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EPIGRAFIA E ORDINE SENATORIO, 30 ANNI DOPO

a cura diMaria Letizia Caldelli – Gian Luca Gregori

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T I T V L I10

ROMA 2014

EDIZIONI QUASAR

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Opera realizzata con il contributodi Sapienza Università di Roma,École Pratique des Hautes Études

e British School at Rome

I contributi sono stati sottoposti a peer review

Tutti i diritti riservati

© Roma 2014 - Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l.via Ajaccio 43, 00198 Roma

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per ordini o informazioni: www.edizioniquasar.it

ISBN 978-88-7140-567-4

Comitato scientifico della collana

Maria Letizia Caldelli, Gian Luca Gregori, Maria Letizia Lazzarini, Silvia Orlandi, Silvio Panciera

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Silvia Orlandi - Valentina Vegni

EPIGRAFIA SENATORIA E RILIEVO DIGITALE: DUE ESEMPI URBANI1

1. La veste grafica dei volumi che contengono edizioni di epigrafi si è profondamente tra-sformata nel corso del tempo, in parte come conseguenza della progressiva disponibilità di sempre nuove tecniche di riproduzione dei testi e dei supporti delle iscrizioni, in parte per l’evolversi degli studi epigrafici e l’affinarsi degli scopi e degli obiettivi che l’epigrafia si propone.

Nei volumi ottocenteschi del Corpus Inscriptionum Latinarum, ad esempio, le iscrizioni sono trascritte in caratteri tipografici maiuscoli che si propongono di dare un’idea approssimativa dell’aspetto dell’originale, mentre nei supplementi pubblicati a partire dalla fine del secolo scorso è invalso l’uso delle trascrizioni interpretative che adottano un sistema di segni diacritici inter-nazionalmente riconosciuto. Questa diversa impostazione grafica non è motivata solo dal fatto che, nel primo caso, la pubblicazione non era accompagnata da immagini fotografiche o disegni, che sono invece sistematicamente presenti nei supplementi più recenti, ma dipende anche da una diversa sensibilità, sviluppatasi negli ultimi decenni, per la presentazione delle iscrizioni. Oltre che per il loro contenuto. Allo stesso modo, non è frutto solo di un condizionamento tecnico, ma anche di una precisa scelta editoriale, la decisione di ridurre al minimo gli interventi integrativi nei primi volumi del CIL, limitandoli ai pochi casi in cui l’integrazione era pressoché sicura o ad alcune spesso geniali ipotesi ricostruttive proposte da Theodor Mommsen sulla base della sua straordinaria conoscenza delle fonti antiche. Al caratteristico aspetto delle pagine del “vecchio” Corpus, in cui gli sporadici interventi integrativi si distinguono per l’adozione del minuscolo corsivo, si contrappone ora quello altrettanto caratteristico dei nuovi volumi, dove il ricorso alle trascrizioni interpretative consente il sistematico inserimento delle parti integrate – sia pure di-stinte tra probabili, possibili o solo ipotetiche - e frequente è l’aggiunta di disegni ricostruttivi che visualizzano l’aspetto che doveva verosimilmente avere il testo originale. La relativa frequenza di queste ricostruzioni grafiche nasce, d’altronde, non solo dalla possibilità materiale di eseguirle con una particolare precisione e rapidità, che è stata indubbiamente agevolata dall’uso del computer (machinae computatoriae ope usus delineavit ille, come si legge nelle didascalie), ma anche dalla consapevolezza che, per essere credibile, un’integrazione deve “reggere” anche ad una verifica grafica che tenga conto delle caratteristiche del testo (forma e dimensioni dei caratteri, impagi-nazione, spazi tra lettere e parole e così via). Questo doppio ordine di considerazioni - tecnico e

1 Le parti 1-2 e 4-5 sono di Silvia Orlandi, la parte 3 di Valentina Vegni. Tutte le ricostruzioni digitali pubbli-cate nel testo sono di Valentina Vegni e la ricerca è stata condotta dalle autrici in stretta collaborazione.

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concettuale - suggerisce l’opportunità di sottoporre materialmente, ogni volta che sia possibile, le integrazioni proposte per un testo frammentario, anche a questo tipo di verifica.

A questo scopo sono stati sviluppati, testati e adattati alle particolari esigenze poste dai testi epigrafici diversi software per il rilievo, sia grafico (in due e tre dimensioni), sia fotografico, che sono stati oggetto di un’articolata presentazione nel corso di una giornata di studio dal titolo “Dalla matita al laser scanner”, organizzata alla Sapienza Università di Roma in collaborazione con Roma Tre il 7 giugno 2010. Ogni tecnica di rilievo presenta vantaggi e svantaggi che la ren-dono più o meno adatta alle diverse caratteristiche e problematiche che le iscrizioni presentano. Il metodo scelto per i “casi-studio” che in questa sede si propongono non è così l’unico possibile, ma semplicemente è sembrato quello più rispondente alle particolarità dei testi epigrafici presi in considerazione e alle ipotesi che si intendeva sottoporre a verifica.

