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FIG. 1 Michelangelo Merisi da Caravaggio, (d’ora in poi citato come Caravaggio) Natività. Già Palermo, Oratorio di San Lorenzo

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Caravaggio i documenti e dell’altro

Maurizio Calvesi

I Una biografia (inattendibile?)

La revisione dei documenti dell’Archivio di Stato diRoma relativi al Caravaggio, promossa dal direttoreEugenio Lo Sardo e condotta con grande perizia daisuoi collaboratori,1 ha portato a conoscenza alcunenovità di notevole importanza, a cominciare dallacorretta datazione della nota cerimonia delle Qua-rantore cui partecipò il Merisi: non 1594-95 come siera creduto, ma ottobre del 1597. A ciò va aggiuntala testimonianza di una frequentazione da parte delCaravaggio, a partire dalla quaresima del 1596, delpittore siciliano Lorenzo Carli, che secondo le fontisarebbe stato il primo a dare sostegno e lavoro algiovane Michelangelo dopo il suo arrivo a Roma.Tali notizie non provano che egli raggiunse lacittà più tardi di quanto finora creduto, ma costi-tuiscono un notevole indizio in tal senso, cioè infavore dell’arrivo a Roma di Michelangelo in-torno al 1595, quando aveva ventiquattro anni. Ilche mette in discussione le datazioni solitamenteproposte per le prime opere; ad eccezione, debbodire, delle mie: personalmente infatti datavo al1593-95 (tra il ‘93 e il ‘95) o al ‘94-’95, fino al‘97-’98 tutte le opere giovanili,2 salvo il Ragazzoche monda un frutto che riferivo al 1593 e cheinvece potrebbe risalire anch’esso al ‘95; anchese nulla esclude che sia stato eseguito prima del-l’arrivo nell’urbe, trattandosi dell’opera piùacerba che si conosce (sia pure attraverso copie).Segnalo peraltro che al catalogo del primo Cara-vaggio sta per aggiungersi una stupenda perla, gra-zie a Ferdinando Peretti, che l’ha scoperta e

attribuita, e presto la presenterà. È una musica dicinque giovani che cantano, insieme a un sesto can-tante dalla bocca schiusa in un circolo perfetto, chesuona guardando uno spartito ben leggibile: credosia una delle più splendide e gentili prove del gio-vane Merisi, forse la più splendida, con il mirabilescorcio di una mano al centro che viene in avanti,degna di Antonello da Messina, ma più naturale.Antonello, un pittore che Michelangelo deve averconosciuto presto. Dove? In questo caso può avervisto la mano dell’Annunziata di Palermo, che ilLonghi assegnò in un primo momento al periodoveneziano, e di cui esiste comunque a Venezia unabellissima copia; o forse quella del Salvator Mundidi Londra che non sappiamo dove si trovasse al-l’epoca del Merisi, o anche le mani della pala di SanCassiano. A parte la rispondenza di alcuni ovali.Comunque il nuovo inedito è un’opera del decen-nio avanzato, alle soglie di San Luigi dei Francesi.Ma il possibile ricordo di un’esperienza vene-ziana, qui come altrove, rimanda al problema del-l’attività, ancora sconosciuta, del Caravaggioprima dell’arrivo a Roma. Già appariva strano chenulla si sapesse di lui prima del ‘92, data presuntadell’approdo nell’Urbe. Ma il mistero si ingrandi-sce se questo arrivo viene spostato di due o treanni. Dove fu e cosa fece il Caravaggio tra il mag-gio del 1592, quando vendette la propria quota delcoltivo di Cassano, e il 1594?Già molti anni or sono mi capitò di trascrivere,nella Biblioteca della Ambrosiana, un mano-scritto forse ottocentesco, così intestato: «Cara-vaggio (da) Michelangelo. Cronaca artistica a

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lui relativa», segnato III St. D. XIV. 54. Non l’homai pubblicato, perché contiene diversi errori erisulta in gran parte ripreso dalle fonti più note,come il Bellori.3 Mi risolvo tuttavia a farlo ora,per l’importanza che, alla luce dei nuovi accerta-menti, potrebbero assumere alcune indicazioni,per quanto precarie, della prima parte.Ma dunque gli errori palesi, che creano forti so-spetti, sono: la nascita fissata al 1560, la morte delpadre chiamato “Andrea” Merisi invece di Fermo,collocata nel 1580 invece che nel 1577. Inoltre cheMichelangelo avesse studiato, oltre che «sulleopere del Lomazzo e dei Campi», su quelle delCrespi detto il Cerano, pressoché suo coetaneo.Tutta la seconda parte è ripresa, come accennavo,da fonti note, ad eccezione di qualche punto cheindicherò. Invece la prima parte (che pure po-trebbe essere stata ripresa da scrittori precedenti)riserva delle sorprese. Ecco i brani più rilevanti: «A diciotto anni uccideun compagno con il coltello, ma riacquista la li-bertà per intervento di Ambrogio Figino»; «Ban-dito da Milano, si ritira a Como, per poi tornare aMilano». Quindi a Venezia dove ammira Gior-gione (ma questo punto è ripreso dal Bellori) e«dopo cinque anni a Roma» («Si avanza per quat-tro o cinque anni» scrive il Bellori). Anche la noti-zia dell’omicidio può risalire al Bellori, che annotain margine alla biografia del Baglione: «macinavai colori a Milano, et apprese a colorire et per haverocciso un suo compagno fuggì dal paese in bottegadi mess. Lorenzo siciliano ricoverò in Roma».4

Del tutto nuova è però la notizia che fu il Figinoa trarre il ragazzo fuori dei guai; che Michelan-gelo fu bandito da Milano; che si ritirò a Comoper poi far ritorno nel capoluogo lombardo.Il biografo non poteva conoscere la notizia del-l’alunnato presso il Peterzano, ma afferma che findal 1578, a diciotto anni (si sarebbe trattato invecedel 1589) era stato impiegato dal Lomazzo, che peròera cieco, a preparare l’intonaco per gli affreschi diMilano. Dunque Figino e Lomazzo in luogo del Pe-terzano, ma è singolare che proprio a Como, nellachiesa di S. Agostino, si trovi un’opera del Peter-zano, una Madonna col Bambino e i santi Seba-stiano,Francesco, Rocco, di datazione incerta, mavicina all’altra pala della Madonna col Bambino e i

santi Francesco e Margherita che il Peterzano ese-guì tra il settembre 1589 e il febbraio 1590 per lachiesa milanese di San Vito al Pasquirolo. Fu il Pe-terzano in quegli anni a Como, dove il Caravaggiopotrebbe averlo seguito?Singolare la notizia che: «Fra i suoi nemici pri-meggiava Andrea Pellini, cremonese, che si adiròcontro il Caravaggio per sospetto che questi s’ado-perasse in suo danno presso il Figino». Altra infor-mazione è che il Merisi avrebbe eseguito unaDeposizione dalla Croce per la chiesa di san Marcoa Milano. (Ma in questa chiesa è collocata unacopia della Deposizione Vaticana del Caravaggio).Nella seconda parte, per lo più ripresa, come di-cevo, dal Bellori e altre fonti, troviamo poi: «Il ri-tratto fatto al cardinal Morone gli fece scola alCrescenzi mons. Chierico di camera, a cui e alfratello Virgilio fece il ritratto». Qui sembra assaiprobabile una scambio del cardinal GiovanniMorone con il poeta Giovan Battista Marino,amico del Caravaggio, nel passo in cui Belloridice: «Il Marino lo introdusse in casa di mons.Melchiorre Crescentij Chierico di Camera; colorìMichele il ritratto di questo dottissimo Prelato, el’altro del Signor Virgilio Crescentij».Altra notizia che resta invece senza riscontri, è laseguente: «pel Marchese Mattei, per i signoriMassimi e Patrizi fece lo Davidde vittorioso, po-nendo per Golia, il suo proprio ritratto». Infinel’omicidio del 1606 è così riferito: «Gioca a pallacorda e uccide un cugino del cardinal Borghese».Si resta nel dubbio, al momento irrisolvibile, se lenotizie prive di precedenti riscontri siano di fanta-sia, o invece riprese da una fonte a noi sconosciuta,che a sua volta potrebbe essere veritiera o fallace.Nell’ipotesi più ottimistica, si potrebbe trattare diuna traccia interessante per i futuri studiosi, fermorestando che un soggiorno forse anche lungo a Ve-nezia è da considerarsi certo, a dispetto delle osti-nate negazioni di qualche vecchio nevrastenico.

II Il quadro cum figuris

Nel catalogo della mostra Caravaggio a Roma.Una vita dal vero contenente anche la presenta-zione dei documenti caravaggeschi nell’Archivio

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di Stato in Roma, figura un saggio dedicato al notodocumento del 5 aprile 1600 relativo a un dipintocommissionato al Merisi da certo Fabio Nuti.5

Nella prima parte del contributo, Francesca Curtifornisce nuove indicazioni su alcuni dei perso-naggi citati nel documento stesso e chiarisce lacorretta lettura del nome che conclude il contratto,lettura resa possibile dal suo restauro: non «Ioan-nes Angelus Vallius (o Vellius) notarius rogatus...», come nelle precedenti trascrizioni, ma «Ioan-nes Augustinus Tullius actuarius rogatus».Viene così meno un indizio importante a favoredella mia interpretazione del documento come re-lativo alla Deposizione di S. Maria in Vallicella,essendo ben nota la centralità della figura di An-gelo Velli nell’Oratorio romano. Ed ecco nuoveinformazioni su Alessandro Albani: «mercantefondacale» che si dedicava alla compravendita ditessuti e al prestito di denaro a usura e i cui «traf-fici erano rivolti quasi esclusivamente al mercatonapoletano». Dell’Albani resta comunque accer-tata la devozione all’Arciconfraternita dei Pelle-grini, ovvero la vicinanza agli Oratoriani e - oraemersa dalle ricerche della Curti - la volontà di es-sere sepolto in Santa Maria della Vallicella, la-sciando denari per celebrare messe in quella chiesanell’anniversario della propria scomparsa. E que-sto oltre ai contatti epistolari, già da me segnalati,con Federico Borromeo al quale egli, chiedendol’accesso di un nipote al Collegio di Pavia, scri-veva il 22 agosto 1598: «Essendo ben informatodella benignità de V. S. Ill.ma et affetione verso lisuoi servitori e particularmente verso di me ...».L’Albani «aveva stretti rapporti commerciali conla ditta senese di Fabio Nuti e Deifobo Spennazzi»che «svolgeva la medesima attività di Albani,anche nel settore delle intermediazioni finanzia-rie, attraverso un banco attivo tra Roma, Napoli ela Toscana». Prospero Riccio era un altro «mer-cante fondacale», nativo di Como e in società conl’Albani mentre il Rutilio Gaggi o Gaci che valutòlo «sbozzo» del Caravaggio era lo scultore meda-glista già noto, ma in precedenza non identificatocome tale, attivo nella «compravendita di dipinti eoggetti d’arte da mandare in Spagna».6

