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S ono vissuta a Roma, con qualche periodo in giro per l’Italia per il lavoro di mio padre. Ero una bambina molto curiosa, sempre felice di conosce- re cose nuove. Ho vissuto un’in- fanzia serena, in una bella fami- glia: noi bambini vivevamo con gusto il nostro essere bambini, cir- condati da grandi, simpatici, che trasmettevano serenità ma anche qualche sgridata quando serviva. In casa ho sempre respirato amore per la bellezza e la cultura. Mio nonno esortava i suoi figli, mia madre e i miei zii, a far cre- scere i loro bambini nel bello, pur se con sacrifici e nella sobrietà. La bellezza è un’esperienza che mi è rimasta scolpita nel cuore. Abito nel centro storico di Roma, vicino a piazza Navona, e per andare all’asilo scorgevo tra i vicoli la cupola di Sant’Agnese, quella di S.Ivo alla Sapienza e quella del Pantheon: opere d’arte che educavano il gusto. Il rumore dell’acqua delle fonta- ne mentre cammini, la cura del particolare architettonico, l’ar- monia delle piazze, appagano il senso più alto della vita umana, mentre quando ci si inoltra in alcune periferie si avverte un senso di ingiustizia verso gli uomini che ci abitano. Il rapporto con la fede è stato sereno, non imposto, sempre pre- sente nei fatti quotidiani. Ad esempio la preghiera prima dei pasti, quando il bambino vuole buttarsi sul piatto: all’inizio sem- bra un ostacolo e poi ti manca se non lo fai. Ero ospite di una zia anziana che mi disse prima di addormentar- mi: «hai pensato a ringraziare il Signore per questa bella giornata che hai avuto?». Io non ci avevo mai pensato, però la proposta mi sembrò una cosa giusta. E poi la figura dell’angelo custo- de, che cominciò ad essere il mio amico nelle piccole avventu- re vissute da sola; nelle gite in bicicletta immaginavo che lui stesse dietro a proteggermi, sedu- to sul portapacchi. Queste presenze soprannaturali avevano un posto “naturale” Uno stile cristiano di vita Paola Grossi Gondi

Uno stile cristiano di vita Paola Grossi Gondi · Uno stile cristiano di vita Paola Grossi Gondi. ... sarebbero arrivati alla fine. Una specie di roulette russa ... il servizio. Negli

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Page 1: Uno stile cristiano di vita Paola Grossi Gondi · Uno stile cristiano di vita Paola Grossi Gondi. ... sarebbero arrivati alla fine. Una specie di roulette russa ... il servizio. Negli

Sono vissuta a Roma, conqualche periodo in giro perl’Italia per il lavoro di mio

padre. Ero una bambina moltocuriosa, sempre felice di conosce-re cose nuove. Ho vissuto un’in-fanzia serena, in una bella fami-glia: noi bambini vivevamo congusto il nostro essere bambini, cir-condati da grandi, simpatici, chetrasmettevano serenità ma anchequalche sgridata quando serviva.In casa ho sempre respiratoamore per la bellezza e la cultura.Mio nonno esortava i suoi figli,mia madre e i miei zii, a far cre-scere i loro bambini nel bello, purse con sacrifici e nella sobrietà.La bellezza è un’esperienza chemi è rimasta scolpita nel cuore. Abito nel centro storico di Roma,vicino a piazza Navona, e perandare all’asilo scorgevo tra ivicoli la cupola di Sant’Agnese,quella di S.Ivo alla Sapienza equella del Pantheon: opere d’arteche educavano il gusto. Il rumore dell’acqua delle fonta-ne mentre cammini, la cura delparticolare architettonico, l’ar-

monia delle piazze, appagano ilsenso più alto della vita umana,mentre quando ci si inoltra inalcune periferie si avverte unsenso di ingiustizia verso gliuomini che ci abitano. Il rapporto con la fede è statosereno, non imposto, sempre pre-sente nei fatti quotidiani. Adesempio la preghiera prima deipasti, quando il bambino vuolebuttarsi sul piatto: all’inizio sem-bra un ostacolo e poi ti manca senon lo fai. Ero ospite di una zia anziana chemi disse prima di addormentar-mi: «hai pensato a ringraziare ilSignore per questa bella giornatache hai avuto?». Io non ci avevomai pensato, però la propostami sembrò una cosa giusta. E poi la figura dell’angelo custo-de, che cominciò ad essere ilmio amico nelle piccole avventu-re vissute da sola; nelle gite inbicicletta immaginavo che luistesse dietro a proteggermi, sedu-to sul portapacchi.Queste presenze soprannaturaliavevano un posto “naturale”

Uno stile cristiano di vita

Paola Grossi Gondi

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nella miavita; un pic-colo semep i a n t a t odentro.

