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WILLIAM HOLDER Trattato dei fondamenti e dei principi naturali dell’armonia a cura di Mara Zia

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William Holder

Trattato dei fondamenti e dei principi naturali dell’armonia

a cura di Mara Zia

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Si ringraziano Silvia Arrigoni, Roberto Bin, Marco Bizzarini, Matteo Dalle Fratte,

Paola Degli Esposti, Michele Geremia, Paolo Mastandrea, Gabriella Moretti, Roberto Pasqualato, Giovanni Polin, Giancarlo Scarpa,

Luigi Tessarolo e Silvia Urbaniper l’aiuto generoso e per i consigli indispensabili.

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INDICE

TraTTaTo dei fondamenTi e dei principi naTurali dell’armonia

Introduzione 12-13capitolo I Del suono in generale 14-15capitolo II Del suono armonico 20-21Appendice 36-37capitolo III Della consonanza e della dissonanza 58-59capitolo IV Delle consonanze 68-69capitolo V Della proporzione e della sua applicazione all’armonia 112-113capitolo VI Delle dissonanze e dei gradi 152-153Digressione 166-167capitolo VII Delle dissonanze 210-211capitolo VIII Delle differenze 228-229capitolo IX Conclusione 242-243

noTa al TesTo

Testimoni 257Traduzione italiana 258 Locuzioni inglesi Locuzioni in greco e in latino Notazione, intervalli, proporzioni ed esempi musicaliCommento 261Indici 262Abbreviazioni e sigle 262

mara Zia Filosofia della scienza, scienza della musica, musica speculativa 265 William Holder. La vita e le opere 267 L’acustica di Holder fra il monocordo di Pitagora e il temperamento di Werckmeister 274

La suddivisione dell’8a 281La scala 286L’accordatura 289Il Treatise nel Seicento musicale 294

Tavole Tavola A. Gli intervalli holderiani all’interno dell’8a 307Tavola B. Le principali scale musicali occidentali 308Tavola C. Gli intervalli all’interno del tono 310Tavola D. Cronologia delle opere citate 312

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indice

IntroduzioneDel suono in generale I Del suono armonico II Appendice al capitolo secondo Della consonanza e della dissonanza III Delle consonanze IV Della proporzione V Delle dissonanze e dei gradi VI Digressione riguardante l’antica musica greca Delle dissonanze VII Delle differenze VIII Conclusione IX

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Errata

p. 1 [14-15] riga 13 leggi Mediump. 20 [36-37] riga 19 leggi and Contrary. Quadruplep. 23 [40-41] riga 15 per do leggi nop. 28 [44-45] riga 20 leggi Snap-hauncesp. 42 [60-61] riga 19 leggi Ridgedp. 64 [82-83] riga 14 per recourse leggi Coursep. 99 [122-123] riga 24 per 28 leggi 18p. 108 [132-133] riga 13 per Rations, or if leggi Rations. Or ifp. 111 [136-137] riga 21 dopo Progression aggiungi (Understanding, together with the Ratio’s, the Intervals themselves, as is before premised)p. 127 [156-157] riga 10 per on leggi orp. 132 [164-165] riga 3 per ie leggi itp. 139 [174-175] riga 9 per that was to express it leggi that was supposed to be of the deepest setled Pitch in Nature, and adapted freely to express itp. 148 [186-187] riga 2 leggi Degreesp. 152 [190-191] riga 3 leggi givesp. 156 [198-199] riga 8 per Proper leggi with a Flat 6th

ibid. riga 20 per the Fourth leggi the Second, Fourthp. 157 [200-201] riga 3 per Minor leggi Majoribid. riga 6 cancella Thirdp. 159 [202-203] riga 19 per no one leggi but onep. 160 [202-203] alla scala IV, grado IV per Minor leggi Majoribid. alla scala I, grado V per Major leggi Minorp. 162 [204-205] righe 14-15 cancella between 6th Major and 7th Minorp. 199 riga 11 leggi Anomalous Phaenomena.

I due schemi fuori testo devono essere collocati in questo modo: quello delle quattro scale a fronte di pagina 155 [196-197]; per accordare un organo a fronte di pagina 181 [226-227].

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I fondamenti e i principi naturali dell’armonia

Introduzione

L’armonia consiste in cause naturali e artificiali riguardanti sia la materia che la forma. La parte materiale è il suono o voce, quella formale è la combinazione armonica del suono o della voce, il che richiede come presupposto una composizione ben fatta e nella resa pratica un’esecuzione impeccabile.

La prima parte, ossia quella materiale, giace nel profondo della natura e necessita di molte ricerche nel campo della filosofia naturale per essere rivelata, per scoprire come sono fatti i suoni e come vengono innanzi tutto preparati dalla natura per l’armonia prima di essere combinati dall’arte. Entrambe completano l’armonia.

Questa deriva quindi dalla musica pratica ed è costituita dalla combinazione natu-rale e artificiale di suoni diversi (e cioè gravi e acuti) grazie ai quali si diletta l’udito.

Ciò accade propriamente nella sinfonia, ossia nell’insieme di più voci diversamente intonate, ma si trova anche nella musica solitaria di una voce, grazie all’attenzione e alle aspettative dell’orecchio che paragona le tendenze delle note che seguono a quelle che precedono.

Orbene, nella filosofia della natura la teoria dei fondamenti e delle cause di questa concordanza di suoni e del conseguente diletto e piacere dell’orecchio (lasciando la gestione di questi suoni ai maestri di composizione musicale e agli artisti abili nell’esecuzione) è l’argomento di questa dissertazione.1 Lo scopo (per tutti gli appassionati di musica e, in particolare, per i gentiluomini della Cappella Reale2 delle loro maestà) è delineare tali principi in modo tanto breve e comprensibile quanto lo permette l’argomento.

E prima di tutto è necessario considerare qualche aspetto della natura del suono in generale e poi, più in particolare, dei suoni armonici,3 ecc.

1 Harmony… Discourse [L’armonia… dissertazione]: Holder distingue le cause naturali, cioè i principi preesistenti sui quali si basano le composizioni musicali, dalle cause artificiali, cioè quelle stabilite dall’uomo attraverso l’arte della composizione. Il trattato si occuperà principalmente delle prime, preferendo seguire le tendenze filosofiche del periodo piuttosto che assecondare la notevole diffusione della pratica strumentale con indicazioni di tecnica compositiva.

2 Gentlemen… Royal [gentiluomini… Reale]: ministri del culto e funzionari che, insieme ai com-positori e agli interpreti, reggevano l’istituzione musicale di corte, fondata nel XIII secolo e dedita al genere sacro; dal 1674 Holder copriva la carica di subdean.

3 Harmonick Sounds [suoni armonici]: cfr. Nota al testo, qui a p. 259.

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Capitolo I

Del suono in generale

In generale (tralasciando ciò che non è pertinente al nostro scopo), i sensi e l’esperienza confermano le seguenti proprietà del suono.4

1. Ogni suono è prodotto dal moto, cioè dalla percussione con collisione dell’aria.5

2. Affinché il suono possa essere propagato e portato lontano è necessario che ci sia un mezzo6 attraverso il quale passare.

3. Questo mezzo (nel nostro caso) è l’aria.7

4. Il suono si propaga attraverso il mezzo nella stessa misura in cui si trasmette il movimento. Infatti (anche se non si può affermare che il movimento e il suono siano la stessa cosa, almeno per il momento),

4 In General… Sound [In generale… suono]: «Sembra che questi undici punti siano stati for-temente influenzati dalla teoria atomistica di Gassendi, introdotta in Inghilterra nel XVII secolo grazie alla traduzione di Walter Charleton [1619-1707]», pubblicata a Londra nel 1654 col titolo Physiologia epicuro-gassendo-charltoniana; sTanley, p. 52.

5 All… Air [Ogni… aria]: «Se tutto è quieto e nulla si muove si ha silenzio; se c’è silenzio e non c’è movimento, non si sente nulla, perché, per poter udire qualcosa, prima ci devono essere percussione e moto»; euclide, Sectio canonis, in meibom, p. 23; cfr. qui a pp. 42-43. L’erudito danese Marcus Meibom (circa 1630-1711), curatore e traduttore di sette teorici greci, nel 1652 dedicò il lavoro a Cristina Wasa, regina di Svezia fino al 1654.

6 Errata corrige: nel testo originale leggi Medium invece di Mdium.7 Air [aria]: fu Pitagora (VI secolo a.C.) a supporre che l’aria fosse il veicolo del suono e il

movimento di quell’elemento, determinato dal simile movimento delle parti del corpo sonoro, la causa di esso. Lo stesso Robert Boyle (1627-1691), chimico e fisico, fondatore della Royal Society, dopo numerosi esperimenti, giunse alla conclusione che anche se l’aria non è l’unico, è per lo meno il principale mezzo attraverso il quale si propagano i suoni.

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ne deriva necessariamente che se termina il moto termina anche il suono.5. Ove non incontri alcun ostacolo, il suono si propaga in una sfera del

mezzo, che sarà più o meno grande secondo la forza e la grandezza del suono stesso; di tale sfera il corpo sonoro è il centro.

6. Entro lo spazio in cui si espande, il suono non attraversa il mezzo istantaneamente, bensì secondo una determinata velocità uniforme calcolata da Gassendi8 in circa 276 passi al minuto secondo.9 E dove incontra un qualche ostacolo, esso è soggetto alle leggi della riflessione, causa dell’eco, a miglioramenti e ad aumenti.

7. Il suono, ossia il movimento del suono, ovvero il moto sonoro, è trasportato attraverso il mezzo, o sfera di attività, con un impeto o forza che colpisce e scuote il mezzo libero e colpisce ogni ostacolo che incontra più o meno secondo l’impeto del suono stesso, la natura dell’ostacolo e la sua vicinanza al centro, o corpo sonoro. In questo modo i movimenti violenti del rombo di un tuono o di un cannone scuotono tutto ciò che sta attorno fino a rompere i vetri delle finestre, e così via.

8. Le parti del corpo sonoro vengono mosse da un moto tremante, o vibrazione, come risulta evidente in una campana o in un tubo e ancor più palesemente nella corda di uno strumento musicale.

9. Questo tremolio, o vibrazione, può essere uguale e uniforme oppure diseguale e irregolare; e ancora, più veloce o più lento a seconda della composizione del corpo sonoro e della qualità e del modo di percussione; da qui nascono le differenze tra i suoni.10

8 Gassendus [Gassendi]: Pierre Gassend detto Gassendi (1592-1655), filosofo e scienziato fran-cese; insegnò matematica e si occupò di fisica, di metafisica, di astronomia influenzando col suo pensiero libertini ed epicurei fino ai grandi maestri dell’Illuminismo. Studiò le leggi dell’urto, os-servò la caduta dei gravi e soprattutto spiegò l’altezza del suono. Sosteneva che «un suono non può essere riprodotto solamente all’interno del corpo solido che l’ha generato, ma dipende dalla continuazione del moto impresso sull’aria cosicché la durata di un suono è uguale alla durata del moto dell’aria»; sTanley, p. 46.

9 276… Minute [276… secondo]: un passo semplice misurava circa 70 centimetri; oggi la velocità del suono nell’aria a 20 gradi si valuta in 343,8 metri al secondo che corrispondono più o meno a 245,57 doppi passi. Gassendi, calcolando la propagazione dei rumori prodotti dallo sparo di un can-none e da quello di un moschetto, scoprì che erano uguali e che quindi la velocità era indipendente dalle altre caratteristiche.

10 This… Sounds [Questo… suoni]: la teoria di Aristosseno si basa sull’idea che è il moto a ge-nerare il suono e che la proprietà del suono di essere acuto o grave dipende dalla qualità del moto

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10. Il tremolio, ovvero la vibrazione del corpo sonoro, che costituisce e differenzia il suono particolare, viene impresso e trasportato nel mezzo nella stessa configurazione e misura, altrimenti non si avrebbe lo stesso suono qualora giungesse a un orecchio più lontano; cioè, i tremolii e le vibrazioni (che si possono chiamare ondulazioni) dell’aria o del mezzo sono sempre della stessa velocità e configurazione di quelle del corpo sonoro dal quale sono determinate.

Le differenze tra i suoni, come quelle tra una voce e un’altra, oltre alla diversità di altezza determinata dalla differenza di vibrazioni, nascono dalla composizione, dalla conformazione e da altri elementi peculiari al corpo sonoro.

11. Se il corpo sonoro è costituito come richiesto, cioè di parti piene o tese e regolari, e quindi, una volta percosso, atto a ricevere e trasmettere i moti vibratori del suono in modo uguale e rapido, esso darà allora un suono intonato che si riceve con diletto e può essere valutato e misurato dall’orecchio; altrimenti si produrrà un suono ottuso o irregolare, senza alcuna intonazione precisa o distinta.11

Questa intonazione, o suono musicale – fqovggoς, cioè fwnh~ς ptw~siς ejmmelhς ejpi mivan tavsin – rappresenta una gradevole cadenza della voce a una determinata altezza o tensione. Poiché è suscettibile di altre tensioni verso l’acuto o il grave, ossia suscettibile di tensioni maggiori o minori, questo tipo di suono intonabile rappresenta la materia o l’elemento primo della musica. E proprio questo suono viene qui appresso considerato.

che lo causa e non dalla quantità. Una tale concezione implica che l’altezza di un suono è relativa, perché dipende sempre dal moto che lo precede.

11 If… Tune [Se… distinta]: Bacone (1561-1626) fu tra i primi ad affermare che la regolarità del suono dipende dall’uguaglianza delle parti di cui è formato il corpo sonoro; sTanley, p. 45.

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Capitolo II

Del suono armonico

Il primo grande principio da trovare e scoprire sul quale si fonda la natura dei suoni armonici è questo: l’altezza di una nota, volgarmente parlando, è costituita dalla quantità e dal rapporto delle vibrazioni del corpo sonoro, ossia dalla loro velocità durante le oscillazioni.

Infatti più frequenti sono le vibrazioni, più acuto è il suono; tanto più lente e meno numerose sono le vibrazioni nello stesso intervallo di tempo, tanto più grave è il suono. Cosicché l’altezza di una nota data è costituita da una certa misura della velocità delle vibrazioni, vale a dire da un determinato numero di andate e di ritorni, di una corda, per esempio, la quale, in un dato arco di tempo, stabilisce una certa altezza. E tutti i suoni che sono unisoni, ovvero della stessa altezza della nota data, sebbene prodotti da corpi qualsivoglia diversi, come corda, campana, canna, laringe, ecc., sono prodotti dalle vibrazioni o tremolii di quei corpi, tutti uguali tra loro. E più un qualsiasi suono musicale è acuto più sono veloci le vibrazioni da cui è generato e più è grave più le vibrazioni sono lente. Riguardo a ciò si è universalmente d’accordo, com’è reso palese dall’esperienza e come sarà ancor più chiaro grazie a tutta la teoria.

Inoltre, il prolungamento del suono alla stessa altezza sino alla fine – come si può percepire nelle corde metalliche che, una volta percosse, mantengono a lungo il loro suono – dipende dall’uguaglianza di tempo delle vibrazioni,

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dall’ampiezza maggiore fino al momento in cui esse cessano.12 E questo spiega perfettamente la seguente teoria della consonanza e della dissonanza.

Alcuni degli antichi Greci13 che scrissero di musica notarono le vibrazioni e il fatto che quelle più veloci generavano suoni più acuti e quelle più lente suoni più gravi; e che la mescolanza o meno dei moti che creavano diversi intervalli di altezza stabiliva la loro concordanza o discordanza. Analogamente scoprirono le varie lunghezze di un monocordo14 proporzionate ai diversi intervalli dei suoni armonici, ma non capirono l’uguaglianza della frequenza delle vibrazioni di cui si è parlato prima, né potevano essere preparati a rispondere alle obiezioni che si sarebbero potute muovere contro la continuità della medesima altezza durante il prolungamento del suono di una corda o di una campana, dopo la sua percussione. Né alcuno di questi autori offrì una qualche spiegazione per quei dati rapporti; quel che si dice è solo che Pitagora li scoprì per caso.15

Ora però, da quando l’acuto Galileo16 ha osservato e scoperto la natura del pendolo, tali rapporti si possono facilmente spiegare; che è quanto farò, premettendo alcune considerazioni sulle proprietà dei moti di un pendolo.

12 And… to cease [Inoltre… cessano]: ciò si spiega con la legge di Galileo sull’isocronismo del pendolo (1583), illustrata da Holder poco più avanti.

13 Ancient… Authors [antichi Greci]: primi fra tutti Pitagora e la sua scuola partirono dal con-cetto che le diverse relazioni tra i suoni, ovvero gli intervalli, non sono frutto di una codificazione voluta dall’uomo (come il linguaggio o il sistema numerico), ma esistono in natura e pertanto, attraverso la sperimentazione, possono essere scoperti e studiati.

14 Monochord [monocordo]: l’invenzione del monocordo è attribuita a Pitagora (e per questo è chiamato anche canone pitagorico) che voleva determinare le relazioni matematiche tra i suoni; si tratta di una cassa di risonanza lunga 120 centimetri e larga poco più di 10 sulla quale è tesa una corda su due ponticelli. Mettendo in vibrazione la corda si ottiene un determinato suono, bloccan-do la corda al centro si ottiene l’8a (1/2), fissandola a 2/3 della lunghezza si ha la 5a, a 3/4 la 4a. Pitagora chiamò la differenza tra la 4a e la 5a tono, una distanza cui diede grande importanza per la costruzione della scala musicale. Grazie al monocordo, si deve probabilmente a Pitagora il concetto di divisione dell’8a che nei secoli fu oggetto di studi approfonditi da parte di filosofi e di musici.

15 Pythagoras… Chance [Pitagora… caso]: gli antichi scrittori attribuirono a Pitagora la scoperta di questa serie di numeri. L’episodio è stato dettagliatamente descritto da nicomaco, Harmonices manuale, libro I, capitolo VI, così come nel III-IV secolo da GaudenZio, Introductio harmonica, capitolo XI. Passando per caso davanti alla bottega di un fabbro, Pitagora sentì quattro martelli risuonare in modo molto armonioso; dopo averli pesati, scoprì che si trovavano nella proporzione di 6, 8, 9, 12. Confer-mò l’esperimento con quattro corde uguali, aggravate di piombi nella suddetta proporzione, e ottenne i quattro intervalli consonanti principali: unisono, 4a, 5a, 8a; burney, volume I, pp. 342-343.