Nel contributo di Lothar Sickel si elencano notizierelative a Fabio Nuti, della nobiltà senese, il quale

«intraprese l’attività di Mercante e banchiere» svol-gendo i suoi traffici commerciali nel Viceregno diNapoli, dove aveva stabilito la sede ufficiale dellasua società, in contatto con l’Albani e con il Riccio.Il chiarimento di queste funzioni e di questi rap-porti non impedirebbe di credere che il dipintodel Caravaggio commissionato dal Nuti (checome banchiere avrebbe potuto anticipare il de-naro) fosse effettivamente la Deposizione diSanta Maria in Vallicella, ma indubbiamente in-debolisce questa possibilità, aprendo al senese eal meridione un possibile territorio di destina-zione del dipinto. È quindi opportuno pensare auna alternativa, soprattutto tra i dipinti del Cara-vaggio conservati nel mezzogiorno.Ma Sickel pensa a Siena, e crede che il quadro sial’Annunciazione di Nancy, perchè all’epoca delcontratto il Nuti stava per sposarsi e perchè era ti-tolare di un altare intestato alla Vergine Maria. Maquesta ipotesi va decisamente scartata, dato che gliargomenti portati dal pur valente studioso al finedi dimostrare l’appartenenza dell’Annunciazioneai primi anni romani sono privi di reale sussi-stenza, mentre resta del tutto evidente (basterebbeosservare con quali pennellate è dipinta la bian-cheria del letto) la pertinenza al periodo più tardodell’attività caravaggesca: al momento maltese,come chi scrive continua a credere, o a quello si-ciliano, o tardo napoletano, come tutti gli studiosihanno sempre, e giustamente, pensato.Secondo il Masetti Zannini le misure che più si av-vicinano al quadro del documento appartengonoalla Madonna di Loreto o dei Pellegrini, ma è bendifficile che questa, stilisticamente più tarda del1600, possa identificarvisi, la sua cronologia es-sendo oltretutto reperibile in dati esterni.7

E se dunque per un’alternativa alla Deposizione, èora opportuno cercare tra i dipinti dell’area meri-dionale, occorre dar credito all’ipotesi avanzata daMaurizio Marini a proposito della perduta Nati-vità di Palermo (FIG. 1). Nella scheda dedicata aquesto dipinto nella sua più recente monografia,Marini lo colloca verso il 1609, in concomitanzacon il presunto passaggio di Michelangelo per Pa-lermo, ma apre una crepa in questa ipotesi avvici-nando la tela al 1600 e scrivendo: «forse la paladell’altare (di S. Lorenzo) fu effettivamente di-

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pinta prima. Le sue dimensioni sono simili aquelle menzionate nel contratto che Caravaggioaveva stipulato a Roma nel 1600 con Fabio deNutis per un quadro di cui non si specificava ilsoggetto, e per cui gli vennero dati duecento scudi,somma che a quel tempo sarebbe stata equa per laNatività».8È vero del resto che il quadro palermitano (FIG. 1)ha sempre lasciato sconcertati gli studiosi per lasua scarsa aderenza ai modi del Caravaggio tardo,di cui non condivide assolutamente né la poten-ziale drammaticità né il fermento stilistico.La sua collocazione all’anno 1600 risulterebbesenz’altro più convincente che non quella, tradi-zionale, al 1609. Nel dipinto si coglie la stessa at-mosfera pia e raccolta che troviamo già nelConcerto di giovani o nel Riposo in Egitto. La fi-gura di Giuseppe (giovane-vecchio come osser-vavo, quasi traducendo l’immagine del Petrarca:«pensier canuti in giovanile etate»),9 situata dispalle da un lato della tela, può ricordare la Croci-fissione di San Pietro, la Cena in Emmaus di Lon-dra, la Madonna di Loreto, fino a Le sette operedi misericordia, dipinto tuttavia quest’ultimo,ormai decisamente più agitato nel suo luminismo.Peraltro, già studiosi come il Friedlaender e l’Ar-slan attribuivano la tela palermitana proprio al-l’anno 1600, mentre il Mauceri la ascriveva alperiodo romano, e chi scrive, avanzando qualchedubbio sull’effettivo passaggio del Caravaggio perPalermo, annotava che la pala di San Lorenzo«potrebbe essere stata dipinta altrove, e spedita inquella città», giacché «non sappiamo con certezzase il Merisi transitò per Palermo».10

A questo punto però, dato che le nuove precisa-zioni indicano che tanto il Nuti quanto l’Albani, ilRiccio e lo stesso Gaggi esercitavano attività dimercanti, una constatazione viene a risultare de-cisiva: l’Oratorio di San Lorenzo, attiguo al cortiledel noviziato dei Francescani e già chiesa dedicataa San Lorenzo, ospitava la Compagnia di SanFrancesco, associazione secolare nata nel 1564sotto il pontificato di Pio IV Medici (quasi certa-mente per iniziativa di Carlo Borromeo) che at-tendeva a esercizi spirituali e opere filantropichecome l’assistenza ai poveri e il seppellimento deimorti. La definizione di oratorio, in Palermo, fa ri-

ferimento alla sede architettonica e istituzionale diuna Compagnia.11 Alcune Compagnie nella cittàdi Palermo - scrive il Palazzotto -12 «potevano ca-ratterizzarsi per una forte presenza di “negozianti”e mercanti» e della Compagnia di San Francescofacevano parte molti mercanti.13 Entro il chiostrodel convento, confinante con l’Oratorio di San Lo-renzo era la cappella mercatorum genuensium14 eil Di Marzo nel XIX secolo osserva che la Com-pagnia di San Francesco continuava ad essere at-tiva ed era composta «non solo da mercanti maanche da gente di condizione civile».15 Ecco allorache l’identificazione del dipinto commissionato dauna serie di mercanti al Caravaggio nel 1600 di-venta estremamente probabile, praticamente certa.Il fatto che si trattasse di un “oratorio” non è cer-tamente sufficiente a stabilire un rapporto con gliOratoriani di Roma, ma può esserlo il protagoni-smo, in questa commissione, di un seguace degliOratoriani come Alessandro Albani, che all’attodella consegna ritirò il dipinto, e che potrebbe es-sere stato colui che segnalò ai colleghi, e al Nuti,il nome del giovane Merisi. La commissionerientra comunque nel ben noto e indiscutibilequadro di afferenza del pittore agli ambienti in-teressati all’assistenza dei poveri (a cominciareproprio dall’Oratorio romano), in considerazionedei compiti che avevano le Compagnie e dellostesso legame con i Francescani. L’estrema “po-vertà” della scena rappresentata, con la Vergineseduta in terra e il bambino sdraiato su un tap-peto di paglia, ben interpreta il “filopauperismo”della Compagnia del Nuti e dell’Albani.San Lorenzo è a sinistra e san Francesco a destra,mentre la singolare, già accennata iconografia diGiuseppe si associa alla figura di un vecchio ap-poggiato a un bastone, che potrebbe alludere alpubblico dei poveri. Non è escluso che la telapossa essere stata leggermente tagliata, forse a de-stra, dove una figura è monca e di ciò va tenutoconto nel confronto delle misure. Dodici palmi persette o otto “in circa”, dice il contratto, e il quadromisura (o purtroppo misurava) cm 268 x 197, ri-spetto ai palmi 12 x 8 equivalenti (secondo la mi-sura del palmo romano) a cm 268,08 x 178,62.Siamo nel pieno della credibilità.È da questo momento (dunque tra la primavera e

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FIG. 2 Caravaggio, Amor vittorioso. Berlino, Staatlichen Museum, Gemälderie

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FIG. 4 Dal Museo Cartaceo di Cassianodal Pozzo, Ila rapito dalle ninfe. Firenze,Gabinetto dei Disegni e delle StampeFIG. 5 Nikolaus Karcher (da Giulio Ro-mano), Giochi di putti (part.). Arazzo. Mi-lano, Museo del DuomoFIG. 6 Agostino Carracci, Ogni cosa vincel’oro. Incisione a bulino

pag. 25:FIG. 7 Disegno della parete della Basilicadi Giunio Basso con Ila rapito dalle ninfe.Firenze, Palazzo Vecchio

FIG. 3 Arte romana, Ila rapito dalle ninfe. Roma, Museo dei Conservatori

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l’autunno del 1600), che insieme alle opere di SanLuigi de’ Francesi) (1599-1600) prende il via il si-stematico tenebrismo caravaggesco; e che all’iniziodi questo percorso venga ora a collocarsi una “notte”(come venivano a volte chiamate le scene della Na-tività di Gesù) non è circostanza di scarso interesse.Dipinti perduti con storie di san Lorenzo e di sanFrancesco ilustravano, tre per parte, con ricercataequivalenza, l’oratorio palermitano. Storie di sanLorenzo, ovvero il santo sulla graticola, il santoche riceve la palma dall’angelo, il santo che di-spensa le elemosine ai poveri; e storie di sanFrancesco, ovvero il santo sopra i carboni accesiper fugare una donna tentatrice, il santo a cui ap-pare un angelo, il santo che dona la sua tonaca aibisognosi.16 La coincidenza dei temi evidenziava

anche e soprattutto l’attività di soccorso ai poverioperata dai due santi, a conferma delle finalità fi-lantropiche della Compagnia.L’ipotesi da me avanzata che il misterioso contrattosi riferisse alla Deposizione (un’opera che continuoa pensare prossima alla data di morte di Pietro Vit-trice) comportava che fossero stati gli Oratoriani,qui come in San Luigi dei Francesi, a patrocinaregli inizi della carriera del Caravaggio quale pittoredi pale religiose, ovvero a farsene “promotori”,come ha scritto Rossella Vodret.17 Il nuovo riferi-mento della Natività di Palermo non cambia dimolto la situazione, dati i già ricordati rapportiche con l’Oratorio, con l’Arciconfraternita dellaTrinità e con Federico Borromeo intratteneva l’Al-bani, e data la probabile connessione della com-