Artista

Una volta,da bambina,ho avutouna folgo-r a z i o n e

andando in macchina d’estate conil finestrino aperto: la gioia diavere il vento in faccia, il passag-gio in un bosco, le foglie e i ramiche giocavano col sole, la luce ele ombre che si alternavano velo-ci, l’odore del muschio, e poi unaspecie di esplosione interiore chemi faceva gridare in silenzio:«Che meraviglia. Grazie.».Avvertii che la bellezza ti fa scop-piare il cuore quando ti prendecosì, anche fisicamente, come ilvento in faccia.Hanno ritrovato dei miei disegnifatti all’asilo dove mi firmo “Pit-tore Paola GG”. Quella gioia ine-sprimibile per la natura mi ha evi-dentemente portato alla decisionedi dedicare tutta la mia vita allabellezza.

Avevo capito che il lavoro del-l’artista è molto serio e pieno disacrifici e che la strada sarebbestata stupenda, ma dura. E poi ...avevo il talento? In arte non cipuò essere mediocrità. Per la scelta del corso di studi ho

trovato incasa molteperplessità,p e r c h él’ambientescolastico eaccademico

dell’epoca non dava molte garan-zie di serietà: farmi fare il liceoartistico era considerato mandar-mi allo sbaraglio. Si appiccavanopiù che altrove gli ultimi fuochidi una ormai datata rivoluzionestudentesca, picchetti e scioperi,autogestione, assemblee, forseper emulare certi “grandi” chefacevano sul serio: stavamovivendo negli anni di piombo. Ebbe il sopravvento la fiducia:nell’educazione ricevuta, nel miocarattere forte, nella fermavolontà di voler essere un’artista.E così m’iscrissi al liceo artisticodi via Ripetta. Come Totò s ivantava di essere un uomo dimondo per aver fatto il militare aCuneo, potrei dire altrettanto peraver passato lì gli anni dell’ado-lescenza! Ho visto di tutto, e misono fatta le ossa in fretta percontrastare un ambiente cosìdiverso dal mio modo di vivere epensare. La cosa che più mi addoloravaera vedere circolare false ideolo-gie e un sostanziale disinteresseper l’arte. L’esame di maturità,che segna per molti la fine dellaspensieratezza, segnò per me lafine della guerra. Gli anni in Accademia, nellafacoltà di scenografia, sono statipiù tranquilli, anche se semprecaratterizzati da impostazioniideologiche per me assurde. Mainessuno che chiarisse il veroruolo dell’arte, mai quello dell’ar-tista nella società. Qualcuno alprimo anno ci aveva detto che cisarebbe stata una selezione natu-rale, che solo pochi, i migliori,sarebbero arrivati alla fine. Unaspecie di roulette russa... Si istillava sottilmente la rivalitàtra colleghi, si rubavano idee, si

Qui sopra: “Cotoni”In basso: “Chiave inglese”

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cercava di fare le scarpe a tutti, diprevaricare. È stato duro.Con il mio diploma di dottore inarti sceniche andai da mio nonno,uno di quelli che più credeva inme. Lui aveva fatto l’ufficialenella seconda guerra mondiale –un mito per noi in famiglia traavventure, tragedie e colpi discena – io avevo completato ilmio corso di studi, e per la primavolta mi sentii grande. Mi disse:«ora che sei una scenografa tioccorre un teatro!» e mi regalòun delizioso teatrino di legno perburattini, dell’inizio del secolo,suo dai tempi dell’infanzia. Loconservo con la dedica che mifece: «a Paola, come ricordo delmio costante augurio di eccellerenella sua arte».Dopo interessanti esperienze pro-fessionali nell’interior design enella pubblicità, ho iniziato unpercorso artistico controcorrentealla ricerca della bellezza. Ho iniziato a riflettere su ciòche si trovava intorno a me: lecose più semplici, più piccole incui però sentivo quell’emozioneche mi procurava gioia. Sceglievo inquadrature strette eben delimitate, con un punto divista non usuale. Spesso i sogget-ti erano elementi o spazi quotidia-ni visti in situazioni di grandenormalità, ma come per la primavolta, con sguardo attento e pienodi meraviglia: dei rocchetti difilo, una chiave inglese, una poz-zanghera.

