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in questo numero: UNA STREGA AGLI ALBORI DELL’ARCHEOLOGIA EGIZIA: MARGARET MURRAY. IL TEMPIO DI DEBOD. L’EGITTO MULTICULTURALE A MADRID UNO SGUARDO NEL CIELO DELL’ANTICO EGITTO LA VIA DORATA PER SAMARCANDA ARCHEOLOGIA NEL CUORE DELLA VIA DELLA SETA LA CHIMERA E IL MITO DI BELLEROFONTE INFLUSSI STRANIERI NELLA RELIGIONE EGIZIANA PRIMA PARTE L’Arte di Shamira | I papiri di Carla BOLLETTINO INFORMATIVO DELL'ASSOCIAZIONE EGITTOLOGIA.NET NUMERO 7 egittologia.net magazine

UNA STREGA AGLI ALBORI DELL’ARCHEOLOGIA EGIZIA: … · in questo numero: una strega agli albori dell’archeologia egizia: margaret murray. il tempio di debod. l’egitto multiculturale

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Page 1: UNA STREGA AGLI ALBORI DELL’ARCHEOLOGIA EGIZIA: … · in questo numero: una strega agli albori dell’archeologia egizia: margaret murray. il tempio di debod. l’egitto multiculturale

i n q u e s to n u m e ro :

UNA STREGA AGLI ALBORIDELL’ARCHEOLOGIA EGIZIA: MARGARET MURRAY.

IL TEMPIO DI DEBOD.L’EGITTO MULTICULTURALE A MADRID

UNO SGUARDO NEL CIELO DELL’ANTICO EGITTO

LA VIA DORATA PER SAMARCANDAARCHEOLOGIA NEL CUORE DELLA VIA DELLA SETA

LA CHIMERA E IL MITO DI BELLEROFONTE

INFLUSSI STRANIERI NELLA RELIGIONE EGIZIANAPRIMA PARTE

L’Arte di Shamira | I papiri di Carla BOLLETTINOINFORMATIVO

DELL'ASSOCIAZIONEEGITTOLOGIA.NET

NUMERO 7

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degli Uffizi, alla Galleria dell’Accademia (FI), alMuseo Egizio, al Palazzo Ducale di Mantova relati-vamente all’anno 2011, non raggiungiamo i settemilioni e mezzo, mentre nello stesso anno il soloMuseo del Louvre ne ha avuti 8.880.000?Perché nello stesso anno l’area archeologica diPompei, che con i suoi 2.329.375 visitatori è illuogo di cultura più visitato tra quelli che ho citato,è stata clamorosamente superata dal piccolo gio-iello del Musée d’Orsay, che ne può vantare3.144.449?E allora mi chiedo: dove sta la differenza tra inse-gnare o meno la Storia dell’Arte nelle scuole?Certo, questi sono solo numeri. Dobbiamo conte-stualizzare, tenere conto del quadro complessivo,valutare la situazione da più angolature.Ma comunque la si cerchi di rigirare, il dato èchiaro: non siamo frequentatori dei nostri luoghidi cultura, perché in fondo è un argomento chenon ci interessa, che non ci coinvolge. Altrimentinessun Governo sarebbemai riuscito nell’impresadi sottrarre ore allo studio di un immenso patri-monio, che è parte integrante del nostro ambiente,che è la nostra storia.Provate a immaginare se uscisse un decreto concui il Governo intende ridimensionare il Campio-nato di Calcio, trasformandolo in un piccolo torneoche dura unmese, eliminandometà delle squadre.Esempio populista intriso di qualunquismo?Può essere. Sono due parole che vanno molto dimoda adesso, soprattutto quando non si ha nes-

suna risposta da dare.Ma allora urlare la nostra indignazione per la dra-stica riduzione dell’insegnamento della Storiadell’Arte, per altro con un ritardo di sei anni, nonha senso?Certo che ce l’ha!Ma delegare alla scuola il compito di far amare ilnostro patrimonio artistico e culturale è pura follia.Dobbiamo esserne infettati noi per primi e tra-smettere la malattia innanzitutto ai nostri figli,perché questa non è una malattia ereditaria: vaproprio trasmessa concretamente, con impegno.Non consentiamo ai nostri figli e nipoti di asso-ciare i nomi di Leonardo, Michelangelo e Raffaelloesclusivamente alle tartarughe Ninja. Regaliamoloro libri sull’Arte e la Storia e leggiamoli con loro.Portiamoli nei musei e nelle aree archeologiche,spiegando loro la Bellezza. Diventeranno senz’al-tro donne e uomini migliori a cui nessuno potràmai imporre per decreto cosa studiare e cosa no.E facciamo in modo che nessuno possa più direche il 60% del patrimonio artistico mondiale è inItalia, mentre il resto è al sicuro!

Un caro saluto

Paolo Bondielli

Per comunicare con noi scrivete [email protected]

e d i t o r i a l e

poni lo scrivere nel tuo cuore (LEM 07, 14)

A volte i contrasti fanno impressione. Stordiscono.Disorientano.Ma quando il contrasto è frutto di due forze chespingono in senso contrario due realtà che ci ap-paiono complementari, che se unite darebberovita a un intero che diventa soluzione, il contrastofa rabbia.Leggere da una parte che lo Stato non potrà rein-tegrare la Storia dell’Arte nelle scuole perché nonpuò permettersi di sostenerne la spesa, e dall’altrache due miliardi di euro destinati alla cultura tor-nano nelle casse della Comunità Europea perchénon siamo stati in grado di dar vita a progetti coni quali spenderli, genera indubbiamente rabbia.Possibile che “…nonostante che il Ministero dellaPubblica Istruzione abbia 1.200.000 dipendenti.Numericamente nel mondo, l’ente é secondo sol-tanto all’esercito americano.” (tratto da “Mi famale il mondo” di G. Gaber, 1995/96), nessuno siastato capace o abbia pensato di elaborare unpiano, un progetto, una soluzione che potesse in-tercettare almeno una parte di quella enormequantità di denaro di cui – per altro – abbiamo di-speratamente bisogno?Ma questo contrasto è fin troppo facile da gestire,perché non è colpa nostra. Basta chiarirlo e siamoa posto.A dire il vero non so neppure se queste due notiziesiano vere. Le ho semplicemente lette, anche seben sappiamo che entrambe hanno tutti i requisiti

per esserlo.Di certo la nostra indignazione non ha aspettatonessuna conferma o smentita ed è stata urlatadalle bacheche del nostro profilo facebook, per-mettendo così alla nostra coscienza di stare inpace, tra l’ovazione dei nostri amici, che per que-sto ci ammirano e ci stimano.Probabilmente oggi Ponzio Pilato non userebbepiù la celebre bacinella. Scriverebbe due righe sulsuo profilo, magari aggiungendo l’emoticon che sitraslittera con “ :( “ per dirsi dispiaciuto. Un uomosensibile Ponzio Pilato.Mi devo essere perso qualcosa. Facciamo il punto.Non sono circa sei anni che la Storia dell’Arte hasubito un brusco ridimensionamento?Ma “Storia dell’Arte” non era quella materia, alpari dell’ora di religione, durante la quale si stu-diava per l’interrogazione di matematica dell’orasuccessiva?Le visite ai musei non erano vissute come mo-menti di puro svago, tranne la visita al museo?Alla mia generazione e a quella precedente non èstata insegnata la Storia dell’Arte? E non è statainsegnata anche a coloro che sei anni fa hanno de-ciso di moderarne l’uso, temendo forse un eccessodi sensibilità da parte delle persone, di un ritornodel buongusto?E allora perché se sommiamo i visitatori che sisono recati alla Reggia di Caserta, a Castel delMonte, al Cenacolo Vinciano, alle Gallerie dell’Ac-cademia (VE), agli Scavi di Pompei, alla Galleria

e d i t o r i a l e

il contrasto.

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In questo numero di :

Introduzione al Magazine

Stele Cat. 1535 di Abkau

Donne pioniere dell’Egittologia

Ramesse e gli Ittiti

Il Tempio di Debod a Madrid

Archeologia nella Via della Seta

Uno sguardo nel cielo dell’Antico Egitto

Il Museo OnLine

La Chimera ed il mito di Bellerofonte.

Abitazione per l’eternità

La cappella rossa di Hatshepsut

Hotep di Nesu

Influssi stranieri nella religione egiziana

L’Osireion a Dolo

ShamiraI papiri di Carla

EEDDIITTOORRIIAALLEE

AANNGGOOLLOO DDII FFIILLOOLLOOGGIIAA

eeggiittttoollooggiiaa

EEGGIITTTTOO IINN PPIILLLLOOLLEE

EEUURROOPPAA

ssaammaarrccaannddaa

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mmoossttrree

lloo ssccaaffffaallee

AARRTTEE//VVAARRIIEE

NNeewwss

PPRROOFFIILLII CCOOLLLLAABBOORRAATTOORRII;;

p.2/3

p.6/13

p.14/21

p.22/23

p.24/36

p.37/43

p.44/50

p.51/53

p.54/59

p.60/65

p.66/71

p.72/74

p.75/81

p.82/85

p.86/91

p.92/93p.94/95

p.96/101

p.102/107

EM

EMEM

Paolo Bondielli

Paola Inzolia

Laura CiganaManuela Fisichella

Tiziana Giuliani

Gemma BechiniPaolo BondielliFranco Brussino

Massimiliano FranciMargherita Guccione

Shamira MinozziGiulia NicatoreEmilio Passera

Francesca PontaniAlessandro Rolle

Aila SantiCarla Tomasi

Generoso UrciuoliRoberta Vivian

[email protected]

ll bollettino non costituisce

testata giornalistica e la diffusione di materiale

non ha comunque carattere periodico ed è condizionata alla disponibilità

del materiale stesso.

COORDINATORE

PROGETTO GRAFICO

STAFF

HANNO COLLABORATO:

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3. di inpw tp(y) Dw.f imy wt nb tA Dsr prt-xrw t Hnot n imAx ab-kAw. Dd.f: ii.n.(i) m(affinché) dia Anubi, che sta sulla sua collina, che è nelle bende, signore della necropoli, l'offertafuneraria di pane e birra al venerabile Abkau. Egli dice: 'Io sono venuto in

4. Htp r is pn n Dt ir.n(.i) m Axt imntt nt tA-wr AbDw r st nHH n Dt rpace a questa tomba di eternità, che io ho fatto nell'orizzonte dell'occidente del distretto tinita diAbido presso la sede dell'eternità e dell'infinito, presso

5. rwdw n nTr Sps nTr aA nb nTrw dmD n.f psDt 9 sDm mdw Hnmmt Hr wart di Htp(t) nb Smsw aSA Sn(w)t. ii n.fla scala del dio nobile, dio grande, signore degli dèi, cui sono uniti i Nove Archi1 , che ascolta la parola dell'umanità nel distretto dove si danno le offerte, signore di seguaci, ricco di corte: a lui viene

6. ntt iwtt 2 hnty-imntyw kA tA-wr nb imy-bAH smsw r pAwtyw Hr(y)-tp nTrw Drtyw iwaw nHH ity ciò che è e ciò che non è, primo degli occidentali, toro di Thini, signore che esisteva nei tempi remoti, il più antico degli dèi primordiali, capo degli dèi ancestrali, erede dell'eternità, sovrano

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a n g o l o d i f i l o l o g i a

Nome del titolare: Abkau, ab-kAw, 'Il corno dei tori'.Provenienza: Collezione Drovetti.Datazione: inizio XII dinastia.Materiale: Calcare.

La stele, di grandi dimensioni, presenta la parte superiore a centina, è di ottima conservazione e misura cm136,5 in altezza e cm 45,5 in larghezza. È divisa in quattro sezioni.La prima comprende undici righe di testo, sei delle quali inserite nella vasta centina. La seconda raffigura lapresentazione delle offerte ad Abkau e moglie da parte di sei figli disposti tre a tre su due registri; essi recanoin mano diverse specie di volatili. I due sposi sono seduti su un seggio sotto il quale è posto uno specchio; lamoglie pone la mano sinistra sulle spalle del marito, indossa una lunga parrucca liscia, tripartita, porta lacollana usekh e veste un lungo abito che giunge fino alle caviglie. Il marito ha una corta parrucca a ricci, lacollana usekh e una corta gonna che dalla cintura arriva alle ginocchia. La mano destra stringe un oggettorituale mentre la sinistra è protesa verso la tavola delle offerte. Piccola, accoccolata ai piedi di Abkau, ma vol-gendogli le spalle, c'è una figlia intenta ad annusare un fiore di loto. Domina la scena, al centro, la ricca tavoladi offerte sulla quale sono posti fasci di vegetali, due cosciotti, un'oca già spennata, un'anitra morta, unatesta di bue, una zampa anteriore di bovino; sotto la tavola, oltre a due recipienti, c'è un altro bovino morto,con le zampe posteriori legate ed una zampa anteriore sollevata. La terza sezione vede una processione disei donne (la figura dell'ultima è molto rovinata) che segue un sacerdote lettore, il quale presenta la pancarte.Questa struttura contiene un elenco di offerte ed è composta da quaranta caselle rettangolari, disposte inquattro righe e dieci colonne; ciascuna casella reca un particolare olio, o profumo, o alimento, o bevanda,ognuno specificato nella quantità da porgere. Il sacerdote lettore indossa una corta parrucca liscia e un gon-nellino. Quattro delle sei donne sono intente ad annusare un fior di loto, la quinta tiene anch'essa un fior diloto nella mano distesa lungo il corpo; tutte sono abbigliate nella stessa maniera: parrucca tripartita, collanausekh, gonna lunga fino alle caviglie. L'ultima sezione, la quarta, presenta una processione di dodici perso-naggi, sette uomini e cinque donne, che recano offerte di vario tipo; fra le varie particolarità si nota unadonna, la sesta nella fila, che viene definita 'scriba femmina' e il settimo personaggio, il quale non porta donima sta fabbricando la birra; caratteristici pure sono il penultimo uomo che porta sulle spalle un vitellino e l'ul-timo che stringe nella mano un arco ed una faretra per le frecce. La stele è totalmente scolpita in fine bas-sorilievo.

II sseezziioonnee (iscrizione principale - undici righe di testo)

1. Htp-di-nsw wsir nbOfferta che il re dà ad Osiride, signore

2. Ddw xnty-imntyw nTr aA nb AbDwdi Busiri, primo degli occidentali, dio grande, signore di Abido

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Stele cat. n. 1535di abkaudi Franco Brussino

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a n g o l o d i f i l o l o g i a

7. nTrw sxm aA n pt HoA n anxw nsw nt(y)w3; n mrwt wnn.i m Smsw.f ix mA.i wp-wAwt degli dèi, grande potenza del cielo, principe dei viventi, re di coloro che esistono; poiché io saròal suo seguito, io vedrò Upuaut

8. m Hbw.f nb m nmtt.f nb; Dd n(.i) imnt nfrt: iw m Htp; Ax nTr(y) saH mnx nTr rnpw rx r.fin ogni sua festa e in ogni sua processione. Dica a me il bell'occidente: 'Benvenuto! Lo spirito divino, eccellente e benefico, dio vigoroso conosce la sua parola

9. mm anxw xnt(y) st.k m imnt r bw nt(y) nTr pn im Dr-ntt.k ii.t(i) m Htp apr.t(i) m rxt.n.kfra i viventi, davanti alla tua sede nell'occidente, nel luogo in cui è questo dio, poiché tu sei venutoin pace, fornito con ciò che sai'.

10. i anxw tp(w) tA mrrw anx msDD(w) xpt m mrr.Tn wAH tp tA Dd.tn xA t Hnot n imAx ab-kAw r r-pr nO viventi sulla terra, che desiderate vivere e odiate morire, quanto è vero che voi desiderate restarea lungo sulla terra, dite: 'Mille pani e birre per il venerabile Abkau nel tempio di

11. ra, xnty-imntyw, wp-wAwt, Sw, tfnt, DHwty, Xnmw, skAr, Hmn, gb, nwt, mnw(?), in-Hrt, imny, mntw, ptH, inpw, sxy, Hr-Smaw, Hr mH(t), wnDt, psDt, nt, Hot, Hwt-Hr, rpyt, Ast, nbt-Hwt, sb(y)t, n imAx ab-kAwRa, Khenty-imentyu4, Upuaut, Shu, Tefnet, Thot, Khnum, Sokar, Hemen5, Geb, Nut, Min (?), Onnuri, Amon (?), Montu, Ptah, Anubi, Sekhy6, Horus del Sud, Horus del Nord, Unget7, l'Enneade,Neith, Heqet, Hathor, Repyt8, Iside, Nefti, Sebet9 per il venerabile Abkau.

IIII sseezziioonnee (scena della presentazione delle offerte)

A. Elenco delle offerte.

xA t xA Hnot xA kA xA Apd xA Ss xA mnxt n imAx ab-kAw ms.n nbt-it.f Hmt.f mrt.f Xkr(t)-nsw Hm(t)-nTrHwt-Hr1000 pani, 1000 birre, 1000 buoi, 1000 uccelli, 1000 alabastri, 1000 stoffe per il venerabile Abkau che

Nebetitef ha generato; sua moglie, che lui ama, concubina del re, sacerdotessa di Hathor,

B. Nome della moglie di Abkau C. Nome della figlia di Abkau

mnTw-Htp-anx sAt.f nfrtwMentuhotepankh sua figlia Nefertu

D. I personaggi davanti alla tavola delle offerte, primo registro

sA.f mr.f mnTw-Htp sA.f mr.f wHm-mswt sA.f ddw suo figlio che lui ama Mentuhotep suo figlio che lui ama Uhemmesut suo figlio Dedu

E. I personaggi davanti alla tavole delle offerte, secondo registro

sA.f ddw sA.f ddw-sbk sA.f s-n-wsrt suo figlio Dedu suo figlio Dedusobek suo figlio Senuseret

IIIIII sseezziioonnee aa - La pancarte

Riga 11

- ; mw ob - 1 acqua fresca - una tazza

- ; snTr nt sDt - 1 incenso sul fuoco - una tazza

9

1

2

3

4

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10

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; Haw - 1 pezzo di carne - uno

; iwf HAt - 1 pezzo di petto - uno

; Dsrt - 1 birra rossa - un vaso

; Dsrt iAtt 12- 1 birra lattiginosa - un vaso

; Hnot xnms - 1 birra khenemes13 - un vaso

; irp - 2 vino - due dosi

Riga 44

; irp sn(w)14 - 2 vino di Pelusio - due dosi

; irp sH - 2 vino seh - due dosi

; irp HAmw15 - 2 vino di Hamu - due dosi

; Hnot Ha - 1 birra ha - un vaso

; waH16 - 2 tuberi eduli - due porzioni

; sXt wAD(t) - 2 cereali verdi - due porzioni

; sXt HD(t) - 2 cereali bianchi - due porzioni

; npAt (?) 17 - 2 focaccia nepat - due ceste

; bAbAt - 2 frutta babat - due porzioni

; iSd - 2 frutta ished - due porzioni

IIIIII sseezziioonnee bb - I personaggi davanti alla ppaannccaarrttee..

11

; ob TAt - 2 vasi per aspersione - due tazze

- ; sT Hb - 1 profumo per la festa - un bacile

; sfT - 1 olio rituale - una dose

; xnm(w) - 1 profumo - un vaso

- ; twA(w)t - 1 olio rituale - una brocca

; HAtt aS - 1 il migliore olio di cedro - una dosesic

- ; HAtt THnw - 1 il migliore olio di Libia - un recipiente

- ; arf wAD - 1 sacchetto di belletto verde - una ciotola

Riga 22

; arf ms(dm)t - 1 sacchetto di belletto nero - una tazza

; wnx - 2 stoffe - due pezzi

; sDt snTr- 1 incenso sul fuoco - una ciotola

; r - 1 oca er - una

; sr - 1 oca ser - una

; Trp - 1 oca tjerep - una

; ms(A)t 10 - 1 oca mesat - una

; mnt - 1 rondine - una

; xpS - 1 zampa di bue - un pezzo

; iwa - 1 cosciotto - un pezzo

Riga 33

; sx(n) - 1 rene - un pezzo11

; mis(t) - 1 fegato - uno

; nnSm - 1 milza - un pezzo

; spHt - 1 costola - un pezzo

AA BB CC DD EE FF GG

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a n g o l o d i f i l o l o g i a

J. sA.s sA-Xnmw suo (di lei) figlio Sakhenemu

K. nxtw-imny Nakhtimeny

L. Smsw sA-wp-wAwt il seguace Saupuaut

Note1. I Nove Archi: sono i nove popoli sotto il dominio del re d'Egitto; la tesi, da più parti avanzata, che i Nove Archi sianoi nove tradizionali popoli nemici dell'Egitto non può essere accettata in quanto, fra di essi, sono anche elencati l'Altoe il Basso Egitto.2. ntt iwtt, espressione idiomatica, che letteralmente si traduce con 'ciò che non esiste e ciò che esiste', cioè 'ogni cosa'(GEG, §203.4).3. nt(y)w: variante del maschile plurale di nty; cfr. GMCG, § 39.2.4. Khenty-Imentyu, in origine era un antico dio sciacallo della necropoli di Abido; in seguito perse la sua originaria na-tura e divenne semplicemente un epiteto di Osiride. Il suo nome significa 'il primo degli Occidentali', essendo gli 'oc-cidentali' i defunti, che trovano la loro sede naturale dove tramontava il sole, cioè ad occidente (TDE, I, 64).5. Hemen, è citato da Hng (pag. 1223) senza alcun riferimento; il Wb, III, 95.14, si limita a dire che si tratta del nome diuna divinità.6. Sekhy, divinità sconosciuta.7. Unget, è citata da Hng (pag. 1199) senza alcun riferimento; il Wb, I,325.12, si limita a dire che si trova in un elenco didivinità.8. Repyt, è citata da Hng (pag. 1219) senza alcun riferimento; il Wb, II, 415.1 (rpwt) ci riferisce che è attestato nei Testidelle Piramidi e che diventa rpyt nel Medio Regno; aggiunge che significa 'donna nobile', con riferimento a dee comeHathor, Iside, ecc.... Nel duale accompagna Iside e Neftis. Cfr anche TDE, I, 112.9. Sebet, il Wb, IV, 89,2, riporta che è il nome di una dea. Più preciso è TDE, I, 115, che riferisce trattarsi di una delledue amiche di Ra e che sarebbe anche una forma del serpente ureo.10. Il segno (D37) si legge anchem (GEG, pag. 454); cfr. anche Wb, II, 136.4. 11. Il segno ( N36) talvolta, come nel caso presente, ha valore fonetico mi; cfr. GEG, pag.491.12. Il segno (S40) talvolta, come nel caso presente, ha valore fonetico iAtt; cfr. GEG, pag. 509.13. Il significato di Hnot xnms, 'birra khenemes, è 'birra dell'amicizia'.14. snw, Pelusio, oggi Tell al Farama, città del Delta orientale (Hng, pag. 1381).15. HAmw, Hamu, una regione vinicola (Hng, pag. 1363).16. waH, il Wb non lo riporta; Hng (pag. 186) così traduce: 'Erdmandel', e specifica che si tratta di un tubero edule di Cy-perus esculentus.17. npAt, gruppo di lettura incerta; il significato meno improbabile pare essere quello riscontrato su WB, II, 248,2.

AbbreviazioniGEG: A.H.Gardiner, 'Egyptian Grammar', Oxford, 1957.GMCG: P.Grandet, B.Mathieu, 'Corso di egiziano geroglifico', Torino, 2007.Hng: R.Hannig, 'Großes Handwörterbuch Ägyptisch-Deutsch', Mainz, 1995.TDE: M.Tosi, 'Dizionario Enciclopedico delle Divinità dell'Antico Egitto', Torino, 2004.Wb: A.Erman, H.Grapow, 'Wörterbuch der Aegyptischen Sprache', Berlin, 1982.

13

A.

xnms.f mr(y).f Xr(y)-Hb ib

Il suo amico, che lui ama, il sacerdote lettore Ib.

B. mwt.f mr(y)t.f nb-it.f sua madre, che lui ama, Nebitef

C. sAt.s aAm sua (di lei) figlia, Aam

D. sAt.f Hpw suo figlio, Hepu

E. sAt.f tHw sua figlia, Tehu

F. sAt.f snbbt sua figlia Senbebet

G. aHat THmt la sorvegliante Tjehemet

IIVV sseezziioonnee - La processione.

A. (?)xnms.f (i)m(y)-r od bntIl suo amico, il sovrintendente dei costruttori, Benet

B. sA.f sn-r-iw suo figlio Seneriu

C. sA(.f) sny (suo) figlio Seny

D. mnat.f ppw la sua nutrice Pepu

E. wbA(y)t sA(t)-bstt la serva Satbastet

F. sSt ddt.s la scriba Dedetes

G. afty imn-m-HAt il birraio Amenemhat

H. xtt-pr snwt-t la serva di casa Senutet

I. wrt-id Uretid

AA BB CC DD EE FF GG HH II JJ KK LL

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15

d o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i a

annuncio: Flinders Petrie aveva cominciato adare lezione di geroglifici e, visto che lei non po-teva andarci perché sposata, la sorella avrebbefrequentato le lezioni. Così nel gennaio del 1894,a trentun anni e tutto sommato per caso, comin-ciò a frequentare il corso di geroglifico insegnatoda Griffith e non Petrie, che all’epoca era impe-gnato per due terzi dell’anno a scavare in Egitto.Solo verso maggio lo vide per la prima volta e lefece un’impressione negativa, visto che si com-portava ‘come se l’intero posto (la Edwards li-brary, l’allora dipartimento di Egittologia)appartenesse a lui’3. Finalmente Margaret incon-trò l’uomo che lei considerava semplicemente ungenio, anche se con i suoi difetti, ma l’unico adaver contribuito a studiare l’antico Egitto tramitela cultura materiale e non solo tramite i testi equindi ad aver rivoluzionato l’Egittologia. Fu pro-prio Petrie a spingerla l’anno successivo a scri-vere il suo primo articolo sul concetto diproprietà nell’antico Egitto. Questo evento ebbeuna grande influenza sulla Murray: come tutti,provò un enorme piacere nel vedere il proprio la-voro pubblicato e capì che fare ricerca la appas-sionava più di ogni cosa. Questa passione non laabbandonò mai: nel corso della sua lunga vitapubblicò circa 150 tra articoli e libri su diversi ar-gomenti.

PRIMA INSEGNANTE DI ARCHEOLOGIADONNA

Intanto a University College le lezioni di Gerogli-fico continuavano, nonostante tutti gli studentifossero abbastanza confusi e si aiutassero a vi-cenda nelle traduzioni. Vista la meticolosità diGriffith4, che revisionava continuamente le suetraduzioni alla lavagna, per i principianti era ab-bastanza difficile seguirlo. Mentre per molti degliallievi le lezioni erano un passatempo, Margaretdiventò presto esperta in geroglifico e dopo il tra-sferimento di Griffith nel 1898 cominciò ad inse-gnare ai principianti. L’anno seguente l’universitàle conferì il titolo di Junior Lecturer, rendendolala prima donna ad avere un titolo di insegna-mento in archeologia nel Regno Unito.Più tardi cominciò anche ad insegnare corsi sullastoria e religione dell’antico Egitto e, dopo il pen-sionamento del suo collega Dr. Walker, ancheCopto avanzato. Progressivamente si occupòsempre di più dell’amministrazione del diparti-mento e insegnò quasi la maggioranza dei corsi,vista l’assenza di Petrie. Nel 1924 fu promossa alruolo di Assistente e nel 1931 le fu conferito undottorato onorario. Nonostante Flinders Petrie,come Edwards Professor di Archeologia Egizia eFilologia, ricevesse un ottimo stipendio, MargaretMurray veniva pagata talmente poco che non si

FFiigg.. 11 - Ritratto ad acquerello di Margaret Murray dipinto dallasua allieva Winifred Brunton nel 1917 (photo: Stuart Laidlaw;

UCL Art Museum)

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d o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i a

Margaret Murray è nota principalmenteper il suo contributo nel campo dell’Ar-cheologia Egizia, che non sempre le furiconosciuto, come molte sue contem-poranee, ma il suo lavoro di ricerca e in-segnamento fu pari a quello dei suoicolleghi uomini. Oltre a dare il suo contributo al-l’archeologia e antropologia, questa studiosa fusostenitrice dei movimenti sociali della suaepoca, come la campagna per il voto femminile.Anche se generalmente descritta come l’assi-stente del grande egittologo Flinders Petrie, Mar-garet Murray era un’archeologa indipendenteche merita tutto il riconoscimento dovuto a unastudiosa del suo calibro.

GIOVINEZZA IN INDIA

Margaret Alice Murray nacque in India, a Cal-cutta, il 13 Luglio 1863 e credo che nemmeno leiavrebbe potuto immaginare quante emozioni leavrebbe regalato il suo futuro. Nonostante defi-nisse la sua autobiografia come ‘il racconto diuna vita senza una singola avventura’1, Margaretebbe moltissime avventure durante i suoi scavi,senza contare che fu una delle protagoniste della‘rivoluzione’ che portò all’accettazione a pieno ti-tolo delle donne come studentesse universitariee visse il passaggio dell’Egittologia da passa-tempo per gentiluomini a disciplina scientifica ditutto rispetto. Se dovessi scegliere un aggettivoper descriverne la personalità sarebbe “anticon-venzionale” in quanto erano poche le donne comelei nell’epoca vittoriana. Impegnarsi in una disci-plina riservata solo a uomini non deve essere statofacile e ben poche donne della sua epoca hannoavuto la fortuna (e forse, alcune, anche il deside-

rio) di viaggiare come lei fece.

Fino ai trent’anni visse con la famiglia inIndia, ma, annoiata a morte dal far nulla, acirca vent’anni decise di fare volontariatoin un ospedale, dove non era certo trattata

con i guanti. Il suo turno andava dalle 8 del mat-tino alle 8 di sera e il caldo estivo indiano era de-cisamente faticoso da sopportare. Tuttavia unaformazione medica di base si rivelò molto utile aMargaret, che spesso avrebbe curato i lavoratoriEgiziani sullo scavo o gli abitanti di villaggi viciniche si rivolgevano a lei. Come lei stessa nota, ilfatto di avere un discreto successo in un camponon suo la rendeva molto orgogliosa. Una volta la-sciata l’India, non poté continuare poiché non eraconveniente per una ragazza della sua estrazionesociale fare l’infermiera e, anche se fosse riuscitaa convincere suo padre, non aveva i requisiti mi-nimi di altezza. Si ritrovò quindi di nuovo senzanulla da fare, ma questo non la preoccupò perché,come scrive nella sua autobiografia, quando sicerca di trovare una carriera ‘se in principio nonhai successo, tenta, tenta, tenta ancora’2. Il suo se-condo tentativo fu di lavorare al servizio della co-munità in circoli parrocchiali, ma l’aria troppoaustera e i lavori troppo casalinghi non eranoquello che cercava. L’Egittologia si rivelò notevol-mente più interessante per la ormai non più giova-nissima Margaret.

ALLIEVA A UNIVERSITY COLLEGE

L’inizio della carriera egittologica di Margaret èin un certo senso dovuto alla sorella Mary. Du-rante una visita di Margaret a Madras, in occa-sione della nascita di suo nipote, Mary vide un

una strega agli alboridell’ARcheologia egizia:margaret murray(1863–1963)di Emilio Passera

FFiigg.. 22 – Margaret Murray in abito da cerimonia per la conse-gna del dottorato nel 193118

FFiigg.. 33 – Poster con la lista dei corsi in Egittologia offerti nel-l’anno accademico 1923-2419

Fig. 4 – Sir W. M. Flinders Petrie all’epoca della sua nomina aEdwards Professor nel 1892UCL Art Museum)

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maschi, con cui non riusciva a discutere perchéesclusa dalla sala comune maschile e perché eradifficile parlare durante il pranzo.

Sempre nei suoi anni a Londra si interessò al mo-vimento delle suffragette in sostegno del il votofemminile e una maggiore parità tra uomini edonne, contro una disuguaglianza che probabil-mente doveva affrontare tutti i giorni nel suo la-voro e nella società. Questo si riflette anche nelfatto che era interessata a pubblicare aspettidella vita delle donne nell’antico Egitto, nono-stante fossero considerati dai suoi colleghi ma-schi come ‘troppo spiacevoli’ per una donna.Dopo il pensionamento, l’università le mancòmolto e per evitare attacchi di nostalgia nontornò mai più nella Edwards library e preferì an-darsene senza grandi cerimonie. A University

College tornò almeno due volte, per il centenariodi Petrie e nel 1963 per il suo centesimo comple-anno, occasione in cui l’università le dimostrò glionori dovuti con una cerimonia. Questo anchegrazie all’affetto e al riconoscimento dei suoi al-lievi che erano diventati la nuova generazione diegittologi nel Regno Unito, come Rex Engelbach,futuro direttore del Museo del Cairo, Guy Brun-ton, W. B. Emery, futuro Edwards Professor, oRaymond Faulkner, autore del famoso dizionariodi geroglifico.

SCAVI ARCHEOLOGICI

Nel 1902-3 partecipò con Petrie e sua moglieHilda allo scavo di Abydos per copiare le iscri-zioni copte sui muri del tempio di Sethy I. Qui al-loggiava nella casa di scavo, decisamentespartana, di Petrie. Durante questo periodo co-minciò a fare da infermiera ai lavoratori locali, madelle sue memorie di questa missione di scavodue sono i racconti che colpiscono di più. En-trambi gli episodi riguardano la cultura vittorianadell’epoca e i sentimenti provati all’estero. Men-tre per molti era un’esperienza eccitante, maanche rischiosa e scomoda, per Margaret, comeper Petrie, rappresentava la possibilità di viverein un ambiente spartano (molto apprezzato daPetrie), ma in maggiore libertà rispetto alle co-strizioni della società londinese. Il primo giorno di

scavo a Margaret fu affidata una squadra di lavo-ratori egiziani da seguire, ma visto lo scarso ri-spetto che le venne mostrato dai lavoratori,decise, mostrando una buona dose di polso, di ri-portare tutti indietro e far perdere loro un giornodi paga. In questo modo si guadagnò il rispettodei lavoratori e di Petrie, che, secondo Margaret,l’aveva messa alla prova apposta per controllareche fosse adatta a lavorare sul campo. Orgo-gliosa della sua destrezza, ma molto risentita diquesto fatto, nota come a nessun assistente ma-

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poté permettere l’abito per ricevere il suo dotto-rato (come è costume nei paesi anglosassoni). Lagentilezza e la riconoscenza dei suoi alunni, chefecero una colletta per pagarle l’abito, le permisedi riceverlo, ulteriore dimostrazione del fatto cheera una insegnante paziente e gentile, probabil-mente perché lei stessa era stata una studen-tessa e sapeva bene quali fossero le difficoltà perun principiante. La sua grammatica di gerogli-fico5 , seppur datata, dimostra una naturale intel-ligenza nel capire gli studenti: è organizzata inmaniera efficiente, con le spiegazioni necessariee utilissime tabelle estraibili con le coniugazionidelle varie classi di verbi. Il formato ridotto (quasitascabile) poi potrebbe essere pensato solo dauna persona con un senso pratico come il suo.Proprio questo suo senso pratico e il fatto di es-sere stata una principiante lei stessa le avevano

conferito le abilità per riformare il povero ‘Certi-ficato in Egittologia’ (College Certificate in Egyp-tology): alle materie già esistenti aveva volutoaggiungere anatomia dello scheletro, antropolo-gia, etnologia, mineralogia, disegno in scala e fo-tografia. Una selezione abbastanza moderna sesi considera la formazione archeologica del-l’epoca. Oltre ad essere un’insegnante eccellente,aveva un’ottima capacità nel capire le persone espesso selezionava studenti come assistenti dicampo negli scavi di Petrie, molti dei quali si fe-

cero poi un nome nell’Egittologia. Come ricerca-trice invece era interessata allo studio della reli-gione e riteneva gli oggetti la chiave percomprende le credenze degli antichi, chiara-mente influenzata dalla filosofia di Petrie che ve-deva nella cultura materiale un mezzocomplementare ai testi. La visione di MargaretMurray dell’archeologica era infatti di quella diuna ‘antropologia nel passato’6.

Dei suoi anni alla University College, da lei defi-nita ‘Alma Mater, loved and splendid’7 (Almamater, amata e splendida) sono interessanti daricordare il periodo della lotta per ottenere unasala comune per le studentesse, non ammesse inquella maschile, e il suo interesse per la vita ge-nerale dell’università. Era una persona decisa adagire, ma non brutale. Dopo vari rifiuti per avere

una sala comune più grande di uno sgabuzzinocon due poltrone, invitò il Rettore a prendere uncaffè, ma estese l’invito a tutti i membri dell’uni-versità. Venne così tanta gente che si era for-mata una lunga coda e le persone dovevanouscire perché altri potessero entrare: non appenasi fu liberata una stanza grande a sufficienza, furiservata alle studentesse del collegio. Anche perquanto riguarda la vita generale del collegio erasostenitrice dell’uguaglianza tra uomini e donne:invitava nella sala comune femminile i colleghi

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d o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i ad o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i a

ddeell PPeettrriiee MMuusseeuumm ooff EEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 88 –– LLaa ttoommbbaa ddeell ffaarraaoonnee DDeenn aadd AAbbyyddooss iinn ffaassee ddii ssccaavvoo((DDaallll’’aallbbuumm ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerr ccoonncceessssiioonnee ddeell PPeettrriieeMMuusseeuumm ooff EEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 99 –– OOppeerraaii eeggiizziiaannii mmeennttrree rriimmuuoovvoo ssaabbbbiiaa ddaallllaa ttoommbbaa ddiiDDeenn ((DDaallll’’aallbbuumm ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerr ccoonncceessssiioonnee ddeell PPee--ttrriiee MMuusseeuumm ooff EEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 55 –– MMaarrggaarreett MMuurrrraayy aall pprraannzzoo iinn oonnoorree ddeeii ssuuooii cceennttooaannnnii aa UUCCLL mmeennttrree sscchheerrzzaa ccoonn PPrrooffeessssoorr EEmmeerryy ((cceennttrroo)) ee DDrr..FFaauullkknneerr ((ddeessttrraa)),, LLuugglliioo 119966332200

FFiigg.. 66 –– LLaa ssttaannzzaa ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy nneellllaa ccaassaa ssccaavvoo ddii PPee--

ttrriiee aadd AAbbyyddooss ((ddaallll’’aallbbuumm ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerr ccoonncceess--ssiioonnee ddeell PPeettrriiee MMuusseeuumm ooff EEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 77 –– AAmmyy UUrrlliinn,, uunnaa ccoollllaabboorraattrriiccee ddii PPeettrriiee,, ffaa aaccqquuiissttii ddaabbaammbbiinnii ccooppttii ((ddaallll’’aallbbuumm ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerr ccoonncceessssiioonnee

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1920 questo interesse aveva portato Margaret avisitare vari villaggi copti per vederne le usanzee tradizioni. Un fatto spiacevole, ma affrontatocon spirito, ci dipinge una donna forte e spiritosa.Morsa da un cane sospettato di avere la rabbia, leviene concesso di partecipare ad una cerimoniadi Anba (=padre, santo) Tarabo, che proteggevadai cani rabbiosi. Come le fa notare il suo ospitecopto, se non ci fosse stato questo spiacevoleepisodio non avrebbe mai assistito a questa ceri-monia, che probabilmente solo lei aveva potutodescrivere al mondo occidentale.

