede incrollabile, personalità, individualità e temperamento dell’artista. In queste sezioni superiori, nonostante siano percepibili un grande ordine e una grande sicurezza e nonostante la presenza di princìpi infallibili, si avvertono però un timore

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segreto, una confusione, un’incertezza e un’insicurezza simili a quelli che passano per la mente dei passeggeri di un grande e solido transatlantico quando in alto mare, scomparsa la terra ferma nella nebbia, si radunano nubi nere e un vento fosco solleva l’acqua in montagne nereggianti. La causa di ciò va ricercata nella loro formazione. Essi sanno che il dotto, lo statista, l’artista oggi idolatrato era ancora ieri un ambizioso, un impostore, un cialtrone schernito, che non meritava di essere preso sul serio. E quanto più in alto si sale nel triangolo spirituale, tanto più netti e ben definiti appaiono questo timore, questa insicurezza. In un primo tempo emergono qua e là occhi capaci di vedere anche da soli, intelligenze capaci di sintesi. Gli uomini che possiedono queste doti si chiedono: “Se questa sapienza dell’altro ieri è stata rovesciata da quella di ieri, e quest’ultima da quella di oggi, anche questa non potrà essere ribaltata in qualche modo da quella di domani?” E i più coraggiosi fra loro rispondono: “È nell’ambito delle possibilità”. Si trovano poi, in secondo luogo, occhi capaci di vedere ciò che non è ancora stato spiegato dalla scienza oggi. Tali uomini si chiedono: “La scienza, percorrendo la strada sulla quale si muove già da molto tempo, perverrà mai alla soluzione di questi enigmi? E quando vi sarà pervenuta, ci si potrà mai fidare completamente della sua risposta?” In queste sezioni si trovano anche scienziati di professione in grado di ricordare in che modo fatti oggi assodati, riconosciuti da accademie, venissero accolti in principio dalle medesime accademie. Qui si trovano anche teorici dell’arte i quali scrivono libri profondi e pieni di riconoscimenti per un’arte che ieri era considerata assurda. Con questi libri essi abbattono le barriere che l’arte ha già superato d’un balzo da molto tempo e ne erigono altre destinate secondo loro a

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rimanere questa volta invalicabili ed eterne al nuovo posto a esse assegnato, né, intenti nel loro lavoro, si accorgono di stare edificando tali barriere non davanti ma dietro l’arte. Quando, domani, se ne accorgeranno, scriveranno nuovi libri e sposteranno rapidamente quelle barriere in avanti. Quest’attività durerà immutabile finché non ci si renderà conto che il principio esteriore dell’arte può valere solo per il passato e mai per il futuro. Non si può teorizzare questo principio per la parte restante della vita, che appartiene al regno dell’immateriale. Non si può irrigidire in forme materiali ciò che non esiste ancora materialmente. Lo spirito che conduce al regno del domani può essere riconosciuto solo attraverso il sentire (che procede sui binari tracciati dal talento dell’artista). La teoria è la lanterna che illumina le forme fossilizzate dell’ieri e dell’altro ieri. […] Il mezzo principale di Maeterlinck è l’uso della parola. La parola è un suono interiore. Questo suono interiore deriva in parte (forse principalmente) dall’oggetto, a cui la parola funge da nome. Ma quando non si vede l’oggetto stesso bensì se ne ode solo il nome, nella mente dell’ascoltatore si forma la rappresentazione astratta, l’oggetto smaterializzato, il quale produce immediatamente una vibrazione nel “cuore”. Così l’albero verde, giallo, rosso nel prato è solo un caso materiale, una forma materializzata accidentale dell’albero che sentiamo in noi quando udiamo la parola albero. L’uso abile (conforme al sentire poetico) di una parola, una ripetizione interiormente necessaria della stessa due, tre, più volte, può condurre non solo a un’amplificazione del suono interiore ma a portare in luce ancora altre proprietà spirituali della parola non ancora sospettate. Infine, quando una parola viene ripetuta spesso (gioco caro all’infanzia, che più tardi viene dimenticato), perde il senso esteriore della denominazione. Analogamente viene

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dimenticato addirittura il senso, divenuto astratto, dell’oggetto designato e viene messo a nudo il solo suono puro della parola. Questo suono “puro” lo udiamo forse inconsapevolmente anche nella consonanza con l’oggetto reale o con l’oggetto successivamente divenuto astratto. In quest’ultimo caso, però, questo suono puro viene in primo piano ed esercita una pressione diretta sull’anima. L’anima perviene a una vibrazione senza oggetto, la quale è ancora più complessa, vorrei dire “più sovrasensibile”, dell’emozione che danno all’anima i rintocchi di una campana, il suono di una corda, il rumore prodotto dalla caduta di un’asse. Per la lettura del futuro si dischiudono qui grandi possibilità. Questa forza della parola viene usata in forma embrionale già nelle Serres Chaudes. Nell’uso che ne fa Maeterlinck, una parola che a tutta prima sembra neutra assume perciò un suono cupo. Una parola semplice, abituale (ad esempio “capelli”), usata in modo veramente sentito, può diffondere un’atmosfera di sconforto, di disperazione. È questo il mezzo usato da Maeterlinck. Esso indica la via sulla quale si vedrà presto che il tuono, il lampo e la luna dietro nubi trascorrenti sono mezzi materiali esteriori i quali sulla scena teatrale possono assolvere una funzione non maggiore di quella che in natura ha “l’uomo nero” per i bambini. Veri mezzi interiori non perdono così facilmente la loro forza e il loro effetto.[4] E la parola, la quale ha dunque due significati – il primo diretto e il secondo interiore – è il materiale puro della poesia e della letteratura, il materiale che solo quest’arte può usare e mediante il quale parla all’anima. Qualche cosa di simile fece in musica R. Wagner. Il suo famoso Leitmotiv è anch’esso un tentativo di caratterizzare l’eroe non soltanto per mezzo di equipaggiamenti teatrali, di balletti e di effetti di luce, bensì ricorrendo a un motivo preciso, determinato, ossia a un mezzo puramente musicale.