2. Un caso in cui l’interazione tra ricostruzione storica e rilievo digitale di un’epigrafe si è rivelato particolarmente proficuo è quello dell’elogium di Tito Flavio Sabino, fratello di Vespa-siano, morto durante gli scontri contro Vitellio nel 69 e onorato con una dedica rinvenuta nel Foro Romano. L’occasione per riprendere in considerazione questo documento è stata fornita dalla mostra Divus Vespasianus, allestita al Colosseo nel 2009 per celebrare il bimillenario dei Flavi, nell’ambito della quale il frammento (normalmente conservato nei magazzini della Soprintenden-za Speciale per i Beni Archeologici di Roma) fu esposto al pubblico. In quella circostanza abbiamo ampiamente e proficuamente discusso con Silvio Panciera dei problemi posti dalla ricostruzione di quest’epigrafe, ma i risultati solo parzialmente sono confluiti nella breve scheda che accompagna il pezzo nel catalogo della mostra2; abbiamo quindi pensato di riprenderli e svilupparli più ampia-mente in questa sede, come testimonianza dell’“educazione permanente” che riceviamo continua-mente dal suo magistero, in veste di studenti, di collaboratori e anche di colleghi.

Si tratta di una lastra marmorea par-zialmente ricomposta da due frammenti e priva di tutti i margini, (34) x (33,5) x 9,5, rinvenuta alla fine dell’ ’800 presso la colon-na di Foca, dove era stata reimpiegata nelle fondamenta di “alcuni granari”, forse non lontano da dove doveva essere originaria-mente collocata. Il testo è inciso in caratteri di piccole dimensioni (solo 2 cm, a eccezione delle I montanti che raggiungono i cm 2,6), incisi con molta regolarità su una superficie accuratamente levigata. Anche l’impagina-zione si presenta particolarmente curata, con il ricorso a spazi più ampi tra alcune parole a indicare le diverse sezioni del testo (fig. 1).

Dopo una prima, scarna notizia del rinvenimento3, già l’anno successivo il testo

2 Orlandi 2009, dove non tutte le correzioni delle bozze sono state perfettamente recepite.3 Lanciani 1882, 411.

Fig. 1. Frammento di epigrafe in onore di Tito Flavio Sabino (Neg. Univ. 20609).

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fu identificato come relativo a Tito Flavio Sabino, e ripubblicato4 accogliendo alcune proposte d’integrazione del Mommsen, “al cui savio e cortese consiglio” il Lanciani si era rivolto, come segue (fig. 2):

Un paio di decenni dopo lo stesso Mommsen ebbe occasione di tornare sul pezzo e sui suoi supplementi (“Supplementa a Mommseno proposita ipse recognovit”) in vista dell’edizione del testo in CIL, VI 31293 (fig. 3):

4 Lanciani 1883, 224-226 nr. 641.

Fig. 2. L’edizione del testo in Lanciani 1883, 225.

Fig. 3. L’edizione del testo in CIL, VI 31293.

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Le nuove integrazioni proposte, insolitamente ampie per un testo così frammentario, sono state sostanzialmente accolte dagli studiosi successivi, con poche eccezioni:

- a r. 5 il Dessau preferisce la prima proposta mommseniana e accoglie nelle ILS 984 l’in-tegrazione [clupeum po]suit5;

- alle rr. 6-7, all’integrazione del Corpus et] / [censorium esse] censuit, altri hanno prefe-rito funus] / [censorium esse] censuit o [funus censorium] censuit6.

I supplementi proposti dal Mommsen, del resto, trovano il loro fondamento nelle notizie che sul personaggio sono trasmesse da numerose fonti letterarie ed epigrafiche7 e che trovano, in effetti, puntuale riscontro nelle parti del testo conservate. Sappiamo infatti che, dopo aver parte-cipato alla spedizione britannica di Claudio ed aver ricoperto il consolato suffetto, Flavio Sabino fu per molti anni governatore della Mesia (cfr. rr. 1-2 della ricostruzione mommseniana), venne nominato curator del censimento gallico del 61, salvo dimettersi quasi subito dall’incarico (r. 2), e ricoprì più volte la carica di prefetto urbano tra il 56 e il 69 (rr. 2-3), anno in cui fu ucciso, proprio mentre rivestiva questa magistratura. Conosciamo bene, soprattutto dal racconto di Tacito (hist. 4, 47), anche gli onori funebri che gli furono decretati nel 70, dopo la presa del potere da parte di Vespasiano; in particolare il Senato volle per lui il funus censorium, cioè la forma più alta di funus publicum, in cui il morto - o la sua immagine8 - era rivestito della toga censoria.