STREGONERIA

Dal 1953 al 1955 fu presidentessa della Folk-LoreSociety e le sue teorie sulla stregoneria ebberoun ruolo importante nella creazione del moderno

culto Wicca e altri movimenti neopagani. Questointeresse per la stregoneria cominciò durante laGrande Guerra, quando, non essendo possibilefare ricerca egittologica, poiché le bibliotecheerano chiuse, e non potendo contribuire allacausa di guerra, cominciò a lavorare sulla stre-goneria, secondo lei incentrata sul culto del DioCornuto e altri riti di origine pagana. Le sue teo-rie furono poi discreditate, però, come ha recen-temente osservato Ruth Whitehouse12, ècomprensibile che archeologhe donne preferis-

sero narrative storiche che assegnavano unruolo centrale alle donne, come la teoria dellaDea Madre, in risposta ad un mondo dominato dauna società patriarcale che relegava le donne adun ruolo marginale nella storia. Teorie ugual-mente ormai discreditate e poco giustificabili, maproposte da uomini, sono state trattate con piùtolleranza ed hanno intaccato di meno la loro re-putazione, incluso Petrie13, che credeva che la ci-viltà egizia non potesse essere stata creata daAfricani, ma fosse il prodotto di una razza intru-siva di bianchi!Poco prima della seconda guerra mondiale feceuna serie di conference in Finlandia, (due volte),Norvegia, Svezia ed Estonia, non sull’anticoEgitto, ma sul culto delle streghe su cui nel 1921aveva pubblicato The Witch-Cult in Western Eu-rope: A study in Anthropology14. Durante questo

tour di conferenze aveva scelto di stare con unafamiglia finlandese e non inglese siccome volevaconoscere gli usi e costumi locali dovunque si tro-vasse, ed era più che contenta di adattarsi alleusanze del luogo, un atteggiamento che la distin-gue da molti suoi contemporanei. Questa sua cu-riosità verso la cultura locale, un forte gustoetnografico, ci mostra come fosse anche un’an-tropologa oltre che un’archeologa, forse ispiratadall’essere cresciuta in India e dall’interesse disua madre per le donne locali, della cui condi-

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schio fosse stato fatto questo test. L’altro episodio: una sera era giunta notizia di unincidente all’Osireion e quattro membri dellasquadra avevano deciso di andare a dare un’oc-chiata. Un po’ per farsi coraggio e un po’ per di-vertimento, Margaret, Hilda Petrie e MissEckstein unirono le mani e danzarono al chiarodi luna. Lo sbigottimento del vittoriano Mr Stan-nus e il divertimento che le tre donne devonoaver provato ci dà un’immagine di questi vitto-riani all’estero, dove, lontano da sguardi di disap-provazione, era possibile lasciarsi andare ad unamaggiore spontaneità.Successivamente, nel 1903-4, lavorò a Saqqaradove si occupa della copiatura delle iscrizioni suimuri delle mastabe, che porterà alla pubblica-zione del volume Saqqara Mastabas Part I-II (Ma-stabe di Saqqara Parte I-II).

Dopo gli scavi in Egitto passò varie estati a Maltae poi a Minorca: di queste ricerche pubblicò varivolumi. Margaret Murray si occupò delle illustra-zioni per le pubblicazioni degli scavi di Petrie, inparticolare era apprezzata per la sua abilità nelripassare a inchiostro le tavole. Questa pratica lediede le basi necessarie per curare le pubblica-zioni dei suoi scavi indipendenti, volumi abba-stanza apprezzati all’epoca e un risultatonotevole se contiamo la mole di lavoro data dallavelocità di pubblicazione e che tutto doveva es-

sere fatto a mano. Oltre ad insegnare e parteci-pare a missioni archeologiche, catalogò moltecollezioni Egizie nel Regno Unito, tra quelle delNational Museum of Antiquities di Edimburgo, ilMuseo Nazionale d’Irlanda a Dublino, l’Ashmo-lean Museum di Oxford e il Museo Nazionale diMalta a La Valletta.

Nel 1935 arrivò la fine della carriera accademicaufficiale, andò in pensione dal ruolo di Assi-stente e raggiunse Petrie in Palestina, dovestava ultimando i suoi scavi. Il suo ultimo scavofu a Petra su cui poi pubblicò due volumi: Petra,the Rock City of Edom8 (1939) e A Street inPetra9(1940). Altre sue pubblicazioni importanti,uscite dopo il suo pensionamento, sono TheSplendour that was Egypt10, uscito nel 1949 allaveneranda età di 86 anni e Genesis of Religion10,

pubblicato a cent’anni.

Che la Murray fosse un’archeologa moderna lodimostra il fatto che aveva un interesse per il pe-riodo copto, all’epoca decisamente sottovalutato.L’unico interesse che si aveva era per la vicinanzadel Copto all’Egiziano antico e per la sua impor-tanza per la Cristianità, ma l’Egittologia ‘vera epropria’ terminava con la conquista di Alessan-dro Magno, che secondo gli studiosi dell’epocaaveva portato alla fine della civiltà egizia. Nel

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d o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i ad o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i a

ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerr ccoonncceessssiioonnee ddeell PPeettrriiee MMuusseeuumm ooffEEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 1133 –– UUnnaa ddoonnnnaa sseedduuttaa ee ssuulllloo ssffoonnddoo llee ppiirraammiiddii ((DDaallll’’aall--bbuumm ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerr ccoonncceessssiioonnee ddeell PPeettrriiee MMuusseeuummooff EEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 1144 –– MMaarrggaarreett MMuurrrraayy ((tteerrzzaa ddaa ddeessttrraa)) ee iill tteeaamm ddii ssttuuddiioossiimmeennttrree ssbbeennddaannoo llaa mmuummmmiiaa ddii KKhhuunnuumm--NNaakkhhtt ddaavvaannttii aa uunnppuubbbblliiccoo ddii 550000 ppeerrssoonnee aallll’’UUnniivveerrssiittàà ddii MMaanncchheesstteerr ((ppeerr ccoonn--cceessssiioonnee ddeell MMaanncchheesstteerr MMuusseeuumm,, UUnniivveerrssiittyy ooff MMaanncchheesstteerr

FFiigg.. 1100 –– UUnnaa ddoonnnnaa eeggiizziiaannaa mmeennttrree pprreeppaarraa iill ppaannee ((DDaallll’’aallbbuummddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerr ccoonncceessssiioonnee ddeell PPeettrriiee MMuusseeuumm ooffEEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 1111 –– FFoottooggrraaffiiaa ddii uunnaa ccoommppaaggnnaa nnoonn iiddeennttiiffiiccaattaa ddii ssccaavvoo ddii

MMaarrggaarreett MMuurrrraayy –– ssuull rreettrroo uunnaa nnoottaa ddiiccee ‘‘llaa lluunngghheezzzzaa iiddeeaalleeppeerr uunnaa ggoonnnnaa iinn EEggiittttoo!!!!’’ ((DDaallll’’aallbbuumm ddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy,, ppeerrccoonncceessssiioonnee ddeell PPeettrriiee MMuusseeuumm ooff EEggyyppttiiaann AArrcchhaaeeoollooggyy,, UUCCLL))

FFiigg.. 1122 –– BBaammbbiinnii cchhee ggiiooccaannoo ssuullllaa rriivvaa ddii uunn llaaggoo ((DDaallll’’aallbbuumm

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dall’album di Margaret Murray.NNoottee::1 Murray 1963b, pagina 52 Murray 1963b, pagina 793 Murray 1963b, pagina 1074 Francis Llewellyn Griffith fondatore del Grif-fith Institute e primo professore di Egittologia ad Ox-ford5 Elementary Egyptian Grammar, 19056 Murray 1963b, pagina 967 Murray 1963b, pagina 1518 Petra, la città di roccia di Edom9 Una strada di Petra10 Lo Splendore che fu l’Egitto11 Genesi della Religione12 Whitehouse 2013, pagina 12313 Whitehouse 2013, pagina 12314 Il culto delle streghe nell’Europa Occidentale15 Famoso archeologo inglese, membro dell’Isti-tuto di Arhceologia e secondo marito di AgathaChristie. Scavò ad Ur, Ninive, Nimrud, Tell Brak ealtri siti nel Vicino Oriente. 16 Sheppard 201317 Whitehouse 2013, pagina 12618 In Janssen 1992, pagina 10 (per concessionedi Miss Margaret Drower)19 In Janssen 1992, pagina 13 (per concessionedello UCL Records Office)20 In Janssen 1992, pagina 80 (per concessionedel The Times Newspaper Ltd.)21 In Murray 1963, frontespizio. (Fotografia diPatrick Lichfield, copyright di William Kimber pu-blications)

zione si era occupata in prima persona.

Max Mallowan15 nel Dictionary of National Biogra-phy, riporta un aneddoto interessante su comela Murray praticasse la magia. All’Istituto di Ar-cheologia aveva fatto un incantesimo in un pen-tolino contro un collega che aveva ricevuto una

promozione che lei non approvava. L’incantesimoin un certo senso funzionò: la persona si ammalò,però a causa della malattia fu promossa ad un la-voro più importante ancora e maggiormenteadatto alla sua condizione di salute. Visto il ca-rattere razionale del suo approccio verso l’oc-culto (e lavorando con l’antico Egitto prima o poil’occulto lo si incontra) è più probabile che se ilracconto è vero si trattasse di uno scherzo, piùcoerente con la personalità di questa archeologache traspare sia dalla sua autobiografia che daaltri racconti.

Della sua vita privata non si sa molto dall’arrivo

a Londra in poi; nella sua autobiografia abbiamoun buon racconto della sua infanzia e adole-scenza, ma del periodo successivo poco o nulla.Sheppard16 in un recente studio conferma che almomento non si sa se avesse legami sentimentalicon qualcuno e se abbia mai rifiutato proposte dimatrimonio.Margaret Murray si spense il 13 novembre 1963alla veneranda età di cento anni. Rimasta lucidafino all’ultimo, continuò il suo lavoro di ricerca.L’immagine che traspare dalle varie memorie suquesta pioniera è quindi quella di una donna di-namica, determinata e piena di risorse, ma ancheinteressata al mondo che la circondava e dotatadi humour. Questo è testimoniato non solo dalsuo supporto alla causa delle donne e dal suo in-teresse etnografico, ma anche dal fatto che du-rante la sua carriera cercò di condividere la suaconoscenza sull’antico Egitto con il pubblico,come l’evento dello sbendaggio della mummia diKhnum-Nakht al museo di Manchester nel 1908(purtroppo pratica abbastanza ortodossa al-l’epoca!) o i suoi articoli su aspetti meno affron-tati della vita nell’antico Egitto. Il ricordo diMargaret Murray oggi non è più quello dell’assi-stente di Petrie, ma di una studiosa indipendenteche finalmente comincia a essere vista come unaricercatrice che ha dato un grande contributoall’Egittologia e merita di essere considerata trai pionieri in questo campo. Ultimamente una mo-zione ha deciso che il dipinto di Margaret Murraysarà recuperato dai depositi della University Col-lege London17 e appeso di nuovo nell’Istituto diArcheologia: un primo passo nel riconoscimentodovutole ancora oggi a centocinquant’anni dallasua nascita.

EMILIO PASSERA

Vorrei ringraziare la Curatrice del Petrie Museumof Egyptian Archaeolgy, UCL, Dr. Alice Stevenson,per avermi permesso di utilizzare le fotografie

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d o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i ad o n n e p i o n i e r e d e l l ’ e g i t t o l o g i a

FFiigg.. 1155 –– ‘‘AAnnccoorraa ccoonn uunnoo ssgguuaarrddoo rriivvoollttoo aall ffuuttuurroo’’,, ffoottooggrraaffiiaaddii MMaarrggaarreett MMuurrrraayy aa cceenntt’’aannnnii2211

• Janssen, R. M. 1992. The First Hundred Years. Egyp-tology at University College London 1892–1992 Lon-don: UCL Press.

• Murray, M. A. 1904. The Osireion at Abydos. Lon-don: Publications of the Egyptian Research Account.

•Murray, M. A. 1905. Elementary Egyptian Grammar.London: Quartich.

• Murray, M. A. 1905–37. Saqqara Mastabas Part I-II.London: Publications of the Egyptian Research Account.

•Murray, M. A. 1921. The Witch-Cult in Western Eu-rope: A Study in Anthropology. Oxford: ClarendonPress.

• Murray, M. A. 1930. The God of the Witches. Lon-don: Sampson Low, Marston & Co.

• Murray, M. A. 1939. Petra, the Rock City of Edom.London: Blackie.

•Murray, M. A. and Ellis, J. C. 1940. A Street in Petra.London: Quaritch.

• Murray, M. A. 1949. The Splendour that was Egypt.London: Sidwick & Jackson.

• Murray, M. A. 1963a. The Genesis of Religion. Lon-don: Routledge & Kegan Paul.

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BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIIAA

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e g i t t o i n p i l l o l e

alle richieste di prestigio di Puduhepa e infine il matrimonio si celebrerà.La principessa hittita prenderà il nome egizio di Mat-Hor-Neferu-Ra, mentre nulla sappiamo del nome cheha ricevuto alla nascita.

Il materiale relativo agli scambi epistolari tra Ramesse II e Puduhepa, è stato pubblicato in Keilschriftur-kunden aus Boghazkoy (KUB), un periodico sulla letteratura hittita edito a Berlino.

Tanis. Colosso di Ramesse II con la regina hittita, parzialmente danneggiata, rappresentata con i canoni egizi. Nell’iscri-zione verticale, qui sotto riportata integralmente, è visibile il suo cartiglio con il nome che Ramesse ha voluto per lei.

Hnwt tAwy MAt-Hr Nfrw-Ra sAt pA wr aA n xtA

La Sovrana delle Due Terre, Mat-Hor Neferu-Ra, figlia del grande Capo di Khatti

e g i t t o i n p i l l o l e

Ramesse II è stato fermato a Qadesh dalla coalizione antiegiziana che Muwattalli è riuscito a mettere as-sieme. Il monarca egizio rientra a Pi-Ramesse e perde tutti i territori che l’anno prima aveva riportatosotto la propria influenza. Tra egizi e hittiti seguiranno alcune scaramucce di assestamento più o meno importanti, per poi giungerea un equilibrio dapprima sotteso e poi ufficializzato da un articolato trattato di pace, sottoscritto dallostesso Ramesse e dal successore di Muwattalli, Hattusili III.La cronologia degli eventi non è qui importante. Ci basti sapere che dopo alcuni anni dalla firma del trat-tato di pace, Ramesse II chiede in sposa una figlia di suo “fratello” Hattusili.Le fonti egizie, naturalmente, ci raccontano di una principessa hittita portata in dono a Ramesse II – ac-compagnata da una ricchissima dote – affinché egli dia il “soffio di vita” al Paese di Hatti altrimenti mo-rente.La realtà dei fatti, ben attestata dalla corrispondenza tra le due corti scritta in cuneiforme su tavoletted’argilla, ci mostra invece un Ramesse impaziente, che mal sopporta l’eccessiva prudenza e le scuse dellaregina hittita, che qui tratta in piena autonomia le faccende legate al matrimonio. Puduhepa infatti ritardal’invio della figlia adducendo problemi economi, incendi di palazzi, impegni militari e pretende dal sovranod’Egitto alcune garanzie circa il ruolo che la principessa avrà a corte e le pretende subito! Mentre Ra-messe preferirebbe ricevere al più presto la principessa e decidere il resto dopo, con calma.A Ramesse che insiste sull’invio della principessa, Puduhepa risponde che nessuno può sindacare su ciòche fa o che non fa. A Ramesse che probabilmente si aspetta una ricca dote, Puduhepa risponde che non è degno di un granre arricchirsi con la dote della sposa.A Ramesse che pare dubitare delle motivazioni che ritardano l’invio della sposa – come il Palazzo Realedi Hattusa andato a fuoco – Puduhepa ricorda provocatoriamente al sovrano egizio che i fatti li conosceanche Urhi-Teshub, ospite della corte di Ramesse II in qualità di “rifugiato politico” perché implicato inuna gravissima crisi di successione. Hattusili III avrebbe voluto che il suo antagonista fosse estradato adHattusa probabilmente per eliminarlo fisicamente, ma Ramesse non diede mai seguito a questa richiesta,alimentando gravi tensioni tra i due Paesi.Ma c’è un fatto particolarmente curioso, che potremmo definire come il primo pettegolezzo internazio-nale che ci sia mai pervenuto, un gossip ante litteram.L’harem dei sovrani d’Egitto erano noto in tutto il Vicino Oriente per fagocitare le principesse e farle inqualche modo sparire. Del resto l’ipergamia faraonica era già ben codificata da tempo immemorabile ecome dice Amenhotep III rispondendo a Kadasman-Enlil di Babilonia: “Fin dai tempi antichi la figlia delRe d’Egitto non viene data in sposa a nessuno” (EA 4: 6-7).All’ipergamia si univa una spiccata poliginia, che era vanto del re.Ma proprio l’applicazione di queste forme di matrimonio ha creato un flusso di donne, per altro esclusi-vamente a senso unico, dal Vicino Oriente verso la corte egizia, che ha dato vita a una sorta di ingorgoper l’accesso ai titoli e alle funzioni di prestigio in relazione alla persona del re.Puduhepa è preoccupata di questo e già mette in chiaro con Ramesse che non accetterà che una dellesue figlie venga messa in ombra da spose di altri Paesi. E ad amplificare ancora di più il timore della re-gina hittita, arriva a Palazzo un certo Enlil-bel-nise.Enlil-bel-nise è un ambasciatore babilonese che per svolgere le sue funzioni viaggia tra i Grandi Imperi.Giunto in Hattusa incontra la regina, che probabilmente per aumentare il proprio prestigio personale equello del consorte, gli comunica che presto una delle principesse convolerà a nozze con il re del piùgrande, del più potente e del più prestigioso Stato presente in tutto il mondo allora conosciuto: L’Egitto.Il caso vuole che Enlil-bel-nise, prima di giungere alla corte di Hattusa, sia passato proprio da Pi-Ramesse,dove da tempo vive come sposa reale una principessa babilonese. Il funzionario ha cercato di incontrarla,di pranzare con lei, di salutarla, ma inutilmente! Alla fine è ripartito dalla capitale d’Egitto senza potervedere la regina sua connazionale.Naturalmente il diplomatico non si lascia sfuggire l’occasione per raccontare a Puduhepa tutti i particolaridel caso, magari anche romanzandoci sopra un po’, ed elencando i rischi a cui la principessa sta andandoincontro. L’energica regina prende immediatamente stiletto e tavoletta d’argilla fresca e scrive al futuroconsuocero chiedendo spiegazioni riguardo l’accaduto! Ramesse replica indignato e afferma che gli am-basciatori hanno sempre avuto libero accesso al proprio harem e che non deve riportargli questi pette-golezzi.La regina allora svela la fonte e fa il nome di Enlil-bel-nise, ma si dice anche stupefatta: si sarebbe aspet-tata un plauso da parte Ramesse per l’atto di lealtà che gli ha dimostrato raccontandogli tutto, e aggiungeche si guarderà bene dal ripetere lo stesso errore in futuro!Il seguito è andato perduto, ma sappiamo da un corpus di scritti successivi che Ramesse II andrà incontro

di Paolo Bondielli

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governo egiziano regalò alcuni dei suoi “templia rischio” ai paesi che investirono maggior-mente nelle operazioni di salvataggio di AbuSimbel.

Il tempio di Debod venne accuratamentesmontato, trasportato in nave fino a Valencia ericostruito a Madrid, dove dal 1972 è aperto alpubblico.Oggi il tempio è una suggestiva costruzionescenograficamente incorniciata dal verde delparco, contornato dagli alti edifici del centro diMadrid; un luogo avvolto da vera magia soprat-tutto a fine giornata, con il profilo del tempioche regala uno dei tramonti più spettacolaridella città.La visita all’interno del tempio è gratuita e so-prattutto emozionante: si passa da un esternoin cui è ancora percepibile la maestosità dellaciviltà egizia ad un interno labirintico e sugge-stivamente poco illuminato, che conduce il vi-sitatore a raggiungere la camera che un tempoera accessibile solo ai più alti funzionari reli-giosi.

LLAA CCAAPPPPEELLLLAA DDII AADDIIKKHHAALLAAMMAANNII:: UUNN EESSEEMM--PPIIOO DDII AARRCCHHIITTEETTTTUURRAA MMEERROOIITTIICCAA

Il quadro storico Nel sud dell’Egitto, dopo la campagna di Psam-metico II (XXVI dinastia), il regno Kushita, cheinizialmente faceva capo a Napata, rimane

temporaneamente tagliato fuori dallo sviluppodel nord. La casa reale mantiene in vigore letradizionali forme di culto egizio, con Osiridee Iside che svolgono un ruolo molto impor-tante nel culto dei defunti.Successivamente i re kushiti riprendono ad in-trattenere relazioni commerciali con il gran repersiano e, approfittando della debolezza dellaseconda dominazione persiana, estendono econsolidano la loro influenza sulla BassaNubia.La città di Meroe, estremità meridionale diun’importante via commerciale, inizia così adacquistare sempre maggiore rilievo come resi-denza del sovrano e il re di nome Ergamene(270-260 a.C.) riesce a trasferire definitiva-mente la propria residenza a Meroe, forse peropporsi al potere dei sacerdoti di Napata, inau-gurando così un nuovo periodo storico e poli-tico.Tuttavia i Kushiti non riescono ad opporreun’adeguata resistenza all’esercito egiziano ecosì, nel 275 a.C., le truppe di Tolomeo II rie-scono a penetrare fin dentro la Bassa Nubia,

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mmaaddrriiddDopo aver passeggiato lungo le strade dellacolorata, solare e soleggiata Madrid, forsedopo la visita del grande Palacio Real, dopo unpomeriggio tra i frastornanti grandi spazi diGran Via o dopo aver gironzolato tra le atmo-sfere del quartiere che ruota intorno a Puertadel Sol, un posto dove osservare Madrid tin-gersi dei colori del tramonto e godersi le ul-time ore di luce è al Templo de Debod.Il Tempio di Debod è un tempio egizio suggesti-vamente posizionato nel Parque de la Mon-taña, nella parte occidentale della città ed èproprio da qui che è possibile aprire lo sguardosull’area verde più grande della città.Il Parque de la Montaña è facilmente raggiun-gible camminando lungo Gran Via ed è soprat-tutto un’ottima meta per godersi un po’ ditranquillità, assaporando uno spaccato dellavita madrileña con un tocco, però, di atmo-sfera egizia.

Il Tempio di Debod venne regalato alla Spagnadall'Egitto nel 1968, in cambio dell'aiuto spa-gnolo in risposta all'appello internazionale del-l'Unesco per salvare i templi della Nubia,principalmente quello di Abu Simbel, in peri-colo per la costruzione della diga di Assuan.Il nucleo più antico è rappresentato dalla cap-pella che venne dedicata dal re di Meroe Adi-khalamani ad Amon di Debod e ad Iside nel200/195-185/180 a.C., anche se, in base al ri-trovamento di un cartiglio di Sethi I, si ipotizzala presenza di un primitivo edificio sacro dedi-

cato ad Amon, che si collocherebbe lungo lalinea di sviluppo territoriale delle molte fabbri-che sacre costruite dai Ramessidi in Nubia nelXIII-XII secolo a.C.Nel II-I secolo a.C. Tolomeo VI ingrandisce ilsantuario con nuove camere e cappelle, men-tre Tolomeo VIII e Tolomeo XII dedicano unnaos ad Iside e uno ad Amon di Debod.Nell’arco di tempo dal I al II secolo d.C. la fac-ciata e il vestibolo del tempio vengono deco-rati a partire dal principato di Augusto conTiberio e Adriano che, aggiunsero nuovestanze al nucleo originale, fino a conformare iltempio nell’aspetto che ancora oggi vediamo.Le vicissitudini del tempio sono ricominciatenel secolo scorso quando, negli anni Sessanta,la progettazione della Grande Diga di Assuanrappresentò una minaccia per numerosi siti ar-cheologici che rischiavano di essere sommersidalle acque del nuovo bacino artificiale.Il pericolo fu scampato grazie a un’operazioneinternazionale patrocinata dall’UNESCO, che siimpegnò soprattutto nella salvaguardia del-l’imponente i famosissimi templi di Abu Simbele, come ringraziamento per l’aiuto fornito nellaricollocazione di questo sito archeologico, il

IL TEMPIO DI DEBOD:L’EGITTO NELLA MULTICULTURALE MADRIDdi Francesca Pontani

1. (foto fatta da me) T3 Ḥwt

2. (foto presa da internet) Litografia del Tempio diDebod eseguita da David Roberts il 2 novembre 1838

3. (foto presa da internet) Lavori di ricomposizione delTempio di Debod a Madrid, 1972

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Debod, il quale in particolare viene definito: “ilgrande dio, che presiede l'Enneade”1, e un’altracitazione del Tempio di Debod è presente sullaporta romana del tempio di Dendur.Così, tutto sembra indicare che nella zona diDebod esisteva, anteriormente alla costru-zione della cappella di Adikhalamani, un’altrafabbrica religiosa presumibilmente già dedi-cata al dio Amon e alla dea Iside.La cappella di Debod è uno degli esempi ditempli di epoca tolemaica che hanno in sé lapresenza di elementi culturali estranei alla tra-dizione egizia.In questo caso non si tratta dell’influenzagreca, o meglio tolemaica, ma di quella meroi-tica. Si conoscono molti esempi di templi na-patei e meroiti che possono mostrare quelloche sarebbe potuto essere il progetto costrut-tivo finito di Adikhalamani, quando ordinò lacostruzione della cappella di Debod: per esem-pio il tempio del Sole a Meroe (Aspelta VII-VIsecolo a.C.) e la cappella di Ergamene nel tem-pio di Thoth di Pnubs a Dakka (Ergamenes II,207/6-186 a.C.).A circa 16 km a sud di Assuan, nel territoriodella Bassa Nubia, l’antica W3w3t, Debod era alcentro di un territorio che da sempre attraeval’attenzione e i desideri degli egizi.Infatti si trovava in una posizione chiave lungole vie carovaniere che giungevano dal MarRosso portando merci ricercatissime comearomi, spezie, pietre preziose, legni pregiati,che si aggiungevano a quelle africane costi-tuite da ebano, avorio, piume e uova di struzzo,pelli di leopardo, oli profumati e oro, molto am-biti anche dai popoli che si affacciavano sulMediterraneo.Questo era dunque il luogo di contatto e di

scambio, soprattutto culturale, tra l'Africa nerae il Mediterraneo; un pezzo importante dellagrande area Sahara-nilotica, con il Tempio diDebod che in particolare deve aver fatto partedel percorso sacro che percorrevano i pelle-grini che si recavano al grande centro religiosodedicato alla dea Iside sull'isola di File. La co-struzione del tempio fu dunque iniziata da Adi-khalamani re di Meroe nel 200-180 a.C., ilquale eresse una piccola cappella dedicata aAmon, conosciuta anche come la "cappella dei

rilievi".In essa si ripetono iscrizioni riferite ad un“Amon di Debod”, lo stesso dio Amon che ap-pare in primo piano nelle scene rituali raffigu-rate sui rilievi che proclamano che "il reAdikhalamani rende il monumento a suo padre

raggiungere le miniere d’oro di Wadi Allaqi efondano, ad ovest di questa località, la città diBerenice Pancrisia, “la dorata”.Segue poi una fase in cui i re di Kush riesconoa riguadagnare terreno in Bassa Nubia, sfrut-tando soprattutto la debolezza dell’Egitto al-l’epoca dei re antagonisti tebani (dal 206 a.C.),riuscendo soprattutto a consolidare il loro in-flusso sull’isola di File.Con Tolomeo IV si giunge infine ad un trattato:l’accesso al tempio di File rimane aperto per ivisitatori meridionali con i Tolomei e i Kushitiche partecipano alla costruzione del tempio diThoth a Dakka e di quello di Amon a Debod,nella Bassa Nubia.E’ dunque sulla scia di questi avvenimenti sto-rici che si colloca il tempio oggi conservato aMadrid.

Il tempio di DebodIl toponimo nubiano di Debod deriva probabil-mente dall’egiziano T3 Ḥwt = "La Cappella" =Debod, nel senso di “il tempio”, e la sua posi-zione originaria, ora sotto le acque della digadi Assuan, era su un piccolo altopiano dellariva occidentale del Nilo, a circa dieci miglia asud dell’attuale città di Assuan, appena supe-rata la prima cataratta (esattamente 15,4 km asud dell'isola di File); un’area, questa, abitatafin dal Predinastico, come indicato dalle sepol-ture che qui vennero rinvenute.Durante il Medio Regno Debod fu un impor-tante crocevia nelle rotte delle spedizioni egi-zie alla ricerca di rame e altri minerali esistenti

nel deserto e, in particolare, la spedizioneprussiana, guidata da Richard Lepsius, trovò aDebod il 31 Agosto 1844, una stele dedicata daIntef riguardo una missione di trasporto dirame effettuata durante il regno di Amenem-hat II (1922 -1878 a.C.).Infatti è molto probabile che nello stesso luogodel tempio meroitico-tolemaico ci sia stato unasorta di santuario o cappella dedicata al dioAmon, testimoniata con certezza dai repertiarcheologici almeno a partire dal Nuovo Regnoin poi. Di fatto si conosce l’importanza reli-giosa di Debod durante la XIX dinastia perchélì sono stati trovati resti con iscrizioni recantiil nome di Sethi II (1201-1196 a.C.) e sono docu-mentate anche sepolture pertinenti allo stessoperiodo.Ci sono poi diverse prove dell’esistenza di un

santuario nella zona di Debod prima che Adi-khalamani costruisse la sua Cappella: nel tem-pio di Dakka, per esempio, eretto da Arkamani(Ergamenes II), si fa menzione del dio Amon di

4. (foto presa da internet) Il tempio di Debod al tramonto

5. (foto fatta da me) Veduta dell’ingresso del tempio

6. (foto fatta da me) Particolare dei capitelli di epoca ro-mana

7. (foto fatta da me) Veduta dell’ingresso del tempio attra-verso i due portali

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prezzate.Al contrario, invece, con l’evoluzione della con-cezione storica si è compreso il valore e l’im-portanza anche di questi edifici in quanto sonola più viva espressione di una variopinta edeterogenea realtà teologica che, con la suaesuberanza, sembra quasi gridare che la prin-cipale necessità è quella di evidenziare moltidei rituali che componevano il culto divino, alcontrario dei templi più antichi che, invece,non esplicitavano nello stesso modo tali con-cezioni religiose e teologiche.I templi che vennero costruiti in Egitto dal IIIsecolo a.C. al II secolo d.C. furono come deglienormi libri di pietra, i cui muri accoglievanouna grande quantità di testi, elaborazioni teo-logiche e corpus rituali che, al contrario, neisantuari più antichi erano destinati ad essereconosciuti solo da una ristretta parte del clero,in particolar modo conservati su dei supportipiù fragili come i rotoli di papiro.E’ così che dal cuore dell’Africa i dinasti meroi-tici, discendenti dai re negri della XXV dinastia,hanno lasciato le loro impronte in differentiprogetti architettonici religiosi di inequivococarattere egiziano, come è il caso della cap-pella di Adikhalamani che d’altra parte rappre-senta però anche un esempio speciale nelcorpus dei templi appartenenti al periodo cro-

nologico del II secolo a.C.

La dedica della cappella di AdikhalamaniIl nucleo originario del Tempio di Debod vennerealizzato, dunque, dal sovrano meroitico Adi-khalamani nel periodo in cui gran parte del-l’Alto Egitto, e la Bassa Nubia, si trovavano al difuori della sfera di influenza della sovranità deire di Alessandria.L'edificio al momento dell’edificazione vennechiaramente dedicato a due divinità principali:la metà settentrionale della cappella al dioAmon di Debod e la metà meridionale alla deaIside di Abaton (a File).Per quanto riguarda il dio Amon, la dedicadella cappella al dio si individua nella grandeiscrizione scolpita sulla Parete Est, metà meri-dionale, dove i resti sono piuttosto scarsi, mapossono ancora essere letti così: “[Amon di]?.. Debod, insieme con la sua Enneade sul suogrande trono, nella sua [dimora sacra], (e) labellezza [nella] casa [(di) Amon] (di) Debod, in-sieme con la sua Enneade. (Quello che è stato)distrutto, è coperto (con) il telo, il misteriosovolto dei due dèi vestito ... il dio Amon diDebod”2.Per quanto riguarda la dea Iside, essa presiedela parte meridionale della cappella: infatti ve-diamo il re che offre i sonagli a sua madre nellaParete Ovest, offre alla dea, nel muro sud, ilcollare wsḫ, mentre nella stessa parete sud sipuò ancora vedere l’offerta del pane: “[Consa-crare] le porzioni di pane bianco a sua madre”3.Dedicando la cappella a queste due emblema-tiche divinità, Adikhalamani pretese, probabil-mente, perpetuare la tradizione che esistevafino a quel momento.Cioè utilizzò in modo propagandistico questaazione per mostrare continuità con la millena-ria storia egizia come se fosse una linea senzasoluzione di continuità, per confermare cosìl’autorità del trono meroitico nella regione,come già aveva fatto, tra l’altro, il suo prede-cessore al trono Arkamani (Ergamenes II).Questa volontà, in particolare, si materializzanella disposizione dell’immagine del dio Amonsulle pareti della metà Nord della Cappella,mentre le pareti della metà Sud vedono la di-sposizione delle immagini della dea Iside, fattoquesto che implica un altro importante indizio,

Amon", l’ "Amon che abita a Debod ".

Successivamente, tre re della dinastia tole-maica costruirono nuovi settori intorno al nu-cleo originario dandogli in questo modol’aspetto che vediamo ancora oggi; inoltre fu-rono soprattutto queste espansioni intrapresedai Tolomei che orientarono sempre di più ilculto del santuario verso la dea Iside, che andòquindi assumendo maggiore rilevanza rispettoad Amon.

Questi tre faraoni sono stati: Tolomeo VI "Filo-metore" (180-145 a.C.), contemporaneo di Adi-khalamani, insieme a sua sorella e moglieCleopatra II; Tolomeo VIII "Evergete II" (170 -116 a.C.), che ha dedicato un naos alla dea Isideaggiungendo una nuova sala alla cappella ori-ginale, e Tolomeo XII "Neo Dioniso" (80-51a.C.) che dedicò un altro naos al dio Amon.Dopo l’annessione dell’Egitto all’Impero Ro-mano, furono invece Augusto, Tiberio e, forse,gli Antonini gli autori delle ultime aggiunte ar-

chitettoniche che portarono alla conclusionedei lavori di costruzione; in particolare costrui-rono il pronao con la facciata scandita da unaporta affiancata da due colonne su ogni lato.Aggiunsero i rilievi sulla facciata originale deltempio di epoca tolemaica e decorarono le pa-reti interne nord, sud ed est del pronao e degliintercolumni esterni.Inoltre, probabilmente sotto Tiberio, vennerealizzato un edificio annesso, addossato altempio, chiamato “Mammisi”.In generale i templi di questo periodo storiconon ottennero il favore e l’apprezzamentodegli studiosi del XX secolo perché essi vede-vano queste architetture non genuinamenteegiziane ma contaminate da elementi esterni,e questo fatto li portava a considerarle appar-tenenti ad un periodo di decadenza rispettoalla “classicità” del Medio e del Nuovo Regnoe, quindi, non “degne” di essere studiate ed ap-

8. (foto fatta da me) Il Tempio di Debod circondato daimoderni palazzi di Madrid

9. (foto fatta da me) ) Il tempio di Debod immerso nelverde del parco

10. (foto presa da internet) Planimetria del piano infe-riore del tempio

11. (foto presa da internet) Planimetria del piano supe-riore del tempio

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A questo punto il tempio, le sue statue e i suoibassorilievi erano divenuti esseri viventi ca-paci di agire ed era in questo modo che il recreava un monumento che, non solo, celebravala potenza del dio ma, grazie all’energia vitaleinstillata nelle sue immagini, permetteva ilcompimento e l’efficacia dei riti4.Per entrare all’interno del santuario, gli egi-ziani percorrevano la via processionale che dalmolo li conduceva sotto i portali (1) in pietra diaccesso al tempio e nel caso del tempio diDebod queste estensioni sono state costruitedurante l’ampliamento tolemaico e in epocaromana (http://templodedebod.memoriade-madrid.es/eng/visitaVirtual_pilono2.html).Il Tempio di Debod conserva in alcune parti an-cora la decorazione originale degli interni e sicompone di un vestibolo, di alcune cappelle edi una terrazza al piano superiore.In particolare si segnala la Cappella dei Rilievi,che presenta le decorazioni originali dedicateda Adikhalamani ad Amon, Iside, Hathor e Osi-ride e il “Mammisi”, la cappella dove venivanocelebrate le cerimonie della nascita del dioHorus e che testimonia i rifacimenti di epocaromana.

La facciata principaleLa facciata del tempio (http://templodede-bod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_fachada.html) è ancora quella originale eseguitain epoca tolemaica, ma i rilievi degli interco-lumni esterni ed interni del vestibolo sono an-dati invece distrutti nel XIX secolo, e solo unframmento originario rimane all'interno dellaparete sud.Tuttavia, la decorazione si conosce ed è docu-mentata dalle testimonianze grafiche e foto-grafiche, ed è in questo modo che sappiamoche negli intercolumni esterni era rappresen-tato il Princeps Augusto nell’atto di adorare ildio Amon, porgendo l’offerta della dea Maat aldio Osiride, offrendo un vaso di vino alla deaIside e con Augusto rappresentato anche da-vanti al dio Mahesa.Addossato al tempio si trova il Mammisi diepoca romana che presenta caratteristiche si-mili al tempio di Hathor di Deir el-Medina.

Il Vestibolo o pronao (2)

Una volta oltrepassata la porta di ingresso, sientra nel vestibolo ipostilo sorretto da colonne(http://templodedebod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_vestibulo.html), un’estensionerealizzata in epoca tolemaica, che dà accessodiretto alla cappella di Adikhalamani e, se-guendo la simmetria tipica di questi santuari,si accede alla sala Uabet (http://templodede-bod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_uabet.html) così come ad un corridoio (10) e allascala (11) che porta al piano superiore dove sitrovano la cappella di Osiride (12) e la Terrazza(13).Tuttavia, questa simmetria è rotta dall’in-gresso diretto al Mammisi addossato al tempio,proprio sulla parete sud del vestibolo.All'interno del pronao si conservano ancoraoggi raffigurazioni di Augusto nell’atto di ese-guire diversi rituali agli dei e, in particolare,nella parete occidentale interna, lato sinistrodella cappella, è presente il Princeps Augustoraffigurato nell’atto di consacrare alla deaIside tre animali sacrificali (toro, gazzelle e an-tilope).Nella parete interna occidentale, ma sul latodestro, Augusto invece è rappresentato nelmomento in cui porge delle offerte di cibo aglidei Amon e Mahesa, offre due bicchieri di vinoal dio Thoth di Pnubs, mentre, sulla sinistradello stipite della porta sud, è presente l’ureoW3ḏt arrotolato su di uno stelo di papiro.Sulla porta nord del vestibolo sull’architrave èpresente il disco solare alato di Horus Bḥdt, ladivinità solare il cui simbolo è posto di solito aldi sopra degli ingressi e delle porte delle ca-mere dei templi per proteggerne l’interno dalleaggressioni esterne.Questa porta, in particolare, dà accesso allasala Uabet, la stanza in cui si effettuavano lecerimonie relative al rituale di purificazione.Sugli intercolumni interiori del vestibolo, di-strutti nel XIX secolo, esistevano dei rilievi, deiquali ci rimangono delle raffigurazioni: rappre-sentato nella parete est si distingue l'impera-tore Tiberio purificato dalle divinità Thoth eHorus in presenza del dio Amon, mentre Augu-sto con gli stendardi è in presenza di Imhotepdivinizzato.Sulla parete nord, Augusto offre incenso e li-bagioni a Osiride-Iside-Horus.

espresso chiaramente dal progetto stessodella costruzione e della decorazione dellacappella.Cioè si vuole materializzare e fissare concre-tamente con la costruzione del tempio diDebod il centro geografico, ovvero “cosmico”,che Adikhalamani osservò nell’ora della co-struzione della cappella dedicandola alle duedivinità citate, perché Iside è, a Debod, coleiche è presente e che governa il territorio a Sud(di Tebe), mentre l’Amon che si incarna nellacappella di Adikhalamani è il dio che è pre-sente e che governa a Nord (di File).Così entrambe le città sante ed entrambi i san-tuari (quello di Amon di Karnak e di Iside a File)segnano i punti di confine entro i quali era ilterritorio ideale e reale messo a punto per ilpianificato esercizio di sovranità di Adikhala-mani nella veste di re di tutto l’Egitto, dellaterra tra i confini mistici segnati da Tebe alNord e da File al Sud.Per eseguire la cerimonia della consacrazionedella cappella, il re è rappresentato con in-dosso la Corona Rossa, l’emblema della sovra-nità sul Nord dell’Egitto, mostra la collana wsḫ,indossa bracciali ai polsi e alle braccia, èstretto dentro il gonnellino šndyt con la codadi toro e porta la barba rituale.Ciò che il re è intento a fare è la cerimonia del“bussare alla porta” con la mazza che sollevacon la mano sinistra, mentre alza la destra nelgesto cerimoniale usato per intonare le frasirituali.