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Questo motivo è una sorta di atmosfera spirituale espressa musicalmente, la quale precede l’eroe e che egli irraggia dunque spiritualmente lontano.[5] I musicisti più moderni, come Debussy, introducono impressioni spirituali, che attingono spesso alla natura e trasfigurano in forma puramente musicale le immagini spirituali. Proprio Debussy viene perciò spesso paragonato agli impressionisti in quanto si afferma che, come tali pittori, fa dei fenomeni naturali, da lui raffigurati a grandi tratti in modo personale, lo scopo delle sue opere. La verità contenuta in quest’asserzione è solo un esempio del fatto che nella nostra epoca varie arti apprendono l’una dall’altra e sono spesso assai vicine fra loro quanto alle finalità. Sarebbe però troppo ardimento affermare che la definizione citata rappresenti in modo esauriente l’importanza di Debussy. Nonostante il punto di contatto con gli impressionisti, la tendenza di questo musicista al contenuto interiore è talmente forte che nelle sue opere si riconosce immediatamente l’anima, dal suono incrinato, dal presente, con tutti i suoi dolori strazianti e la sua tensione nervosa. E d’altra parte Debussy non usa mai, neppure nelle immagini “impressionistiche”, una descrizione interamente materiale, che è l’elemento caratteristico della musica a programma, ma si limita all’utilizzazione del valore interiore del fenomeno. […] In pittura gli ideali idealistici[6] succedono le tendenze impressionistiche, le quali danno loro il cambio. Nella loro forma dogmatica e nelle loro finalità puramente naturalistiche tali tendenze sfociano nella teoria del neoimpressionismo, che al tempo stesso perviene all’astrazione: secondo tale teoria (un metodo che i neoimpressionisti considerano universale) si tratta di non fissare sulla tela frammenti casuali della natura bensì di cogliere l’intera natura in tutto il suo splendore e la sua grandiosità.[7]

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Quasi simultaneamente osserviamo la comparsa di tre fenomeni del tutto diversi: 1) Rossetti e il suo allievo Burne-Jones con tutti i loro successori; 2) Böcklin, con Stuck, che viene fuori dalla sua scuola, e i loro successori; e 3) Segantini, i cui imitatori anche formali non posseggono una briciola di originalità. Proprio questi tre nomi sono stati da me scelti come tipici della ricerca in campi non materiali. Rossetti si volse ai preraffaelliti e cercò di riportare in vita le loro forme astratte. Böcklin scelse il campo del mitologico e del fantastico, rivestendo le sue figure astratte, in contrasto con Rossetti, di forme corporee materiali fortemente sviluppate. Segantini, che tra questi artisti è esteriormente quello più materiale, si servì di forme naturali perfettamente definite, che elaborò talvolta fin nei minimi particolari (ad esempio catene di montagne, ma anche sassi, animali ecc.), e sempre, nonostante la forma chiaramente materiale, seppe creare figure astratte, per cui egli è forse interiormente l’artista meno materiale fra quelli citati. Questi sono i ricercatori dell’interiorità nell’esteriorità. […] In generale il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, mette opportunamente in vibrazione l’anima umana. È chiaro pertanto che l’armonia dei colori deve fondarsi solo sul principio della giusta stimolazione dell’anima umana. Questa base dev’essere designata come il principio della necessità interiore […]. Questo rapporto inevitabile fra il colore e la forma ci conduce a osservazioni sugli effetti che la forma esercita sul colore. La forma stessa, anche quando è del tutto astratta ed è uguale a una forma geometrica, ha un suono interiore, è un essere spirituale dotato di proprietà che fanno tutt’uno con

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questa forma. Un triangolo (senza l’ulteriore specificazione se si tratti di un triangolo acutangolo, ottusangolo o equilatero) è un essere del genere con un profumo spirituale a lui specifico. Quando il triangolo viene a trovarsi in connessione con altre forme, questo profumo si differenzia, acquista sfumature consonanti, ma rimane sostanzialmente immutabile, come il profumo della rosa, che non può mai essere confuso con quello della violetta. Lo stesso vale per il cerchio, per il quadrato e per tutte le altre forme possibili.[8] Ci troviamo qui dunque in presenza dello stesso caso che osservavamo sopra il rosso: una sostanza soggettiva in un involucro oggettivo. Viene qui chiaramente in luce l’azione antagonistica della forma e del colore. Un triangolo giallo, un cerchio blu, un quadrato verde, di nuovo un triangolo, però questa volta verde, un cerchio giallo, un quadrato blu ecc. sono tutti esseri assolutamente diversi, che esercitano effetti altrettanto diversi. Si può qui facilmente osservare che molti colori vengono sottolineati nel loro valore da talune forme e smorzati da altre. Colori acuti vengono sempre esaltati, acquistano un suono più acuto, quando sono associati a una forma acuta (ad esempio il giallo associato al triangolo). I colori che tendono all’approfondimento vedono questa tendenza accentuata da forme tondeggianti (ad esempio il blu associato al cerchio). È d’altra parte naturalmente chiaro che il mancato adattamento della forma al colore non dev’essere considerato qualche cosa di “disarmonico”, bensì all’inverso una nuova possibilità e dunque anche una nuova armonia. Poiché il numero dei colori e delle forme è infinito, sono infinite anche le combinazioni e al tempo stesso gli effetti. Questo materiale è inesauribile. La forma in senso stretto non è in ogni caso nulla di più della delimitazione di una superficie dall’altra. È questa la sua

