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L’ACQUA NELL’ARTE – AREA DI ORIENTAMENTO DELLA CLASSE 2D –

ANNO SCOLASTICO 2010-2011

LICEO SCIENTIFICO TECNOLOGICO “GALILEO GALILEI”

BOLZANO

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Brochure elaborata dagli alunni della classe 2D

Supervisione del progetto dell’insegnante di Italiano prof.ssa Antonella Stoppari

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L’IMPORTANZA DELL’ACQUA

Il tema dell'acqua nell'arte è molto affascinante, ma anche complesso. L'acqua è l'elemento essenziale alla vita e

quindi da sempre, fin da quando l'uomo ha cominciato a rappresentare il mondo attraverso l'arte, l'acqua è stata

una protagonista delle sue immagini. Dai graffiti rupestri dove si rappresentavano i luoghi, in cui l'acqua era

presente, fino alle sculture contemporanee in cui l'acqua è la materia che si "modella" per creare la scultura

stessa.

L'acqua, però, oltre ad essere fondamentale per sopravvivere, assume molti significati nelle rappresentazioni

artistiche degli uomini. L'acqua diventa simbolo di molti concetti che piano piano l'umanità ha formulato nei

secoli. Ad esempio, una delle prime idee che vengono associate all'acqua è proprio "la vita": l'acqua come fonte

di vita. Quindi in molti quadri l'acqua è rappresentata come sorgente di vita e fertilità.

GLI STATI DELL’ACQUA

Circa il 70% del nostro Pianeta è ricoperto d'acqua.

L'acqua è l'unica sostanza che si trova in natura, a temperatura ambiente, contemporaneamente nei tre stati di aggregazione: solido, liquido e gassoso. L'acqua allo stato solido si trova sotto forma di ghiaccio, neve, grandine, brina. Nello stato solido le particelle sono molto vicine le une alle altre, non sono libere di muoversi e di spostarsi e sono disposte secondo un perfetto ordine geometrico.

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L'acqua allo stato liquido si trova sotto forma di pioggia e rugiada, ma soprattutto forma fiumi, mari e oceani, che ricoprono appunto la parte prevalente della superficie terrestre.

Nello stato liquido le particelle possono spostarsi, ma entro certi limiti: se una particella si sposta il suo posto viene subito preso da un'altra.

L'acqua allo stato gassoso si trova nell'atmosfera sotto forma di nebbia, vapore acqueo, nuvole.

Nello stato gassoso le particelle possono muoversi liberamente, perché non formano legami chimici tra loro.

Lo studio scientifico condotto su tale elemento basilare per la nostra stessa esistenza, e che da sempre ha

affascinato i più svariati artisti ed esponenti della cultura mondiale, ci ha suggerito il tema della nostro Progetto

di orientamento. Il nostro percorso attraverserà le tappe più significative della Storia dell’Arte, non solo italiana,

nel tentativo di fissare attraverso le immagini i modi più suggestivi in cui l’acqua – nei suoi diversi stati – abbia

ispirato pittori, scultori, fotografi del panorama mondiale della cultura.

Un progetto artistico, il nostro, per

meditare sull’acqua come

patrimonio dell´umanità; l’acqua

come un bene, una risorsa, un

problema che può generare

conflitti.

Un´azione artistica che vuole

sensibilizzare il pubblico: un muro

simbolico per mostrarci l’incubo di

chi l’acqua non può godere

dell’acqua come bene comune, per

soprusi o per colpa dell’uomo che

blocca il fluire naturale dei fiumi.

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L'acqua nell'arte “allo stato liquido”

Nel mondo antico, non solo in quello indoeuropeo, ogni cosa era

abitata da presenze divine e in primo luogo l'acqua, fonte di vita per

eccellenza. Per gli Ebrei il mondo ebbe origine nell'attimo in cui Dio

separò le acque inferiori da quelle superiori; prima di tale atto

creativo "lo spirito di Dio aleggiava sulle acque". Per Ismaele "la terra

stessa posa sulle acque e le acque sulle nubi".

Per i cristiani l'acqua assurge a simbolo di purificazione e nuova vita,

come si può notare nel battesimo. Eredita, così, simboli presenti non

solo nel Vecchio testamento ma anche nei culti pagani. Nel Corano si

legge: "Abbiamo separato il cielo dalle terre e per mezzo dell'acqua

abbiamo fatto scaturire ogni forma vivente". Per gli Egizi la fonte di

ogni vita è il Nilo, venerato come sorgente del mondo. Fu

personificato nel dio Hapi, rappresentato come un uomo grasso dai

grandi seni e con una corona di piante di papiro, simbolo di fertilità.

Per i Sumeri e gli Assiro-Babilonesi vari dei presiedono alle acque:

Apsu (dio sumero delle acque dolci), Nun (personificazione

dell'acqua), Ea (dio dell'acqua per gli Assiro-Babilonesi.

Presso gli egizi, inoltre, l'acqua

è sinonimo di due grandi

entità: il Nilo, l'acqua delle

inondazioni, e il Nun, l'acqua

della vita. Il Nun infatti era

l'oceano primordiale da cui

erano nate tutte le forme di

vita.

Secondo la mitologia greca,

tutte le acque, salate o dolci,

discendevano da Oceano, figlio

maggiore di Urano e Gea, e

appartenevano ad un unico

sistema di acque sotterranee.

La cosmogonia più antica,

testimoniata da Omero, vedeva

in Oceano un grande fiume che circondava la

Terra e dava origine a tutti i corsi d'acqua. In

epoca post-omerica, con i primi viaggi oltre

le colonne d'Ercole, Oceano fu visto come

grande mare universale.

Afrodite che emerge dal mare (dal Trono

Ludovisi ). L'opera è datata al V secolo a.C., tra il 460 e il 450 a.C. L'interpretazione più accreditata ritiene che essa rappresenti la nascita di Venere (Afrodite) dalla spuma del mare a Cipro. Ancora “Afrodite”

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in questo dipinto murale di Pompei, che si crede basato sulla “Venere Anadiomene” di Apelle, trasportata a Roma in età imperiale, dallo Imperatore Augusto.

La divinità

acquatica

fondamentale,

tuttavia, è

Poseidone,

presente già

presso i Micenei.

Oltre a

Poseidone, una

corte di numi

domina sulle acque, secondo i Greci: Glauco, Nereo, Ioreo, Proteo, Tritone.

Arte romana. Per i Romani

Poseidone diviene Nettuno

e il fiume divino è per

eccellenza il Tevere.

Tevere, Scultura romana, inizi II secolo

Esposizione dei Gemelli sulle rive del Tevere, affresco,

Fregio dipinto dell’Esquilino, Roma, Età augustea

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Scene di navigazione con

imbarcazione su uno

sfondo marino riccamente

popolato di pesci e Scene

di lotta tra un polpo,

un’aragosta e una murena,

dal complesso scavato

presso il Porto fluviale di

San Paolo, Lungotevere,

Roma, II secolo d.C.;

l’acqua marina resa nella

trasparenza con grande

freschezza di tocco,

accoglie la fauna marina

definita con stile naturalistico e

immediatezza pittorica.

Ville romane presso il mare (affresco, Pompei).

Questi edifici erano tanti che al geografo greco Strabone, approdante dal mare, diedero l’impressione di tutta una sola ed estesa città. (cfr.: Geografia, V). Ma allo splendore seguì la rovina. Nel 62 o 63 d. C., durante il dominio di Nerone, un violento terremoto faceva crollare in gran parte Ercolano, come Pompei, e arrecava gravi danni a Nocera, Stabia, Napoli, Pozzuoli.

Le ville, come ci documentano

affreschi vedutistici rinvenuti negli scavi, s’innalzavano presso il mare o su ameni balsi, disponevano di grandi terrazze, verande, belvedere, alcove verso l'ampia veduta del golfo, avevano portici e Corridoi, giardini e boschetti adorni di statue e fontane. Ebbe anche l’imperiale famiglia Giulio-Claudia una ”villa in herculanensi

pulcerrima” posta presso il mare, a vista

dei naviganti, come ci informa Seneca, De ira III, 21.

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L’acqua diviene simbolo di purificazione ed

elemento sacrale a partire dal Tardo-Antico e

nell’Alto Medioevo, quando assume importanza

centrale nei soggetti raffigurati, come nella resa

stilizzata ma efficace, del Battesimo del Signore

in una visione fantasiosa di un codice miniato di

Isfahan (Iran).

Nel mosaico del Battistero degli Ariani di

Ravenna, la figura di Cristo – completamente nudo – è rappresentata immersa nelle acque del Giordano, personificato nella figura seduta di sinistra; l'acqua sale fino alla cintura e talvolta fino alle spalle, disegnando attorno al suo corpo una cupola ovoidale simile a una campana liquida: è il corso del fiume rappresentato secondo le regole di una prospettiva infantile, dove le linee si alzano invece di “fuggire”. La sua fluidità è indicata da ondulazioni parallele, che striano la campana d'acqua, come fossero piccole increspature, e dai pesci che nuotano nell'elemento liquido. L'acqua tuttavia non è trasparente, infatti ha la funzione di nascondere la nudità. Il Battista è vestito con una tunica in

pelo di cammello, che allude alla sua vita nel deserto; egli è in piedi sulla sponda del fiume e impone la sua mano sulla testa del Salvatore; prima del XII secolo non lo si vede mai

versare l'acqua lustrale.

L'iconografia del battesimo per immersione comporta, inoltre, delle figure allegoriche come la personificazione del Giordano, il dragone vinto e un monumento commemorativo, la croce acquatica.

Intanto nell'arte occidentale tra il IX

e X secolo scompare l'iconografia dell'immersione nel Giordano, poiché comincia a diffondersi la pratica del battesimo per infusione o aspersione; mentre primitivamente il battesimo doveva essere ammi-nistrato dentro l'acqua corrente e vi-va di un fiume, ci si è accontentati più tardi di un'acqua morta, imprigionata dentro un recipiente a forma di calice, come un fiore reciso in un vaso.

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Giotto, Cappella degli Scrovegni, 1303-1305, Padova

La rappresentazione del Battesimo si trova di conseguenza radicalmente trasformata, tuttavia nella Cappella degli Scrovegni essa è ancora del tipo per immersione, con una simmetrica divisione dei gruppi dei partecipanti e la figura di Dio Padre al centro. Già Taddeo Gaddi opta per una commistione tra le due tipologie, con il Cristo inginocchiato nel Giordano e il Battista che versa sul capo dell'acqua da una coppa.

L'infusione avviene generalmente con una conchiglia o una coppa nell'arte italiana, con una brocca in quella tedesca, mentre nella scuola dei Paesi Bassi, con Memling, è fra le dita che il Battista lascia colare dal cavo della sua mano qualche goccia d'acqua sulla testa di Cristo.