IILL TTEEMMPPIIOOI templi egizi non sono stati costruiti con loscopo di realizzare centri per un culto di tipopubblico come le nostre chiese, ma anzi, il mo-narca erigeva il tempio come se fosse essostesso un altare alla divinità tutelare e unasorta di memoriale personale a se stesso.Da quello che sappiamo, la gente comune nonpoteva accedere ad alcune parti dell'edificio,che si presentava come un recinto chiuso, fre-quentato solo dai sacerdoti, questo perché inquesto modo lo si voleva proteggere da qual-siasi impurità esteriore che ne avrebbe potutoattenuare la natura divina o avrebbe potutocausare l’abbandono del luogo da parte delladivinità.

Il santuario era l'espressione simbolica delCosmo, in quanto riproduceva il momento delprimo giorno e incoraggiava, attraverso l’os-servazione e la celebrazione dei riti, la perma-nenza del dio e il rinnovamento della creazioneoriginale della vita, degli dei, degli uomini e ditutto ciò che esiste in cielo e in terra.Il tempio egizio era il luogo dove abitava la di-vinità, dunque, la sua casa terrena.Non si conosce la festa scelta per iniziare le ce-rimonie che hanno presieduto alla costruzionedel tempio di Debod, ma altri esempi ci por-tano più vicino a conoscere con quale ritovenne realizzata la fondazione di questo san-tuario.La costruzione del tempio faceva parte delleattività divine cui poteva partecipare (dogma-ticamente) solo il re insieme a determinate di-vinità. Per esempio Seshat si occupava delladelimitazione del terreno e questo compito loeseguiva insieme al re tendendo le corde fradue paletti attraverso la cerimonia Pedy Shes.Questo lavoro doveva essere compiuto di notteed è così che una volta scelto il sito, attraversol'osservazione delle stelle, si decideva qualesarebbe stato l'orientamento dell'edificio reli-gioso. Nel caso di Debod venne scelto l'orienta-mento est-ovest, in modo che l'asse delsantuario fosse nel solco tracciato dal sole nelcielo, e perpendicolare al corso del dio Hapi, ilNilo.Una volta orientati i quattro angoli dell’edifi-cio, in ciascuno di essi veniva fatta una piccolafossa dove mettere amuleti e oggetti per pro-teggere e dare forza magica al nuovo recintosacro.Per poter “funzionare” il tempio doveva essereabitato dal dio al quale era destinato e dallasua corte e questa comunità divina si incar-nava nelle statue che venivano alloggiate nellediverse cappelle e nei bassorilievi che ricopri-vano le pareti.Questi però erano oggetti creati da manoumana e quindi era necessario animarli infon-dendo divinità attraverso determinati rituali,primo fra tutti il rito dell’Apertura della Bocca:si “aprivano” gli occhi, il naso, la bocca delleimmagini divine con lo scopo di comunicareloro le funzioni vitali con le quali respirare, ve-dere, sentire e assaporare.

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Infine, nella parete sud si individua l'immaginedi Augusto (non scolpito) davanti ad Osiride eIside, Shepses-Nofret, Arpocrate (tutti di-strutti) e Imhotep che portano nelle loro manila croce ʽnḫ e una tavoletta di geroglifici.

La Cappella dei Rilievi o di Adikhalamani (3)A questo punto si eccede nella parte più anticadel tempio, che è ancora conservata nel suostato originale, anche se gli archeologi polac-chi riferiscono nelle annotazioni dei loro scavil'esistenza di un edificio cronologicamente an-teriore alla cappella di Adikhalamani, databileal regno di Seti II (1201-1196 a.C.), poiché venneritrovato un blocco con il cartiglio di questo fa-raone in prossimità del tempio (http://templo-dedebod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_adijalamani.html).Questa teoria sembra molto verosimile, consi-derando la presenza ramesside in Nubia eforse lo stesso re di Meroe riutilizzò alcuni deiblocchi del XIII secolo per l’edificazione di que-sto piccolo tempio.La cappella di Adikhalamani è completamentedecorata con scene di culto divino simili aquelle di altri templi, in cui il sovrano adora di-vinità diverse e realizza differenti offerte.Tutte le pareti, est e ovest, sono ricoperte conquesti motivi di contenuto rituale.La cappella venne consacrata, fin dal mo-mento della sua costruzione, al culto del dioAmon e alla dea Iside, ma anche altre divinitàrappresentate sulle pareti della cappella sonoraffigurate nell’atto di ricevere culto come Mut,Osiride, Horus (Arpocrate), Harendotes, Ra-Ha-rakti, Hathor, Nefti, Khnum, Satis, Anukis, Are-snufis, Sekhmet, Tefnut, Min, Uadjet eNekhebet.Appena oltrepassata la soglia della cappella, adestra e a sinistra, possiamo vedere il dioThoth che purifica con acqua chi accede allacappella (parete nord), e il dio Horus che ese-gue la stessa azione, entrambi con accanto Im-hotep divinizzato (parete sud).Qui inoltre, è rappresentato l'atto di purifica-zione finale del culto divino giornaliero, se-condo il rito del tempio di Edfu: il sacerdoteofficiante versava quattro volte acqua puraverso il naos con il vaso delle libagioni ḳbḥw;realizzava la purificazione con cinque grani di

natron di Nejeb, unzione con l'olio santo easpersione con l'acqua di vita e di potenza diQuererte, il luogo mitico della prima cateratta.Sopra gli dei purificatori si può leggere ancoraparte del testo per la celebrazione del culto di-vino giornaliero, il momento in cui la divinitàsi risveglia e la si esorta a rimanere attiva perla protezione di Debod e del re.Continuando il percorso, su entrambe le paretiche conducono all’entrata del naos vediamoche anche qui, ad opera del sovrano di Meroe,è perpetuato il concetto politico e religiosodell’unione delle Due Terre: sulla parete nord,Adikhalamani si mostra sotto la protezione del

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dio Amon e le divinità del Basso Egitto, mentresulla parete sud, appare davanti ad Iside e a di-vinità provenienti dall'Alto Egitto. E’ rappre-senta in questo modo la Terra dell’Egittounificato.Nel dettaglio possiamo vedere nella PareteNord il sovrano che si pone sotto la protezionedel dio Amon e realizza la tradizionale offertadella Maat, insieme ad altre offerte e rituali delculto divino giornaliero.Il Re è poi rappresentato mentre tiene le manidi Amon e della dea Mut, ed in questo modo ri-ceve la protezione degli dei della cataratta,Khnum-Ra, Satis, Petensenis (una forma localedi Horus) e Anukis, così come sono raffiguratela "dea mito lontano" e la dea Sekhmet.

Ma su questa parete sono presenti anche divi-

nità tipicamente del nord come il bambinoHorus-Arpocrate, custodito e protetto dalladea cobra protettrice del Basso Egitto, Uadjet.Nella Parete Sud invece i rilievi mostrano unaversione del mito divino in base al quale il re èassociato al dio Horus-vendicatore-di suo-padre (Harendotes), con scene di culto in cuiHorus bambino è protetto da Nekhbet, la deaavvoltoio del sud.Adikhalamani si dichiara figlio di Iside offrendoa lei l’olio mḏt, il pane bianco a forma di pira-mide ʽḳw, il collare wsḫ e offre a lei i sistri. Poioffre un amuleto al dio Min e alla dea Neftis,coloro che gli danno la divinità e la forza.La presenza solare per il re è rappresentatadagli dei Ra-Harakti, assimilati qui al dio Horusdi Edfu e dalla dea nubiana Apset, “la fiammache brucia i nemici del re", e Adikhalamani dinuovo offre la Maat agli dei.Il dio Harendotes e la dea Hathor ricevono dalsovrano l’occhio W3ḏt, e in cambio gli conce-dono la terra e tutto quello che in essa esiste.Infine, con una complessa corona Atef sulcapo, avvengono i riti di aspersione, fumiga-zione e offerta della collana al dio Osiride ac-compagnato dalla sua sposa divina, la deaIside.

L’Anticamera del naos (4)Dalla Cappella di Adikhalamani, giungiamoall’anticamera del naos (http://templodede-bod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_antesala_naos.html), lo spazio che introducevanella stanza più importante del tempio, il san-cta sanctorum, la dimora terrestre del dio, acui vi accedevano solo i sacerdoti officianti.L’anticamera era un piccolo vestibolo: “la Saladell’Altare o delle offerte” (wsḫt-ḥtp) che a suavolta dava accesso a due stanze laterali alnaos, a destra e a sinistra (6).

Le Cappelle laterali (6)Queste due stanze erano dedicate ad acco-gliere altre due divinità che possiamo identifi-care con Pr-Wr e Pr-Nw, cioè “Cappella delNord” e “Cappella del Sud” (http://templode-debod.memoriademadrid.es/eng/visitaVir-tual_capilla_lateral_sur.html), tipiche deitempli egizi dell’epoca, che erano dotate dicripte (7) o camere nascoste (http://templode-

12. (foto presa da internet) Cappella di Adikhalamani,Parete Nord

13. (foto presa da internet) Cappella di Adikhalamani,Parete Sud

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debod.memoriademadrid.es/eng/visitaVir-tual_cripta_norte.html), dove venivano custo-diti gli oggetti sacri impiegati nel cultogiornaliero delle divinità residenti a Debod.Inoltre, qui venivano depositati anche altri og-getti utilizzati nei riti come vestiti, ornamenti,profumi e oggetti simbolici come la Maat el’Occhio Uadjat, così come anche cibo e be-vande che erano le offerte principali.La Cappella Nord (http://templodedebod.me-moriademadrid.es/eng/visitaVirtual_capilla_lateral_norte.html) potrebbe essere stata dedi-cata agli dei Jnum e Mahesa, mentre la Cap-pella Sud al dio Osiride. In queste cappelle sieffettuavano rituali e sacrifici giornalieri amezzogiorno e al tramonto e in esse eranopresenti anche altari e statue di altre divinitàresidenti a Debod.

La Sala del naos (5)La sala del naos è la sala principale del santua-rio, il luogo più sacro del tempio nella cui oscu-rità viveva il dio.E’ qui che Tolomeo XII “Neo Dioniso” (80-51a.C.) dedicò un sacello al dio Amon, in granitorosa, all’interno del quale era custodita la sta-tua di culto del dio. L’accesso in questo spazio del tempio era per-messo solo ai sacerdoti: http://templodede-

bod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_naos.html .Tuttavia, in origine non era l’unico naos esi-stente in questa stanza. Non era abituale neitempli egizi che in una stessa stanza venisserodepositati due naos per custodire la presenzadi due divinità che, al principio, non possede-vano alcuna relazione teologica tra di loro,però qui è documentata l’esistenza di un se-condo naos che venne dedicato da TolomeoVIII “Evergete Trifone” alla dea Iside, ora peròscomparso.A questo punto torniamo al pronao o vestiboloipostilo (2), per accedere al piano superiore at-traverso la stretta scala (11), ma prima di salireè presente un ingresso aperto a destra checonduce ad un corridoio (10).

Il Corridoio (10) Questa stanza o corridoio (http://templodede-bod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_corredor.html) che comunica con la cripta dellaCappella Sud dedicata ad Osiride, potrebbe es-sere stata utilizzata per eseguire le funzionidella cosiddetta “Biblioteca”, che è presenteanche in altri templi tolemaici.Queste “case del libro” infatti erano i luoghidove venivano depositati e custoditi i rotoli dipapiro sui quali erano redatti testi sacri, “trat-tati” di astronomia e di medicina, i cui più fa-mosi esempi sono quelli di Dendera ed Edfu, lecui iscrizioni sulle pareti ne indicano la fun-zione.Qui a Debod non sono presenti iscrizioni checi possano far dire con assoluta certezza chequesta stanza avesse quelle stesse funzioniche conosciamo in altri luoghi, ma è solo inbase alla sua posizione planimetrica che neviene attribuita l’antica funzione. Ora, tornati sulle scale, iniziamo la salita alpiano superiore dove troviamo la cappella diOsiride (12) e la terrazza (13).

La Cappella di Osiride (12)Salendo la prima rampa di scale ci troviamo difronte una piccola stanza: http://templodede-bod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_osiriaca.html.Questa ha una forma rettangolare con una fi-nestra di 60 cm di lato sulla parete sud e un

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foro di dimensioni minori sulla parete ovest.La finestra era impiegata probabilmente comenicchia cultuale per la pratica dei misteri osi-riaci, mentre il foro potrebbe essere stato uti-lizzato come armadio.Questa camera avrebbe dovuto avere delle

aperture sul tetto in modo da fornire la luce in-diretta necessaria all’Osiride vegetante deposi-tato nella finestra della parete sud, perchéinfatti è così che si celebravano i misteri di Osi-ride: l’immagine del dio veniva modellata conuna miscela di terra e semi di cereali e annaf-fiata con regolarità. Il grano germogliava e dalcorpo della divinità sorgevano le piantine, sim-bolo della resurrezione del dio Osiride e conessa di tutta la creazione.

La Terrazza (13)La scala del tempio Debod rappresentava l’ul-tima fase delle celebrazioni in occasione dellaFesta del Nuovo Anno, conosciuta anche comeFesta del Re e di tutti gli dei.Questa festa era destinata a proteggere con isuoi riti magici il passaggio da un anno all’al-tro: si preparavano le immagini divine per unabreve processione che iniziava all’interno del

14. (foto presa da internet) Il re Adikhalamani offre laMaat

15. (foto presa da internet) Il tempio di Debod nella suasede originaria, 1907

16. (foto presa da me) Interno del Tempio di Debod

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tempio partendo dalle cappelle, si passava at-traverso la Sala Uabet e la cerimonia si conclu-deva sulla terrazza, sotto i raggi del Sole.In questo modo le principali statue divine deltempio erano trasportate dai sacerdoti; eranovestite e preparate per la cerimonia probabil-mente nel vestibolo anteriore alla Sala Uabet,ed erano condotte in processione, con passolento, intonando litanie, salendo i gradini cheportavano alla terrazza (http://templodede-bod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_terraza1.html) .Una volta giunti in questo ambiente, si prati-cava la cerimonia dell’esposizione delle statuedivine alla luce solare e poi, finiti questi sacriatti, le statue tornavano ognuna nella propriacappella.Oggi la terrazza è uno degli ambienti maggior-mente modificati rispetto all’aspetto originarioperché originariamente a cielo aperto, per mo-tivi di conservazione è stata coperta(http://templodedebod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_terraza_entrada.html) Tornando di nuovo giù al vestibolo si entra nelmammisi (9).

Il Mammisi (9)Dal vestibolo colonnato (2), entriamo nell’ul-timo ambiente che venne aggiunto in epocaromana, probabilmente durante il principato diTiberio (14-37 d.C.): si tratta dell’edificio cherompe la simmetria tipica dei santuari egizi(http://templodedebod.memoriademadrid.es/eng/visitaVirtual_mammisi.html).Il mammisi è una parola di derivazione coptache significa “luogo di nascita”, attribuito daChampollion ai piccoli edifici innalzati in epocatolemaica davanti ai piloni.In questa stanza, denominata nei testi Pr-Ms,si celebravano le cerimonie che evocavano lanascita del dio Horus. Infatti, nei templi cheerano abitati da una triade, quando la deamadre si recava a partorire il piccolo dio (il fi-glio della triade) si riteneva che essa si recassenel mammisi. Sembra che il bambino divino ve-nisse assimilato al faraone e così ogni annodelle cerimonie particolari ripetevano i misteridella nascita.Le pareti di Debod non hanno tuttavia iscri-zioni, però possiamo supporre la sua funzione

attraverso le scene presenti sulle pareti di altrimammisi conosciuti come quello di Edfu, Den-dera, File, Kom-Ombo e Esna. Così sappiamo diquesto rito che prevedeva l’unione del dio conla dea, la plasmazione del bambino reale, il ri-conoscimento del figlio da suo padre, l'allatta-mento al seno e l’investitura del dio-figlio.Sicuramente il mito del mammisi di Debod eracollegato con l’”Horus figlio di Osiride”, sottola forma di Petensenis, “il Faraone di Biga”, ilculto del quale è presente nei rilievi della Cap-pella di Adikhalamani e nei templi di Dakka ePhilae.Nella parete ovest è presente un buco che puòessere stato destinato ad un’immagine divinacollegata allo svolgimento delle cerimoniedella “nascita divina”, mentre nella parete sudvi è un’apertura che permetteva l’ingresso diun raggio di luce in modo da creare una leg-gera penombra all’interno della totale oscu-rità, creando così l’atmosfera adeguata almistero della nascita.

LLAA FFAACCCCIIAATTAA PPOOSSTTEERRIIOORREEQui si può vedere l’unico rilievo esistenteesterno, ma molto deteriorato, che raffigura glidei Amon di Debod e il dio leone Mahesa, guar-diano dei luoghi sacri.

FFRRAANNCCEESSCCAA PPOONNTTAANNII

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laureata con lode in Egittologia presso l’Universitàdi Roma La Sapienza, ha partecipato a numerosecampagne di scavo archeologico in Italia e in AsiaMinore.Collabora con Associazioni ed Istituti finalizzatialla promozione del patrimonio storico ed archeo-logico nazionale.Svolge la professione di redattrice e corretrice dibozze presso un portale di promozione turistica eculturale del territorio italiano.

la via dorata per samarcandadi Aila Santi

ARCHEOLOGIA NEL CUORE DELLA VIA DELLA SETA

Siamo arrivati a Samarcanda a notte tarda, dopo un lungo viaggio. Ci siamo sistemati in un apparta-mento nei pressi dell’Istituto Archeologico che il giorno dopo avremmo visitato accompagnati dal di-rettore Amreddin Berdimuradov. L’istituto è un enorme parallelepipedo sovietico a tre piani. Il direttore si mostra orgoglioso della bellae nuovissima scritta al neon affissa sulla facciata e degli irrigatori automatici installati di fresco nelgiardino antistante. Se si esce sulla strada un taxi o un damas –dei furgoncini Chevrolet a sei posti, mezzo di trasporto pereccellenza delle famiglie uzbeke- ti possono condurre in pochi minuti agli edifici più importanti dellacittà: i mausolei e le madraseh Timuridi. (FOTO 1)Begzod, un ragazzo tajiko che abita vicino all’istituto, ci dice in un italiano fluido di aver studiato inuna scuola di italiano famosa in tutto il paese e ci accompagna a scoprire le meraviglie del cuoreantico di Samarcanda. Intorno al gigantesco sito che era Afrasiab, la Maracanda dei Greci, si accumu-lano una serie di quartieri popolari, la maggior parte dei quali edificati completamente in mattoni diterra cruda essiccata al sole ed intonacati: segno etnografico tangibile della sopravvivenza di una tra-dizione edilizia vecchia di millenni. Dai tetti di tegole e lamiere svettano le cupole turchesi e gli impo-nenti archi acuti del Rejistan, “La piazza del Re”, antico nome ripristinato dopo che era stato cambiato,nel corso della dominazione sovietica, in un più socialista: “Piazza del popolo”. Il Rejistan è il cuore tu-ristico della città, e lo si capisce dalla quantità di locali e ristoranti tipici disseminati tutti intorno, dai

We travel not for trafficking alone;By hotter winds our fiery hearts are fanned:For lust of knowing what should not be knownWe take the Golden Road to Samarkand.

James Elroy Flecker

1. La piazza dei Rejistan a Samarcanda

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sviluppo insediamentale che coinvolge la maggiorparte dei tepa della valle del medio corso dello Ze-ravshan è datato al periodo Ellenistico (IV-III sec.a.C.), prosegue durante l’epoca Greco-Battrianae presenta un continuum occupazionale fino allaconquista araba (VIII sec. d.C.). Non mancano,anche se più rare, attestazioni del periodo Kushana. (FOTO 3)Il lavoro di ricognizione ha inizio con la raccolta deidati preesistenti che verranno integrati con quellinuovi desunti dal lavoro sul campo per andare aconfluire in un archivio digitale unico basato sull’im-piego del GIS . Grazie a questo tipo di piattaforma

siamo in grado di integrare mappe geografiche e to-pografiche di scale differenti e di correlare a qual-siasi punto di esse una serie di informazioni edattributi fondamentali per la ricerca. In questo modoè possibile creare una banca dati provvista di qual-siasi tipo di informazione associata ad elementi gra-fici georeferenziati. La cartografia presa in considerazione è quella pre-cedente ai grandi lavori idro-agricoli intrapresi daisovietici che portarono ad un parziale sconvolgi-mento del paesaggio tradizionale e alla perdita dinumerosi siti di interesse archeologico. Si componedi carte geografiche sovietiche degli anni ‘40 e ‘50,delle preziosissime immagini Corona -fotografie sa-tellitari ad alta risoluzione catturate dai satelliti spiadel Dipartimento Americano della Difesa tra il 1960e il 1972- e delle immagini Landsat. Dopo un’opera-zione di overlay mapping vengono individuati i siti diuna determinata area da ricognire. (FOTO 5)Raggiungiamo la steppa a bordo di un damas, ac-compagnati da un autista e da Surat, un giovane ar-cheologo dell’Istituto Archeologico. Si impiegaun’ora e mezza buona per raggiungere il cuoredell’area della ricognizione, seguendo dalla mac-china il rarefarsi progressivo del tessuto urbano,la comparsa dei villaggi con le case in terra crudae l’appiattimento totale del paesaggio che con-fluisce nell’orizzonte infinito della steppa in cuil’unico riferimento geografico è, a Sud, l’incom-

bente barriera brulla della catena del Karatyube.Raggiungiamo non senza difficoltà i siti indivi-duati precedentemente con l’aiuto di mappe eGPS. Si inizia quindi con un’operazione cosid-detta di field walking che consiste essenzial-

mente nel camminare in file parallele a distanzadi pochi metri ed effettuare un esame autopticodell’area interessata. Durante la survey, è di fon-damentale importanza la raccolta di materialesuperficiale, per lo più ceramica - ma anche vetroe metallo - che permette di inquadrare il sito inuna forchetta cronologica più o meno ampia in

negozi di souvenir e dal grande parco che fa datrait d’union tra la piazza e lo sfarzoso mausoleodi Tamerlano. “Per realizzare quel parco hannodovuto demolire la fabbrica di vodka più famosadi Samarcanda” ci dice Begzod con un velo di tri-stezza negli occhi. Osserviamo in silenzio l’archi-tettura della piazza, i tre grandi pishtaq dellemadraseh con le pareti leggermente oblique, i co-loratissimi mosaici di mattonelle smaltate, densidi arabeschi, rappresentazioni simboliche ed in-vocazioni. Il nome di Dio scritto in cufico sulle pa-reti delle grandi scuole coraniche, le cupole e lemoschee abbaglianti di colori sono le uniche ecodi un Islam quasi del tutto scomparso. A Samar-canda non si vedono donne velate, non si sente lacantilena metallica dei muezzin dagli altoparlantie le moschee sono quasi soltanto attrazioni turi-stiche. Dal Rejistan, per un bel viale alberato e la-stricato di recente, si arriva al luogo dimanifestazione più verace della società uzbeka: ilbazaar. Il Siab -questo il suo nome- è il più impor-tante della città: qui venditori di frutta secca ciporgono ogni ben di dio da assaggiare e dei pa-stori della steppa ci offrono rimedi per ogni malea pochi sum . Appoggiati ad una balaustra, re-stiamo ipnotizzati dall’intenso brulicare sotto-stante. “Un antico proverbio orientale dice che cisono tre cose che non ci si stanca mai di guar-dare: l’acqua, il fuoco e il bazar” ci insegna Beg-zod. (FOTO 2)

La ricognizione

L’obiettivo principale del progetto archeologico

congiunto tra l’Università di Bologna e l’Accade-mia delle scienze dell’Uzbekistan è, dal 2001, laredazione di una mappa archeologica di Samar-canda e del suo territorio. In dodici anni di ricercagli archeologi italiani e uzbeki hanno messo apunto un sistema avanzato di mappatura e cata-logazione dei siti rilevati attraverso la ricogni-zione sul campo e l’apertura di alcuni saggi discavo stratigrafico. L’area interessata dalle ricer-che è la valle del medio Zeravshan, fiume chenasce dalla catena del Tian Shan, in Tajikistan, eche si rivelò determinante per lo sviluppo storicodella regione di Samarcanda. Fin dai tempi anti-chi -quanto antichi è uno dei quesiti cui stannocercando di rispondere gli archeologi e i geologiimpegnati sul campo- quest’area venne infatti in-teressata da un sistema complesso e articolatodi canalizzazioni che estese la superficie di terrecoltivabili e favorì il popolamento della zona. Unastoria di imponenti lavori artificiali atti a rendereospitali luoghi per natura aridi e ostili -basti con-siderare le immensità desertiche della steppa dioggi- che avvicina in un certo modo il destino diquest’area a quello dell’antica Mesopotamia: pro-prio col nome di mesopotamia vengono infattichiamate le oasi fertili che emergono in mezzoall’articolata rete idrica che si sviluppa grazie alloZeravshan e ai suoi due imponenti canali princi-pali: il Bulungur, a Nord, ed il Dargom, a Sud.Il limite meridionale, orientale e settentrionaledell’area è marcato da una serie di montagne cheraggiungono i 2500 m di altezza e da cui na-scono i saj, torrenti naturali che scendono a vallearricchendo il profilo idrografico del territorio. Inquesto paesaggio, fortemente modificato dagliimponenti lavori di riqualificazione della rete deicanali e delle aree agricole intrapresi sistematica-mente durante il periodo sovietico con culminetra gli anni ‘60 e ‘70, i resti degli antichi siti si pre-sentano sotto forma di piccole colline artificialiin terra cruda che interrompono la piatta mono-tonia del paesaggio. In Asia Centrale e nei terri-tori iranici tali evidenze prendono il nome di tepa. I tepa sono parte integrante del paesaggio di Sa-marcanda e contadini e pastori sono ben co-scienti del loro valore storico e archeologico.Spesso sono proprio loro ad informarci della pre-senza in una determinata area di un sito di-strutto, non solo in epoca sovietica ma anche direcente, da qualche parente per costruire unacasa o per estendere i terreni coltivabili. Il primo

2. Veduta del Siab, bazaar principale di Samarcanda

3. Panorama del paesaggio archeologico con esempi ditepa

5. Esempio di overlaymapping (Bonora et alii, 2003,p.40)

4. Alcuni frammenti ceramici rinvenuti durante il fieldwalking

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rama degli insediamenti di epoca sogdiana nellavalle del medio Zeravshan. (FOTO 7)Le indagini stratigrafiche cominciarono nel 1936

ad opera dei sovietici e proseguirono dopo la Se-conda Guerra Mondiale con due campagne nel1956-57 in cui vennero identificati due principaliperiodi di occupazione: uno relativo al VII-VIII se-colo d.C. e l’altro collocato tra XI e XII secolo d.C.La fase moderna degli scavi si è concentrata, apartire dagli anni ’90, sulla cittadella: un’impo-nente struttura rettangolare rastremata (75x75m alla base e 60x60 m alla sommità) alta 20metri, circondata da un fossato e da sei torri divedetta. Si tratta di una cittadella fortificata chedoveva costituire il fulcro architettonico e strate-gico dell’insediamento. La tecnica edilizia predi-letta è il paksha, consistente nella messa in operadi grandi blocchi squadrati di argilla cruda di dif-ferenti dimensioni. La strategia abitativa del ca-

stello si articolava in un grande spazio quadratocentrale che fungeva da corte di sfogo per laserie di ambienti che si disponevano tutt’intorno.

(FOTO 8)In epoca sogdiana la fortezza rappresentava unimportantissimo centro amministrativo, come te-stimonia lo straordinario ritrovamento di quasi500 cretule nell’area dell’ingresso principale delcastello. (FOTO 9)Si tratta di una scoperta eccezionale in quantounica in ambito Centro-Asiatico per il periodo sog-diano/alto medievale - dunque pre-islamico -, ilche induce a pensare che Kafir Kala avesse rive-stito, nei secoli precedenti la conquista araba, unruolo chiave nella gestione e nel controllo deicommerci della Via della Seta e dell’agricolturadella regione. Tracce di un evento traumatico chepuò essere ricondotto all’invasione araba sonostate trovate nella corte e negli ambienti ad essaadiacenti: diverse unità stratigrafiche di cenere elegno carbonizzato testimoniano che la fortezza

base alla quantità di resti diagnostici presenti.(FOTO 4) Talvolta si raccolgono campioni di terrache verranno sottoposti ad analisi di laboratorioper la datazione dei canali.Da ultimo si procede alla realizzazione di unasketch map, uno schizzo della pianta e del profilodel tepa, corredato da una breve descrizione e dafotografie.Grazie al lavoro di ricognizione sistematica riu-sciamo a stabilire quanti e quali dei siti indivi-duati sulla cartografia pre-sovietica come tepasono effettivamente siti archeologici e quali in-vece conformazioni naturali che non presentanotracce di occupazione antropica. Nel caso di in-sediamenti antropici la concentrazione di mate-riali di superficie è massiccia. Tuttavia i tepa, pur costituendo i records archeo-logici principali e più facilmente studiabili e ana-lizzabili, rappresentano solo un aspetto dellastoria di questi territori: quello legato alla realtàsedentario-agricola. Accanto a questa dimen-sione ne esisteva un’altra, per sua natura piùsfuggevole e fluttuante, rappresentata dai gruppitribali legati al nomadismo e alla pastorizia. Iresti associati a queste due opposte manifesta-zioni antropologiche -la cui interazione si confi-gura come un evento fecondo e storicamenteinteressantissimo che plasmò di fatto la storia ela temperie culturale di questi territori- sono so-stanzialmente differenti. I nomadi sono, per la na-tura itinerante che li qualifica, una categoriaumana sostanzialmente refrattaria all’architet-tura, per questo le evidenze archeologiche delloro passaggio sono limitatissime. L’unica im-pronta materiale stabile e duratura il nomade lalascia quando è veramente costretto a fermarsi,ed è la sua sepoltura. I kurgan, questo il termineutilizzato in letteratura per le sepolture delle co-munità nomadi o dedite alla pastorizia, si presen-tano sotto forma di tumuli di pietre inzeppate nelterreno che si dispongono perlopiù a formare ac-cumuli circolari di varie dimensioni. Spesso que-ste sepolture non sono isolate, ma è frequenteche si addensino in una determinata area che inalcuni casi si viene a configurare come una vera epropria necropoli. Generalmente le tombe minorisi dispongono attorno ad una tomba più grandeappartenente con ogni probabilità ad un capo o aun anziano. In questa disposizione si riflette l’or-dine sociale e gerarchico del clan, nonché la deli-mitazione di un’area di influenza appartenente ad

una determinata congregazione tribale. (FOTO 6)A differenza di quanto avviene per i tepa, facil-mente individuabili nella cartografia e nelle im-magini satellitari per il loro carattere di rilievitopografici, i kurgan si possono rinvenire esclusi-vamente tramite il field walking, e spesso il lororitrovamento è del tutto fortuito. Una volta completata la survey dell’area stabilita,il lavoro prosegue negli ambienti dell’Istituto dovevengono registrati i nuovi dati acquisiti riguardoi siti e dove si provvede alla pulizia e alla suddivi-sione del materiale rinvenuto.

Kafir Kala

A partire dal 2001 sono riprese le indagini ar-cheologiche nella fortezza sogdiana di Kafir Kala,già scavata dall’Istituto di Archeologia di Samar-canda tra il 1990 e il 1994. Il progetto ha avutofortune alterne negli ultimi dodici anni: la man-canza di fondi ha purtroppo compromesso a piùriprese la continuità delle attività di scavo. Il sito di Kafir Kala sorge a circa 12 km a Sud-Estdi Samarcanda e si presenta come un imponentemonumento di 20 metri di altezza, corredato, suifronti settentrionale e meridionale, da sei torri divedetta a sezione quadrata (tre per ogni lato) eda un insieme di rilievi minori nelle immediate vi-cinanze. L’importanza strategica del luogo, a dominarel’intera porzione meridionale dell’alluvio, la prote-zione fornitagli da ben tre corsi d’acqua, tra cui ilDargom a Nord e infine la vicinanza con le dueprincipali carovaniere della Via della Seta, oltread una serie di ritrovamenti notevoli all’internodella fortezza, hanno fatto pensare che il sito oc-cupasse una posizione di grande rilievo nel pano-

6. Un kurgan

6. Un kurgan

7. Distribuzione dei principali insediamenti della valle delMedio Zeravshan (Berdimuradov at alii, 2007, p.31)

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contadini, i campi ben arati e una moltitudine ditepa sparpagliata nella campagna. Difficile de-scrivere la forte emozione che ogni mattina micoglieva guardando quell’orizzonte, nonostanteil lavoro, il caldo, le poche ore di sonno. (FOTO 10)Forse per le sue viscere dense di storia, o per ilsuo somigliare così al passato, questa terra ha lostraordinario potere di attrarre e commuovere. Spero che il futuro mi dia l’occasione di conti-nuare a scoprirla.

AAIILLAA SSAANNTTII

Note1 Termine che identifica le scuole coraniche nei territoriislamici.2 I grandi portali ad arco acuto che si aprono sulla corte dimadraseh e moschee.3 Moneta uzbeca. Un Euro equivale a circa 3000 Sum. 4 Direttori del progetto sono il prof. Maurizio Tosi (Univer-sità di Bologna) e il prof. Amreddin Berdimuradov (Istitutodi Archeologia, Accademia delle Scienze dell’Uzbekistan,Samarcanda). I miei ringraziamenti vanno al prof. Tosi cheha dato l’opportunità, a me e ai miei colleghi, di parteciparealle ricerche della Campagna 2013 e al dott. Simone Man-tellini, responsabile della Missione Archeologica. 5 Nell’area Mesopotamica e Vicino Orientale, gli stessi ven-gono denominati tell. 6 II sec. a.C. e il I sec. d.C., si riferisce al regno greco di AsiaCentrale che si rese indipendente dall’impero Seleucide.Fiero baluardo della cultura ellenica, il regno Greco di Bat-triana non fu insensibile alle influenze orientali che co-niugò con le istanze della madrepatria dando vita amanifestazioni di incommensurabile rilievo artistico, cultu-rale e architettonico. Si veda come esempio la città elleni-stica di Ai-Khanoum nell’odierno Afghanistan.7 Dinastia di origine nomadica che nel I sec. a.C. inglobò ilregno Greco Battriano e fondò un impero che si estendevadall’antica Sogdiana all’area Gandharica fino alla valle del-l’Indo. I Kushana regnarono fino al IV sec. d.C.8 Gegraphic Informatic System.9 Impronte di sigilli su frammenti di argilla.

Aila Santi è nata a Viareggio il 07/08/1990.Dopo il diploma si è trasferita a Roma dove, neldicembre 2012, ha conseguito la laurea triennalein Archeologia e Culture dell’Oriente e dell’Oc-cidente con tesi in Archeologia e storia dell’arteIslamica (110/110 con lode). Attualmente fre-quenta il secondo anno del corso di laurea Magi-strale in Archeologia, con curriculumIslam-Vicino Oriente. Ha partecipato a variecampagne di scavo in Italia [Piazza Armerina(EN); Castello di Monreale (VS); MassaciuccoliRomana (LU); Pendici Nordorientali del Palatino(Roma)] e all’Estero (Sultanato dell’Oman, Uz-bekistan).

BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIIAA::

• Berdimuradov, et alii, Samarkand and its territory: from ar-chaeological map to cultural landscape management, in Bullet-tin of International Institute for Central Asian Studies (IICAS),N° 6, 2007, pp.22-33• Berdimuradov et alii, Scavi della Scuola e del Dipartimentodi Archeologia: Uzbekistan, Samarcanda, in OCNUS, Quadernidella Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici, N°17,2009, pp. 246-249• Bonora et alii, Carta archeologica della Media Valle dello Ze-ravshan: aspetti diversificati per una comprensione diacronicadel popolamento antico, in OCNUS, Quaderni della Scuola diSpecializzazione in Beni Archeologici, N°11, 2003, pp. 35-63• Cazzola & Cereti, Sealings from Kafir Kala, in Ancient Civi-lization from Scythia to Siberia (ACSS), 2005, PP.134-164Gentelle at alii, Samarcande, cité mythique au coeur de l’Asiein Dossier d’Archéologie N°341, Sept.-Oct. 2010, pp. 4-11;p.47• Mantellini & Berdimuradov, Archaeological explorations inthe sogdian fortress of Kafir Kala, in Ancient Civilization fromScythia to Siberia (ACSS), 2005, pp. 107-131

subì un incendio che comportò il crollo delle co-perture lignee della corte dove erano poste le cre-tule e altro materiale amministrativo.All’indomani di questo evento -collocabile in baseai materiali nei primissimi anni dell’VIII sec.d.C.,quando cominciò l’occupazione permanente sottoil governatore Quayba B. Muslim- la fortezza furioccupata a scopo abitativo. Le tracce di frequen-tazione relative a questa fase si riscontrano so-prattutto negli ambienti adiacenti alla corte, dovesono stati rinvenuti numerosi pavimenti in bat-tuto e focolari. Nel corso della campagna 2013 le ricerche dellamissione congiunta Italo-Uzbeka sono state con-dotte nella parte centrale della cittadella, quellarelativa alla corte e agli ambienti posti attorno adessa. La frenetica attività di scavo e documenta-zione ha svelato nuovi livelli di occupazione eduna quantità stupefacente di reperti fittili, piccolioggetti in metallo ed ossa animali. Noi studentiitaliani ci siamo trovati a collaborare sul campocon i nostri colleghi uzbeki: lo scambio culturalee di conoscenze, una volta abbattuta la barrieralinguistica con l’apprendimento di uno stringatolessico russo di base, è stato intenso e interes-

sante.Kafir Kala ci appariva ogni mattina alle prime lucidell’alba massiccio e imponente, con le paretiforti e scoscese, le torri svettanti. Per arrivarealla sommità dovevamo salire una serie ripidis-sima di gradini ricavati in qualche modo nelle pa-reti di paksha dagli operai. Da sopra si dominavaparte della grande vallata dello Zeravshan, si se-guiva lo snodarsi del Dargom, le poche case di

8. Planimetria dello scavo sulla cittadella al termine della campagna di scavo 2008 (Berdimuradov et alii,2009, p. 247)

9. Cretula rinvenuta a Kafir Kala (Cazzoli & Cereti i, 2005, p.152)

10. Particolare di una torre di vedetta di Kafir Kala alleprime luci dell’alba

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Questa scena base, nel tempo, subirà diverse mo-difiche: dalla XXI dinastia il dio Gheb viene raffi-gurato ripiegato su se stesso seguendo unascelta stilistica probabilmente collegata a parti-colari epiteti del dio: Gb m ^nt “Gheb in qualità dicirconferenza”, come è chiamato nelle iscrizionidel tempio di Kom Ombo, sviluppo ultimo di unaconcezione della fine del Nuovo Regno per laquale il dio Gheb circonda tutta la terra. Il quadroè arricchito dall’inserimento delle stelle e dellecostellazioni decanali, utilizzate per il conteggiodelle ore della notte. Ad essa si affianca, poi fondendosi, la descrizionedel cielo sotto forma di vacca tra le cui corna sonospesso racchiuse le stelle o il sole, con sul ventredodici stelle, raffiguranti le ore della notte e sottodi esso il padre Sciu insieme ad altre divinità.