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definizione sul piano dell’esteriorità. Poiché però tutto ciò che è esteriore racchiude in sé, inevitabilmente, anche un’interiorità (che viene in luce con maggiore o minor forza), così anche ogni forma ha un contenuto interiore.[9] La forma è dunque l’esteriorizzazione del contenuto interiore. È questa la sua definizione sul piano dell’interiorità. Si pensi all’esempio poco fa citato del pianoforte, sostituendo al “colore” la “forma”: l’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto (= forma), mette opportunamente in vibrazione l’anima umana. È chiaro pertanto che l’armonia delle forme deve fondarsi solo sul principio della giusta stimolazione dell’anima umana. Questo principio fu designato come il principio della necessità interiore. I due aspetti della forma citati sono al tempo stesso i suoi due fini. Perciò la delimitazione esteriore è perfettamente rispondente al suo fine quando porta in luce nel modo più espressivo il contenuto interiore della forma.[10] Il carattere esteriore della forma, ossia la delimitazione a cui in questo caso la forma serve da strumento, può essere assai vario. Nonostante tutta la diversità che la forma può offrire, essa non andrà oltre due limiti esteriori, e precisamente: 1) o la forma, in quanto delimitazione, serve al fine di ritagliare, grazie appunto a tale delimitazione, un oggetto materiale dal piano, e dunque a disegnare questo oggetto materiale sul piano, oppure 2) la forma rimane astratta, ossia non designa alcun oggetto reale bensì è un essere completamente astratto. Siffatti esseri puramente astratti, che in quanto tali hanno una loro vita, un loro influsso e una loro azione, sono un quadrato, un cerchio, un triangolo, un rombo, un trapezio e le innumerevoli altre forme che diventano sempre più complicate e non posseggono più una denominazione

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matematica. Tutte queste forme hanno un uguale diritto di cittadinanza nel regno dell’astratto, cui appartengono. Fra questi due limiti è compreso il numero infinito delle forme in cui sono presenti i due elementi e nelle quali prevale o il materiale o l’astratto. Queste forme sono, per il momento, l’intero patrimonio da cui l’artista attinge tutti i singoli elementi delle sue creazioni. […] Note: [1] Questo “oggi” e questo “domani” sono simili interiormente ai “giorni” della creazione biblica. [2] Weber, il compositore del Franco cacciatore, disse della Settima sinfonia di Beethoven: «Ora le stravaganze di questo genio hanno toccato il non plus ultra; Beethoven è del tutto maturo per il manicomio.» Ascoltando l’interessante punto dell’inizio della prima frase, dove batte il “mi”, l’abate Stadler, che ascoltava la sinfonia per la prima volta, esclamò, rivolto a un vicino: «Sempre questo “mi”; non gli viene in menteproprio nulla, a questo tipo senza talento!» (August Goellerich, Beethoven, si veda la p. 1, nella serie “Die Musik”, a cura di R. Strauss.) [3] Molti strumenti non sono una triste risposta a questa domanda? [4] Ciò viene chiaramente in luce quando si confrontino le opere di Maeterlinck con quelle di Poe. È questo un nuovo esempio del progresso anche dei mezzi artistici dal materiale astratto. [5] Molte esperienze hanno dimostrato che una tale atmosfera spirituale avvolge non solo gli eroi bensì ogni uomo. Ad esempio i sensitivi non possono rimanere in una stanza in cui sia stata precedentemente, anche se essi lo ignorano, una persona a loro spiritualmente sgradevole. [6] Così nel testo, ma pare si debba leggere piuttosto “naturalistici”, “realistici” o “materialistici”, come nella versione russa; [N.d.T.] [7] Si veda ad esempio P. Signac, De Lacroix au néo-impressionisme [1899], trad. ted. edita dalla casa editrice Axel Juncker, Charlottenburg, 1910. [8] Una funzione molto importante ha però anche l’orientamento del triangolo, ossia il suo movimento. Questo fatto ha grande importanza per la pittura. [9] Quando una forma ci lascia del tutto indifferenti e, secondo l’impressione abituale, “non dice nulla”, la cosa non va intesa alla lettera. Non esiste nessuna forma, e in generale non esiste nulla al mondo, che non dica nulla. Spesso però il messaggio non arriva alla nostra anima; ciò accade per la precisione, quando ciò che viene detto è in sé e per sé indifferente o meglio non viene detto al momento giusto.

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[10] L’aggettivo “espressivo” va inteso in modo appropriato: talvolta la forma è infatti espressiva proprio quando viene smorzata. Essa esprime a volte la necessità nel modo più efficace proprio quando non va sino all’estremo bensì è solo un cenno, quando indica solo la direzione all’espressione esteriore. Tratto da: Vassily Kandinsky ©1993 Catalogo Edizioni Gabriele Mazzotta exterius.eu

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Lo spirituale nell'arte Enciclopedia dei ragazzi, treccani.it (2005), di Stella Bottai. Astrattismo “Immagini oltre il mondo visibile” Nel 1910 l’artista russo Vasilij V. Kandinskij realizza un acquerello composto di segni e macchie che non assomigliano a niente di riconoscibile. Fino ad allora, le opere d’arte, almeno in Occidente, avevano sempre riprodotto figure umane, paesaggi, scene storiche. Perché avviene questo grande cambiamento? Che cosa rappresenta l’arte astratta? E qual è il suo valore?

Arte senza figure L’idea che si possa dipingere senza essere fedeli al mondo visibile si fa strada in Europa nel corso dell’Ottocento. L’invenzione della fotografia e la sua diffusione provocano una crisi negli artisti figurativi, che sentono di non poter competere con la macchina fotografica nella rappresentazione precisa del mondo. Anche per questo motivo, si cercano nuovi campi di esplorazione. E soprattutto si diffonde una convinzione: un quadro, prima di essere un cavallo, una scena di battaglia o una donna nuda, è una superficie coperta di colori disposti in un certo ordine. Esiste cioè un ordine interno alla forma che è indipendente da ciò che la forma rappresenta. Forse non è un concetto facile, ma è proprio questa l’idea che sta alla base del grande cambiamento portato nell’arte moderna, dall’astrattismo. Il compito del pittore non è riprodurre ciò che già esiste, copiare e imitare la natura, ma usare liberamente i mezzi del suo linguaggio: colori, linee, materie. Ma con che cosa sostituire la realtà? Le risposte sono diverse: c’è chi si concentra sul puro colore, per esprimere uno stato d’animo; chi cerca di rendere visibili le suggestioni della musica; chi le strutture invisibili della natura. Il primo a dipingere un’opera astratta è un artista russo, Vasilij V.