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pagnia di San Francesco, alla propria origine, consan Carlo Borromeo. Ma c’è di più. Una congre-gazione dell’Oratorio dei padri di san Filippo Neriera stata fondata a Palermo nel 1593, nella chiesadi San Pietro Martire, mentre la Compagnia deiPellegrini, sempre a Palermo, fu aggregata fin dal1579 all’Arciconfraternita romana della Trinitàdei Pellegrini,18 di stretta attinenza oratoriana,come ben noto, e di cui faceva parte come bene-fattore il già ricordato Albani. Tanto più possiamodunque credere che dagli ambienti romani dei Fi-lippini sia potuto venire il suggerimento di impie-gare il giovane Caravaggio nell’impresa di San Lo-renzo. Infine il modello di ogni oratorio era quellodell’Oratorio per eccellenza e per definizione, ov-vero quello romano di san Filippo Neri.19

III Ila e l’Amor vittorioso

Più volte si è accennato all’interesse del Caravaggionei confronti della scultura antica e paleocristiana (amio avviso dal gruppo del Laocoonte alla Fanciullacon colomba dei Capitolini, alla Tusnelda, alla Dan-zatrice ellenistica del Museo Nazionale di Roma eal sarcofago di Giunio Basso)20 ed è improbabileche, del patrimonio archeologico, non lo seducesseanche l’aspetto pittorico, benché i testi di pittura an-tica fossero così rari. Tanto più, però, è lecito pen-sare che la sua attenzione fosse attratta dai pochiesemplari superstiti, o appena allora rinvenuti, equesto può essere il caso delle Nozze Aldobrandini.Si è soliti dire che, nella statuaria Madonna di Lo-reto, il pittore si sia ispirato alla cosiddetta Tusnelda,ma è possibile che lo spunto dei piedi accavallatisia anche venuto, appunto, dalle Nozze, la cui sco-perta ebbe luogo nel 1601, tanto più che il commit-tente Ermete Cavalletti era protetto dal cardinaleAldobrandini. Altra fonte potrebbe essere stato ilsarcofago Colonna con Selene et Ermafrodito, dicui esiste un disegno di Girolamo da Carpi.21

Ma un brano come il pannello in pietre dure epasta di vetro (FIG. 3), raffigurante il Rapimentodi Ila, che si trovava nella Basilica di Giuno Basso(ovvero l’intestatario di quel sarcofago rinvenutonel 1595 presso San Pietro, che secondo chi scrivenon mancò di essere studiato dal Merisi),22 questo

pannello potrebbe aver suggerito al pittore l’at-teggiarsi dell’Amore vittorioso (FIG. 2), che infattiha in comune con la figura di Ila la posa (gratuita-mente considerata sconveniente) dello splendidonudo caravaggesco. La circostanza potrebbe anchespiegarne meglio il significato.Ila, che era andato ad attingere acqua a una sor-gente durante la spedizione degli Argonauti, fecesubitamente innamorare di sé una ninfa delle acqueche con l’aiuto delle colleghe lo prese per un brac-cio e lo trascinò in acqua: «... e la ninfa dell’acquaproprio allora emergeva - scrive Apollonio Rodio- dalla limpida fonte. Accanto a lei vi è Ila, fiam-meggiante di bellezza e di grazia soave: la lunapiena l’illuminava dal cielo; e Afrodite sconvolse ilcuore di lei, nello sgomento a fatica potè riaversi.E appena, disteso di lato, egli ebbe immersa labrocca nell’acqua, e l’acqua mormorò forte inva-dendo il bronzo sonoro, improvvisamente lei glicinse col braccio sinistro il collo, nel desiderio dibaciare la tenera bocca, e con la destra lo tirò per ilgomito e lo immerse nel mezzo del vortice. Diedeun grido, e uno soltanto lo udì tra i compagni».23 Lagamba del giovane puntata con il ginocchio controla roccia sta dunque a significare il pur vano tenta-tivo di resistenza dell’avvenente Ila.Un’opera in cui la posa di Ila può aver suggeritoun uguale atteggiamento di resistenza è l’inci-sione di Agostino Carracci intitolata Ogni cosavince l’oro (FIG. 6), in cui la donna si punta conla gamba ripiegata contro il letto, esercitando (osimulando?) resistenza agli approcci del vecchio,e respingendolo con le mani. O ancora l’arazzodella bottega di Nicola Karcher della serie deiPuttini (1542), che si trova a Milano nel Museodel Duomo (FIG. 5), donato con molti altri arazzida Gugliemo Gonzaga a Carlo Borromeo, e chesecondo il Moreno influenzò il Caravaggio.24

Che il Caravaggio abbia potuto assumere comesuo ideale modello, memore forse anche del “put-tino” di Carlo Borromeo, per la figura di Amoredalle frecce fiammeggianti l’immagine e le de-scrizioni letterarie del dolce, “tenero” (Ovidio)25

e bellissimo Ila, “fiammeggiante di bellezza e digrazie soave”, mentre è rivelato agli occhi dellaninfa dalla luce (!) della luna che rompe l’oscuritàdella notte, può non sorprendere.

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«Quid non cogit amor? [...] talis raptus Hylas»scrive Marziale.26 Resterebbe da capire in qualmodo l’atteggiamento di “resistenza” possa atta-gliarsi ad Amore vittorioso. Probabilmente il Cara-vaggio lo spende come atteggiamento di “forza”, eanche proprio di dominio e vittoria, Amor VincitOmnia. Nel relativo geroglifico della Hypneroto-machia, “omnia” è reso con un globo che com-prende il sole e la luna: l’universo, il tutto. Maancora l’Amore vittorioso appare «seduto sul globoterrestre» (come scrive il Sandrart), o più precisa-mente egli, insisitendovi con una gamba, «sotto-mette» un globo stellato che sta a significare lastessa cosa del globo polifilesco e della figura diPan in un’altra, ben nota incisione di Agostino, incui Amore, con il ginocchio, si impone su Pan-Omnia. Ma poi quest’ultimo, analogo anche se nonidentico, atteggiamento di vittoria è comune a piùopere, dalla Verità scoperta dal Tempo del Mazzoni,a Firenze che trionfa su Pisa del Giambologna, aL’Onore che trionfa sull’Inganno del Danti e amolte altre, tutte discendenti dalla Vittoria di Mi-chelangelo. Resta la corona prossima al ginocchiodi Amore che, potrebbe stare per vincit (da vincio).In tal caso anche il Caravaggio avrebbe voluto ci-frare nel suo quadro il motto Amor Vincit Omnia.Mentre mi sembra di poter confermare quanto dame scritto circa l’infuenza sul dipinto caravaggescodell’altra incisione di Agostino su disegno di Anto-nio Campi con l’Allegoria di Cremona per il volumeCremona fedelissima città pubblicato nel 1585, e sulruolo di Amore come promotore e non come spre-giatore delle attività connesse agli strumenti, spartitie armature disposti ai suoi piedi e intorno a lui,27 vor-rei far presente l’interesse che verso il pannello diIla ha mostrato la cultura dei Seicento, sia pure inanni più tardi di quelli vissuti dal Caravaggio. Tra leraccolte di Cassiano del Pozzo troviamo infatti unoschizzo delle tarsie della basilica a matita, penna eacquarelli colorati, tra cui il pannello di Ila assumel’importanza maggiore, perché riprodotto a colori,con la scritta: Ilas a nimphis raptus (FIG. 4); tro-viamo inoltre un altro foglio a penna, inchiostro esottotraccia a matita contenente la ricostruzione diuna parete della basilica, con la presenza del Ratto diIla, a destra dell’altro pannello con scena circense esotto alla tarsia della tigre che azzanna un cerbiatto.28

Infine un altro foglio contiene un disegno tutto a co-lori (FIG. 7), ad acquarello, della scena del Ratto conil grande tripode delfico oggi disperso.29

Risulta che i pannelli entrarono in possesso, indata sconosciuta, del cardinal Camillo Massimi;ed è questa una notizia interessante, perché costuiera nipote di Vincenzo Giustiniani e «frequentò lacasa dello zio marchese fin dalla propria infan-zia».30 È facile quindi che l’interesse per la scenadel Ratto di Ila sia stato trasfuso nel Massimi pro-prio dal committente dell’Amor vittorioso.