IIll SSoollee

Rappresentazione del mondo conosciuto, quindi,ma al tempo stesso scenografia dei fenomeniastronomici. Ra è figlio di Gheb e di Nut; inghiot-tito dalla madre ad ogni tramonto e partorito adogni alba. Nel suo percorso diurno il sole è aiu-tato dal Sœ° (Sia) “la conoscenza”, dal ½w (Hu)“il comando” e dalla ½k°w (Heka) “la magia crea-tiva”. Esso naviga di giorno sopra la sacra barcam{nªt (dal non chiaro significato, forse in rela-zione con l’alba {nªw); mentre di notte sullabarca msktt (dall’egiziano kkw “oscurità”). Anche l’immagine del sole è variegata: all’alba,appena generato, esso appare come Khepri, loscarabeo sacro; nel mezzo del giorno era Ra; alla

sera e lungo il percorso notturno era Atum, informa antropomorfa dalla testa di ariete.

LLaa lluunnaa

Spesso considerata di secondo piano la lunastessa ha un ruolo importante nel corso dellastoria egizia, si pensi al fatto che l’osservazionedel suo moto e delle sue fasi fornì il primo stru-mento per la misurazione del tempo: duratadell’anno, divisione e durata dei mesi e le lorosuddivisioni ‘settimanali’. Rappresentava l’oc-chio sinistro di Horus e anche di Ra Harakhty; alei erano associate quasi tutte le divinità, dallepiù note, Thoth e Khonsu, allo stesso Osiride;tanto che perfino il suo nome “tecnico” œ{¼ di-viene una personificazione divina. E come per ilsole, il sincretismo egizio portò alla fusione tradiverse figure divine: a Deir el Medina è docu-mentato il culto di Khonsu quello di Thoth-Iah.

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i l c i e l o d e l l ’ A n t i c o E g i t t o

La rappresentazionedel cielo

Quando l’uomo nel passato più remoto ha guardato il cielo si è principalmente posto queste tre do-mande: come spiegare quello che vedo? Come rappresentarlo? Quali informazioni posso ottenere?Come tutte le culture, passate e presenti, anche quella egizia ha dato interessanti risposte a tali do-mande e in particolar modo alla seconda. I documenti rendono quadri religiosi incentrati in quella derivata dal cosiddetto Libro di Nut. La scenaprincipale è nota a tutti: la volta celeste è rappresentata dal corpo inarcato della dea Nut, sostenuta

di Massimiliano Franci

Sciu, Geb e Nut (disegno di Lorenzo Margiacchi)

dal padre, il dio Sciu, personificazione della luce dei raggi solari, ed alle estremità della dea, sdraiatoai piedi di entrambi, Gheb, personificazione divina della terra. Si tratta anche di una raffigurazionedella creazione (o almeno di una delle visioni egizie sulla creazione): l’universo nasce nel momento incui la luce (il dio Sciu), dall’oscurità primordiale, separa il cielo dalla terra. E con la prima generazioneda parte della dea - cielo notturno e diurno - del figlio, il sole, inghiottito al tramonto dando il via allaprima, lunga e terribile notte, dove il sole attraversava il corpo della madre superando numerosi pe-ricoli nel corso delle 12 ore notturne fino all’ambita rinascita, inizia anche l’incedere del tempo.

Il cielo sotto forma di vacca celeste (disegno di LorenzoMargiacchi dalla tomba di Tutankhamon)

Il sole come Atum sulla barca della sera msktt (disegno diCaterina Ulivi dalla tomba di Ramses I)

Rappresentazioni divine dell’astro lunare (disegno di Cate-rina Ulivi dalla stele di Neferrenpet-Museo egizio di Torino)

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SStteellllee ee ccoosstteellllaazziioonnii

Considerate le anime dei defunti chiamate perquesto @°-b°.s “le migliaia delle sue (del cielo)anime”) purtroppo delle circa 70 stelle, costel-lazioni o agglomerati di stelle, conosciute, stu-diate e individuate dagli antichi egiziani,pochissime sono state oggi identificate. Adesempio non è sicura la rappresentazione diThuban, alfa Draconis, la stella polare dell’epoca,forse l’apice di un palo dove l’Orsa maggiore èlegata, malgrado la sua importanza in astrono-mia e architettura.

Tra le poche identificazioni certe abbiamoOrione, in egiziano s°¼, costellazione eviden-ziata dalla sola cintura delle tre stelle, personifi-cazione di una divinità o regalità maschile, di cuiindicano la corona. Nei Testi delle Piramide è as-sociato ad Osiride. Sirio, in egiziano Spdt, che deve la sua originariaimportanza al fatto di essere legata all’arrivo

della piena del Nilo. Dopo 70 giorni in cui lastella non era più visibile, essa si levava qualcheminuto prima dell’arrivo del sole, proprio in con-comitanza con il fluire della piena del Nilo. NeiTesti delle Piramidi è associata a Iside, rappre-sentata sopra una barca, con la quale traghettanel cielo; mentre nel periodo più tardo viene raf-figurata come una vacca assisa con una stellatra le corna, come si può vedere nel soffittoastronomico del tempio di Dendera.

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II ppiiaanneettii

Gli egizi si resero conto della differenza tra stellecircumpolari, le stelle decanali e pianeti. Leprime, che non sparivano mai nelle notti del-l’anno, erano chiamate œ~mw-sk “le stelle indi-struttibili”, mentre i pianeti e le stelle decanalierano chiamati œ~mw-wrª “coloro che ignoranola fatica”. Il movimento caratteristico dei 5 pianeti osser-vabili a occhio nudo, oggi definito stazionario,retrogrado e di avanzamento, emerge dai nomidati ai pianeti stessi: s¹dd.f m ~t~t “colui che simuove all’indietro” per Marte, sb° i°bty ª° pt “lastella orientale che attraversa il cielo”, mentrein altri era indicato come stella occidentale perGiove, e come vedremo la dualità nel nome diMercurio. Accanto a questi dal significativo va-lore astronomico i 3 pianeti esterni alla Terra(Marte, Giove, Saturno), ritenuti manifestazionidi Horus, erano chiamati: Marte ½r °~tj “Horusdei due orizzonti” e ½r d^r “Horus il rosso”;Giove ½r t°^-t°wj “Horus che delimita le DueTerre” e sb° rsy n pt “la stella meridionale delcielo”, spesso seguito dall’epiteto ̂ msw n pt “chesegue nel cielo” oppure wp^-t°wj “che illumina leDue Terre (l’Egitto)”; mentre Saturno era indi-cato come ½r k°-pt “Horus, toro del cielo” e ½r p°k° “Horus, il toro”.

I pianeti interni, Mercurio e Venere, permiseromigliori osservazioni, in quanto la loro rivolu-zione intorno al Sole era compresa nell’anno ter-restre. Mercurio era chiamato Sbgw (forse “amiche-vole”), probabile epiteto di Horus con cui è tal-volta identificato, e vicinissimo nel significato adun altro nome del pianeta ½r-¼knw “Horus, l’ac-clamato” o “il gioioso”. Ma esso era chiamatoanche w^ “il distruttore”, riferito probabilmenteal dio Seth con la cui immagine era rappresen-tato. Una dualità presente in altri documentidove Mercurio è indicato come St^ m w~° n�r mdw°yt “Seth che è nel crepuscolo della sera, il diodel chiarore del giorno”. Venere era ¬°j “colui che attraversa (il cielo)”,sb° �° “la stella che attraversa (il cielo)”, bnw“Fenice” e nel periodo tardo della storia egizianan�r-dw° “la stella del mattino”. Questa varietà nei nomi non deve sconvolgerepoiché nel corso della lunga storia egizia le as-sociazioni mitologiche mutarono continua-mente. Un oroscopo del III secolo? a.C. cherappresenta tutti i pianeti conosciuti all’epoca,dove tra le righe è possibile intravedere tradi-zioni ormai perdute accanto a quelle già atte-state, riporta: “…Elenco delle stelle viventi:Horus il toro (Saturno), è la stella di Ra. Horus ilrosso (Marte), è la stella del leone feroce. Sbg(Mercurio) è la stella di Thoth. La stella del mat-tino (Venere) è Horus figlio di Iside. Horus delsegreto (Giove) è la stella di Amon…”.

Tomba di Pedamenope (Epoca Saitica) – Giove (disegno diLorenzo Margiacchi)

Venere - Tomba di Pedamenope (XXVI Dinastia) - (disegno di Lorenzo Margiacchi)

Il cielo con Thuban (alfa Draconis) come stella polare (disegno dell’autore)

Sirio ed Orione raffigurati nel

sarcofago di Idy delMedio Regno

(disegno di LorenzoMargiacchi)

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A questa rappresentazione mitologica si con-trappone quella più tecnica che emerge dallalettura del cosiddetto Onomasticon di Amenope,un’opera “enciclopedica”, redatta durante la XXdinastia, dove lo scriba ha raggruppato un lungoelenco di parole, secondo criteri associativi par-ticolari dell’ambiente egiziano. Per quanto ri-guarda l’ambito astronomico il primo elementodi questa enciclopedia dell’esistente è pt il cielo,seguito da œtn “il disco solare”, œ{¼ “luna”, sb°“stella”, nel suo senso generale, S°¼ Orione,Ms~tyw l’Orsa Maggiore (qui Amenope dimostrala sua erudizione perché glossa la parola con iltermine ~p^ che significa proprio “zampa”). Se-guono poi altre costellazioni o stelle a noi scono-sciute: œ{n la costellazione della scimmiacinocefala; la costellazione N~t “la Possente”; lacostellazione della scrofa Rry, secondo alcuni lastessa della dea ippopotamo a guardia costella-zione della zampa anteriore. Subito dopo, dueparole per indicare la tempesta con il significa-tivo determinativo del dio Seth; poi i termini re-lativi alla presenza o assenza di luce: s¼d-t°“alba”, kkwy “oscurità”, ^w “luce”, ~°bwt“ombra”, ¹°¼° “luce del sole”, fino ai sty œtn“raggi del sole”. Troviamo di nuovo parole rela-tive a fenomeni atmosferici per arrivare al vo-cabolo nw il “Nun”, l’Oceano Primordiale, dallacui tensione si sviluppano le piogge, le tempeste,

l’inondazione del Nilo. Ed infatti segue mtr “lapiena del Nilo”, senza connotazioni religiose (al-trimenti il nome utilizzato dagli antichi egizianisarebbe stato Hapy, la personificazione divinadell’inondazione). La trattazione continua conelementi che trascendono dalla nostra ricercacome il sistema idrico egiziano, naturale e arti-ficiale, i terreni, le classi sociali, gli elementidella corte faraonica, le occupazioni.

Amenope descrive l’universo dall’alto verso ilbasso, non per mera reverenza religiosa, ma dabuon scriba, nonché pittore, squadra il foglio dipapiro o la parete intonsa di un tempio o di unatomba delimitando in alto il cielo e in basso laterra, tratteggiando un universo a forma di sca-tola con il cielo al suo apice e la terra in posi-

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i l c i e l o d e l l ’ A n t i c o E g i t t o

L’Orsa Maggiore era chiamata in egizianoms~tyw, la “gamba” del toro, rappresentata avolte come un uomo che si tiene saldo alla codadi un toro, o come una forma taurina domata daHorus e legata con una corda alla costellazionedell’Ippopotamo; o ancora, come zampa di toro.Ma dato che nei Testi delle Piramidi la parolams~tyw ha il determinativo dell’ascia è probabileche la primitiva forma associata a questa costel-lazione si sia perduta. La lettura mitologica ri-chiama alla mente il mito di Horus e di Seth,quando il primo taglia in battaglia la zampa an-teriore del secondo che viene sollevata nel cielosettentrionale: custodita dalle divinità e tenutaferma dall’Ippopotamo femmina affinché nonpossa andare tra gli dei.

AAllttrree ccoosstteellllaazziioonnii

Nei diversi registri astronomici egiziani sonopresenti altri disegni collegabili per analogia condelle costellazioni; ma la cui identificazione conil nostro sistema di catalogazione è al momentoimpossibile. Le ipotesi ricostruttive sono molte:forse dovrebbero essere tutte costellazioni che

ruotano intorno alla stella Thuban (la stella po-lare dell’epoca); e che per motivi stilistici sonomesse su un piano longitudinale. Tra le più attestate abbiamo l’Ippopotamo fem-mina, forse chiamata ist d°t mwt ¼b pt, interpre-tabile come “Iside, colei che bilancia il peso dellafesta del cielo”, forse costellazione del Drago.(Dwn-)Anu, una rappresentazione di Horus ilquale, secondo il mito, controlla la zampa del-l’Orsa con una lancia, forse la costellazione delCigno, le cui stelle ɛ e γ erano in linea perpendi-colare con la stella Thuban e quindi con l’OrsaMaggiore. Serqet ovvero lo scorpione (nessunarelazione con la costellazione classica), che inaltri documenti è rappresentata come una locu-sta; due coccodrilli, S°� e �ttp-d��, che circon-

dano un leone (anche questo senza nessunacorrelazione con mondo classico) chiamato rwntr imytw.sn “il divino leone che sta tra di essi (idue coccodrilli); infine una particolare rappre-sentazione tra i pianeti esterni ed i pianeti in-terni: due tartarughe (��yw), un’altra probabilecostellazione della quale non abbiamo corri-spondenza.

L'Orsa Maggiore - Particolare dal soffitto della camera sepolcrale di Sethi I (XIX Dinastia) (disegno di LorenzoMargiacchi)

L’Ippopotamo femmina - Particolare dal soffitto della ca-mera sepolcrale di Sethi I (disegno di Lorenzo Margiacchi)

Costellazione delle due tartarughe - Tomba di Pedamenope(XXVI Dinastia) – (Disegno di Lorenzo Margiacchi)

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i l c i e l o d e l l ’ A n t i c o E g i t t o

zione opposta; e tutto ciò che comprende lacreazione nel mezzo (il Nun in realtà dovrebberimanere fuori dalla creazione). StranamenteAmenope non cita i pianeti né Sirio - forse li

MMAASSSSIIMMIILLIIAANNOO FFRRAANNCCII

Dottore di Ricerca in Scienze Filologiche eStoriche del Vicino Oriente Antico, dottoremagistrale in Lettere Orientali, professore diEgyptian Art and Archaeology per CAMNES-LdM, insegna inoltre Egittologia, Storia e Cul-tura Islamica, Culture e civiltà del VicinoOriente Antico.

comprende nel nome generico di stelle - ma peril resto tutto ciò che sappiamo dai pochi docu-menti rimasti di quello che per gli egiziani era ilmondo astronomico è presente.

La costellazione Leone - Particolare dal soffitto della camera sepolcrale di Sethi I (XIX Dinastia) (disegno di Lorenzo Margiacchi)

51

C U L T U R A

Il “Museo On Line” che rivoluziona il concettodi musealizzazionedi Margherita Guccione

Svolgere attività come quelle di cui si occupa l’associazione speleo-archeologica Te.S.E.S. significa

vivere quotidianamente a contatto con luoghi ricchi di fascino, avventurarsi in ricerche al confine

tra realtà e leggenda, mettersi alla prova e quasi sempre anche in senso fisico. Ogni nuova avven-

tura è sempre un’incognita, è impossibile prevedere come si concluderà uno studio e che svolta

prenderanno le ricerche, perfino quando si crede di avere tutti gli elementi per giungere ad una

concretizzazione.

Ciò che, però, accomuna ogni nuova esplorazione è la possibilità – il privilegio, direi – di osservare

in prima persona strutture e manufatti che, giacendo nel sottosuolo, in luoghi impervi e difficil-

mente raggiungibili per chiunque non abbia una specifica preparazione tecnica, rimangono pre-

clusi all’osservazione dei più. Ed è proprio a seguito di questa considerazione, dopo anni di

esperienza sul campo, che nel 2004 Luigi Bavagnoli (presidente Te.S.E.S. – foto2) decide di dare

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53

c u l t u r a

d’impegno diretto.

Per saperne di più, seguire l’evoluzione del MOL,

avere ulteriori chiarimenti o contatti, è possibile

consultare la pagina facebook del progetto

https://www.facebook.com/MuseoOnLine?fref=ts

o raggiungere il sito internet dell’associazione

www.teses.net

MARGHERITA GUCCIONE

52

c u l t u r a

vita al M.O.L. Il Museo On Line, quindi raggiun-

gibile con i moderni mezzi tecnologici, è pro-

gettato proprio per permettere l’immediata

fruibilità di tutti quei reperti inamovibili, per i

motivi sopra menzionati, e che non possono es-

sere esposti al grande pubblico. Non solo: l’ap-

plicazione del progetto ha permesso di

evidenziare la necessità di estendere questa

opportunità anche a quella serie di reperti che,

nell’eterna attesa di fondi e/o di spazi espositivi

adeguati, giacciono abbandonati nei magazzini

dei musei senza poter essere ammirati, com-

presi e contestualizzati. Lo stesso dicasi per le

collezioni private, che solo in rare occasioni il

pubblico può visionare ed apprezzare.

All’interno del progetto, invece, per ogni re-

perto è prevista una scheda di catalogazione,

con una suddivisione per area geografica, ma-

teriale di realizzazione, tipologia di utilizzo e

stato di conservazione. A sua volta, ogni

scheda può essere corredata da scatti fotogra-

fici, schede US e matrix o da ulteriori schede

integrative indicanti il luogo di ritrovamento,

l’attuale luogo di conservazione ed un’utile ri-

costruzione virtuale dell’oggetto in questione.

E’ evidente che si tratta di un museo virtuale la

cui consultazione sarebbe alla portata di tutti,

in grado di raggiungere e rispondere alle esi-

genze tanto degli appassionati e dei curiosi

quanto, in particolar modo, di studiosi e ricer-

catori che necessitano di un archivio informa-

tizzato da cui attingere quante più informazioni

tecniche possibili. Le istituzioni museali che de-

cideranno di rendere fruibili i propri reperti,

inoltre, potranno inserire all’interno delle

schede di catalogazione, tutte le informazioni

utili sulla struttura, ad esempio i contatti di ri-

ferimento, gli orari di apertura o i servizi of-

ferti. Ciò contribuirebbe anche ad avvicinare i

visitatori virtuali del MOL al proprio territorio,

dando loro consapevolezza e conoscenza reale

della storia e della produzione culturale del

luogo in cui vivono, magari convincendoli a vi-

sitare personalmente musei mai visti prima. Da

non sottovalutare, il possibile inserimento d’in-

formazioni inerenti sempre l’ambito culturale,

quali comunicati su eventi, conferenze, mostre

e quant’altro si ritenga pertinente con la natura

del sito.

Allo stato attuale, il MOL è in attesa di un ulte-

riore sviluppo dal punto di vista tecnico. I mezzi

a disposizione al momento della sua ideazione

risultano oggi indubbiamente superati, per

questo si sta cercando d’individuare l’azienda

informatica adatta allo scopo, che creda forte-

mente nell’utilità di una simile piattaforma vir-

tuale e nel proprio impegno in un’impresa

culturale. Inoltre, per far fronte ai costi di ge-

stione e manutenzione, meno onerosi che non

nel 2004 ma di cui bisogna indubbiamente te-

nere conto, è stato attivato un conto Paypal1,

nella speranza che quanti credono in questo

progetto e nella professionalità stessa del

Teses decidano di sostenere la causa con libere

donazioni. Ciascuno di essi potrà poi vedere il

proprio nome menzionato nell’apposita sezione

del sito in cui verranno riuniti i ringraziamenti

ufficiali. L’unica richiesta che viene rivolta alle

istituzioni museali ed ai collezionisti privati in-

tenzionati a collaborare, principalmente locali

per poi eventualmente estendere l’archivio al-

l’ambito nazionale, consiste nell’individuare

quei reperti a cui si desideri concedere parti-

colare visibilità e mettere a disposizione le re-

lative schede con i dati degli stessi. Tutte le fasi

successive saranno coordinate e gestite dall’as-

sociazione, senza alcun onere per i soggetti

culturali coinvolti né in termini economici né

1 Raggiungibile tramite il sito Teses a questo link:http://www.teses.net/news/sostenere-le-nostre-attivita-ri-cerca-studio-e-divulgazione/

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55

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curiosità e l’interesse verso questo capolavoro,non mancando di accennare al mito della Chi-mera e Bellerofonte, si offre un quadro esau-stivo dell’opera. Fin dal VII sec. a.C., la città di Arezzo sembraessere un centro di primo ordine nella lavora-zione dei metalli, in forte concorrenza con Vol-terra, poiché, data la frequenza di ritrovamentidi suppellettili in bronzo, si ritiene che le zoneimmediatamente limitrofe al centro fosseromolto generose in quanto a materie prime.Non a caso, attorno ai monti Rognosi, oggi ri-serva naturale di 171 ettari, si conoscono venedi metalli ferriferi e cupriferi che, con alta pro-babilità, possono essere state sfruttate dagliartigiani della cittadina per il reperimento deimetalli; il ché costituisce un dato di impor-tanza primaria nella ricostruzione degli aspettieconomici della città, nonché, conseguente-mente, della nascita e dello sviluppo del cen-tro1. L’antica Arezzo nasce su un’altura protettanaturalmente da dolci pendii e bagnata dacorsi d’acqua, tra cui il Chiana; il centro mo-derno insiste su quello antico e domina a nordil Casentino ed il medio Valdarno, ad ovest ledolci colline del Chianti, ad est le valli che por-tano al Tevere e a sud, per l’appunto, tutta laValle del Chiana. Alla facies villanoviana, chedal IX sec. a.C. si protrae a tutto l’VIII sec. a.C.,viene fatto risalire un sepolcreto identificatoin località Caselle, lungo la via Fiorentina, dacui provengono fibule bronzee e cinturoni. Alprimo orientalizzante, ossia dal VII sec. a.C.agli inizi del VI sec. a.C., sono datati bronzettivotivi filiformi in stile geometrico, di soggettisia maschili sia femminili, dalla testa sferoidalecon sommari accenni fisionomici. Ma almenofino agli inizi dello stesso secolo non sembrache si possa ipotizzare la nascita di un vero eproprio centro urbano; è infatti ai primi de-cenni del VI sec. a.C. che in località Poggio delSole, a nord ovest dell’abitato, viene datatauna necropoli, nettamente separata dall’abi-tato che invece si concentra nell’attuale zonadi S. Jacopo da cui derivano antefisse a figuraumana intera e sime rampanti datate fino atutto il V sec. a.C. Il recupero di bronzetti votividi vario genere in grande quantità ha per-

messo di identificare santuari in località SanBartolomeo e Fonte Veneziana. A questo pro-posito, alla fine del V/inizi del IV sec. a.C. risal-gono suppellettili e doni votivi recuperatinell’area cittadina, nonché ceramica a vernicenera la cui produzione si protrae fino al I sec.a.C., quando viene rimpiazzata dalla ceramicacorallina. Dal IV/III sec. a.C. la città sembraaver assunto un atteggiamento filoromano; lodimostra il fatto che gli aretini sono stati gliunici tra i popoli d’Etruria a non approfittaredelle guerre sannitiche per minacciare Roma.Inoltre, al 302 a.C. si data una guerra intestinaalla città, tra la fazione aristocratica e quellaservile, che viene risolta grazie all’interventodi Roma che riporta l’aristocrazia al comando.Di questo episodio lascerebbe tracce un’epi-grafe di età giulio–claudia, in cui si menzionaun certo Aulo Spurinna, tarquiniese, cheavrebbe fronteggiato la guerra. Non a caso, indiverse documentazioni epigrafiche, risultanonomi di personaggi romani appartenenti allagens Spurinna. Dal III sec. a.C. la città gode diun particolare momento di floridezza a cuivengono fatti risalire complessi sacri, tra cui ilpiù noto è stato identificato in località Castel-secco, in contesto fuori urbano che dista circa3km dal centro, in direzione sud/est. Arezzo sidimostra ancora filoromana nel 205 a.C.,quando si distingue dalle altre città etruscheper aver donato ingenti quantità di frumentoed armi a Publio Cornelio Scipione che stavapreparando la guerra contro Annibale. Il fattoche la città di Arezzo fosse un centro di primoordine lo dimostra anche la semplice constata-zione che dal II sec. a.C. viene raggiunta dastrade consolari, tra cui la Cassia nel 171 a.C.Dopo la guerra sociale dell’88 a.C., la cittàviene ascritta alla tribù Pontina, messa a ferroe fuoco dall’esercito vittorioso di Silla e, 6 annipiù tardi, precisamente nell’82 a.C., diventa co-lonia militare con il nome di Arretini Fidentio-res e poco dopo viene insignita del titolo dicolonia cesariana. Dal I sec. a.C. la città si faconoscere al mondo antico grazie alla produ-zione di ceramica sigillata, anche nota in lette-ratura come “ceramica aretina”; utilizzata perla dispensa, si classifica come un prodotto di

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Ad Arezzo, nel lontano novembre 1553, nelcorso di lavori per la costruzione di fortifica-zioni medicee in zona Porta San Lorentino, allaperiferia della cittadina, fu recuperato il ma-gnifico bronzo oggi conservato al Museo Ar-cheologico Nazionale di Firenze: la Chimera(fig. 1).

È considerato tra i più grandi capolavori del-l’arte della lavorazione dei metalli, indubbia-mente uno tra i più noti al grande pubblico edentrato ormai nell’immaginario collettivocome simbolo affascinante non solo di unacittà ma anche e soprattutto del mondo e dellacultura etrusca. Con l’obiettivo di stimolare la

la chimera ed ed il mitodi bellerofontedi Gemma Bechini

1 G. CAMPOREALE 2004, pp. 333 ss.

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questione dell’originalità dell’arte etrusca, edafferma, con assoluta certezza, quanto segue:“si riconosce la perfezione di quell’arte esserestata anticamente appresso ai toscani, come sivede alla maniera etrusca.”4 Non è questo ilcontesto per aprire un dibattito circa le radicidell’arte etrusca e della sua evoluzione, ma èdoveroso sottolineare che l’Etruria è tra le re-gioni che, dal primo millennio avanti Cristo, hasviluppato una tradizione artistica vivace e po-liedrica. Il grande pregio del popolo etrusco èstato quello di aprirsi al Mediterraneo, la-sciando che la propria cultura recepisse espe-rienze straniere, in una commistione che haprodotto risultati magnifici, tra cui proprio laChimera. Il commercio ha giocato un ruolochiave; fin dagli ultimi decenni dell’VIII sec.a.C., l’Etruria è stata raggiunta dai fenici edagli euboici che hanno introdotto l’alfabetogreco ed il tornio. Dagli inizi del secolo succes-sivo, nelle rotte commerciali si sono sostituiti igreci orientali e soprattutto i corinzi che hannotrasmesso agli etruschi l’arte della ceramogra-fia. A questo proposito, si perde nella mitisto-ria la leggenda secondo cui sulle costetirreniche sarebbe approdato Demarato, uncommerciante di Corinto che assieme a Eu-cheir, Eugrammos e Diopos avrebbe introdottol’arte della coroplastica, della scultura e dellamodellazione dell’argilla, da cui poi sarebbefiorita la grande tradizione della ceramografia.Dunque, un profondo legame con la culturagreca, uno scambio culturale stretto e reci-proco che ha reso l’arte etrusca unica nel suo

genere.Il mito greco racconta che Bellerofonte, figliodi Glauco re di Corinto, essendosi macchiatodella colpa infamante di aver ucciso il fratello,fuggì a Tirinto dove trovò ospitalità alla cortedel re Preto, conosciuto come sacerdote espia-tore di peccati. Stenebea, consorte di Preto, findal primo momento si innamorò di Bellero-fonte ma poiché fu respinta dall’eroe, in predaall’ira e dall’orgoglio ferito, tramò una crudelevendetta contro di lui, ordinando a Preto di uc-ciderlo poiché, a suo dire, colpevole di averlefatto violenza. Così, Preto inviò Bellerofontedal padre della donna, Iobate, al quale erastato segretamente ordinato di uccidere il gio-vane. Iobate però, frenato dalle leggi grecheche vietavano l’uccisione di un ospite, pensò dirisolvere la questione chiedendo a Bellero-fonte di uccidere la Chimera, mostro che ter-rorizzava da secoli le tranquille ed indisturbateterre della Licia. In questo modo, il giovane sa-rebbe stato ucciso dal mostro e giustizia sa-rebbe stata fatta; l’orgoglio di Stenebeasarebbe stato riscattato ed i patti con Preto ri-spettati. Bellerofonte, però, con l’aiuto pre-zioso di Pegaso riuscì ad uccidere la Chimeracon un colpo di lancia (foto 4 - 5), dopo di chétornò da Iobate il quale, meravigliato dell’im-presa e della temerarietà del giovane, svelò letrame di Preto e Stenebea.

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elite, un vero e proprio status symbol del pro-prietario e del benessere economico e socialeraggiunto. È una produzione molto particolare,dal caratteristico colore rosso, lucidata ed im-preziosita con decorazioni a rilievo, impresseo applicate. Contemporaneamente la città siarricchisce di edifici pubblici, tra cui teatro, an-fiteatro e terme ma questo benessere sembracominciare ad affievolirsi agli inizi del II sec.d.C., quando viene lentamente messa in ombradall’affermazione in campo politico di Florentia.La Chimera venne recuperata il giorno 15 no-vembre 1553, durante l’esecuzione di lavori perla realizzazione della fortezza medicea volutada Cosimo I; una scultura in bronzo, imponentee maestosa sia nelle dimensioni (circa 65 cm.di altezza) sia nella resa plastica, che raffigurail mostro morente. Da subito suscitò grande in-teresse e curiosità; infatti, in Toscana fin dal1400 era vivo un vero e proprio mito sugliEtruschi, un vero e proprio “revival”, al puntoche nel passato glorioso dei propri antenati siricercavano le legittimazioni del potere tempo-rale, sulla stessa linea di pensiero secondo cuila Roma dei Papi nasceva sulle imponenti ro-vine della Roma dei Cesari. Quando i Medici siinsediarono a Firenze, l’interesse per il mondoe per le antichità etrusche si mantenne vivopiù che mai, tanto che si cominciò a parago-nare il duca alla figura di Porsenna, monarcaetrusco, nell’esplicito intento di mitizzare eglorificare non solo il passato ma anche e so-prattutto il presente. Nacquero così i primi nu-clei delle collezioni di oggetti antichi,recuperati casualmente in occasione di lavori,unici materiali di cui si disponeva per far lucesul passato ma anche per dare lustro alla fa-miglia di appartenenza. In questo clima di fer-vore nei confronti delle antichità, sentite comedei veri e propri tesori, sarà lo stesso Cosimo Iche, affascinato dal mondo etrusco e dalla Chi-mera, si prenderà cura di restaurarla personal-mente nel suo studiolo. A tale proposito,Benvenuto Cellini (scultore, orafo ed artista,1500–1571), nella sua autobiografia “La Vita”(1558–1566) menziona il recupero dell’esem-plare ed offre una curiosa immagine del duca:“essendosi in questi giorni trovato certe anti-caglie nel contado d’Arezzo, in fra le quale siera la Chimera, ch’è quel lione di bronzo, il

quale si vede nelle camere convicino alla gransala del Palazzo; ed insieme con la detta Chi-mera si era trovato una quantità di piccole sta-tuette, pur di bronzo, le quali erano coperte diterra e di ruggine, ed a ciascuna di esse man-cava la testa o le mani o i piedi, il duca pigliavapiacere di rinettarsele da per se medesimo concerti cesellini da orefice…” specificando che almomento, l’esemplare era stato trasferito nellastanza dei bronzi della “Real Galleria”2. Il nome del mostro deriva dal greco Χίµαιρα,chímaira, che si traduce con “capra”. Non acaso, Omero descrive l’animale come un mo-stro dalla sola testa di leone, dalla coda di ser-pente ma dall’intero corpo di capra3; il bronzosi presenta non dissimile dall’accenno sulpoema, con la sola differenza che il corpo, in-teramente di leone, presenta una testa dicapra sulla schiena (foto 2)

Dall’anno della scoperta, il bronzo fu oggettodi restauri nel corso dei secoli; al momento delritrovamento la statua si presentava mutiladella coda che fu recuperata in un secondomomento e purtroppo, da come si deduce dalleiconografie, fu rimontata male, in quanto nonavrebbe dovuto rivolgersi verso la testa dicapra sulle sue spalle ma contro Bellerofonte,in un ultimo sforzo per istinto di sopravvi-venza. La testa e le zampe sono invece fruttodi restauri neoclassici (foto 3).Il Vasari, nella seconda metà del XVI sec. a.C.,si interessò alla Chimera, in merito all’aperta

2 Galleria degli Uffizi 3 Iliade, libro VI, 180 – 182. 4 G. Camporeale 2004, pp. 100 ss.3 Iliade, libro VI, 180 – 182.

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Considerate le dimensioni notevoli dell’opera,per l’impegno di materiale e di mano d’opera,si ritiene che sia frutto di una bottega locale,insediatasi nel cuore della cittadina di Arezzo,probabilmente capolavoro di artisti greci; sonoinfatti notevoli gli influssi arcaici che si riscon-trano, ad esempio, nella particolare resa dellacriniera a ciocche “a fiamma”, simile a modelliscultorei e iconografici di V sec. a.C.6 Ma nonsolo; la minuzia di particolari con cui è reso ilcorpo sublima aspetti arcaici, appena descritti,con aspetti naturalistici: si noti, non a caso, ilcostato messo in evidenza e la resa dellezampe e del muso leonino che sono stati im-mortalati in un momento estremamente dram-matico in cui sembra effettivamente di esserein presenza di un leone in carne ed ossa. Inol-tre, la secchezza del corpo, decisamente au-stera e rigorosa, ma efficace a tal punto darendere estremamente realistica la figura delmostro, denota un gusto tipicamente “se-vero”7, che riprende canoni stilistici dellagrande Atene di Clistene. La commistione chedunque si riscontra nell’opera e che sublimastile naturalistico, arcaico e severo, tipica delgusto etrusco di IV sec. a.C., permette di da-tare l’opera attorno al 380/360 a.C.; la crono-logia è confermata anche dalla paleografiadell’iscrizione sulla zampa8.

GEMMA BECHINI

BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIIAA::

•R. Bianchi Bandinelli – M. Torelli, “L’arte dell’antichità classica.Etruria – Roma”, 1976.•G. Camporeale, “Etruschi. Storia e Civiltà”, 2004.•M. Moretti, “Nuovi Monumenti della Pittura Etrusca” 1966.•S. Steingraber, “Catalogo Ragionato della Pittura Etrusca”,1985.•S. Steingraber, “Affreschi Etruschi” 2006

Gemma Bechini nasce a Pistoia il30/07/1986. Dopo aver perseguito la maturitàclassica presso il Liceo Carlo Loren-zini di Pescia, ha conseguito la Lau-rea Triennale in Storia e Tutela deiBeni Archeologici in data 5/11/2009,presso l’Università degli Studi di Fi-renze, presentando una tesi in Etru-

scologia ("Tomba della Caccia e della Pesca di Tarquinia",105/110). Ha successivamente conseguito la Laurea Magi-strale in Archeologia nello stesso ateneo, in data15/10/2012, curriculum classico, , presentando una tesi inEtruscologia ("Tipologia delle coppe da Poggio Civitella,Montalcino - Siena", 109/110). Durante la carriera universitaria ha effettuato tirociniopartecipando a quattro campagne archeologiche: Gavor-rano – Castel di Pietra (luglio 2008), Populonia (settem-bre 2010), Monte Giovi (ottobre 2010), Tarquinia – Tumulodella Regina (agosto 2012).Ha partecipato a titolo di guida museale per conto delF.A.I., in occasione delle Giornate di Primavera (23 e 24marzo 2013). È iscritta al G.A.R.S. da ottobre 2012 ed hapartecipato come relatrice ai convegni: “Donna in Cam-mino, un viaggio nella storia attraverso le culture” in data11/05/2013, presentando un lavoro sulla figura delladonna in Etruria e “Pescia ed il suo territorio: novità ar-cheologiche, artistiche e naturalistiche”, concentrandosisullo studio di evidenze etrusche dal colle di Speri, in data22/06/2013.Attualmente iscritta al secondo anno in corso presso laScuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Uni-versità degli Studi di Firenze, ha preso parte al Corso diPerfezionamento in Conservazione dei Beni Culturali,presso lo stesso ateneo (dipartimento di Architettura),nel periodo marzo – maggio 2013, e al Corso Laser Scan-ner 3D - Metodologia di lavoro: dall'acquisizione sulcampo, all'elaborazione dati", tenutosi in data23/09/2013 presso la sede Microgeo S.r.l., Campi Bisenzio.Continua a collaborare con il gruppo G.A.R.S. di Pesciaper la riapertura del Museo Civico di Scienze Naturali.

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L’opera immortala lo scontro epico tra il mo-stro e l’eroe; la Chimera è ritratta sofferente,morente, mentre si ritrae in un atteggiamentodi difesa. È ferita, il sangue sgorga abbondantee le vene sono messe in forte evidenza a sotto-lineare la tensione e lo sforzo della bestiaprima che Bellerofonte, in sella al suo cavalloalato, Pegaso, sferri il colpo di grazia (foto 6).

A questo proposito vale spendere qualche pa-rola sulla figura epica dell’animale; donato al-l’eroe da Poseidone, è il più noto tra i cavallialati nella mitologia greca. Secondo il mito, ilcavallo nacque dal terreno bagnato dal sangueche sgorgava dalla testa recisa di Medusa, uc-cisa da Perseo, che per primo lo cavalcò persalvare Andromeda. Andromeda era stata

esposta su uno scoglio per essere uccisa e di-vorata da un mostro mandato da Poseidone,ma Perseo, appena giunto in sella di Pegaso, siinnamorò della donna e uccise il mostro ma-rino che stava per divorarla, aiutandosi con latesta di Medusa da lui decapitata5. Fu poi ca-valcato da Bellerofonte che lo ricevette indono da suo padre Poseidone, dio del mare,che lo assistette nell’epica battaglia contro laChimera. Ed è proprio il momento della morteche viene immortalato dalla statua in bronzo;le fauci, spalancate in un ultimo ruggito di do-lore, lasciano mostrare i denti in un atteggia-mento minaccioso e di sfida, come se il mostrostesse per sferrare un ultimo attacco, mentreormai la testa caprina sulla schiena è morentee quasi totalmente reclinata sul fianco sinistro.Nelle zampe, dagli artigli ben piantati a terra,sta tutta la ferocia della bestia che nonostantestia morendo sotto i colpi di lancia, non si dàper vinta e sembra pronta ad attaccare dinuovo, con impeto e violenza. La statua è unasorta di “fermo immagine” di un momento dialto pathos, azione e concitazione; dunque, ef-ficace rappresentazione di un mostro che sem-bra stia per prendere vita. In considerazione diquanto recitava il mito, è stato ipotizzato chel’opera facesse parte di uno splendido gruppostatuario che avrebbe dunque visto Bellero-fonte in sella a Pegaso dalle ali spiegate e laChimera morente, ma alla luce di due sempliciconsiderazioni manca (e sempre mancherà) lacertezza sull’effettiva realizzazione di un sif-fatto capolavoro di bronzistica: innanzitutto,non sono testimoniati ulteriori ritrovamenti inzona, per cui sembrerebbe che la Chimerastesse, lei sola, a rappresentare il mito. Inoltre,dato non meno importante, sulla zampa destradell’animale è stata incisa una iscrizione cherecita “TINSCIVIL” o “TINS VIL” ed è traduci-bile come “in dono al dio Tin”, una delle mas-sime divinità del panteon etrusco; si crede chesi tratti di una dedica ed è proprio grazie aquesto elemento che si ritiene che la statua siauna offerta votiva a sé stante, voluta da un pri-vato cittadino etrusco che commissional’opera alla bottega di bronzisti greci per fareun’offerta al dio (foto 7). Dunque, una specie di voto in onore della divinità, per una graziaricevuta o per propiziare un avvenimento.