L’acqua è ancora protagonista nel Miracolo della sorgente, la quattordicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica

superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Dipinta verosimilmente tra il 1290 e il 1300, raffigura l’episodio appartenente alla serie della Legenda maior (VII,12) di San Francesco: "Salendo il beato Francesco sopra un

monte in groppa all'asino di un povero uomo a causa di

un'infermità, e invocando il detto uomo, che si sentiva

morir di sete, un poco d'acqua, ne cavò da una pietra: la

quale né prima v'era stata, né poi fu vista."

L’acqua sgorga dal paesaggio roccioso ancora

bizantineggiante delle rocce sporgenti. Di grandiosa

eloquenza è l'inedito gesto dell'uomo che si sporge per bere l'acqua, con il piede che è realisticamente piegato nella spinta del corpo.

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Primo Rinascimento. Trasparenze celestiali in Masolino da Panicale a Castiglione Olona del 1435. Nella pittura italiana del Rinascimento l'immagine del battesimo di Cristo non ha niente in comune con l'arte religiosa; infatti, come le “Nozze di Cana” sono per Veronese il pretesto per raffigurare il fasto di un banchetto, il battesimo non diventa altro che una “scena di bagno”, con attorno a Cristo dei bei corpi nudi di catecumeni che si divertono, si svestono e rivestono al-l'aria aperta: il sacramento lascia il posto a un bagno nel Tevere o

nell' Arno. Questa nuova concezione appare dal XV secolo negli affreschi attribuiti a Masolino, a Masaccio, a Ghirlandaio e a Signorelli, fino a Raffaello, che la introduce nei suoi affreschi delle Logge Vaticane.

Nel Battesimo di Cristo (tempera su tavola 1440-1460, National Gallery, Londra) di Piero della Francesca, commissionato dall'abbazia camaldolese di Sansepolcro, città natale e residenza del pittore, come tavola centrale per un polittico che probabilmente decorava l'altare maggiore, la composizione trova il centro dell’interesse nel Cristo centrale; la struttura si basa sull’asse centrale e da esso si sviluppa equamente da destra a sinistra. La profondità è resa piuttosto realisticamente e le colline, molto dettagliate sullo sfondo, accentuano questa sensazione. La linea è perlopiù curva, come testimoniano il corso del fiume e le colline sullo sfondo. L’illuminazione è frontale e diffusa, così da essere realistica senza creare ombre che nascondano parti dl corpo del Cristo. I colori usati sono tersi, tanto da creare piacevoli contrasti tra le vesti, la trasparenza del cielo e dell’acqua benedetta e dello sfondo. Il colore è steso con una pennellata precisa, che definisce i particolari più lontani con grande realismo.

Ovviamente, l'acqua, che è così trasparente, semplice e ricca di vita, diventa anche il simbolo della "purezza". Non è un caso che nella religione cristiana il battesimo si compia con l'acqua. Ciò avviene a proposito di quest’opera sublime di Piero della Francesca. Il pittore rappresenta con l'acqua la purezza di Gesù. L'acqua nel

rituale del battesimo, infatti, purifica la persona dal peccato originale.

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Nella Rinascenza, l’acqua diviene inoltre protagonista di soggetti profani, come in quest’opera icona del Rinascimento italiano, spesso assunta come simbolo della stessa Firenze e della sua arte. La Nascita di Venere è un dipinto a tempera su tela di lino di Sandro Botticelli, databile al 1482-1485 circa, conservato nella Galleria

degli Uffizi a Firenze. Faceva forse anticamente pendant con l'altrettanto celebre “Primavera” sempre di Botticelli, con cui condivide la provenienza storica, il formato e alcuni riferimenti filosofici. La tela rappresenta una delle creazioni più elevate dell'estetica del pittore fiorentino, oltre che un ideale universale di bellezza femminile, incarnato da Venere che avanza leggera, fluttuando, su di una conchiglia lungo la superficie del mare increspato dalle onde. Venere nuda e distante – come una splendida statua antica – viene spinta dal vento fecondatore del soffio di Zefiro, che simboleggia l’amore come energia vivificante, come forza motrice della natura. E la nudità della dea sicuramente rappresenta la bellezza spirituale che indica la purezza, la semplicità e la nobiltà d’animo. La prospettiva è data proprio dal colore dell’acqua, che si schiarisce in lontananza, l’acqua che in questo dipinto rappresenta in modo emblematico l’origine della vita.

Ed è ancora l’acqua – quale sorgente di vita – solo apparentemente in ombra nell’imponete tela cinquecentesca

di Tiziano, Vecellio “Amor sacro e Amor profano”, ad assumere rilevante importanza: l’identificazione dei due

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personaggi femminili, infatti, in Venere e Proserpina è avvalorata dalla presenza della sarcofago-fontana, in cui

l'amorino miscela l'acqua, trasformando la morte in vita, entrambe connotate dai simboli delle scene scolpite.

Tiziano ritorna, più tardi, al tema della Venere Anadiomene

(1520, olio su tela, National Gallery), rappresentazione della

nascita della dea dalle acque del mare di Cipro. A differenza

della Venere di Botticelli, quella di Tiziano è direttamente

immersa nelle acque marine, secondo il soggetto, già

presente nella descrizione in Plinio di un dipinto di Apelle, con

cui spesso i pittori del Rinascimento si erano cimentati. La

conchiglia, di dimensioni ridotte, è tuttavia ancora presente a

lato del corpo nudo di Venere. Ella si scioglie i capelli,

probabilmente intenzionata a lavarli nelle acque mosse di

quel mare nel quale è immersa fino a metà coscia. Lo sguardo

tende lontano, la testa leggermente piegata è contornata da

un cielo grigio melanconico di nuvole. Non piove, ma si

percepisce l’alito di quello stesso vento fecondatore della

“Nascita di Venere”.

Ancora Venere, ancora l’acqua del mare nell'opera è di

Alexandre Cabanel, “La nascita di Venere” (in basso), pittore

nemico del Naturalismo e dell’Impressionismo, che porterà

alle estreme conseguenze, nel 1863, il processo iniziato dai

classici di “Maniera”, attraverso la resa della sensualità della

dea che si riflette nell’incresparsi voluttuoso delle onde del mare.

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Il tema profano dell’acqua, nonostante i

rigori della Controriforma, registra ancora

largo impiego anche nella pittura del

Seicento. Esemplare questa

interpretazione del mito di Narciso di

Michelangelo Merisi da Caravaggio, che –

con mirabile resa naturalistica degli effetti

di trasparenza dell’acqua – riproduce il

fanciullo chino sullo specchio liquido che

indugia nel contemplare lungamente la

propria immagine, mentre Nemesi gli

sussurra all’orecchio con voce fredda:

“Rimarrai qui per sempre, Narciso; rimarrai

qui per l’eternità a contemplare il tuo volto

più bello di quello di tutte le ninfe e di tutte

le dee. Nessun cuore di donna soffrirà più

per la tua bellezza che ora hai conosciuto.

Questo era il significato del vaticinio di

Tiresia.”

E Narciso rimase lì per sempre, piegato

sull’acqua, incapace di staccarsi dalla

visione della propria immagine, alla stessa

stregua del fiore che ne incarna la bellezza.

Trasformazioni del tema dell’acqua nel mito. Le creature del mare e delle acque custodiscono il confine tra acqua del tempo e acqua senza tempo, figure che conoscono il destino perché sono il presente e il futuro. Esseri che ammaliano e distruggono, custodi benevoli dei riti di passaggio (matrimonio, adolescenza, parto, morte), ma anche orribili mostri e femmine infeconde (Scilla, Sirene, Idra, Gorgoni) posti a tutelare il trascendente dalla temerarietà della mente umana. Il valore femminile delle acque cupe ritorna a far udire agli dei il suono del suo fluire uterino e rigeneratore. Tra i riti collegati all’acqua delle religioni abramitiche, l’immersione del battesimo resta il più simbolico ed evocativo per la rigenerazione dell’uomo nuovo e rappresenta lo spazio al di là in cui reincontrarsi e riscrivere il proprio destino.

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L’apporto della Scultura

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Anche la scultura ha regalato alla celebrazione di questo fondamentale elemento – l’acqua – opere di

grande magnificenza. Esempi, significativi ne sono la celeberrima Fontana dei Quattro fiumi di Piazza

Navona a Roma, opera seicentesca (1651) di Gianlorenzo Bernini, e la Fontana della Barcaccia, del

medesimo autore, già completata nel 1629.

Londra, Fontana di Trafalgar Square, Delfini e umani

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La Fontana dei Quattro fiumi sorge al centro della piazza, nel punto in cui fino ad allora si trovava un “beveratore”, una semplice vasca quadrata per l’abbeveraggio dei cavalli. Si compone di una base formata da una grande vasca ellittica a livello della pavimentazione stradale, sormontata da un grande gruppo marmoreo, sulla cui sommità si eleva un obelisco egizio, imitazione di epoca romana. Le statue in marmo bianco che compongono la fontana hanno una dimensione maggiore di quella reale. I nudi rappresentano le allegorie dei quattro principali fiumi della Terra, uno per ciascuno dei continenti allora conosciuti, sono rappresentati come dei giganti in marmo che siedono appoggiati sullo scoglio centrale in travertino: il Nilo, il Gange, il Danubio e il Rio della Plata, opera di artisti diversi.

La Fontana della Barcaccia è invece situata in Piazza di Spagna, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti.

La sua realizzazione comportò il superamento di alcune difficoltà tecniche, dovute alla perdurante bassa pressione dell'acquedotto dell' “Acqua Vergine” in quel particolare luogo, che non permetteva la creazione di zampilli o cascatelle. Il Bernini tuttavia risolse l'inconveniente, ideando la fontana a forma di barca semisommersa in una vasca ovale posta leggermente al di sotto del piano stradale, con prua e poppa, di forma identica, molto rialzate rispetto ai bordi laterali più bassi, appena sopra il livello del bacino. Al centro della barca un corto balaustro sorregge una piccola vasca oblunga, più bassa delle estremità di poppa e prua, dalla quale fuoriesce uno zampillo d’acqua che, riempita la vasca, cade all’interno della barca per

tracimare poi, dai bordi laterali bassi e svasati, nel bacino sottostante. L’acqua sgorga da altri sei punti (tre a poppa e tre a prua): due sculture a forma di sole con volto umano, che gettano acqua verso altrettante conche all’interno dell’imbarcazione, e quattro fori circolari (due per parte) rivolti verso l’esterno, simili a bocche di cannone. Oltre ai due soli, completano le decorazioni due stemmi pontifici, con la tiara e le api, simbolo araldico della

famiglia del pontefice (i Barberini), alle estremità esterne della barca, tra le due bocche di cannone. Era la prima volta che una fontana veniva concepita interamente come un’opera scultorea, allontanandosi dai canoni della classica vasca dalle forme geometriche. Secondo una versione popolare molto accreditata, la sua particolare forma potrebbe essere stata ispirata dalla presenza sulla piazza di una barca in secca, portata fin lì dalla piena del Tevere del 1598 (nel cui ricordo il papa potrebbe aver commissionato l’opera), ma si è anche avanzata

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l’ipotesi che quel luogo fosse anticamente utilizzato come piccola naumachia. In entrambi i casi il nome “Barcaccia” richiama una vecchia imbarcazione prossima all’affondamento. Più verosimilmente, era chiamata “barcaccia” quel tipo di imbarcazione che, nell’antica Roma, veniva usata per il trasporto fluviale di botti di vino, e che, molto simile all'opera berniniana, aveva appunto le fiancate particolarmente basse per facilitare l’imbarco e lo sbarco delle botti stesse.