IV La Flagellazione di Santa Prassede

Torna alla ribalta, con un acuto intervento di Clau-dio Strinati nel catalogo della mostra promossa dal-l’Archivio di Stato,31 il problema della Flagellazione

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FIG. 8 Da F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Amor vincitomnia

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FIG. 9 Simone Peterzano e il primo Caravaggio, Flagellazione di Cristo. Roma, S. Prassede

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FIG. 10 Part. della figura 9FIG. 11 Radiografia della Flagellazione di Cristo. Roma, S.PrassedeFIG. 12 S. Peterzano, Deposizione (part.). Milano, S. FedeleFIG. 13 S. Peterzano, I santi Paolo e Barnaba a Listri (part.).Milano, chiesa dei SS. Paolo e Barnaba

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di Santa Prassede in Roma (FIG. 9). Problema per ilsottoscritto, che però è sempre rimasto fedele all’at-tribuzione a Simone Peterzano, e ancor più per tutticoloro che la escludono dal catalogo del maestro diCaravaggio, per collocarla nella prima metà del Cin-quecento. L’ascrizione al Peterzano risale alla miatesi su questo pittore, del 1949.Incoraggiato, anche, dall’adesione dell’indimenti-cabile maestro Lionello Venturi (che la definì, nellasua relazione di tesi, “una bomba”), mi risolsi a pub-blicarla nel mio articolo su Simone del 1952, con-fermando poi la proposta nel saggio sul Caravaggiodel 1971, in quello sul Peterzano del 1978, e infinenella monografia del 1990.32 Con queste parole:

Ma dove il tema della ‘notte’ come passione, marti-rio, morte, e del Cristo come luce e salvezza si configurain termini che anche stilisticamente sembrerebbero co-stituire un precedente del Caravaggio, è nella Flagella-zione di Santa Prassede [FIG. 9], che continua a sem-brarmi opera di Simone Peterzano, forse verso il 1590,comunque lombarda (il Longhi, cui chiesi un parere perla mia attribuzione, pensava al Figino). Qui la luce,come nella pala di Sant’Ambrogio e in molte altre opere

del Peterzano, entra diagonalmenteda sinistra e sembra provenire dal-l’alto, senza che ne sia indicata lasorgente. Ecco le stesse ombre al-lungate sui gelidi marmi, la stessacalibrata composizione della paladi Sant’Ambrogio, giocando su unperno luminoso e cilindrico, lostesso ruotare delle teste; lo stessonaturalismo contenuto; gli stessi ge-sti forbiti e sospesi, le stesse mo-venze come di commensali in puntadi forchetta, gli stessi atteggiamentibilanciati-sbilanciati, le stesse ca-denze concertate in una leziosa as-sonanza; gli stessi boccoli imper-lati di luci; gli stessi piedi e polpaccitorniti, statuini, un po’ tonti; glistessi nasi; gli stessi baffetti, glistessi languori di sguardi; gli stessigrumi di chiaroscuro sui ginocchi; lestesse mani posate nel vuoto con lestesse nocche. Ma al tenue chiarore

della pala di Sant’Ambrogio, fa riscontro nella Flagel-lazione un’illuminazione decisa e altrettanto intensadella tenebra che ha il compito di spezzare, alleandosialla resa più smaltata della tavola nell’incrudire i con-torni del pur molle e accademico disegno. Smussa in-vece il contrasto la fioritura modulata e sommessa deitoni, tipicamente peterzaniana, e sapiente al punto chenon meraviglierebbe di apprendere che vi ha posato ilpennello anche il giovanissimo Caravaggio, stando abrani come il fustigatore di spalle, già così perspicuo epastoso anche nel bianco perizoma, e allo sfrigolìo dellaluce sulla spalla del Cristo (quasi identico nel Ragazzocon canestra, e tuttavia tipico del Peterzano), o ancoraalla ‘spera’ di sole che colpisce plasticamente il pol-paccio del flagellatore di schiena, e che riappare in unagamba del Bacchino malato. Si conoscono, del Peter-zano, effetti di luce altrettanto intensi anche se non pro-prio così concentrati, ad esempio nella nota ma più an-tica Deposizione di San Fedele a Milano. NellaDeposizione, comunque, il tema è ancor quello dellanotte come passione, morte, in dialettica con la luce delCristo o meglio, in questo caso, con la luce divina da cuiCristo è investito. Ma anche il tema dei flagellatori-la-droni, ovvero dei peccatori che accedono alla luce cari-

FIG. 14 Caravaggio, Cristo coronato di spine (part.). Vienna, Kunsthistorisches Museum

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smatica in quanto ‘riconoscono’ il Cristo e non distol-gono lo sguardo da lui, sembra già presente nella Fla-gellazione di Santa Prassede: questo fa pensare che lacomplessa e profonda simbologia, anticipatrice del Ca-ravaggio non meno dello stile, e certo matrice del sin-tetico effetto luminoso, siano con l’arcaismo e la sem-plicità stessa della composizione il suggerimento di unambiente religioso vicino al Peterzano e forse ancora, inseguito, al Caravaggio. La chiave non possono essereche i Borromeo, san Carlo e il cardinal Federico. Propriola figura di Carlo Borromeo spiega del resto la com-missione di questo dipinto al Peterzano. Dal 1559 al1565 era stato titolare di Santa Prassede e anche dopo ilsuo trasferimento a Milano aveva continuato a fre-quentare la chiesa.33 [...] La Flagellazione è collocabile,grosso modo, nel penultimo decennio del Cinquecento,forse proprio al suo scadere. San Carlo era morto nel1584 ma è possibile che la commissione sia stata ese-guita dopo la morte, magari per interessamento del suoerede spirituale, il cugino Federico, che è a Roma dal1586 al 1595.[...]; è infine da rilevare che il Ciardi, ana-lizzando come opera incertamente riferibile al Figino lapala di Sant’Ambrogio, trovava che «questa denota unpiù accurato accostamento alla pittura del secondo Cin-quecento romano e fiorentino». La pala di sant’Am-brogio è del resto, come abbiamo accennato, tra le operedel Peterzano, la più vicina (anche per la “raffinatezzae delicatezza dei passaggi cromatici” che il Ciardi benvi legge) alla Flagellazione di Santa Prassede; e poichéfu eseguita tra il 1592 e il 1594, l’infiltrazione di culturaromana e bronzinesca si spiegherebbe pienamente.

Claudio Strinati colloca la Flagellazione verso lafine dell’ultimo decennio e la pubblica con la in-telligente e stimolante didascalia: “Laboratoriocaravaggesco”. Egli non condivide l’attribuzioneal Peterzano ma, nell’intervento orale tenuto lamattina dell’inaugurazione della mostra, ha insi-stito sul nome del Caravaggio, praticamenteavanzando una prudente ma decisa ascrizione algrande Michelangelo. Questa opinione è di estremo fascino e interesse,anche se chi scrive resta intorno al parere giàespresso di una paternità del Peterzano moltoprobabilmente in collaborazione con il Merisi.Del resto, se si annusa odore di Caravaggio nellaFlagellazione, è difficile credere che la notizia

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FIG. 15 Caravaggio (copia da), Cristo alla colonna (part.).Cantalupo in Sabina, Palazzo Camuccini

FIG. 16 Part. della figura 9

FIG. 17 Caravaggio, Flagellazione di Cristo (part.). Rouen,Musèe des Beaux Arts

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del 1915 contenuta nel Dizionario della BessoneAureli, di una Flagellazione di Simone Peterzano(pittore allora sconosciuto) in Santa Prassede, siadi fantasia: e non può trattarsi che della chiesaromana, non di quella omonima di Milano.34

Potrebbe pensarsi a un cartone del Peterzano, in usoal Caravaggio? O di un’opera abbozzata dal Peter-zano e portata a termine dal Merisi? La radiografiache ho fatto eseguire nei mesi scorsi (e per la qualeringrazio Rossella Vodret) non mostra alcun cam-biamento nella composizione, salvo una diversaconfigurazione del volto del Cristo (FIG. 11), che èstato mutato rispetto alla primitiva impostazione esi presenta, nel primo stato, tutt’altro che incompa-tibile con la maniera del Peterzano.Non posso comunque che apprezzare l’ipotesi “ol-tranzista” di Claudio Strinati, profondo conoscitoredel Manierismo e del Caravaggio, pronto a coglierei segni di una difficile verità anche laddove altri nonla percepiscono. Verità che, in questo caso, sarebbedi enorme portata, ma che interviene a confortarein qualche misura anche la mia proposta. Varrà la pena, a questo punto, di esporre la storiabibliografica della Flagellazione. Tradizionalmentecreduta di Giulio Romano, fu da me riferita, comegià detto, al Peterzano con l’eventuale collabora-zione del Merisi; l’ascrizione trovò inizialmente, in-torno al nome del Peterzano, numerosi esignificativi consensi: che portano i nomi di Del-l’Acqua, Maurizio Marini, Arslan, Hartt, Ottinodella Chiesa, e, ancora negli anni Settanta, Balza-retti, Cinotti e Baccheschi.35 Ma a rompere, per cosìdire, l’incanto fu un energico intervento di IlariaToesca (1966) che riportava la tavola, sia pure conil punto interrogativo, a Giulio Romano, sostenendoche il dipinto originale donato dal cardinal Bibbienanon era mai scomparso, nonostante che io avessidimostrato come la Flagellazione dipinta da GiulioRomano per Santa Prassede (chiesa in seguito ge-stita dai Borromeo) fosse completamente diversada quella oggi colà conservata. Tanto si ricava dalladescrizione che ne fa il D’Arco nella sua monogra-fia su Giulio Romano del 1838: si trattava di un not-turno rischiarato da una fiaccola in mano a unafanciulla, con il Cristo dallo sguardo rivolto versol’alto e le mani legate dietro la schiena. Dunque unacomposizione del tutto diversa; ma poiché a Man-

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FIG. 18 Part. della figura 9

FIG. 19 S. Peterzano, Madonna con Bambino e santi (part.).Milano, Certosa di Garegnano

FIG. 20 S. Peterzano, Vocazione dei santi Paolo e Barnaba(part.). Milano, chiesa dei SS. Paolo e Barnaba

FIG. 21 S. Peterzano, I santi Paolo e Barnaba a Listri (part.).Milano, chiesa dei SS. Paolo e Barnaba

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tova esiste la copia (FIG. 46) di una Flagellazione ri-ferita a Giulio Romano, ecco che la Toesca assumeche il D’Arco non conobbe mai il dipinto di SantaPrassede, ma nel descriverlo si basò sulla copiamantovana. Senonché questa copia, come la iden-tica Flagellazione che Pietro Facchetti incise daGiulio Romano nel 1588, riproduce il dipinto ro-mano, ancora in Santa Prassede, e non quello “man-tovano” (forse mai esistito come opera diversa) delPippi. La prova è data dal fatto che il Facchetti ope-rava a Roma e non a Mantova, fin dagli ultimi anniSettanta: «intorno all’ottavo decennio del sec. XVIsi trasferì definitivamente a Roma ove visse finoalla morte operando al servizio dei pontefici e cu-rando in questa città gli acquisti di opere d’arte peril duca di Mantova Vincenzo Gonzaga».36