Identificazione del personaggio e sequenza delle informazioni contenute nel suo elogium possono, quindi, dirsi abbastanza certe. Non altrettanto, invece, si può dire per la forma che questi elementi avrebbero assunto secondo la proposta di lettura avanzata nell’edizione del Corpus, che pertanto, nell’ottica delle considerazioni sopra esposte, è stata sottoposta ad una verifica grafica.

3. Il lavoro di verifica è stato eseguito partendo dal negativo della fotografia del pezzo (fig. 4), dal quale è stato estrapolato un ingrandimento in formato A4, a sua volta poi acquisito come immagine digitale, con un ulteriore ingrandimento del 300% sull’originale. Tra le molte alternative possibili, per l’elaborazione digitale dell’iscrizione si è scelto di utilizzare il software Adobe Illustrator®. Questa applicazione consente di operare direttamente sull’immagine, impie-gando strumenti di disegno analoghi a quelli manuali; in tal modo è possibile realizzare un rilievo digitale dell’iscrizione, uguale a qualsiasi rilievo cartaceo tradizionale. Il programma offre una gamma completa di strumenti, che consentono di soddisfare tutte le esigenze di rilievo: opzioni di manipolazione digitale, strumenti di disegno, dispositivi di misurazione.

Utilizzando le opzioni di manipolazione si può intervenire direttamente sull’immagine, correggendola per migliorarne la leggibilità: essa può essere ingrandita, ridimensionata, modi-ficata nella frequenza di colore, o trasformata nel suo negativo (fig. 4); i colori possono essere schiariti, scuriti, alterati. Questi interventi permettono di individuare con notevole precisione ed affidabilità i contorni delle lettere dell’iscrizione, gettando le basi per una restituzione perfetta-mente rispondente all’originale, sia dal punto di vista paleografico, sia per quanto riguarda le dimensioni e le proporzioni.

5 Seguito da McCrum - Woodhead 1961, 47 nr. 97 e da Wesch-Klein 1993, 124.6 Wesch-Klein 1993, 124.7 Raccolte in PIR², F 352. Sulla carriera di Flavio Sabino, i cui dettagli sono ricostruiti in vario modo dai

diversi studiosi, vd. la bibliografia raccolta in CIL, VI, p. 4341.8 Come pensa Wesch-Klein 1993, 29, la quale ritiene che quando il funerale fu celebrato, al posto del defunto,

morto da diversi mesi, sia stato bruciato un fantoccio di cera (funus imaginarium).

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La serie di strumenti di disegno del software comprende dispositivi di disegno ‘virtuali’: penne, matite, strumenti di cancellazione e di taglio, pulsanti di modifica (‘copia’, ‘incolla’, ‘ruo-ta’, ‘sposta’, e molti altri), con i quali è possibile creare e modificare sia tratti disegnati a mano libera sia tratti predefiniti, rettilinei o curvi. Ognuno di essi comprende molteplici opzioni, riu-scendo in tal modo a soddisfare qualsiasi esigenza. Gli elementi così realizzati possono essere a loro volta modificati: si può lavorare sullo spessore, sul colore, sull’opacità, sul riempimento delle forme ottenute, sulla linea continua o tratteggiata. Inoltre il software contiene una serie di filtri con i quali è possibile caratterizzare di volta in volta i frammenti contenenti l’iscrizione: utilizzandoli singolarmente o in combinazione è possibile ‘colorare’ la lastra ottenuta dandole un aspetto simile a quello reale.

Infine, gli strumenti di misurazione. Una volta realizzato il rilievo della parte conservata, le lettere, copiate e perfezionate nelle dimensioni, serviranno per ricostruire la parte mancante. Tra le opzioni sono presenti griglie, righelli, assi verticali ed orizzontali, che possono essere usati favorevolmente per dare al testo integrato la giusta impaginazione, mantenendo le proporzioni delle lettere e delle righe, le distanze, e costruendo allineamenti verticali ed orizzontali su cui improntare il testo integrato.

In concordanza con il procedimento teorico di restituzione delle iscrizioni appena illustra-to, anche in questa sede il lavoro è stato svolto in più fasi: a) restituzione della parte conservata; b) integrazione delle parti mancanti e studio dei risultati; c) caratterizzazione della lastra con l’u-tilizzo degli appositi filtri.

Fig. 4. Fotografia dell’epigrafe in negativo.