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Kandinskij.

Gli effetti dell’astrattismo Nel 1895 Kandinskij vede un quadro di Claude Monet, il celebre pittore impressionista, che rappresenta un pagliaio illuminato dal sole. All’inizio non riesce a capire che cosa raffiguri la tela, perché Monet ha dipinto con piccoli tocchi di colore, senza linee di contorno, cercando soprattutto di ‘suggerire’ l’effetto luminoso. Ma, pur non riuscendo a capire il soggetto nel quadro, Kandinskij rimane lo stesso affascinato dalla sua bellezza. Quando si avvicina alla tela e individua cosa vi è rappresentato, ha la sensazione che, tutto sommato, il pagliaio non è così importante. Ciò che conta è il modo in cui è dipinto e l’effetto che ha su chi lo guarda.

I colori e i suoni dello spirito Kandinskij arriva così all’astrattismo. I tradizionali soggetti dell’arte sono sostituiti da macchie e zone colorate, da forme libere, che l’artista dispone con l’esperienza di chi conosce il funzionamento dell’occhio umano. L’artista russo intuisce che possono diventare immagini della mente anche le emozioni suscitate dalla musica. Comincia così la produzione di quadri e acquerelli che intitola Improvvisazioni e Composizioni, come fossero opere musicali. Per Kandinskij i colori e le forme hanno un suono interiore che influenza la psicologia di chi li guarda: per esempio, un colore squillante come il giallo in una forma acuta come il triangolo suscita inquietudine. L’azzurro produce una sensazione di calma. Ogni colore è associato dal grande artista al suono di uno strumento musicale. Con questa ricerca sulle emozioni, Kandinskij vuole risvegliare nel mondo una nuova spiritualità, dopo un lungo periodo di attaccamento alle cose materiali, e a tal fine scrive anche un affascinante libro, Lo spirituale nell’arte. Dopo la Prima guerra mondiale lo

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stile di Kandinskij si modifica, diventa geometrico, e l’artista costruisce una vera e propria teoria delle linee, dei punti e delle superfici piane.

Un’arte fatta di forme geometriche essenziali Le prime opere astratte presentano forme biomorfiche, cioè fluide e minute come i microrganismi osservati al microscopio: forme del genere si trovano nei lavori dell’artista svizzero Paul Klee e dello spagnolo Joan Miró. Lo scultore Jean Arp e l’americano Alexander Calder realizzano invece opere colorate e bizzarre, che assomigliano alle composizioni fatte dai bambini. Accanto a questi quadri, ne possiamo trovare altri, completamente diversi, fatti di figure geometriche: sono le opere del pittore olandese Piet Mondrian. Secondo Mondrian un albero può essere semplificato, finché non appare la sua struttura geometrica essenziale e quelli che erano rami diventano linee: tutta la varietà della natura per lui può essere racchiusa in diagrammi di questo tipo. Nelle sue tele più celebri, Mondrian traccia una griglia di righe orizzontali e verticali e usa come tinte il bianco, il nero e i tre colori primari (giallo, rosso e blu). A settant’anni visita New York e… impara a ballare il boogie-woogie. Questo per Mondrian è fonte di ispirazione: infatti cerca di suggerire il ritmo frenetico della danza in un’opera chiamata Broadway boogie-woogie, che fa pensare ai passi di un ballerino sulla pista. Il pittore russo Kazimir S. MaleviŠc utilizza forme geometriche essenziali, come quadrati, triangoli, croci. Lavora negli anni della Rivoluzione russa e con le sue ricerche si spinge fino a limiti estremi, arrivando a dipingere addirittura un quadrato bianco su fondo bianco. È un’opera limite, come un muro oltre il quale non c’è più niente. E proprio il niente MaleviŠc voleva rappresentare: l’idea di un mondo privo di

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oggetti. Fino alla Seconda guerra mondiale, l’astrattismo è un movimento tutto europeo ma, con la fuga degli artisti in America a causa della guerra e delle persecuzioni naziste, il nuovo stile si diffonde negli Stati Uniti. Il contatto con il mondo americano, provoca la nascita di un movimento chiamato espressionismo astratto, in cui ha molta importanza il gesto istintivo dell’artista che arriva a realizzare i quadri gettando i colori sulle tele.

Oltre l’apparenza, oltre l’abitudine L’astrattismo è legato anche allo sviluppo della scienza. In biologia, il microscopio mostra il mondo delle cellule. In fisica, l’atomo, che per millenni era stato ritenuto l’elemento di base della materia, risulta essere divisibile. Si scopre cioè che, sotto la superficie del mondo, dentro la materia, si muovono altri mondi, altre forme. Negli stessi anni, a Vienna, Sigmund Freud fonda la psicoanalisi. Anche questa disciplina cerca di andare al di là di ciò che appare a occhio nudo, esplorando l’inconscio dell’essere umano. Contemporaneamente, il compositore Arnold Schönberg, amico di Kandinskij, inventa la dodecafonia, una musica che non rispetta più le tradizionali regole armoniche. Insomma, l’astrattismo fa parte di tutta una serie di tentativi di superare i limiti dell’apparenza della realtà e delle abitudini quotidiane.

Astratto e aniconico A parte i quadri dell’astrattismo, esistono altre immagini senza figure? Immagini che non rappresentano né esseri umani né animali? Certo. Se visitiamo una moschea (il luogo di preghiera della religione musulmana) o una sinagoga (il tempio della religione ebraica), possiamo osservare che le decorazioni non raffigurano mai uomini e animali. Si tratta di

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arte astratta? Non proprio: il termine da usare in questi casi è aniconico. È una parola greca che vuol dire “privo di figure” (da icona, “figura”) e che si usa spesso in riferimento a decorazioni e ornamenti. Ne troviamo esempi nell’arte greca e nel Medioevo. In molti casi, si tratta di stilizzare le forme naturali: per esempio, il profilo di una foglia viene semplificato al massimo finché diventa una linea ornamentale in cui la foglia non si riconosce più.