16 Galileo: Galileo Galilei (1564-1642), considerato il padre della scienza moderna, fu tra i primi

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Si appenda un piombo C a una corda o a un filo metallico fissato in O. Si porti C nel punto A; facendolo oscillare liberamente si muoverà verso B e quindi ritornerà ad A. Il moto da A a B, che indico come andata del pendolo, e il moto da B ad A, che indico come ritorno,17 formano quasi un semicerchio di cui O è il centro. Lasciando poi che il pendolo si muova da solo avanti e indietro, a ogni andata e ritorno la sua ampiezza si ridurrà e diminuirà gradatamente fino a fermarsi perpendicolarmente in OC.18

Ora, ciò che Galileo per primo osservò fu che tutti i moti di andata e di ritorno del pendolo, dall’ampiezza più grande e via via attraverso tutti i gradi fino a raggiungere la stasi, avvenivano in intervalli di tempo uguali. Cioè, per esempio, l’ampiezza tra A e B si compie nello stesso tempo di quella tra D ed E, muovendosi il piombo più velocemente tra A e B, lo spazio maggiore, e più lentamente tra D ed E, quello minore; secondo tali proporzioni i movimenti tra gli estremi AB e DE vengono eseguiti nello stesso arco di tempo.19

a capire l’importanza di prendere le distanze da ogni aspetto dell’aristotelismo per poter favorire lo sviluppo del nuovo spirito scientifico che stava crescendo un po’ dovunque nel XVII secolo.

17 The Motion… Pendulum [Il moto… ritorno]: Holder si discosta dall’idea aristotelica secondo la quale l’altezza di un suono è determinata dal moto vibratorio di un corpo, intendendo però solo il moto di andata, e concorda con Galileo, Mersenne e Gassendi considerando anche il moto di ritor-no; sTanley, p. 56. Un’andata più un ritorno formano un’oscillazione completa, cioè un periodo; il moto periodico si ripete in modo uguale a intervalli di tempo uguali.

18 Then… OC [Lasciando… OC]: oggi si parla di energia potenziale massima del pendolo (quan-do questo si trova nella posizione A), di lavoro speso (per lo spostamento fino a B) e di ampiezza della elongazione (per il tratto AB).

19 That… time [Cioè… tempo]: è l’isocronismo del pendolo solo quando, però, le oscillazioni sono piccole; consiste nell’inalterazione del tempo in corrispondenza del graduale rallentamento della velocità di elongazione. Le oscillazioni sono piccole quando formano un angolo piccolo con la verticale occupata dal pendolo in riposo. Tale angolazione è influenzata sia dalla lunghezza del vincolo che tiene sospeso il pendolo, sia dalla qualità del vincolo stesso; così l’energia del pendolo,

A O B

D E

C

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E qui si deve notare che ovunque in questo trattato si parli di velocità o lentezza delle vibrazioni, si intenderà sempre il termine come frequenza20 dei loro movimenti di andata e di ritorno e non come movimento attraverso il quale si passa da una parte all’altra. Infatti è vero che lo stesso pendolo con la stessa velocità di ritorno oscilla più o meno velocemente a seconda della maggiore o minore ampiezza.

Da qui deriva che le oscillazioni del pendolo si sono rivelate ottime e utili per la misurazione del tempo, specialmente dopo aver aggiunto una seconda osservazione: man mano che lo si accorcia, avvicinando C al suo centro O, le oscillazioni avverranno proporzionalmente in un tempo più breve e viceversa se lo si allunga. E si scopre che ciò avviene in un rapporto duplice tra lunghezza e velocità, cioè se la lunghezza viene quadruplicata, si dimezza la velocità delle vibrazioni e se la lunghezza viene ridotta a un quarto la velocità delle vibrazioni raddoppia perché il rapporto è di reciprocità. All’aumentare della lunghezza del pendolo diminuisce la frequenza delle vibrazioni e queste aumentano se lo si accorcia.

Perciò per raddoppiare i movimenti di andata, cioè farlo spostare due volte nello stesso intervallo di tempo in cui prima si muoveva una volta sola, si deve ridurre la sua lunghezza a un quarto ossia ridurre il pendolo a un quarto della lunghezza precedente. E, per dimezzare la velocità delle oscillazioni in modo che il pendolo si muova una volta sola nell’intervallo di tempo in cui prima si muoveva due volte, si deve quadruplicare la lunghezza, cioè allungarlo di quattro volte rispetto a prima, e così via nella proporzione che si desidera.21

Per applicare questo alla musica, si costruiscano due pendoli, AB e CD, si leghino assieme i piombi B e D e

che si manifesta come forza centrifuga, non basta a tenere teso il vincolo qualora l’oscillazione sia ampia. Per coadiuvare gli studi teorici sull’oscillazione del pendolo, il matematico inglese Robert Hooke (1635-1702), membro dal 1662 della Royal Society, nel 1664 appese dei pendoli alla cupola della cattedrale di Saint Paul che, prima di essere distrutta dall’incendio del 1666, misurava più di sessantadue metri di altezza. Si dimostrò che nessun pendolo reale è perfettamente isocrono.

20 Frequency [frequenza]: è la quantità di vibrazioni nell’unità di tempo (minuto secondo); l’unità di misura oggi è l’hertz (Hz).

21 And… please [E… desidera]: in questo trattato il tempo è un valore costante; Holder non considera mai variazioni di tempo e non parla di unità di tempo (anche se si può supporre che sia il minuto secondo, come accenna qui a pp. 16-17). Le grandezze variabili sono perciò la lunghezza del pendolo (e della corda) e il numero delle oscillazioni (e delle vibrazioni).

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si tendano nel senso della lunghezza (fissando i centri A e C); dopo essere stati percossi e messi in movimento, le vibrazioni, prima distinte tra AB e CD, saranno ora unite (come se si trattasse di una sola corda intera) sia all’andata che al ritorno, tra E ed F. Queste vibrazioni (mantenendo la suddetta analogia col pendolo) saranno prodotte in intervalli di tempo uguali dalla prima all’ultima, cioè dall’ampiezza massima alla minima, finché cessano. Ora, essendo questo un pendolo doppio, per dimezzare la velocità delle vibrazioni non si farà che raddoppiare la lunghezza da A a C, che sarà quadrupla di AB. La figura in basso è identica alla precedente, tranne per i piombi che sono stati staccati.

E qui sta la natura della corda di uno strumento musicale, simile a un doppio pendolo che si muove su due centri, il capotasto e il ponticello, e che vibra con l’ampiezza massima al centro della sua lunghezza; le vibrazioni sono uguali sino alla fine, e ciò fa necessariamente mantenere la stessa altezza finché risuona. E poiché mantiene chiaramente la stessa altezza fino alla fine, ne consegue che le vibrazioni rimangono uguali, l’uno e l’altro fatto confermati da due dei nostri sensi, in quanto vediamo le vibrazioni del pendolo muoversi uniformemente e sentiamo che l’altezza del suono di una corda, allorché percossa, si mantiene sempre tale.

La misura della velocità delle vibrazioni della corda, come si è detto, costituisce e determina l’altezza per quanto riguarda l’acuto e il grave della nota che risuona e, a parità di tensione, l’allungamento o l’accorciamento della corda

A

A

F

F

C

C

E

E

B D

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determina la quantità di vibrazioni prodotte. Così l’armonia è soggetta ai calcoli matematici delle proporzioni: della lunghezza della corda, della misura del tempo nelle vibrazioni, degli intervalli di suoni intonati. Nello stesso rapporto in cui la lunghezza di una corda sta a un’altra, ceteris paribus 22 (cioè essendo dello stesso materiale, spessore e tensione) sta anche la misura del tempo delle loro vibrazioni; e come il tempo delle vibrazioni di una corda rispetto a un’altra così è l’intervallo, ovvero la distanza tra i suoni acuti o gravi dell’una rispetto a quelli dell’altra; di conseguenza, tale è la lunghezza (ceteris paribus) tale l’altezza determinata.23

E per tutto il corso del trattato insisterò in larga misura e in modo dettagliato su questi rapporti esistenti tra le differenze di lunghezze, di vibrazioni, di diverse altezze di suono, per fornire un’informazione completa a tutti gli appassionati di musica ingegnosi che avranno la curiosità di

22 ceteris paribus: ‘a parità del resto’.23 And… Tune [Così… determinata]: partendo dal principio dell’interazione dei moti di due

corde, Galileo costruisce una gerarchia di intervalli che vede l’8a al primo posto e afferma che la na-tura degli intervalli musicali non dipende direttamente dalla lunghezza, dal diametro, dalla densità e dalla tensione della corda quanto dal rapporto del numero delle vibrazioni e dalle onde sonore nello stesso intervallo di tempo. Tale relazione quantitativa venne studiata anche da Marin Mersenne, il quale giunse ad affermare che la frequenza di una corda percossa è inversamente proporzionale alla lunghezza, direttamente proporzionale alla radice quadrata della tensione, inversamente propor-zionale alla massa (e perciò al peso comunemente misurato) dell’unità di lunghezza della corda. È la legge di Mersenne scoperta grazie a un esperimento con una fune di oltre 90 piedi (poco più di 27 metri) e con un filo di ottone lungo 138 piedi (quarantadue metri circa). In questo modo le vi-brazioni erano così lente che egli riuscì tranquillamente a contarle; al variare della lunghezza e della tensione, Mersenne accertò come anche la frequenza delle vibrazioni variasse di conseguenza. Così ottenne le leggi delle vibrazioni trasversali delle corde, che si possono riassumere nella formula f = 1/2l√p/m, dove f è la frequenza, l è la lunghezza della corda vibrante (espressa in centimetri), p è la tensione (espressa in dynes), m è la massa della corda o filo metallico del diametro di un centimetro (espressa in grammi). Successivamente accordò un breve filo di ottone con una delle canne del suo organo e, applicando questa legge, calcolò la frequenza del filo in 150 cicli al secondo. Questo me-todo è tuttora valido; alexander Wood, The physic of music, London, Methuen, 1944, pp. 44-45.

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indagare le cause naturali dell’armonia nonché dei fenomeni che avvengono in essa; anche se, diversamente, per chi ha maggiori conoscenze in musica e in proporzioni matematiche tutto potrebbe essere espresso molto più sinteticamente e ulteriormente abbreviato mediante l’ausilio di simboli.

E qui ci dobbiamo fermare. Concludendo, quello che ai sensi risulta evidente di questi fenomeni, riguardo a una corda risulta tale anche (sebbene non altrettanto chiaramente percepibile) riguardo ai moti degli altri corpi che producono un suono intonabile, come le vibrazioni di una campana o di una tromba, l’eccitazione della laringe nostra e quella degli animali, la canna degli strumenti a fiato e quelle dell’organo, ecc. Tutti in diverse proporzioni vibrano in modo sensibile e imprimono al mezzo le proprie ondulazioni, come accade con le diverse, più evidenti, vibrazioni delle corde.

In questi altri corpi, di cui abbiamo appena parlato, si riscontrano chiaramente le cause della differenza della velocità delle loro vibrazioni (anche se non è possibile misurarle con precisione) derivanti dalla loro forma e da altre peculiarità della loro struttura e soprattutto dall’ordine della loro grandezza; in genere, un corpo più grande vibra più lentamente e uno più piccolo più velocemente, con conseguenti altezze di suono. Lo si può notare nella dimensione delle corde; una corda più grande e spessa, della stessa tensione e lunghezza di una sottile, darà un suono più grave di quest’ultima; ma si possono ottenere due unisoni alterando la loro lunghezza e la loro tensione.

Quest’ultima è una caratteristica delle corde (a meno che non si voglia considerare il tamburo uno strumento musicale, la cui tensione non è nella lunghezza bensì distribuita sull’intera superficie)24 sia quando si tirano sia quando si allentano – cioè si dà loro maggiore o minore tensione come quando si accorda una viola, un liuto o un clavicembalo –

24 Tension… Surface [Quest’ultima… superficie]: Holder ritiene che, per quanto si attenga alle leggi sulle vibrazioni, una pelle tesa non può essere assimilata a una corda tesa la quale, insieme alla colonna d’aria degli strumenti a fiato, risulta il materiale più valido per compiere esperimenti di questo tipo.

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ed è di grande interesse e si può misurare tendendo le corde con l’ausilio di pesi, non senza difficoltà e neppure in modo tanto sicuro.

Tuttavia, nella scoperta delle proporzioni che appartengono all’armonia, si considerano soprattutto le lunghezze delle corde, data la loro analogia col pendolo, essendo più facile misurare e disegnare le parti di un monocordo in relazione all’intera corda; perciò tutti gli intervalli in armonia si possono prima di tutto descrivere e capire attraverso le proporzioni della lunghezza delle corde e dunque delle loro vibrazioni. Ed è per questo motivo che in questo trattato sui fondamenti dell’armonia sono le corde più di altri corpi sonori a essere prese così in considerazione, specie nelle loro dimensioni di lunghezza. È vero che negli strumenti a fiato si tiene conto della lunghezza delle canne, ma queste non sono così adatte a essere esaminate come lo sono le corde, né le loro vibrazioni e le loro dimensioni sono altrettanto chiare.

Ci sono alcuni suoni musicali che sembrano essere prodotti non da vibrazioni ma da pulsazioni, come quando rapidamente si strofina qualche tessuto di seta o di cammello o i denti di un pettine, che creano un tipo di suono più acuto o più grave secondo la velocità del movimento. In questi casi il suono non viene prodotto dalle vibrazioni del corpo stesso, bensì dalla percussione di diversi corpi uguali ed equidistanti quali possono essere le fibre di un tessuto o i denti di un pettine, passando su di essi con la stessa velocità delle vibrazioni. Ciò determina lo stesso cambiamento all’altezza e alle vibrazioni dell’aria che avviene per le vibrazioni della stessa quantità; la molteplicità delle pulsazioni o percussioni corrisponde alla molteplicità delle vibrazioni. Riporto questa osservazione poiché anche altri lo hanno fatto, ma ritengo che in musica questo non sia di nessuna utilità.25

25 There… Musick [Ci sono… utilità]: Hooke racconta di aver discusso con Christopher Wren (1632-1723) e con Holder nel gennaio del 1675 sulla produzione dei suoni ottenuti battendo un martello o strofinando le stoffe; roberT Hooke, The diary, 1672-1680, transcribed from the original in the possession of the corporation of the city of London [GB-Lgc], a cura di Henry William Robinson e Walter Adams, London, Taylor e Francis, 1935, p. 54. Nel luglio del 1681 Hooke presentò un esperimento alla Royal Society, sostenendo che il suono si poteva produrre passando velocemente sui denti di un pettine; Grove, s.v. Robert Hooke.

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Appendice

Prima di concludere questo capitolo, può sembrare necessario confermare meglio i fondamenti che abbiamo posto e soddisfare maggiormente il lettore circa i movimenti e le misure del pendolo e la sua applicazione al moto armonico.

In primo luogo, dunque, è chiaro alla logica e all’esperienza ed è fuori di ogni discussione che i moti di andata e di ritorno avvengono con velocità o lentezza, cioè con maggiore o minore frequenza, a seconda che il pendolo sia allungato o accorciato. E che il rapporto in base al quale la frequenza aumenta è, per lo meno, molto vicino al doppio, ossia il doppio della lunghezza del pendolo rispetto al numero delle vibrazioni. Però è un rapporto inverso, cioè all’aumentare della lunghezza il numero delle vibrazioni diminuisce e viceversa. Quadruplicando la lunghezza le vibrazioni si dimezzeranno, riducendo la lunghezza a un quarto le vibrazioni raddoppieranno. È chiaro infine che le oscillazioni – i moti di andata e quelli di ritorno dello stesso pendolo – avvengono tutte, dall’ampiezza massima a quella minima, in un intervallo di tempo uguale o quasi. Sebbene il rapporto di 2 a 1 stabilito e l’uguaglianza di tempo possono essere messi in discussione, nel senso che non sono perfettamente esatti sebbene molto vicini all’esattezza, tuttavia in un monocordo li troviamo assolutamente concordi;26 ossia, per quanto riguarda la lunghezza, doppia invece che raddoppiata, poiché una corda fissata a entrambe le estremità è come un doppio pendolo dove ciascuno dei due viene quadruplicato raddoppiando l’intera corda.27 E su questa proporzione doppia si basano tutti i rapporti che troviamo in armonia; le vibrazioni di una corda inoltre sono esattamente uguali, poiché continuano a dare la stessa altezza.

Supponendo che talvolta ci possa sembrare di riscontrare qualche lieve differenza

26 Now… agree [Sebbene… concordi]: nel monocordo le oscillazioni sono più piccole di quelle del pendolo e quindi la legge dell’isocronismo risulta valida e precisa.

27 viz… String [ossia… corda]: Holder è consapevole che l’obiezione a questa teoria può deri-vare dal fatto che i moti del pendolo sono soggetti alla forza di gravità, mentre le vibrazioni della corda alla forza elastica (e di questo dà ampia spiegazione, qui a pp. 44-57).

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in uno o l’altro di questi moti di un pendolo, tuttavia la vicinanza alla verità è sufficiente a sostenere la nostra argomentazione dimostrando ciò che è stato progettato dalla natura, anche se qualche volta si incontrano nel pendolo degli ostacoli latenti che non si incontrano in una corda ben fatta. Si possono giustamente riconoscere gli inconvenienti e le cause ignote che intervengono apportando delle piccole variazioni durante gli esperimenti di moto su un materiale grezzo e, conseguentemente, operare allo stesso modo quando sul pendolo si eseguono esperimenti più accurati. È difficile trovare esattamente il punto preciso del piombo che regola i movimenti del pendolo e che ne stabilisce la giusta lunghezza.28 E poi si osservino le varietà dovute ai diversi tipi di materiale sui quali vengono condotti gli esperimenti.29 Mersenne30 ci dice che, a parità di lunghezza, i corpi più pesanti si muovono più lentamente, cosicché mentre un peso di piombo compie trentanove vibrazioni, uno di sughero o legno ne farà

28 It is… Length [È… lunghezza]: l’enunciazione del principio del centro di oscillazione costi-tuisce il contributo più notevole di Christiaan Huygens (1629-1695) alla storia della meccanica. Egli sostiene che la durata dell’oscillazione infinitamente piccola di un pendolo dipende da due fattori: da quello che poi Eulero (1707-1783) ha chiamato «momento d’inerzia» e dal «momento statico», cioè il prodotto del peso del pendolo per la distanza del suo centro di gravità dall’asse di rotazione. Noti questi due valori si determina la lunghezza del pendolo isocrono e la posizione del centro di oscillazione; cHrisTiaan HuyGens, De motu corporum ex percussione, in Opuscula postuma, Leiden, Cornelius Boutesteyn, 1703; leonHard euler deTTo eulero, Theoria motus corporum solido-rum seu rigidorum, Rostock e Greifswald, Anton Ferdinand Röse, 1765, capitoli V-VI; ernsT macH, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, a cura di Alfonsina D’Elia, Torino, Bollati Boringhieri, 1977, p. 199; prima edizione Die Mechanik in ihrer Entwicklung, historisch-kritisch dargestellt, Leipzig, Brockhaus, 1883.