L’incontro con l’Opus Dei

Un’amica, appassionata d’arte,mi parlò di San JosemaríaEscrivá. «Ma lo sai che stai dipin-gendo qualcosa che è un messag-

gio divino?» e mi spiegòl’essenza del messaggiodell’Opus Dei, proprioattraverso i dettagli raffi-gurati nei miei quadri.Fu impressionante l’affi-nità che trovai con sanJosemaría: la coinciden-za del mio percorso arti-stico con il messaggio cheil Signore gli aveva tra-smesso sulla ricerca dellasantità nelle piccole cosedi ogni giorno; come puoitrovare Dio in tutto ciòche incontri nella tua esistenza,nascosto in un particolare. Volli

Il piccolo teatro regalo di mio nonno

Sotto: “Pozzanghera”

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approfondire.Quell’amica miaiutò a decifrarela mia attrazioneper il bello, latenace ricercadell’armonia, lostupore davantialle piccole cose,come una via perintuire l’Invisi-bile attraverso ilvisibile. E capii,come artista, chemi si aprivanoorizzonti eresponsabilità.Sapevo ormaiChi si nasconde-va in quei detta-gli e perché miattraevano tanto:mi parlavano diLui e del suoaffetto. Quel gra-zie silenziososbocciato nel

cuore di bam-bina ora sapevo a Chi rivol-gerlo.

La vocazione all’Opus Dei

La mia vocazione all’OpusDei è stato un percorso natu-rale: dalla mia famiglia aquella dell’Opus Dei. Unanaturalezza che sa di divino.Eppure ho dovuto “allenarmi”per essere “Opus Dei”.La naturalezza veniva da Dio,ma io interiormente venivo...dal “Bronx”.

Ci ho messo deltempo e Lui mi haaspettato. Primadi tutto ho dovutoabbassare la guar-dia e levarmi lacorazza cheavevo costruitoattorno a me peraffrontare le diffi-coltà nello studioe nel lavoro.A l l ’ e s t e r n odovevo sempredimostrare sicu-rezza, di nonavere bisogno dinessuno, di nonfidarmi.Per quanto a casamia tendevano aridimensionarmi,avevo assorbitol’orgoglio delmestiere, quelloche ti fa credere,solo perché seiartista, di essere

più degli altri: lavoravo solo perme stessa e l’idea di essere umileera per me sinonimo di esserepecora.Il rapporto con Dio era quello diun caro amico d’infanzia con cuinon parlavo a tu per tu da tempo.Mi guardavo bene dal far parte diqualsiasi cosa che non fosse pen-sata da me e di farmi portaredove non volevo. In campo reli-gioso ero una ribelle con motiva-zioni ridicole, simile ad un mulotestone. Nell’Opera mi parlarono di amore

Dettagli di due quadri: a destra “Invaso dalla luce”sotto “Cancello”

Ho sentitointeriormente:«Guarda che tu non“entri” da nessunaparte, semmai “esci”da qualcosa, che è iltuo piccolo mondo,il tuo piccolo io»

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di Dio: di una grande storia d’a-more; della più grande storia d’a-more. Piano piano acquistai pacee cominciai a trovarmi a mio agioe a fidarmi. Sentii parlare di chia-mata alla santità per tutti e poi miparlarono di vocazione personale– la mia – all’Opera. Avevo capito che la vocazionenon è una nostra decisione: l’ini-ziativa viene sempre da Dio. Nonè un pensiero del tipo: “micamale questo Opus Dei, quasiquasi…” né è come decidersi diiscriversi ad un club. È qualcosadi più elevato, nel quale a noispetta la seconda mossa; la primala fa Lui. E me ne stavo tranquil-la.Poi un giorno fece quella mossa.Non l’ho sentita con le orecchie;ne ho sentito nel cuore gli effetti.Mi aveva preso sul serio, conta-va su di me per diffondere laBuona Notizia nel mondo e lemodalità mi stavano a pennello.Dovevo continuare ad essere mestessa, l’artista, ma con il cuoresempre più pieno di Lui. Cosìogni cosa che avrei pensato ofatto, sarebbe stata opus Dei,un’opera di Dio.C’era un ultimo ostacolo in me.Va bene dire sì a Dio, ma perché“entrare” in qualche cosa e chiu-dermi in un ambiente che mi pre-giudicasse la libertà e mi impe-disse di spaziare? Non lo avreisopportato. La chiarificazione l’ho avutadurante una novena di preparazio-ne alla festa dell’Immacolata –che nell’Opus Dei è devotamente