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La prima fase prevedeva il rilievo dei due frammenti ricomposti. L’esito di questa elabo-razione grafica ripropone le medesime caratteristiche paleografiche e metriche della fotografia originale da cui proviene, da considerarsi la base di partenza per le successive integrazioni (fig. 5):

Fig. 5. Rilievo digitale del frammento.

Nella parte successiva del lavoro, la seconda proposta del Mommsen è stata elaborata graficamente, riportando il testo ipotizzato dallo studioso ai lati della lastra e ottenendo il seguente risultato, che presenta evidenti disarmonie nell’impaginazione (fig. 6).

Fig. 6. Trasposizione grafica delle proposte d’integrazione del Mommsen.

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4. Naturalmente, nell’immenso panorama dell’epigrafia latina, non mancano esempi di iscri-zioni, anche di committenza elevata, in cui il lapicida ha commesso errori, più o meno evidenti, nel calcolo degli spazi e nella distribuzione delle lettere sulle diverse righe del testo. Ma per un’iscrizio-ne che si presenta eseguita con una particolare cura nella preparazione della superficie marmorea e nell’incisione delle lettere, e destinata a ricordare in uno spazio pubblico altamente significativo il complesso degli onori, conferiti ad uno dei protagonisti dell’ascesa al trono dell’imperatore regnante è semplicemente impensabile che, in pieno I secolo d.C., si potesse concepire un testo così mal im-paginato ed accettare un prodotto di officina così mal eseguito. Non era passata invano, infatti, l’età di Augusto, che più e prima di ogni altro aveva intuito le potenzialità comunicative insite non solo nel contenuto, ma anche nella forma dei messaggi epigrafici. Sarebbe stata cura dei suoi successori raccogliere questa eredità e valorizzare sapientemente gli elementi non verbali (forma e dimensione delle lettere, scelta dei materiali, contesto topografico) delle iscrizioni da loro commissionate, che intendevano veicolare gli stessi valori di ordine e di ripristino dell’armonia, della legalità e della prosperità di cui ogni nuovo regno si presentava come portatore. Di tali elementi, fondamentali per la corretta comprensione di un documento epigrafico, non si potrà, dunque, non tenere conto anche nella ricostruzione del nostro frammento, rivedendo, alla luce di queste considerazioni, e con l’ausi-lio degli strumenti posti a nostra disposizione dalla tecnologia, le integrazioni fin qui proposte.

Per quanto riguarda la parte iniziale del testo, un buon risultato si può ottenere semplice-mente ipotizzando un uso diverso delle abbreviazioni e un’impaginazione più “compatta”, con la menzione della legazione di provincia concentrata nella prima riga conservata e la cura del censo gallico e delle prefetture urbane nella seconda (fig. 7).

Ipotizzando che la menzione dell’iterazione della carica di praef. Urbi si trovasse alla fine della seconda riga conservata, e non all’inizio della terza come nella ricostruzione momm-seniana, si ottiene anche un altro risultato, importante ai fini della leggibilità del testo e dell’im-mediata individuazione delle parti che lo componevano. Al ricordo delle cariche ricoperte dal defunto in vita, che doveva occupare la prima parte dell’iscrizione e che si apriva verosimil-mente con il nome dell’onorato, seguiva, infatti, l’elenco cospicuo degli onori che il Senato, su proposta di Vespasiano, gli aveva decretato post mortem, verosimilmente introdotto, come in molti altri casi simili, dal pronome hic. Sia che fosse anch’esso in dativo (Huic), sia che fosse in accusativo (Hunc) - a seconda della costruzione sintattica delle righe successive - questo ri-sulterebbe in ogni caso rientrato rispetto al margine sinistro del testo e posto all’inizio di in una breve riga centrata - e quindi più evidente - rispetto alle altre che la precedevano e la seguivano. Questo tipo di impaginazione, con elenco degli onori introdotto dal pronome variamente evi-denziato (rientrato, sporgente o distanziato dalle righe precedenti) trova confronto in numerose iscrizioni onorarie di varie epoche, e risponde efficacemente all’esigenza di attirare l’attenzione del pubblico sulle motivazioni e le modalità che avevano portato all’erezione del monumento di fronte al quale si trovava (fig. 8).

Fig. 7. Nuova ricostruzione delle rr. 1-2.

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Per la parte centrale e finale del testo, invece, si impone un ripensamento, non solo dell’im-paginazione e delle abbreviazioni utilizzate, ma delle stesse integrazioni fin qui proposte ed accettate.