29 Then… made [E poi… esperimenti]: specialmente per Mersenne e Gassendi la composizione del materiale utilizzato era fondamentale per stabilire con esattezza l’altezza di un suono prodotto in base alle vibrazioni; mersenne, libro III, proposizione XVIII, p. 204.

30 Mersennus [Mersenne]: Marin Mersenne (1588-1648), frate minore francese noto soprattutto come matematico, anche se il suo principale contributo è stato come teologo e teorico musicale. Harmonie universelle (1636-1637) è il suo più importante lavoro sulla teoria della musica e sugli stru-menti. Mersenne si distinse anche per la sua attività di divulgazione di informazioni e scoperte grazie alla nutrita corrispondenza che tenne con scienziati e matematici del suo tempo.

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almeno quaranta. Inoltre, un pendolo rigido vibra con una frequenza maggiore di uno appeso a una corda, per cui una sbarra di ferro oppure un bastone di legno dovrebbero essere lunghi metà di uno non rigido per fare lo stesso numero di vibrazioni. Eppure in ciascuno di questi e relativamente a se stesso riscontreremo il rapporto doppio e l’uguaglianza, o quasi, delle vibrazioni. Per quanto riguarda l’uguaglianza, inoltre, anche se agli estremi dell’ampiezza delle oscillazioni – ovvero confrontando la più grande con la più piccola – per cause ignote possono apparire delle differenze, non31 si rilevano tuttavia variazioni del tempo di vibrazioni di un pendolo nelle oscillazioni vicine tra loro, sia tra le maggiori che tra le minori. E questo è il caso delle ampiezze della vibrazione di una corda, fatte in un arco molto ridotto; perciò le oscillazioni di un pendolo, limitate a una piccola differenza d’ampiezza, ben corrispondono alle vibrazioni di una corda.

Quanto alle corde, l’armonia tutta dipende da questa sperimentata e indiscussa verità: la diapason è doppia rispetto al suo unisono e di conseguenza la diapente è sesquialtera, la diatessaron sesquiterza e così via.32 Eppure, se capita di dividere una corda difettosa di uno strumento, si troverà che l’ottava non sta esattamente al centro, né che gli altri intervalli stanno nei loro dovuti rapporti, e ciò non è un difetto della natura bensì del materiale considerato. Una corda non idonea è una corda che in qualche parte della sua lunghezza è più grossa che altrove. Naturalmente, la parte più spessa vibra più lentamente e risuona più grave, quella più sottile vibra più velocemente e risuona più acuta. In questo modo, due suoni tanto vicini tra loro sono prodotti contemporaneamente sulla stessa corda e producono una stonatura rozza e sgradevole, dato che la risultante della loro mescolanza è un suono più o meno rauco a seconda che la corda risulti più o meno diseguale. E se la parte più grossa si trova vicino ai

31 Errata corrige: nel testo originale leggi no invece di do.32 Diapason… etc. [diapason… e così via]: diverse sono le denominazioni usate in questo trattato

per definire i vari intervalli; accanto all’antica denominazione greca (diapason, diapente, diatessa-ron) ci sono le nomenclature latina (dupla, sesquialtera, sesquiterza) ed europea (8a, 5a, 4a). Il prefis-so dia- ‘attraverso’ precede il numero che indica la quantità di suoni interessati; l’8ª è l’intervallo più grande che comprende tutti gli altri (-pason); la lezione latina usa la particella sesqui- ‘una metà in più’ che indica una frazione il cui numeratore supera di una unità il denominatore (queste proporzioni sono anche chiamate superparticolari).

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tasti, il tasto (per esempio Re-Fa-La, ecc. in una viola o in un liuto) renderà l’altezza della nota troppo acuta, e viceversa se vicino ai tasti c’è la parte più sottile della corda. Perché nel primo caso la parte più grossa è bloccata e quella più sottile genera il suono più acuto di questa infelice unione; nel secondo caso la parte più grossa può suonare la nota più grave e così il tasto darà un’intonazione inesatta, anche se il difetto non sta nel tasto ma nella corda.33 Tuttavia nelle mani di un incauto sperimentatore può accadere che venga chiamata in causa la Sectio canonis,34 come pure che vengano contestate le misure di un pendolo.

Ma tutto ciò non contraddice le misure scoperte e assegnate agli intervalli armonici, verificate su una corda o filo metallico perfetti per quanto riguarda la loro lunghezza e l’uguaglianza delle oscillazioni delle loro vibrazioni, anche se si ritiene che i pendoli si muovano più lentamente nelle loro oscillazioni più brevi. Eppure, quanto alle corde, riguardo alle loro oscillazioni piccolissime, che sono di gran lunga più piccole in altri strumenti o corpi sonori, devo aggiungere solo questo: dopo che una corda è stata percossa, il prolungamento dello stesso suono fino alla fine e il continuo movimento nelle più piccole vibrazioni di una corda simpatica, durante le vibrazioni più grandi della corda percossa, dimostrano l’una e l’altra in modo sufficiente che le oscillazioni, sia maggiori che minori, vengono prodotte nello stesso intervallo di tempo, secondo le loro proporzioni, mantenendo esatta sincronia. Altrimenti, nel primo caso l’altezza verrebbe sensibilmente alterata e nel secondo la corda simpatica non potrebbe essere continua nel suo movimento. L’argomento non poté considerarsi concluso fino a che non fu fatta luce grazie alle recenti scoperte sul pendolo.35

C’è un’altra cosa che

33 because… String [Perché… corda]: questo è oggi definito come fenomeno dei battimenti; cfr. qui a pp. 292-293.

34 Sectio canonis: il celebre trattato contiene un’introduzione, basata sui principi della scuola pi-tagorica e seguita da una ventina di teoremi; grazie alla sua compendiosa brevità, la Sectio canonis, tramandata da più di duecento manoscritti e secondo alcuni dovuta alla collaborazione di vari autori, è stata una fonte primaria per la speculazione dei teorici e dei commentatori dall’età classica al Rinascimento.

35 after… to it [dopo… pendolo]: Holder affronta l’argomento della simpatia delle corde nel capitolo seguente; cfr. qui a pp. 64-67.

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non posso omettere. I movimenti del pendolo possono sembrare non del tutto appropriati per spiegare i moti di una corda, dal momento che essi si basano su principi diversi, rispettivamente quelli del pendolo sulla gravità e quelli della corda sull’elasticità. Cercherò quindi di dimostrare come i moti del pendolo concordino con quelli di una molla e come la spiegazione delle vibrazioni di una corda sia correttamente dedotta dalle proprietà di un pendolo.

In un corpo dotato di elasticità,36 la capacità elastica di una molla sembra essere nient’altro che una naturale propensione e lo sforzo di quel corpo, una volta spinto fuori dal proprio posto o dalla propria posizione, di ritornare nuovamente nell’originaria condizione di riposo, più comoda e naturale. E ciò si riscontra in corpi diversi e dà origine a casi diversi, qualcuno dei quali citerò.

Se la violenza è data dalla compressione che costringe un corpo a occupare uno spazio più piccolo di quello che naturalmente richiede, lo sforzo di ritornare allo stato iniziale è quello di riottenere spazio sufficiente mediante la dilatazione. Perciò l’aria può essere compressa in uno spazio minore e avrà, quindi, grande elasticità e tenterà di riguadagnare il suo spazio. Così, se si comprime una spugna asciutta, quando si allenterà la presa si estenderà naturalmente fino a coprire lo spazio occupato precedentemente. E se si preme con un dito una vescica gonfiata, poi rimbalzerà di slancio per tornare com’era all’inizio. Analogamente si comportano anche le molle di un orologio e di una spirale metallica.

E ancora, se di un corpo rigido ma flessibile si fissa un’estremità e l’altra viene piegata all’altro capo, il corpo rimbalzerà alla posizione iniziale. È il caso delle molle d’acciaio della serratura a scatto, dei grilletti37 e dei rami degli alberi che, mossi dal vento o tirati di lato, ritornano alla loro posizione originaria; come si dice della palma, depressa resurgo.38 Ci sono

36 Elasticity [elasticità]: la legge di Hooke, formulata nel 1675 e pubblicata nel 1678, si riassume in una frase: «Ut tensio, sic vis» ‘com’è la tensione, così è la forza’; nell’equivalenza F = kd, F indica la forza impressa, la costante k rappresenta il coefficiente elastico di una molla e d misura l’allun-gamento prodotto; roberT Hooke, Lectures de potentia restitutiva or Of spring explaining the power of springing bodies, London, John Martyn, 1678.

37 Errata corrige: nel testo originale leggi Snap-haunces invece di Snaf-hances.38 Palm… Resurgo [palma… resurgo]: ‘oppressa, mi rialzo’. Oltre alle numerose attestazioni clas-

siche e moderne della palma e del motto latino, Holder potrebbe aver presente uno dei molti em-blemi o addirittura la marca tipografica dell’editore Roger Daniel, attivo a Londra e a Cambridge dal 1630 al 1670 circa.

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innumerevoli esempi di questo tipo, in cui la forza è esercitata per flessione e l’equilibrio si ristabilisce per distensione o ritorno.

Tutto questo assomiglia a un pendolo, o a un piombo appeso a una corda, la cui gravità, come la molla negli altri corpi, lo riporta al suo posto, in questo caso verso il basso, dato che tutti i corpi pesanti naturalmente scendono finché non incontrano un qualche ostacolo sul quale fermarsi. E il punto più basso cui può scendere il piombo nel suo dipendere dalla corda è quando si trova in posizione perpendicolare, come in AB, dove è più vicino al piano orizzontale GH, perciò al punto più basso. Ora, se mantenendo tesa la corda si spinge il piombo verso l’alto da B a C e lo si lascia andare, muovendosi spontaneamente esso tenterà di ritornare a B; però non essendoci altro ostacolo che lo blocchi se non l’aria, l’impulso della propria velocità lo porterà oltre B, verso D; e così avanti e indietro, decrescendo a ogni oscillazione fino a fermarsi in B.

In questo modo pendolo e molla hanno una natura simile se si considera la forza applicata contro di essi e il loro sforzo di ritorno.

Inoltre, se si prende una lamina di acciaio sottile e rigida, come un pezzo di nastro comune di una certa lunghezza, e la si inchioda da un capo lasciando il resto libero nell’aria, una volta spostata l’altra estremità di lato e poi lasciata andare produrrà avanti e indietro vibrazioni esattamente corrispondenti a quelle di

A

G B HE F

DC

I

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un pendolo. E ancor più se all’estremità si applica un pesetto d’acciaio, sia per coadiuvare il movimento una volta avviato, sia per meglio far fronte alla resistenza dell’aria. Non ci saranno differenze tra le vibrazioni di questa molla e quelle di un pendolo – dato che in ambedue aumenteranno o diminuiranno in proporzione alle loro lunghezze – essendo lo stesso fine, vale a dire la stasi, ottenuto allo stesso modo, con la gravità nell’uno e con l’elasticità nell’altra.

Inoltre, se si inchioda il capo superiore di una molla e la si lascia pendere verticalmente, fissando un peso maggiore all’estremità più bassa, e se poi la si mette in moto, le vibrazioni saranno continue e provocate sia dalla gravità sia dall’elasticità; pendolo e molla saranno felicemente congiunti per determinare moti vibratori uniformi, cioè un’uguale misura di tempo nelle oscillazioni. Solo che la molla, a seconda della propria forza, può far sì che le vibrazioni siano un po’ più veloci, come avviene con un aumento di tensione in una corda della stessa lunghezza.

Si prenda ora in considerazione la corda di uno strumento, che è una molla fissata a entrambe le estremità. Essa acquista una doppia elasticità. La prima è data dalla tensione; la molla risulta più forte o più debole, a seconda che la tensione sia maggiore o minore, e quanto più forte è la molla, tanto più frequenti sono le vibrazioni. È grazie a questa tensione, quindi, che vengono accordate le corde di uno strumento, mantenendole nella stessa lunghezza, e questa molla tira in senso longitudinale determinando una diminuzione della tensione.

In secondo luogo, la corda sottoposta a una determinata tensione possiede un’altra potenza elastica, laterale, dipendente dalla prima e grazie alla quale, se viene tirata di lato, tende a riportarsi alla tensione più lieve nella linea più breve, ovvero più retta.

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Nel primo caso, la tensione produce il medesimo effetto anche con una diminuzione della lunghezza e agisce sulla corda come propriamente agirebbe su una molla dal momento che, costretta com’è a essere tesa, la corda altrettanto forzatamente si lancia a riguadagnare la posizione rilassata in cui stava; tranne in senso lato, quindi, nei loro spontanei movimenti di ritorno alla distensione, col pendolo si stabilisce poca analogia.

Nel secondo caso, invece, c’è una grande corrispondenza tra le oscillazioni di un pendolo e le vibrazioni di una corda (perché così le chiamerò ora, per distinguerle), in quanto sono entrambe proporzionate alla loro lunghezza, come è stato dimostrato, e anche tra l’elasticità che muove la corda e la gravità che muove il pendolo, avendo entrambe la stessa tendenza a riprendere la posizione iniziale con la stessa modalità. L’inclinazione del movimento di un pendolo, e di conseguenza dell’impulso della sua gravità, diminuisce sempre più nell’arco delle sue oscillazioni partendo da un semicerchio fino ad arrestarsi perpendicolarmente, e quindi la discesa appare più precipitosa nelle prime oscillazioni più grandi e più orizzontale nelle ultime e più piccole (come si può vedere in CI IE EB nella figura precedente). Parimenti, l’impulso di una molla gradualmente diminuisce con l’accorciarsi delle oscillazioni e la conquista della distensione, finché non ritrova la stasi nella sua linea più breve. E questa può essere la causa dell’uniformità del tempo delle oscillazioni di un pendolo e anche delle vibrazioni di una corda. Dunque le proporzioni della lunghezza – rispetto alla velocità delle vibrazioni nell’un caso e a quella delle oscillazioni nell’altro – siamo certi ed è evidente dall’esperienza che sono il quadruplo in uno e il doppio nell’altro.

Si attacchino insieme due pendoli uguali, come prima, e si fissino a entrambe le estremità; togliendo i piombi

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si forma una corda che continua a mantenere le stesse proprietà di movimento, solo che ciò che prima si diceva determinato dalla forza di gravità ora dobbiamo dire prodotto dall’elasticità. Si noti come qui sia facile passare da una situazione all’altra e come queste concordino tra di loro. I fenomeni sono gli stessi, ma difficilmente sperimentati su una corda, dove le vibrazioni sono troppo veloci per poter essere misurate con precisione; più facilmente si può con un pendolo, le cui lente oscillazioni possono essere misurate con soddisfazione e segnate da ampi intervalli di tempo.

Per capire più da vicino, invece di avvitare una corda attorno a un perno, la si tenda per mezzo della gravità e si appenda un peso su una carrucola a un’estremità; aumentando il peso aumenta la tensione e aumentando la tensione aumenta la velocità delle vibrazioni. Così le vibrazioni vengono, in proporzione, regolate immediatamente dalla tensione e indirettamente dalla gravità. Sicché la forza di gravità può esigere la propria parte nelle misure di questi moti armonici.

Ma, per avvicinarci ancor più al nostro proposito e centrarlo, si leghi in alto una corda di minugia39 o di metallo e le si appenda in basso un corpo pesante; a seconda che il peso sia maggiore o minore, così sarà la tensione e quindi le vibrazioni. Ma se si mantiene quello stesso peso la corda avrà una tensione definita e stabile. In questo caso ci sono ambedue le cose in una: un pendolo e il movimento elastico di una corda che assomiglia a un doppio pendolo. Spostiamo il peso lateralmente e lasciamolo dondolare; si ha propriamente un pendolo che oscilla secondo la sua stessa natura. Inoltre, quando il peso è fermo, perturbando la parte superiore della corda con un lieve plettro di penna d’oca in modo da non far muovere il peso, la corda vibrerà ed

39 Gut [minugia]: budella di ovini, dal basso latino minutia ‘cose minute’, indipendente dal gae-lico mionach ‘intestini’.

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emetterà il suo suono come altre corde similmente fissate ad ambo gli estremi. Sicché qui si ha sia un pendolo che una corda o, dei due, quello che vi piace.40 E, supponendo che la tensione sia subordinata allo stesso peso, la misura comune e il regolatore delle proporzioni è la lunghezza. Alterando quest’ultima, subito si altera proporzionalmente anche la velocità dei moti delle vibrazioni della corda e delle oscillazioni del pendolo. E sebbene le vibrazioni siano tanto più veloci e più frequenti delle oscillazioni, i rapporti vengono comunque ugualmente alterati; se si dimezza la lunghezza della corda le vibrazioni raddoppieranno e se la si riduce a un quarto anche le oscillazioni raddoppieranno, tenendo dovuto conto dell’estensione del peso da accorciare per determinare la lunghezza del pendolo.

Le vibrazioni saranno il doppio delle oscillazioni perché, come dimostrato, la corda è come un pendolo doppio in cui ciascuno è lungo metà della corda stessa e si quadruplica col raddoppiarsi di questa; perciò il rapporto delle loro alterazioni si attiene con tanta certezza e regolarità al rapporto di ogni mutamento della loro lunghezza comune; se si ha il rapporto di comparazione di queste o di quelle, ossia delle vibrazioni oppure delle oscillazioni rispetto alla lunghezza, si ottengono ambedue. Questo perché l’aumento della velocità delle oscillazioni è metà dell’aumento della velocità delle vibrazioni. Così i moti di un pendolo ci rivelano appieno e con pertinenza i movimenti di una corda, grazie alla palese corrispondenza delle loro proprietà e della loro natura. Obbedendo a rapporti tanto certi rispetto alla lunghezza, il moto per forza di gravità dell’uno e per forza elastica dell’altra

40 But… please [Ma… piace]: l’idea di appendere un peso a una corda e poi pizzicarla con un plettro è stata probabilmente suggerita a Holder da Gassendi; cfr. nota 4, qui a p. 15.