La settecentesca Fontana di Trevi (1732-1762), progettata da Nicola Salvi e adagiata su un lato di Palazzo Poli, oltre ad essere la più grande ed una fra le più note fontane di Roma, rappresenta un riuscito connubio di Classicismo e Barocco. La storia della fontana è strettamente collegata a quella della costruzione dell'Aqua

Virgo, acquedotto Vergine, che risale ai tempi dell'imperatore Augusto, quando Marco Vipsanio Agrippa fece arrivare l'acqua corrente fino al Pantheon ed alle sue terme.

L'opera è impostata secondo un progetto che raccorda influenze barocche, e ancor più berniniane, al nuovo monumentalismo classicista. Il Salvi riprende l'idea di fondo di Bernini, e del papa committente, cioè quella di narrare, tramite architettura e scultura insieme, la storia dell'Acqua Vergine. Il tema dell’intera composizione è il mare. Questa è inserita in un’ampia piscina rettangolare dagli angoli arrotondati, circondata da un camminamento che la percorre da un lato all’altro, racchiuso a sua volta entro una breve scalinata poco al di sotto del livello stradale della piazza. Il Salvi ricorse al sistema della scalinata per compensare il dislivello tra i due lati della piazza.

La scenografia è dominata da una scogliera rocciosa, che occupa tutta la parte inferiore del palazzo, al cui centro – sotto una grande nicchia, delimitata da colonne, che la fa risaltare come fosse sotto un arco di trionfo – si erge una grande statua di Oceano che guida un cocchio a forma di conchiglia trainato da due cavalli alati, a loro volta guidati da altrettanti tritoni. L’acqua sgorga dalle rocce in diversi punti sotto il carro di Oceano va e a riempire tre vasche, prima di riversarsi nella piscina maggiore. Le tre vasche non facevano parte del progetto originario del Salvi, ma furono aggiunte a seguito delle modifiche apportate dopo la morte dello scultore. Altra modifica sostanziale riguardò i soggetti delle due statue laterali, che rappresentavano inizialmente Agrippa e la “Vergine

Trivia”.

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L’acqua nella Pittura del Romanticismo.

John Constable, “La baia di Weymouth, National Gallery 1816

“Mi è stato spesso consigliato di considerare il cielo come un lenzuolo bianco appeso dietro agli oggetti. Certo,

non è bene che il cielo sia troppo invadente, ma se fosse inesistente sarebbe ancor peggio”.

(J.Constable)

John Constable, classe 1776, rampollo di buona famiglia borghese dotato, secondo le fonti, di bellezza, eloquenza e stile, si istruì pittore prima per passione e poi per mestiere, trovando nel cielo e nei paesaggi pianeggianti del Kent la sua fonte di ispirazione primaria. Ai ritratti di amorini, di ninfe danzanti e di eroi greci dalle movenze tragiche e dalla fisionomia dei nobili dell’epoca, egli preferiva la terra bruna dei campi appena

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solcati dall’aratro e il fluire silenzioso delle acque, intente ad approfondire il proprio corso e a riposare in stagni adombrati e circondati da canneti.

John Constable, Il carro da fieno, 1821,

conservato alla National Gallery. Il

dipinto rappresenta uno scorcio della

valle dello Stour (Suffolk), vicino al

mulino di Flatford, con un carro

immerso nel fiume. Esso rispecchia in

pieno i canoni del Romanticismo, con

una natura partecipe ai sentimenti

dell'uomo, essa stessa capace di

rasserenare o terrorizzare l'uomo.

L'opera mostra la maturità dell'artista

nel bilanciare le masse e i valori tonali,

bloccando quasi l'ora, il giorno, la

stagione e, forse, i pensieri dell'uomo.

L'opera emana una maestosità e una tranquillità nella mirabile resa del clima e dell'umidore dell’atmosfera. I

colori ben dosati nelle varie tonalità di verde, l'acqua al centro della tela dà un senso di appagamento interiore

per la calma che riflette, gli uccelli sparsi, il cagnolino sulla riva abbaia al padrone e il cielo è sorgente di luce che

governa su ogni cosa.

John Constable “Wivenhoe Park”, 1816

Constable ama, altresì, parlare di sé come di “pittore scienziato”, e pennellata dopo pennellata imprime sulla

tela scampoli di realtà intrisi delle sue conoscenze di geologia, botanica e meteorologia. L’avvicinamento

all’essenza profonda della realtà e la ricerca di una possibile dimensione trascendente si traducono nella

scientificità della pittura e nel considerare i quadri veri e propri esperimenti volti all’indagine empirica della

Natura e con essa specialmente dell’acqua e della vasta fenomenologia che le accompagnano.

Terra, aria, acqua e fuoco, in solitudine o in unione gli uni con gli altri, offrono forma e consistenza alla Verità

della Natura.

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Nella produzione pittorica di Constable

sono gli elementi freddi a predominare

incontrastati attraverso i numerosi ritratti

di nuvole e cieli talvolta sovrastanti il

mare. Si tratta di cieli per lo più senza

stormi, acque rese vive dall’incresparsi

delle onde più che dalla spuma delle scie

di barche e dagli ormeggi sulla riva. Le

nubi si mostrano come gli occhi gentili

dell’aria e manifestano il silenzio e la

quiete nelle giornate limpide, quando i

venti interessano gli strati più alti

dell’atmosfera o, al contrario,

impersonano lo sguardo torvo e

corrucciato delle tempeste e delle piogge

che si abbattono violente, proprio come

in questa “Rainstorm over the sea”

(Tempesta di pioggia sopra il mare, a sx).

Assolutamente innovativo, pur nel

panorama dell’arte romantica, lo stile di

William Turner: le sue opere del periodo

della maturità sono caratterizzate da

un'ampia varietà cromatica e da una

suggestiva tecnica di stesura del colore.

Soggetti molto adatti a stimolare

l'immaginazione del pittore si rivelano i

naufragi, gli incendi (come l'“Incendio

del parlamento inglese, verso l’Abbazia di Westminster”, del 1834, un avvenimento a cui Turner corse ad

assistere di persona e che immortalò in una serie di

schizzi ad acquerello), le catastrofi naturali e i fenomeni

atmosferici come la luce del sole, le tempeste, la

pioggia e la nebbia. Era affascinato dalla violenta forza

delle acque marine, come si può vedere in “Scialuppa

di salvataggio e uomini ”(1840), a dx.

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Turner, al contrario di Constable, va oltre il dato

oggettivo e propone un’interpretazione più libera

della natura. I suoi paesaggi sembrano infatti

dissolversi nella luce e nei colori e le terrificanti

potenze delle forze naturali, che il pittore riproduce

nelle sue opere, sembrano evocare catastrofi

imminenti, mettendo in risalto la fragilità della

condizione umana.

Per esempio, nel dipinto intitolato “Onde che si

infrangono contro il vento”del 1835 circa, in cui

vediamo il mare, sconvolto

dalla tempesta in una

giornata di forte vento

impetuoso, con le onde che si

riversano su un piccolo lembo

di spiaggia in un inarrestabile

moto, possiamo notare come

il pittore, sempre affascinato

da queste grandi forze

naturali, voglia comunicarci,

che il paesaggio possa

diventare anche espressione

di uno stato d’animo, un

riflesso non soltanto di ciò

che l’ artista percepisce con gli occhi, ma soprattutto uno specchio dei sentimenti che prova, delle emozioni che

lo agitano intimamente. In questo dipinto, sentiamo

la potenza e la forza distruttiva degli elementi

scatenati, che coinvolgono il cielo, il mare ed il

piccolo lembo di spiaggia con sterpi ed alghe.

L’assenza di ogni traccia di vita umana, ancora

presente – seppure a margine – nella marina

sconvolta di “Bamborough Castle” (sopra), esprime

anche la solitudine nella quale l’artista si immerge,

come pure nelle pacate e impalpabili

rappresentazioni del Bacino di San Marco, verso la Salute, a Venezia, in cui l’acqua è ancora il leit motiv.

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La pittura del Secondo Ottocento d’Oltre

Oceano.

Grande formato e afflato romantico si

ritrovano pure nei dipinti delle “Cascate del

Niagara”, (1867), del pittore americano

Frederic Edwin Church, in cui l’acqua – nella

sua forza prorompente – precipita in uno

scroscio fragoroso, sollevando vapori

nell’impatto con le rocce sottostanti.

James Abbot McNeill Whistler, altro artista

americano, interpretando con grande

originalità il tema dell’acqua, dà invece vita ad

una serie di dipinti in cui tenta una sintesi e

insieme un confronto tra la cultura orientale e

quella occidentale: le composizioni che ne

scaturirono sono ancora fedeli alle regole della

prospettiva, ma i colori sono utilizzati in

maniera nuova, più vicina al cromatismo

bidimensionale delle stampe giapponesi.

Nei suoi “Notturno, lo

stretto di Solent”, del 1866,

conservato al Gilcrease

Museum di Tulsa, e in

“Harmony in Blue and

Silver: Trouville”, del 1865

(Gardner Museum, Boston,

MA, USA, sotto), Whistler

restituisce un’immagine

della superficie dell’acqua

delle sue marine, in cui va

ad anticipare per esiti certe

esperienze estetiche

dell'Astrattismo. Ciò

avviene per effetto delle

linee che definiscono in

fasce piatte e placide,

sovrapposte, l’orizzonte

in cui quasi si fondono il

mare, il cielo e i corsi

appiattiti delle basse

distese sabbiose.