Tratto da Enciclopedia dei ragazziTreccani.it

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Vasilij Kandinskij it.wikipedia.org Vasilij Vasil’evič Kandinskij, in russo: Василий

Васильевич Кандинский[?], noto anche come Vassily Kandinsky (Mosca, 4 dicembre 1866 – Neuilly-sur-Seine, 13 dicembre 1944), è stato un pittore russo, creatore della pittura astratta. Nel 1870 la sua famiglia si trasferisce a Odessa. Dal 1886 al 1889 studia legge a Mosca. Nel 1892 si laurea, e nello stesso anno si decide a sposare la cugina Anja Čimiakin, che aveva conosciuto all'Università di Mosca e con la quale aveva stabilito un rapporto di grande intesa e affinità intellettuale.

Nel 1896 rifiuta un posto di docente all’Università di Dorpat per studiare arte presso l’Accademia di Belle Arti dove è allievo di Franz von Stuck. Nello stesso periodo abita nel quartiere di Schwabing dove trova una concentrazione massima di artisti, rivoluzionari russi, musicisti, scrittori e persone creative in generale. Nel 1901 fonda il gruppo Phalanx, qui conobbe la sua futura compagna di vita Gabriele Münter che era sua studentessa. L’obiettivo principale del gruppo è di introdurre le avanguardie francesi nell’ambiente artistico tradizionalista di Monaco, a tale scopo apre una scuola in cui tiene lezione. I suoi dipinti dei primi anni del secolo sono paesaggi eseguiti alla spatola, all’inizio ombrosi, e poi di una intensità quasi fulva; dipinge anche temi fantastici derivanti dalla tradizione russa o dal medioevo tedesco; questo periodo è caratterizzato dalla sperimentazione tecnica, in particolare dell’uso della tempera su carta scura, per dare l’illusione di una superficie illuminata da dietro in trasparenza. La consistenza tonale del chiaroscuro evidenzia lo schema, cancellando la distinzione tra le figure e lo sfondo, dando come risultato una composizione quasi astratta. Nel 1902 espone per la prima volta con La Secessione di

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Berlino e realizza le sue prime xilografie. Nel 1903 e 1904 visita l’Italia, l’Olanda, l’Africa e la Russia. Nel 1904 espone nel Salone d’Autunno di Parigi. Assieme alla pittrice Gabriele Münter comprerà nel 1908 una casetta a Murnau in Alta Baviera. Questa casa, nominata “Russenhaus” (“la casa dei russi”), diventerà luogo di incontro di innumerevoli artisti e musicisti di tutto il mondo. Da qui prenderà piede l’arte astratta. Nel 1909 viene eletto presidente del Neue Künstlervereinigung München (NKVM). La prima esposizione del gruppo, ha luogo nello stesso anno nella Galleria Heinrich Thannhauser di Monaco. Fino alla fine del decennio, le pitture di Kandinskij denotano una gran tendenza all’appiattimento per l’intensità equivalente delle aree di colore e la superficie rilucente che distrugge ogni illusione di profondità. La serie di quadri di fantini in competizione comincia nel 1909 e in essa la linea dell’orizzonte si va gradualmente sradicando, come del resto ogni altro riferimento spaziale. Nel 1910 produce il suo primo acquerello astratto, dove nelle macchie più scure predominano due colori, il rosso e l’azzurro, che evidentemente considera relazionati perché si trovano sempre insieme. “Il rosso è un colore caldo e tende a espandersi; l’azzurro è freddo e tende a contrarsi. Kandinskij non applica la legge dei contrasti simultanei, ma la verifica; si serve di due colori come di due forze controllabili che possono essere sommate o sottratte e, secondo i casi, cioè secondo gli impulsi che riceve, si avvale di entrambi affinché si limitino o si esaltino a vicenda. Ci sono anche segni lineari, filiformi; sono, in un certo modo, indicazioni di movimenti possibili, sono tratti che suggeriscono la direzione e il ritmo delle macchie che vagano sulla carta. Danno movimento a tutto l’acquerello” (Argan). Nella IV Composizione del 1911, le figure sono talmente

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semplificate, il colore è talmente arbitrario e lo spazio talmente confuso che è impossibile distinguere l’argomento senza riferirsi ai quadri precedenti della serie. Lo spettatore è particolarmente disorientato dal modo in cui usa la linea: tanto come elemento indipendente, quanto come limite per il colore. L’artista affronta la pittura astratta attraverso tre gruppi di opere, che anche nelle loro denominazioni indicano il legame dell’arte di Kandinskij con la musica: “impressioni”, “improvvisazioni” e “composizioni”. Impressioni sono i quadri nei quali resta ancora visibile l’impressione diretta della natura esteriore; improvvisazioni, quelli nati improvvisamente dall’intimo e inconsciamente; composizioni quelli alla cui costruzione partecipa il cosciente, definiti attraverso una serie di studi. Kandinskij dopo questo passaggio, non ritornerà mai più alla pittura figurativa. Nel 1911 Kandinskij e Marc si ritirano dal NKVM e pongono le basi del Blaue Reiter, editando un almanacco nel 1912. La prima esposizione ha luogo a dicembre, nella galleria Thannhauser di Monaco. Nello stesso anno pubblica Lo Spirituale nell’Arte. Nel 1912 viene pubblicato l’almanacco con le opere di Kandinskij e Marc, ed ha luogo la seconda esposizione del Blaue Reiter nella galleria Hans Goltz. Nello stesso anno si tiene la prima mostra personale di Kandinskij nella galleria Der Sturm di Berlino. I temi preferiti di Kandinskij in questo periodo sono violenti e apocalittici, e traggono origine dalle immagini religiose popolari di Germania e Russia. Prima del 1912 il suo lavoro è già passato per diverse evoluzioni produttive. Nel 1913 quando dipinge Linee Nere già non si può più parlare di astrazione a partire da un soggetto; il colore e la linea hanno assunto tanta autonoma espressività da non