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fanno sì che i principi dell’armonia vengano chiariti correttamente e compresi assai facilmente grazie alla spiegazione del primo. E constatiamo come, nel corso dei secoli, questa parte dell’armonia non è mai stata capita in modo tanto chiaro quanto dopo le recenti scoperte sul pendolo.41

E io preferisco procedere a questa illustrazione per mezzo del pendolo perché è tanto più semplice della forza elastica da sperimentare e da comprendere.

Dopo aver visto l’origine dei suoni intonabili o armonici e della loro differenza rispetto all’acuto e al grave, si dovrà ora considerare come giungano a essere influenzati dalla consonanza e dalla dissonanza e cosa queste siano.

41 late… Pendulum [recenti… pendolo]: allusione agli esperimenti postgalileiani condotti sugli orologi a molla, utili alla navigazione perché in grado di calcolare la longitudine. Nel 1656 Huygens brevettò un prototipo che l’anno dopo entrò in produzione all’Aia presso Solomon Coster, titolare dell’esclusiva per fabbricarlo, e che venne più volte collaudato in mare fra il 1660 e il 1670; cHri-sTiaan HuyGens, Horologium, Den Haag, Adriaan Vlacq, 1658; cHrisTiaan HuyGens, Horologium oscillatorium sive De motu pendulorum ad horologia aptato demonstrationes geometricae, Paris, François Muguet, 1673. Nel 1668 Lorenzo Magalotti (1637-1712), ultimo segretario dell’Accademia del Cimento in visita ufficiale alla Royal Society, dichiarò di aver visto un orologio a molla. Nel 1675 giunse a Hooke, impegnato a perfezionare la stessa invenzione, la sgradevole notizia sulla scoperta di Huygens che lo aveva preceduto. Questi studi daranno origine al moderno orologio meccanico da polso, con molla e bilanciere.

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Capitolo III

Della consonanza e della dissonanza42

La consonanza e la dissonanza sono il risultato della concordanza, mescolanza o unione (oppure il contrario) dei moti ondulatori dell’aria, ovvero del mezzo, determinati dalle vibrazioni dalle quali sono creati suoni di altezze distinte. E queste vibrazioni sono più o meno suscettibili di tale mescolanza o coincidenza secondo il rapporto dei valori di velocità con cui vengono prodotte, cioè a seconda che risultino più o meno proporzionate. Questo potrebbe essere stabilito come postulato, ma cercherò di illustrare con svariati esempi i moti ondulatori ovvero le ondulazioni dell’aria, confermando ciò che si dice sulla loro concordanza e sulla discordanza. E prima di tutto considero le ondulazioni, grazie a quello che osserviamo nei liquidi.

Si lasci cadere un sasso al centro di un piccolo stagno quando l’acqua è calma;43 si vedrà immediatamente imprimersi sull’acqua un movimento che oltrepassa il punto centrale in cui il sasso è caduto e si espande in onde circolari, una dentro l’altra, che si propagano sempre dal centro fino a raggiungere le sponde contro le quali urtano; e poi, se la forza del movimento è sufficiente, ritornano e senza ostacolarli s’imbattono in quei cerchi interni che perseguono lo stesso corso.

E se si getta un sasso in un altro posto, anche da quel centro si propagheranno onde circolari che, incontrando le altre, tranquillamente le oltrepasseranno, avanzando ognuna secondo la propria configurazione.

La stessa cosa si sperimenta meglio nel mercurio44 poiché, essendo

42 Of… Dissonancy [Della… dissonanza]: qui Holder parla di suoni e non di intervalli conso-nanti (che affronterà nel capitolo successivo). Anche nella Sectio canonis si parla di suoni consonanti, secondo la lezione aristossenica, dato che i suoni vengono percepiti col senso, gli intervalli con la ragione.

43 Let… quiet [Si lasci… calma]: fra i numerosi teorici che citano l’esperimento, cfr. boeZio (480-526 circa), De institutione musica, libro I, capitolo III; Zarlino (1517-1590), parte II, capitolo X, p. 176: «E sì come quando si getta nell’acqua alcun sasso, subito si fa in essa un picciol cerchio, e tanto si fa maggiore quanto gli è permesso dal movimento, percioché essendo stanco si ferma né procede più oltra, così intraviene dei suoni nell’aria e delle voci che tanto si diffondono i circoli fatti in esso e si fanno maggiori quanto gli è permesso dal movimento; e in tal modo ferisce l’orecchie dei circostanti».

44 Quick-silver [mercurio]: in greco hydrargyros ma definito ‘argento vivo’, per la sua mobilità liqui-

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un corpo più denso, continua i suoi moti più a lungo e lo si può vedere più da vicino. Se si conduce l’esperimento in un recipiente rotondo abbastanza grande, supponiamo del diametro di un piede,45 le onde conserveranno il proprio moto avanti e indietro e, incontrandosi, tranquillamente si oltrepasseranno. Qualcosa del genere si può vedere in un condotto lungo e stretto dove non c’è spazio per procedere con moto circolare.

Si costruisca una vasca in legno, oppure una lunga scatola, supponiamo larga due pollici,46 profonda due e lunga venti. La si riempia per tre quarti o metà di mercurio e la si ponga orizzontalmente. Quando il mercurio è fermo, si dia un colpetto a un’estremità con un dito e si imprimerà un moto di onda increspata47 che passerà da una parte all’altra, giungerà all’altro lato e, cozzandovi, ritornerà nello stesso modo a urtare contro il primo e di nuovo ritornerà e avanti e indietro finché il moto non cesserà. Ora, se dopo aver avviato questo movimento se ne provocherà un altro, si vedrà che ogni onda mantiene il proprio andamento regolare e quando l’una incontra l’altra si oltrepassano senza alcuna riluttanza.

Non dico che questi esperimenti rispondano pienamente al mio proposito perché, avvenendo su corpi singoli, non sono sufficienti a chiarire la discordanza di moti sproporzionati determinati da vibrazioni diverse di corpi sonori differenti; però possono servire a illustrare gli invisibili moti ondulatori dell’aria come quelli di una voce riflessa dalle pareti di una stanza, o eco di vibrazioni adeguate, che rimbalzino sulla parete e incontrino le ondulazioni proporzionate che incedono senza che gli uni ostacolino le altre.

Ma ci sono esempi che confermano ulteriormente le ragioni della consonanza e della dissonanza in base agli

da, oltre che in inglese e in italiano, nel tedesco Quecksilber o nel francese vif argent.45 foot [piede]: le misure ufficiali inglesi, leggermente diverse da quelle statunitensi, sono state

fissate soltanto nell’Ottocento avanzato; nell’attuale sistema, detto imperiale, 1 yard = 91,44 centi-metri; 1 foot = 1/3 di yard = 30,48 centimetri.

46 Inches [pollici]: attualmente 1 inch = 1/12 di yard = 2,54 centimetri.47 Errata corrige: nel testo originale leggi ridged invece di ridgid.

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evidenti valori concordanti o discordanti dei moti, di cui si è già parlato. È stata una pratica comune imitare su un organo un tamburello e uno

strumento a fiato.48 Si suonino insieme due tasti discordanti (i bassi lo rileveranno meglio, perché le loro vibrazioni sono più lente): per esempio, Sol con Sol diesis o con Fa diesis, o tutti e tre insieme. Anche se questi suoni fossero di per sé molto gradevoli e ben intonati, percossi assieme, i loro moti sproporzionati creeranno uno scontro tale nell’aria, un tale frastuono e un tale baccano da sembrare un rullo di tamburo che accompagna una giga49 eseguita con l’altra mano. Se si fa cessare tutto questo e si suona un’ampia cadenza di accordi, apparirà dolce e musicale in modo sorprendente, dimostrando come in una composizione disarmonie ben collocate mettano in risalto gli accordi. Riporto questo esempio per dimostrare quanto questi moti ondulatori siano potenti e impetuosi e quanto essi corrispondano alle vibrazioni dalle quali sono prodotti.

Varrebbe la pena riferire un fatto che mi capitò. In una stanza dall’ampia risonanza e col soffitto a volta, mi trovavo vicino all’acuta campanella di un orologio da tavolo; al battere dell’ora mi misi a fischiettare accompagnando la soneria, il che mi riusciva agevolmente alla sua stessa altezza ma, se tentavo di emettere una nota più alta o più bassa, il suono della campanella e i suoi moti trasversali predominavano tanto da bloccarmi il respiro e le labbra a tal punto che proprio non mi riusciva né di fischiettare né di produrre un qualche suono di un’altezza diversa da quello. In seguito, suonai su un fischietto stridulo e stonato rispetto a quella soneria e i loro moti si scontrarono in modo tale che sembravano risuonare come se si percuotessero l’un l’altro nell’aria.

Nella sua teoria sul pendolo, Galileo spiega in modo semplice e naturale

48 It… Organ [È… fiato]: la prassi del tabour and pipe (tamburello e flauto) ebbe ampia diffusione nell’Inghilterra del XIII secolo e acquistò grande fortuna nei secoli XVI e XVII, soprattutto per opera del virtuoso John Price, morto a Vienna nel 1641. Nella pratica del tempo gli strumenti a fiato erano pensati inseparabili da quelli a percussione; nella musica popolare inglese l’abbinamento continua a sopravvive in concomitanza con le morris dances, danze grottesche, presenti anche nelle corti inglesi del XVII secolo, realizzate da danzatori vestiti con bizzarri costumi e con le facce di-pinte di nero; deumm, s.v. Tamburino.

49 Jigg [giga]: in questo caso si può identificare con la danza strumentale di origine inglese, in tempo ternario composto e in forma binaria con andamento vivace.

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la tanto ammirata simpatia delle corde consonanti;50 anche se non viene toccata, una corda si muove quando si percuote l’altra. Ciò risulta percettibile in corde dello stesso strumento oppure di un altro, facendole vibrare in modo da scuotere e far cadere un fuscello posto sull’altra corda, ma nello stesso strumento può risultare molto più visibile, come in una viola da gamba. Si solleciti con energia e decisione una delle corde più basse con un archetto; se qualcuna delle altre corde è all’unisono o all’ottava rispetto a essa, la si vedrà chiaramente vibrare continuando a farlo finché si muove l’archetto sulla corda, mentre nel frattempo tutte le altre corde dissonanti rimangono ferme.

La ragione di ciò è la seguente. Quando si percuote la corda, il suono di questa nel propagarsi colpisce e smuove tutte le altre corde e ognuna si muove secondo la vibrazione propria. La corda consonante, mantenendo lo stesso numero di vibrazioni della corda che risuona, continua il proprio moto e lo trasmette grazie alle continue pulsazioni o colpi concordanti dell’altra. Mentre le rimanenti corde dissonanti che non vengono aiutate, anzi, ostacolate dai moti trasversali della corda che risuona, sono costrette a rimanere ferme e mute. Similmente, se ci si mette di fronte a un pendolo e, nel momento in cui si allontana, gli si soffia sopra con delicatezza e si continua così nelle oscillazioni successive mantenendosi esattamente a tempo, esso continua il suo moto più facilmente. Ma se si soffia irregolarmente, in maniera diversa da quella del suo moto, per la maggior parte quindi soffiandogli contro, quest’ultimo sarà frequentemente ostacolato tanto che cesserà molto rapidamente.

Si può notare, come prima accennato, che questo conferma anche la suddetta uguaglianza del tempo delle vibrazioni fino alla fine, perché le vibrazioni piccole e deboli della corda simpatica vengono regolate e fatte continuare dalle pulsazioni delle vibrazioni più grandi e forti della corda risonante; e ciò dimostra che, nonostante la differenza di ampiezza, esse sono commensurate nel tempo del loro movimento.

50 Galileo… strings [Nella… consonanti]: Galileo, pp. 111-112. Lo studio delle vibrazioni sim-patiche delle corde occupò una posizione di rilievo nelle ricerche acustiche dei contemporanei di Holder, fra cui Bacone, Mersenne, Gassendi e John Wallis (1616-1703), e procedette di pari passo con lo studio dei moti del pendolo. Holder però considera Galileo l’unico riferimento per la sua analogia tra le corde e il pendolo; sTanley, pp. 66-74.

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Questo esperimento è antico; lo ritrovo in Aristide Quintiliano, un autore greco che si suppone contemporaneo di Plutarco;51 ma, dedotta dal pendolo, la causa che lo determina è nuova e scoperta per la prima volta da Galileo.

È una pratica comune52 cercare di scoprire l’intonazione di un bicchiere da birra53 senza colpirlo, avvicinandolo alle labbra e canticchiando forte a bocca chiusa a diverse altezze distinte; quando infine si scopre quella del bicchiere, questo vibrerà e ci risponderà in eco. Il che dimostra la concordanza e l’uniformità delle vibrazioni della stessa altezza anche se in corpi diversi.

Per concludere questo capitolo posso dire che la consonanza è il passaggio attraverso il mezzo di diversi suoni musicali, che spesso si mescolano e si uniscono nei loro moti ondulatori, determinati dalle vibrazioni ben proporzionate e commensurate dei corpi sonori e che di conseguenza giungono gradevoli, musicali e piacevoli all’orecchio. Al contrario, la dissonanza proviene da movimenti del suono non proporzionati, che non si congiungono, ma stonano e si scontrano quando passano e giungono all’orecchio aspri, stridenti e sgradevoli. E questo verrà più ampiamente spiegato nel prossimo capitolo.

Considererò ora quali consonanze e quali dissonanze vengono così prodotte e come vengono utilizzate in armonia.

51 This… Plutarch [Questo… Plutarco]: arisTide QuinTiliano, De musica, libro II, capitolo XVIII. Secondo alcuni Quintiliano, celebre musicografo greco, visse a cavallo fra il III e il IV se-colo, secondo altri fra il I e il II, più o meno come il famoso biografo Plutarco di Cheronea (46 o 48-125 o 127 d.C.). Considerato la più importante fonte d’informazione dell’epoca, il De musica è suddiviso in tre libri: nel primo affronta la ritmica, la metrica, le scale; nel secondo l’etica musicale; nel terzo le relazioni della musica coi fenomeni naturali attraverso i numeri. Si tratta di un lavoro compilativo dal momento che utilizza scritti di Aristosseno, Damone di Atene (V secolo a.C.) e Dionigi di Alicarnasso (60-7 a.C. circa); deumm, s.v. Aristide Quintiliano.

52 ordinary Trial [pratica comune]: sembra che la menzione degli esperimenti compiuti coi bicchieri si trovi per la prima volta nel trattato del lombardo francHino Gaffurio (1451-1522), Theorica musicae, Milano, Filippo Mantegazza detto il Cassano, 1492, illustrata da una famosa xilografia; Grove, s.v. Musical glasses; nella figura si vedono sei campane e sei recipienti di vetro, più o meno colmi di liquido e contrassegnati da numeri che in proporzione coprono due 8e; leggendo da destra a sinistra 4, 6, 8, 9, 12, 16; Pitagora è intento a percuotere l’8ª formata da 16 e 8 (= 2/1); cfr. qui a pp. 138-139, 186-187.

53 Beer-glass [bicchiere da birra]: la birra, antichissima bevanda inebriante ottenuta con la fermen-tazione dei cereali, veniva consumata già dai Sumeri. Il codice di Hammurabi (1792-1750 a.C.), che ne regolava la fabbricazione, prevedeva gravi sanzioni per chi osava annacquarla. Ben conosciuta dagli Egizi e dai Fenici, non piaceva né ai Greci né agli Etruschi né ai Romani che preferivano il vino. Durante il Medio Evo inglese la birra veniva prodotta nei monasteri o nelle case private; la prima corporazione denominata Brewers’ Company ottenne il privilegio da Enrico IV nel 1454.

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Capitolo IV

Delle consonanze

Le consonanze sono suoni armonici che, una volta uniti, piacciono e dilettano l’orecchio; e le dissonanze il contrario. Cosicché è il giudizio dell’orecchio che in verità stabilisce quali sono le consonanze e quali le dissonanze. E a tale giudizio dobbiamo anzitutto ricorrere per scoprire il loro rapporto. Dopo di che possiamo ricercare ed esaminare in che modo la produzione naturale di questi suoni li combini per essere piacevoli oppure sgradevoli. Nello stesso modo il palato è l’arbitro assoluto dei gusti, di ciò che è dolce e di ciò che è amaro o aspro, benché di queste qualità si possano anche riscontrare alcune cause naturali. Dato però che l’orecchio viene deliziato da moti soggetti a precise dimostrazioni delle loro misure, la teoria a riguardo è suscettibile di essere svelata più accuratamente.

In primo luogo quindi – tralasciando la consonanza di unisono, dato che in quel caso non esiste alcuna distanza o intervallo bensì un’identità di altezza – l’orecchio riconosce e approva come consonanti rispetto a una qualsiasi nota data i seguenti intervalli e solo questi: l’ottava, la quinta e poi la quarta (benché degradata dalla sua posizione da maestri di musica posteriori),54 quindi la terza maggiore, la terza minore, la sesta maggiore e la sesta minore.55 Come pure quegli intervalli che possono essere formati da questi nell’estensione di una qualsiasi voce o strumento oltre l’ottava, perché tali sono, cioè composti. Solo i primi sette sono consonanze semplici. Non che non possano sembrare composte, cioè le più grandi da quelle più piccole, all’interno di un’ottava tanto da poterle definire sistemi, ma in realtà sono semplici;56 ma quando superano un’ottava non sono altro che una loro ripetizione in combinazione con

54 though… Place [benché… posteriori]: da intendersi probabilmente come «posteriori» alla pri-missima fioritura della polifonia medievale. Per esempio nel 1477 Johannes Tinctoris (circa 1430-1511), nel Liber de arte contrapuncti, considera la quarta un intervallo consonante; edizione moderna, a cura di Gianluca D’Agostino, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2008, pp. 141-149; invece sembre-rebbe dissonante in JoHannes TincToris, Terminorum musicae diffinitorium, Treviso, Gerardo di Lisa, [1494], rielaborato rispetto alla prima stesura, databile al 1473; nicola di sTefano, Storia e critica delle nozioni di consonanza e dissonanza. Studio teorico ed empirico della concezione musicale, tesi di dottorato, università di Roma, 2014, pp. 54-57.

55 First… Minor [In… minore]: cfr. qui a pp. 286 sgg. 56 Originals [semplici]: cfr. Nota al testo, qui a p. 259.

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questa. Così una decima è un’ottava più una terza, una dodicesima è un’ottava più una quinta, una quindicesima è una doppia ottava, cioè due ottave, ecc.