5 Enciclopedia dell’arte antica. 6 M. MORETTI 1966; S. STEINGRABER 1985; S. STEINGRABER 2006.

7 Lo Stile severo è una fase della cultura e della scultura greca,databile dal 480 al 450 a.C.8 R. BIANCHI BANDINELLI – NDINORELLI, 1976.8 R. BIANCHI BANDINELLI – NDINORELLI, 1976.

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llaa vviittaa llaavvoorraattiivvaa ((pprreemmeessssaa))La grande rilevanza delle attività manuali venne sancita per la prima volta dagli autori dell’“Encyclo-pédie des sciences des artes et des métiers” che, nel 1751, ne dichiararono l’effettiva importanza. Infattiqueste, sulla scorta delle idee formatesi dapprima nelle antiche società indoeuropee e riprese in se-guito dal pensiero filosofico greco, non erano mai state prese in considerazione nei trattati storiogra-fici. Presso la civiltà egizia invece esse ricevettero il giusto riconoscimento: nessun Paese dell’antichitàci ha infatti lasciato una così vasta testimonianza delle proprie attività lavorative. Tuttavia questa do-cumentazione è ben lungi dal potersi considerare completa: infatti i dati pervenutaci dai testi e dallepitture si riferiscono principalmente ad attività che interessavano lo Stato, come le grandiose impreseedili. Nelle tombe, dall’Antico Regno in poi, innumerevoli sono le rappresentazioni dell’uomo nell’attodi lavorare: troviamo l’allevamento del bestiame (come ad esempio nella mastaba di Mereruka a Saq-qara, databile alla VI dinastia, nella quale è raffigurato il tentativo di addomesticamento addirittura diuna iena) le attività agricole, la produzione di cibi e bevande, la fabbricazione di imbarcazioni, la lavo-razione di metalli, pietra, cuoio, legno, ed ancora la costruzione di grandiose opere.

Considerato che questi dipinti raffiguravano lavita del defunto nell’aldilà tutto doveva apparirein perfetto ordine, senza alcun serio inconve-niente: non dobbiamo dimenticare che questetombe, in special modo nell’Antico Regno, appar-tenevano a dignitari di corte molto legati allaconvenzione. Questa atmosfera austera venne in-vece abbandonata dagli operai di Pa demi che,per le proprie sepolture, inserirono anche parti-colari buffi ed ironici. E’ il caso, ad esempio, del-laTT271 di Ipuy (Ipwy), scultore attivo durante ilregno di Ramesse II, nella quale sono raffiguratealcune gustose scene di piccoli incidenti lavora-tivi: un pesante mazzuolo di legno, cadendo, va acolpire il piede di un operaio che si lamenta agran voce tendendo le braccia verso l’alto; unaltro operaio ha dei problemi ad un occhio, pron-tamente risolti da un suo collega che s’improv-visa oculista; in un’altra parete è dipinta unascena di pesca nella quale si assiste ad un litigiotra due pescatori con uno dei due, particolar-mente nervoso, che lancia imprecazioni nei con-fronti del suo compagno. Gli scavi condotti sulsito di Deir el-Medina dal francese Bruyere, con ilrinvenimento di alcune migliaia di ostraca, ed isuccessivi studi, principalmente effettuati dal-l’egittologo ceco Jaroslav Cerny, ci permettonoora di conoscere in maniera molto approfonditala struttura organizzativa degli operai e la loro

vita quotidiana, con particolari anche molto di-vertenti che verranno analizzati nel prosieguo diquesto studio.Gli operai di Pa demi, che noi oggi definiamo ar-tisti, erano in realtà degli artigiani: nell’anticoEgitto, come in linea più generale nelle cultureantiche, l’arte non è mai un’espressione dell’indi-viduo; ciascuna produzione artistica va infatticonsiderata come un lavoro di gruppo. In tutta lastoria della civiltà egizia sono pochissimi i nomiche ci sono pervenuti di questi veri e propri arti-sti. Tuttavia nella “nostra” necropoli degli operaiin taluni casi è possibile risalire a qualche nome,grazie proprio all’ingente messe di documenti re-cuperata nel villaggio: dallo studio di questi re-perti, ad esempio, è stato possibile conoscere inomi dei due disegnatori all’opera nella tombadel caposquadra Inherkhau (TT359), attivo du-rante i regni di Ramesse III e Ramesse IV: si trattadi Nebnefer ed Hormin, due fratelli.

LL’’oorrggaanniizzzzaazziioonnee ddeell llaavvoorroo ((PPrriimmaa ppaarrttee))L’organizzazione del lavoro degli operai addettialla costruzione delle tombe della Valle dei Re edella Valle delle Regine era molto rigorosa ed ac-curata. Allo stato attuale degli studi conosciamoin maniera più approfondita il periodo ramessidein quanto buona parte dei documenti rinvenuti

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il villaggio operaiodi deir el-medinadi Alessandro Rolle

Mastaba di Mereruka, addomesticamento di una iena

TT359, Tomba di Inerkha: Inerkha e la moglie Uab ascoltano un arpista cieco 1.

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caposquadra che aveva il compito di dirigere i la-vori, verificando sul campo il loro progredire econtrollando le presenze degli operai sul cantiere.Ogni caposquadra era presidente del tribunaledella corporazione artigiana (qenbet). Assunzionied allontanamenti di operai spettavano a loro:non mancano i casi di corruzione per ottenere unimpiego! Nei documenti amministrativi, redatti inieratico, il titolo del caposquadra era “Grandedella squadra”; nelle iscrizioni geroglifiche silegge :”Capo della squadra nelle Sede della Ve-rità”. Essendo le persone con la carica più alta,la loro nomina era decisa dal visir. Attualmenteconosciamo l’identità di 28 capisquadra: parti-colare interessante è che di questi ben 12 fos-sero figli di capisquadra, pur non essendo lacarica ufficialmente ereditaria: una eredità ma-scherata, questa, che si manifesterà lungo tuttol’arco della storia dell’Egitto! Ad un livello egua-litario erano i due “Scribi della Tomba” che svol-gevano un ruolo principalmente amministrativo,registrando presenze ed assenze degli operai,annotando gli assenti ed i motivi delle loro as-senze su ostraka e papiri9. Inoltre resocontavanoi pagamenti dei salari e l’utilizzo da parte deglioperai dei materiali necessari al lavoro. Avevanoil compito di presentare all’oracolo del sovranoAmenhotep I le richieste degli operai, redigendole domande scritte per il faraone deificato10. E’probabile arrotondassero il loro salario scri-vendo lettere sotto dettatura per gli altri com-ponenti della comunità operaia. Anch’essi, comei capisquadra, erano membri della qenbetavendo anche la possibilità di giudicare imme-diatamente su alcune problematiche legali,come ad esempio i casi di eredità. Nei docu-menti amministrativi sono indicati come “Scribidella Tomba”. Nelle iscrizioni geroglifiche invece“Scriba nella Sede della Verità” . Durante ilregno di Ramesse III divennero ben quattro, es-sendone stati aggiunti due per i due gruppi diServi della Tomba presenti in questa fase sto-rica. Allo stato attuale sono noti sessantasei“Scribi della Tomba”. I due capisquadra e loscriba più anziano formavano “i capitani dellaTomba”, una sorta di triumvirato che guidava esoprintendeva ai lavori. La prima menzione dei“capitani della Tomba” si è trovata in un ostra-kon datato all’ottavo anno di regno del sovranoMerneptah11. Alla fine della XX dinastia un’altracarica si aggiunse a questa: quella dei disegna-

tori. I “capitani della Tomba” avevano amplissimipoteri ed un altrettanto ampio prestigio, ma nonsempre utilizzarono in maniera corretta il lorostatus: ad esempio, a cavallo della XIX e XX dina-stia, un caposquadra di nome Paneb, protetto dapersonaggi molto influenti, sottopose a continueangherie alcuni operai12. A queste prime caricheseguivano gli “idenu”, anch’essi in numero didue, con il compito di rappresentare i lavoratori:fungevano da veri e propri intermediari tra glioperai ed i capi. Pur avendo molte responsabi-lità nei confronti degli altri operai e facendo leveci del caposquadra quando questi era assente,non ricevevano un salario più alto rispetto aisemplici operai ed anche il lavoro che svolge-vano nella tomba non sembra essere stato diffe-rente dagli altri. Nonostante ciò la carica eramolto ambita per il prestigio che se ne ricavava.Il loro titolo era “idenu en ta ist”, “idenu” dellasquadra. Sono stati trovati i nomi di soli venti-quattro idenu, tutti attivi tra la XIX e la XX dina-stia. Tutti coloro che ricoprivano una di questetre prime cariche vivevano nel villaggio assiemeai loro sottoposti e le loro tombe si trovano an-ch’esse nella necropoli degli operai. La maggiorparte dei lavoratori faceva parte della squadradella Tomba venendovi impiegato come operaio.Come abbiamo visto il numero degli operai nonè sempre stato costante nel tempo, in base alleesigenze lavorative. Ad esempio nel trentotte-simo anno di regno di Ramesse II il numero deglioperai era di quaranta mentre nel sessantaquat-tresimo anno dello stesso sovrano venne ridottoa trentadue, suddivisi in quindici per la parte de-stra e diciassette per la sinistra. Questa oscilla-zione nel numero dei lavoratori impiegatiraggiunse il culmine durante il regno di RamesseIII, quando dai quaranta uomini del ventottesimoanno di regno si passò ai soli otto dell’anno suc-cessivo. Il motivo di tale drastica riduzione vaforse ricercato nelle difficoltà di pagare gli uo-mini con una congrua razione di grano. La co-struzione di una tomba reale necessitavaovviamente di manodopera specializzata costi-tuita da cavapietre, scalpellini, pittori e via di-cendo. Leggendo i documenti ritrovati però glioperai sono sempre identificati con il solo titolo“remetj ist”, vale a dire “uomini della squadra”nei caratteri ieratici, mentre in geroglifico sonoindicati con “Servitori nelle Sede della Verità”13.Il primo egittologo a tradurre ( st mAat)

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risale proprio a quel periodo, ma il sistema lavo-rativo dovette rimanere pressoché invariato dallafondazione sino al termine del ciclo di vita del vil-laggio. Dapprima la tomba, dall’inizio della XVIIIdinastia sino alla fine della stessa, fu indicata conil termine “sta A(t)”, Grande Sede; in seguito, dallafine della XVIII sino alla fine della XX, fu chiamata“st MAat”, Sede della Verità. Sono giunti sino a noii nomi di soli cinque funzionari della XVIII dina-stia, recanti tutti il titolo di “Servitore nellaGrande Sede”, sDmaS m st aA: Amenhotep, Minho-tep, Nakhtmin, Nu ed il “nostro” Kha2. A partiredalla XIX dinastia, sotto Merenptah, si iniziò adutilizzare la parola xr per designare la tomba delfaraone ancora in vita: similmente a “Sede dellaVerità”, si abbandonò tale definizione con la finedella XX dinastia.Gli uomini impiegati alla costruzione della tombareale formavano una squadra chiamata

tA is(w) tn pA xr,“La squadra della tomba” oppure, più semplicemente,

tA is(w)t, “La squadra”. La parola non compare però per la prima volta durante ilperiodo ramesside: ne abbiamo attestazioni giàall’epoca dell’Antico Regno, scritta (iswt) avolte con l’aggiunta del suffisso t, per indicare ungruppo di uomini intenti a svolgere lavori neicampi oppure di trasporto. Mentre nell’AnticoRegno iswt viene anche utilizzata per indicarel’equipaggio di un’imbarcazione, nei periodi suc-cessivi il suo utilizzo è quasi esclusivamente limi-tato ai marinai. Non è ben chiaro perché untermine nautico venne scelto per indicare i lavo-ratori della necropoli: una possibile motivazionepuò essere che nell’Antico Regno i geroglifici in-dicanti le quattro parti di un’imbarcazione desi-gnavano anche i quattro sacerdoti del ritofunebre. Un’altra causa potrebbe essere ricercatanel parallelo tra l’importanza, nell’antico Egitto,della navigazione fluviale e quella degli operai ad-detti alla necropoli reale. Non si sa con certezzaquando con iswt si iniziò ad indicare la squadra,ma la prima attestazione si data al regno di Ho-remhab. La squadra, proprio come un’imbarca-zione, era suddivisa in due parti: lato destro, , e lato sinistro,

. Tale suddivisionecomportò, ovviamente, anche una duplicazione

delle cariche. Nei documenti amministrativi perindicare i lati della squadra si scriveva semplice-mente e . La parte destra eraconsiderata più importante. Il numero degli ope-rai impiegati nella squadra non è stato costantenel tempo: generalmente era composto da 60 in-dividui, perlopiù equamente divisi tra parte de-stra e parte sinistra, anche se in taluni casi, inbase alla tipologia del lavoro, una parte presen-tava più effettivi rispetto all’altra. Raramente unoperaio si spostava da un lato all’altro della squa-dra. Tuttavia l’operaio Kanakhte, nell’ottavo annodi regno di Ramesse IX, si trova alternativamentea destra ed a sinistra. Avvenivano anche scambitra la due squadre: ecco che in un ostrakon3, da-tato all’anno di regno 31 di Ramesse III, si leggeche: ”Menna ritornò nella parte sinistra e Usiheritornò a destra”4: sono ignote però le motiva-zioni di questo scambio. Lo spostamento non eraquasi mai a titolo definitivo, pur essendone atte-stati alcuni casi. Le informazioni sul numero deglioperai e sulla composizione della squadra ven-gono desunte da ostraka oppure da papiri. Dauno di questi ultimi, pervenutoci frammentario,5

apprendiamo che “nell’anno secondo, terzo mesedell’inondazione, ventottesimo giorno, sotto laMaestà di Ramesse IV il visir Neferronpe, il mag-giordomo del Re Setekhhiwenmaf……..raduna-rono delle persone sino a raggiungere il numerodi 120”. Non conosciamo la motivazione di questoincremento, ma la situazione durò probabilmentesino al regno del successore, Ramesse V. Infattiin un altro ostrakon, datato al secondo anno diregno di questo sovrano, il visir ordinò la “ridu-zione della squadra con l’allontanamento deglielementi in più”. Da un ostrakon6, datato al regnodel re Siptah II della fine della XIX dinastia, ap-prendiamo i nomi di 14 operai della parte destra,diretta da Paneb, e di 21 operai di quella sinistra,agli ordini di Hai. Il maggior numero di compo-nenti della squadra si ebbe sotto il regno di Ra-messe IV, con il raggiungimento di ben 129lavoratori. A volte solo metà della squadra lavo-rava mentre l’altra metà rimaneva inoperosa, purmantenendo sempre la suddivisione in lato de-stro e lato sinistro: evenienza questa che av-venne per pochi giorni nel corso dell’ultimo annodi regno di Sethi II7.

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Ogni parte della squadra era comandata da un

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XX. sAw è attestato solo in ieratico nella XX dina-stia. Accanto ai Guardiani della tomba c’erano i“Custodi della porta della Tomba”, in numero didue, anch’essi non aggregati alla squadra. Nei do-cumenti sono chiamati iry-aA, cioè “coloro che ap-partengono alla porta”. Da alcuni documenti, ilprincipale dei quali è il Papiro dello Sciopero, ap-prendiamo che la loro funzione era quella di cu-stodi della porta della chiusura della Tomba:dovevano cioè sorvegliare la Tomba 24 ore su 24.Lavoravano anche per il tribunale fungendo damessaggeri e custodivano il cibo e tutte le prov-viste destinate agli operai. Il più basso scalino ge-rarchico era occupato dai servi e dalle serve dellatomba. I servi, , smdt, compaiono so-lamente nei documenti relativi alla Tomba di Mer-neptah23, di Ramesse III24 e dei suoi successori.Avevano il compito di rifornire di vari prodotti glioperai e di compiere lavori per loro, mantenendoanch’essi la suddivisione in parte destra e partesinistra. Le serve, hemet, invece lavoravano nellacucine delle case del villaggio seguendo turni pre-stabiliti. Circa questa categoria si sa ben poco:solo un nome di una di esse è giunto sino a noi; sitratta di una certa Baray25. Oltre a questi lavora-tori, più o meno direttamente coinvolti nellasquadra, il villaggio era dotato di un corpo di po-lizia, chiamati i “medjai” della Tomba, con il com-pito di controllo agli ordini diretti del sindaco diTebe. Nel prossimo numero tutte queste categoriedi lavoratori verranno dettagliatamente studiate.

AALLEESSSSAANNDDRROO RROOLLLLEE

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BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIIAA::

•Tosi-Roccati: Stele e altre epigrafi di Deir el Medina•Leospo-Tosi: Vivere nell’antico Egitto•Donadoni-Roveri (a cura): Gli artisti del Faraone•Grimal: Storia dell’Antico Egitto•Gauthier: BIFAO 13•Tosi-Nicola: Vita quotidiana nel villaggio operaio di Deir el Me-dina da ostraca iscritti e figurati•Tosi: La cappella di Maia, un pittore a Dei el-Medina•Cerny: A community of workmen at Thebes in the RamessidePeriod•James T.G.H.: L’archeologia dell’Egitto antico•Davis: I costruttori delle piramidi•Tosi: Dizionario Enciclopedico delle Divinità dell’AnticoEgitto, vol. II

•Weeks: I tesori di Luxor e della Valle dei Re•Cimmino: Vita quotidiana degli Egizi•Hodel-Hoenes: Vita e morte nell’Antico Egitto•Curto: l’antico Egitto. Società e costume•Kitchen: il faraone trionfante. Ramses II e il suo tempo•AA.VV.: Serekh, l’antico Egitto e noi•AA.VV.: Serekh II. Vivere al tempo dei faraoni•Barocas: l’antico Egitto. Ideologia e lavoro nella terra dei fa-raoni•Hornung: la valle dei Re•Tosi: Deir el Medina. Amenhotep I e gli artisti del faraone•Vittozzi: Deir el-Medina. Il villaggio degli artisti delle tombe re-gali a Tebe•Montet: La vie quotidienne en Egypte au temps des Rameses•Arborio Mella: L’Egitto dei faraoni•Nolli: Civiltà dell’antico Egitto

Note 1 Vita e morte nell’Antico Egitto, Hodel-Hoenes, pg. 205.2 Kha, la cui tomba fu trovata intatta da Schiaparelli il 16 febbraio del1906, si fregiava tra gli altri dei titoli di “Capo della squadra nellaGrande Sede”, Hrj (ist) m st aA, e “Capo dei lavori nella Grande Sede”,mrkAt m st aA.3 Ostrakon di Praga H 14,13 e, forse, ostrakon Torino 9582, la cui letturaperò è incerta.45 Si tratta del Papiro di Torino 49.6 Ostrakon Cairo J. 49866.7 Ostrakon Cairo 515.8 Nel prossimo numero tali cariche verranno analizzate approfondita-mente. 9 A Torino è esposto uno di questi papiri, il cosiddetto “Giornale dellaNecropoli”. Di questo papiro si parlerà diffusamente nel proseguodello studio.10 Di questo si parlerà nella trattazione degli aspetti religiosi di Pa demi.11 Ostrakon Cairo 25504.12 “Papiro delle malversazioni del caposquadra Paneb”, XX dinastiaanno 6 di Ramesse III. British Museum Inv. 1005513 “Sede della Verità” era definita la tomba.14 Papiro di Torino, Cat. 2071.15 Papiro Greg.16 Iscrizione ieratica sul sarcofago di Sethi I (Maspero, Mom Royal, pg.553).17 Ostrakon Cairo 25800.18 Ushabty Cairo Cat. 47766.47767.47771.19 Cofanetto di legno Berlino 10195 e Ushabty Cairo Cat. 47765.20 Ostrakon DM 133.21 Papiro British Museum 10092.22 Stela Cairo 26/2/25/5, venduta ad un’asta di Sotheby’s il10/06/1947.23 Ostrakon Cairo 581. Scritto dallo scriba Kenhikhopshef e datatoall’anno due con la menzione di dieci servi.24 Se ne ha notizia dal Papiro dello Sciopero, esposto nel Museo torinese.25 Ostrakon Dem 60.

fu il grande decifratore Champollion che, non es-sendo ancora stati intrapresi gli scavi nel villaggioe nella necropoli, lo lesse del tutto naturalmente“Sede della giustizia” ritenendo fosse da riferirsiad un tribunale. In base a questa sua errata, macorretta per il tempo, deduzione, ritenne che ilpersonale appartenesse alla magistratura. Fu-rono anni dopo gli egittologi Brugsch e Masperoche capirono che non ci si trovava di fronte a ma-gistrati, ma a persone legate al culto funerario edin particolare alla costruzione di ipogei. Accantoagli adulti nella squadra era presente anche un’al-tra categoria di lavoratori: i “meneh”, mnH.Questi erano adolescenti inseriti nella squadraper dar loro modo di imparare un mestiere. Rice-vevano un salario più basso in quanto, non es-sendo sposati, non dovevano mantenere moglie efigli. A volte erano particolarmente giovani, e ve-nivano per questo chiamati “(mene)h sceri”,

(mn)H Sri14. Nella maggior parte dei casipervenutaci il numero degli adolescenti variavada due, più frequentemente, a dodici. Ovvia-mente il loro numero era sempre inferiore ri-spetto a quello degli uomini della squadra.Raramente questo titolo era indicato accanto alproprio nome, ma alcuni casi sono giunti sino anoi: verso la fine della XIX dinastia abbiamo noti-zia di un meneh chiamato Wennofre15 e di un ado-lescente chiamato Praapeyout impegnato adaccompagnare Hiramunpnaaef nel riseppelli-mento del Re Sethi I16. Alcuni adolescenti non fa-cevano parte della comunità operaia, vivendo inaltre località; altri invece prendevano il posto delloro padre o lavoravano insieme a lui. Da menehsi diveniva uomini della squadra attraverso unapromozione stabilita dal visir, su proposta delloscriba che gli inoltrava via lettera la richiesta. Nonmancavano regalie allo scriba per mettersi inbuona luce: allo scriba Harsheri ed ai due capi-squadra Nekhemmut e Inherkha furono donatiparecchi oggetti, principalmente mobili in legno17.Un gradino più sotto, aggiunti di tanto in tantoalla squadra, vi erano i “bambini della Tomba”,

ms-xr. Tale parola si riferisce sia aibambini che alle bambine: era un’espressionefissa ed, essendo xr un determinativo invariabile,era priva dell’articolo pA. Inoltre è l’unico titoloche contempla la parola Tomba, xr. Alcuni mode-sti oggetti sui quali è possibile leggere il nome del“Bambino della Tomba Mose18“ e del “Bambinodella Tomba Ramose19” sono stati ritrovati nella

camera funeraria della tomba TT1 di Sennedjem.Un ignoto “Bambino della Tomba” fu catturato in-sieme ad un gruppo di ladri e condannato in-sieme a loro alla pena capitale. Un altro, di nomeNebamun, insieme ad un guardiano della Tomba,fu testimone in occasione di una transazioneavente come oggetto un asino ed in seguito te-stimoniò in tal senso20. Ai “Bambini della Tomba”erano affidati semplici compiti commisurati allaloro età, come misurare il grano o portare l’ac-qua. Con questa definizione, in maniera affet-tuosa, erano soliti chiamarsi i componenti adultidella squadra21. Una figura molto importane all’in-terno della squadra era quella di “disegnatore opittore nella Sede della Verità”, seshqedutem setMaat che, grazie al particolare tipo di lavoro chesvolgeva, era in diretto contatto con lo scribadella Tomba. Capitava a volte che un pittore riu-scisse ad ottenere l’ambita carica di scriba, comenel caso di Harsheri che, nella XX dinastia, suc-cesse al padre Amennakht: per poter infatti dipin-gere le pareti anche il pittore doveva averqualche nozione di scrittura che poteva accre-scere nel tempo. Non sono rari i casi di pittori cheutilizzavano il titolo di scriba pur non essendolo.Siamo, allo stato attuale degli studi, a conoscenzadell’identità di quarantacinque pittori, dalla finedella XVIII dinastia sino alla fine del Nuovo Regno.L’organizzazione lavorativa contemplava anchecategorie di lavoratori non facenti parte dellasquadra vera e propria. Della prima di esse face-vano parte i “Guardiani della Tomba” con il com-pito di custodire in un magazzino tutti glistrumenti utilizzati dagli operai per adempierealle loro attività e, in caso fossero danneggiati, diconsegnarli agli addetti alla riparazione. Eranomembri del tribunale ed erano testimoni delle ri-sposte dell’oracolo di Amenhotep I. I “Guardianidella Tomba” erano due: ad uno era assegnato ilturno di giorno, all’altro quello notturno. Sonopervenuti sino a noi i soli nomi di sedici guardiani.Il loro titolo in caratteri geroglifici era “Guardianonella Sede della Verità” o, in rarissimi casi risa-lenti all’epoca Ramesside, “Guardiano del Signoredelle due Terre nella Sede della Verità”22, mentrenei documenti amministrativi era “Guardianodella Tomba”. In geroglifico vi sono tre grafie dif-ferenti oppure sAwtye sAw , tutte derivanti dalla stessaradice. sAwty è utilizzato in caratteri ieratici solonella XIX dinastia ed in geroglifico tra la XIX e la

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ralleli sulle due facciate, cambiando solamenteper senso di lettura o per direzione delle fi-gure13.Anche i due lati brevi sono decorati14, montantie architrave compresi, come del resto i murisettentrionali e meridionali sia del vestibolo15

che del santuario16. Una delle caratteristiche che la rendono ununicum è che, contrariamente ad altri edificiegizi, la Cappella Rossa non è costituita dablocchi di grandi dimensioni: le pietre hannoun modulo ridotto17. Il santuario è stato orientato lungo l’asseest/ovest del tempio, allineato a sua volta al le-varsi del sole nel solstizio d’inverno18. Per rispondere ad interrogativi circa la messain posa e la costruzione dell’edificio sacro du-rante la XVIII dinastia, sono state formulate di-verse ipotesi e compiuti numerosi tentativi pertrovare risposte definitive, nonostante fossegià noto l’utilizzo di leve, slitte e metodi pertrasportare da un luogo all’altro i blocchi ta-gliati19. Basti citare lo studio di G. Legrain: nel 1900 di-mostrò che una forza lavoro numerosa soppe-riva la mancanza di strumenti20. Per ridurre al massimo le forze di sfregamentonel contatto con il suolo, gli egizi utilizzavanouno strato di limo umidificato per far sì che ilcarico scivolasse; per il trasporto terreste siavvalevano di slitte, mentre per quello fluvialedi battelli21.Per quanto concerne l’ordine di posa dei bloc-chi, il CFEETK è stato in grado di eseguirne unaricostruzione22 grazie a intagli e forature nellepietre in cui le leve erano inserite per mano-vrarli. Non vi è certezza sul metodo utilizzato daglioperai e architetti di Hatshepsut, tuttavia l’or-dine di posa era probabilmente inverso aquello delle lancette di un orologio, con le pie-tre del lato nord posate da est a ovest e vice-versa per quelli del muro meridionale. Questa osservazione permette di collocare larampa di trasporto all’estremità ovest delmuro settentrionale, in modo che l’internodella Cappella Rossa restasse vuoto e altresìper facilitare gli aggiustamenti ai pezzi.

Differentemente, le due facciate laterali furonocostruite simultaneamente seguendo una pro-gressione circolare; risulta difficile pensareche facessero il giro completo della fila, piùprobabilmente furono erette due rampe inmattoni crudi23 perpendicolarmente e vicinoalle porte24. Una volta terminata la posa dei blocchi, lerampe venivano tolte e l’intonacatura era ese-guita con l’aiuto di ponteggi in legno legatocon rafia, forse installati all’interno e al-l’esterno del santuario. Per sistemare l’architrave della porta internae di quella orientale fu necessario riempire dimattoni crudi l’angolo del muro sopra cui ilmonolite doveva ruotare per andare a posto.Quanto all’utilizzo di un materiale di riempi-mento, è possibile che sia stato usato il gesso25

ma poche tracce ne sono pervenute per esseresicuri del suo effettivo impiego.

Hatshepsut fece costruire la Cappella Rossaper ospitare la barca sacra al dio Amon, parteindispensabile del tempio la prima e oggettosacro per il culto la seconda: il simulacro ve-niva portato in processione e esigeva un luogoadatto per alloggiare durante il tempo in cui ri-maneva fermo.Ma come veniva trasportato un simile oggettodurante le cerimonie e le feste religiose? Un articolo (sempre scritto da G. Legrain26) del1917 fornisce preziose delucidazioni sulle ca-ratteristiche dell’oggetto sacro e su come veni-vano organizzate le processioni della Festadella Valle e della Festa di Opet.Innanzitutto l’egittologo spiega che il pavesedella barca di Amon durante le dinastie XVIII eXIX posava su cinque barre, utilizzate dai sa-cerdoti per portare in corteo l’oggetto sacro. Esso era posizionato tra le gambe di due bal-dacchini, a loro volta sistemati sopra pertiche.La barca di Amon viene descritta come unastretta piroga le cui prua e poppa erano ornatedi teste d’ariete. Al centro si trovava un piccolopadiglione, con il tetto incurvato in avanti e so-stenuto da quattro colonnette, al cui fusto silegava un velo a protezione del contenutosacro. Una tavola tra le pertiche serviva da

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La Cappella Rossa di Hatshepsut, ricostruita eposizionata da una decina d’anni nell’areadell’Open Air Museum di Karnak, è uno degliesempi dell’estrema maestria degli artigianiegizi e dell’abilità tecnica raggiunta nella XVIIIdinastia. Il monumento è davvero notevole: eleganteper struttura e dalla forma aggraziata e fun-zionale, ha il fascino e la raffinatezza che ren-dono unica l’architettura egizia. Le sono state dedicate due corpose pubblica-zioni: una prima realizzata nel 1977, postuma,a nome di P. Lacau e H. Chevrier, che concernesoprattutto lo studio epigrafico dei blocchi finoa quel momento ritrovati e in attesa di essererimontati; l’altra, edita nel 20061 e successivaall’anastilosi del santuario, si occupa soprat-tutto di analizzare la ricostruzione ad opera

del Centre Franco-Égyptien d’Études des tem-ples de Karnak2. Composta da due sale3, un vestibolo e il san-tuario della barca sacra vero e proprio, essaera formata da grossi blocchi di diorite utiliz-zati per la base, le tre porte e le lastre di co-pertura, e di quarzite, che componevano lealtre corse4: un contrasto cromatico5 che con-ferisce ancor oggi dinamicità alla struttura. Si accedeva alla prima sala attraverso una

breve rampa che collegava il suolo alla portad’ingresso6, ora ‘occidentale’; quest’ultima eraalta 7.70 m, formata da due stipiti e da un ar-chitrave sormontato da una cornice sporgente,tutti in diorite. Come tutti i muri esterni, terminava con untoro cilindrico e la cima era incoronata con unacornice7 con modanatura a cavetto o a golaegizia8.La porta orientale era pressoché identica, dif-ferenziandosi solo per l’altezza, 5.77 m, e perla mancanza di cornice sopra l’architrave. Le tre porte erano allo stesso livello, mentre ilpavimento era ribassato di qualche centime-tro9, per mezzo di un gradino. All’interno del vestibolo dovevano trovareposto i due piedistalli sui quali riposava labarca sacra e il bacino in diorite. ritrovato nel

1993 davanti alla porta del tempio di OsirideCoptita10. Il nome Maat-ka-Ra e il fregio di lattughe incisisulla pietra dimostrano l’appartenenza allaCappella Rossa11. I due lati lunghi, Nord e Sud, hanno rispettiva-mente sette e otto registri di decorazione cia-scuno, poiché l’ottavo del muro settentrionaleè stato lasciato vuoto12. I soggetti e le scene raffigurati sono spesso pa-

la cappella rossadi hashepsut: Storia e riscostruzione

Burgos, F., Larché, F., La chapelle Rouge. Le sanctuaire de barqued'Hatshepsout. Vol. I, Paris 2006

di Giulia Nicatore

Foto personale, realizzata da me nel 2005

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andata era via terra, mentre la quinta informache il ritorno verso Karnak era via fiume, purmancando informazioni su quale entrata ve-nisse utilizzata.Nel dettaglio, il primo di questi altari sul per-corso da Karnak a Luxor, nominato Scala o Ter-razza di Amon davanti alla casa dello Scrigno,visibile sul blocco 300 del terzo registro e sul296 della base in diorite, è stato ritrovato fuoridalla cinta del tempio di Mut, nelle vicinanzedel tempio di Amon Kamutef35.Opera della regina, questa struttura fu probabil-mente demolita da Thutmosi III e sostituita conuna cappella a peristilio. La barca doveva quindi transitare vicino al cam-minamento d’accesso al tempio di Mut per poiproseguire verso l’harem meridionale del dio.

Il sito è stato sgomberato da Chevrier, mentreRicke procedette successivamente con lo stu-dio e relativa pubblicazione36: in realtà si trattadi due altari, uno orientale e uno occidentale;uno a nome di Hatshepsut e l’altro costruitodal figliastro. L’egittologo tedesco supponeva che, come iltempio di Amon Kamutef, le stazioni avesserosubito varie fasi di costruzione; erano costi-tuite da fondamenta di arenaria, una rampa e,verso est, un altare periptero. A ovest del secondo altare doveva invece tro-varsi una galleria chiusa.Ricke nel 1954 ritrovò dei perni superiori ingranito nero della porta su cui era inciso ilnome di incoronazione di Hatshepsut. Plausibilmente, dunque, la regina fece co-

struire la Stazione, ma il successore la modi-ficò e ampliò, come dimostrano i numerosi og-getti a nome di Thutmosi III. Le successive cinque Stazioni, visibili sul me-desimo registro37, sono forse sepolte con ilresto del viale delle Sfingi sotto la modernacittà di Luxor.

La processione in movimento tra la prima e laseconda stazione figura sul blocco 26 dellaterza corsa di pietre e sul 296 della prima,mentre la terza, quarta, quinta e sesta sono ri-spettivamente sui numeri 305, 135 169 e 170. Per quanto riguarda il ritorno del corteo38, ilbattello reale è inciso sui blocchi 104 e 171; labarca di Amon che lascia la Grande Sala delleFeste si vede sul n. 176 e all’interno della Cap-pella di Alabastro Men Menu sul 102; infine, laprocessione che rientra nel tempio di Karnaksi trova sul n. 130.

Non si hanno dati certi in merito alla data dicostruzione e su chi fosse il sovrintendente deilavori, non essendoci testimonianze scritte néincise sulle pareti della cappella che possano

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piattaforma e riuniva le basi dei quattro mon-tanti del baldacchino quadrato. L’egittologo riuscì anche a fare una stima ap-prossimativa della lunghezza della barca sacra:3 m e 65 cm per una larghezza di 44 cm. Inoltre attraverso alcuni bassorilievi capì cheall’epoca di Thutmosi II e Hatshepsut il paveseera portato da sei file di tre uomini. Solamente con Thutmosi III il numero verràportato a sei sacerdoti per ogni barra.Ulteriore peculiarità della Cappella Rossa eral’apertura in fondo del santuario, che non erautilizzato come uscita ma aveva un significatopiù simbolico e rituale27: il re, o un officiante, laspalancava per far entrare i raggi del sole e il-luminare l’ambiente. Quest’azione veniva eseguita da Colui che aprei due battenti della porta del cielo per vederel’Augusto. Il mobilio del santuario era scarso28: a parte unnaos, probabilmente alcuni vasi per purifica-zioni o aspersioni. Il vano infatti era troppostretto per esporvi ex voto o altre statue e ilnecessario per le cerimonie era portato dai sa-cerdoti di volta in volta.

Alle processioni della barca sacra29 parteci-pava un gran numero di persone; in primis il fa-raone, alla testa del corteo30 con le insegne diUpuaut e Khonsu, fumigava incenso e mo-strava la via. Prima di iniziare il viaggio rituale,il sovrano medesimo rompeva il sigillo chechiudeva i battenti della porta della Cappellae, quando la processione tornava indietro,chiudeva e sigillava nuovamente la porta perla successiva cerimonia. In ordine di impor-tanza venivano quindi i profeti di Amon, quat-tro, con la pelle di leopardo sulle spalle; poi iportatori, con testa rasata e piedi nudi, divisiin due squadre, con il compito di sollevare, por-tare sulle spalle e riportare la barca sacra nelsuo alloggio. Infine, il popolo chiudeva il corteo .La decorazione delle pareti31 Nord e Sud dellaCappella Rossa conserva ancora traccia delledue feste più importanti nel corso dell’annonell’area tebana: la Bella Festa della Valle e laFesta di Opet, durante le quali la barca venivatrasportata a visitare i templi di Deir el Baharinel primo caso e di Luxor nel secondo.

La Bella Festa della Valle si svolgeva nel se-condo mese della stagione estiva, Shemu: du-rante questa festività Amon, accompagnatodagli altri due membri della triade tebana (Mute Khonsu), procedeva via fiume sul battello re-gale sulla riva opposta, per dirigersi verso itempli dei sovrani deceduti e deificati a Deir elBahari e tornare poi a Karnak. Poiché era ori-ginariamente un giorno festivo dedicato al ri-cordo dei defunti, il popolo portava fiori eofferte alle tombe dei familiari deceduti, comedipinto sulle pareti di molte tombe tebanedell’epoca32.Durante la festa di Opet,33 invece, la statua diAmon e la barca sacra erano portati in proces-sione verso Luxor, l’Harem meridionale del dio,per visitare il tempio e congiungersi con lasposa divina.

Il tragitto di andata era via terra, con il simula-cro portato sulle spalle dagli officianti, mentreil ritorno si svolgeva via fiume, con il naosscortato sul battello regale. La festa era celebrata nel secondo mese del-l’inondazione, Akhet; era connessa con il Nilo ericopriva grande importanza nel Nuovo Regno. Complemento fondamentale per la cappella eper le due feste sopra citate, erano le sei sta-zioni34 che la sovrana ordinò di costruire nelpercorso tra Karnak, Luxor e Deir el Bahari. Il corteo in processione si fermava in ciascunadi esse per compiere le purificazioni di rito eper far riposare gli officianti che portavanol’imbarcazione sulle spalle. Doveva essere un duro lavoro!Sulla strada per Luxor la processione lasciavail tempio di Karnak attraverso un’uscita a sud,vicino all’ottavo pilone. In accordo con le altretestimonianze, la descrizione raffigurata sullaterza fila di blocchi conferma che il tragitto di

Burgos, F., Larché, F., La chapelle Rouge. Le sanctuaire de barqued'Hatshepsout. Vol. I, Paris 2006

Lacau P., Chevrier H., M.E. Bonhême, M. Gitton Une chapelle d’Hatshepsout à Karnak, I, Le Caire, 1979.