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seguire più un modello prestabilito. Opere come questa sono le prime realmente astratte. Il percorso di Kandinskij verso l’astrazione trova giustificazione teorica in Astrazione e Empatia di Wilhelm Worringer, pubblicato nel 1908. Worringer argomenta che l’usuale gerarchia di valori, basata su leggi rinascimentali, non è valida per considerare l’arte di altre culture; molti artisti creano dalla realtà ma con un impulso astratto, cosicché le ultime tendenze dell’arte si trovano in società meno materialiste. Kandinskij era anche interessato nella Teosofia, intesa come la verità fondamentale che fa da sottofondo alla dottrina ed ai rituali in tutte le religioni del mondo; il credere in una realtà essenziale nascosta dietro le apparenze, fornisce una naturale razionalità all’arte astratta. In Lo Spirituale nell’Arte, parla di una nuova epoca di grande spiritualità e del contributo che le dà la pittura. La nuova arte deve basarsi sul linguaggio del colore e Kandinskij dà indicazioni sulle proprietà emozionali di ciascun tono e di ciascun colore, a differenza delle precedenti teorie sul colore, egli non si interessa dello spettro, ma solo della risposta dell’anima. Nel 1913 una sua opera partecipa all’Armory Show di New York e, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, torna in Russia lasciando per sempre la sua compagna Gabriele Münter che rimarrà a Murnau nella loro casa comune fino alla morte, conservando innumerevoli quadri di Kandinskij (la più grande raccolta di quadri di Kandinskij, donati successivamente alla città di Monaco di Baviera e conservati nella Lenbachhaus). Kandinskij rimarrà a Mosca fino al 1921. A partire dalla Rivoluzione di ottobre, Kandinsky svolge un lavoro amministrativo per il Commissariato del Popolo per l’Educazione; tra i progetti di questo organismo c’è la

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fondazione di vari musei e la riforma del sistema scolastico nei riguardi delle Scuole d’Arte. Nel 1914 viene allestita una mostra personale alla Galleria Thannhauser a Monaco e nel “Kreis fur Kunst” a Colonia. Kandinskij esegue quattro grandi murali per la villa di Edwin A. Campbell a New York. Il 1º agosto scoppia la prima guerra mondiale. Il 3 agosto si rifugia in Svizzera con Gabrielle Munter. Compie lunghi soggiorni a Goldach am Bodense, dove lavora a Punto, linea, superficie e alla composizione per palcoscenico Sipario viola. Nel novembre intraprende un viaggio senza Gabrielle Munter, verso la Russia, via Zurigo, per un soggiorno a Mosca. Tra il dicembre 1915 e il marzo 1916 sosta a Stoccolma, dove incontra per l’ultima volta Gabriele Munter in occasione di una mostra alla galleria Gummenson. Nel febbraio 1917 sposa Nina Andreevsky, figlia di un generale, con cui intraprende un viaggio di nozze in Finlandia. nello stesso anno nasce il figlio Volodia, che muore nel 1920. Nel 1921 si ritira dall’Istituto per la cultura artistica. Viene incaricato di creare la sezione psico-fisica della neofondata Accademia delle scienze artistiche, di cui diventa vicedirettore e di cui dirige il laboratorio delle riproduzioni. In dicembre, lascia la Russia assieme alla moglie e si trasferisce a Berlino. Tra il 1922 e il 1933 lavora come insegnante al Bauhaus, prima a Weimar, e poi, dopo il trasferimento della scuola, a Dessau. Con l’instaurazione della dittatura, accusato di bolscevismo, è costretto ad abbandonare il paese e a trasferirsi in Francia, in un sobborgo di Parigi. Nel 1937 a Monaco viene realizzata la celebre mostra sull’Arte Degenerata, con cui Adolf Hitler si propone di condannare le nuove avanguardie artistiche. Nella mostra compaiono circa 50 opere di Kandinskij, poi vendute a basso costo all’asta ad acquirenti stranieri. Nel 1938 partecipa alla

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mostra Abstracte Kunst nello Stedelijk Museum di Amsterdam. Nello stesso anno pubblica quattro poesie e silografie nella rivista Transition. Il suo saggio L’Art Concert esce sul primo numero del XXe Siècle. Nel 1942 dipinge la sua ultima grande tela, Tensions dèlicates. In seguito, realizza soltanto opere di piccolo formato su cartone catramato. Personale alla Galerie Jeanne Bucher di Parigi. Muore nel 1944 nell’abitazione di Parigi dove ha vissuto negli ultimi dieci anni della sua vita. “La spiritualità nell’arte” - Der Blaue Reiter Kandinskij, nelle sue opere, espone le sue teorie sull’uso del colore, intravedendo un nesso strettissimo tra opera d’arte e dimensione spirituale. Il colore può avere due possibili effetti sullo spettatore: un “effetto fisico”, superficiale e basato su sensazioni momentanee, determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro; un “effetto psichico” dovuto alla vibrazione spirituale (prodotta dalla forza psichica dell’uomo) attraverso cui il colore raggiunge l’anima. Esso può essere diretto o verificarsi per associazione con gli altri sensi. L’effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono. Perciò il rosso, ad esempio, risveglia in noi l’emozione del dolore, non per un’associazione di idee (rosso-sangue-dolore), ma per le sue proprie caratteristiche, per il suo “suono interiore”. Kandinskij utilizza una metafora musicale per spiegare quest’effetto: il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde. Il colore può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Questi quattro “suoni” principali possono essere combinati tra loro: caldo-chiaro, caldo-scuro, freddo-chiaro, freddo-scuro. Il punto di riferimento per i colori caldi è il giallo, quello dei colori freddi è l’azzurro. Alle polarità caldo-freddo Kandinskij attribuisce un doppio movimento: uno “orizzontale” ed uno “radiante”. Il giallo è dotato di un movimento radiante che lo fa