Page 21: L'acqua nell'arte

21

Intorno alla metà

dell’Ottocento, in Francia si

afferma il Realismo,

attraverso la pittura di

Gustave Courbet. E’ ancora

l’acqua a fare da

protagonista, ma stavolta le

vedute marine di Courbet

perdono ogni enfasi

emozionale di impronta

romantica; il pittore è

soprattutto attento a

restituire il dato realistico,

senza implicazioni

sentimentali, senza alcuna

idealizzazione che riconduca

allo stato d’animo con cui

l’artista si pone innanzi al

paesaggio e agli elementi

atmosferici, che in “Paysage

de Mer” riproduce, tuttavia, con una freschezza quasi epidermica, quella delle acque appena increspate dalla

brezza marina, che ne nebulizza gli umori.

In “Veduta del

Mediterraneo presso

Maguelonne”, del 1858,

Courbet raffigura uno

scorcio di spiaggia con gli

scogli in primo piano e un

mare calmo, dalle acque di

un intenso cobalto, privo di

presenze umane e di

qualsiasi drammaticità.

Spettacolare risulta altresì

il modo in cui la tela è

dipinta: il colore steso in

larghe strisce con una

spatola, lascia in alcuni

punti tratti di tela non

dipinta.

La pittura realistica di

Courbet preparerà la strada agli impressionisti francesi del secondo Ottocento e del loro precursore e maestro

ideale: Edouard Manet.

Page 22: L'acqua nell'arte

22

Nel dipinto di Manet “Il molo di

Boulogne-sur-Mer”, del 1868, motivo

centrale sono i due pontili, alla foce

della Liane, sostenuti da una fitta rete di

pali che si specchiano nell’acqua del

mare, resa in primo pano in un blu-

verdastro straordinario, ancor più

acceso per contrasto con le figure al

centro, dipinte – proprio come le

imbarcazioni – con poche e morbide

pennellate dai toni grigio perlacei.

Sebbene l’opera di Manet sia spesso

associata alla spontaneità

dell’Impressionismo, la genuinità di

questo dipinto è ingannevole e la

freschezza delle marine, in genere, cela

un lungo processo di ritocchi e di

ricercatezza.

Il dipinto fu infatti realizzato in

atelier, sulla base degli schizzi a

matita fissati dall’artista nel suo

taccuino.

“La Grenouillère”, di Claude Monet è lo stagno delle rane, uno stabilimento balneare di Bougival, vicino a Parigi, le rapide e decise pennellate che accostano le differenze tonali e cromatiche realizzano una superficie liquida dinamica ed evidenziano i contrasti di luce e di ombra, ma l'eccesso di nero – utilizzato da Monet –

impedisce ancora di ottenere trasparenza delle ombre; lo sfondo, malgrado l'intensa colorazione verde-oro del fogliame, manca di vibrazioni luminose e non riesce ad raccordarsi in una visione unitaria con la centralità del dipinto.

“Impression soleil levant” (1872), è invece

da considerarsi il manifesto

dell’Impressionismo. Monet realizza il

dipinto totalmente en-plein-air, ossia di

getto, all'aria aperta, senza disegno

preparatorio. Il quadro rappresenta il porto

di Le Havre all'alba, come suggerito dal

titolo stesso. Sullo sfondo appaiono le

industrie, mentre in primo piano si staglia

Page 23: L'acqua nell'arte

23

una barca di pescatori, che stanno tornando dalla pesca notturna. Nell'acqua – elemento dominante unitamente

al cielo – di guizzano pesci scuri; il riflesso del sole presenta un grado di luminosità quasi anomala, a differenza di

quanto si verifica in natura. Si tratta però di una caratteristica che sembra conferire un carattere fantastico e

soprannaturale a tutta la rappresentazione, che travalica la pura resa realistica.

In “Vela sulla Senna ad Argenteuil” (1873), è certamente Turner ad aver suggerito a Monet come dissolvere la forma mediante il colore, fondendo acqua e cielo così da annullare l'orizzonte, rendendo ombre e navi partendo dallo stesso grigio dello sfondo. Il paesaggio, divenuto nell'immediata

impressione visiva dell’artista un insieme di forme vaghe, trasmette all'osservatore un'emozione suggestiva e indefinita.

Il cammino che porta Claude Monet da una visione di impianto descrittivo e naturalistico fino alla dissoluzione del dato di natura nella materia pittorica, costituita dal binomio luce/colore, è

dunque rappresentato dalla Senna. Fiume che, fin da certe prove degli anni Sessanta del XIX secolo, resta come un vero filo rosso entro la sua opera, segnandone molto spesso le svolte più importanti e decisive. Sarà quindi lungo questo corso d’acqua che egli darà vita a tanti dei suoi quadri più celebri, procedendo verso un’interiorizzazione dell’immagine, quasi che la natura e il paesaggio sorgessero in lui dalla visione interiore.

Dopo la lezione di Boudin, in Normandia, davanti al mare di Le Havre, Monet inizia quel lungo canto disteso ai lati, e fin dentro, le acque della Senna. Dalle prime descrizioni del fiume, nei pressi della foce, tra Le Havre

Claude Monet, Il ponte di Argenteuil, 1874

e Honfleur, fino alla contaminazione con l’acqua del mare: e proprio questo spazio indistinto, che è fiume e mare insieme, è oggetto di alcuni tra i primi quadri. Poi il fiume che attraversa Parigi, nella musicalità affollata del rigoglio fiorito della gente che invade le strade, fino alla identificazione di quel fiume con la natura, con il suo splendore. Fino alla serie celebre, tra 1896 e 1897, dedicata ai Mattini sulla Senna, a dx, quando la visione partecipata del reale sta già

Page 24: L'acqua nell'arte

24

virando entro il territorio della dissoluzione delle forme fattesi realtà della non realtà.

Monet giunge addirittura a deviare il corso del fiume per

creare, nella sua mente prima ancora che nella realtà,

l’artificio della natura. Le ninfee, dunque, lo stagno, il Ponte

giapponese del “Giardino di Giverny” saranno la

trascrizione nuova di ciò che nei decenni precedenti la

Senna aveva rappresentato per lui, con tutti i mutamenti

importanti che già nell’ultimo decennio del XIX secolo

intervengono. L’idea di Monet, di deviare il corso del fiume

per costituire l’artificio della natura, si concretizza quindi

nella resa quasi evanescente dei soggetti più celebri: i ponti

giapponesi, le ninfee. E la visione sfuma, trascolorando

negli effetti luministici, evocati attraverso un’iridescenza

madreperlacea dell’elemento “acqua”, che annulla la

percezione soggettiva del dato

naturale. “E anche l’ultima traccia di

paesaggio acquatico affonda, quasi

scompare, inabissandosi. Né acqua, né

cielo, né orizzonte intervengono per

puntellare la composizione, densa. Lo

spazio liquido ci viene incontro. Non

esiste più profondità di sguardo, non si

vede più niente, ogni cosa si perde,

nulla più si distingue. Solo un vibrare di

luci e colori, in un’illuminazione diffusa

che blandisce qualsiasi ombra. E’

questo il tempo del mondo. Questa

storia, proprio questa, finisce qui,

finisce così.” (Marco Goldin) La Senna

si spegne in queste finali acque

stagnanti, trasformata nella luce di un

divenire che è tempo e

spazio insieme. Ecco perché

occorre indicare anche l’

“acqua di Giverny”, il

giardino privato dell’artista,

come ulteriore spazio di una

grandezza pittorica che

aveva già toccato vertici

sublimi.

Sono proprio questi gli anni in cui Monet dà il meglio di sé, quelli che si concludono con le grandi serie; scompaiono i contrasti di tono, che si mutano in passaggi tonali ottenuti non fondendo ma accostando le tinte, fra le quali è ora bandito il nero, ma le ombre vengono ricavate accentuando l'intensità del tono oppure con i complementari. Nelle

Page 25: L'acqua nell'arte

25

“Ninfee”, l'acqua – in quanto elemento della natura – diviene soggetto del quadro. Monet si proclama così emblematico maestro della rappresentazione dell'acqua.

Questi fiori delicati galleggiano

nell'acqua che riflette i loro colori e le

nuvole nel cielo. Il risultato è un

incredibile immagine di luci e colori che

lascia senza fiato. L'acqua è, quindi, la

protagonista del quadro per le sue

speciali caratteristiche fisiche

(trasparenza, riflesso, mutevolezza

della forma).

Esiti totalmente diversi, in cui nella

rappresentazione di stagni e ninfee

prevale l’intonazione mitologica, sono

quelli tardo-ottocenteschi di John

William Waterhouse, pittore

britannico di età

vittoriana,

appartenente alle

ultime manifestazioni

dello stile dei

Preraffaelliti. La

produzione di

Waterhouse può

essere raggruppata per

temi entro due filoni

principali: le opere di

ispirazione classica e le

opere di ispirazione

medievale, tra cui

spiccano “Ofelia” e “La

Signora di Shalott”,

oltre ad altri dipinti di

ispirazione shakespeariana. Il tema della donna che si

strugge per amore, ricorre nei dipinti di Waterhouse: non

a caso un altro dei suoi soggetti ricorrenti è Ofelia

nell'atto di raccogliere fiori, poco prima che le

acque placide del lago l’accolgano nell’abbraccio

John William Waterhouse, “Hylas and the Nymphs”, 1896, Manchester City

Gallery

Page 26: L'acqua nell'arte

26

della morte. Il dipinto unisce il tema femminile a quello dell'acqua, un'associazione che – insieme a quella con

l’elemento floreale – è tipica della pittura simbolista, in generale, e dei preraffaelliti, in particolare.

Tornando a Monet, egli dipinge anche il mare: la

sua vastità, l’idea che dell’infinito e, tuttavia,

anche della prossimità vi s’inscrive. Sono le tele di

“Bordighera”, (1884), “Mediterraneo” (1888) e il coevo

“Cap d’Antibes – Mistral”, fresche vedute in cui la pennellata vibrante anima le onde increspate dalle sferzate

del maestrale.

I Neo-impressionisti Signac e Seurat

sviluppano sulla fine del secolo la tecnica

del pointillisme, che della pittura di getto

impressionista oramai poco conserva se

non la ricerca luministica. Signac è

affascinato dalla luminosità delle opere

impressioniste ma cerca, al di là

dell’effetto atmosferico vibrante ed

effimero, di costruire lo spazio con

esattezza, come si può evincere da un

altro dipinto a tema marino: “Saint

Tropez. Il temporale”,(in basso a dx) del

1895. Seurat, in cui il tema dell’acqua è spesso

presente, invece pare discendere la luce da Piero

della Francesca. Per lui in pittura non c’è nessuno

spazio per la casualità. Essa è tensione verso

un’esattezza senza concessioni. Egli è certamente

impregnato sino al midollo di luce impressionista,

ma è come se l’avesse sottratta da una parte al

tempo, dall’altra alla meteorologia. Così trasforma, o

meglio trasfigura, l’impressionismo in un fatto

zenitale. La luce, colta d’après nature viene riportata

alla sua radice. Diventa veicolo di un qualcosa che ha

a che fare con l’assoluto, tutto avvolge nella miriade

di micro particelle pulviscolari, tutto ingloba: cielo,

acqua, vapori evanescenti. Il metodo scientifico nella

stesura dei colori, su cui si indaga sino alla nausea, è

Page 27: L'acqua nell'arte

27

la via con cui Seurat si sottrae al felice soggettivismo dei suoi fratelli maggiori impressionisti. Egli cerca

un’oggettività che gli faccia fare il balzo aldilà di tutto ciò che è transitorio, che lasci travalicare nel surreale, nel

metafisico, come ne “Il Canale di Gravelines: di sera”, del 1890, o ne “La Baignade à Asniére” (1883), tra i grandi

quadri dell’Ottocento, c’è la vocazione all’assoluto di Seurat, nella fissità vibrante delle liquide trasparenze.