In particolare, per la parte relativa alla descrizione degli onori funebri decretati a Flavio Sabino, un utile modello, prima non disponibile, può essere offerto dalle iscrizioni di Lucio Vo-lusio Saturnino, console del 3 d.C., che alla sua morte, avvenuta nel 56, ricevette onori altrettanto eccezionali. Sia in quella esposta nel lararium della villa di famiglia a Lucus Feroniae9, sia sulle basi delle statue dedicate a questo personaggio in vari luoghi della città di Roma, infatti, si speci-fica che, anche nel suo caso, il Senato aveva concesso sia il funus publicum, sia il iustitium, cioè la sospensione dell’attività dei tribunali (vadimoniis dilatis) in occasione del trasporto del feretro (questo il significato tecnico del termine exequiae, che indica una precisa parte della cerimonia funebre10). Il confronto con le espressioni adottate in queste iscrizioni, vicine alla nostra sia per tipologia che per datazione, potrebbe suggerire anche per l’elogium di Flavio Sabino una ricostru-zione simile. All’ipotesi di un uso transitivo del verbo censeo, del tipo [Huic] senatus, auctor[e] / [Imp(eratore) Caes(are) Vesp]asiano fratre [funus] / [publicum cen]suit, vadimon[iis eius] / [exe-quiar(um) cau]sa dilatis - pure teoricamente possibile sia dal punto di vista grammaticale, sia in base allo spazio disponibile - sembra tuttavia preferibile una costruzione in cui censeo regga una subordinata: infinitiva (Hunc senatus ... funere publico efferri censuit)11, o gerundiva (Hunc sena-tus ... funere publico efferendum vel efferundum censuit)12.

Valorizzando, però, la notizia di Tacito sopra citata, che parla esplicitamente, per Fla-vio Sabino, di un funus censorium (funusque censorium Flavio Sabino ductum)13, ma senza per

9 AE 1972, 174 = 1982, 268: ... senatus] / [auctore Caesare Aug(usto) Germa]nico funere publico [eum effer-ri] / [censuit vadimoniis exse]q[ui]arum [ei]us causa dilatis ...

10 Come sottolinea giustamente Melchor Gil 2007. Cameron 2002, 291 fa notare che sia Volusio Saturnino che Flavio Sabino ricevettero l’onore del iustitium dopo essere morti mentre erano in carica come prefetti urbani, e che, secondo le integrazioni e le interpretazioni proposte dal Cameron per il suo carme sepolcrale, lo stesso riconoscimento potrebbe essere stato decretato a Giunio Basso, anch’egli morto durante la stessa magistratura.

11 Con un’espressione simile a quella proposta per l’iscrizione di Volusio Saturnino sopra citata. Per efferri censuerunt cfr. anche AE 1955, 187 = 2005, 300 (da Ostia).

12 Per efferendum cfr. CIL, XIV 321 e AE 1988, 196 (relative allo stesso personaggio, da Ostia) e CIL, VIII 24583 (da Cartagine, su cui vd. infra), per efferundum cfr. CIL, XIV 415 e 4494 (da Ostia) e AE 1908, 218, ripresa in Camodeca 2004, 337, da Teanum Sidicinum. In generale, per l’uso del verbo efferre come termine tecnico per indicare il trasporto funebre, sia nelle fonti epigrafiche che in quelle letterarie, vd. Blasi 2008.

13 Cfr. i casi di Lucilius Longus, console del 7 d.C., di cui pure Tacito (ann. 3, 15, 2) dice che censorium funus, effigiem apud forum Augusti publica pecunia patres decrevere, e L. Aelius Lamia, la cui morte, nel 33 d.C., venne funere censorio celebrata (Tac., ann. 6, 27, 2); vd. in proposito Wesch-Klein 1993, 24.

Fig. 8. Nuova ricostruzione delle rr. 1-4.

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questo aggiungere, secondo una prassi priva di confronti, al conferimento del funus publicum un’altra delibera del Senato che specificasse che questo fosse di tipo censorio (come nella propo-sta di integrazione di CIL, VI 31293: funus fieri censuit ... et censorium esse censuit), si potrebbe piuttosto pensare ad un’integrazione del tipo [Hunc] senatus, auctor[e] / [Imp(eratore) Caes(are) Vesp]asiano fratre [fun(ere) cens(orio)] / [efferend(um) cen]suit, vadimon[iis eius] / [exequiar(um) cau]sa dilatis (fig. 9).

Più complesso si presenta il problema di integrare in modo soddisfacente l’ultima parte del testo che, oltre al conferimento di una statua nel Foro di Augusto, doveva comprendere un altro provvedimento del Senato in onore di Flavio Sabino, come suggerisce la presenza di uno spazio separatorio anepigrafe in r. 6 e di un secondo censuit in r. 7.