Ma, secondo la stessa Toesca, il dipinto di SantaPrassede è quello originario, di Giulio Romano odella sua cerchia, e una datazione alla seconda metàdel secolo è da escludere: «a vedere la Tavola ro-mana, nessuno, io credo, penserebbe ragionevol-mente a datarla all’ultimo quarto del Cinquecento.[...] Essa dovrebbe datarsi al più tardi al 1520».37

Nonostante la superficialità di tali asserzioni, inseguito all’intervento della studiosa (che godevadi un credito sostenuto dal nome autorevole), sidiffuse un immotivato scetticismo sul riferimentoall’epoca di Peterzano e del Caravaggio, e nel ca-talogo della mostra di Giulio Romano a Mantovaebbi la sorpresa di leggere che l’attribuzione piùverosimile sarebbe quella al Penni (!), avanzatada P. Joannides nel 1985.38

Tanto più l’oculata presa di posizione di ClaudioStrinati è dunque meritoria e invita a una seria ri-considerazione della straordinaria tavola. Peter-zano? Caravaggio? A mio avviso l’ascrizione puòrestare divisa tra i due nomi e personalmente l’in-tervento di Strinati mi incoraggia a insitere sul-l’idea di una probabile collaborazione tra maestroe allievo: tale che si è indotti a crederla rivelativadel modo di dipingere del Caravaggio prima degliinizi conosciuti. La tavola è in effetti possibile chesia stata eseguita a Milano e quindi spedita nel-l’urbe. Torno a proporre alcuni confronti di detta-gli con l’opera di Simone e a ribadire i già descrittitratti che a mio avviso possono sembrare comuni alCaravaggio estendendole alla nicchia con lunetta

di fondo, che è di disegno analogo nella Flagella-zione e nella Madonna con i santi Francesco eMargherita del Peterzano (oltre che nel fondo ar-chitettonico del Martirio di san Matteo quale rive-lato dalla radiografia FIGG. 47, 48 e 11).

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FIG. 22 S. Peterzano, Sant’Ambrogio tra i santi Gervasio eProtasio (part.). Milano, Pinacoteca AmbrosianaFIG. 23 S. Peterzano, San Giovanni Evangelista, (part.).Milano, Certosa di Garegnano

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FIG. 24 Part. della figura 9FIG. 25-26 S. Peterzano, Il ritorno del figliol prodigo (part.). Milano, S. Maurizio al Monastero Maggiore

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FIG. 28 Part. della figura 9FIG. 29 S. Peterzano, Disegno di torso antico. Milano,Gabinetto di Disegni e stampe, Castello sforzesco

FIG. 30 S. Peterzano, Disegno di flagellatore. Milano,Gabinetto di Disegni e stampe, Castello sforzescoFIG. 31 S. Peterzano, Disegno di figura vista di schiena.Milano, Gabinetto di Disegni e stampe, Castello sforzescopag. 34:FIG. 27 S. Peterzano, Adorazione dei pastori (part.). Milano,Certosa di Garegnano

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FIG. 33 S. Peterzano, Resurrezione. Milano, Certosa di GaregnanoFIG. 34 S. Peterzano, Il ritorno del figliol prodigo (part.). Milano, S. Maurizio al Monastero MaggioreFIG. 35 S. Peterzano, Adorazione dei Magi (part.). Milano, Certosa di Garegnano

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pag. 36:FIG. 32 Part. della figura 9

FIG. 36 S. Peterzano, La vocazione dei santiPaolo e Barnaba (part.). Milano, chiesa deiSS: Paolo e Barnaba

FIG. 37 S. Peterzano, disegno di gambe (part.). Milano, Gabinettodi Disegni e Stampe

FIG. 38 S. Peterzano, La vocazione dei santi Paolo e Barnaba(part.). Milano, chiesa dei SS: Paolo e Barnaba

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FIG. 39 Part. della figura 9FIG. 40 Caravaggio, Flagellazione di Cristo(part.). Rouen, Musèe des Beaux Arts

FIG. 41 Caravaggio, Annunciazione (part.).Nancy, Musèe des Beaux Arts

FIG. 42 Caravaggio, Martirio di san Matteo (part.). Roma, S.Luigi dei Francesi

FIG. 43 Caravaggio (copia da), Cristo alla colonna (part.). Can-talupo in Sabina, Palazzo Camuccini

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Strinati insiste soprattutto sui riflessi dei piedi sullucido pavimento chiamando in causa il Narcisodel Merisi che ci porta verso il 1600, data in cui,a mio parere, la traccia della mano del Caravag-gio dovrebbe essere più evidente. Anche se, ef-fettivamente, l’osservazione può trovare riscon-tro nel modo con cui, nel Narciso, il riflessodell’immagine nell’acqua sfuma tenuemente. Sipuò tuttavia pensare che una simile sensibilitàfosse già patrimonio della raffinata cultura pitto-rica del Merisi. Condivido anche l’osservazionedi Strinati sulla somiglianza dei panneggi, di cuioffro qualche esempio, dove però sembra “anti-cipare” il Caravaggio conosciuto (FIGG. 40-43):a cominciare dal «fustigatore di spalle già cosìperspicuo e pastoso nel bianco perizoma» che in-dicavo come probabilmente eseguito dal Cara-vaggio e che effettivamente, nella notevole po-tenza di tutta la figura, evoca il nome del grande

Merisi. Questi potrebbe aver “vestito” i perso-naggi (intendo dire dipinto la serie dei panneggi)o più probabilmente aver eseguito parte del-l’opera su un preesistente disegno del Peterzano. Dovrebbe dunque trattarsi di un’opera lasciata in-compiuta dal Peterzano nei primissimi anni No-vanta, affidata alle cure del grande allievo: primadelle sue già note uscite romane, in un momentoche prelude a dipinti come il Bacco degli Uffizi,dove le ombre della caraffa e delle foglie sfumanoin modo delicato e sensibile, così come partico-larmente raffinata è la trasparenza della mano si-nistra attraverso il cristallo; o come la MaddalenaDoria, dagli analoghi effetti. Il friggere della lucetra la spalla e il collo del Redentore torna poi an-che nel più tardo Cristo coronato di spine diVienna (FIG. 14), insieme a quel moto rotatorioche si avverte anche nella metà inferiore dellaFlagellazione (FIG. 33); la quale costituisce la

FIG. 44 S. Peterzano, Studio per la figura 48 FIG. 45 S. Peterzano, Crocifissione (part.). Milano, Certosa di Garegnano

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parte forse più suggestiva del dipinto, anche conil pavimento dai mirabili riflessi. È il dettagliodelle mani del flagellatore di sinistra è ripetutocon forte somiglianza iconografica nel Cristoalla colonna di Cantalupo Sabina (originale ocopia che sia) (FIGG. 15, 16, 17). Il Merisi potrebbe anche aver “vestito” le figure: in-tendo dire ultimato la serie dei panneggi nei qualisembra poter cogliere in nuce lo splendore dei bian-chi di qualche perizoma a venire, a differenza deiperizomi più convenzionali (FIG. 45 del Peterzano.

V Il presunto rifiuto della Sant’Anna

In materia di documenti, considerato anche l’ormaielevatissimo numero di carte riguardanti il Cara-vaggio e il suo ambiente, possono verificarsi sin-golari omissioni di presa d’atto, da parte degli stu-diosi anche più avveduti. Il seguente esempio ne èuna singolare prova.Tra i miei vecchi appunti sul Caravaggio, ritrovola seguente trascrizione da una carta dell’Archiviodella Rev.da Fabbrica di San Pietro, cod. G 13, fol.147v: «Nota, quod Parafrenarii non potueruntsacellum in novo Vaticano templo obtinere, licetyconam sanctae Annae manu M. Angeli de Cara-vagio eximii pictoris in pegmate sive spatio arae,cui unus tholus ad septentrionis superiacet, in

qua sancti Io.Chrisostomi corpus condendum est,ipsorum impensa posuissent, et sic istud instru-mentum evanuit». La nota, in inchiostro rosso, èposta marginalmente a un foglio datato 28 no-vembre 1605 che prevede la consegna ai Palafre-nieri di due cancelli di metallo per ricavarne unaCroce, dei candelabri e una lampada («Consi-gnatio duorum cancellorum ex metallo societatiSanctae Annae Parafrenariorum pro conficiendiscruce et candelabris ac lampada»). In pari data lacongregazione dell’Arciconfraternita di San-t’Anna annota di aver avuto «per mano di M.reVittorio» le due «ferrate» di ottone.La nota è ripetutamente riportata da S. Macioce,nelle due edizioni della sua raccolta di documenticaravaggeschi (2003 e 2010),39 ma non da M. Ma-rini nelle pur accuratissime edizioni del suo Cara-vaggio, fino all’ultima. Inspiegabilmente sfuggitoall’attenzione anche di L. Spezzaferro40 e di ognialtro studioso, il documento rivela in termini ab-bastanza chiari la ragione per cui il quadro dellaSant’Anna non fu posto sull’altare: i Palafrenierinon ottennero un sacellum nel nuovo S. Pietro, puravendo installato l’icona di Sant’Anna di mano delCaravaggio, a loro spese, nel palco ovvero nellospazio di un altare, che si trova sotto quella setten-trionale delle quattro cupole: altare nel quale va in-vece collocato il corpo di san Crisostomo. Il Grimaldi, nel 1613, identificò in effetti come

FIG. 47 Part. della fig. 9 (con evidenziazione della nicchia di fondo)FIG. 48 S. Peterzano, Vergine con bambino e i santi Francesco e Margherita, 1590. Milano, Palazzo dell’Arcivescovado (conevidenziazione della nicchia di fondo)

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«Altare Sancti Ioannis Chriso-stomi, ubi collocabitur corpuseius ex sacrario» con quell’«al-tare maius vergens ad septen-trionem sacelli, cui unus exquattuor tholis imminet».41