Pennellate brillanti e

rigorose linee

ortogonali,

caratterizzano invece

la resa degli specchi

d’acqua di Signac.

La ricerca dei pittori

Post-Impressionisti

va poi a conseguire

esiti molto differenti e

originali. Senza

entrare nelle diverse

ipotesi mediche

emesse sulla malattia

di Vincent Van Gogh,

si può vedere nella

sua opera l'intensa

lotta condotta dall’individuo contro l’alienazione dal mondo, da quella società che produce, con

l'industrializzazione e le sue conseguenze sociali conflittuali, l'asservimento e la distruzione dell'uomo. Vincent

Van Gogh dipinge “Notte stellata sul Rodano”, uno dei suoi capolavori, in una serata di fine settembre del 1888,

nei pressi della cittadina francese di Arles, sulla riva del Rodano; ha da poco finito di dipingere il paesaggio che si

trova a sud-ovest, una veduta del fiume con le luci del paese sullo sfondo che, all'improvviso, decide di ruotare il

cavalletto. Alle sue spalle, verso nord, si staglia l'Orsa Maggiore, nella volta del cielo, che si riflette nell’acqua –

prevalente nella stesura pittorica – di un livido cobalto, acceso allo stesso tempo, e solcato dai fendenti del

Page 28: L'acqua nell'arte

28

riverbero nella luminosità delle pennellate che depone sulla tela in due fasi distinte, intervallate tra loro da una

pausa di qualche decina di minuti.

Con la tecnica divisionista, di quegli anni

Vincent cerca il suo personale approccio al

colore, e allo stesso tempo, nei sobborghi

parigini e presso gli argini della Senna,

ripercorre gli stessi motivi di Signac. In seguito

egli abbandona, a poco a poco, la

frammentazione impressionista e tende a

semplificare la forma e il colore per

concentrarsi meglio sull'unità strutturale della superficie e per

mantenere la caratterizzazione espressiva degli oggetti. In

questa direzione, nella ricerca di uno stile veramente

personale, l'influenza della stampa giapponese, tanto

ammirata e copiata da Vincent Van Gogh, segna una tappa

importante. Se ne ritrova la presenza nel “Ponte sotto la

pioggia ad Hiroshige”, (in alto a dx), il cui sfondo è ancora

naturalistico, in cui una fitta tessitura di pennellate che si

intersecano in un sottile linearismo, che evoca il dato

atmosferico: la pioggia, ma lo sviluppo della scena è già

verticalizzato, in una cornice trompe d’oeil che anticipa già i

motivi decorativi delle stampe giapponesi. Anche Paul Gauguin

in “Ragazza bretone che fila”, risente dell’influenza del

verticalismo costruttivo, anche nel modo piatto di definire la

distesa blu petrolio del mare sullo sfondo. Egli cercherà di

realizzare con Van Gogh un sodalizio nella pittura a Arles, nel

meridione della Francia. Prima del fallimento dell’infausta esperienza, dovuta all’incompatibilità di carattere e

all’aggravarsi della malattia di Vincent, Gauguin trascorrerà quasi un anno a Pont-Aven, dove il suo stile prenderà

consistenza, giungendo al rifiuto della prospettiva che genera una rappresentazione a carattere irrazionale,

particolarmente adatta all'espressione delle realtà spirituali. Su questa strada Paul Gauguin non tarderà molto

ad apparire come il pittore simbolista per eccellenza, portavoce dei Nabis (= Profeti), il profeta della costruzione

della tela attraverso il colore steso uniformemente, cioè idealizzato.

Page 29: L'acqua nell'arte

29

Gli specchi d’acqua traslucidi, che riflettono la luce annullando l’effetto appiattente della pennellata compatta, sono tra i soggetti prediletti di Felix

Vallotton, come “Paesaggio a Semur”, (a sx) e “Fiume in Berville” (sotto a dx). Dopo il 1890, Vallotton, rifiutando la resa atmosferica della realtà propria dell'Impressionismo, riscontrabile in dipinti come “Punts del carico sulla

Senna” (in basso a sx), lega al gruppo dei Nabis; “Nell’acqua”, (a dx), ne costituisce un chiaro esempio. Dagli allievi e continuatori di Gauguin, Vallotton apprende i canoni fondamentali della composizione bidimensionale e dell'arabesco, ma ne rifiuta le ricerche tipiche del Simbolismo per volgersi ai temi della vita quotidiana.

Nelle opere degli anni dal ’91 al ’98, lo spazio del dipinto è quasi completamente privo di profondità, acqua e

cielo

ripartiscono uno sfondo piatto, dominato dall’armonia dei colori,

vivi e densi, come in

“Nudo di donna

nell’acqua”, in cui

vengono meno

gli effetti di

trasparenza,

tipici

dell’elemento

acquatico, e

tutto ciò che

resta dello lo

stile impressio-

nistico.

Page 30: L'acqua nell'arte

30

Il dipinto “Pape Moe, l’Acqua misteriosa”, con i riferimenti alle simbologie indigene sulla sacralità del tema

dell’acqua, collocabile nel periodo Tahitiano di Gauguin (1893), rappresenta la trasposizione delle spiritualità

nabis alla cultura dei primitivi.

L’esperienza artistica del pittore francese, influenzerà anche

la ricerca dei Fauves e degli Espressionisti tedeschi. Al

contrario, per Paul Cézanne il colore, che prevale sulla linea,

riveste una funzione essenzialmente materialista, come si

può desumere dal quadro “Lago di Annecy” (sopra, a sx),

caratterizzato da una pennellata, che si annuncia già come costruttiva e precorritrice dell’avanguardia artistica

del Cubismo. I toni dominanti sono quelli dei blu e

dei verdi, a cui fanno eco tocchi di giallo e di

violetto. Il senso di profondità è dato dalla

successione dei piani prospettici, che definiscono il

paesaggio lacustre.

Ne “Le Grandi Bagnanti” (di lato, a dx) del 1906, di

Cezanne, preannuncia nel soggetto e negli esiti

assolutamente innovativi “Les demoiselles d’Avignon”, di

Picasso, del 1908, manifesto della pittura cubista, in cui

sfondo e figure si compenetrano in cunei geometrici

tridimensionali, tra i quali l’elemento naturalistico

acquatico è riconoscibile, e riconducibile solo ai toni

sapienti di azzurro che stagliano i corpi volumetrici dei

soggetti femminili, alcuni deformati a maschere

grottesche. Anche i Fauves francesi e gli esponenti

Page 31: L'acqua nell'arte

31

tedeschi di Die Brücke cercano nella tecnica graffiante e nel colorismo stridente, pur nella rappresentazione di

soggetti ancora figurativi, la risposta al male di vivere che incombe pesantemente sull’uomo del ’900: l’acqua,

elemento catartico, sembra dare sollievo consolatorio alle figure umane, quasi larve fluttuanti nel dipinto del

pittore Franz Marc “Wasserfall” (in basso a sx); più compassata la vista de “La Senna a Nanterre” (sotto a dx), di

Maurice de Vlaminck.

Una visione assolutamente surrealista è invece quella

dell’elemento marino – e acquatico – offerta da René Magritte con la sua “Sirena invertita”, creatura ibrida,

inerte, nella

placida posa, e

ambigua nel suo

volgere lo sguardo

all’osservatore,

interrogativo e

inquietante.

Pochi passi dietro

al corpo semi-

umano è la risacca

dell’onda, nello

estendersi lento e

metafisico

dell’azzurro cupo,

che sfuma

all’orizzonte nel

chiarore algido del

cielo.

Nel 1912, la madre di Magritte, Adeline, si suicidò gettandosi nel fiume Sambre a Châtelet; venne ritrovata

annegata, con la testa avvolta dalla camicia da notte. René Magritte non aveva ancora quattordici anni e questo

particolare rimase impresso nella sua giovane mente. Esso riappare, nel corso della sua carriera di artista, in

alcuni suoi dipinti, come il tema dell’acqua che dà vita a sfondi spesso surreali, metafisici. (Vedi pag. seguente)

Page 32: L'acqua nell'arte

32

Nel mondo artistico di Magritte la razionalità sfuma, la

logica si ritira, la mente si offusca e cede il passo ad

accostamenti dissociativi, ossimori pittorici, composizioni

assurde, situazioni in bilico tra l’onirico e la più fervida

fantasia. Ne “La condizione umana” (a dx), un mare appena

increspato e chiaro e rigenerante si spalanca di fronte ad

un’apertura architettonica dalle nitide geometrie.

Immersioni

Simmetrie

speculari

cosa è il bello

il bianco il nero

la luna le stelle

il sole, la casetta,

l'albero

l'uomo disegnato

da un bambino

sintesi d'essenza

un segno unico

una faccia tonda

gambe braccia

mani di linee

felici del poi.

E' punta di spillo

su una palpebra:

gridati silenzi,

nettare di fiele,

urla sussurrate

con la coda a

batuffolo

sull'autostrada

corre un coniglio

bianco.

Nuoto

Inseguo certi pesci

coloratissimi

sono io un pesce

con mani e piedi

inefficaci

profondità baratro

e abissi

risucchiano

mi allontano

Comincio a capire

troppo

il mare preme massa

addosso, subito

rientro

indimenticato

sapore

volteggiavo nei flutti.

Lorenzo Mattotti, Nell’acqua, Serigrafie, 2005

Page 33: L'acqua nell'arte

33

Possiamo concludere questa prima sezione dedicata allo stato “liquido” dell’acqua

con questa immagine molto emblematica e una citazione tratta da un’opera di Gianni

Rodari:

«Una parola1, gettata nella mente a caso,

produce onde di superficie e di profondità,

provoca una serie infinita di reazioni a catena,

coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini,

analogie e ricordi,

significati e sogni.»