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avanzare verso lo spettatore rispetto al piano in cui è fisicamente, inoltre è dotato di un movimento eccentrico-centrifugo perché si allarga verso l’esterno, abbaglia, respinge. L’azzurro è dotato di un movimento orizzontale che lo fa indietreggiare dallo spettatore ed è dotato di un movimento concentrico-centripeto perché si avvolge su sé stesso, esso creando un effetto di immersione attira lo spettatore. Kandinskij, sempre in base alla teoria secondo la quale il movimento del colore è una vibrazione che tocca le corde dell’interiorità, descrive i colori in base alle sensazioni e alle emozioni che suscitano nello spettatore, paragonandoli a strumenti musicali. Egli si occupa dei colori primari (giallo, blu, rosso) e poi di colori secondari (arancione, verde, viola), ciascuno dei quali è frutto della mescolanza tra due primari. Analizzerà anche le proprietà di marrone, grigio e arancione. Il giallo è dotato di una follia vitale, prorompente, di un’irrazionalità cieca; viene paragonato al suono di una tromba, di una fanfara. Il giallo indica anche eccitazione quindi può essere accostato spesso al rosso ma si differenzia da quest’ultimo. L’azzurro è il blu che tende ai toni più chiari, è indifferente, distante, come un cielo artistico; è paragonabile al suono di un flauto. Il rosso è caldo, vitale, vivace, irrequieto ma diverso dal giallo, perché non ha la sua superficialità. L’energia del rosso è consapevole, può essere canalizzata. Più è chiaro e tendente al giallo, più ha vitalità, energia. Il rosso medio è profondo, il rosso scuro è più meditativo. È paragonato al suono di una tuba. L’arancione esprime energia, movimento, e più è vicino alle tonalità del giallo, più è superficiale; è paragonabile al suono di una campana o di un contralto. Il verde è assoluta mobilità in una assoluta quiete, fa

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annoiare, suggerisce opulenza, compiacimento, è una quiete appagata, appena vira verso il giallo acquista energia, giocosità. Con il blu diventa pensieroso, attivo. Ha i toni ampi, caldi, semigravi del violino. Il viola, come l’arancione, è instabile ed è molto difficile utilizzarlo nella fascia intermedia tra rosso e blu. È paragonabile al corno inglese, alla zampogna, al fagotto. Il blu è il colore del cielo, è profondo; quando è intenso suggerisce quiete, quando tende al nero è fortemente drammatico, quando tende ai toni più chiari le sue qualità sono simili a quelle dell’azzurro, se viene mischiato con il giallo lo rende malto, ed è come se la follia del giallo divenisse “ipocondria”. In genere è associato al suono del violoncello. Il grigio è l’equivalente del verde, ugualmente statico, indica quiete, ma mentre nel verde è presente, seppur paralizzata, l’energia del giallo che lo fa variare verso tonalità più chiare o più fredde facendogli recuperare vibrazione, nel grigio c’è assoluta mancanza di movimento, che esso volga verso il bianco o verso il nero. Il marrone si ottiene mischiando il nero con il rosso, ma essendo l’energia di quest’ultimo fortemente sorvegliata, ne consegue che esso risulti ottuso, duro, poco dinamico. Il bianco è dato dalla somma (convenzionale) di tutti i colori dell’iride, ma è un mondo in cui tutti questi colori sono scomparsi, di fatto è un muro di silenzio assoluto, interiormente lo sentiamo come un non-suono. Tuttavia è un silenzio di nascita, ricco di potenzialità; è la pausa tra una battuta e l’altra di un’esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni. Il nero è mancanza di luce, è un non-colore, è spento come un rogo arso completamente. È un silenzio di morte; è la pausa finale di un’esecuzione musicale, tuttavia a differenza del bianco (in cui il colore che vi è già contenuto è flebile) fa

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risaltare qualsiasi colore. La composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Colore e forma non possono esistere separatamente nella composizione. L’accostamento tra forma e colore è basato sul rapporto privilegiato tra singole forme e singoli colori. Se un colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai colori e dalla forma vengono potenziati. Il giallo ha un rapporto privilegiato con il triangolo, il blu con il cerchio e il rosso con il quadrato. Molto importante è anche l’orientamento delle forme sulla superficie pittorica, ad esempio, il quadrato su un lato è solido, statico; su un vertice (losanga) è instabile e gli si assocerà un rosso caldo, non uno freddo e meditativo. La composizione di un quadro non deve rispondere ad esigenze puramente estetiche ed esteriori, piuttosto deve essere coerente al principio della necessità interiore: quella che l’autore chiama onestà. Il bello non è più ciò che risponde a canoni ordinari prestabiliti ma ciò che risponde ad una necessità interiore, che l’artista sente come tale.

“Punto, linea, superficie” Kandinskij in questo saggio si dedica alla parte grafica che può esistere anche senza il colore. Il punto è il primo nucleo del significato di una composizione, nasce quando il pittore tocca la tela; è statico. La linea è la traccia lasciata dal punto in movimento, per questo è dinamica. Può essere orizzontale; verticale, diagonale. Può essere spezzata, curva, mista. I singoli suoni possono essere mescolati tra loro; più la linea è variata, più cambiano le tensioni spirituali che suscita: drammatiche se è spezzata, più liriche se è curva. Anche lo spessore cambia: può essere sottile, marcato, spesso, variabile. La superficie è il

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supporto materiale destinato a ricevere il contenuto dell’opera, si tratta solitamente di una tela (ma Kandinskij ha dipinto anche del vasellame e dei piatti). L’opera risulta dunque essere limitata da due linee orizzontali e due verticali, oppure da una linea curva (per la tela a formato ellittico). L’autore può dare accentuazione alle forme girando la tela e sfruttandone i piani diversi, ma non può fare quest’azione a posteriori, come faceva per esempio Jackson Pollock, bensì ci vuole fin alla creazione dell’opera lucidità e consapevolezza artistica. I lavori teatrali Parte non secondaria della ricerca di Kandinskij è costituita dai lavori teatrali, concepiti in un’ottica di relazioni profonde tra le diverse componenti espressive – forma, suono, colore, luce, movimento – in funzione di un nuovo tipo di opera d’arte, a carattere multimediale. I primi suoi studi in tal senso furono i frammenti teatrali Paradiesgarten e Daphnis und Chloe, del 1908-09. Degli anni immediatamente successivi, 1909-14, sono invece i testi delle sue “composizioni sceniche”: Suono giallo, Suono verde, Bianco e Nero, Viola. Solo il primo di essi venne pubblicato e nessuno venne realizzato dal suo autore, nonostante i suoi diversi tentativi in tal senso. Si tratta di testi visionari, nei quali i personaggi si muovono in un mondo astratto denso di evocazioni, di immagini, di colori. L’unica opera teatrale che Kandinskij ebbe la possibilità di mettere in scena fu Quadri da un’esposizione, dal poema musicale di Modest Musorgskij, che l’artista presentò nel 1928, al Friedrich Theater di Dessau. L’opera di Musorgskij è strutturata sull’idea della visita ad un’esposizione di acquerelli del pittore Viktor Aleksandrovič Hartmann, suo amico, e si divide in Promenades (i movimenti del visitatore nella galleria) e Quadri (i contenuti delle opere in mostra). A tale struttura fa