In questa posizione, è verosimile la presenza di un altro elemento caratteristico di onori funebri per personaggi di spicco del mondo romano, distinto sia dalle esequie vere e proprie che dalla concessione della statua ricordata in seguito. Si potrebbe pensare, ad esempio, alla lauda-tio publica14, che, pur non essendo esplicitamente menzionata da Tacito, è plausibile che facesse parte della cerimonia funebre per Flavio Sabino e, anzi, costituirebbe quasi il naturale pendant del suo elogium epigrafico. Numerosi sono i casi di laudatio funebre attestati - epigraficamente e non solo15 - per defunti illustri, ma il confronto che meglio di ogni altro sembrerebbe adattarsi alla struttura sintattica del testo che stiamo prendendo in considerazione e allo spazio disponibile è quello dell’iscrizione relativa agli onori funebri di D. Lucretius Valens da Pompei16. Ipotizzando anche per l’elogium di Sabino l’uso del verbo laudari al posto del sostantivo laudatio (più diffuso, ma meno facilmente iscrivibile tra la fine della r. 6 e l’inizio della r. 7), si potrebbe, ad esempio, proporre l’integrazione item eum / publ(ice) laudari censuit.

Preferibile appare, tuttavia, un altro elemento ricorrente in questo tipo di testi, e che pure potrebbe adattarsi bene al caso in questione, e cioè una disposizione specifica relativa al luogo di sepoltura, che si suppone particolarmente prestigioso e tanto eccezionale da richiedere un’appo-sita delibera del Senato. Si pensi, ad esempio, al riferimento ad un senatus consultum presente sia nell’iscrizione di C. Publicius Bibulus (CIL, VI 1319 = 31599), sepolto in un locus publice datus, sia in quella del console C. Vibius Pansa (CIL, VI 37077), sepolto in Campo Marzio non

14 Vd. in proposito Melchor Gil 2007.15 Si vedano, ad esempio, quelli elencati, per la Roma di età repubblicana, da Blasi 2012, 155-158 e, per la

Betica, da Dardaine 1992, 148-151.16 AE 1994, 398, per la quale vd. la riedizione di Camodeca 2004 = AE 2004, 405, in part. per le rr. 5-7: Huic

ordo de[curio]num [in funere HS - - - et] / locum sepulturae et d[- - - dari] laudarique publice eum et statuam equestrem [in foro] poni pecunia public(a) / censuit.

Fig. 9. Nuova ricostruzione delle rr. 3-6.

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lontano dal suo collega Aulo Irzio. Esplicita, poi, è la menzione della sepoltura in Campo Marzio contenuta nel frammento epigrafico in cui è stato proposto di riconoscere gli onori funebri (che comprendevano anche una statua) tributati nel 54 a.C. a Giulia, figlia di Cesare (CIL, VI 41025: ... / [sepe]lirique eam in Campo Martio iu[sserunt])17. Il confronto più interessante, tuttavia, sembra essere costituito da un’iscrizione posta a Cartagine in onore di Sex. Appuleius, sicuramente impa-rentato con Ottavia Maggiore, sorellastra di Augusto, in cui si ricorda il conferimento da parte del Senato della possibilità di essere sepolto in un particolare sepulchrum, forse anch’esso in C[am-pum Martium], e di ricevere una statua pedestre (CIL, VIII 24583 = ILS 8963)18. Non escluderei, quindi, che anche nell’elogium di Flavio Sabino, il ricordo del funus publicum e del iustitium fosse seguito da un’espressione che ricordava la sua sepoltura in un luogo pubblico e a pubbliche spese, particolarmente appropriata per un magistrato morto in carica e nell’esercizio delle sue funzioni. Se così fosse, il testo delle rr. 6-7, compatibilmente con lo spazio disponibile, potrebbe essere ipoteticamente ricostruito come segue: ... [exequiar(um) cau]sa dilatis, [eique loc(um)] / [sepul-t(urae)19 dari vel dand(um)] censuit, sta[tuamque]... (fig. 10).

Anche la formulazione, nelle righe finali del testo, della decisione di erigere a Sabino una statua nel Foro di Augusto, dettaglio parimenti assente nel racconto di Tacito20, richiede un piccolo intervento correttivo. Per riequilibrare la distribuzione tra parole e spazi bianchi nelle rr. 7-9, ipotiz-zando che la parola finale del testo (decrevit) fosse centrata, è lecito supporre che nella parte iniziale della r. 8 fosse presente un aggettivo destinato a specificare il particolare tipo di statua con cui il Senato aveva deciso di onorare il fratello dell’imperatore. Si potrebbe pensare ad un termine relativo alle caratteristiche della statua stessa (come pedestrem o triumphalem), o al materiale con cui era fatta. Considerati lo spazio disponibile e la levatura del personaggio, ed escludendo il rarissimo - so-prattutto in quest’epoca - onore di una statua aurat(am), l’ipotesi più probabile sembra quella di una statua aeneam, visto che una statua di bronzo ben si adatterebbe ad un uomo cui si voleva riconoscere sempre il massimo degli onori, senza, tuttavia, escludere altre possibilità (fig. 11).