Gianni Rodari, La grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, 1974,

Ed. Piccola biblioteca Einaudi

Carsten Peter, Fotografie

____________________________________________________________________________________________

1 [o un’immagine, potremmo aggiungere …]

Page 34: L'acqua nell'arte

34

L'acqua nell'arte “allo stato solido”

[…]

A chi giovi l’ardore, e che procacci

Il verno co’ suoi ghiacci.

[…]Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia,

Canti, XXIII, 1830

Gustave Courbet, La povertà nel villaggio

L’Ottocento è un secolo nel quale si assiste allo sterminato canto sulla natura, nelle sue più splendide e spietate

manifestazioni...

Caspar David Friedrich, Il mare di ghiaccio, Amburgo Kunsthalle, 1824

Ne “Il mare di ghiaccio”, uno dei suoi quadri più noti, Friedrich dipinge la banchisa di ghiaccio su ispirazione offerta dalle spedizioni al Polo Nord avvenute per nave nel 1819 e nello stesso anno 1824. Nel Polo, dove si annulla il succedersi dei giorni e delle stagioni, tutto appare dato una volta per tutte, tutto è eterno e quest'eternità di ghiaccio, dove la nave, simbolo della stagione della vita umana, è imprigionata, non può sfuggire a quell'eternità che è la stessa di Dio. Ma dell'opera si può dare anche un'interpretazione politica: la nave La Speranza, naufragata nella spedizione polare, simboleggia il naufragio delle speranze della Germania, durante la Restaurazione, esattamente come, nel 1815, la Zattera della Medusa di Géricault stava ad indicare il naufragio della Francia napoleonica.

Page 35: L'acqua nell'arte

35

Una fotografia contemporanea, che restituisce un’immagine di grande suggestione del “Ghiacciaio Perito

Moreno”, in Patagonia (Argentina), che in controtendenza con la condizione della maggior parte dei ghiacciai del

mondo, sta sorprendentemente avanzando. L’immagine evoca la forza superba e la potenza della natura sempre

presenti e vive nelle opere

del pittore romantico.

Una grazia diversa, nel

frastagliamento artistico

delle forme bizzarre, è

invece in questa immagine

di Paul Nicklen, “Un

piccolo iceberg

trasportato dalla marea

su una spiaggia dell'Isola

Ellesmere”, in Canada, la

fotografia è stata

pubblicata sulla rivista

National Geographic.

Page 36: L'acqua nell'arte

36

Excursus nella storia della pittura dell’acqua come “neve”, “ghiaccio”,”brina”.

Dopo questa premessa con cui, partendo da un’opera molto significativa di Friedrich, abbiamo voluto

sottolineare la potenza che l’acqua sprigiona, quando ad una temperatura di 0° cc. raggiunge lo stato solido,

trasformandosi in ghiaccio, vogliamo ora proporre un breve excursus nella storia dell’arte, in cui il tema

dell’acqua allo stato solido – e nelle sue molteplici forme – viene analizzato dai principali pittori.

La neve, ad esempio, è uno dei

soggetti ricorrenti nei quadri di

paesaggio e di genere, del pittore

fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio, i

quali hanno per soggetto scene ed

eventi tratti dalla vita quotidiana; ne

sono esempi significativi i dipinti:

“Paesaggio d’inverno con corridore di

ghiaccio”, del 1565, “Il ritorno a casa

dei cacciatori”, (1565), e “Censimento

a Betlemme”, del 1566.

I paesaggi fantastici del primo periodo

mutano dopo il viaggio effettuato da

Bruegel in Italia, probabilmente nel 1551,

che gli consentì di affinare il tratto e

l'impronta paesaggistica, da indirizzare su

temi di caratterizzazione popolare. Quel

che interessa a Bruegel è osservare e

descrivere le manifestazioni della vita: la

malinconia della natura morente, la dolce

intimità dell’inverno e i fenomeni

atmosferici: l’aria rarefatta e pallida

dell’inverno, con le sue algide nevi e i suoi

ghiacci, la conformazione del suolo, i

monti e le vallate, i campi e le strade, il

mutare della vegetazione col volgere delle

stagioni, il villaggio tranquillo e i suoi

abitanti, le loro fatiche quotidiane, le gioie

e le pene, tutto questo è una sola cosa

con la natura e il processo vitale. Si

intende perciò come l’osservazione della

natura, così profonda in Bruegel,

scaturisse in definitiva da quella

medesima concezione della vita su cui si

fondava la sua nuova pittura dei costumi

popolari, che considerava l’uomo come un

prodotto della natura, del suolo sul quale

egli vive e di determinate condizioni

ambientali e sociali.

Avercamp Hendrick è uno dei primi

pittori paesaggisti della Scuola olandese

Page 37: L'acqua nell'arte

37

del XVII secolo, si specializza nei paesaggi invernali del suo paese. Le pitture di Avercamp sono piene di colori e

vivaci, con una attenta dislocazione dei personaggi sulla scena.

Avercamp Hendrick, Paesaggio invernale con pattinatori

Il paesaggio è composto da un lago ghiacciato. Si può notare come l’uomo si adegui facilmente ai cambiamenti climatici naturali: le navi sono ferme e il ghiaccio costituisce una buona áncora naturale, fino all’arrivo della primavera. Le persone (uomini, donne e bambini) ne approfittino, scivolando sul lago ghiaccio, divertendosi o attendendo alle loro faccende e commissioni, con una gioiosa frenesia.

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38

Avercamp Hendrick, IJsvermaak, 1608

Il paesaggio raffigurato nel dipinto è invernale. Vi viene rappresentata una partita di hockey tra due giocatori con

alcuni passanti attorno ed in mezzo alla disputa. Nel quadro, tuttavia, la scena di genere – dai personaggi in

primo piano, alle macchiette sullo sfondo – prende il sopravvento sul paesaggio. Il lago ghiacciato offre anche

qui l’opportunità per praticare un passatempo divertente.

Nel nostro excursus, bisogna tener conto del fatto che l'iconografia paesaggistica si sviluppa tardi rispetto agli

altri generi di pittura; oltre

all’esperienza già descritta dei

fiamminghi o della pittura

olandese, si deve aspettare il XVIII

secolo per vedere comparire i

primi soggetti raffiguranti la

natura priva della presenza di dei

mitologici, esseri umani o

animali.

La stagione più florida degli

“artisti dell'inverno”, capaci di

creare emozioni ricche e difformi

nell'animo, è sicuramente quella

del primo Ottocento. Gli artisti

tedeschi Anton Doll (1826-1887),

a sx, Frederik Marinus Kruseman

Page 39: L'acqua nell'arte

39

(1816-1882) e Barend Cornelius Koekkoek (1803-1862), vedono l'inverno come un momento di gioia e di

divertimento. Fiumi e laghetti ghiacciati che diventavano piste di pattinaggio, piacciono molto al pubblico e per

questo se ne danno interpretazioni favolistiche, che richiamano ancora gli esiti dei pittori fiamminghi.

Frederik Marinus Kruseman,

Paesaggio invernale con pattinatori

Barend Cornelius Koekkoek, Paesaggio invernale

Tali interpretazioni liriche del paesaggio nivale si addicono

perfettamente alla temperie del Romanticismo inglese che

avrà i suoi esiti più innovativi nella pittura di William

Turner.

Eversen Adrianus, Paesaggio invernale

Page 40: L'acqua nell'arte

40

Turner riesce ad immortalare il vortice di una

tormenta di neve che circonda una piccola

nave sul mare, la quale rimane in balia della

forza dei venti. L'artista François Régis Gignoux

(1816- 1882), dipinge le cascate del Niagara in

tutta la loro sfolgorante bellezza quando

d'inverno sono ricoperte dal ghiaccio, senza

però trascurare di dare allo stesso tempo

l'impressione del terrore che la loro grandezza

può infondere nella stagione più fredda

dell'anno.

William Turner, Tempesta di neve

François Régis Gignoux, Le cascate del

Niagara d’inverno

Page 41: L'acqua nell'arte

41

Il tema delle Cascate del Niagara in veste invernale, sarà ripreso anche dalla grande pittura Americana dell’800. Friederic

Edwin Church, ne dà un suggestive ritratto nel dipinto “Niagara falls

and Terrapin Tower", in cui fedeltà al dato reale e un acceso cromatismo, rendono le note liriche del soggetto, facendone un brano intenso di pittura “emozionata”.

La Francia della metà del secolo, in cui domina ancora la stagione del Realismo, ci propone invece l’interpretazione non idealizzata di Gustave Courbet, nel suo “Villaggio in inverno”, (a sx): gli esiti di una nevicata che, con la densità del gesso, ha coperto di patina bianca ogni cosa.

L'orfano (La neve)

Lenta la neve, fiocca, fiocca, fiocca,

senti: una zana dondola pian piano.

Un bimbo piange, il piccol dito in bocca,

canta una vecchia, il mento sulla mano,

La vecchia canta: Intorno al tuo lettino

c'è rose e gigli, tutto un bel giardino.

Nel bel giardino il bimbo s'addormenta.

La neve fiocca lenta, lenta, lenta.

(Giovani Pascoli)

Alfred Sisley, "Neige à Marly"

Neve

Neve che turbini in alto e avvolgi

le cose di un tacito manto.

Neve che cadi dall'alto e noi copri

coprici ancora, all'infinito: imbianca

la città con le case, con le chiese,

il porto con le navi,

le distese dei prati...

(Umberto Saba)

Page 42: L'acqua nell'arte

42

I pittori impressionisti Sisley, Pissarro e Monet, puntando unicamente alla ricerca degli effetti di luce sulla neve, riescono tuttavia a donare ai loro paesaggi innevati una malinconia struggente. Essi fanno vivere altresì nelle loro tele il senso di impotenza che la neve, compromettendo la percorribilità delle strade, incute suo malgrado.

Alfred Sisley, Neve a Louvencienne, 1878

Alfred Sisley, The Place du Chenil at Marly-Le-Roi

Camille Pisarro, Vacche a Montfoucault, 1874

Page 43: L'acqua nell'arte

43

Claude Monet, La charette

E viene il tempo

E viene il tempo

del corvo nero

sulla neve bianca.

Un'isola di ghiaccio

sopra il fiume

porta il corvo lontano.

E il corvo canta -cra-

io solo sono nero

in questo mondo bianco

D'estate vorrei essere

bianco come un gabbiano

sull'azzurro del mare,

ma su questo mondo candido

-cra-cra- io solo sono nero.

(Elisabeth Borchers)

Nevicata

Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinereo: gridi,

suoni di vita più non salgon da la città,

non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro,

non d'amor la canzon ilare e di gioventù.

Da la torre di piazza roche per l'aere le ore

gemon, come sospir d'un mondo lungi dal dì.

Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati: gli,

amici

spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

In breve, o cari, in breve – tu calmati, indomito

cuore –

giù al silenzio verrò, ne l'ombra riposerò. Claude Monet, La gazza, 1868 – ’69 (Giosuè Carducci)

Claude Monet, Neve

Walter Elmer Schofield, Morning Light, (a sx)

Page 44: L'acqua nell'arte

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J. Felix Bouchor, Soleil et neige

Vincent Van Gogh, Paysage enneigé

Neve

Neve che turbini in alto e

avvolgi

le cose di un tacito manto.

Neve che cadi dall'alto e noi

copri

coprici ancora, all'infinito:

imbianca

la città con le case, con le

chiese,

il porto con le navi,

le distese dei prati...

(Umberto Saba)

Paul Gauguin, Neve in Rue Carcel

Page 45: L'acqua nell'arte

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Paul Gauguin, Villaggio bretone sotto la neve, 1894

“Ho camminato tra quelle

case. Ho incontrato donne e

uomini fuori dall’uscio,

mentre guardavo lontano. E i

loro occhi altro non erano

che una profonda nostalgia.

Forse per questo sono

tornato a quelle strade di

terra, dove arriva forte

l’odore del mare. Dove la

neve d’inverno copre tutti i

segni, non lascia tracce né

sentieri. Né suono la sera. La

notte si confonde nella neve,

ne resta rischiarata un po’. Non è notte del tutto ma neppure giorno nella notte. Paul Gauguin, Parigi in neve

E’ una luce che non si conosce altrimenti, e di cui ho adesso nostalgia.

Page 46: L'acqua nell'arte

46

Ho dipinto la neve. La notte di Natale e un presepio sollevato dal mondo. Solo due donne a guardare. Non so

dire se sia Bretagna o Tahiti. Se io

abbia dipinto a memoria o il

presente. (…)

Ma adesso sono attaccato

strenuamente, pieno di

malinconia, a questo filo che

dall’altra parte del mondo, in una

notte di neve, qualcuno sta

tirando per me. La neve viene

nella notte, copre ciò che deve

coprire, nulla che non sia bianco.

(…) Ho dipinto il bianco della

neve, e fuori della mia porta

corre un cavallo bianco. Ma

Paul Gauguin, La notte di Natale, 1894

non è lo stesso colore del bianco. Il mio sangue è

forte l’odore del mare. (…)

Ho dipinto la neve come se il mio corpo, che riposerà tra

poco sotto questa terra, sotto una luce morbida di colori

accesi, sotto poche pietre, potesse invece essere preso da

quella terra. Terra e neve, neve e luce, luce e vento. Vento

e silenzio.

Cenere che a ogni ritorno della primavera si levi dai campi,

da cui la neve se ne parte, e vada sospesa verso il mare a

incontrare un volo disteso di gabbiani.” (Marco Goldin,

Lontano il

mondo)

Impastato di quella terra coperta di neve, dove arriva

Alfred Sisley, Neve a Louvenciennes, 1874 - 1878

Page 47: L'acqua nell'arte

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Paul Fischer, A street scene in winter, Copenhagen 1901

Claude Monet, Bouleverd de Capucines, 1873

Giaculatoria alla neve

Che miracolosa è la Natura!

Dunque, non dà luce la neve? Immacolata

e misteriosa, tremula e silenziosa,

mi sembra che silenziosamente preghi

mentre scende.... Oh nevicata!:

la tua imponderabile e glaciale eucaristia

oggi del peccato di vivere mi assolva

e faccia che, come tu, la mia anima giri

fulgida, bianca, silenziosa e fredda.

Claude Monet, Villaggio di Sandviken, 1895

(Amado Nervo)

Page 48: L'acqua nell'arte

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La danza della neve

Sui campi e sulle strade silenziosa e lieve

volteggiando, la neve

cade.

Danza la falda bianca

nell'ampio ciel scherzosa,

poi sul terren si posa,

stanca.

In mille immote forme

sui tetti e sui camini

sui cippi e sui giardini,

dorme.

Tutto d'intorno è pace,

chiuso in oblio profondo,

indifferente il mondo

tace.

(Ada Negri)

Giovanni Segantini, Ritorno dal bosco

Edvard Munch, Notte bianca, 1901

Page 49: L'acqua nell'arte

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Il nostro percorso tra puri e incontaminati paesaggi Marc Chagal, Sopra Vitebsk, 1914

nivali termina con un fugace sguardo all’arte

contemporanea e d’Avanguardia, con

l’omaggio ad uno dei suoi più poetici e originali

interpreti: Marc Chagal.

In “Sopra Vitebsk”, quel cielo normalmente

così variopinto si fa sobrio su Vitebsk. Non ci

sono galli, né sposi volanti, né esseri con corpi

umani e volti animaleschi. Chagall incomincia

da qui il suo peregrinare, da Vitebsk, dove è

nato. Il peregrinare suo, come quello di

ciascuno, inizia dalla situazione contingente

che è data da vivere, dal proprio popolo, dalla

propria cultura, che nessuno può scegliersi, ma che è “data” misteriosamente. Sembra che il suo “ebreo errante”

esca volando da quella che forse è una chiesetta, luogo fisico che ricorda il senso “religioso”, quello cioè che

“relega” l’uomo alla sua origine e al suo destino. Quell’uomo, proiezione, forse, di quello oramai adulto Chagall

di ventisette anni, porta con sé la sua storia, la storia tragica del suo popolo e la storia dell’umanità intera. Egli

inizia il suo viaggio apparentemente solo, ma portando invece con sé tutti e il tutto, con quella compassione che

è il fondamento della pace, poiché nasce dal misterioso e comune destino umano. Egli può allora volare sui tetti,

guardare la realtà secondo una prospettiva nuova, realista e ideale allo stesso tempo, in quel silenzioso bianco

della neve che lascia che l’uomo contempli la sua grandezza e la sua miseria, senza timore e con semplicità.

“Dentro una palla di neve”, racconta in chiave simbolica la

dimensione più intima, celata attraverso la creazione di

un’opera. In questo caso il soggetto è un uomo che tiene in

mano una palla di neve, la fa muovere tra le mani e tutto

improvvisamente prende vita, come se egli stesso si trovasse

improvvisamente all’interno della sfera, galleggiando in

un’altra dimensione, tra creature marine e pescatori di altri

mondi. La sfera nelle mani dell’uomo, identifica la chiave di

lettura della dimensione umana, che prende vita nell’atto

creativo, quando tutte le immagini che illustrano la poetica

dell’autrice, diventano realtà, rivelando intimamente la

coscienza dell’artista.

Alessandra Carloni, Dentro una palla di neve, 2010

Page 50: L'acqua nell'arte

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La brina

Claude Monet, La brina

La malattia della moglie Camille, ed in seguito la sua morte, mettono fine ad una fase pittorica di Claude Monet. Infatti, in numerose opere realizzate dall'artista tra il 1880 ed il 1881 si rileva un nuovo tocco innovativo a vaste pennellate con leggere e distanziate picchiettature. Monet non impiega più la ragione nel descrivere il soggetto, la brina, e per portare sulla tela le percezioni momentanee provocate dalla vista di un paesaggio, ma ogni apporto di colore viene dettato esclusivamente dalla sensazione che accompagna la sua mano.

Ed ora un documento che testimonia la ritrosia dell’opinione del pubblico tradizionale verso lo stile “approssimativo” dei pittori impressionisti. Uno scrittore, Louis Leroy, per il giornale "Le Charivari", accompagnò un ipotetico pittore delle Beaux-Arts ad una loro mostra e scrisse ciò che dal titolo appariva una satira: "Esposizione degli Impressionisti". “Pazientemente, con aria assolutamente ingenua, l'ho guidato davanti a "Il campo arato (brina)" di Pissarro. Alla vista di quel paesaggio stupefacente il brav'uomo credette che le lenti dei suoi occhiali fossero sporche. Camille Pissarro, Il campo arato (o Brina)

- "Che cosa diavolo è?" - "Della brina su solchi arati a fondo" - "Questi, solchi? Questa, brina? Ma sono raschiature di tavolozza buttate uniformemente su una tela sporca. Non ha né capo né coda, né cima né fondo, né davanti né dietro." - "Forse. Ma l'impressione c'è".”

Page 51: L'acqua nell'arte

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Plinio Nomellini, Sole e brina, 1906 - 1910

Nella tela è rappresentato il faticoso lavoro dei contadini

della Versilia, già indaffarati al sorgere del sole. Essa

riprende una tema già affrontato da Plinio Nomellini,

nel corso del primo decennio del Novecento, con dipinti

nei quali emerge vivo l’interesse dell’autore a sviluppare

il tema del lavoro dei campi in un vasto e quasi

sovrastante contesto naturale.

Nomellini fu inoltre coinvolto in prima persona dalla

passione per le tematiche sociali che caratterizzò i

maggiori protagonisti del Divisionismo italiano tra la fine

degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta

dell'Ottocento, nel quale grande rilievo aveva la

raffigurazione del lavoro e dei lavoratori.

Nelle opere degli anni Dieci, alle quali appartiene anche

“Sole e brina”, tuttavia non emerge quel carattere di

Nanni Menetti, Brina leggera, 2009

Laszlo' Mednya’nsky, Alberi coperti di brina

denuncia, si direbbe quasi protestatario, nota

dominante delle opere precedenti, ma nella quiete di

Torre e del Lago e della Versilia, l’autore porta avanti

con convinzione una ricerca che punta all'inserimento

naturale della figura all'interno di un paesaggio che è

investito di valenze emozionali e simboliche.

È un difficile equilibrio tra una raffigurazione

naturalistica, coloristicamente intensa, ed una

interpretazione onirica, simbolica della stessa, al quale,

in qualche modo, anche Sole e Brina non sfugge. Il

pittore utilizza punti, tratti, virgole, macchie di colore

con una libertà espressiva che è misura delle sue grandi doti esecutive.

Page 52: L'acqua nell'arte

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Fotografia d’Autore Brina e ghiaccio

Davidaola, Brina sulle pozzanghere di ghiaccio, Fotografia d’autore

i

Davidaola, C’è brina sull’orlo del ghiaccio, Fotografia d’autore

Page 53: L'acqua nell'arte

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Festival internazionale Sculture di ghiaccio in Belgio

Ogni anno in Belgio si tiene lo Snow & Ice Sculpture Festival: un magico mondo "sotto zero" creato da quaranta

artisti che trasformano il gelo in meravigliose

sculture. Una fiaba di ghiaccio e neve. Un mondo

magico fatto di castelli, animali, personaggi dei

romanzi, tutti venuti dal gelo: è il meraviglioso

spettacolo che ogni anno si tiene nella piazza della

stazione di Bruges.