sentita – e certamente per unintervento materno. Chiesi allaMadonna “garanzie” che l’Operafosse la mia strada enon la mia prigione.Ho sentito interior-mente: «Guarda chetu non “entri” danessuna parte, sem-mai “esci” da qual-cosa, che è il tuopiccolo mondo, iltuo piccolo io» Con quella spinta-rella mariana hofatto la mia mossa eho effettivamentesentito che con quelpasso mi si chiude-va alle spalle qual-cosa: il piccoloregno di fantasie incui troneggiavo. Emi si apriva davanti ilmondo reale.

“Fortezza”

Roma, 2000. Davanti al Vittoriano,sede di una mostra personale

In basso: sequenza “Riflessioni”

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Nuove prospettive

Per lo scenografo teatrale è con-suetudine individuare in sala ilposto della personalità più impor-tante - una volta era il principe - estabilire da lì il punto di vistadella scena. Generalmente è ametà platea. Ho applicato questaregola al mio agire, cercando difare le scelte e guardare le cose dalpunto di vista di mio padre Dio.Da lì ho scoperto nuove prospet-tive.Ho cominciato a lavorare sempremeno con taglio soggettivo, prefe-rendo un linguaggio più compren-sibile. Si allargavano i miei oriz-zonti: continuavo ad esprimere labellezza nei piccoli particolari enelle inquadrature singolari, macon la nuova consapevolezza d’es-sere parte di un progetto più gran-de in cui l’arte contribuisce al benedell’umanità. Quasi imbarazzata di quanto mitrovavo tra le mani, ho inserito unnuovo concetto nella mia eticaprofessionale: il servizio. Negliambienti artistici contemporanei èraro che se ne parli. E invece il non

dipingere più per me stessa èstato uno sconvolgimento. Capiiperché il grande pianista MicheleCampanella una volta, guardando imiei quadri in mostra mi disse:«da oggi non sono più tuoi, sonopatrimonio di tutti». Lui, da auten-tico maestro, intendeva farmi capi-re proprio questo.Impazzivo di gioia all’idea chequesto mio lavoro - una grandepassione - poteva essere trasfor-mato in lavoro divino. Un lavorofatto con umiltà, il che non vuoledire esser pecora come pensavo,ma vedere le cose come sono. Nonl’avrei mai detto, ma sto assapo-rando la potenza di questa virtù;mi attrae ogni giorno di più quan-do ne vedo gli effetti nelle personeche la vivono. Perciò ho appesonel mio studio una formella dibronzo con la frase di Michelange-lo Buonarroti, detta a 87 anni, dueanni prima di morire: “Ancoraimparo”.Avere idee è un dono. Se c’è l’i-spirazione c’è uno spirito che agi-sce. Puoi scoprire che quello spiri-to è Santo e che è Dio. Era ilgiorno di Pentecoste e riflettevosui vari doni che lo Spirito Santofa agli uomini. Il dono della Scien-za è quello più adatto da chiedereper gli artisti perché significariconoscere Dio nelle cose create.La felicità spontanea per la visio-ne del bello, si è trasformata inconsapevole ricerca di un incontrocol Mistero. In un raggio di luceche filtra dalla finestra posso rico-noscere l’amore di Dio e ricambia-re dipingendo a regola d’arte, contutta l’anima. Dal punto di vista di Dio le coseacquistano profondità e altezza,così come prospettiva: una picco-la pozzanghera può riflettere ilcielo.