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riferimento la messinscena di Kandinskij, risolta con una successione di scene costituite di forme colorate geometriche, che traducono i temi musicali in immagini astratte in movimento. Uno spettacolo, dunque, realizzato sostanzialmente con forme, colori e luci, mentre la presenza dei performer è del tutto marginale, essendo costituita da due danzatori, usati in due brevi scene. Alcune delle composizioni sceniche kandinskijane, non realizzate dall’autore, sono state messe in scena da altri, pur in forme che spesso si distaccano dall’originale. Tra le messinscene di Suono giallo, vi sono quelle realizzate da Jacques Polieri nel 1975 (musica di Alfred Schnittke, coreografia di Maximilien Ducroux); da Ian Strasfogel nel 1982 (scenografie di Robert Israel, luci di Richard Riddel, coreografia di Hellmut Fricke-Gottschield); dalla compagnia Solari-Vanzi nel 1985 (scene di Beatrice Scarpato, luci di Stefano Pirandello) al Fabbricone di Prato; da Fabrizio Crisafulli nel 2002, al teatro romano Amiternum dell’Aquila, con la musica di Giancarlo Schiaffini, la coreografia di Diego Watzke, un’opera video di Marco Amorini. Di Viola si ricordano la libera messinscena di Giulio Turcato alla Biennale di Venezia del 1984 (musica di Luciano Berio, regia di Vana Caruso, coreografia di Min Tanaka) e quella realizzata (anche in film) da Kirsten Winter nel 1996, per iniziativa del Museo Sprengel e del Verein Kunst und Bühne di Hannover. La messinscena kandinskijana di Quadri di un’Esposizione è stata ricostruita fedelmente nel 1983 dalla Hochschule der Künste di Berlino. Versioni differenti, dedicate all’artista russo, ne sono state proposte da Fabrizio Crisafulli nel 1994 e nel 2007).

Opere (parziale) Chiesa della Natività della Vergine a Mosca (1886) - Parigi,

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Centro Pompidou Fiume d’autunno (primi del 900) - San Pietroburgo, Museo di Stato Russo Vecchia città II (1902) - Parigi, Musée national d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou Il cavaliere azzurro (1903) - Collezione privata, Zurigo Mulini a vento (1904) - Centre Pompidou, Parigi Improvvisazione 6 (1909) - Lenbachhaus Monaco di Baviera Paesaggio estivo (Case a Murnau) (1909) - Museo di Stato Russo, San Pietroburgo Chiesa rossa (1900-1910) - Museo di Stato Russo, San Pietroburgo Primo acquerello astratto (1910-1913) - Parigi, Musèe National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou Impressione VII (1910) - Galleria Statale Tret’jakov Mosca Paesaggio romantico (1911) - Lenbachhaus Monaco di Baviera Impressione VI (Domenica) (1911) - Lenbachhaus Monaco di Baviera Improvvisazione 19 (1911) - Lenbachhaus Monaco di Baviera San Giorgio II (1911) - Museo di Stato Russo, San Pietroburgo San Giorgio III (1911) - Lenbachhaus Monaco di Baviera Impressione III (concerto) (1911) - Lenbachhaus Monaco di Baviera Macchia nera I (1912) - Museo di Stato Russo, San Pietroburgo Improvvisazione 26 (rematori) (1912) - Lenbachhaus Monaco di Baviera L’oriente (1913) - Amsterdam, Stedelijk Museum Composizione VII (1913) - Galleria Statale di Tret’jakov,

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Mosca San Giorgio (1914-1917) - Galleria Tret’jakov, Mosca Macchia rossa II (1921) - Lenbachhaus Monaco di Baviera Improvvisazione con forme fredde (1914) Arco azzurro (1917) - Museo di Stato Russo, San Pietroburgo Due ovali (1919) - Museo di Stato Russo, San Pietroburgo Tratto bianco (1920) - Museum Ludwig, Colonia Composizione VIII (1923) - Guggenheim Museum, New York Giallo, rosso, blu (1925) - Parigi, Musée National d’art Moderne, Centre Georges Pompidou Alcuni cerchi (1926) - Guggenheim Museum, New York Composizione X (1939) - Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf. Blu di cielo (1940) - Parigi, Musèe National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou Composizione VI (1913) - Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo, [1] Slancio moderato (1944) - Parigi, Musèe National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou Bibliografia Nadia Podzemskaia, Colore simbolo immagine: origine della teoria di Kandinsky, Alinea editrice, Firenze, 2000. Opere in traduzione italiana V. Kandinskij - Punto, linea, superficie. Contributo all’analisi degli elementi pittorici (1968) V. Kandinskij; M. Franz - Il cavaliere azzurro (1988) V. Kandinskij - Il suono giallo e altre composizioni sceniche (2002) V. Kandinskij; A. Schönberg - Musica e pittura (2002) V. Kandinskij - Lo spirituale nell’arte (2005)

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V. Kandinskij - Sguardi sul passato (2006) Vasilij Kandinskij nei musei italiani Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma Museo del Novecento di Milano Pinacoteca comunale “Orneone Marelli” di Terni

Tratto da it.wikipedia.org

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