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LSHAUSEN (EAS?) 1994, pp. 103-107; DE PUTTER, KAR-LSHAUSEN 2003, pp. 373-386.5 Cfr. BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 53-56.6 A proposito delle tre porte e delle parti che le compo-nevano, cfr. LACAU, CHEVRIER 1977, § 702-710; BURGOS,LARCHÉ 2008, pp. 17-21 e 25-26.7 Cfr. op. cit., p. 33.8 La modanatura a gola egizia indica una decorazioneornamentale dal profilo curvo costituita da una fasciaorizzontale che si incurva e si aggetta nella parte supe-riore formando l’immagine formale peculiare dell’archi-tettura trilitica egizia con le finalità di arrotondare laparte terminale superiore dei muri e di protezione dellestrutture inferiori. Gli Egizi usavano due tipi di modana-ture, la gola egizia o cavetto e il semicerchio costituitodal toro e dal tondino detto anche astragalo. Questi dueelementi erano quasi sempre combinati tra loro con il se-micerchio alla base del cavetto e li ritroviamo oltre chenei pilastri, architravi, piloni, muri e nelle produzioni ar-tistiche. Il semicerchio che da solo bordava gli angolidegli edifici presentava come toro un profilo convessonon perfetto delimitante inferiormente la gola egiziamentre come tondino era sostanzialmente molto più pic-colo del precedente. Cfr. VANDIER 1952, p. 800.9 Un cubito corrisponde a 0.50 cm circa. BURGOS, LAR-CHÉ 2008, pp. 32-33.10 Cfr. op. cit., pp. 22-23.11 Cfr. op. cit., p. 22.12 Per le dimensioni della Cappella Rossa prima della ri-costruzione cfr. LACAU, CHEVRIER 1977, pp. 31-32; CAR-LOTTI 1995, pp. 141-150; successiva all’assemblaggio:BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 26-28.1 3 Cfr. Infra capitolo VI.14 LACAU, CHEVRIER 1977, § 45-10615 Per una descrizione di tutte le scene del vestibolo cfr.LACAU, CHEVRIER 1977, § 265-305 e BURGOS, LARCHÉ2008, pp. 68-72.16 In merito alle scene dei blocchi all’interno della se-conda sala cfr. LACAU, CHEVRIER 1977, § 306-390 eBURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 72-80.17 Per le caratteristiche tecniche dei blocchi cfr. op. cit.,pp. 31-51.18 Cfr. op. cit., p. 47.19 Cfr. LACAU, CHEVRIER 1977, p. 9, fig. 1. 20 Cfr. BURGOS, LARCHÉ 2008, p. 47.21 Cfr. LEGRAIN 1917, pp. 1-76.22 In merito ai lavori eseguiti dal CFEETK cfr. il capitolo1 di BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 13-30. Per le tecnichedella messa in opera e taglio delle pietre originarie cfr.op. cit., pp. 31-51.23 Come quella che tuttora è visibile dietro il Primo Pi-lone; cfr. op. cit., p. 49, fig. 32. 24 Probabilmente per non ingombrare l’interno dellaCappella; cfr. op. cit., p. 50, fig.33. 25 Il tempo che questo materiale impiega per asciugarsiè di circa 24 ore. Op. cit. p. 50.26 LEGRAIN 1917, p. 1-76.27 Cfr. op. cit., pp. 21-27.28 Cfr. op. cit., pp. 33-35.29 Per una descrizione di tutti i partecipanti alle proces-sioni e delle loro funzioni: op. cit., pp. 35-45.30 In mancanza del faraone vi era un suo delegato; op.cit., p. 35.31 La Festa della Valle è raffigurata sul terzo registro dellato Nord; la festa di Opet nella parete meridionale. Il ri-torno del corteo si trova invece nel quinto registro; cfr.BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 61-64.32 Cfr. STRUDWICK 2003.33 Cfr. DARNELL 2010, pp. 1-15. 34 Per le sei stazioni di Hatshepsut cfr. GAUTHIER 1925,VI, p.147; RICKE 1937, pp. 71-78; ID. 1938, pp. 357-368; ID.1939, pp. 607-608; OTTO 1952, p. 24; RICKE 1954; NIMS1955, pp. 110-123; id. 1966, pp. 97-100; LACAU, CHEVRIER1977, § 199-213.

35 Per le stazioni di sosta della Barca sacra: GAUTHIER1925, VI, p.147; OTTO 1952, p. 24; RICKE1937, pp. 71-78;RICKE 1938, pp. 357-368; RICKE 1939, pp. 607-608;RICKE 1954. Le prime due stazioni sono inoltre raffigu-rate sul blocco 296 della base in diorite e sul n. 300 delterzo registro come si vede in LACAU, CHEVRIER 1977, §133-135 e 199-213.36 RICKE 1954, pp. 18-29. 37 Esattamente sui blocchi 305, 135, 169 e 170, LACAU,CHEVRIER 1977, § 216-222.38 Sul lato nord della Cappella Rossa, cfr. op. cit., § 241-304.39 Cfr. il capitolo 5 di BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 81-102 per i punti di riferimento cronologici e archeologicidella Cappella Rossa.40 LEGRAIN, 1905, pp. 283-284. BURGOS, LARCHÉ2008, p. 95.41 Cfr. BJÖRKMAN 1971, pp. 64-65 e 77-78; BURGOS, LAR-CHÉ 2008, 103-109.42 Iscrizione citata in: LEGRAIN 1905, pp. 283-284; NIMS1966, p. 97; BJÖRKMAN 1971, p. 68; DORMAN 1988, p. 47.43 URK. IV, 155-175; BARGUET 1962, p. 128.44 Cfr. URK. IV, 155-175; BARGUET 1962, p. 128..45 Per un elenco dei monumenti attribuiti a Senenmutcfr. MEYER 1982. 46 DORMAN 1988, pp. 1-17.47 BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 109-110 e 235-236.48 Per i sondaggi e il ritrovamento dei depositi di fonda-zione cfr. op. cit. pp. 127-128. 49 Cfr. op. cit., pp. 81-10250 Cfr. LACAU, CHEVRIER 1977, § 765-775; BURGOS,LARCHÉ 2008, pp. 81-102.51 Cfr. LACAU, CHEVRIER 1977, § 716-721.52 Cfr. BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 103-109.53 Cfr. BARGUET 1962, pp. 136-141; LACAU, CHEVRIER1977, § 722-764 e BURGOS, LARCHÉ 2008, pp. 103-109.

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dare definitive conferme. Sono però stati pro-posti alcuni indici39 dal CFEETK per definirel’intervallo di tempo in cui il monumento po-trebbe essere stato costruito. Primo elemento da cui si parte per datare l’edi-ficio è l’erezione dei due obelischi, rappresen-tati nel settimo registro del muro Sud (blocco302), nell’anno 16 di Hatshepsut: la CappellaRossa deve essere necessariamente poste-riore, forse dell’anno 17, se è sulle sue mede-sime pareti raffigurata tutta la descrizionedell’estrazione, preparazione e consacrazionedei due monoliti, che si trovavano tra il IV e Vpilone. Inoltre la regina aveva racchiuso la cap-pella per la barca all’interno di una serie di salee annessi, chiamati Sale di Hatshepsut. Il podio su cui l’insieme poggia è contempora-neo alla Cappella Rossa, come dimostraun’iscrizione ritrovata nel 1904 da G. Legrain40

sul muro nord di questi ambienti. Restano solamente tre linee di testo e alcunigeroglifici sparsi di questo blocco, deliberata-mente danneggiato da Thutmosi III e posizio-nato come montante per la porta all’angolonord/ovest dei vani da lui fatti edificare per ilculto ad Amenhotep I41. L’iscrizione si legge dadestra a sinistra e nella terza riga è chiara-mente menzionato l’anno 1742. Termine post quem sono le tre porte del san-tuario; nel Testo della Giovinezza43 collocatoda Thutmosi III nel lato sud delle Sale sud diHatshepsut si menzionano oltre ad altri edificifatti innalzare durante la correggenza, come ilNetjery Menu, proprio le tre porte della Cap-pella Rossa di Hatshepsut, riconosciute dailoro nomi, Menkheperra-Djeser-fau-Amon,Menkheperra-men-hesu-kher-Amon e Menkhe-perra-ur-bau-Amon, di cui il sovrano si arrogala costruzione e di averle placcate in elettro44.

Per quanto riguarda l’architetto, dovrebbetrattarsi di Senenmut45, onnipresente funzio-nario per i tre quarti del regno della regina escomparso dalle fonti epigrafiche verso l’anno1646. Di certo è stato ritrovato il suo nome scritto ininchiostro rosso47 sulla prima delle tre lastredelle fondamenta del Sesto Pilone, vicino adove sono stati ritrovati i depositi di fonda-zione a nome dei due sovrani48.

Se dunque Senenmut presiedette alle opera-zioni per l’innalzamento del Pilone, cronologi-camente anteriore alla Cappella Rossa, è moltoprobabile che la costruzione del Santuario perla Barca di Amon sia da attribuire a lui, inqua-drando l’edificio in un progetto ambizioso evasto, che comprendeva il Sesto Pilone, lacorte anteriore alla struttura, il podio con laCappella e le Sale d’offerta che la cingevano49.

Incompiuta alla morte della regina50, la costru-zione fu terminata51 da Thutmosi III52, il qualetuttavia lasciò l’ottavo registro del muro Nordsenza decorazione e, inspiegabilmente, dopoaver installato anche due pilastri e un baldac-chino davanti all’ingresso occidentale, fecesmontare il complesso per costruire un nuovosantuario in granito, demolito a sua volta daFilippo Arrideo, la cui costruzione si può tut-tora visitare53.

To be continued..

GIULIA NICATORE

Note:1 I volumi sono due, BURGOS, LARCHÉ 2006 e BURGOS,LARCHÉ 2008.2 Oltre a numerosi articoli e studi, nel corso del tempo,su riviste e periodici.3 Per una descrizione dettagliata della struttura dell’edi-ficio cfr. LACAU, CHEVRIER, 1977, pp. 3-30 e BURGOS,LARCHÉ 2008, pp. 11-14.. 4 Per la tipologia di materiale utilizzato cfr. DE PUTTER,KARLSHAUSEN 1992, pp. 97-99; DE PUTTER, KAR-

Burgos, F., Larché, F., La chapelle Rouge. Le sanctuaire de bar-que d'Hatshepsout. Vol. I, Paris 2006

Giulia Nicatore ha conseguito la LaureaTriennale in Scienze Storiche (Curricu-lum Antico, tesi in Egittologia) pressol’Università degli Studi di Milano.Successivamente, sempre presso l’ate-

neo milanese, ha conseguito la Laurea Magistrale inLettere Classiche (curriculum Archeologico, tesi inEgittologia).Presso l’Università degli Studi di Siena, sede di Gros-seto, ha conseguito il Master di II livello in ArcheologiaPreventiva, con tesi di Informatica applicata all’ar-cheologia.(Elaborato Finale in Informatica applicata all’archeolo-gia, con valutazione 30/30)

Pubblicazioni:Ricerche sulle tombe tebane TT161 e TT178, in G.Cavil-lier (a cura di) “L’Egitto di Champollion e Rosellini: fraMuseologia, Collezionismo e Archeologia, Atti della IGiornata di Studi Egittologici, Genova, 24 settembre2010”, Ananke.

Ricerche sulla Cappella Rossa di Hatshepsut, in G.Ca-villier (a cura di) “Ricerche nella Valle del Nilo e nelMediterraneo, Atti del II Convegno di Egittologia, Ge-nova 28-29 settembre 2012”, Ananke

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per procacciarsi il cibo. Indipendentementedalle epoche e dalle latitudini!Non solo di mera sopravvivenza si parla nel-l’antico Egitto ma anche di attenzione alla qua-lità della vita grazie al giusto nutrimento e,aggiungeremmo noi oggi, del corretto apportocalorico. Nel Medio Regno fu composto il papiro cono-sciuto come Westcar che riporta una serie distorie ambientate all’epoca del faraone Khufu(Antico Regno) con protagonisti una serie dimaghi e sacerdoti tra cui il venerabile Gedache, nonostante i centodieci anni, si nutrivaquotidianamente con cinquecento pani, mezzobue e cento brocche di birra. Senza dubbioun’esagerazione ma indicatore chiaro del va-lore attribuito a una dieta abbondante e di altaqualità: buona salute e longevità.

Inizierei ora un gioco: ricostruire parte di unagiornata legata al cibo di un abitante dellaValle del Nilo. Mi avvarrò dell’uso dei gerogli-fici (o di non rispondere alle critiche).

Inutile ricordare l’economia prettamente agri-cola e centralizzata del mondo dell’anticoEgitto e la mancanza di una moneta. Gli scambicommerciali al dettaglio avevano luogo tra-mite il baratto e le retribuzioni si concretizza-vano in razioni alimentari.

L’abitante del nostro gioco, dove avrebbe po-tuto procacciarci il cibo che mancava alla suadieta se riceveva come stipendio pane e birra?In realtà con le nostre stesse modalità: an-dando al mercato mrrt. Questo è il geroglificoche indica il luogo fisico dove poter scambiaregli alimenti.

Ci sono anche diverse raffigurazioni dove

donne e uomini, nell’atto di commerciare, of-frono e scambiano alimenti: pani per legumi,pesci per frutta.

A quanto pare esistevano anche i negozi ‘wtdove trovare un prodotto specifico o una seriedi alimenti generici

Una volta tornato a casa, il nostro abitanteavrebbe potuto riporre il cibo in un ambientechiamato pr-spd luogo delle provviste.

Il materiale che necessitava di una conserva-zione al fresco, sarebbe stato riposto nel pr-hry o luogo di sotto, la cantina.

Che dire, proprio strani questi Egizi.

Chiudiamo questo gioco con altre due parole

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Cibo! Ancora cibo? Ovunque si parla di cibo!Siamo circondati, dobbiamo arrenderci? Par-tendo dal presupposto che nelle vita c’è di peg-gio, mi sento di rassicurarvi, per quel che valeil mio pensiero: al cibo ci siamo arresi, da sem-pre, Egizi compresi! Abbandono il cibo, ma solo per qualche riga.Esisteva una vecchia pubblicità televisiva il cuislogan era: “basta la parola”. Nei percorsimentali che mi portano a collegare elementiapparentemente distanti, spesso mi vieneanche da affermare: “Se qualcosa è stato defi-nito in un vocabolario, allora esiste”. Lo pen-savano anche gli Egizi, infatti pronunciare conil giusto tono di voce o semplicemente scrivereuna parola ne avrebbe garantito la sua esi-stenza e dinamicità! Tranquilli, per quanto ap-passionato all’antica civiltà egizia nonattribuisco al vocabolo il valore performativoche loro gli fornivano. Metto insieme parole e cibo, o meglio gerogli-fici e cibo. Cosa ne viene fuori? Rispondendocon una battuta: pancia piena senza mangiare.

La vita delle donne, uomini, animali e divinitàdella Valle del Nilo era imprescindibile dal ri-tuale (non solo inteso da un punto di vistasacro) dell’alimentazione. Nel prendere atto diquesta “verità”, mi addentro in questo fitto“mistero” sul cibo, partendo dallo stracono-sciuto e familiare hotep – di- nesu. Formula oincipit, per l’esattezza, di una frase talmentefamiliare e studiata meccanicamente che, pur-troppo, ha perso il fascino del significato. “Dono che dà il re” è la traduzione usuale.

Dai sarcofagi ai cofanetti per le suppellettili,dalle anfore ai papiri, il re continua a donarequalcosa! Anche con un’analisi grossolana ap-pare evidente che gli oggetti sopra indicati,che si vedono esposti nei musei con sopraquel testo, appartengono a qualsiasi defuntoche poteva permetterseli. La presenza dellaformula non era, quindi, a esclusione del so-vrano, soprattutto dal Medio Regno in avanti. Perché nasce questa frase? Con buone proba-bilità racconta ed evidenzia il ruolo di primosacerdote che il faraone incarnava; in quantointermediario tra il mondo terreno e quello di-vino, era responsabile dei riti da compiere, of-ferte o sacrifici compresi, a favore delledivinità.Qui entra in campo il valore performativo at-tribuito alle parole e il carattere pragmaticodegli Egizi. In vita, il faraone, non potendo es-sere presente in contemporanea in tutti luoghiin cui si officiavano i riti per le divinità, dele-gava questo compito ai diversi sacerdoti locali,garantendo al tempo stesso la sua presenzaattraverso le immagini (statue o raffigurazioniparietali) e formule, hotep – di- nesu compreso. Un volta defunto, la presenza della formulaavrebbe consentito al faraone di continuare,come in vita, a svolgere i suoi riti.Qual è il dono? Cosa regalava il re alle divinità?Cibo! Ci risiamo, il cibo è ovunque. Alimenti do-nati affinché le divinità fossero soddisfatte emantenessero l’ordine cosmico. Ne siamo sicuri? Si (dando per certo di nonavere dubbi sulle traduzioni); dobbiamo ag-giungere altri due elementi solitamente pre-senti in questa formula: peret – heru, tradottocome “invocazione”, e alcuni sostantivi; il ri-sultato è: “Dono che il re da (alla divinità X )affinché egli faccia un’invocazione di pane,birra, di buoi e di uccelli.” Alimenti! Cibo!Non ne veniamo fuori! Nutrirsi è un’azione fon-damentale che ha sempre “preoccupato”l’Uomo e lo ha costretto a aguzzare l’ingegno

hotep di nesudi Generoso Urcioli

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legate ai locali dove venivano somministrate lebevande: swrihkt, la taverna di birra

locale tendenzialmente malfamato ma non perquesto poco frequentato.Esistevano delle altre taverne, probabilmentedestinate a frequentatori più raffinati, iwirpy,dove il vino era la bevanda da degustare.

Che dire se non: quante cose si possono sco-prire utilizzando il cibo come filtro di analisidelle antiche civiltà!Stavo dimenticando: perché hotep dii nesu èad appannaggio di tutti e non solo ad esclusivadel sovrano? Gli studiosi rispondono solita-mente che dal Medio Regno in avanti i testi fu-nerari (e quella formula ne fa parte) sono adisposizione delle upperclass a causa di unademocratizzazione dei riti.Se lo dicono loro, io mi fido. (qui ci vorrebbeun classico emoticon con faccina ironica chesorride)

GGEENNEERROOSSOO UURRCCIIOOLLII

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influssi stranieri nellareligione egizianadi Roberta Vivian

(PRIMA PARTE)

Proviamo a catapultarci con la mente nel futuro, magari fra 3000 anni, e pensiamo: se un archeologodovesse scavare alcune nostre città, che idea si farebbe dei nostri culti religiosi sulla base delle rile-vanze archeologiche? Troverebbe per la maggior parte resti di chiese o santuari di qualche ordinecristiano, ma anche, in minor numero e solo in alcune città, resti di qualche moschea o tempio ebraicoe in base ai ritrovamenti, si renderebbe conto che queste erano forse le religioni più diffuse nello statoitaliano. Ma se riuscisse a condurre indagini anche sui resti delle abitazioni in una qualunque città? Probabil-mente accanto ai culti per così dire “ufficiali”, quelli più diffusi, troverebbe forse i resti di libri o oggettiche manifestano un interesse per religioni nuove oppure importate da paesi lontani: come il New Age,il Buddismo, l’Induismo ecc. Da questo ne deriverebbe un quadro molto complesso per l’archeologo,poiché si troverebbe di fronte ad una religione ufficiale e ad altre religioni arrivate in seguito dal-l’esterno tramite contatti di vario tipo fra le popolazioni; pensiamo ad esempio che due popolazioni

Arrivo degli asiatici in Egitto, da un affresco della tomba di Khnumhotep a Beni Hasan, XII dinastia

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cie, in cui gli influssi egiziani si univano a quellimesopotamici. Importante ricordare la città co-stiera di Biblo che possedeva per l’Egitto una po-sizione di monopolio nel commercio del legname;da qui partivano navi che andavano verso l’Egittocariche di legno di conifera del Libano, usato percostruzioni di tutti i tipi ed anche per la produ-zione di navi. Nella zona del tempio di Biblo sono stati trovatiframmenti di vasi offerti alla “Signora di Biblo”che recano i nomi di sovrani egiziani; probabil-mente questi non erano stati donati originaria-mente al tempio, ma contenevano prodotticommerciali egiziani che servivano come con-trovalore per le consegne del legno. La loro do-nazione al tempio potrebbe essere stata fattasuccessivamente dai sovrani di Biblo, poiché ivasi egiziani, lavorati con arte, sono sempre statiprodotti commerciali molto amati. Tutti i ritrovamenti di questo periodo devono es-sere interpretati solamente come la sempliceconseguenza di scambi commerciali.

MMeeddiioo RReeggnnooNel Medio Regno assistiamo a relazioni semprepiù strette e frequenti con la Palestina meridio-nale e con le città della costa fenicia: questi con-tinui scambi commerciali crearono l’opportunitàai mercanti e viaggiatori di avere ulteriori scambiculturali che potrebbero aver favorito l’importa-zione di credenze religiose egiziane, poiché sem-pre nella città di Biblo troviamo la dea Hathorcon l’epiteto di “Signora di Biblo”: unica divinitàegiziana con un luogo di culto asiatico.

Per gli egiziani la “Signora di Biblo” era unaforma locale della dea egiziana Hathor; questaidentificazione cambiò solo successivamente nelNuovo Regno, in cui la dea veniva menzionata colsuo nome semitico di Baalat (= Signora). L’unionedelle due dee è testimoniata dal fatto che la “Si-gnora di Biblo” veniva raffigurata allo stessomodo della dea Hathor in Egitto, questa somi-glianza ha influito col passare del tempo sul-l’aspetto che veniva dato alle divinità dell’amoree della fertilità siro-palestinesi.

Attraverso questi viaggi iniziò a svilupparsi unaconoscenza reciproca e più profonda nell’ambitoreligioso: i marinai, i funzionari statali e tutti imembri dell’equipaggio che facevano parte dellaspedizione ebbero modo di fare delle osserva-zioni sulle divinità e sugli usi religiosi asiatici perpoi riferirli una volta tornati in Egitto, introdu-cendo così culti stranieri nel proprio paese.La conoscenza si diffuse anche tramite prigio-nieri di guerra e schiavi, che erano presenti innumero significativo sul territorio egiziano du-rante il Medio Regno, i quali conservarono leloro usanze religiose per tutta la loro perma-nenza in Egitto. A testimonianza di ciò bisogna tenere in conside-razione un papiro risalente alla fine del MedioRegno contenente una lista di novantacinqueschiavi, molti dei quali asiatici, che vengono elen-cati nello scritto con il loro nuovo nome egizianoe la loro occupazione. Di novantacinque nomisono leggibili solo settantasette e basandosi suquesti si riesce a determinare la nazionalità diognuno: ventinove nomi appartengono ad egi-ziani e quarantotto ad asiatici. Il titolo che precede ogni nome è differente a se-conda che si tratti di un indigeno o di uno stra-niero: nel primo caso il termine usato per gliegiziani è hem/hemet mentre nel secondo casoper gli asiatici è aam/aamet, la distinzione sem-bra essere solo etnica. Questo papiro non ci permette di precisare laprovenienza degli asiatici sulla lista ma, essen-doci molti nomi teofori tramite i quali gli egizianiacquisirono le prime conoscenze sulle divinitàasiatiche, possiamo affermare che questi nomicontengano le attestazioni egiziane più anticheper le divinità siro-palestinesi, il cui culto si af-fermerà più tardi in Egitto e allo stesso tempo citestimoniano il fatto che gli individui che ne por-

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diverse possono incrociarsi per commercio,viaggi, lavoro, guerra oppure semplicemente pervicinanza geografica. A questo punto bisogna capire se si trattava dipersone straniere che vivevano nel nostro paesema continuavano a seguire la propria religione,oppure di italiani che per i motivi sopra elencativennero a contatto con religioni straniere e con-tinuarono a praticarle anche in Italia. Infine c’èda considerare la variante personale di ogniculto, che risulta più difficile da capire con le soletestimonianze materiali.

L’argomento esposto finora, che sembra così at-tuale, in realtà rispecchia ciò che accadde nel-l’Antico Egitto per tutta la sua storia, culminandonel periodo di dominazione straniera da partedegli Hyksos e nel corso del Nuovo Regno, pe-riodi ai quali viene datato la maggior parte delmateriale a nostra disposizione che comprendetesti regali, preghiere e stele votive; è su questetestimonianze oggettive che verrà condottal’analisi sulle divinità straniere in Egitto cercandodi capire da chi e per quale ragione furono por-tate nel territorio egiziano. In seguito proveremoa dare un’interpretazione alle rappresentazionitentando di definire quale funzione avesseroqueste divinità in Egitto.

AAnnttiiccoo RReeggnnooFin dall’inizio della storia egiziana e per tuttol’Antico Regno non si hanno testimonianze sullaconoscenza o venerazione di divinità straniere inEgitto a causa della mancanza di fonti. Sappiamoperò che gli egiziani della IV dinastia fecero dellespedizioni in Fenicia, in particolare a Biblo; maqui, al contrario di quello che accadde successi-vamente nel Nuovo Regno, non adottarono equindi non si misero sotto la protezione di divi-nità straniere poiché commerciavano sull’inca-rico del re egiziano che era considerato “il piùgrande degli dei”.La prima rimozione graduale del re egiziano dallasua posizione di dio supremo provocò uno svi-luppo maggiore del culto delle divinità locali; ri-masero infatti, per il momento, sempre le divinitàegiziane a proteggere le spedizioni all’estero enelle cave di pietra. Ad esempio nel Sinai durante l’Antico Regno tro-viamo il dio Thot come “Signore di Iuntiu” e “Si-gnore delle terre straniere”, probabilmenteanche “Signore delle zone desertiche orientali”.Nel Sinai ed in altre zone in cui venivano estrattele materie prime, come Serabit el-Khadim, loWadi el-Hudi e la terra di Punt, troviamo vari epi-teti della dea Hathor collegati con le materieprime che si estraevano; come dea ad esse colle-gata accompagnava le spedizioni egiziane neipaesi d’origine e diventò per gli egiziani la “Si-gnora delle zone di materie prime”. Probabil-mente già a partire da questo periodo, tramite lespedizione nelle zone di confine, si sviluppò nellacultura egiziana un’influenza religiosa che arri-vava dall’area del Sinai e della Palestina meridio-nale. La zona di confine fra Egitto e Palestina, inclusoil Sinai, era a quel tempo come oggi inospitale eoffriva sostentamento solo agli animali dei no-madi; gli Egiziani chiamavano questi nomadiheriu sha, gli “abitanti della sabbia”, per il loromodo di vita. Per separarli da questi ultimi, gliabitanti della Palestina sono quelli che venivanochiamati prima setjetiu e poi aamu, denomina-zione che si estenderà in seguito ai vicini asiatici;la zona palestinese ha da sempre giocato unruolo molto importante come mediatore fraEgitto e le altre zone del Vicino Oriente mesco-lando al suo interno varie tradizioni differenti.Le influenze reciproche fra le diverse popolazionisi vedono in particolare nelle città costiere feni-

Stele raffigurante il re di Biblo Yehawmilk il quale pre-senta una libagione alla “Signora di Biblo”

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sere supposti poiché non ci sono indicazioni di-rette; dobbiamo così tentare di ricostruire gli inizidella venerazione delle divinità asiatiche in basealle scarse indicazioni in nostro possesso. Sugli scarabei del Secondo Periodo Intermedio sitrova una figura nuda, somigliante ad Hathor manon rappresenta nessuna dea egiziana; nellemani tiene spesso un ramo o fiori di loto, similealle rappresentazioni più tarde della dea Qadesh;non si sa nulla sulla provenienza di tali scarabei,i geroglifici fanno supporre che fossero stati pro-dotti in Palestina meridionale e non nel Delta,dove arrivarono tramite il commercio.

Oltre alla dea nuda si trova sugli scarabei la rap-presentazione di una figura umana rappresen-tata in piedi con una lunga veste tipica dellerappresentazioni straniere, caratterizzata daun’alta corona mentre tiene uno scudo e occasio-nalmente una mazza o una spada, caratteristicheche identificano il dio cananaico Reshef.

Purtroppo si sa molto poco di altre divinità asia-tiche divenute locali nel Delta durante il dominiostraniero; abbiamo però una testimonianza chela popolazione di Avaris comprendeva gente didiverse etnie proveniente da terre molto lontanefra loro, e probabilmente in questa città eranonoti i culti più differenti che in seguito si mesco-larono fra loro. È stato ritrovato infatti il nome accadico di unasignora Hyksos Ishtar-ummi, il cui nome significa:

“Ishtar è mia madre” che mostra la forma acca-dica del nome Ishtar invece della forma sirianaAstarte. Accanto a questo non è da escludere che esi-stesse anche la venerazione di altre divinità asia-tiche nel Delta, soprattutto quella di entrambe ledee Anath ed Astarte, il cui culto, assieme aquello del dio Seth/Sutekh-Baal, verrà ripreso daRamesse II nella città di Pi-Ramses.

NNuuoovvoo RReeggnnooPer quanto riguarda il Nuovo Regno possediamosufficienti indicazioni per poter affermare che cifu una vera e propria venerazione di divinità stra-niere in Egitto; il loro culto venne accolto nei tem-pli egiziani e perfino tra le divinità locali; perquesto periodo abbiamo molte stele che dimo-strano l’allargamento della venerazione diffusaormai in tutto il paese e in tutti gli strati di popo-lazione. A seguito dell’intenso scambio culturale fraEgitto, Siria e Palestina che, oltre a comportare ildiffondersi di culti religiosi, facilitò anche la diffu-sione dei miti e delle narrazioni asiatiche si tentadi dare altre spiegazioni sul motivo che hanno in-dotto gli egiziani ad accettare delle divinità stra-niere nel loro pantheon. Una spiegazione difendel’idea che i re egiziani avrebbero adorato le divi-nità asiatiche, soprattutto Reshef ed Astarte, per-ché incarnavano lo spirito bellicoso del lorotempo legato all’uso del cavallo in guerra ed inol-

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tavano il nome erano posti sotto la protezione ditali divinità e che quindi le adoravano nella loroterra d’origine; accanto agli dei Reshef e Sha-mash è documentata una volta anche Anath, duevolte Baal e una volta Baalat.

SSeeccoonnddoo ppeerriiooddoo iinntteerrmmeeddiiooAlla fine del Medio Regno lo stato centralizzato sidisgregò gradualmente favorendo un afflussoprogressivo di popolazioni asiatiche nella zonadel Delta Orientale; questi gruppi stranieri, all’ini-zio pacifici, cominciarono ad occupare il territo-rio a loro disposizione causando l’indebolimentoe il disfacimento del paese dando inizio al cosid-detto Secondo Periodo Intermedio, periodo nonben conosciuto, alla fine del quale si formaronodue dinastie, dette Hyksos, di origine straniera (laXV e la XVI), che come nuova capitale scelsero lacittà di Avaris. Gli Hyksos, dopo essersi legittimaticome sovrani, assunsero il titolo di re egiziani ediventarono veri e propri faraoni con l’appellativodi origine egiziana: hekau khasut, cioè “capi deipaesi stranieri”. Questo titolo era la denomina-zione egiziana per i principi siriani, per tale mo-tivo gli Hyksos furono sentiti sempre comeasiatici nonostante avessero accettato del tuttola cultura egiziana. Il progressivo installarsi di questi dominatori stra-nieri sembra essere stato abbastanza ben ac-cetto da parte degli egiziani: gli Hyksos infatti,durante il loro regno, continuarono a seguire ipropri usi e costumi senza però anteporli a quelliegiziani dimostrando così il loro rispetto culturaleverso la tradizione del paese in cui regnavano.

Ma quello che più interessa ai fini della nostra ri-cerca è che questi sovrani istituirono un culto in-

centrato sulla figura di Seth/Sutekh di Avaris, delquale si limitarono ad accentuare gli aspetti asia-tici, tanto che verrà assimilato al dio Baal/Reshef,come accadrà successivamente nella stele del-l’anno 400 di età ramesside, in cui il dio egizianodel deserto e dei paesi stranieri Seth è chiara-mente raffigurato come un dio siriano e forse perla prima volta viene identificato con Baal. NelNuovo Regno questa unione diverrà moltostretta e il nome di Baal verrà scritto col determi-nativo di Seth .

Tutte le fonti concordano col fatto che gli Hyksosregnarono ad Avaris favorendo la venerazione diun dio asiatico; le fonti egiziane lo notano espli-citamente, dalle iscrizioni della regina Hatshep-sut si legge: “Loro (i re Hyksos), hanno governatosenza l’aiuto di Ra ed egli (il re degli Hyksos), nonha commerciato in conformità all’orine divino”.Questo è confermato da un passo tratto dalla “Di-sputa tra Apopi e Seqenenra”: “Il re Apophis feceper sé Sutekh come signore, e non serviva nes-suna altro dio in tutto il paese [eccetto] Sutekh.Gli costruì un tempio, un lavoro perfetto e dura-turo accanto al palazzo regale di Apophis e si mo-strava [all’inizio] del giorno, per fare sacrifici […]per Sutekh ogni giorno. I grandi [del palazzo] por-tavano ghirlande, come si fa nel tempio di Ra-Ha-rakhti”.

Dal tempo del dominio Hyksos ad Avaris abbiamopochi monumenti, in particolare nel Delta, in cuii culti più antichi di divinità asiatiche devono es-

Disegno del registro superiore della stele dell’anno400. Ramesse II mentre offre del vino al dio Seth/Sutekh”

Scarabei di manifattura cananaica, Bronzo Medio Palestina

Scarabeo di manifattura cananaica proveniente da Gezer

Scarabeo di manifattura cananaica, proveniente daLachish

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Teshup che presto diventò Baal (= il Signore), ap-pellativo da cui derivò il nome proprio del dio. Isuoi nomi di origine si individuarono negli epitetipiù tardi: Baal-Sapan, il “Signore delle Montagnedel Nord”, Baal-Shamem, “Signore del cielo”nella città di Tiro, Baal-Beqa, il dio della fertilepianura ai confini del Libano.

Gli egiziani conobbero e impararono a veneraresolo Baal come re degli dei, il quale sostituì inpieno El. Le compagne del dio sono Anat eAstarte, ma nella zona siro-palestinese ancheAtira/Ashera; queste venivano considerate comedee bellicose e selvagge, ma anche come dona-trici di fertilità e dee dell’erotismo.

Fino a che punto gli egiziani si addentrarononell’essenza della religione cananea verrà chia-rito nella seconda parte dell’articolo, esaminandole singole divinità e cercando di capire che ruoloavevano nel loro paese d’origine e quale ruolo as-sunsero nel territorio egiziano.

RROOBBEERRTTAA VVIIVVIIAANN

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tre possedevano, attraverso il loro carattere stra-niero, una forza d’attrazione per gli egiziani.

Un’altra spiegazione è data dal fatto che il re egi-ziano durante le sue spedizioni si rivolgeva equindi si propiziava le divinità del nemico per po-terlo vincere, poiché, secondo gli egiziani, le divi-nità nei loro paesi d’origine avevano un poterestraordinario; per lo stesso motivo anche i fun-zionari statali egiziani ed i soldati in Siria e Pale-stina si mettevano sotto la protezione delledivinità della zona in cui soggiornavano; si puòdunque supporre che, quando questi facevano ri-torno nella loro patria, fossero soliti continuare avenerarle.Le divinità siro-palestinesi che venerarono gliegiziani a partire dalla metà del II millennio a. C.si svilupparono in precedenza nella loro terrad’origine, attraverso delle sovrapposizioni com-plesse dovute alla mescolanza di vari ceppi semi-tici; meglio di tutti conosciamo il centro di Ugarit,nella costa nord siriana, da cui provengono testimitologici contemporanei tramite i quali si ap-prende che le credenze religiose erano dominateda due dei che facevano parte di due generazionisuccessive. Alla generazione più vecchia appartenevano glidei cosmici: al loro vertice stava El, il creatoredella terra e padre degli dei e degli uomini; unadea, il cui nome può cambiare da luogo a luogogli sta a fianco: a Ugarit viene chiamata Atirat. Della seconda generazione di dei faceva parte ildio del tempo atmosferico che donava la fertilitàalla terra attraverso la pioggia, e che contempo-raneamente assimilava il potere violento e mi-naccioso della natura durante il temporale. Icananei lo chiamavano Haddu/Hadad, l’hurrita

Veneziana, da sempre appassionata diAntico Egitto, ha conseguito la laureamagistrale in Conservazione dei BeniArcheologici presso l’Università di Ca’Foscari nel 2005, interessandosi nella

tesi triennale del villaggio di Deir el Medina e succes-sivamente, nella tesi specialistica, del culto delle divi-nità asiatiche in Egitto. Durante la sua formazione ha svolto diverse attivitàdi tirocinio nelle biblioteche universitarie e museali,ha catalogato pezzi ceramici da scavi siriani, hapreso parte ad uno scavo archeologico di età prei-storica in Friuli Venezia Giulia e ha partecipato a unviaggio studio in Egitto organizzato dall’Università. Attualmente mantiene vivo l’interesse per la culturaegiziana dedicandosi principalmente allo studio delmedio egiziano e seguendo lezioni e conferenzepresso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Frammento raffigurante il dio Reshef a cavallo, prove-niente da Sai in Nubia

Stele dedicata al dio Reshef proveniente da Menfi, XIXdinastia

Ostrakon raffigurante la dea Astarte a cavallo, Deir elMedina

Stele raffigurante il dio Baal, da Ugarit

Stele raffigurante il dio Baal-Sapan, da Ugarit

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rilievo, della dea Nut. A Venezia i pannellierano costituiti da foto composte ad arte, ca-paci di far risaltare particolari che neancheuna visita al monumento originale permette dioffrire, in quanto le condizioni sono disagevoli.Nella mostra allestita a Dolo, invece, ci si è av-valsi del supporto di strumenti informatici che,con otto proiettori, evidenziano dinamica-mente figure e segni degni di interesse.Sempre costante, purtroppo, anche la denun-cia del lento ma inesorabile decadimento del-l’opera. La sagoma di Shu si specchiacostantemente nell’acqua onnipresente nella

sala, e pipistrelli e piccioni nidificano in questoluogo, che offre loro un rifugio sicuro. La forzache traspira dalla figura della divinità , capacedi sorreggere con delicatezza il corpo della deaNut, nulla può però alla corrosione del tempo.Gli arti inferiori purtroppo stanno del tuttoscomparendo, scrostandosi irreparabilmente,confondendosi ineluttabilmente con il limac-cioso pavimento allagato.Procedendo nel giro della mostra, scopriamopoi, in un ambiente attiguo, un’ interessantenovità : la ricostruzione in scala 1:20 dell’ Osi-reion ( vedi foto). Il plastico è stato realizzatoda Maurizio Sfiotti, geometra e ricercatore, uti-lizzando materiali quali legno e pietra, con lapreziosa collaborazione della dott.sa FedericaPancin, egittologa.Attente rilevazioni effettuate in situ nel mesedi maggio 2013 hanno permesso di verificarnele misure. Sono state apportare alcune corre-zioni con scarti pari anche a 30-40 centimetririspetto a documenti precedenti di altri stu-diosi. Gli strumenti utilizzati sono stati daquelli più usuali, quali il metro snodato inlegno, a rilevatori laser di precisione, che hanpermesso di effettuare misurazioni anche incondizioni disagevoli. Tutto è stato rigorosa-mente annotato su planimetrie già preparatein Italia, in modo da rendere il lavoro più agile

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m o s t r e

Si stagliano, nella penombra, blocchi di granitoche ci sovrastano con la loro imponenza. Losguardo segue il profilo verticale del monolite,per poi passare lento sull’architrave del mede-simo spessore e ridiscendere, vinto dal peso diquella massa. In realtà, ciò che stiamo osser-vando è il lavoro di abili artigiani contempora-nei, che hanno realizzato, scala 1:1 inpolistirolo, uno spaccato della struttura a co-lonne a forma di parallelepipedo dell’ Osireion.Volgendo lo sguardo sulla sinistra, si rimanerapiti dalla proiezione digitale che riempie l’in-tera parete. Riproduce con cura le scene scol-pite nell’arenaria che si possono ammirare adAbydos. Per evidenziare l’inesorabile “logo-rio” del tempo, svaniscono, sgretolandosi inparticelle di luce che si ammassano, precipi-tando al suolo, per poi ripristinare il foto-gramma iniziale. Scene tratte dai precisidisegni di Margaret Murray, egittologa ed an-tropologa britannica che ha collaborato con ilcelebre studioso Petrie, impegnato negli scavidel sito ad inizio secolo.