Nonostante questa distinzione tra consonanze semplici e composte – anche se queste ultime si identificano e si distinguono a seconda della loro tendenza verso le consonanze semplici comprese nel sistema57 di diapason (come una decima ascendendo è un’ottava sopra la terza, oppure una terza sopra l’ottava; una dodicesima è un’ottava sopra la quinta, oppure una quinta sopra l’ottava; una quindicesima è un’ottava sopra l’ottava, cioè disdiapason, due ottave, ecc.) – devono essere riconosciute e considerate veri e propri intervalli consonanti e ugualmente utili in musica, specialmente in quella del consort.58

Il sistema di un’ottava, che contiene sette intervalli o distanze o gradi e include in tutto otto note rappresentate da otto corde, è chiamato diapason, cioè un sistema formato da tutte consonanze intermedie. Anticamente si riteneva che queste fossero solamente la quinta e la quarta, ambedue contenute dall’ottava essendone composta,59 ma ora anche le terze e le seste vengono considerate consonanze.60 L’ottava contiene anche queste – cioè una terza maggiore e una sesta minore e ancora una terza minore e una sesta maggiore – e non essendo che una ripetizione dell’unisono (o nota data sotto di essa) conclude il primo sistema perfetto e l’ottava superiore salirà secondo gli stessi intervalli; e sarà ugualmente composta, e così via fin dove è possibile salire o scendere con voci o strumenti, come si può vedere in un organo o in un clavicembalo. Perciò giustamente questo intervallo è giudicato dall’orecchio come il più importante di tutte le consonanze ed è l’unico sistema consonante che,

57 System [sistema]: il termine ha per i Greci approssimativamente lo stesso significato che ha per noi il termine intervallo. Holder lo definisce «unione o combinazione di intervalli» e spiega la differenza tra sistema e diastema; cfr. qui a pp. 182-185.

58 consort: dal latino consortium, indica un complesso strumentale da camera inglese secentesco e le composizioni scritte per esso in cui era importante che si distinguessero chiaramente tutti gli strumenti e nel contempo le parti; deumm, s.v. Consort.

59 which… both [Anticamente… composta]: per la suddivisione dell’8a negli intervalli di 4a e di 5a, cfr. qui a pp. 84-85, 138-139.

60 And… Concords [ma… consonanze]: grazie alla scala naturale zarliniana; cfr. qui a pp. 287 sgg.

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una volta aggiunto a se stesso, formi ancora intervalli consonanti. Tutte le altre consonanze concordano con questo intervallo e risultano

consonanti benché non tutte siano concordi tra di loro, né alcuna di queste formi una consonanza se aggiunta a se stessa; e il complementare o rimanenza di un qualsiasi intervallo consonante rispetto alla diapason è ancora un intervallo consonante.61

In ordine di importanza, la consonanza successiva è la quinta, quindi la quarta, la terza maggiore, la terza minore, la sesta maggiore e per ultima la sesta minore, tutte considerate ascendendo dall’unisono o nota data.

Per unisono s’intende talvolta la disposizione o il rapporto di uguaglianza tra due note messe a confronto aventi esattamente la stessa altezza; talvolta (come qui) la singola nota data alla quale si paragona la distanza, ovvero i rapporti di altri intervalli. Per esempio, per mancanza di un termine più appropriato, chiamiamo unisono Gamut62 quando si considerano le relazioni rispetto ad esso; quando La è a distanza di un tono o di una seconda, Si di una terza, Do di una quarta, Re di una quinta, ecc. In questo modo, anche Do, oppure qualsiasi altra nota a cui si rapportino altri intervalli, si può chiamare unisono.

E il lettore può facilmente distinguere in che senso viene impiegato il termine via via rifacendosi alla coerenza del discorso.

Passo ora a considerare le cause naturali per cui le consonanze sono gradite all’orecchio, prendendo in esame i moti che le producono tutte e che, accennate in modo generale all’inizio del terzo capitolo, ora tratterò in modo più parti-colareggiato.

E qui spero che il lettore perdoni qualche ripetizione in un argomento che ha bisogno di tutti i chiarimenti possibili se, per facilitare l’apprendimento, prima di continuare ripassiamo e ricapitoliamo brevemente alcune nozioni precedentemente date e più ampiamente considerate. Ho dimostrato che:

61 And… Concord [Tutte… consonante]: per esempio, se si suona Do-Fa oppure Do-Sol insie-me a Do-Do è consonante, ma se si suonano insieme Do-Fa e Do-Sol è dissonante, così pure due 5e, Do-Sol e Fa-Do, per la compresenza di Fa e Sol. Quando parla di «complementare o rimanenza» di un intervallo rispetto alla diapason, Holder anticipa la teoria dei rivolti degli intervalli.

62 Gamut: Gamma Ut; gamma G, la lettera maiuscola dell’alfabeto greco indica la nota più grave del sistema e corrisponde al Sol.

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1. il suono armonico, ovvero il suono intonato, è prodotto da vibrazioni costanti o tremolii di un corpo appropriatamente conformato;

2. queste vibrazioni compiono i loro moti di andata e ritorno nello stesso arco di tempo, dall’oscillazione maggiore a quella minore, fino a fermarsi;

3. queste vibrazioni sono soggette a una certa frequenza di andate e ritorni in un determinato intervallo di tempo;

4. se le vibrazioni sono più frequenti, l’altezza sarà proporzionalmente più acuta; se meno frequenti, più grave;

5. le oscillazioni di un pendolo raddoppiano la loro frequenza, se questo risulta quattro volte più corto, e la dimezzano se la lunghezza è quadruplicata;

6. una corda di uno strumento musicale è simile a un doppio pendolo, ovvero a due pendoli uniti insieme nel senso della lunghezza, e perciò grazie al raddoppiamento presenta gli stessi effetti, come quando si quadruplica il pendolo, cioè raddoppiando la lunghezza della corda, le sue vibrazioni si dimezzeranno, ossia saranno la metà di quelle che erano in un determinato tempo. E, dimezzando la lunghezza della corda, le vibrazioni raddoppieranno e così, proporzionalmente, in tutte le altre misure di lunghezza, poiché le vibrazioni stanno con essa in rapporto inverso;

7. queste vibrazioni imprimono al mezzo un moto di ondulazione o tremolio della loro stessa misura, finché dura il moto;

8. se i moti prodotti da corde differenti sono proporzionati a tal punto da mescolarsi e unirsi, compiono lo stesso moto di andata o completamente, o alternativamente, o con la medesima frequenza; così unendosi, i suoni di tali corde diverse

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attraverseranno allora tranquillamente il mezzo e giungeranno all’orecchio come un suono solo, o quasi, e lo diletteranno in modo uniforme e dolce. Questa è la consonanza; e dalla mancanza di questa mescolanza deriva la dissonanza. Posso aggiungere che, come l’aumento della mescolanza o coincidenza di vibrazioni di solito rende gli intervalli consonanti più perfetti, così meno frequente è la mescolanza, tanto maggiore e più aspro sarà l’intervallo dissonante.

Da queste premesse sarà facile comprendere la causa naturale per la quale l’orecchio prova piacere all’ascolto delle suddette consonanze; ciò accade perché spesso sono tutte unite nei loro moti, per lo meno a ogni sesto moto di andata63 della vibrazione, come risulta dai rapporti in cui si costituiscono, tutti contenuti entro tale numero. Tutti i rapporti contenuti entro il sei64 generano consonanze, giacché la mescolanza dei loro moti è responsabile del loro rapporto, e sono generate durante o prima di ogni sesto moto di andata. Questo sarà evidente se si prendono in considerazione i loro moti, in primo luogo come e perché gli unisoni concordino in modo così perfetto e poi scoprendo la natura di un’ottava; stabilito ciò seguirà il resto.

A questo proposito si percuota una corda di uno strumento musicale e nello stesso tempo un’altra corda supposta uguale sotto ogni aspetto, cioè in lunghezza, materiale, spessore e tensione. In tal caso, entrambe le corde danno il loro suono; ogni suono è a una certa altezza, ogni altezza è determinata da una certa quantità di vibrazioni, le stesse vibrazioni vengono impresse e trasportate in ogni direzione lungo il mezzo in ondulazioni della stessa misura fino a che i suoni giungono all’orecchio. Ora, supposte le corde uguali sotto tutti i punti di vista, ne deriva che anche le loro vibrazioni devono essere

63 every… Course [ogni… andata]: cfr. la spiegazione, qui a pp. 92-97.64 all… Six [Tutti… sei]: è il principio zarliniano del senario; cfr. qui a p. 287.

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uguali e di conseguenza si muovono nella stessa misura, congiungendosi e unendosi a ogni moto di andata e di ritorno e mantenendo sempre la stessa uguaglianza e mescolanza di moti della corda nel mezzo. Perciò il comportamento di queste due corde è detto unisono ed è perfettamente consonante a tal punto che è un’identità di altezza, non esistendo tra loro alcun intervallo o distanza. E l’orecchio difficilmente può giudicare se il suono sia prodotto da due corde oppure da una sola.

Ma la consonanza viene più propriamente considerata come intervallo o distanza tra due altezze diverse. E la più perfetta tra loro è quella che risulta più vicina all’unisono, non intendendo dire quella in cui c’è la distanza minore, bensì quella nei cui moti ci sono la mescolanza e la concordanza più prossime all’unisono. I moti di due unisoni stanno in rapporto di 1 a 1, ovvero di uguaglianza.65 Il rapporto successivo nei numeri interi è di 2 a 1, il doppio. Si divida un monocordo in due parti uguali; essendo dimezzato il rapporto, la mezza lunghezza produrrà vibrazioni doppie rispetto all’intera compiendo due moti di andata e ritorno nel medesimo tempo in cui l’altra ne fa uno, unendosi e mescolandosi così in modo alterno, cioè un movimento sì e uno no. Confrontando allora i suoni prodotti da queste due parti si scoprirà che quella dimezzata suona a un’ottava rispetto all’intera corda.66 Ora, stabilito che l’ottava (sopra l’unisono) è in rapporto doppio di vibrazioni e dimezzato di lunghezza, ne consegue che si possono facilmente trovare i rapporti di tutti gli altri intervalli.67

Questi ultimi si determinano scomponendo o dividendo l’ottava nei rapporti intermedi in essa contenuti. Nel sesto teorema della Sectio canonis Euclide dà due dimostrazioni per provare

65 The Motions… Equality [I moti… uguaglianza]: il primo sistema di valutazione della differenza di altezza tra due suoni è stato quello frazionario (successivamente quello decimale) dove il numera-tore indica la frequenza del suono più acuto e il denominatore del suono più grave.

66 Then… Chord [Confrontando… corda]: questa proporzione, già descritta da mersenne, libro I, proposizione IX, p. 39, è stata ulteriormente dimostrata dai membri della Royal Society. Gli esperimenti suggeriti da Wallis furono eseguiti durante le riunioni del 1664 con un filo d’ottone lungo oltre quarantuno metri e ampiamente documentati, senza comunque mai citare lo studioso francese; GoZZa, p. 159.

67 Now… out [Ora… intervalli]: Nicomaco fra gli altri distinse l’intervallo dal rapporto; l’inter-vallo è la distanza tra due termini omogenei e diseguali, il rapporto è la relazione tra due termini omogenei. E la differenza si riferisce all’eccedenza o al difetto tra due suoni confrontati tra loro. Per

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che il rapporto doppio contiene ed è formato dai due successivi rapporti, ossia sesquialtera e sesquiterza.68 Perciò un’ottava, che sta nel rapporto del doppio (2 a 1), è divisa e composta da una quinta, il cui rapporto risulta essere di sesquialtera (3 a 2), e da una quarta, il cui rapporto è di sesquiterza (4 a 3). Nello stesso modo, la sesquialtera è composta da sesquiquarta e sesquiquinta; ovvero si puo dividere una quinta (3 a 2) in una terza maggiore (5 a 4) e in una terza minore (6 a 5), ecc.

Esiste un modo semplice per vedere i rapporti intermedi che possono essere contenuti in qualsiasi rapporto dato, trasferendo i suoi numeri primi, ossia quelli radicali,69 in multipli di uguale proporzione, come 2 a 1 in 4 a 2, oppure in 6 a

Nicomaco il numero stava alla base di tutta la realtà, pertanto la distinzione tra il rapporto (espresso da numeri) e l’intervallo (espresso da grandezze) era fondamentale; nicomaco, Harmonices manuale, libro I, capitoli X-XII.

68 Euclid… Sesquitertia [Euclide… sesquiterza]: le due dimostrazioni di Euclide (IV secolo a.C.) sono le seguenti: «Il doppio intervallo è composto da due massimi superparticolari intervalli, cioè del sesquialtero e sesquiterzo, o sia superterzo.B L G+– – + – – + – – + – – + – – + – – +D K Z+– – + – – + – – + – – +Θ+– – + – – + – – +Sia BG sesquialtera di DZ e DZ sia sesquiterza di Θ, io dico che BG sarà doppio di Θ imperoché si levi da DZ KZ eguale a Θ e da BG sia levato LG eguale a DZ. Ora, che BG sia sesquialtera di DZ, lo mostra BL che è la terza parte di BG e la metà di DZ; di più, che DZ sia sesquiterza di Θ, lo mostra DK che è la quarta parte di DZ e la terza parte di Θ. Essendo dunque DK la quarta parte di DZ e BL la terza parte di BG, sarà DK la sesta parte di BG. Ma lo stesso DK sarà la terza parte di Θ; dunque BG sarà il doppio di Θ. Si mostra in altro modo:A+– – + – – + – – + – – + – – + – – +B+– – + – – + – – + – – +G+– – + – – + – – +Sia A sesquialtero di B e B sia sesquiterzo di G. Io dico che A è doppio di G; essendo A sesquial-tero di B, A contiene il B ed inoltre la sua metà; dunque 2A saranno eguali a 3B. Inoltre essendo B sesquiterzo di G, dunque B contiene G e di più una sua terza parte, dunque 3B saranno eguali a 4G. Ma 3B sono ancora eguali a 2A, dunque 2A sono eguali a 4G. Di qui è che A è eguale a 2G, dunque A è doppio di G»; euclide, Sectio canonis, capitolo VI, in meibom, pp. 28-29.

69 Radical Numbers [numeri… radicali]: numeri fondamentali, di base, minimi, ovvero primi; il

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3, ecc. che hanno lo stesso rapporto del doppio. Analogamente 3 a 2 in 6 a 4, che è ancora sesquialtera. Ora, tra 4 e 2 il medio è 3 cosicché i rapporti 4 a 3 e 3 a 2 sono compresi nel rapporto 4 a 2, cioè una quarta e una quinta sono incluse in un’ottava. Tra 6 e 4 il medio è 5, sicché il rapporto 6 a 4 contiene 6 a 5 e 5 a 4, ossia una quinta contiene le due terze. Sia 6 a 3 l’ottava; contiene 6 a 5 la terza minore, 5 a 4 la terza maggiore e 4 a 3 una quarta, e ha due medi, 5 e 4. Di questo dirò di più nel prossimo capitolo.

Questi rapporti esprimono la differenza di lunghezza, e dunque la differenza di vibrazioni, tra diverse corde che generano intervalli consonanti. Si prendano due corde A e B uguali sotto tutti gli altri aspetti e si confrontino le loro lunghezze che, se uguali, producono un unisono ovvero la stessa altezza. Se A è lunga il doppio di B, cioè se stanno in rapporto di 2 a 1, le vibrazioni di B saranno doppie di quelle di A e si uniscono in modo alterno, cioè a ogni moto di andata incrociandosi nel moto di ritorno, emettendo il suono di un’ottava rispetto ad A.

Se la lunghezza di A rispetto a B sta in rapporto di 3 a 2 e di conseguenza le vibrazioni stanno come 2 sta a 3, i loro suoni si associeranno in una quinta e i loro movimenti si uniranno dopo ogni secondo ritorno, cioè a ogni terzo movimento di andata.

Se A sta a B come 4 sta a 3 suonano una quarta dato che i loro moti si congiungono dopo ogni terzo movimento di ritorno, ovvero a ogni quarta andata.

Se A sta a B come 5 sta a 4 si sentirà un ditono, ossia una terza maggiore, e si riuniscono dopo ogni quarto moto di ritorno, cioè a ogni quinto moto di andata.70

Se A sta a B come 6 sta a 5 producono un trisemitono, ovvero una terza minore, ricongiungendosi dopo ogni quinto ritorno, a ogni sesta andata.

In questo modo, grazie alla frequenza del loro mescolarsi e unirsi, l’armonia delle consonanze si rivela assai dolce e piacevole, essendo quelle più lontane, attraverso il loro rapporto, combinate con altre consonanze oltre all’unisono.

termine è riferito ai rapporti i cui numeri sono primi tra loro. Anche Mersenne usa il termine radi-caux per indicare i numeri primi; mersenne, libro I, proposizione XII, p. 50.

70 Errata corrige: nel testo originale leggi Course invece di Recourse.

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La sesta maggiore (5 a 3) è contenuta nei rapporti tra 1 e 6; confesso però che la sesta minore (8 a 5) l’oltrepassa; ma è il complemento di 5 a 4 rispetto a un’ottava e produce un intervallo consonante migliore grazie alle sue combinazioni con l’ottava e con la quarta partendo dall’unisono; sono infatti in relazione di una terza maggiore rispetto all’una e di una terza minore rispetto all’altra e i loro moti si uniscono di conseguenza.71 E la sesta maggiore presenta lo stesso vantaggio. Di queste combinazioni avrò modo di dire qualcosa di più dopo che avrò reso l’argomento in questione il più chiaro possibile.

Ho proposto il confronto tra due corde distinte per mettere in evidenza la loro concordanza; però questi rapporti si constatano con maggiore certezza sulle misure di un monocordo, scelto perché utilizzato per la sezione di un canone, ovvero di una regola delle corde la cui lunghezza può essere suddivisa a seconda di ciò che l’occasione richiede. Infatti, non c’è alcun bisogno di ripetere tanto frequentemente ceteris paribus come quando si collazionano diverse corde. E se si esprimono i rapporti mediante frazioni sarà più facile misurare le parti assegnate di un monocordo o di un’unica corda tesa su uno strumento. Divise da un ponticello mobile o tasto sistemato sotto, si fanno risuonare le parti della corda e quel suono, messo in relazione con quello dell’intera corda, darà poi l’intervallo richiesto. Per esempio: la metà di una corda dà un’ottava, i 2/3 danno una quinta, i 3/4 producono una quarta, i 4/5 generano una terza maggiore e i 5/6 una terza minore, i 3/5 una sesta maggiore e i 5/8 una sesta minore. Esprimiamo ora così questi intervalli consonanti.