Foto da una serie di studi sullapersona umana

Si potrebbe stareore a guardarequeste forme “madein Dio”, fatte da Lui,che sono una fonteinesauribile diispirazione per gliartisti

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Dio è il più grande artista

Ho scoperto che Dio è il piùgrande artista, l’artista cosmico. Dio è un grande scultore. Sullamia scrivania conservo un sasso,raccolto in un fiume durante unviaggio. All’interno ci sono dellevenature che formano nitidamen-te una croce. Impressionantescorgere quel simbolo di salvezzanella pietra. Lo tengo sul miotavolo da lavoro perché è pienodi significato; mi ricorda che ilmondo è permeato di Cristo eguardandolo sento che è con mementre lavoro.Dio è un grande sarto. Gesùinvitò ad osservare come cresco-no i gigli del campo: «non lavora-no e non filano, eppure neppureSalomone con tutta la sua gloriavestiva come loro». Ammiro le opere di RobertoCapucci, tra i più eccellenti stilistidel mondo che, con i suoi capellicolor neve continua a dichiararsiinnamorato della natura. Le sueopere sembrano nascere dalla con-templazione che il Signore sugge-riva. Siamo diventati amici e dalsuo esempio ho molto da imparare.Dio è un grande designer. Horaccolto una serie di conchiglie didiverse grandezze che stanno per-fettamente una dentro l’altra inscala degradante. Incredibilmentepoetiche, quasi musicali. Leosserverei per ore. Queste conti-nue emozioni “Made in Dio”,sono per me fonte inesauribile diispirazione.Dio è un grande artista figurati-vo. Crea l’uomo “a sua immagi-ne”, vertice della sua creatività, esi fa uomo: per questo lo studiodella figura umana racchiude ilpiù grande mistero per un artista.Mi sono confrontata su questo

tema dopo molto tempo. Vorreitrovare una strada per dire leverità di sempre sull’uomo conlinguaggio contemporaneo. Ancora una volta sono partitadai dettagli. Ultimamente horealizzato fotografie in bianco enero con particolari di bambini. Dio è un grande direttore dellafotografia. Me ne resi conto giàin quella gita da bambina. I suoieffetti di luce mi mettono kolasciandomi senza fiato. Leombre e la luce sono spesso ilsoggetto e i veri protagonisti deimiei quadri.Qualche anno fa ho lavorato conla luce, quella vera, del sole. Èstata un’esperienza al di sopradelle aspettative. Ho realizzato unciclo di vetrate per la parrocchiaromana di S. Giovanni Battista alCollatino: un’opera monumentalecon più di 300 metri quadri datrasformare in colore ed emozio-ne. Ci sono voluti cinque anni.

Davanti alle vetrate di sanGiovanni Battista al Collatinocon il pianista Michele Cam-

panella e lo stilista RobertoCapucci

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Al di là della difficoltà di rac-contare con il vetro una piccolaporzione di Bibbia, la grande sfidaera gestire uno spazio immensointeragendo con la luce mutantenelle varie ore del giorno e neivari mesi dell’anno. Ogni vetrataapprovata in bottega poteva risul-tare inadeguata una volta montatain loco. Mantenere l’armonia dell’insieme

è stato difficile. Laluce del sole è stataalleata e, a lavoro fini-to, filtrava tra i millecolori generando effet-ti speciali.Ho scoperto che Dio èanche un grande diret-tore d’orchestra. L’hosperimentato operandoal Collatino. Abitualmente lavoronel mio studio, sui

tetti, e dasola. Inquel casoho lavora-to per piùanni iné q u i p e ,gomito ag o m i t ocon la committenza, il maestrovetraio ed i suoi collaboratori. Pensavo di non poter avere la giu-sta concentrazione, soprattutto neldisegnare in mezzo ad altre perso-ne i grandi cartoni preparatori.Invece il confronto con altre intel-ligenze e professionalità mi hafatto crescere e arricchire parec-chio. È stato come suonare in un’or-chestra: vari protagonisti cheoperano con i propri strumenti inarmonia con gli altri. Direttimagistralmente.

Al lavoro per la vetrata diS.Giovanni Battista.In basso, particolare dell’operarealizzata in vetro

www.paolagrossigondi.it

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Dio è un grandeartista figurativo.

Crea l’uomo “a suaimmagine”, verticedella sua creatività,

e si fa uomo

Intervista videoLa testimonianza di Paola GrossiGondi si può vedere su internet informa sintetica nel sito dell’Opus Dei(www.opusdei.it) e in forma integralesu YouTube (www.youtube.it). Inentrambi i siti ricercare la voce “PaolaGrossi Gondi”