17 Su tutti questi esempi vd. ora il commento di Blasi 2012, 76-81 e 89-90 e Blasi - Porcari 2013. Cfr. anche, in ambito municipale, AE 1913, 214, in cui a Rutedia Ursia l’ordo decurionum di Capua [fu]nus public(um) faciund(um), / [lo]cumq(ue) sepulturae dand(um), / [sta]tuas duas pec(unia) publice / [pon]endas censuit, e AE 1989, 341m (da Catania), in cui di Grattia Paulla si dice funere publico elata et lo[co] / publico sepulta et sta[tua] / data in foro d(ecreto) d(ecurionum).

18 Su questa iscrizione vd. le proposte di integrazione raccolte e commentate da Wesch-Klein 1993, 208-209, con ulteriore bibliografia, cui andrà ad aggiungersi tra breve un nuovo studio del testo, attualmente in corso di pubbli-cazione da parte di Silvio Panciera.

19 Benché la forma scritta per esteso sia nettamente prevalente nelle attestazioni epigrafiche, non mancano esempi in cui l’espressione locum sepulturae risulta variamente abbreviata, anche alle sole iniziali (per l’abbreviazione loc. sepult. cfr. ad es. CIL, III 3054 = 10067, da Alvona, in Dalmatia, e AE 1967, 187, da Emerita). Pure attestata, ma con molta meno frequenza, l’espressione locum sepulc(h)ri.

20 Ma cfr. il caso del sopra citato Lucilius Longus, cui il Senato decretò funus censorium e effigiem apud forum Augusti.

Fig. 10. Nuova ricostruzione delle rr. 6-7.

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È solo grazie ad una ripetuta verifica grafica delle varie formulazioni possibili, dunque, che siamo pervenute alla nuova proposta di integrazione della parte finale dell’iscrizione onora-ria di Flavio Sabino che sotto proponiamo (fig. 12). Anche se alcuni punti rimangono incerti, la ricostruzione ottenuta sembra nel complesso più soddisfacente delle precedenti, sia per quanto riguarda il formulario utilizzato, sia sul piano di un’elegante presentazione del testo, che, come si è notato, prevedeva l’uso di spazi bianchi anepigrafi per separare - e quindi evidenziare - i vari elementi (funus publicum, iustitium, forse locum sepulturae, statua) che costituivano l’insieme degli onori funebri per Flavio Sabino.

Fig. 12. Nuova ricostruzione dell’elogium di Flavio Sabino.

Fig. 11. Nuova ricostruzione delle rr. 7-9.

Ci si può chiedere, infine, se non sia proprio inserita nella fronte della base della statua menzionata per ultima e destinata al Foro di Augusto (all’epoca destinato a fungere da “conteni-tore” ideale per la celebrazione di tutti i grandi personaggi della storia romana) che dobbiamo im-maginare la lastra cui originariamente apparteneva il frammento in questione. Classe del supporto (una lastra di marmo sottile verosimilmente destinata alla fronte di una base in muratura), carat-teristiche paleografiche (con lettere di piccole dimensioni e di fattura molto accurata) e tipologia del contenuto (il testo non si limita ai meriti acquisiti in vita e alla semplice sequenza delle cariche del cursus honorum, ma registra anche gli eccezionali onori a lui concessi post mortem) avvici-nano, del resto, la nostra iscrizione agli elogia degli uomini illustri esposti nei portici del Foro di Augusto, che costituiscono un dossier epigrafico molto facilmente riconoscibile proprio per le sue

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caratteristiche formali. Il luogo di provenienza del pezzo, che era stato riutilizzato come materiale da costruzione in una muratura tarda del Foro Romano, non esclude una simile provenienza.

5. Diverso il caso di un altro documento epigrafico relativo ad un membro dell’ordine senatorio, che si differenzia dal precedente per cronologia, tipologia del testo e vicende museali, ma che come il precedente beneficia della possibilità di essere virtualmente ricostruito grazie ad un rilievo digitale eseguito con la stessa tecnica.