71 The greater… accordingly [La sesta… conseguenza]: sono stati emendati gli evidenti errori di stampa, non segnalati nell’Errata corrige e presenti anche nell’edizione del 1731; il rapporto 6 a 5 è stato corretto in 5 a 4, cioè 3ª maggiore ovvero l’intervallo complementare della 6ª minore; di conseguenza le locuzioni 3ª minore e 3ª maggiore sono state invertite.

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Ho detto che tutte le consonanze si esprimono attraverso rapporti interni al numero sei e posso aggiungere che tutti i rapporti entro quel numero sono consonanze; a questo riguardo si consideri lo schema seguente.72

6 a 5 3a minore a 4 5a

a 3 8a

a 2 12a

a 1 19a

5 a 4 3a maggiore a 3 6a maggiore

4 a 3 4a

a 2 8a

a 1 15a

3 a 2 5a

a 1 12a

6 a 5 3a minore5 a 4 3a maggiore4 a 3 4a

3 a 2 5a

2 a 1 8a

a 2 10a maggiore a 1 17a maggiore 2 a 1 8a

Tutte le consonanze che risultano tali rispetto all’unisono lo sono anche

rispetto all’ottava e tutte le dissonanze nei confronti dell’unisono rimangono dissonanze anche nei confronti dell’ottava. Alcune consonanze intermedie sono fra loro concordi, come le due terze rispetto alla quinta e la quarta rispetto alle due seste; cosicché unisono, terza, quinta e ottava, oppure unisono, quarta, sesta e ottava si possono

72 I said… Scheme [Ho detto… seguente]: anche se la considera un intervallo consonante, in questo schema Holder tralascia la 6a minore (8 a 5) il cui rapporto non rientra nel senario, come spiega nella pagina precedente; è un intervallo meno importante perché è preferibile considerarlo come combinazione di intervalli più piccoli.

& w wunisono

wwb56

3a minore

ww45

3a maggiore

ww34

4a

ww23

5a

& wwb58

6a minore ww35

6a maggiore ww12

8a wwwwb wwwwn3a e 5a

autentico

wwwwb wwwwn4a e 6a

plagale

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suonare insieme per formare una cadenza armonica completa, vale a dire non una cadenza conclusiva, poiché il plagale non è tale, ma una cadenza completa dato che include tutti gli intervalli consonanti compresi nell’estensione di un’ottava. Ho schematizzato questo alla fine del precedente pentagramma che contiene le note per mezzo delle quali sono indicati i suddetti intervalli. I primi due che salgono dall’unisono, Gamut, con la terza maggiore (o minore) e la quinta fino all’ottava sono solitamente chiamati autentici in quanto sono in relazione principalmente all’unisono e appagano meglio l’orecchio che li ascolta; gli altri due che salgono con la quarta e la sesta minore (o maggiore) fino alla medesima ottava sono chiamati plagali73 perché, essendo maggiormente combinati con l’ottava, sembrano richiedere una nota di base più appropriata, per esempio un’ottava sotto la quarta e non fanno quindi una buona cadenza conclusiva.74 Dal loro continuo spostamento, o frequente cambiamento, dipende la varietà dell’armonia (fin dove spetta alla consonanza, nient’altro che il corpo della musica), principalmente nel contrappunto, ma invero in tutti i tipi di composizione. Non escludo una spruzzatina di dissonanze mescolate a melodia, tempo e ritmo, che sono l’anima e lo spirito della musica e le conferiscono tanta maestosa potenza. I modi plagali discendono dai medesimi intervalli attraverso i quali salgono quelli autentici, ossia per terze e quinte; e gli autentici scendono dagli stessi intervalli attraverso i quali salgono i plagali, cioè per quarte e seste – gli uni in particolar modo riferiti all’unisono, gli altri all’ottava.

Ma il motivo per cui ho descritto queste cadenze complete è soprattutto dare come promesso una più ampia spiegazione delle già nominate combinazioni di intervalli consonanti, le quali incrementano le consonanze di ogni nota e creano una stupenda

73 Authentick… Plagal [autentici… plagali]: la suddivisione dei modi in autentici e plagali risale al Medioevo quando ciascun modo, protus, deuterus, tritus e tetrardus, era distinto in authenticus e plagalis che indica la scala formata una quarta sotto la finalis del relativo autentico. Qui per cadenza plagale s’intende la successione degli accordi o dei rivolti costruiti sul IV e sul I grado.

74 The other… Close [gli altri… conclusiva]: «È interessante notare che Holder vede la necessità di stabilire la nota base dell’accordo plagale un’8a sotto la 4a. Una teoria non pienamente riconosciuta fino alla classificazione degli accordi di Rameau [1683-1764]»; sTanley, p. 99.

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varietà e piacevolezza dell’armonia. Si dia un’occhiata alla prima di queste nel modo autentico; si vede che Si

bemolle75 ha tre relazioni di consonanza: rispetto all’unisono, o nota data Sol, rispetto alla quinta e rispetto all’ottava. Rispetto all’unisono come terza minore, rispetto alla quinta come terza maggiore, rispetto all’ottava come sesta maggiore; cosicché i suoi movimenti si ricongiungono dopo ogni quinto moto di ritorno, ossia a ogni sesto moto di andata, con l’unisono; ogni quinta andata con la diapente, o quinta; ogni sesta andata con l’ottava. Si consideri poi la diapente Re; come quinta rispetto all’unisono si ricongiunge a questo a ogni terza andata e come quarta rispetto all’ottava, i moti si ricongiungono dopo ogni quarta andata. E poi l’ottava che si unisce all’unisono dopo ogni seconda vibrazione, ossia a ogni movimento di andata.

Si analizzino ora le varietà di consonanze tra queste quattro note. Qui sono mescolati insieme in un unico accordo i rapporti di 2 a 1, 3 a 2, 4 a 3, 5 a 4, 6 a 5, 5 a 3 e proprio così accade in altre cadenze, cambiando solamente le seste alternativamente.

Si può qui vedere nello spazio di tre intervalli dall’unisono, ossia terza, quinta e ottava, quale concorso di rapporti consonanti ci sia per variegare e creare, per così dire, un flusso piacevole in rapporto, entro tale distanza, all’armonia. Per il momento tutta questa varietà è formata all’interno di un solo sistema di diapason, il quale giustamente porta quel nome. Ma si pensi poi che cosa sarà quando i più lontani intervalli consonanti composti verranno uniti a questi, come quando si esegue una cadenza completa con entrambe le mani su un organo o un clavicembalo, o quando la parte più alta di un consort di musica si ricongiunge a quella più bassa tramite le parti centrali – cioè il soprano al basso per mezzo del contralto e del tenore – e tutto ciò ravvivato dagli interscambi tra i modi autentico e plagale.

75 B mi [Si bemolle]: si tratta del primo accordo di 3ª e 5ª, nell’esempio qui a pp. 86-87; quindi «B mi» è stato emendato in «B fa» ovvero Si bemolle che forma una 3ª minore con Sol, una 3ª maggiore con la 5ª di Sol cioè Re e una 6ª maggiore con l’8ª superiore.

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Si aggiunga a tutto ciò l’infinita varietà di movimento di alcune parti, attraverso tutti gli intervalli, mentre alcune si muovono lentamente e una parte rincorre e insegue un’altra, come nelle fughe.76

È opportuno che sia qui meglio spiegato e confermato tutto ciò che determina la consonanza, fondata com’è sulla mescolanza e sull’unione di moti vibratori di parecchie corde o corpi sonori; che le unioni di questi concordino coi loro rapporti è facile da calcolare, ma lo si può anche raffigurare.

V A B B A A B B A A B, ecc.

O AB BA AB BA AB BA AB BA AB BA

V AB BA AB BA AB, ecc.

D ABC CAB BAC CBA ABC

76 Fuges [fughe]: probabilmente il termine è usato qui nell’accezione generica di composizione polifonica a carattere contrappuntistico e imitativo.

A

A

A

B

B

B

VV

OO

DD C

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Sia VV una corda77 che sta per l’unisono e sia OO una corda lunga la metà che sarà un’ottava dell’unisono e avrà vibrazioni doppie; dunque affermo che le due corde risulteranno unite alternativamente, cioè una vibrazione sì e una no, supposto che l’andata della vibrazione sia da A a B e il ritorno da B ad A. Si osservi a tale proposito che (in riferimento alle figure riportate in questo paragrafo e nel successivo, come pure al precedente schema del pendolo, capitolo II, p. 9 [24-25], quando dico «da B ad A» e «supera V in A», ecc., sto cercando di esprimere il concetto in modo breve e chiaro, senza complicare le figure con troppe linee ed evitando l’impaccio di tante avvertenze che disorienterebbero il lettore. Tuttavia si dovrà sempre tener presente che riconosco il continuo decrescere dell’ampiezza delle vibrazioni tra A e B, mentre il movimento continua, e con A e B intendo soltanto le estremità dell’ampiezza di tutte quelle vibrazioni, sia le prime e più ampie, sia le successive estremità diminuite e gradualmente ridotte della loro ampiezza. E la seguente dimostrazione procede e sussiste ugualmente in entrambi i casi, dal momento che si applica alla velocità dei moti di ritorno e non all’estensione dell’ampiezza, qui nient’affatto presa in considerazione. Dovrò talvolta pregare il benevolo lettore di tenere presente la suddetta equivalenza in altre parti di questa dissertazione. Perciò, proseguendo, affermo che mentre V una volta colpita compie il suo corso da A a B, O, ugualmente colpita, farà la sua andata da A a B e il ritorno da B ad A. Dopo di che, mentre V compie il suo ritorno da B ad A, O starà facendo il suo moto in senso opposto, da A a B, ma ritorna e supera V in A e qui si riuniscono e ricominciano insieme la loro andata. Quindi si vede che le vibrazioni della diapason si uniscono

77 Let… Chord [Sia… corda]: una simile dimostrazione era già stata proposta da Galileo, pp. 117-119.

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in modo alternato, congiungendosi a ogni andata dell’unisono e incrociandosi a ogni ritorno.

Pertanto anche la diapente, o quinta, che ha il rapporto di 3 a 2, si congiunge nello stesso modo a ogni terza andata dell’unisono. Sia la corda DD diapente rispetto all’unisono V; mentre V va da A a B, la corda D va da A a B e compie mezzo ritorno fino a C , cioè secondo il rapporto 3 a 2. Mentre V ritorna da B ad A, D passa da C ad A e ritorna da A a B. Mentre V va di nuovo da A a B, D passa da B ad A e ritorna a C. Mentre V ritorna da B ad A, D passa da C a B e ritorna ad A ricongiungendosi in questo punto e ricominciando insieme i loro moti di andata a ogni terza andata di V. Similmente i rimanenti intervalli consonanti si congiungono alla quarta, quinta, sesta andata secondo i loro rapporti, come si potrebbe dimostrare nello stesso modo, ma occuperebbe troppo spazio ed è superfluo, giacché risulta abbastanza evidente dagli esempi già dati.

Fin qui ci guidano le proporzioni e i rapporti di consonanza e ci forniscono i fondamenti dell’armonia veri e dimostrabili; eppure il quadro non è ancora completo senza le dissonanze e i gradi, di cui tratterò in un altro capitolo,78 mescolati alle consonanze per dar loro contrasto e farle meglio risaltare. Infatti – per usare un’analogia domestica – anche se appropriato, sano e naturale, preso da solo il nostro cibo può non saziare il palato e attenuare l’appetito; però il cuoco trova tanti tipi e varietà di salse che stimolano e soddisfano il palato e aguzzano l’appetito come l’aceto, la senape,79 il pepe, ecc.; questi non forniscono nutrimento e nemmeno vengono presi da soli, però fanno mandar giù gli alimenti con più piacere e li assistono durante la digestione. Nello stesso modo i

78 another Chapter [un altro capitolo]: cfr. qui a pp. 152-153 sgg. e 210-211 sgg.79 Mustard [senape]: salsa piccante bianca, gialla, marrone o nera, ricavata dalle piante della fa-

miglia delle brassicacee; in Europa la senape era già nota ai Romani che la usavano come farmaco e come conservante; in Inghilterra si ha notizia del condimento da un ricettario del 1390, compilato dai cuochi attivi alla corte di Riccardo II.

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maestri e gli esperti compositori fanno uso di dissonanze, prese con giudizio, per far assaporare il consort e far giungere più dolci all’orecchio le consonanze in tutti i tipi di discanto,80 ma più frequentemente in cadenza conclusiva. In tutto questo, la prima considerazione va rivolta a ciò che l’orecchio può aspettarsi nell’andamento della composizione, la quale deve essere realizzata con moderazione e giudizio. A questo ora accenno solamente, non intendendo discutere di composizione che è fuori del mio proposito e del mio campo e sarebbe argomento troppo vasto. Il mio scopo è invece chiarire il più possibile questi principi, con ciò facendo cosa grata a chi possiede una propria cultura filosofica tale, in assenza di una preparazione musicale, da rendere facile comprendere questa teoria. E anche a quei maestri esecutori e agli appassionati che, benché a digiuno di filosofia, latino e altre lingue straniere utili a leggere meglio gli autori, con l’aiuto della loro conoscenza musicale possono arrivare a comprendere la profondità dei principi e le cause dell’armonia; e per loro interesse il trattato è stato scritto in questa lingua.

Concludo questo capitolo con alcune osservazioni riguardanti i nomi dati ai diversi intervalli consonanti; li chiamiamo terza, quarta, quinta, sesta e ottava. Dato che tra questi le terze sono due e anche le seste sono due, è necessario distinguere meglio i nomi; chiamarle terze maggiori e minori e seste maggiori e minori non basta e si cade in un errore, cioè non è una sufficiente distinzione chiamare terza maggiore e sesta maggiore la terza e la sesta più grandi e minori quelle più piccole.81 Risultano tali in realtà ascendendo dall’unisono ma discendendo sono il contrario; rispetto all’ottava, la sesta più grande diventa la terza più piccola e la terza più grande diventa la sesta più piccola. Inoltre queste terze e seste

80 Descant [discanto]: calco del greco diaphonia; nel XII secolo indica una tecnica polifonica basa-ta sul tenor, in origine a due sole voci nota contro nota, generalmente costruita per moto contrario raggiungendo le consonanze ammesse (8ª, 5ª e talvolta 4ª). Qui il termine si riferisce alla pratica compositiva di sovrapporre più voci o semplicemente all’andamento melodico di ciascuna.

81 I shall… Flat [Concludo… piccole]: in questo paragrafo Holder puntualizza una questione terminologica relativa ai vocaboli maggiore e minore; in inglese sharp significa diesis, cioè alterazio-ne ascendente di un semitono, ma sta anche per maggiore; flat, che significa bemolle, sta per minore, dove maggiore e minore sono riferiti a intervalli. Più precisa della precedente, la denominazione latina maior e minor è utilizzata da Holder per le due 6e; invece per le due 3e preferisce a questa la lezione ditono e trisemitono o sesquitono.

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più piccole non si possono chiamare minori quando si è in una tonalità maggiore, perciò minore e maggiore in generale non le distinguono bene dal momento che a partire dall’ottava la terza più piccola diventa maggiore e la sesta più grande minore. Lo stesso accade per la quinta che discende per mezzo di terze; se la prima è una terza minore diventa maggiore ed essendo l’altra una terza maggiore non può che diventare minore.

L’altra distinzione tra maggiore e minore aiuta meglio a chiarire quale di loro si intende. Nonostante ciò, il comune e confuso nome di terza, se non si tiene sempre ben presente la distinzione tra maggiore e minore, è atto a indurre i giovani praticanti, che non riflettono bene, in un altro errore. Chiamerei perciò la terza maggiore, come fanno i Greci, ditono, cioè di due toni interi, e la terza minore trisemitono o sesquitono, dato che è formata da tre semitoni o piuttosto da un tono e mezzo; questo eviterebbe l’errore al quale ho accennato e che ora descriverò.

Nella composizione di musica per consort vige la regola secondo la quale non è permesso creare un movimento di due unisoni o due ottave o due quinte insieme e neppure di due quarte, a meno che non vengano migliorate con l’aggiunta di terze in un’altra parte dell’accordo; ci è concesso invece muovere terze o seste insieme a piacere. Quest’ultima affermazione non è corretta se si considerano terze e seste dello stesso tipo, in quanto le due terze differiscono l’una dall’altra nello stesso modo in cui la quarta differisce dalla quinta;82 come l’ottava è divisa in una quinta e una quarta, così una quinta si divide in una terza maggiore e una terza minore. Chiamiamole ora coi loro nomi esatti e dico che non è lecito creare un movimento usando quanti ditoni oppure sesquitoni si desidera; perciò, quando ci si prende la libertà di cui si è detto,

82 Which… Fifth [Quest’ultima… quinta]: la differenza tra una 3a maggiore e una 3a minore è un semitono minore (25/24), mentre la differenza tra una 5a e una 4a è un tono maggiore (9/8).

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usando il termine generale di terze si constaterà che si mescolano ditoni e trisemitoni e così la suddetta regola non ci riguarda. Analogamente i movimenti di seste saranno formati dalla mescolanza e dagli interscambi di sesta maggiore e sesta minore, permettendoci di andare abbastanza sul sicuro.

Tuttavia, ammetto, c’è un po’ più di libertà nel muovere trisemitoni e ditoni – come pure l’una o l’altra delle seste – di quanta ve ne sia nel muovere le quarte o le quinte, e l’orecchio li sopporterà meglio. Anzi, in un moto graduale di terze è necessario creare un movimento di due trisemitoni insieme in ogni quarta e in ogni quinta, oppure quarta disgiunta, vale a dire due volte nella diapason, o almeno in due quinte come nel tono83 proprio dell’unisono Gamut. La scala naturale sarà Ut Re Mi Fa Sol La; si uniscano a queste le terze in scala naturale ascendente, e saranno:

Mi Fa Sol La Fa Sol

Mi Fa Sol La Fa Sol { Ut Re Mi Fa Sol La84

E si avrà la medesima situazione

83 Key [tono]: in questo caso il termine è riferito alla tonalità. Può anche significare un suono, un’altezza, un tasto o un intervallo; cfr. Nota al testo, qui a p. 259.