Ci troviamo dunque a pochi metri dal limitaredella “Camera del sarcofago”. La punta delpiede sfiora sul pavimento un’immagine diacqua virtuale in movimento. Sollecitata dall’incerto e lento incedere dei nostri passi, quasifosse reale, crea suggestioni di piccole onde, aricordare che, per la maggior parte dell’anno, iltempio è lambito da questa preziosa sostanzaliquida. Invita a procedere oltre, entrando al-l’interno della nuova sala (vedi foto)Qui ecco ritrovata la meravigliosa riproduzionedel soffitto astronomico, già ammirata a Vene-zia dal 2 giugno al 21 ottobre 2012 in occasionedella mostra “Il tempio di Osiride svelato” al-lestita, con la collaborazione del Museo Egiziodi Firenze, da Paolo Renier. La sua sempre gra-devole presenza, ci accompagna nella descri-zione dei particolari (vedi foto).Sono rappresentati, sulla volta del soffitto, ri-spettivamente il “Libro di Nut” (parete sud) edil “Libro della notte” (parete nord), che vedonoentrambi, come figura dominante, il corpoinarcato, splendidamente riproposto in basso-

L’Osireion a Dolodi Carla Tomasi

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della visita, arricchisce le giornate con interes-santi scambi. Se l’ospite sa coltivare un sensodi rispetto per coloro i quali sono da secoli le-gittimi depositari del territorio, è molto proba-bile si dischiudano porte di accoglienza edintimità. Tra l’altro, per Renier un leitmotiv im-prescindibile dalla propria ricerca è proprio il

mantenere fede ai principi di rispetto, cono-scenza e valore di tutto ciò che riguarda l’An-tico Egitto.Accogliamo quindi con gentilezza l’invito checi muove Abydos. Un invito imperituro, instan-

cabilmente offerto con la delicatezza delle im-magini scolpite all’interno dei templi. La soa-vità dei sorrisi, le sottili ed agili dita chesfiorano i volti ed i corpi delle figure rappre-sentate, gli occhi vivi, che scrutano sornioni gliingenui spettatori di scene sacre, perlopiù in-comprensibili nel loro significato più profondo,che, immobili, seducono da secoli. Figure cheperò reclamano anche sobrietà, rigore e ri-spetto. Pretendono un “innamoramento”, unasorta di rapimento che va oltre l’abile segnotracciato dall’artista. Un dialogo di “cuore”come quello che ha stabilito Paolo Renier conquesto incantato luogo, purtroppo minacciatoogni giorno di più da un annientamento irre-versibile dovuto all’incuria ed all’oblio. Ed èproprio qui che la “vocazione” di Renier si in-troduce, nel tentativo di non dimenticare que-sto luogo, eletto come sacro da “milioni dianni”.

CCAARRLLAA TTOOMMAASSII

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Il plastico ricrea, nello specifico, il sito conl’“isola”, il colonnato, la stanza del sarcofagoed il corridoio che si sviluppa in direzione per-pendicolare ad esso sud-est nord-ovest (vedifoto).Approssimandosi all’imbocco di tale corridoioin miniatura, si ricrea la medesima sugge-stione che si può provare ai giorni nostri sbir-ciando dal cancello posto ad una delle sueestremità, sempre chiuso, dal quale si possonointravedere i raggi di luce che cercano diaprirsi un varco al suo interno, attraverso foripraticati sul soffitto. Una prospettiva che con-centra l’attenzione sulla luce che esplode infondo al vestibolo, quasi il buio si affrettasse araggiungerla.Questa missione non vuole che essere uno deiprimi tentativi di studio metodico nella zona diAbydos da parte di Renier e dei suoi collabo-ratori, ed è già in programma un viaggio nellaterra di Khemet nel periodo in cui le acque chesi insinuano nell’Osireion saranno meno pre-senti. La prospettiva è quella di focalizzare di voltain volta l’attenzione su alcuni aspetti che ri-guardano questo luogo, approfondendo tema-tiche sui singoli templi o ricerche sulle personeche vi hanno dedicato studi.Il curatore ci ha poi intrattenuto con la narra-zione di un simpatico accadimento. Volendo ri-levare misure all’interno del canale delcomplesso monumentale, e dopo svariati ten-tativi, si è legata una telecamera ad un cavo ela si è calata dal punto più alto. Il movimentorotatorio accidentale ha fatto si che si avesse,anche se in modo parziale, una visione a 360gradi inconsueta, ma estremamente interes-sante. Relativamente al canale, lo scopo sa-rebbe quello di procedere, con il favore disovvenzioni di una certa entità, al suo sgom-bero dai detriti. Maurizio Sfiotti avrebbe per-sino ipotizzato un progetto che trae spunto daiprocedimenti attuati per il prosciugamento deirii a Venezia.Un’ulteriore novità della mostra sono i video in3D, realizzati da Paolo Renier utilizzando unapparecchio con due obiettivi, ulteriore “espe-rimento” effettuato dal fotografo.A maggio la ricerca di Renier si è concentratasoprattutto sull’Osireion e sul tempio di Sethi I.

Abydos offre comunque un ampio spettro diopportunità sulle quali ci si può soffermare.Certo, sono necessari alcuni giorni per riuscirea muoversi nei dintorni e scoprire quindi luoghicome Shunet el-Zebib o Kom el-Sultan.In effetti il potersi permettere di vivere astretto contatto con il luogo ed i suoi abitanti

può rivelare delle gradevoli sfumature che, in-vece, purtroppo, si perdono quasi del tutto fa-cendo la solita visita turistica di poche ore. Ladimensione umana, se guadagna un posto trail clamore artistico o la formalità archeologica

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l o s c a f f a l e

Giuliana Rigamonti è nata a Sondrio. Diplomata presso l'Università Cattolica di Milanoe presso l'Association Angevine et Nantaise d'Egytologie ISIS, ha collaborato con MarcoE. Chioffi e Patrice Le Guilloux alla traduzione integrale di: Le avventure di Sinuhe, Il rac-conto del Naufrago, Il Papiro Westcar e l'Oasita Eloquent, Le Stele della IV dinastia, Undispaccio da Mirgissa. E' autrice insieme a Marco E. Chioffi della trilogia: “Antologia dellaletteratura egizia del Medio Regno” ed. Ananke.

Marco E. Chioffi è nato a Milano nel 1942. Laureato alla Statale di Milano in LettereClassiche, è specializzato in archeologia sottomarina (tesi sui relitti dell'Arcipelago Toscano),ha collaborato con le Soprintendenze di Liguria, Toscana, e con l'Istituto Internazionale diStudi Liguri. Dal 1980 studia l'archeologia sottomarina di Pantelleria. Collabora con laSezione Archelogica della Soprintendenza BB. CC. AA. di Trapani. E' autore dei libri: Archeologia sottomarina fonte di conoscenza del commercio marittimoantico e Anfore a Pantelleria e di molti articoli per pubblicazioni italiane e americane.Ha tradotto integralmente, con P. Le Guilloux e G. Rigamonti, Le avventure di Sinuhe,Il racconto del Naufrago, Il Papiro Westcar e l'Oasita Eloquent, Le Stele della IV dinastia,Un dispaccio da Mirgissa. E' membro dell'Institute of Nautical Archaelogy, dell'Associa-zione Italiana Archeologi Subacquei, dell'European Association of Archaelogist, dell'Ame-rican Research Center in Egypt, dell'Association Angevine et Nantaise d'Egytologie ISIS,dell'Istituto Italiano Archeologia Etnologia Navale, dell'International Association of Egyp-tologysts e di The Egypt Exploration Society. E' autore insieme Giuliana Rigamonti dellatrilogia: “Antologia della letteratura egizia del Medio Regno” ed. Ananke.

Màstabe, stele e iscrizioni rupestri egizie dell’Antico regnotesto geroglifico, traslitterazione, traduzione sia letteraria sia critica

l o s c a f f a l e

Marco ChioffiGiuliana rigamonti

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La presentazione dell'egittologo J. P. Allen ben inquadra l'importanza diquesta nuova opera di Marco Chioffi e Giuliana Rigamonti: "Màstabe, stele eiscrizioni rupestri egizie dell'AnticoRegno". Terzo della tetralogia relativa all'Antico Regno, il volume presenta undici iscrizioni incise sulle rocce delloWadi Hammamat, località del DesertoOrientale fra Copto e il Mar Rosso. I testi,poco noti al pubblico sebbene siano digrande interesse storico, fanno parte delle circa 400 iscrizioni rupestri che testimoniano le esplorazioni e le missioni estrattive compiute nelle cavee nelle miniere dello Wadi, dal periodo dell'Antico Regno a quello del dominiodegli Achemenidi persiani. Le undici iscrizioni, datate nella VI dinastia, si affiancano ai testi di carattere autobiografico di due dignitaririsalenti alla fine della V dinastia: i Visir Senedjemib-Ineti e Rashepeses. I testi, riportati sull'architrave della màstaba di Giza il primo e nella corte dellamàstaba di Saqqara il secondo, documentano, oggi come 4000 anni fa,quanto i due personaggi di elevate capacità e lealtà siano stati apprezzati egratificati dal loro sovrano.

Libro IIi/IV – Editrice La Mandragora

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come Per-em-heru, nell'antica lingua egizia, ha quindi lo scopo di far avvicinare anche chi

non è avvezzo allo studio della lingua egizia a quello straordinario ed affascinante mondo

rappresentato da questo importante testo funerario.

Per compiere questo viaggio immaginario all'interno del Libro dei Morti abbiamo utilizzato

un papiro custodito nel Museo di Antichità Egizie di Torino: il Libro dei Morti di Hor (Cat.

1808 RCGE 17445)

Il Museo torinese è infatti il secondo al mondo, dopo quello del Cairo, per la quantità e qua-

lità dei testi papiracei ivi conservati. Un breve excursus chiarirà le ragioni per cui una città

come Torino e non una grande capitale europea come Parigi o Londra, divenne sede di un

Museo egizio così importante, come i papiri ed il resto delle collezioni siano giunti nel ca-

poluogo piemontese e quali furono i personaggi che parteciparono alla sua creazione e svi-

luppo.

Verrà tratteggiato quel periodo avvincente ed avventuroso di inizio Ottocento, in cui fu

protagonista l'ex ufficiale napoleonico e console di Francia Bernadino Drovetti, la cui splen-

dida collezione fu acquistata dai Savoia per la creazione di un nuovo museo di antichità egi-

zie, elencheremo le fruttuose campagne di scavo dei primi anni Venti del Novecento, svolte

dal grande egittologo biellese Ernesto Schiaparelli, che con le sue straordinarie scoperte

portò l'istituzione museale torinese ad essere seconda per importanza solo a quella della

capitale egiziana ed infine giungeremo ad intravvedere la nascita di un moderno museo

che nei prossimi anni dovrà affrontare le sfide del XXI secolo.

Il tema centrale e fulcro del nostro studio sarà quindi l'approccio ad un argomento vasto e

complesso come il Libro dei Morti. Cercheremo perciò di analizzarne le fonti, risalenti agli

antichi Testi delle Piramidi (V-VI Dinastia), che mantengono al loro interno tracce ancora

precedenti, provenienti dalla tradizione orale; osserveremo le similitudini con i Testi dei

Sarcofagi, primo esempio di estensione "democratica" ed "universale" dei privilegi e delle

prerogative del sovrano, elementi assolutamente necessari a garantire un sicuro accesso

all'agognato aldilà.

Scopriremo quale fu lo studioso ad aver coniato per primo il titolo di "Libro dei Morti" e ad

aver concepito l'attuale suddivisione "convenzionale" in capitoli. Attraverso l'uso di questo

sistema di catalogazione e seguendo una sequenza cronologica, estrapoleremo il contenuto

dei principali capitoli al fine di fornire al lettore un quadro generale quanto più ampio pos-

sibile di questo testo funerario.

La trattazione si sposterà quindi sulla parte forse più conosciuta ed ammirata del Libro dei

Morti: la scena figurata della cosiddetta "Psicostasia". Verranno descritti come in una car-

PEREMHERUil libro dei morti nell’antico egitto

l o s c a f f a l e

Luca PeisAlessandro Rolle

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Per-em-heru (pr.t m herw), questo è il nome

che gli antichi egizi utilizzavano per indi-

care il loro testo funerario più diffuso e co-

nosciuto. La sua traduzione letterale può

essere intesa indicativamente come: "(libro)

dell'uscire al giorno (oppure alla luce del

giorno)", una definizione che esprime tutta

quella speranza di rinascita dopo la morte,

che caratterizza l'intero arco della storia

dell'Antico Egitto. Per chi non si è mai ad-

dentrato nello studio della civiltà e della lin-

gua egizia questo termine risulterà oltre

che di difficile pronuncia anche alquanto

oscuro ma, in realtà, si tratta semplice-

mente del modo con cui gli egizi chiama-

vano quell'insieme di formule, preghiere ed

invocazioni che conosciamo più comune-

mente come il Libro dei Morti, un titolo di

sicuro più familiare ed evocativo che rap-

presenta appieno quell'immagine forte-

mente stereotipata che corrisponde alle

attuali credenze egizie sull'aldilà.

L'utilizzo nel titolo del libro di una parola

edizioni LiberFAber

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indovina chi venne a cena?

Generoso Urcioli

“Indovina chi venne a cena?” è un libro di ricette ma non è un libro di ricette. “Indovina chi venne a cena?” non è unsaggio o un racconto storico anche se lo è.Quindi? Cos’è? Potrebbe essere un libro di archeoricette, dove il cibo e le abitudinialimentari sono utilizzati come filtro perraccontare e scoprire aspetti e sfumaturedi antiche civiltà.“Indovina chi venne a cena?” è come unaricetta: una serie di ingredienti messi insieme con cura, legati, preparati con attenzione e serviti.Impero Romano, una piccola città, personaggi reali vissuti su quel tessuto urbano e le loro abitudini alimentari. Un banchetto dove sulle mense sono statevirtualmente servite (e ricostruite) le prelibatezze tramandateci dal noto gastronomo di epoca romana Apicio. Nessun effetto speciale nelle portate, nessun artificio di trimalcioniana memoria, semplicemente una serie dipiatti e di pietanze che lasciano stupiti perla loro attualità e per la possibilità di ricrearli. Forse!Ambientato in una Torino insolita, che èstata ricostruita e immaginata grazie alpaesaggio epigrafico e archeologico, “Indovina chi venne a cena?” presenta per la prima volta, comodamente sdraiatisui loro triclini o seduti sugli sgabelli o inpiedi, Quinto Glizio Atilio Agricola, Publio Livio Macro, Publio Metello, Antistia Delfide, Tullia Vitrasia e tanti altri concittadini, mentre consumano il loro pasto.Una ventina di ricette ricostruite e adattate ai nostri ingredienti chiudonoquesto viaggio gastronomico. Buon appetito!

edizioni sottosopra

l o s c a f f a l e

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rellata cinematografica tutti i personaggi presenti e la loro funzione.

Vedremo il defunto, Hor, all'interno di un immaginario Tribunale dell'aldilà intento ad assi-

stere alla pesatura del suo cuore, simbolicamente rappresentato da un vasetto di terracotta,

posto su uno dei piatti della grande bilancia. Il confronto tra il cuore e l'estrema leggerezza

della piuma della dea Maat sarà determinante nel giudizio finale. Osiride seduto su un trono

e 42 giudici/demoni ascolteranno la cosiddetta "proclamazione di innocenza" o "confes-

sione negativa" del defunto.

Hor però è definito nel testo "giusto di voce" o "giustificato" e grazie all'ausilio del Libro

dei Morti potrà superare indenne questa prova.

Analizzeremo poi il papiro stesso cercando di scoprirne la provenienza, chi potrebbe averlo

trovato, come arrivò a Torino e quando. Cercheremo di carpirne i segreti, studiandone le di-

mensioni, il tipo di scrittura usata, la presunta datazione e catalogazione.

Verrà fornita infine la traduzione integrale del breve testo scritto adiacente la scena figu-

rata e corrispondente al famoso Capitolo CXXV del Libro dei Morti.

Per chi voglia invece addentrarsi maggiormente nello studio del testo funerario abbiamo

pensato di inserire al fondo del volume alcuni allegati: si potrà trovare infatti la trascrizione

completa, con traslitterazione e traduzione, di ogni colonna di testo presente sul papiro,

con in più l'ausilio di un breve dizionario Geroglifico-Italiano.

In esso il lettore potrà trovare le parole, i nomi e i toponimi presenti nel testo con la possi-

bilità quindi di vederli scritti in caratteri geroglifici per dare così modo anche al neofita di

seguire non solo la traduzione di questo testo funerario ma anche di poter sfruttare il breve

vocabolario sia durante la visita al Museo di Torino che presso altre collezioni egizie.

Nelle conclusioni verranno inseriti infine spunti di riflessione relativi agli influssi che questi

testi funerari hanno avuto nei popoli e nelle religioni con cui l'Egitto venne a contatto e

l'importanza che questi documenti papiracei ebbero per gli antichi egizi. In particolare un

pensiero andrà ad Hor a cui speriamo di aver fatto cosa gradita ricordandone il nome e

prolungandone così la felice permanenza nel suo aldilà per sempre.

Luca Peis

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La mia opera è ispirata ai versetti 57 e 58 della Sura 25 àlFurqàn.Descrizione operaDal primo versetto dipinto - "Di: "Non vi chiedo ricompensa alcuna, ma solo che,chi vuole segua la Via che conduce al Signore." - emergono due mani nell'atto dellapreghiera. Le mani sono composte in calligrafia dalla frase "Allahu Akbar" (Dio èil più grande) e sono protese verso la scritta "Subhan Allah" (Gloria a Dio).Dalle mani escono una farfalla composta con la frase della Bismillah "Nel Nome diDio, il Clemente, il Misericordioso" e una seconda farfalla composta dal secondoversetto:"E poni la tua fiducia nel Vivente che non muore mai. GlorificaLo con la lode. Egliè sufficiente come conoscitore dei peccati dei suoi servi." (Versetto 58)

SHAMIRA

a r t e a r t e

AAnnnnaa SShhaammiirraa MMiinnoozzzzii

E’ un’artista italiana che si esprime nell’arte egi-zia e nella Calligrafia Islamica. E’ ideatrice di in-novative composizioni calligrafiche e in virtù deirisultati raggiunti in questa sua espressione arti-stica, è stata invitata dall’Ambasciata del Regnodell’Arabia Saudita, a partecipare a un concorsoper un bozzetto di francobollo, indetto nel 2004 dalMinistro delle Poste e Telecomunicazioni del Regnodi Arabia Saudita. Per il suo eccellente risultato,ottava su più di ottomila partecipanti, ha avuto pa-role di grande apprezzamento dal Direttore del Mi-nistero delle Poste, che l’ha invitata a continuare apartecipare alle opportunità di confronto artisticosaudite.Nel 2004 è stata invitata dall’Ambasciata Egizianain Roma a fare una mostra di arte islamica in-sieme a suo padre, Renato Minozzi, affermato ar-tista di arte sacra cristiana (è stato uno dei pittoridel Giubileo e ha donato un ritratto a Sua SantitàGiovanni Paolo II).La mostra era intitolata “Islam e Cristianesimo:padre e figlia si confrontano con forme e coloriper inviare un messaggio di pace”.Nel 2005 ha avuto l’onore di donare una suaopera di arte islamica ad Al Azhar Park, progettovoluto e realizzato da Sua Altezza il principeKarim Aga Khan, che si trova al Cairo.Nel 2006 ha partecipato alla prima Biennale In-ternazionale di Arti Islamica a Torino, ricevendo icomplimenti come artista, dal prestigiosissimoResearch Centre for Islamic History, Art and Cul-ture (IRCICA) di Istanbul.Nel maggio 2007 è stata invitata ad esporre lasua esperienza di calligrafa occidentale al conve-gno internazionale “Islam e occidente: dialogo traculture”, organizzato dall’Università degli Studi diParma e dal Teatro Regio.Il 19 giugno ha ricevuto una lettera di apprezza-mento e considerazione, sempre per la sua arteislamica, da Sua Altezza Al Thani, Emiro del Qataril quale, nel gennaio 2010, l’ha invitata in Qatarper una visita ufficiale al Paese, in riconoscenza alsuo impegno culturale.Per la sua competenza e per l’originalità delle suerappresentazioni calligrafiche, è stata invitata poia tenere dei workshop, per insegnare per inse-gnare l’arte della calligrafia islamica nel Museumof Islamic Art, a Doha.

[email protected]

Mi hanno colpito la bellezza e la profon-dità di questi versetti. Il primo per la gran-dezza del messaggio: “ma solo che, chivuole segua la Via che conduce al Si-gnore", che non impone nessuna costri-zione nella fede, ma esorta al compimentodi un atto sentito con il cuore, intimo, chedeve essere una nostra scelta e che nes-suno quindi può imporci.Nel secondo versetto c'è tutto quello cheserve all'essere umano per vivere profon-damente la sua fede: porre tutta la fiduciain Dio, glorificarLo, lodarLo e sapere chesolo Lui è sufficiente a giudicarci. Questo ci insegna che nessuno può giudi-care un altro essere umano o misurarel'intensità o la bontà della sua fede, sola-mente Dio è il conoscitore dei nostri cuoried "Egli è sufficiente", come recita il ver-setto del Corano.

Shamira Minozzi

“faith 11”

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ani e thuthu

a r t e

Inchiostro nero su carta dipapiro realizzata in Egittosecondo gli antichi metodi.Immagine tratta dal papiro

di Ani, acquistato da Wallis Budge nel 1888 per

la collezione del BritishMuseum di Londra.

Dimensioni : 19 x 25,50

Descrizione:L’immagine è ispirata ad

una delle affascinanti illustrazioni colorate che

rendono prezioso il papiro di Ani,

sovrintendente dei duegranai di Abydos e scriba

reale vissuto a Tebe durante la XIX dinastia,durante il Nuovo Regno,

in pieno periodo ramesside.

Leggeri lini pregiati e raffinati gioielli

ricoprono con le loro delicate pieghe i corpi vitali di Ani e della sua

sposa Thuthu. Quest’ultima è ritrattacon il sistro hathoriano.

Nella penombra dei templi celebrava con lamusica che scaturiva da

questo strumento a percussione i riti in onoredelle divinità. Il suo ruolodi “Divina cantatrice di

Amon” le dà dignità in uncontesto religioso, che

ancora riecheggia da quellontano passato.

Descrivere cosa si compia nel momentoin cui un’idea si trasforma in segno certorimane per me ancora un mistero.Infatti, per questo, trovo più pertinenteaffermare che “qualcosa accade”. Consapevole di essere strumento e vei-colo della manifestazione di “creature”che assumono, di fatto, poi, vita propria,mi sento investita del compito di accom-pagnarne i primi passi difendendone ladignità per lasciar in seguito che pren-dano, ognuna, la direzione che sapra’tracciarsi.L’origine di questa “vocazione” affondale sue radici unicamente dell’atavica pas-sione che da infinito tempo ho nutrito perl’Antico Egitto. Da autodidatta, ho sem-plicemente lasciato che il gesto della miamano desse forma ad un qualcosa dipiu’ compiuto.Questo, per me, rappresenta l’ umile con-tributo di semplice mediatrice di un “nonconosciuto” piu’ grande, che dà vertigine.Carla Tomasi

II PP AA PP II RR II DD II CC AA RR LL AA

[email protected]

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nelle dimensioni. Consiste di una camera funeraria in pie-tra calcarea con immagini delle dee Nut, Nefti, Selket eIside a fianco del santuario per vasi canopi. Altri testi nellatomba identificano il faraone come il “re dell’Alto e delBasso Egitto, Woseribre, il figlio di Ra, Senebkay”. Seb-bene i tombaroli abbiano fatto a pezzi la mummia, il teamdi Wegner è stato in grado di recuperare e riassemblarelo scheletro del faraone. Un esame preliminare indica chefosse alto circa 1.75 metri. Morì intorno ai 40 anni.Il nomedi Senebkay potrebbe essere apparso in una parte man-cante della Lista Reale di Torino, un papiro scritto duranteil regno di Ramesse II (1.200 a.C. circa) ritenuto contenerela lista più lunga dei re compilata dagli Egizi. “Due re colnome ‘Woser…re’ sono registrati all’inizio di un gruppo dipiù di una dozzina di re, la maggior parte dei quali sonocompletamente perduti”, spiegano al Penn Museum. Se-condo gli archeologi, i resti gravemente deteriorati delvaso canopico di Senebkay forniscono dei dati importantisulla situazione economica del regno di Abydos, che sitrovava tra i più grandi regni di Tebe (dinastie XVI-XVII) egli Hyksos (dinastia XV). “Questo vaso venne creato condel legno di cedro riutilizzato dalla vicina tomba di Sobe-khotep I, e portava ancora il nome di quel precedente recoperto dalla decorazione in oro”, spiegano gli archeologi.Un tale riutilizzo di oggetti rivela le piuttosto limitate ri-sorse e la situazione economica isolata del regno, i cui fa-raoni finirono completamente dimenticati dalla storia.“Illavoro continuato nelle tombe reali della dinastia di Aby-dos promette di gettare nuova luce sulla storia politica esulla società di una era importante ma poco compresadell’antico Egitto”, dice Wegner.Fonte: www.ilfattostorico.it20/01/2014

33)) SCOPERTE NUMEROSE TOMBE NELLA VALLEDEI RE

Alcune tombe che giacevano nascoste nella Valle deiRe in Egitto, sono state portate alla luce in quella chesecondo i ricercatori è la più grande spedizione archeo-logica dell'ultimo secolo. Con l'ausilio di tecnologieradar, diverse piccole tombe sconosciute sono statescavate nella Valle, luogo che durante il Nuovo Regno(1550 - 1070 a.C.) venne adibito a sito sepolcrale delledinastie faraoniche. Ancora più strabiliante è la sco-perta da parte degli archeologi di un sofisticato sistemadi controllo delle inondazioni creato dagli antichi egizie che misteriosamente è andato distrutto nell'antichità.Il sistema, infatti, sembra abbia cessato di funzionaregià durante il regno di Tutankhamon, causando il dan-neggiamento di numerose tombe e proteggendo, in-vece, il sepolcro del giovane faraone occultandolo aipredoni. I numerosi dati raccolti dalla squadra di ricer-

catori dovranno essere accuratamente analizzati ed in-terpretati, come è stato spiegato da Afifi Ghonim, di-rettore del progetto e archeologo del Ministero di Statoper le antichità in Egitto, in una email spedita a Live-Science: "La quantità di dati è così estesa che ci vor-ranno anni, forse decenni, per comprenderlipienamente e riferire in merito". Il progetto, comespiega lo stesso Ghonim, fa parte della più grandeesplorazione della Valle dei Re dai tempi di Howard Car-ter, il famoso egittologo al quale si deve la scopertadella tomba di Tutankhamon nel 1922. "Crediamo cheesistano diverse tombe più piccole come quelle appenascoperte e ancora da trovare. Ed non è da escludere lapossibilità di trovare nuovamente una tomba reale",continua l'archeologo egiziano. "Le regine della XVIIIdinastia mancano, ed anche alcuni faraoni del NuovoRegno, come Ramses VIII". Tuttavia, l'individuazione ditombe nascoste nella Valle dei Re è un'operazione dif-ficile, anche attraverso l'impiego di un radar per lascansione del suolo, tecnica non distruttiva che per-mette agli archeologi di individuare strutture sepoltegrazie al riflesso su di esse delle onde radio inviate adalta frequenza in profondità. Gli strumenti radar e lapotenza di calcolo dei computer hanno certamente mi-gliorato la ricerca negli ultimi decenni, ma anche così èdifficile evitare falsi positivi, soprattutto in un sito comela Valle dei Re, dove le caratteristiche naturali possonoapparire come mura e tombe. Come promesso dal di-rettore del progetto, molti altri reperti portati alla lucenel corso della spedizione verranno presentati in pros-sime pubblicazioni scientifiche, compreso lo scavo deirifugi utilizzati dai lavoratori che hanno costruito letombe dei reali e la documentazione sui graffiti incisidagli operai nel corso della storia della valle. Fonte: www.antikitera.it 12/01/2014

44)) SCOPERTA A LUXOR LA TOMBA DI UN BIRRAIO

Un team di archeologi giapponesi ha trovato nella ne-cropoli tebana di El Khokha il sepolcro ben conservatodi un antico produttore di birra, le cui vivaci decorazioniraffigurano scene di vita quotidiana e rituali religiosi.La splendida tomba è stata trovata sulla riva occiden-tale del Nilo, in una necropoli vicina alla Valle dei Re. Ibei dipinti sulle pareti della sepoltura raffigurano scenedi culto e di vita quotidiana di 3.000 anni fa. La tombaapparteneva a Khonso Im-Eb, che era a capo dei depo-siti di grano e produttore di birra per il culto della deamadre egizia, Mut. I ricercatori giapponesi, guidati daJiro Kondo della Waseda University di Tokyo, avevanoiniziato gli scavi ad El Khokha nel dicembre 2007. Lapresenza di tombe appartenenti a nobili e notabili del-

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11)) SCOPERTA IN EGITTO uNA PIRAMIDE DI 4600ANNI FA IL CUI SCOPO E' AVVOLTO NEL MISTERO

Un team di archeologi impegnato presso l'antico inse-diamento di Edfu, nel sud dell'Egitto, ha portato allaluce una piramide a gradoni che risale a circa 4600anni fa, in anticipo di un paio di decenni rispetto allacronologia ufficiale della Grande Piramide di Giza. Lapiramide non presenta camere interne e non sembraessere stata utilizzata per la sepoltura. Il suo veroscopo, quindi, è un autentico mistero Sebbene gli ar-cheologi fossero già al corrente della struttura sepoltaad Edfu, questa non era mai stata scavata prima che lasquadra guidata da Gregory Marouard, ricercatore as-sociato presso l’Oriental Institute di Chicago, comin-ciasse gli scavi nel 2010. La piramide è rimasta sepoltasotto uno spesso strato di sabbia e rifiuti moderni ve-nendo saccheggiata di numerosi suoi blocchi. In realtà,nessuno pensava che si trattasse di una piramide. Per-fino gli abitanti di un villaggio vicino pensavano fosse latomba di uno sceicco, un santo musulmano locale. Soloquando la squadra ha cominciato a rimuovere i sedi-menti, l’antica piramide è venuta alla luce. La strutturaè stata realizzata con blocchi di arenaria estratti da unacava a circa 1 km di distanza e con malta di argilla. “Lacostruzione riflette una certa cura e una vera e propriaesperienza nella padronanza della costruzione in pie-tra, in particolare per l’adeguamento dei blocchi più im-portanti”, spiega Marouard nel suo articolo. La piramidesi innalzava per quasi 13 metri, ma i numerosi saccheggie l’esposizione agli agenti atmosferici ha ridotto la suaaltezza a soli 5 metri. Lo stile è molto simile a quellodella piramide a gradoni costruita da Djoser (2670-2640a.C.), il faraone che secondo la cronologia classica edi-ficò la prima piramide d’Egitto, all’inizio della terza di-nastia. Come riporta l’articolo comparso su"livescience", la piramide era una delle sette piramidi‘provinciali’ costruite dal faraone Huni (2635-2610 a.C.)o Snefru (2610-2590 a.C.). Sparse in tutto l’Egitto, que-ste piramidi si trovano nei pressi dei più importanti in-sediamenti dell'Antico Egitto. Non hanno camereinterne e non sono destinate alla sepoltura. Per cui, ilvero scopo di queste sette piramidi rimane ancora unmistero. Gli archeologi ipotizzano che avessero una fun-

zione simbolica, forse un qualche ruolo rituale nell’af-fermazione del potere del faraone nelle provincie meri-dionali. “La somiglianza tra le piramidi provinciali èdavvero incredibile, e sicuramente ci deve essere unpiano comune”, continua Marouard. I ricercatori hannoanche trovato una serie di geroglifici incisi sulle facciateesterne della piramide. Le iscrizioni sono situate ac-canto ai resti di neonati e bambini che sono stati sepoltiai piedi della piramide. Il team pensa che le iscrizioni ele sepolture risalgano a molto tempo dopo la costru-zione della piramide, dato che la struttura non era ori-ginariamente intesa come luogo di sepoltura.Fonte: www.ilnavigatorecurioso.it 10/02/2014

22)) SCOPERTA LA TOMBA DEL FARAONESENEBKAY

Nel deserto di Abydos, una spedizione di archeologi egi-ziani e dell’Università della Pennsylvania ha portato allaluce i resti di un faraone la cui tomba era finora scono-sciuta. Woseribre Senebkay era uno dei primi re della di-menticata dinastia di Abydos (1.650-1.600 a.C.), coevadelle dinastie XV e XVI. Giaceva in una tomba di quattrocamere in mezzo ai resti della sua bara, della sua ma-schera funeraria e del vaso canopo, usato per contenernegli organi. La tomba di Senebkay risale a circa il 1.650 a.C.,durante il secondo periodo intermedio, quando l’autoritàcentrale collassò, dando origine a diversi piccoli regni. Èstato rinvenuto vicino a un più grande sarcofago reale,recentemente identificato come appartenente al faraoneSobekhotep (probabilmente Sobekhotep I, 1.780 a.C.circa) della XIII dinastia. Secondo gli archeologi, i re delladinastia di Abydos furono sepolti vicino alle tombe deipiù antichi faraoni del Medio Regno, tra cui Sesostri IIIdella XII dinastia (1.880 – 1.840 a.C.) e Sobekhotep I. Ineffetti, ci sono prove di circa 16 tombe reali appartenentialla dinastia, la cui esistenza era stata per prima ipotiz-zata dall’egittologo Kim Ryholt nel 1997. “È emozionantescoprire non solo la tomba di un faraone finora scono-sciuto, ma la necropoli di un’intera dinastia dimenticata”,dice Josef Wegner, conservatore della sezione egizia alPenn Museum, a capo delle ricerche. Gravemente sac-cheggiata dai tombaroli, la tomba di Senebkay è modesta

news

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a cura di Laura Cigana

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il restauro delle collezioni del Museo Egizio che dal2008 al 2010 ha coinvolto circa 70 esperti dell'Iscr eoltre 120 tecnici egiziani. Un progetto, ha detto ilcapo dell'Ufficio Territoriale per la Cooperazione alloSviluppo del ministero degli Esteri Damiano Franco-vigh, nato nell'ambito del partneraniato Italia-Egitto,che negli anni (e per il futuro) ha messo in campo uninvestimento di 300 milioni di euro. Il protocollo d'in-tesa bilaterale è stato siglato nel 2007, seguito quindidalla convenzione tra il ministero degli Esteri equello dei Beni culturali.Fonte: www.ansa.it12/02/2014

77)) SCOPERTO A LUXOR RARO ESMPLARE DISARCOFAGO ANTROPOMORFO LIGNEO

Un sarcofago dipinto, probabilmente appartenuto adun ufficiale governativo della XVII dinastia, è statorecentemente portato alla luce nei pressi della ne-cropoli di Dra Abu el-Naga, situata sulla sponda oc-cidentale di Luxor. La scoperta, ad opera del teamanglo-spagnolo che opera nella zona occidentale diLuxor, è avvenuta nel corso degli scavi presso latomba di Djehuty, tesoriere della regina Hatshepsut.Notevole la decorazione del manufatto, con detta-gliate raffigurazione ad ala di uccello dipinte sul co-perchio frontale, motivo per il quale gli è statoattribuito, dal Ministro per le Antichità Egiziane Mo-hamed Ibrahim, il nome di "Sarcofago delle piume".Il sarcofago (2 metri di lunghezza, 42 centimetri dialtezza), si presenta in buone condizioni, presen-tando, inoltre, incisioni recanti il titolo del defuntoche gli archeologi non sono ancora stati in grado didecifrare. Secondo Ibrahim, la mummia del defunto,sovrintendente per conto del sovrano nel corso dellaXVII dinastia, era racchiusa all'interno. Nella zonasono state inoltre portate alla luce altre due sepol-ture, entrambe vuote, probabilmente saccheggiatein epoca antica. I lavori di scavo da parte del teamspagnolo sono iniziati presso la tomba di Djehuty 13anni fa, dopo il ritrovamento in zona di numerosimanufatti risalenti alle dinastie del Nuovo Regno.Durante lo scorso anno l'equipe di archeologi ha por-tato alla luce un sarcofago appartenente ad un bam-bino (XVII dinastia) numerosi recipienti in argilla efigure di ushabti rivestite con bende di lino. La mis-sione di scavo presso il sito, sostiene Gose Galan, acapo del team spagnolo, rimane tuttora in piena at-tività.Fonte: www.english.ahram.org13/02/2014

88)) IL DROMEDARIO CHE SMENTISCE LA BIBBIA

Una nuova ricerca pubblicata da due archeologi del-l'Università di Tel Aviv dimostra che nel Mediterraneoorientale i camelidi non furono domesticati prima del Xsecolo a.C. - ovvero, vari secoli dopo rispetto a quantoafferma la Bibbia. Esistono teorie contrastanti riguardola datazione della Bibbia, ma questo studio indica chefu scritta molto più tardi rispetto agli eventi che de-scrive. La ricerca quindi confermerebbe studi prece-denti che hanno messo in discussione l'affidabilità deitesti sacri come documenti storici. La contraddizioneè emersa incidentalmente durante la ricerca - pubbli-cata su Tel Aviv: Journal of the Institute of Archaeologyof Tel Aviv University - che invece riguarda l'introdu-zione dei dromedari nei siti israeliani di lavorazione delrame della valle di Aravah.L'Antico Testamento parla di "cammelli" in una cin-quantina di occasioni, riferendosi più esattamente aldromedario, il camelide a una sola gobba che ancoraoggi è strettamente collegato all'iconografia del MedioOriente. Le storie dei patriarchi Abramo, Giuseppe eGiacobbe comprendono descrizioni dei dromedari do-mesticati. Genesi 24:10 e 11, ad esempio, recita: "Il servoprese dieci cammelli del suo padrone e, portando ognisorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viag-gio e andò nel Paese dei due fiumi, alla città di Nacor. Feceinginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzod'acqua, nell'ora della sera, quando le donne escono adattingere". Basandosi su passaggi biblici, informazioni ar-cheologiche emerse dagli scavi condotti nella città sumeradi Ur (nell'odierno Iraq) e dalle tavolette di argilla rinvenutea Mari (nell'attuale Siria), gli storici collocano questi eventitra il 2000 e il 1500 a.C. Ma gli archeologi istraeliani ErezBen-Yosef e Lidar Sapir-Hen, basandosi sulle datazioni alradiocarbonio delle testimonianze archeologiche, collo-cano la comparsa dei camelidi domesticati nel Levante inun periodo decisamente più tardo. "Analizzando le evi-denze archeologiche dai siti di produzione del rame dellavalle di Aravah siamo stati in grado di stimare la data diquesto evento in termini di decenni anziché di secoli", af-ferma Ben-Yosef. La ricerca è riuscita a "restringere l'arcodi tempo dell'arrivo del dromedario domestico a 30 anni",dice il paleoarcheologo Sapir-Hen, "ed è compreso tra il930 e il 900 a.C."La valle di Aravah si trova al confine tra Israele e Giordania,e va dal Mar Morto al Golfo di Aqaba nel Mar Rosso. Que-st'area è stata al centro di un'importante produzione dirame iniziata attorno al XIV secolo a.C. e finita nel IX se-colo a.C.Gli archeologi hanno rinvenuto una notevole quantità diresti di dromedario solo negli strati che vanno dagli ultimitrent'anni del X secolo fino a tutto il IX secolo d.C.