Il senso è trasparente. La palanon poteva essere sistemata suun altare (uno dei sette privile-giati) destinato ad ospitare lereliquie di un altro santo. Ma esaminiamo la sequenzadei fatti. Il 20 ottobre 1605 ven-gono costituiti i sette altari pri-vilegiati nella nuova basilica. Il31 ottobre viene riferito allaCompagnia dei Palafrenieriche, come già detto, la vecchiapala del disfatto altare disant’Anna è stata provata sulnuovo, «come s’era parlato conMons. Vittorio Vicario di SanPietro», constatando che è ina-datta per dimensioni e che per-tanto è necessario far eseguireun nuovo dipinto.42 Il primogiorno di dicembre viene datoun acconto al Caravaggio, chedoveva essere stato accostatogià prima. L’8 aprile 1606 ilMerisi è pagato. Il 14 aprile opoco tempo prima43 viene sistemato il nuovoquadro sull’altare privilegiato. I Palafrenieri(forse con il favore di “mons. Vittorio”) si eranopraticamente appropriati di questo altare occu-pandolo con la pala caravaggesca, ma furono im-mediatamente espulsi dall’importante postazionee costretti a ritirare la pala il 16 aprile. Vale a direche la pala, appena messa sull’altare fu fatta su-bito rimuovere, forse dopo appena un giorno:spazio di tempo troppo breve per aver consentitouna valutazione teologica del capolavoro cara-vaggesco da parte dei cardinali della Fabbrica!(quale in forme diverse prospettata con insistenzanel tempo dal compianto Spezzaferro).Semplicemente dunque sant’Anna, di cui non siconservano reliquie, doveva far posto nell’altare

privilegiato a quel san Giovanni Crisostomo cheera considerato il più grande teologo moralistadella Chiesa antica e le cui reliquie dovevano es-sere degnamente venerate. Nessun rifiuto quindidell’opera del Caravaggio, che i Palafrenieri si di-chiareranno poi soddisfatti di aver venduto a Sci-pione Borghese, evitando così un danno finanzia-rio. Va notato peraltro che l’anno seguente, 1607,fu rimossa da un altro dei sette altari privilegiatila Resurrezione di Tobita del Baglione e sostituitacon la guercinesca pala di Santa Petronilla. Sa-remmo allora di fronte a un altro “rifiuto”, chequesta volta avrebbe colpito il Baglione!Perché, infine, l’opera del Caravaggio fu vendutainvece di tenerla in attesa dell’altare in ultimo de-stinato ai Palafrenieri, non è difficile capire: essi

FIG. 46 Anonimo della fine del XVI sec., Copia della Flagellazione di GiulioRomano già in S. Prassede a Roma

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FIG. 49 Anonimo caravaggesco, Giudizio di Salomone. Roma, Galleria Borghese

avevano provato a sistemare sull’altare maius cuiambivano il vecchio quadro che ornava la lorocappella originale, ma si erano avveduti che esso«non riquadrava come fa bisogno» e avevanoquindi deciso di fare «un bel quadro di nuovo».44

Per le stesse ragioni, evidentemente, la nuovapala eseguita dal Caravaggio non poteva essereadattata a un altare minor.E sorge qui una domanda significativa: se il rifiutodell’altare fosse dipeso dal quadro del Caravaggio,per quale ragione i Palafrenieri (che pure avevanoricavato i denari necessari dalla vendita) non ordi-narono un nuovo dipinto a altro pittore? Così fu fattoper la Morte della Vergine; ed anche il San Matteodi S. Luigi de’ Francesi, come i dipinti di S. Mariadel Popolo, furono sostituiti. L’unica a non esseresostituita fu la pala dei Palafrenieri, per la sempliceragione che il nuovo e più importante altare, tale darendere necessaria una pala di dimensioni maggioririspetto a quella originaria, non era stato concesso.

Archiviamo dunque le svariate ipotesi avanzate perspiegare un rifiuto che non c’è mai stato, ipotesispinte fino ai territori della Teologia e dei rapportitra Estetica e Fede, come in questo brano di Spez-zaferro: l’opera, con l’acquisto da parte del cardinalBorghese, «pur non rispondendo al principio del de-corum, veniva riconosciuta degna di essere colle-zionata. In altri termini, essa veniva implicitamentericonosciuta bella pur essendo buona o, meglio, nonfunzionale (in questo caso moralmente o, almeno,liturgicamente) allo scopo per cui era stata com-missionata. Come tale quell’opera segnava unanetta frattura rispetto alla tradizione classicista delKalos k’agatos che peraltro continuava ad infor-mare, pur se con significato diverso, anche le teo-rizzazioni controriformate e post-tridentine».45

La convinzione di un rigetto si appoggiava sul-l’affermazione volutamente ambigua del Baglione(che della pala dice: «fu levata d’ordine de’ cardi-nali della fabbrica») e su quella diffamatoria del

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Bellori (secondo cui il quadro«fu tolto ancora da uno dei mi-nori altari della Basilica Vati-cana, ritratto in esso vilmente laVergine con Giesù fanciulloignudo»). In assenza di precisenotizie, l’ipotesi del rifiutovenne però messa in dubbio dastudiosi come J. Hess e W.Friedländer;46 prese poi corposolo in seguito alla pubbli-cazione dei noti documenti daparte di A. Cicinelli ed ebbelarga accettazione dopo gli in-terventi di L. Spezzaferro, suc-cedutisi dal 1974 in poi:

Il Caravaggio [osservava lo stu-dioso] stacca non solo compositiva-mente ma anche emotivamente lafigura di Sant’Anna da ogni parte-cipazione. Le mani giunte dellasanta, infatti, se compositivamentebloccano ancor più la sua figura,sembrano poi rappresentare, abban-donate come sono lungo il corpo, non un atto di pre-ghiera, ma quasi di indifferente costatazione. In altritermini invece che a una glorificazione di Sant’Anna edel suo ruolo attivo nel Magistero dell’Immacolata Con-cezione e della Redenzione, Caravaggio ci pone di frontead una scena in cui il ruolo di Sant’Anna è pressochénullo. [...] Il che significava negare che la redenzione eraopera della Donna e del suo Figlio ma affermare che essapoteva esser opera di una qualsias donna e di un qualsiasifiglio. In altri termini come nella Morte della Vergineaveva negato la certezza del futuro, qui negava la cer-tezza del passato: la certezza della storia sacra.47

Queste osservazioni contrastano con l’evidenzadel dipinto, che affida alla Vergine, cioè allaChiesa, depositaria e dispensatrice della Grazia, ilmerito di aver schiacciato il serpente, “aiutando”il Figlio, cioé facendosi intermediaria del suo Uf-ficio, all’ombra protettiva e dominante (tutt’altroche indifferente!) di sant’Anna: la quale ha, nel-l’opera del Caravaggio, un’evidenza ben mag-giore che non nella primitiva pala dei Palafrenieri,

diversamente da quanto vorrebbe Spezzaferro.Non si può quindi che respingere ormai definiti-vamente la tesi che era cara allo studioso, che inconclusione la ripete anche a proposito della paladi Sant’Anna: «E se appare sempre più chiaroche l’approccio del Caravaggio nelle sue pitturedi storia è quello di un rapporto diretto tra l’uomoe il divino [...] senza mediazioni, tutto ciò evi-dentemente rimanda a quelle correnti scetticheed epicuree, ireniche e libertine che come unfiume carsico attraversano la società romana giàdalla fine del XVI secolo».48

Le ragioni del rifiuto sarebbero state queste; e in-fatti il rifiuto non ci fu.

VI Noterella sul Giudizio di Salomone

Quasi soffocante, la vague degli studi sul Cara-vaggio e i Caravaggeschi invade ormai le nostre bi-blioteche di sempre nuove pubblicazioni, costrin-gendoci a costruire nuovi scaffali. E prima o poi un

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FIG. 50 Giovanni Mosca, Giudizio di Salomone. Parigi, Louvre

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intero scaffale dovrà essere dedicato al Giudizio diSalomone della Galleria Borghese (FIG. 49), che re-sta forse il più appassionante tra i problemi ancoraaperti. Chiudo quindi con una noterella su questoproblematico seguace del Caravaggio.Per quanto riguarda la questione attributiva, ac-cantonando il Ribera proposto dal pur bravissimoPapi, la recente ipotesi di A. Zuccari ci ha messoprobabilmente sulla pista giusta, alla ricerca diun pittore “pasticciere” ma dal gusto educato, so-praffino; e seducente appare l’accostamento alSuonatore di liuto di Monaco.49

Un altro ancora, benché “minore”, è però il misterodel Giudizio, quello di una presenza insolita nel-l’iconografia di questo soggetto: intendo i tre “apo-stoli” sul margine destro. Ingombranti, forse fattiaggiungere a cose fatte dal committente, comunquenon certo privi di una loro ragion d’essere. Quale?Ci mette sulla buona strada un altorilievo di Gian-maria Mosca raffigurante pur sempre il Giudizio diSalomone, databile agli anni Venti del Cinquecentoe conservato al Louvre (FIG. 50). Qui l’impiantoclassicheggiante è vistoso, risolto in una simmetriaalquanto banale: il giudice è issato su un piedistallotrinitario (allusivo alla divina Giustizia?) e nei duescomparti del fondo marmoreo si legge una scrittasuddivisa tra una domanda e una risposta. A sini-stra: «QUIS DICET REG[em] NON SAPIEN[ter]IUDICASSE». E a destra: «CONTEMP[um] ETAMOREM DIJUDIC[are] EST VERITAS».Ovvero: «Chi dirà che il Re non ha giudicato consaggezza? La verità sta nel distinguere il di-sprezzo dall’amore».L’opera fu commissionata da Giambattista diGiambattista De Leone, professore di filosofia del-l’università di Padova, morto nel 1528, per farnedono al suo allievo Reginald Pole (1500-1558) fu-turo arcivescovo di Canterbury e celebre cardi-nale, che soggiornò a Padova dal 1521 al 1526. «Iltema del Giudizio di Salomone - scrive Pierre-Yves Le Pogam -50 permette all’umanista diesporre un argomento di dottrina filosofica fon-dato sul discernimento della verità: da una favolasulla giustizia, egli trae l’idea di una distinzioneetica tra il disprezzo degli altri (l’atteggiamentodella falsa madre, che non esiterebbe a lasciar uc-cidere un infante per non cedere) e l’amore (della