84 Ut… La: si tratta dell’esacordo di Guido d’Arezzo (circa 955-post 1033), in cui il Do era indicato con Ut (la prima sillaba dell’inno a San Giovanni dal quale Guido ricavò il nome delle note). Stando a una tradizione diffusa ma non confermata, il sacerdote marchigiano Lodovico Zacconi (1555-1627), autore della Prattica di musica, utile e necessaria sì al compositore per comporre i canti suoi regolatamente, sì anco al cantore, parte I, Venezia, Girolamo Polo, 1592, avrebbe sostituito gli antichi Bemolle e Bequadro con la sillaba Si, ricavata da due lettere dell’ultimo versetto: «Sancte Iohannes». Inoltre si narra che Giovanni Battista Doni (circa 1595-1647), per facilitare la pronuncia del solfeggio, avrebbe rimpiazzato l’Ut, oggi usato solo in Francia, con l’incipit del suo cognome ovvero col Do, più semplice da pronunciare grazie all’esito vocalico ma in realtà attestato fin dal 1539. Pertanto Holder, basandosi sull’esacordo Ut-La, chiama le ultime due note Fa e Sol, perché una volta concluso il primo esacordo col La si passa a quello successivo che a quel punto inizia dal Fa. Data la frequenza delle sillabe Sol Mi e Sol Fa nel passaggio da un esacordo all’altro, dove il Mi era il perno della mutazione, il sistema venne chiamato solfatio o solmifatio; da qui derivano solmisa-zione, solfeggio e solfa.

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in altre scale, ma con qualche variazione a seconda del posto del semitono. Qui Re-Fa e Mi-Sol sono due trisemitoni consecutivi e non si può felicemente modificarli senza scompigliare la scala e disturbare l’armonia, perché laddove c’è un semitono, il tono unito sotto di esso crea un trisemitono e la stessa cosa forma il tono posto sopra e a esso unito. Si vede così la necessità di muovere due trisemitoni insieme due volte nella diapason, o in una nona, in progressione di terze nell’armonia diatonica; però non è possibile andare oltre.

La ragione per cui due trisemitoni reggono meglio sta nelle loro differenti relazioni per le quali un trisemitono si distingue da un altro meglio di quanto un’ottava, una quinta o una quarta si distingua da un’altra.

In una terza minore formata da due gradi o intervalli, che consistono in un tono e un semitono, si può sistemare il semitono nella posizione inferiore (e poi generalmente unito verso il basso alla sua terza maggiore, che è il complementare per formare una quinta), creando una tonalità maggiore; o altrimenti lo si può porre nella posizione più alta, e poi di solito riceve la sua terza maggiore sopra per creare la quinta in senso ascendente formando una tonalità minore. In questo modo si evita un tritono85 in entrambi i casi. In altri termini, se il semitono nella terza minore è in basso, allora la terza maggiore è sistemata sotto di esso e la melodia è maggiore; se il semitono è in alto, allora la terza maggiore è posta sopra e il motivo è minore. E similmente le due terze minori, unite in conseguenza del movimento, differiscono nei loro rapporti in base alla posizione del semitono, la cui varietà elimina tutto il carattere sgradevole del movimento e lo rende dolce e piacevole.

DO

La

SI

Sol#

#

#

#

#

#

MIDo#

#

#

#

#

LAFa#

#

#

#

RESi#

#

SOLMi

#

MIb

Dob

b b

FA

Re

b

SIb

Sol

b b

LAb

Fab

b b

b

REb

Sib

b b

b b

b

FA#|SOLb

Re#|Sib

#

#

#

#

#

#

b b

b b

b

b

85 Tritone [tritono]: il termine, impiegato fra i pri-mi da Ermanno il Contratto (1013-1054), si riferisce a quell’intervallo di tre toni interi che attualmente chiamiamo 4a eccedente o, enarmonicamente, 5a di-minuita (anticamente denominata 5a falsa). Si tratta di un intervallo cui manca un semitono per essere un intervallo di 5a; è estremamente dissonante perché, considerando per esempio l’intervallo Do-Fa#, il Fa# è nel circolo delle 5e la nota più lontana dal Do. I trattatisti medievali lo battezzarono diabolus in musica per la dissonanza che creava e per la difficile intona-zione. Fu vietato per secoli o ammesso solo in certi casi; deumm, s.v. Tritono.

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Non si può creare bene e con regolarità un movimento di ditoni, anche se talvolta in un passaggio importante lo si può fare una o due volte o più, nella stessa misura in cui qualche volta si possono usare le dissonanze, per dare, dopo un po’ di asprezza, migliore godimento. L’artista esperto può andare oltre a ciò che di solito è permesso nell’uso di terze e intervalli dissonanti.

Potrei ampliare questo capitolo portando degli esempi dei movimenti consentiti e non di terze maggiori e minori e dell’uso delle dissonanze ma, come ho detto prima, il mio scopo non è discutere di composizione. Si può dare, comunque, un’occhiata ai seguenti esempi e le osservazioni di ciascuno derivate dallo studio dei migliori maestri daranno il resto.

Affinché il lettore non incorra in nessun errore o confusione coi diversi nomi degli stessi intervalli, li ho qui raccolti e ordinati tutti, insieme ai loro rapporti.86

86 Rations [rapporti]: nella tavola che segue Holder raggruppa sotto lo stesso rapporto gli inter-valli molto piccoli che si differenziano di poco gli uni dagli altri; il semitono minore o 2a

cromatica di Zarlino (25/24, 70 cents) è anche chiamato diesis cromatica (12987/12487, 68 cents) e diesis maggiore (poiché la diesis cromatica tra le due diesis è la più grande); il quarto di tono, per Holder 128/125 (42 cents), è in realtà la diesis enarmonica o quadrantale (25847/25097, 51 cents) che tra le due è la diesis più piccola, cioè minore, mentre 128/125 è il comma grande di Zarlino, comune-mente chiamato diesis. Qui il tono maggiore è denominato anche tono grande, il tono minore tono piccolo e il semitono maggiore anche 2a minore minima; cfr. tavole A, B e C, qui a pp. 307-311.

& ww ww ww ww ww ww

3a maggiore

3a minore

3a minore

3a maggiore

3a minore

3a minore

movimento lecito

di 3e mescolate

ww ww# ww# ww ww# ww#movimento illecito

di 3e maggiori

3a mag

gior

e

3a min

ore

3a mag

gior

e

3a min

ore

3a min

ore

3a min

ore

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8a 8a, diapason 2 a 1

7a maggiore eptacordo maggiore 15 a 8

7a minore eptacordo minore 9 a 5

6a maggiore esacordo maggiore 5 a 3

6a minore esacordo minore 8 a 5

5a diapente pentacordo

3 a 2

5a falsa (in difetto) semidiapente 64 a 45

4a falsa (in eccesso) tritono 45 a 32

4a diatessaron tetracordo

4 a 3

3a maggiore ditono 5 a 4

3a minoresesquitonotrisemitono semiditono

6 a 5

2a maggiore(o tono intero maggiore)

tono maggiore

grad

i dia

toni

ci grande 9 a 8

2a minore (o tono intero minore)

tono minore piccolo 10 a 9

2a minima (o semitono maggiore)

semitono maggiore minimo 16 a 15

semitono minoresemitono minore diesis cromaticadiesis maggiore

25 a 24

quarto di tonodiesis enarmonicadiesis minore

128 a 125

differenza tra tono maggiore e minore

comma comma maggioreschisma

81 a 80

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Nota. Quando parlo di diesis87 senza fare alcuna distinzione, intendo diesis minore o enarmonica; analogamente, quando parlo di comma intendo comma maggiore o schisma.88

Dovrei ora passare a trattare le dissonanze, ma dato che si useranno molto i calcoli, prima di proseguire occorre che premetta qualche considerazione sulle proporzioni in generale e che le applichi all’armonia.

87 diesis: ‘separazione’. Presso i Greci la diesis era la differenza tra l’intervallo di 4a giusta e i due toni interi nel tetracordo del genere diatonico, corrispondente al semitono diatonico pitagorico (o limma, 256/243, 90 cents). Aristosseno si servì di tale denominazione per indicare intervalli più piccoli del tono, per esempio un quarto o un terzo di tono, diesis enarmonica o diesis cromatica. In ogni caso era considerato dai Greci l’intervallo più piccolo, indivisibile, «alla guisa dell’unità nell’aritmetica» e quindi una «misura commune d’ogni consonanza»; Zarlino, parte II, capitolo XLVIII, p. 295; cfr. tavola C, qui a p. 310. Dal XV secolo il diesis indica il segno grafico # che innal-za di un semitono la nota alla quale è riferito. La diesis di Holder, in realtà, corrisponde al comma grande di Zarlino (42 cents) e non, come afferma, alla diesis enarmonica (51 cents).

88 Schism [schisma]: lo schisma è la differenza tra il comma ditonico della scala pitagorica e quello sintonico della scala zarliniana. Tra tutti gli intervalli musicali, lo schisma (o comma minimo 32805/32768) è il più piccolo, vale 2 cents (24 - 22), pertanto è assolutamente impercettibile e inapprezzabile. Quando Holder parla di comma si riferisce al comma sintonico (81/80), che vale 22 cents, e non propriamente allo schisma. Il comma ditonico indica la differenza tra dodici 5e perfette (Do0-Si#

7) e sette 8e (Do0-Do7) procedendo per 5e; la progressione delle 5e non potrà mai chiudere in forma ciclica la scala musicale perché qualsiasi potenza di tre (3/2 = 5a) non uguaglierà mai una qualsiasi potenza di due (2/1 = 8a); solo nel sistema temperato, dove Si# equivale a Do, il ciclo delle 5e si chiude. Pertanto, espresso in rapporti: (3/2)12 : (2/1)7 = 531441/524288 = Si# (24 cents). Il comma ditonico, quindi, deriva dalla mancata coincidenza delle due progressioni ed è la differenza tra il limma e l’apotome; cfr. tavola C, qui a p. 310. Il comma sintonico, invece, è la diffe-renza tra quattro 5e perfette (Do0-Mi2) e due 8e più una 3a maggiore (Do2-Mi2); la 3a Do2-Mi2 ha un rapporto di 81/64, mentre il quinto armonico della serie (3a) ha un rapporto di 5/4. La differenza è un comma sintonico (81/80), cioè (3/2)4 : (2/1)2 : 5/4 = 81/80 (22 cents). Quest’ultimo è anche la differenza tra tono maggiore (9/8) e tono minore (10/9) della scala naturale o zarliniana. Proprio in relazione a queste differenze, il comma sintonico ha avuto un ruolo cruciale nella storia della teoria e dell’acustica musicale.

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Capitolo V

Della proporzione e della sua applicazione all’armonia89

Dal momento che si è già detto che i corpi e i moti armonici sono soggetti ai calcoli numerici e i rapporti delle consonanze sono già stati determinati, prima di procedere a parlare delle dissonanze può sembrare necessario esporre il modo in cui si calcolano le proporzioni che riguardano i suoni armonici; per questo preparerò meglio il lettore premettendo qualcosa che concerne la proporzione in generale.

Possiamo confrontare, all’interno di ogni singola categoria, (1) le grandezze (in tal caso devono essere dello stesso tipo), oppure (2) le gravitazioni, i moti, le velocità, le durate, i suoni, ecc. da quelle derivanti; o ancora, se piace, (3) gli stessi numeri per mezzo dei quali si spiegano le cose messe a confronto.90 E se questi risulteranno diseguali, si può allora considerare prima di tutto di quanto uno di essi superi l’altro, secondariamente in che modo l’uno stia in rapporto con l’altro dividendo il quoziente dell’antecedente o primo termine per il conseguente o secondo termine. Detto quoziente spiega, denomina o dimostra quante volte o che porzione di una volta sola l’uno contenga l’altro; e i Greci chiamano questo lovgos, ratio, così come chiamano ajnalogiva, analogia, proporzione o proporzionalità la somiglianza o uguaglianza delle rationes. Ma l’uso e il buon senso che l’accompagnano renderà inutile qualsiasi applicazione puntigliosa di tali termini.

89 Of… Harmony [Della… armonia]: parte di questo capitolo, qui a pp. 112-151, è riportata da Hawkins per sottolineare l’importanza dello studio dei rapporti e la relazione con gli intervalli consonanti, il tutto spiegato in modo chiaro e dettagliato da Holder; HaWkins, volume I, libro III, capitolo XXIV, pp. 115-117.

90 We may… Explicated [Possiamo… confronto]: «Il concetto di proporzione tra due corpi può essere rappresentato quantitativamente confrontando le loro grandezze fisiche e qualitativamente paragonando le loro gravitazioni, i moti, le velocità, le durate, i suoni, ecc. Inoltre può essere rap-presentato numericamente confrontando le loro espressioni matematiche»; sTanley, p. 109.

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Da queste due ultime considerazioni si deducono di norma tre specie di proporzione, la proporzione aritmetica, la geometrica e la mista, risultante da queste due, detta armonica:

1. aritmetica, quando tre o più numeri in progressione hanno la stessa differenza, come 2, 4, 6, 8, ecc.; oppure, se discontinua, come 2, 4, 6; 14, 16, 18;

2. geometrica, quando tre o più numeri hanno lo stesso rapporto, come 2, 4, 8, 16, 32; oppure, se discontinua come 2, 4; 64, 128;

3. infine quella armonica (che partecipa delle altre due), quando tre numeri sono ordinati in modo tale che tra quello più grande e quello più piccolo sussista il medesimo rapporto che si ha tra la differenza dei due numeri più grandi rispetto alla differenza dei due più piccoli. Per esempio, nei tre termini 3, 4, 6 il rapporto di 6 a 3, che sono il termine più grande e quello più piccolo, è doppio come lo è il rapporto di 2 (la differenza tra 6 e 4, i due numeri più grandi) a 1 (la differenza tra 4 e 3, i due numeri più piccoli). Questa è la proporzione armonica in cui la diapason (6 a 3) vede la diapente (6 a 4) e la diatessaron (4 a 3) come suoi medi proporzionali.

Ora, rispetto a quel tipo di rapporti chiamati più propriamente in questo modo, cioè geometrici, si noti anzitutto che in tutti il primo termine o numero, sia esso quello più grande o quello più piccolo, viene sempre indicato come antecedente e il numero che segue chiamato conseguente. Perciò se l’antecedente è il termine più grande, il rapporto può essere molteplice, superparticolare, superparziente, oppure quello da essi composto, molteplice superparticolare o molteplice superparziente.91

1. Molteplice: come il doppio, 4 rispetto a 2; il triplo, 6 rispetto a 2; il quadruplo, 8 rispetto a 2;

91 Multiplex… Superpartient [molteplice… superparziente]: questi termini, usati da Euclide nella Sectio canonis e da altri scrittori greci, passano ai teorici latini attraverso la mediazione di Boezio.

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2. superparticolare: come 3 a 2, 4 a 3, 5 a 4, tali che eccedono solo di una porzione aliquota92 e sempre e solo di uno nei loro numeri primi ovvero minimi. Questi rapporti si chiamano sesquialtera, sesquiterza o superterza, sesquiquarta o superquarta, ecc. Si noti che i numeri che eccedono di più di uno, e solamente di una porzione aliquota, possono tuttavia essere superparticolari se non sono espressi tramite i numeri primi: come 12 a 8 che ha lo stesso rapporto di 3 a 2, ossia superparticolare, sebbene così non sembri finché non lo si riduce, grazie al massimo comune divisore, nei suoi numeri primi 3 a 2. E il comune divisore, cioè il numero per il quale si possono dividere in più parti entrambi i termini, è spesso la differenza tra i due numeri: come tra 12 e 8 la differenza è 4 che è anche il comune divisore. Si divida 12 per 4, il quoziente è 3; si divida 8 per 4, il quoziente è 2; così il rapporto espresso in numeri primi è 3 a 2. Pertanto anche 15 a 10, diviso per la differenza 5, dà 3 a 2; in 16 a 10, tuttavia, il comune divisore è 2 e dà 8 a 5, poiché è superparziente. Ma in tutti i rapporti superparticolari, in cui i termini sono in tal modo resi più grandi in quanto moltiplicati, la differenza tra i termini è sempre il massimo comune divisore, come negli esempi precedenti;

3. superparziente: in cui un termine supera l’altro di un numero maggiore di uno, come 5 a 3, detto superbiparziente terza (o tria) che contiene 3 e 2/3; 8 a 5, supertriparziente quinta, che contiene 5 e 3/5;

4. molteplice superparticolare: come 9 a 4, che è il doppio più sesquiquarta; 13 a 4, che è il triplo più sesquiquarta;

5. molteplice superparziente: come 11 a 4, il doppio più supertriparziente quarta.

92 aliquot [aliquota]: una delle porzioni uguali fra loro in cui è stata suddivisa una certa quantità.

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Quando l’antecedente è minore del conseguente, ovvero quando si confronta un numero più piccolo con uno più grande, per esprimere i rapporti si usano gli stessi termini facendo solamente loro precedere sub, come submolteplice, subsuperparticolare (o subparticolare), subsuperparziente (o subparziente), ecc.: 4 rispetto a 2 è il doppio, 2 rispetto a 4 è il subdoppio ossia la metà; 4 rispetto a 3 è sesquiterza, 3 rispetto a 4 è subsesquiterza; 5 rispetto a 3 è superbiparziente terza, 3 rispetto a 5 è subsuperbiparziente terza, ecc.

Questa breve descrizione della proporzione è stata necessaria poiché quasi tutta la filosofia dell’armonia si basa sui rapporti dei corpi, moti e intervalli di suono di cui l’armonia stessa è fatta.

E nel ricercare, nel confrontare e nello stabilire i rapporti tra questi si trova tanta varietà, certezza e facilità di calcolo che la loro osservazione può sembrare non meno dilettevole dell’ascolto della stessa bella musica che da tale fonte scaturisce. E quelli che già amano la musica non possono che trovarla migliore grazie a questa piacevole e ricreativa caccia, come potrei definirla, nel vasto campo dei rapporti e delle proporzioni armoniche in cui, con loro grande piacere e soddisfazione, troveranno che le cause nascoste dell’armonia – nascoste ai più, perfino agli stessi professionisti – sono state tanto ampiamente e chiaramente scoperte prima di loro.

Tutte le combinazioni dei rapporti l’uno rispetto all’altro si trovano con la moltiplicazione o la divisione dei loro termini, operazioni con le quali ogni rapporto può essere aggiunto o sottratto a un altro. Si può usare la progressione dei rapporti, o proporzioni, e trovare un punto intermedio, o metà, tra i termini di qualsiasi rapporto. Ma il lavoro principale si fa con l’addizione e

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la sottrazione di rapporti, una pratica che, sebbene non avvenga come nell’addi-zione e nella sottrazione di numeri semplici in aritmetica ma su fondamenti algebrici, risulta assai facile.