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l’antica Tebe nella zona era già nota, ma le più recentiricerche sono state favorite dalla demolizione di alcunecase moderne nel villaggio di Qurna.Il team di Tokyo hascoperto l’entrata della tomba a forma di T di KhonsoIm-Heb mentre liberava l’accesso alla sepoltura deno-minata TT47, che appartiene ad un dignitario della di-ciottesima dinastia.Le pareti della tomba del birraioreale sono decorate con scene vivaci, e piuttosto rare,di vita quotidiana, di interazione tra il birraio e la suafamiglia, e con rappresentazioni di pratiche rituali.Il Mi-nistro egiziano delle Antichità, Mohamed Ibrahim, hadisposto misure di sicurezza per il sito fino alla finedella campagna di scavo e una sistemazione dell’areaper l’eventuale apertura alle visite turistiche.Fonte: www.ilfattostorico.it9/01/2014

55)) RESTI DI SACRIFICI UMANI DI 3000 ANNI FARITROVATI A CRETA

Una nuova scoperta fatta durante scavi archeologicisull'isola greca di Creta confermerebbe l'ipotesi, giàavanzata da tempo, che oltre 3.000 anni fa sul posto sisacrificassero alle divinità locali non solo animali maanche esseri umani.Il sito in cui sono stati trovati reperti che puntano inquesto senso si trova sulla collina di Castelli, nel trattodi costa limitrofa alla località di Splanzia, nell'area dellacittà di Chanià (il nome greco di Canea), la secondacittà di Creta che sorge nella parte nord-occidentaledell'isola, costruita nel 1252 per volere del 44.mo Dogedi Venezia Marino Morosini sulle fondamenta dell'an-tica città di Cidonia. Gli scavi hanno riportato alla lucenumerose tombe e vasi di ceramica di varie epoche ri-salenti al periodo miceneo, edifici simili ai palazzi mi-noici, parti di affreschi murali del tardo periodominoico, frammenti di un vaso con incisa un'epigrafecon scrittura 'lineare 2', statuette di epoca romana,pezzi di mosaici di epoca ellenistica e cristiana e ossa dianimali, insieme a ossa umane tra cui un cranio sfon-dato di una giovane donna che risalirebbe a circa il 1280a.C.: elemento che testimonierebbe come tremila annifa qui si praticassero riti religiosi che comprendevanosacrifici non solo di animali ma anche di esseri umani.Le ossa sono state rinvenute nell'angolo di un cortileesterno che, secondo i primi indizi, si trovava accanto alpalazzo reale della città di Cidonia, strutturato come gliedifici del periodo miceneo tra il 1375 e il 1200 a.C."Sotto le pietre sistemate ordinatamente abbiamo sco-perto quello che ci aspettavamo di trovare: il cranio diuna giovane donna, ma non intero, tra i crani di animali.Era sfondato come del resto tutti gli altri, spaccato esat-tamente nei punti di sutura con un colpo forte inferto

sulla fronte", ha spiegato l'archeologa Maria Andrea-dakis-Vlazakis, direttrice delle Antichità e del Patrimo-nio Culturale del Ministero della Cultura ellenico, chedirige gli scavi. Si tratta, ha detto la studiosa nel corsodi una conferenza sul tema "Chanià nell'età minoica"tenutasi nella sede dell'Associazione archeologi di Gre-cia, di reperti che dimostrano che durante il periodoneolitico nella zona era già sviluppato un importanteinsediamento che gradualmente sarebbe divenuto lacittà di Cidonia. "Crediamo - ha detto ancora Andreada-kis riferendosi al ritrovamento del cranio umano - chela donna sia stata uccisa nel corso di un sacrificioumano e non di animali. Non abbiamo ancora tratto leconclusioni finali perché - ha aggiunto - occorre unostudio delle ossa molto più approfondito. Entro il mesedi ottobre però saremo pronti a presentare i risultatidegli studi al Congresso internazionale di archeologiadi Milano proprio sul tema dei sacrifici umani nell'anti-chità. I reperti degli scavi di Chanià saranno il temaprincipale del congresso".Gli scavi sistematici sul sito, in cui è impegnata la 25.maSovrintendenza delle Antichità classiche in collabora-zione con l'Istituto Archeologico svedese e quello da-nese, proseguono dal 2005 e i reperti più importantisono venuti alla luce nel 2012. "La presenza del cranioumano non ci deve meravigliare - ha spiegato Andrea-dakis - in quanto la mitologia greca è piena di narrazionidi sacrifici di vergini, nel tentativo della loro società diingraziarsi gli dei o di affrontare grandi disastri".Fonte: www.ansa.it 10/02/2014

66)) RITALIA-EGITTO: IN UN LIBRO DUE ANNI DEL-L'ISTITUTO DI RESTAURO AL CAIRO

Le indagini preliminari condotte su preziosissimi re-perti come la 'Testa di Tutankhamon che emerge dalfiore di Loto' o il 'Ritratto di due Fratelli', il restaurodella Porta lignea di Sakkara, lo studio della tecnicadi esecuzione della famosa 'Stele della FamigliaReale' amariana. Sono solo alcuni degli interventipromossi per il programma di formazione di specia-listi della conservazione condotto dall'Istituto Supe-riore per la Conservazione e il Restauro (Iscr) pressocinque musei del Cairo, primo tra tutti il Museo Egi-zio. Due anni di intensa collaborazione ora raccontatinel volume 'La conservazione dell'arte egiziana' acura di Donatella Cavezzali direttore della Scuola diAlta Formazione e Studio dell'Istituto.Presentato all'Accademia d'Egitto a Roma alla pre-senza dell'Ambasciatore della Repubblica Arabad'Egitto Amr Helmy, il libro (pubblicato da CangemiEditore), rende conto del percorso di formazione per

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500 dopo Cristo. Nella vicina città di Nicea (oggi Iznik) nel325 si tenne il primo consiglio ecumenico del mondo cri-stiano, sotto la presidenza dell'imperatore Costantino I.Fonte: www.ansamed.it28/01/2014

1111)) SCOPERTA IN CINA LA PRIMA TABELLINA SU BASEDECIMALE

Grazie a una collezione di strisce di bambù di 23secoli fa, gli storici hanno ricomposto quello cheritengono essere il più antico esempio al mondo diuna tabellina su base 10. Cinque anni fa, l’Univer-sità Tsinghua di Pechino aveva ricevuto una dona-zione di quasi 2.500 strisce di bambù. Infangate epuzzolenti, le strisce probabilmente provenivanodallo scavo illegale di una tomba, e il donatore leaveva comprate in un mercato di Hong Kong. Gliscienziati cinesi le avevano poi datate al radiocar-bonio intorno al 305 a.C., durante il periodo deiRegni combattenti, prima dell’unificazione dellaCina. Ogni striscia misura tra i 7 e i 12 mm di lar-ghezza e fino a mezzo metro di lunghezza, e visono dipinte sopra delle scritte con inchiostronero. Gli storici avevano poi realizzato che i pezzidi bambù costituivano 65 testi antichi e li avevanoriconosciuti essere tra i più importanti manufattidi quel periodo. “Le strisce erano tutte mischiateperché i fili che tenevano unito il manoscritto sierano consumati da tempo”, dice lo storico Li Jun-ming. Alcuni pezzi erano rotti, altri mancanti e, ag-giunge, decifrare i testi è stato come mettereinsieme un puzzle”. Tuttavia, “spiccano in partico-lare 21 strisce di bambù dato che contengono solonumeri, scritti in cinese antico”, spiega Feng Li-sheng, storico della matematica. Quelle striscesono risultate essere una tabellina. Quando le stri-sce sono poste in modo appropriato, dice Feng,emerge la struttura di una matrice. La fila supe-riore e la colonna più a destra contengono, dispo-ste rispettivamente da destra verso sinistra edall’alto verso il basso, gli stessi 19 numeri: 0.5; inumeri interi da 1 a 9; e i multipli di 10 da 10 a 90.Come in una moderna tabellina, le voci nelle inter-sezioni di ogni linea e colonna nella matrice forni-scono i risultati della moltiplicazione dei numericorrispondenti. La tabella può anche aiutare gliutenti a moltiplicare qualunque numero intero osemintero tra 0.5 e 99.5. I numeri che non sonorappresentati, dice Feng, devono prima essere con-

vertiti in una serie di addizioni. Per esempio, 22.5x 35.5 può essere spezzettato in (20 + 2 + 0.5) x(30 + 5 + 0.5). Questo porta a 9 diverse moltiplica-zioni (20 × 30; 20 × 5; 20 × 0.5; 2 × 30 e così via),ognuna delle quali può essere fatta con la tabella.Il risultato finale si può ottenere sommando le ri-sposte. “È effettivamente un antico calcolatore”, spiegaLi. I ricercatori sospettano che le autorità usasse-rano la tabellina per calcolare le superifici di terree campi agricoli e l’ammontare delle tasse dovute.“Possiamo persino utilizzare la matrice per fare di-visioni e radici quadrate”, dice Feng. “Ma non pos-siamo essere sicuri che all’epoca effettuassero tali,complicati, compiti”. “Una matrice per le moltipli-cazioni così elaborata è assolutamente unica nellastoria cinese”, dice Feng. Le tabelline cinesi più an-tiche conosciute finora erano quelle della DinastiaQin, risalenti tra il 221 e il 206 a.C., ed erano unaserie di piccole frasi come “sei per otto generanoquarantotto” e capaci di moltiplicazioni molto piùsemplici. Gli antichi Babilonesi possedevano tabel-line circa 4.000 anni fa, ma le loro erano su base60, piuttosto che su base decimale (10). Le primetabellina europee conosciute risalgono al Rinasci-mento. “La scoperta è di straordinario interesse”,dice Joseph Dauben, storico della matematica allaCity University di New York. “È il primo manufattoal mondo con una tabellina decimale”. “Certa-mente mostra che nel periodo dei Regni combat-tenti era stata sviluppata una aritmetica sofisticataper scopi sia teorici sia commerciali. Questo suc-cesse proprio prima che Qin Shi Huang, il primoimperatore della Cina, unisse il paese; egli succes-sivamente ordinò di bruciare i libri e proibì le libre-rie private nel tentativo di riformare la tradizioneintellettuale del paese.Fonte: http://ilfattostorico.com7/01/2014

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I resti appaiono in maniera abbastanza improvvisa, e coin-cidono con i profondi cambiamenti nell'industriametallurgica avvenuti contemporaneamente all'in-vasione della regione da parte del sovrano egizioSheshonq I (chiamato Shishak nella Bibbia), avve-nuta nel 925 a.C. L'interrogativo degli archeologi è:i due eventi sono collegati? Dopo la conquista egi-ziana dei regni di Giuda e Israele, è possibile che laproduzione di rame sia stata riorganizzata anchecon l'impiego di dromedari, un sistema di trasportopiù efficiente degli asini e muli usati precedente-mente. Ciò avrebbe avuto delle importanti ripercus-sioni economiche e sociali sul Levante,consentendo a questa regione di affacciarsi su altrezone al di là del deserto, con cui in precedenza nonera mai stata in contatto.In base alle evidenze archeologiche, i dromedari fu-rono probabilmente domesticati nella Penisola Ara-bica all'inizio del primo millennio avanti Cristo. LaPenisola Arabica confina con la valle di Aravah, cheavrebbe costituito una zona di passaggio quasi ob-bligata per gli animali verso il Levante, tanto cheBen-Yosef e Sapir-Hen ritengono che i dromedaridomesticati sepolti nella valle siano stati fra i primia lasciare l'Arabia. Nella valle di Aravah sono staterinvenute tracce di dromedari anche più antichi,forse perfino antecedenti al Neolitico (circa 9.700a.C.) ma si tratta di animali selvatici: i loro resti nonmostrano tracce di domesticazione, come ad esem-pio l'usura delle ossa causata dal trasporto di cari-chi pesanti.Fonte: www.nationalgeographic.it13/02/2014

99)) SCOPERTA NECROPOLI ROMANA SOTTO LAGALLERIA DEGLI UFFIZI

Straordinaria scoperta nel sottosuolo di Firenze,sotto alla Galleria degli Uffizi. Nell’ambito dei lavorinel complesso monumentale degli Uffizi, si leggesul sito del MIBACT, sono emerse numerose testi-monianze relative a varie fasi della storia di questaporzione della città, dall’età tardo romana fino al-l’impianto architettonico vasariano della secondametà del XVI secolo. Da quanto emerge dalle inda-gini fino ad oggi condotte – si spiega – sono staterinvenute soltanto tracce di frequentazioni spora-diche pertinenti ad attività di scarico, come testi-moniato dal rinvenimento di accumuli di materialiedilizi e lapidei relativi alla fase di ampliamento ur-bano della fine del I – inizi II secolo d.C. Questa fre-quentazione, verosimilmente legata alle fasi di“secca” dell’Arno e caratterizzata da scarichi di ma-

teriali di risulta, si interrompe nel momento in cuil’area viene utilizzata come necropoli (inizi V – metàVI secolo). La collocazione del cimitero sopra un ri-lievo nei pressi del fiume, in una zona comunqueoggetto di inondazione nelle fasi di maggiore por-tata, e la posizione, talvolta scomposta, degli inu-mati deposti affiancati testa-piedi, sono chiari indizidi inumazioni realizzate in fretta probabilmente inconcomitanza con l’insorgenza di un’epidemia. Altrielementi che concorrono a rendere realistica l’ipo-tesi dell’epidemia sono la vicinanza delle fosse traloro e l’orientamento non omogeneo degli inumati,indizi di un’attività cimiteriale concentrata in unarco temporale molto limitato e tesa al massimosfruttamento dello spazio disponibile per le sepol-ture. Appare verosimile che l’evento drammaticoche ha determinato la realizzazione di questo cimi-tero d’emergenza sia da collocare nella stagionecalda, quando il fiume in secca si ritirava nella partesud dell’alveo rendendo praticabile il suolo formatodai suoi sedimenti, depositati durante le fasi dipiena invernale in sponda destra. Ma non basta,perché altre importanti novità sono venute alla lucee potrebbero imprimere una svolta nella compren-sione di un intero periodo storico della città di Fi-renze; dagli scavi archeologici nell’area di Levantedegli Uffizi è emersa la fotografia istantanea di unacatastrofe di proporzioni immani che ha colpito Fi-renze in età altomedievale. Una catastrofe – spiegail MIBACT – che ha sicuramente contribuito al notolungo periodo di decadenza della città e alla suaquasi scomparsa dalla storia, ma forse anche dasola sarebbe sufficiente a spiegarlo. Quella che oggiè visibile è solo una piccola porzione di un’area ci-miteriale vasta, costituita da numerose tombe afossa multiple, stipate una accanto all’altra. Inognuna di esse i defunti furono deposti pressochésimultaneamente, o in un brevissimo arco tempo-rale.Fonte: www.italiaglobale.it14/02/2014

1100)) RITROVATA IN TURCHIA BASILICA DI 1500 ANNIIN FONDO A UN LAGO

Un team di archeologi turchi ha annunciato di avere sco-perto i resti di una basilica vecchia di 1500 anni in fondoal lago di Iznik, nella provincia nord-occidentale di Bursa.Secondo alcuni esperti bizantini potrebbe trattarsi dellachiesa di San Pietro, citata in diversi testi cristiani del-l'epoca. Secondo Mustafa Sahin, il docente di archeologiadell'università di Bursa che dirige gli scavi, citato da wor-ldbulletin, la basilica sarebbe stata costruita attorno al

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Franco BRUSSINO Torinese, da oltre trent’anni si interessa attivamentedi Antico Egitto, approfondendo questa sua passioneconnumerosi viaggi di studio. È diplomato in lingua egi-ziana antica presso la Khéops égyptologie di Parigi edha collaboratoalla stesura di diverse pubblicazioni egittologiche conla traduzione originale di testi egizi. Ha redattolo studio Alle origini della letteratura egizia in ‘Ame-nemhat I e Senusert I’ (Ananke, 2007) ed ha pubbli-cato il libroAmenofi II – L’epopea di un faraone guerriero (Ananke,2009). È alle stampe, in attesa di pubblicazione, unsecondo libro dal titolo Ramesse I - Agli inizi della XIXdinastia, sempre per i tipi di Ananke.I suoi interessi culturali non si limitano all'egittologia edha coltivato parallelamente lo studio delle civiltà pre-colombiane(Maya, Aztechi, Incas), compiendo - come per l'Egitto- viaggi in Mesoamerica (Messico, Guatemala,Honduras) e Perù per approfondire la conoscenza diquesti antichi popoli.Oltre ad essere apprezzato conferenziere, tiene datempo lezioni di lingua egiziana antica e conduce corsidi egittologia e di civiltà precolombiane presso l’Uni-versità della Terza Età.

Federico BOTTIGLIENGOegittologo torinese, si è laureato a Torino in LettereClassiche, conseguendo il dottoratodi ricerca in Egittologia all’Università «La Sapienza» di Roma.Da oltre dieci anni collabora con il Museo Egizio edè autore di articoli specialistici e relatore di numeroseconferenze nel settore. È consulente dell’aziendae casa d’astetorinese Bolaffi.

Laura CIGANA Ha conseguito la Laurea Magistrale in Storia delle Artie Conservazione dei Beni Culturali,indirizzo “Arte Bizantina e dell’Oriente Cristiano”,presso l’Università “Cà Foscari” di Venezia (110 e lode).Nella tesi di laurea ha affrontato il tema dello sviluppodi un’iconografia copta nell’Egitto cristiano e delle in-fluenze e contaminazioni che ne hanno plasmato lecaratteristiche stilistiche e culturali.Durante la sua formazione ha svolto diverse attivitàdi stage nell'ambito turistico/museale in qualità di

guida alle principali Mostre veneziane, tra cui l'esposi-zione "I Faraoni" svoltasi a Palazzo Grassi dal 9 set-tembre 2002 al 25 Maggio 2003.In seguito ha approfondito l’ interesse per l'AnticoEgitto attraverso lo studio di ulteriori testi universitarirelativi alla Storia egizia ed alla Filologia della linguageroglifica (lettura e traduzione di testi in Medio Egi-ziano).Dal 2009 collabora inoltre con la Rivista d'Arte "Exi-bart" in qualità di redattrice e corrispondente pressole più importanti Mostre d'Arte pubbliche e private delterritorio.

Alberto ELLITAlberto Elli si è dedicato allo studio dell'egittologia(egiziano classico e neo-egizio, demotico e copto) esuccessivamente anche delle lingue semitiche: dal-l'ebraico all'arabo, dal sumerico all'accadico. dal siriacoal Ge'ez. Ha pubblicato una Introduzione ai geroglifici (1995).Lo studio del copto lo ha poi portato a interessarsianche della storia delle Chiese orientali. Frutto di que-sta passione sono i tre volumi della Storia della ChiesaCopta (Fransciscan Printing Press, Gerusalemme - IlCairo, 2003). Per i tipi di Ananke ha pubblicato La Steledi Rosetta e il Decreto di Menfi; Ramesse II e gli Hittiti.

Federico BOTTIGLIENGOegittologo torinese, si è laureato a Torino in LettereClassiche, conseguendo il dottoratodi ricerca in Egittologia all’Università «La Sapienza» di Roma.Da oltre dieci anni collabora con il Museo Egizio edè autore di articoli specialistici e relatore di numeroseconferenze nel settore. È consulente dell’aziendae casa d’aste torinese Bolaffi.

Massimiliano FRANCIDottore di Ricerca in Scienze Filologiche e Storiche delVicino Oriente Antico, dottore magistrale in LettereOrientali, professore di Egyptian Art and Archaeologyper CAMNES-LdM, insegna inoltre Egittologia, Storia eCultura Islamica, Culture e civiltà del Vicino OrienteAntico.

Fabiana FUSCHINOArcheologa laureata con 110 e lode sia alla triennale,che alla specialistica. Partecipa attivamente allecampagne di scavo stratigrafico effettuate presso ilsito archeologico di Pompei. E' stata Borsista ai lavori

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Maurizio AGRÒMaurizio Agrò, nato a Siracusa, è laureato al DAMS diTorino e diplomato in chitarraal Conservatorio di Avellino sotto la guida del M° Al-fredo D’Urso. Ha studiatodirezione d’orchestra a Livorno con Lorenzo Parigi ea Milano con Fabrizio D’Orsi.Ha seguito diversi corsi di perfezionamento presso ilConservatorio di Venezia ed icorsi di perfezionamento chitarristico tenuti dal M°Angelo Ferraro a Siracusa e all’AccademiaSuperiore di Musica di Pescara. È stato docente pressoil Conservatoriodi Teramo e per il Laboratorio Musicale al C.R.U.T. (Cen-tro RegionaleUniversitario per il Teatro) di Torino, attualmente è do-cente presso l’Università deL’Aquila ed insegna Matematica al LEMS (Laboratoriodi Elettroacustica MusicaleSperimentale) del Conservatorio di Pesaro.

Gemma BECHINI Gemma Bechini nasce a Pistoia il 30/07/1986. Dopo aver perseguito la maturità classica presso ilLiceo Carlo Lorenzini di Pescia, ha conseguito la Lau-rea Triennale in Storia e Tutela dei Beni Archeologiciin data 5/11/2009, presso l’Università degli Studi di Fi-renze, presentando una tesi in Etruscologia ("Tombadella Caccia e della Pesca di Tarquinia", 105/110). Hasuccessivamente conseguito la Laurea Magistrale inArcheologia nello stesso ateneo, in data 15/10/2012,curriculum classico, , presentando una tesi in Etrusco-logia ("Tipologia delle coppe da Poggio Civitella, Mon-talcino - Siena", 109/110). Durante la carriera universitaria ha effettuato tirociniopartecipando a quattro campagne archeologiche: Ga-vorrano – Castel di Pietra (luglio 2008), Populonia (set-tembre 2010), Monte Giovi (ottobre 2010), Tarquinia –Tumulo della Regina (agosto 2012).Ha partecipato a titolo di guida museale per conto delF.A.I., in occasione delle Giornate di Primavera (23 e24 marzo 2013). È iscritta al G.A.R.S. da ottobre 2012ed ha partecipato come relatrice ai convegni: “Donnain Cammino, un viaggio nella storia attraverso le cul-ture” in data 11/05/2013, presentando un lavoro sullafigura della donna in Etruria e “Pescia ed il suo terri-torio: novità archeologiche, artistiche e naturalistiche”,concentrandosi sullo studio di evidenze etrusche dalcolle di Speri, in data 22/06/2013.

Attualmente iscritta al secondo anno in corso pressola Scuola di Specializzazione in Beni Archeologicidell’Università degli Studi di Firenze, ha preso parte alCorso di Perfezionamento in Conservazione dei BeniCulturali, presso lo stesso ateneo (dipartimento di Ar-chitettura), nel periodo marzo – maggio 2013, e alCorso Laser Scanner 3D - Metodologia di lavoro: dal-l'acquisizione sul campo, all'elaborazione dati", tenu-tosi in data 23/09/2013 presso la sede Microgeo S.r.l.,Campi Bisenzio.Continua a collaborare con il gruppo G.A.R.S. di Pesciaper la riapertura del Museo Civico di Scienze Naturali

Paolo BONDIELLI Storico, studioso della Civiltà Egizia e del VicinoOriente Antico da molti anni. Durante le sue ricercheha realizzato una notevole biblioteca personale, cheha messo a disposizione di appassionati, studiosi e stu-denti. E’ autore e coautore di saggi storici e per i tipi diAnanke ha pubblicato “Tutankhamon. Immagini eTesti dall’Ultima Dimora”; “La Stele di Rosetta e il De-creto di Menfi”; “Ramesse II e gli Hittiti. La Battaglia diQadesh, il Trattato di pace e i matrimoni interdinastici”. E’ socio fondatore e membro del Consiglio di Ammini-strazione dell’Associazione Egittologia.net. Ha ideatoe dirige in qualità di Direttore Editoriale, il magazineonline “EM-Egittologia.net Magazine”, che raccogliearticoli sull’antico Egitto e sull’archeologia del Medi-terraneo. Ha ideato e dirige un progetto che prevedela pubblicazione integrale di alcuni templi dell’anticoEgitto. Attualmente, dopo aver effettuato rilevazioniin loco, sta lavorando a una pubblicazione relativaTempio di Dendera. E’ membro effettivo del “Min Project”, lo scavo dellaMissione Archeologica Canario-Toscana presso la Valledei Nobili a Sheik abd el-Gurna, West Bank, Luxor. Compie regolarmente viaggi in Egitto, sia per svolgerericerche personali, sia per accompagnare gruppi dipersone interessate a tour archeologici, che preve-dono la visita di siti di grande interesse storico, ma ge-neralmente trascurati dai grandi tour operator. Svolgeregolarmente attività di divulgazione presso circoliculturali e scuole di ogni ordine e grado, proponendoconferenze arricchite da un corposo materiale foto-grafico, frutto di un’intensa attività di fotografo che siè svolta in Egitto e presso i maggiori musei d’Europa.E’ nello staff di Archeoricette.com in qualità di respon-sabile organizzativo attività di ricerca e settore mate-riale iconografico.

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Mummificazione di Luxor nel 2012

Giulia NICATOREHa conseguito la Laurea Triennale in Scienze Storiche(Curriculum Antico, tesi in Egittologia) presso l’Univer-sità degli Studi di Milano.Successivamente, sempre presso l’ateneo milanese,ha conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Classi-che (curriculum Archeologico, tesi in Egittologia)Presso l’Università degli Studi di Siena, sede di Gros-seto, ha conseguito il Master di II livello in ArcheologiaPreventiva, con tesi di Informatica applicata all’archeo-logia.(Elaborato Finale in Informatica applicata all’archeolo-gia, con valutazione 30/30)Pubblicazioni:Ricerche sulle tombe tebane TT161 e TT178, in G.Cavil-lier (a cura di) “L’Egitto di Champollion e Rosellini: fraMuseologia, Collezionismo e Archeologia, Atti della IGiornata di Studi Egittologici, Genova, 24 settembre2010”, Ananke.

Ricerche sulla Cappella Rossa di Hatshepsut, in G.Ca-villier (a cura di) “Ricerche nella Valle del Nilo e nel Me-diterraneo, Atti del II Convegno di Egittologia, Genova28-29 settembre 2012”, Ananke

Emilio PASSERANato nel 1992 e diplomato presso lo United World Col-lege of the Adriatic, si sta laureando in un joint ho-nours degree in Storia Antica ed Egittologia presso laUniversity College, London.

Simone PETACCHIStudioso indipendente, dal 2008 responsabiledellostudio e della catalogazione della Collezione Egiziadell’Accademia dei Concordi di Rovigo, ha al proprioattivo numerosi articoli di egittologia pubblicati su pre-stigiose riviste del settore.Ha inoltre partecipato come relatore a diversi conve-gni nazionali ed internazionali di Egittologia, tra i quali:Current Research in Egyptology 2009 presso l'Uni-versità di Liverpool nel 2009“Egitto terra di Papiri” XIII Convegno Nazionaledi Egittologia e Papirologia svoltosi a Siracusa nel 2010“Frammenti d'Egitto” Convegno Nazionale di Egittolo-gia tenutosi presso l'Università degli Studi di Padovanel 2011“Thebes in the first millenium BC” Convegno Interna-zionale di Egittologia svoltosi presso il Museo della

Mummificazione di Luxor nel 2012

Francesca PONTANIlaureata con lode in Egittologia presso l’Università diRoma La Sapienza, ha partecipato a numerose cam-pagne di scavo archeologico in Italia e in Asia Minore.Collabora con Associazioni ed Istituti finalizzati allapromozione del patrimonio storico ed archeologiconazionale.Svolge la professione di redattrice e corretrice di bozzepresso un portale di promozione turistica e culturaledel territorio italiano.

Alessandro ROLLENato a Torino nel 1969, da una quindicina di anni si in-teressa attivamente di Antico Egitto, compiendo nu-merosi viaggi di studio nella terra dei faraoni.Appassionato della scrittura geroglifica, ha pubblicatocon Luca Peis il libro: “Peremheru. Il Libro dei Mortinell’Antico Egitto”. Edizioni LiberFaber.E’ stato membro del consiglio direttivo ACME (AmiciCollaboratori Museo Egizio di Torino) col quale ha or-ganizzato conferenze e visite al museo. I suoi interessiculturali spaziano anche nell’ornitologia, essendo unbirdwatcher.

Asia Francesca ROSSIHa conseguito la laurea in Lingue e Civiltà Orientaliall’Università “La Sapienza” di Roma studiando comeprima lingua l’arabo, come seconda lingua l’ebraico ecome lingua europea l’inglese.Sta frequentato, sempre presso lo stesso ateneo, ilcorso di Laurea Magistrale in Lingue e Civiltà Orientali.Durante la sua formazione ha trascorso un pe-riodo ad Alessandria d’Egitto per l’approfondi-mento della lingua araba classica e dialettale edella cultura islamica.E’ membra dell’Associazione “Egittologia.net”.Ha creato e gestito il primo sito italiano dedicatoall’autrice francese Anne Golon http://digilan-der.iol.it/songlianCollabora con1. il sito italiano dedicato all’autore Emilio Salgari:www.emiliosalgari.it2. il sito dedicato alle donne www.dols.net3. il sito di letteratura http://lafrusta.homestead.com/4. i portali di cinema http://www.bestmovie.it/ (sezioneNews); http://www.horrormagazine.it/5. il sito dedicato all’antico Egitto www.egittologia.net6. il sito dedicato al cinema e ai libri Urban Fantasy:

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del 50° Convegno Internazionale di Studi sulla MagnaGrecia. Ha partecipato ad un soggiorno studio in Gre-cia e a numerosi seminari, tirocini, corsi di formazionee stages.

Margherita GUCCIONELaureata in Studio e Gestione dei Beni Culturali, la suapassione per tutto ciò che rientra nell'ambito archeo-logico e storico-artistico inizia fin da bambina e la con-duce, quasi per caso, ad avvicinarsi al Teses. Saràproprio l'incontro col presidente Bavagnoli a scatenarela sua curiosità verso l'Archeologia del Sottosuolo eda muoverla verso lo studio sistematico delle Cavità Ar-tificiali.E' tra gli elementi più versatili del gruppo, riuscendo adestreggiarsi bene sia nella ricerca storica e bibliogra-fica (avendo maturato esperienza diretta nelle attivitàbiblioteconomiche), tra polverosi archivi ed antichi do-cumenti, sia nell'attività sul campo. Proprio quest'at-titudine alla ricerca farà sì che diventi la responsabiledelle ricerche storiche e culturali dell'associazione.Attraverso l'esperienza maturata insieme al Teses,esplorando ambienti sotterranei e dimenticati, e lapreparazione personale, utilizza l'attività dell'associa-zione con lo scopo ultimo di promuovere e tutelare ilpatrimonio artistico ed archeologico italiano, favoren-done la valorizzazione.Ha collaborato con la rivista "Runa Bianca".

Shamira MINOZZIE’ un’artista italiana che si esprime nell’arte egizia enella Calligrafia Islamica. E’ ideatrice di innovativecomposizioni calligrafiche e in virtù dei risultati rag-giunti in questa sua espressione artistica,è stata invitata dall’Ambasciata del Regno dell’ArabiaSaudita, a partecipare a un concorsoper un bozzetto di francobollo, indetto nel 2004 dalMinistro delle Poste e Telecomunicazioni delRegno di Arabia Saudita. Per il suo eccellente risultato,ottava su più di ottomila partecipanti, haavuto parole di grande apprezzamento dal Direttoredel Ministero delle Poste, che l’ha invitata a continuarea partecipare alle opportunità di confronto artisticosaudite.Nel 2004 è stata invitata dall’Ambasciata Egiziana inRoma a fare una mostra di arte islamica insiemea suo padre, Renato Minozzi, affermato artista di artesacra cristiana (è stato uno dei pittoridel Giubileo e ha donato un ritratto a Sua Santità Gio-

vanni Paolo II).La mostra era intitolata “Islam e Cristianesimo: padree figlia si confrontano con forme e coloriper inviare un messaggio di pace”.Nel 2005 ha avuto l’onore di donare una sua opera diarte islamica ad Al Azhar Park, progetto volutoe realizzato da Sua Altezza il principe Karim Aga Khan,che si trova al Cairo.Nel 2006 ha partecipato alla prima Biennale Interna-zionale di Arti Islamica a Torino, ricevendo icomplimenti come artista, dal prestigiosissimo Rese-arch Centre for Islamic History, Art and Culture(IRCICA) di Istanbul.Nel maggio 2007 è stata invitata ad esporre la suaesperienza di calligrafa occidentale al convegnointernazionale “Islam e occidente: dialogo tra culture”,organizzato dall’Università degli Studidi Parma e dal Teatro Regio.Il 19 giugno ha ricevuto una lettera di apprezzamentoe considerazione, sempre per la sua arteislamica, da Sua Altezza Al Thani, Emiro del Qatar ilquale, nel gennaio 2010, l’ha invitata in Qatarper una visita ufficiale al Paese, in riconoscenza al suoimpegno culturale.Per la sua competenza e per l’originalità delle sue rap-presentazioni calligrafiche, è stata invitatapoi a tenere dei workshop, per insegnare per inse-gnare l’arte della calligrafia islamica nel Museumof Islamic Art, a [email protected]

Simone MUSSOStudioso indipendente, dal 2008 responsabiledello studio e della catalogazione della Collezione Egi-zia dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, ha al proprioattivo numerosi articoli di egittologia pubblicati suprestigiose riviste del settore.Ha inoltre partecipato come relatore a diversi conve-gni nazionali ed internazionali di Egittologia, tra i quali:Current Research in Egyptology 2009 pressol'Università di Liverpool nel 2009“Egitto terra di Papiri” XIII Convegno Nazionaledi Egittologia e Papirologia svoltosi a Siracusanel 2010“Frammenti d'Egitto” Convegno Nazionale diEgittologia tenutosi presso l'Università degliStudi di Padova nel 2011“Thebes in the first millenium BC” Convegno Interna-zionale di Egittologia svoltosi presso il Museo della

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materiali nella missione archeologicadi Cahokia - USA, Ilinois(Direzione scientifica del prof. Davide Domenicie prof. Maurizio Cattani), dal [email protected]

Roberta VIVIANVeneziana, da sempre appassionata di Antico Egitto,ha conseguito la laurea magistrale in Conservazionedei Beni Archeologici presso l’Università di Ca’ Foscarinel 2005, interessandosi nella tesi triennale del villag-gio di Deir el Medina e successivamente, nella tesi spe-cialistica, del culto delle divinità asiatiche in Egitto. Durante la sua formazione ha svolto diverse attivitàdi tirocinio nelle biblioteche universitarie e museali, hacatalogato pezzi ceramici da scavi siriani, ha presoparte ad uno scavo archeologico di età preistorica inFriuli Venezia Giulia e ha partecipato a un viaggio stu-dio in Egitto organizzato dall’Università. Attualmente mantiene vivo l’interesse per la culturaegiziana dedicandosi principalmente allo studio delmedio egiziano e seguendo lezioni e conferenzepresso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

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http://urbanfantasy.horror.it/7. il blog letterario Diario di Pensieri Persi:http://www.diariodipensieripersi.com/8. il giornale online Roba da Donne:http://robadadonne.likers.it/10. il giornale online Alchimia Magazine:http://www.alchimia-magazine.net/[email protected]

Aila SANTIAila Santi è nata a Viareggio il 07/08/1990. Dopo il di-ploma si è trasferita a Roma dove, nel dicembre 2012,ha conseguito la laurea triennale in Archeologia e Cul-ture dell’Oriente e dell’Occidente con tesi in Archeolo-gia e storia dell’arte Islamica (110/110 con lode).Attualmente frequenta il secondo anno del corso dilaurea Magistrale in Archeologia, con curriculumIslam-Vicino Oriente. Ha partecipato a varie campagnedi scavo in Italia [Piazza Armerina (EN); Castello diMonreale (VS); Massaciuccoli Romana (LU); PendiciNordorientali del Palatino (Roma)] e all’Estero (Sulta-nato dell’Oman, Uzbekistan).

Carla TOMASISi dichiara “egittofila”. Collabora con EM-Egittologia.net Magazine fin dal primo numero pub-blicando disegni realizzati su papiri. I soggettivengono eseguiti con rigore, ma anche con una certalibertà riguardo i loro contesti reali e il supporto utiliz-zato viene realizzato in Egitto utilizzando le antichetecniche.Instancabile viaggiatrice, si è recata in Egitto nume-rose volte visitando siti archeologici talvolta preclusi aiviaggiatori, dove ha condotto studi personali legatiprevalentemente all’arte in relazione agli antichi miti.

Sandro TRUCCOCuneese, insegnante e farmacista, si occupa di anticoEgitto sin da ragazzo. Ha effettuato numerosi viagginella terra dei faraoni e da alcuni anni organizza per ilsito Egittologia.net settimane di studio a Luxor, Cairoe nel medio Egitto. Ha collaborato con Mario Tosi nellapreparazione di alcuni testi e conferenze. Dal 2008collabora con il prof Francesco Tiradritti per lo sviluppoe divulgazione del progetto “Harwa 2002”.Sempre per il sito, Egittologia.net, recensisce mostre,scrive articoli ed ha realizzato una serie di interviste aimaggiori egittologi italiani.Collabora con l’Università della terza età di Cuneo e

con PRO Natura.Tiene conferenze in tutta l’Italia settentrionale.

Generoso URCIUOLIlaureato in Civiltà Bizantina presso l’Università degliStudi di Torino ha approfondito il suo percorso di for-mazione in ambito archeologico con un master in tec-niche di scavo archeologico.In ambito formativo:- corso di formazione in Archeologia subacqueapresso l’Istituto Internazionale di StudiLiguri – Bordighera (IM);- corso di alto perfezionamento in “instrumentumdomesticum” presso l’Istituto PontificioArcheologia Cristiana – Roma;- corsi di formazione in Vicino Oriente Anticoe Egittologia presso l’ Istituto VicinoOriente – Milano;- ha sostenuto diversi esami universitariextra curriculari presso l’Università degliStudi di Genova sempre in ambito archeologicoe storico dell’arte.Ha lavorato come operatore archeologico oresponsabile scavo archeologico per varieuniversità ed enti di ricerca in ambito italiano;ho svolto l’archeologo anche per varieditte certificate per l’esecuzione dello scavoarcheologico occupandosi di ricerca, conservazionedi beni culturali e documentazionedi reperti e siti archeologici.Si è anche occupato, inoltre, di attività divulgativae didattica.Attualmente lavora presso uno dei più prestigiosimusei d’arte orientale d’Italia.

Marco VALERILaurea Magistrale in Preistoria e Protostoria(Università di Parma).Ricerca di archivio, documentazioni materiali eScavo archeologico pre-protostorico nella missionearcheologica di Cahokia - USA, Ilinois(Direzione scientifica del prof. Davide Domenicie prof. Maurizio Cattani), dal [email protected]

Imma VALESELaurea Magistrale in Archeologia e Culture delMondo Antico (Università di Bologna).Coordinazione area di scavo, topografia, disegno

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Page 55: UNA STREGA AGLI ALBORI DELL’ARCHEOLOGIA EGIZIA: … · in questo numero: una strega agli albori dell’archeologia egizia: margaret murray. il tempio di debod. l’egitto multiculturale

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