Si tratta di una lastra iscritta, non sappiamo se di natura onoraria o sepolcrale, dedicata al senatore tardoimperiale Sesto Anicio Paolino, che fu proconsole d’Africa, console ordinario nel 325 e prefetto urbano dal 331 al 33321. Anche questa volta la lastra fu rinvenuta in reimpiego, ma in questo caso come copertura di una tomba situata sotto il pavimento della basilica di S. Stefano sulla via Latina, sorta alla metà del V secolo nella tenuta che gli Anicii possedevano nell’area dell’attuale parco delle Tombe della via Latina, nella cui villa suburbana va verosimilmente cerca-ta la collocazione originaria della nostra iscrizione.

Quando fu rinvenuta, negli scavi eseguiti nel 1857 da Lorenzo Fortunati, la lastra era inte-gralmente ricomposta da 4 frammenti, e come tale fu pubblicata prima in base ad una lettera inviata da Bartolomeo Borghesi a Henzen22 (fig. 13), poi dallo stesso Fortunati23 e infine in CIL, VI 1680.

All’epoca del supplemento al Corpus curato da Christian Hülsen nel 1902, la lastra si conservava nei magazzini del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, dove Münzer la vide24, ma il frammento corrispondente al margine destro della lastra, pur conservandosi nello stesso luogo, doveva essersi già staccato dal resto, se poté essere pubblicato a parte, come se fosse inedito, sotto il numero CIL, VI 31789 (fig. 14).

La coincidenza tra il testo del frammento e la porzione attualmente mancante dell’iscri-zione di Paolino, la complementarietà delle tracce di R visibili rispettivamente sul margine destro della parte conservata e sul margine sinistro del frammento descritto dal Vaglieri, e l’identità del luogo di conservazione dei pezzi rendono più che plausibile l’ipotesi che si tratti in realtà della stessa iscrizione25.

21 CIL, VI 1680.22 Henzen 1858, 21.23 Fortunati 1859, 13 nr. 27.24 CIL, VI, p. 3173.25 Sarà quindi da eliminare l’anonimo proconsole d’Africa o d’Asia incluso nell’elenco di Thomasson 1984,

242 nr. 243.

Fig. 13. L’edizione del testo recepita da Henzen 1858.

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Sia quando l’iscrizione di Anicio Paolino fu ripresa in esame da Géza Alföldy per il sup-plemento alla sezione Magistratus populi Romani26, sia quando il pezzo fu temporaneamente espo-sto nella sezione epigrafica del Museo Nazionale Romano, nell’allestimento che era stato origina-riamente progettato27, tuttavia, ci si limitò a constatare la perdita del frammento destro della lastra e la conseguente diminuzione del testo (fig. 15); la possibile pertinenza a questo pezzo del testo edito in CIL, VI 31798 non era finora mai stata ipotizzata.

Purtroppo, il frammento è attualmente irreperibile28, e non potendo, quindi, procedere ad una materiale ricomposizione del testo, l’unico modo per restituire alla lastra il suo aspetto origi-nario è quello di una ricostruzione virtuale, ottenuta con lo stesso metodo usato per l’epigrafe di Flavio Sabino (fig. 16).

26 CIL, VI, fasc. 8, 3, pp. 4732-4733.27 Per cui vd. la scheda di Friggeri 2001, 111.28 Non è presente nell’elenco pubblicato da Caprino 1967, e nel supplemento a CIL, VI, fasc. 8, 3, p. 4786 si

legge “Olim in thermis Diocletiani asservabatur. Periit”.

Fig. 14. Apografo del frammento pubblicato in CIL, VI 31789.

Fig. 15. La lastra di Sex. Anicius Paulinus nel suo attuale stato di conservazione.

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6. I due casi qui presentati, tra i molti possibili, offrono un esempio significativo di come l’interazione tra epigrafista e esperto di rilievo digitale si presenti non solo come un utile ausilio in fase di presentazione finale dei risultati di una ricerca, ma un interessante e, anzi, indispensabile strumento di verifica e di confronto nell’intero percorso dello studio o del riesame di un’iscrizione, nell’ottica di un costante rapporto tra testo e supporto. Una delle tante, piccole cose che possono contribuire a migliorare progressivamente la nostra conoscenza di due rappresentanti dell’ordine senatorio e delle iscrizioni che li menzionano.

abstract

Aim of this paper is to show, through two case-studies, how important is to test the integrations of a fragmentary inscrip-tion from the viewpoint not only of the content, but also of the formal aspect of the reconstructed text. Digital drawings can be of great help in this task, as it is shown by the examples of two senatorial inscriptions here reconsidered: the elogium for Flavius Sabinus, brother of Vespasian (CIL, VI 31293) and the inscription of the late imperial urban prefect Sextus Anicius Pulinus (CIL, VI 1680).

bIblIografIa

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Fig. 16. Ricostruzione virtuale della lastra di Sex. Anicius Paulinus.

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