madre vera, che preferirebbe perdere suo figliopiuttosto che vederlo morire)».Questo commento ci aiuta a comprendere quale è ilruolo dei tre “apostoli” sulla destra del quadro Bor-ghese, e soprattutto di quello più in evidenza, il gio-vane san Tommaso, strenuo ricercatore della veritàe delle sue prove dimostrate (che si tratti della Re-surrezione del Redentore come dell’Assunzione incielo della Vergine: il dito nella piaga e la cintola chescende dal cielo, ecco le prove). «Isidoro nel suo li-bro intitolato “vita e morte dei Santi” - leggiamonella Legenda Aurea -51 dice dell’apostolo Tom-maso: “Tommaso discepolo di Cristo e a lui somi-gliante, fu incredulo alle parole, ma fedele, dopo aversperimentato da se stesso quale fosse la verità”».Con un gesto della mano destra, il santo approvala verità “dimostrata” dal Re, nel quadro Bor-ghese, (constatando l’esistenza della Giustizia di-vina). Gli altri due Apostoli alle sue spalle sonoevidentemente testimoni.Ecco così spiegata la presenza dei presunti in-trusi, giudici del giudice, potremmo dire. Non èpossibile trarne indicazioni sulla questione atttri-butiva; forse sulla committenza: un umanista fi-losofo o qualcuno che esercitava la Giustizia,come lo stesso cardinal Borghese.Osservo in ultimo che l’altorilievo del Louvre ac-cenna a disegnare, nella emblematica composi-zione, una V, al cui centro compare il bambinoverace. Una disposizione a V hanno anche le duescritte, così composte:

QUIS DICET REG CONTEMP ET ANON SAPIEN MORE DIJUDIC

IUDI EST VERCASSE ITAS

Non è da escludere che tutto ciò voglia segnalarel’iniziale di Veritas. Più problematico sarebbecercare un riscontro nel dipinto della Borghese,dove le tre figure di Salomone, del carnefice edella madre perversa sembrano effettivamente di-segnare una V, nella quale verrebbe ad esserecompresa la madre legittima. Si tratta di un’ipo-tesi forse non inverosimile anche se indimostra-bile; in caso positivo concorrerebbe a spiegarel’ambiguo “classicismo” della composizione.

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1 Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, ideazione edirezione di E. Lo Sardo, a cura di M. Di Sivo, O. Verdi,Roma 2011.2 M. Calvesi, Le realtà del Caravaggio, Torino 1990,pp. 421 ss.: il Bacchino malato e il Fanciullo con cane-stra di frutta sono datati al 1593-95 (ipotizzando tutta-via per il secondo un influsso del sarcofago di GiunioBasso, trovato nel 1595); la Buona ventura dei Capito-lini e I bari sono datati 1594-95; la Buona ventura delLouvre al 1595 circa, il Concerto di giovani al 1595-97;il Fanciullo morso da un ramarro di Londra al 1595-97(considerando probabile copia quello di Firenze), ilBacco e Fillide al 1596 circa, il Suonatore di liuto di Le-ningrado e il Suonatore di New York al 1596-98, la Mad-dalena e la Testa di Medusa al 1596-97, il Riposodurante la fuga in Egitto al 1597-98, la Canestra difrutta al 1599 circa, e via di seguito.3 P. Bellori, Le Vite de’ Pittori, Scultori et Architetti mo-derni, Roma 1672.4 P. Bellori, annotazione alla biografia del Caravaggioscritta dal Baglione in Le Vite... (1642).5 F. Curti, L. Sickel, Un quadro “cum figuris”: il mer-cante Fabio Nuti, in cat. della mostra Caravaggio aRoma... cit. a nota 1, pp. 82 ss.6 Ricordiamo il passo del Bellori (cit. a nota 3): «AlliSignori Massimi colorì un Ecce Homo che fu portato inSpagna».7 G.L. Masetti-Zannini, Un dipinto del Caravaggio,Commentari XXII, 1971, pp. 184 ss. La cappella in S.Agostino fu acquistata dal Cavalletti nel 1603.8 M. Marini, Caravaggio pictor praestantissimus,Roma 2001, p. 561.9 Calvesi, cit. a nota 2, pp. 387-388.10 M. Calvesi, Caravaggio, in Art e Dossier, all. n. 1,1986, p. 61; F. Petrarca, Tr. Pudicitie, 88.11 Vedi D. Malignaggi, La Natività del Caravaggio e laCompagnia di S. Francesco nell’oratorio di S. Lorenzo,in M. Calvesi (a cura di) L’ultimo Caravaggio e la cul-tura artistica a Napoli in Sicilia e a Malta, Siracusa1987, p. 282. Come ricorda la stessa Malignaggi (p.287), anche a Napoli e a Malta il Merisi ha trovato tra idestinatari dei suoi dipinti le Compagnie: come la Com-pagnia della Misericordia a La Valletta, che aveva il suooratorio nella cattedrale di San Giovanni. (Il che con-ferma il significato simbolico che vedevo nella “miseri-cordia” impugnata dal carnefice, quale a suo temposegnalai, tra i soliti rifiuti).12 P. Palazzotto, Gli Oratori di Palermo, Palermo 1999,p. 282.13 Anche G. B. De Lazzari, committente della Resurre-zione di Lazzaro, era un mercante genovese residente aMessina.

14 Malignaggi, cit.a nota 11, p. 287.15 Palazzotto, cit. a nota 12, p. 19316 Ibidem (da A. Mongitore).17 R. Vodret, Caravaggio. L’opera completa, Milano2009, p. 114.18 Palazzotto, cit. a nota 12, pp. 76, 227, 231.19 Ibidem, p. 40.20 Calvesi, cit. a nota 2, figg. 15, 18, 25, 26, 69, 70, 107,128, 130, 203 e relative pagine di testo, già apparse inprecedenti saggi. Scriveva F. Zeri (Caravaggio il clas-sico, La Stampa 26 sett. 1985: «La favola del Caravag-gio anticlassico continua ad aver fortuna […] Ma sulrapporto tra Caravaggio e i marmi antichi molto ci sa-rebbe da dire, spesso con risultati stupefacenti». Lo stu-dioso non era informato su quanto da me scritto fin dal1971; osservavo che «componente essenziale alla for-mazione caravaggesca appare la conoscenza del mondoclassico», e della «statuaria ellenistica e tardo antica,fino a comprendere la scultura paleocristiana».21 Vedi F. Cappelletti, C. Volpi, New Documents concer-ning the Discovery and the Early History of the Nozze Al-dbrandini, Journal of the Warburg and Courtauld Institute1993; F. Cappelletti, L. Testa, Il trattenimento dei virtuosia Roma, 1994, pp. 58, 64 nota 3. Per il sarcofago Colonnavedi V. Farinella, Archeologia e pitura a Roma tra Quat-tro e Cinquecento. Torino 1992. fig. 103.22 Calvesi, cit. a nota 2, pp. 218-220, 222, 241, 271, 382.23 Apollonio Rodio, Argonautiche, I, 1228-1240.24 Vedi P. Moreno, Dall’antico agli arazzi e al Cara-vaggio, Antico, 24 2010. Per possibili scambi di operetra i Borromeo e i Gonzaga, vedi anche la nota 36.25 Ovidio, Ars amandi,II, 110.26 Marziale, Epigrammi, V, 48.27 Calvesi, cit. a nota 2, pp. 236 ss.28 F. Solinas (a cura di), I segreti di un collezionista, cat.di mostra (Biella 2001), Roma 2001, pp. 221, 231.29 F. Haskell e altri, The Paper Museum of Cassiano dalPozzo, Milano 1993, pp. 118-119.30 C. Terribile, Massimo C. Camillo, D.B.I. 72, p. 1,Roma 2009.31 C. Strinati, Quesiti caravaggeschi, in Caravaggio aRoma..., cit. a nota 1, pp. 26 ss.32 M. Calvesi, Simone Peterzano, maestro del Cara-vaggio, Bollettino d’Arte 1954, pp. 114 ss.; idem, Ca-ravaggio e la ricerca della salvazione, Storia dell’Arte9/10, 1971 (1972), pp. 93 ss.; idem, Simone Peterzano.Studio critico, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIXsec., IV, Bergamo 1978, pp. 487-489; idem, Le realtà...cit. a nota 2, pp. 45-47.33 Nella Cappella della Flagellazione in Santa Prassedesan Carlo trascorreva notti vegliando e flagellandosi,come scrive don Alessio Davanzati abate della chiesa,

Note:

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indirizzando a Federico Borromeo nel 1605 la richiestadi impedire «di levare la S.ma Colonna alla quale fu fla-gellato n.ro S.re Jesu Christo da questa venerabile chiesadi S.ta Prassede», e ricordando «Suo zio il B. Carlo ilquale fece in essa Cappella e oratorio tante Vigilie e per-notazioni di grandisima penitenza con tante flagella-tioni» (Lettere indirizzate a F. Borromeo, 194 bis, 219).34 A. M. Bessone Aurelij, Dizionario dei pittori italiani,Città di Castello 1915, ad vocem; la notizia è riportata inA. Corna, Dizionario della storia dell’arte italiana, Pia-cenza 1930, ad vocem. Non è indicata la città ma nonpuò che trattarsi di Santa Prassede in Roma, che con-serva la “colonna della Flagellazione”, mentre nellaomonima chiesa milanese le fonti non ricordano che di-pinti del Procaccini, del Figino e del Cerano.35 Si veda la scheda della Flagellazione in E. Bacche-schi, Simone Peterzano, in I pittori bergamaschi, cit. allanota 32, p. 532.36 A. Ferri, Facchetti Pietro, D.B.I. 44, 1994, ad vocem.37 I. Toesca, La “Flagellazione” di Santa Prassede, Pa-ragone 193, pp. 79-85. Secondo la Toesca, il D’Arco, nelcitare la Flagellazione di Giulio Romano in Santa Pras-sede avrebbe descritto non già il dipinto conservato inquella chiesa, ma un’ altra Flagellazione riferita negli in-ventari Gonzaga a Giulio Romano, la quale si trovava aMantova e di cui esistono incisioni e copie (Fig. 62). Ap-pare singolare che uno studioso come il D’Arco possa es-sersi comportato in questo modo, a meno che non sapessecon certezza che la Flagellazione di Mantova era una re-plica o copia di quella romana. La Toesca aggiunge che«la descrizione del D’Arco non concorda con quella chedel quadro “di Giulio Romano” dà una fonte molto at-tendibile, e cioè un inventario di Santa Prassede, salva-tosi dalla dispersione dell’archivio della chiesa: “Vedesiun quadro di giusta grandezza, dipinto in tavola, fatto faredal Cardinale Bernardo Tarlato, più cognito come Car-dinale di Bibbiena [...] Il medesimo quadro contiene trefigure di grandezza naturale, e quasi nude [...]. La figuradi mezzo rappresenta il Divin Redentore, diritto in piedi,legato con le mani per di dietro a una colonnetta dellastessa grandezza di quella esistente nella S. Cappella. Lealtre due figure rappresentano i manigoldi con fasci diverghe nelle mani in atto di flagellarlo». Queste parole,dice la Toesca, «si attagliano perfettamente al quadro an-cor oggi visibile in S. Prassede». Perfettamente? Ma quinon si tratta di “saper vedere”, semplicemente di “saperguardare”. Il Cristo della nostra tavola non è «legato conle mani per di dietro» (come invece quello di Mantova):ma è solo appoggiato alla colonna, con le mani legate sulpetto. Resta comunque un mistero la data di sparizionedel dipinto di Giulio Romano da Santa Prassede, comedella, probabilmente connessa, Flagellazione di Mantova.Per quanto riguarda quest’ultima, è a mio avviso possi-bile che non sia mai esistita come dipinto diverso da

quello romano e che «la “Flagellazione di Giulio Ro-mano”citata negli elenchi delle collezioni Gonzaga e oranon più rintracciabile» altro non sia che la Flagellazionegià in Santa Prassede, o altrimenti quella oggi classificatacome copia (ma è stata mai pulita?) da Giulio Romano edesistente a Mantova in Palazzo Ducale: copia sì, mamolto probabilmente della Flagellazione romana. In so-stanza, l’ipotesi che faccio è che il dipinto di Giulio Ro-mano, descritto come esistente in Santa Prassede dalD’Arco che effettivamente si basava sulla copia manto-vana (ma sapendo che tale essa era, copia fedele dal di-pinto romano), sia stato sostituito per iniziativa dei Bor-romeo già alla fine del Cinquecento con la tavola delPeterzano, che continuò ad essere creduta di Giulio Ro-mano, grazie anche alla miopia di taluni storici dell’arte.In tal caso può darsi che la descrizione inventariale citatadalla Toesca si riferisse davvero, pur con qualche svista(anche sul nome del Dovizi) alla nostra tavola. Ed è pos-sibile che la copia della Flagellazione oggi a Mantova,(“tardocinquecentesca” secondo il catalogo della mostradi Giulio Romano, p. 449) sia stata eseguita quando il di-pinto del Pippi fu forse venduto (ai Gonzaga?) e sostituitocon la tavola del Peterzano, alla fine del Cinquecento. Inconclusione, io penso che la Flagellazione di Giulio Ro-mano citata negli inventari seicenteschi dei Gonzaga,sia: o la copia da Giulio Romano in Palazzo Ducale aMantova; o la stessa Flagellazione del Pippi già in SantaPrassede, venduta o ceduta ai Gonzaga da Carlo o Fede-rico Borromeo che, insieme a Pio IV, intrattenevano ot-timi rapporti, non soltanto con il cardinale Federico Gon-zaga. Il matrimonio di Cesare Gonzaga, nel 1560, conCamilla Borromeo «portò al Gonzaga molti vantaggi, in-cluso un forte legame con Pio IV, che elevò al cardina-lato suo fratello Francesco (26 febbraio 1561), e anchel’amicizia, durata tutta una vita, col fratello di Camilla,il cardinale (e futuro santo) Carlo Borromeo». Lo zioCarlo Borromeo seguì l’educazione di Ferrante Gon-zaga, figlio di Cesare, protettore dell’Accademia degli In-vaghiti e appassionato di arte e letteratura. Il figlio di Fer-rante, Francesco Gonzaga, fece parte dell’Accademiadelle Notti di Carlo Borromeo, il quale ispirava, rivedevae correggeva le lettere dello stesso Francesco. Il duca Gu-glielmo Gonzaga donò a Carlo Borromeo i pregiati arazziraffiguranti puttini (vedi nota 24), ereditati da ErcoleGonzaga che li aveva commissionati nel 1542 e che erastato in stretto contatto con Giulio Romano. CamilloGonzaga sposò Barbara Borromeo. Margherita Colonna,cugina di Federico Borromeo, sposò Vespasiano Gon-zaga, duca di Sabbioneta. Rapporti importanti intercor-sero tra Ercole Gonzaga e Carlo Borromeo. Quest’ultimoimpartì la prima comunione al futuro santo Luigi Gon-zaga. (Tutte le notizie sopra riportate si ricavano dalD.B.I., alle voci degli interessati). Considerati tali rapportinon è improbabile che la scomparsa della Flagellazione

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da Santa Prassede sia stata la conseguenza di una cessione(o scambio) di opere d’arte tra i Borromeo e i Gonzaga.Non a caso il Facchetti, che incise il quadro di Giulio Ro-mano, da Roma curava gli acquisti di opere d’arte per ilduca di Mantova, come abbiamo già prima riportato. Ladata della sua incisione, 1588, potrebbe coincidere con lacessione del dipinto o precederla di poco.38 Cat. della mostra Giulio Romano (Mantova 1989),Milano 1989, p. 67.39 S. Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio.Fonti e documenti 1632-1774, Roma, 2003; Eadem, Mi-chelangelo Merisi da Caravaggio. Documenti fonti e in-ventari 1513-1875, Roma 2010; docc. 678, 679.40 M. Marini, Caravaggio pictor praestantissimus,Roma 2001; L. Spezzaferro, Nuove riflessioni sulla paladei Palafrenieri, in A. Coliva (a cura di), La Madonnadei Palafrenieri di Caravaggio, Venezia 1998, pp. 51 ss.41 I. Grimaldi, Instrumenta Autentica, Cod. Barb. Lat.2733, ediz. A cura di R. Niggl, Città del Vaticano, 1972,pp. 502-503.42 Macioce 2010, cit. a nota 39, doc. 672.43 Ibidem, doc. 699.44 Ibidem, doc. 672.45 Spezzaferro, cit. a nota 40.46 J. Hess, Modelle e modelli del Caravaggio, Com-mentari, V, pp. 271-289; W. Friedlaender, CaravaggioStudies, Princeton 1955. Quest’ultimo aveva compreso

che fu la mancata assegnazione dell’altare richiesto daiPalafrenieri a comportare la inutilizzazione del dipintodel Caravaggio.47 L. Spezzaferro, La Pala dei Palafrenieri, in Cara-vaggio e i Caravaggeschi, atti del colloquio (Roma, feb-braio 1973), Roma 1974, pp. 125 ss..48 Spezzaferro, cit. a nota 40, p. 58. Anche chi scrivecercò il motivo del presunto “rifiuto”, universalmentedato per certo, ipotizzando un comportamento irritante oscandaloso dell’autore (imminente omicida!), ma asse-rendo che altre ragioni non potevano essere invocate,perché la pala è «assolutamente ortodossa», né vi si puòravvisare, specie dopo il restauro, alcun estraniamento,e separatezza dall’azione, della santa. «Né a motivare ilrifiuto possono essere state eventuali interferenze con ildibattuto tema dell’Immacolata Concezione: che ri-guarda Maria come persona, concepita senza la macchiadel peccato originale: qui invece Maria sta per la Chiesa,che annulla (rimette) i peccati del fedele, e si tratta diproblemi diversi». Cfr. M. Calvesi, “Tanto contenta dimirar sua figlia”, in Coliva, cit., p. 37.49 A. Zuccari, Il caravaggismo a Roma. Certezze e ipo-tesi, in A. Zuccari (a cura di), I caravaggeschi, Milano2010, I, pp. 42-43. 50 P. Y. Le Pogam, La sculpture à la lettre, Paris 2008,pp. 144-146.51 Leggenda Aurea, trad. di C. Lisi, Firenze 1952, p. 47.

COMPENDIO

Nella prima parte dell’articolo l’autore, prendendo atto del probabile ritardo dell’arrivo a Roma del Caravaggiorispetto alla data precedentemente accreditata, pubblica una tarda biografia del Merisi che tra molti errori, e partiriprese dal Bellori, contiene anche notizie “nuove”, forse infondate o forse riprese anch’esse da una fonte più antica,della cui veridicità non possiamo comunque sapere. Nella seconda parte identifica con largo margine di probabilitàla Natività di Palermo con il noto dipinto commissionato al Merisi nell’aprile del 1600. Nella terza parte dimostrache il dipinto della Sant’Anna dei Palafrenieri non fu rifiutato perché il suo mancato utilizzo dipese dalla concessionenegata dell’altare maius per il quale la pala, inadattabile ad un altare minore, era stata prevista. Nella parte quarta segnala l’antica rappresentazione di Ila rapito dalle ninfe come possibile fonte iconografica perl’Amor vittorioso, leggendo in esso il classico motto Amor vincit omnia. Nella quinta parte ripropone una suaprecedente ipotesi sull’attribuzione della Flagellazione di Santa Prassede a Simone Peterzano in collaborazione conil Caravaggio, muovendo dal nuovo spunto offerto da Strinati che assegna la tavola al solo Caravaggio. Nella sesta parte, infine, motiva la presenza di san Tommaso nel Giudizio di Salomone della Galleria Borghese, comefigura di colui che accerta la Verità, giudice, in questo caso, del giudice.


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