In questa deliziosa cittadina del Belgio prende vita il

festival delle sculture di ghiaccio e neve, che dal 21

novembre fino all'11 gennaio diventa un'attrazione

per grandi e piccini. I visitatori possono ammirare le magnifiche opere degli artisti che, armati di scalpello e

seghe elettriche, grazie a fantasia e abilità, danno un’anima al gelo. Per realizzare le loro opere, questi artisti

utilizzano non meno di trecentomila chilogrammi di ghiaccio e

quattrocento tonnellate di neve. I capolavori sono conservati

all'interno di una tenda

termica di 1200 metri

quadrati, a una temperatura

costante di meno cinque

gradi.

I primi giorni di novembre

arrivano i primi camion

refrigerati, che depositano i blocchi di ghiaccio sulla Station Square.

A questo punto entrano in azione bulldozer e gru, che depositano il

materiale sotto la tenda, pronti per

essere trasformati. Al ghiaccio viene

aggiunta la neve. Ben quaranta

professionisti provenienti da Cina,

Canada, Stati Uniti, Svezia, Olanda e

Belgio realizzano in quaranta settimane

ogni meraviglia possibile.

Page 54: L'acqua nell'arte

54

L'acqua nell'arte “allo stato gassoso”

Siamo infine giunti a quello che è il terzo stato dell’acqua, quello aeriforme. Quello, a nostro avviso, più

seducente e accattivante, ovvero nella condizione in cui essa diviene vapore, nebbia e conferisce alle cose che

avvolge una suadente indefinitezza. Théodore Chassériau, Tepidarium, 1853

Quanto ai vapori,

oggi essi vanno

per la maggiore:

calice di vino

rosso, acqua calda

e bolle profumate,

jazz nell'aria, lume

di candela. Gli

antichi Romani,

tuttavia, avevano

già il culto del

proprio corpo e

sapevano

prendersi cura di se stessi, in bellezza ma

soprattutto in benessere psichico. E di queste

modalità siamo loro debitori.

In antichità, dopo aver faticato e sudato

abbondantemente, tappa obbligatoria – prima di

cena – era quella al calidarium. Ci si immergeva in

una vasca di acqua calda, dove il corpo assorbiva

tutta l’umidità dei vapori prodotti. Il tepidarium era

il passaggio intermedio per giungere infine al

frigidarium, nel quale, lo dice la parola, la

temperatura più fresca tonificava le membra,

donando al corpo un rinvigorimento generale,

spesso rafforzato da piacevolissimi massaggi con oli

e unguenti odorosi. Il bagno turco, tema ricorrente

nella pittura del Neoclassicismo, sta a testimoniare

quanto la piacevole consuetudine fosse ritornata in

voga, unitamente alla passione per l’Oriente,

indotta dai viaggi. J. A. Dominique Ingres, Bagno turco, 1862, (part.)

Page 55: L'acqua nell'arte

55

La nebbia, invece, è uno temi ricorrenti del Vedutismo pittorico di Francesco Guardi, Ippolito Caffi, Giuseppe

Mentessi e Giovanni Boldini, che trovano in Venezia un soggetto molto fecondo.

Francesco Guardi, La gondola, 1782

Ippolito Caffi, Neve e nebbia a Venezia, 1841

Page 56: L'acqua nell'arte

56

Giovanni Boldini, Vista di Venezia, 1895

Giuseppe Mentessi, Venezia; sagrato della Basilica di San Marco

Page 57: L'acqua nell'arte

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Breve excursus nella pittura dell’acqua come “vapore”, “nebbia”, “geyser”.

Dal Romanticismo al Divisionismo

La nebbia contraddistingue questa tela del pittore romantico Caspar Friedrich, avvolgendo in un'aurea di mistero e di vaghezza il paesaggio, senza lasciare però nulla alla rievocazione o alla supposizione.

Da essa emergono sagome di barche. Si percepisce nell'atmosfera un rischio nascosto, che accresce il senso di perdita dell'orientamento e di sicurezza. Sembra che l’artista voglia rappresentare la perdita di una struttura esistenziale una volta sicura, ma ormai scomparsa. Non è dato, inoltre, se la barca a vela si stia avvicinando o allontanando dalla riva.

Il pittore non dà alcuna possibilità di interpretazione certa, aumentando ancora una volta il senso di indeterminatezza e allo stesso tempo lasciando libero l'osservatore di interpretare autonomamente il quadro.

Caspar David Friedrich, Nebbia, 1807, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Page 58: L'acqua nell'arte

58

Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di

nebbia, 1818

Secondo una testimonianza, la figura del

viandante rappresenterebbe uno scomparso

amico del pittore, i monti Rosenberg e

Zirkelstein, in Sassonia. Il viandante,

nell'iconologia cristiana, simboleggia la

transitorietà della vita e insieme il suo

destino ultraterreno; egli è raffigurato di

spalle, simboleggiando e mostrando la parte

nascosta e inconscia di noi stessi.

Il viandante osserva un paesaggio costituito

fisicamente da rialti e spuntoni rocciosi, scuri

e inospitali, immersi in un mare di nebbia,

che cela e copre tutto ciò che si trova al di

sotto di essa.

La nebbia fa riferimento agli errori della vita

umana che vengono superati dalla fede

cristiana – come le rocce emergenti

superano l’oblio – fede che porta a Dio, la

montagna. Ma il dipinto, aldilà di ogni

svelamento simbolico-religioso, può essere

inteso come il manifesto di tutto il primo

Romanticismo: sembra rappresentare l'uomo solo, con i suoi errori, i suoi dubbi e le sue certezze, posto di

fronte alla natura, al mondo, all'infinito.

Caspar David Friedrich, Abbazia nel querceto, 1810

Thomas Kerr Fairless, The Great Geysir – South Iceland, 1849

Page 59: L'acqua nell'arte

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William Turner (1775-1851) è l’autore di

questo quadro “Pioggia, vapore e velocità”,

che dipinse nel 1844. La tecnica particolare

utilizzata dall’artista rende il soggetto nello

specifico poco riconoscibile. A sinistra si può

individuare un ponte ad arcate, che va a

terminare oltre la linea dell’orizzonte. A

destra, un altro ponte, sul quale sta

correndo un treno, che sprigiona una grande

quantità di vapore avvolgente tutte le cose.

Il resto è aria e luce. L’aria è pregna di

pioggia e vapore, come spiega il titolo.

Nell’estate del 1899, Monet è a Londra; più

di ogni altra cosa, di Londra gli piace la nebbia. Le 41

tele complessive del ciclo testimoniano ancora una

volta l'uscita di Monet dall'impressionismo verso

approdi di visionarietà simbolistica: se “Il Ponte di

Waterloo” (1902), a sx, è un grumo di pennellate

monocrome con uno sfondo inquietante di

fabbriche fumose avvolte nella nebbia, l'analogo

tema ripreso nella tela dell'Ermitage di San

Pietroburgo è pressoché illeggibile nella

rappresentazione di una nebbia assoluta – un manto

misterioso – che avvolge tutta la città conferendole,

una meravigliosa grandiosità.

Joachim Ringelnatz, Geballter Nebel, 1928 Soluzioni molto affini a quella proposta ne “Il

Parlamento di Londra”, del 1904, in cui Monet scioglie le forme, rendendole impalpabili nella nebbia e diafane

nella luce, per approdare all'espressione di una deliberata visionarietà. Decisamente materica, invece, la nebbia

rappresentata in “Geballter Nebel” dall’artista tedesco Joachim Ringelnatz, resa dalle dense pennellate e dalla

contrapposizione dei toni decisi degli arancio dorati, dei neri e dei bianchi.

Page 60: L'acqua nell'arte

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Sembra, invece, di sfogliare Le mille e una notte o i romanzi cavallereschi di Re Artù, quando si guardano i dipinti

di Mario Scalese, poiché ci si immerge subito in un mondo surreale, in cui tutto è avvolto da un sottile e

impalpabile biancore, che ora sembra polvere atmosferica, “Le nebbie di Avalon” (in basso a sx), ora sottile

nebbia, che si mescola e si confonde col bianco della neve, facendo raggiungere all’artista esiti da pittura

astratta o quasi informale. Le alchimie dei suoi pensieri, i suoi paesaggi dell’anima, spesso nati dalle letture

preferite, si avviluppano in una dimensione onirica, che dà vita a momenti di sospensione tra sogno e coscienza,

suscitando sottili emozioni interiori.

Frammenti di edifici, case sbilenche,

fiori, ombrelli sospesi – sotto cui si

intuisce appena la presenza umana –

intrecciano irreali girotondi nell’aria,

fluttuano nello spazio, si incrociano

tra le nebbie, si interpongono in volo

tra vibrazioni e bagliori improvvisi di

luce, creando particolari collages

pittorici, ritagli di paesaggi e

monumenti, che la memoria ha

estrapolato dalla loro originaria unità

e ricostruito in nuovi assemblaggi,

come avviene ne “L’alba di Avalon”

(in basso a dx).

Le città non si distinguono: cupole, guglie, campanili si mescolano e volteggiano creando nuove realtà urbane,

realtà della memoria, realtà dell’anima.

Solo un profumo di favola emana da molti

dipinti, un c’era una volta continuo, che ora

rimanda al mondo arabo ora a certi ricordi

nordici, in cui sembra apparire il fantasma

di Chagall e in cui il biancore artico si

intreccia con la solarità mediterranea,

segnando le tappe di un incantevole

viaggio tutto del suo vissuto, reale e

sublimato.

Il bianco è simbolo di luce e di catarsi e

serve ad illuminare la notte e il buio con

improvvisi flash di luna, che si impongono

sulla tela con una diversificata varietà di

sfumature, le quali procedono dalla

corporeità, alla levità, alla rarefazione. Per

ottenere tale lieve trasparenza, per

giungere a tale destrutturazione degli

elementi del reale, il colore si sfalda, si

“diafanizza”, cerca tonalità smorzate,

rasenta il monocromo, nel contempo impreziosendosi. Ma talvolta, questi elementi fluttuanti, improvvisamente,

s’infiammano come per un’inattesa esplosione di colore, cromie intense si scaricano sulle tele e gli arancioni, i

blu, i rossi oscurano il resto con la loro forza luminosa.

Page 61: L'acqua nell'arte

61

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I protagonisti Classe 2D

BADOLATO Giulia

BERBERI Renis

BORTOLOTTI Federico

CAVOSI Dietmar

D’ACCORDO Chiara

DE MARCHI Matteo

DI CELLO Jacopo

DI VITO Alessandro

FORTI David

GALLO Manuel

GUARDA Luca

LAZZARA Gaetano

LORENZON Antonio

MATTEI Marco

MODOLO Andrea

ORSANITI Gabriele

ROMA Giulio

SABIUCCIU Luca

SANTI Miriam

SIGILLO’ Erika

SPAGNOLO Francesco

TRAPIN Luca L’insegnante Antonella STOPPARI

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