Si aggiunga un rapporto a un altro moltiplicando fra loro i due termini antecedenti, cioè l’antecedente di uno per l’antecedente dell’altro (per maggiore comodità si dovrebbero ridurre ai loro minimi numeri o termini), poi allo stesso modo i due termini conseguenti; il rapporto tra il prodotto degli antecedenti e il prodotto dei conseguenti è uguale agli altri due sommati o uniti insieme. Così, per esempio, si aggiunga il rapporto 8 a 6, cioè in numeri primi 4 a 3, al rapporto 12 a 10, cioè 6 a 5; il prodotto sarà 24 a 15, ossia 8 a 5. Si può sistemarli in questo modo:

e, moltiplicando 4 per 6 si ottiene 24, che poniamo sotto; quindi, moltiplicando 3 per 5 si ha 15, che similmente collochiamo sotto; si ottiene 24 a 15, che è un rapporto composto dagli altri due ed equivalente a entrambi. Si riducano questi prodotti, 24 e 15, ai loro minimi termini, il che vuol dire dividerli finché non si trova un loro comune divisore (in questo caso 3), che li porta al rapporto 8 a 5. Con ciò si vede che una terza minore (6 a 5) aggiunta a una quarta (4 a 3) forma una sesta minore (8 a 5). Se si devono sommare più rapporti li si ponga tutti l’uno sotto l’altro e si moltiplichi il primo antecedente per il secondo e il loro prodotto per il terzo e ancora quel prodotto per il quarto e così via; e lo stesso si faccia coi conseguenti.

Questa operazione deriva dalla quinta proposizione dell’ottavo libro di Euclide93 in cui egli dimostra che il

93 This… Euclid [Questa… Euclide]: euclide, Elementa, libro VIII, teorema III, proposizione V.

4 36 524 15

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rapporto tra i numeri semplici è formato dai loro lati. Si osservino questi schemi.

Si congiungano questi lati. Si prendano come antecedenti 4, il lato maggiore della superficie più grande, e 3, il lato maggiore della superficie più piccola e, moltiplicati, danno 12; poi si prendano come conseguenti i due numeri rimanenti, 3 e 2, che sono i lati minori delle due superfici e danno 6. In questo modo i lati di 4 e 3 e di 3 e 2, combinati (moltiplicando tra loro i termini antecedenti e tra loro i conseguenti) danno 12 a 6, cioè 2 a 1. E ciò, una volta applicato, equivale a questo: il rapporto di sesquialtera (3 a 2) aggiunto al rapporto di sesquiterza (4 a 3) forma il rapporto del doppio (2 a 1). Perciò la diapente aggiunta alla diatessaron forma la diapason.

Per sottrarre un rapporto a un altro più grande si procede nello stesso modo, moltiplicando i termini; ma questo non si fa lateralmente come nell’addizione, bensì in maniera incrociata, moltiplicando l’antecedente del primo, cioè del più grande, per il conseguente del secondo, il che produce un nuovo antecedente, e il conseguente del primo per l’antecedente del secondo, il che dà un nuovo conseguente. E questo di solito si rappresenta con un incrocio obliquo delle linee; per esempio, se si volesse togliere 6 a 5 da 4 a 3, si possono disporre in questo modo: 4 3

6 5 20 18 10 9

Poi, 4 moltiplicato per 5 fa 20 e 3 per 6 dà 18. Così 20 a 18, cioè 10 a 9 è quanto rimane.

3 6

23

4 12

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Ovvero, sottraendo una terza minore da una quarta rimarrà un tono minore.La moltiplicazione di rapporti è uguale alla loro somma, solo che non è di

rapporti diversi bensì dello stesso rapporto che viene preso due volte, tre volte o più volte, come preferite. E come prima, nell’addizione, si sommavano rapporti differenti moltiplicandoli, così qui, nella moltiplicazione, si somma il medesimo rapporto a se stesso nello stesso modo, vale a dire moltiplicando per sé stessi i termini del rapporto, ossia l’antecedente per se stesso e il conseguente per se stesso; in altri termini significa moltiplicare il medesimo per due. Con tale operazione si avrà l’elevazione al quadrato del rapporto che si aveva prima, ovvero darà la seconda potenza dato che il rapporto di prima era alla prima potenza. E se a questo prodotto verrà nuovamente aggiunto il semplice rapporto come prima, il risultato sarà il triplo del rapporto originario, ossia il prodotto di quel rapporto moltiplicato per 3, ovvero il cubo o la terza potenza. Moltiplicandolo per 4 si otterrà il suo biquadrato, ossia quarta potenza, e così successivamente in ordine si possono aumentare le potenze a piacere. Per esempio, una volta aggiunto a se stesso – raddoppiato, ovvero moltiplicato per due – il rapporto del doppio, 2 a 1, dà 4 a 1, il rapporto quadruplo, e se a questo si aggiunge nuovamente il primo rapporto, il che equivale a elevare il primo rapporto alla terza potenza, ne deriverà il rapporto ottuplo, ovvero 8 a 1. Da cui, preso il rapporto 2 a 1 come radice, il suo doppio 4 a 1 sarà il quadrato, il suo triplo 8 a 1 il suo cubo, ecc., come si è appena detto. Per fare un altro esempio, per raddoppiare il rapporto 3 a 2 bisogna elevarlo al quadrato in questo modo: 3 per 3 dà 9, 2 per 2 dà 4.

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Così, la seconda potenza o il quadrato di 3 a 2 è 9 a 4. Ancora, 9 per 3 dà 27 e 4 per 2 dà 8, sicché il rapporto cubico di 3 a 2 è 27 a 8. Continuando, per trovare la quarta potenza, ovvero il biquadrato (cioè il quadrato elevato al quadrato), 27 per 3 fa 81, 8 per 2 fa 16, cosicché 81 a 16 è il rapporto di 3 a 2 quadruplicato, dato che si raddoppia per mezzo del quadrato e si triplica grazie al cubo, ecc. Applichiamo questo esempio al nostro proposito; 3 a 2 è il rapporto di diapente, ovvero una quinta in armonia; 9 a 4 è il rapporto di due volte la diapente, ovvero una nona, cioè la diapason più un tono maggiore; 27 a 8 è il rapporto di tre volte la diapente, ossia tre quinte, vale a dire la diapason più una sesta maggiore, cioè una tredicesima maggiore. Il rapporto di 81 a 16 forma quattro quinte, cioè disdiapason più due toni maggiori, ossia una diciassettesima maggiore più un comma di 81 a 80.94

Per dividere qualunque rapporto, si deve prendere la direzione opposta e si eseguirà la divisione per i loro esponenti tramite l’estrazione delle rispettive radici. Per esempio, dividere un rapporto per due significa estrarre la sua radice quadrata, per tre la radice cubica, per quattro la radice quarta, ecc. Cosicché per dividere 9 a 4 per 2, la radice quadrata di 9 è 3 e quella di 4 è 2, quindi il rapporto 3 a 2 è esattamente la metà del rapporto 9 a 4.

Risulterà quindi ovvio a chiunque trarre questa conclusione: somma e moltiplicazione di rapporti sono, in questo caso, una sola cosa.95 E questi cenni saranno sufficienti a coloro che si occupano di tali speculazioni e non metteranno alla prova la pazienza di coloro che a ciò non sono inclini.

Il vantaggio di procedere con le potenze ordinali – quadrato, cubo, ecc., come è stato detto prima – può risultare di grande utilità in occasione di

94 To apply… 80 [Applichiamo… 80]: si tratta del metodo pitagorico per costruire una scala; ele-vando alle potenze 2, 3, 4, ecc. il rapporto di 5a giusta (3/2, 702 cents), si ottengono le 5e successive che, per formare la scala, vengono poi riportate a una sola 8a moltiplicando ogni rapporto ottenuto per 1/2. Si parte dal Fab fino ad arrivare al Si# per un totale di ventuno intervalli di 5a.

95 From… thing [Risulterà… cosa]: in breve, la somma di più rapporti diversi (cioè intervalli diversi) si ottiene moltiplicando tra loro i termini, mentre la somma di uno stesso rapporto si ha elevando alla potenza n (il numero delle volte da sommare) numeratore e denominatore.

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lunghe progressioni. Come per trovare ad esempio quanti comma contiene un tono maggiore o un altro intervallo. Poniamo che si debba trovare quanti ce ne sono nella diapason, il che si farà moltiplicando i comma, cioè sommandoli fino ad arrivare a un rapporto uguale all’ottava (se è quello che si richiede) ovvero il doppio. Altrimenti, dividendo il rapporto di diapason per quello di un comma e trovando il quoziente che si può ottenere mediante i logaritmi.96 E qui m’imbatto in alcune differenze di calcoli.

Secondo i suoi calcoli, Mersenne trova in un’ottava poco più di cinquantotto comma e mezzo.97 Ma a questo proposito il compianto Nicholas Mercator,98 persona riservata e matematico dotto e giudizioso, in un suo manoscritto che ho potuto scorrere fa la seguente osservazione: «In solvendo hoc problemate aberrat Mersennus».99 E utilizzando i logaritmi, ne trova

96 Logarithms [logaritmi]: illustrati da John Neper (1550-1617) e da Henry Briggs (1561-1630) nei primi decenni del Seicento.

97 Mersennus… Octave [Secondo… mezzo]: mersenne, libro I, proposizione V, p. 125. Mer-senne prima e poi Andreas Werckmeister (1645-1706), avvalendosi dei logaritmi, divisero l’8a in 12 particelle equivalenti, in cui la ragione della progressione dei dodici intervalli era la 12√2 (= 1,05946 = 100 cents). Il tentativo di Mersenne non ebbe fortuna; quello di Werckmeister, mezzo secolo dopo, sì.

98 Nicholas Mercator: Nikolaus Kauffmann detto Mercator (1620-1687), matematico tedesco noto soprattutto per gli studi che compì sui logaritmi; nel suo trattato Logarithmo-technica (1668) svi-luppò il logaritmo (1 + x) secondo le potenze crescenti di x e fu il primo a usare il termine logarit-mo naturale. Considerato un precursore di Newton, si interessò anche di trigonometria, geografia, astronomia, distinse i numeri in razionali e irrazionali e affermò che in musica i primi portano alla consonanza, i secondi alla dissonanza. Tra le altre cose inventò un cronometro marino e un orolo-gio a pendolo, per i quali ricevette una considerevole attenzione in Inghilterra durante i primi anni di vita della Royal Society di cui fu membro dal 1666. Il suo contributo più importante alla teoria della musica fu il temperamento con cinquantatré comma; cfr. qui a pp. 281 sgg.

99 Manuscript… Mersennus [manoscritto… Mersennus]: ‘Mersenne si sbaglia nella soluzione di questo problema’. Numerosi manoscritti musicologici di Mercator, databili fra il 1650 e il 1660, si conservano in GB-Ob, ms. Aubrey 25; GB-Och, ms. 1130, ms. 1187; GB-Lgc, ms. 51757.21.

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un po’ più di cinquantacinque.100 E da ciò ha dedotto un ingegnoso artificio per trovare e applicare una minima misura comune a tutti gli intervalli armonici, non del tutto perfetta ma quasi.

Per maggior comodità, si supponga che un comma sia la cinquantatreesima parte della diapason piuttosto che la cinquantacinquesima secondo la vera ripartizione. Egli lo chiama comma artificiale, non proprio preciso poiché differisce dal vero comma naturale di circa la ventesima parte di un comma e della millesima della diapason, che è una differenza impercettibile.101 Gli intervalli entro la diapason verranno quindi misurati in base ai comma secondo la seguente tavola, che si può verificare sommando o sottraendo due o tre o un maggior numero di comma per vedere come concorrono a formare quegli intervalli che dovrebbero costituire:102

Intervalli 0/53 Intervalli 0/53

comma 1 4a 22

diesis 2 tritono 26

semitono minore 3 semidiapente 27

semitono medio 4 5a 31

semitono maggiore 5 6a minore 36

semitono massimo 6 6a maggiore 39

tono minore 8 7a minore 45

tono maggiore 9 7a maggiore 48

3a minore 14 8a 53

3a maggiore 17

100 55 [cinquantacinque]: esattamente 55,798. Charles Delezenne (1776-1866), un secolo dopo, grazie ai logaritmi acustici calcolò il valore di tutti gli intervalli in comma.

101 he calls… imperceptible [Egli… impercettibile]: la differenza tra i due comma è 1/53 (0,0188679) - 1/55 (0,0181818) = 0,0006861, che corrisponde circa alla ventesima parte di un comma dato che 1/55 : 20 = 0,000909, ed è quasi la millesima parte della diapason (0,000909 ~ 1/1000).

102 Which… substracting [che… costituire]: il comma utilizzato da Mercator e da Holder è di 22,64 cents (1200 : 53 = 22,64), qui arrotondato a 23 cents, quindi un po’ più grande del comma sintonico e un po’ più piccolo del comma ditonico; cfr. tavola C, qui a p. 310.

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Ho ritenuto opportuno far conoscere ciò al lettore in questa circostanza, dato che ne ho avuto licenza da un amico del signor Mercator,103 al quale egli fece dono del suddetto manoscritto.

Posso a questo punto far presente che è indifferente confrontare il termine più grande di un rapporto armonico con quello più piccolo, oppure il più piccolo col più grande, cioè quale dei due si ponga come antecedente, ad esempio 3 a 2 oppure 2 a 3, dato che nella scienza dell’armonia le proporzioni tra le lunghezze delle corde e le loro vibrazioni sono reciproche, ovvero sono scambiabili; come si aumenta la lunghezza così le vibrazioni diminuiscono nella stessa proporzione e viceversa. Perciò se la lunghezza della corda unisono è 3 come nella diapente, allora, ceteris paribus, la lunghezza della corda che dà origine a una diapente ascendente rispetto a quella unisono deve essere 2, o 2/3. In questo modo il rapporto di diapente è 2 a 3 rispetto alla sua lunghezza paragonata alla lunghezza della corda unisono.

Inoltre, la corda 2 vibra tre volte nello stesso tempo in cui la corda 3 vibra due volte; il rapporto di diapente riguardo alle vibrazioni è quindi 3 a 2. In questo modo, laddove negli autori si trovi il numero più grande nei rapporti collocato talvolta prima e considerato l’antecedente, talvolta messo dopo e ritenuto il conseguente, nel primo caso si deve intendere il rapporto delle loro vibrazioni e nel secondo quello delle loro lunghezze, il che è la stessa cosa.

Oppure, si può intendere che l’unisono sia in relazione alla diapente sopra; il rapporto delle lunghezze è 3 a 2, quello delle vibrazioni è 2 a 3. Altrimenti, intendendo la diapente comparata all’unisono, il rapporto delle lunghezze è 2 a 3, quello delle vibrazioni è 3 a 2. Questo è vero nei rapporti singoli, o se si paragona un rapporto a un altro; in questo caso i due termini più grandi devono essere classificati come antecedenti oppure, diversamente, lo devono essere i due termini più piccoli.

Si deve far bene attenzione alla differenza tra proporzione aritmetica e geometrica. Una semplice proporzione aritmetica è quella che presenta un’uguale differenza tra i termini antecedente e conseguente di quei numeri rispetto ai quali è la media;

103 from… Friend [da… Mercator]: il friend che ha permesso a Holder di citare l’inedito potrebbe essere Hooke oppure John Birchensha (circa 1605-1681), legato alla Royal Society dal 1660, op-pure John Aubrey (1626-1697), archeologo, fisico, biografo, pittore e amico dello stesso Holder; cfr. Introduction, in JoHn bircHensHa, Writings on music, a cura di Christopher Field e Benjamin Wardhaugh, Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2010, pp. 55-56.

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si trova sommando i termini e prendendo metà della somma. Perciò tra 9 e 1, la cui somma dà 10, la metà è 5 che è equidifferente da 9 e da 1 e la differenza è 4: come 5 supera 1 di 4, così 9 supera 5 di 4. Ne consegue la progressione aritmetica 2, 4, 6, 8; laddove si consideri solamente la differenza, esiste la stessa proporzione aritmetica tra 2 e 4, 4 e 6, 6 e 8 e tra 2 e 6 e tra 4 e 8. Ma nella proporzione geometrica, in cui si considera non la differenza numerica, ma un’altra relazione tra i termini, ossia quante volte o quanta parte di una volta l’uno contenga l’altro (come si è ampiamente spiegato all’inizio di questo capitolo), il medio proporzionale non è lo stesso medio della proporzione aritmetica, ma lo si trova in un altro modo e le progressioni equidifferenti formano rapporti diversi. I rapporti, tutti considerati nei loro minimi termini, espressi dai numeri più piccoli risultano maggiori di quelli espressi dai numeri più grandi – mi riferisco ai rapporti superparticolari, ecc., dove gli antecedenti sono maggiori dei conseguenti; mentre, al contrario, dove gli antecedenti sono minori dei conseguenti i rapporti tra numeri più piccoli sono minori dei rapporti tra quelli più grandi. Il medio di 9 a 1 ora non è 5 bensì 3, stando quest’ultimo in rapporto a 1 come sta il 9 rispetto a 3 (9 sta a 3 come 3 sta a 1), ovvero tre volte. E così accade che se la progressione aritmetica di termini aventi le medesime differenze viene invece considerata geometricamente, i termini staranno tutti compresi in rapporti diseguali. Le differenze di 2 a 4, 4 a 6, 6 a 8 sono uguali, ma i loro rapporti non lo sono; 2 a 4 è minore di 4 a 6, e 4 a 6 minore di 6 a 8; mentre, al contrario, 4 a 2 è più grande di 6 a 4, e 6 a 4 di 8 a 6. Giacché 4 a 2

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è il doppio, 6 a 4 è soltanto sesquialtera (solo un intero più una metà, ossia 3/2), e 8 a 6 non è che sesquiterza (un intero e un terzo, o 4/3); il che denota una considerevole disuguaglianza dei loro rapporti. Similmente, 6 è triplo di 2, 8 è solo il doppio di 4, eppure le loro differenze sono uguali. Così i rapporti intermedi compresi in qualsiasi rapporto più grande diviso aritmeticamente, ovvero da medesime differenze, risultano disuguali l’uno rispetto all’altro se considerati geometricamente. Perciò se in 2, 3, 4, 5, 6 consideriamo i numeri, danno luogo a una progressione aritmetica; se consideriamo invece i rapporti, come si fa in armonia, questi risultano disuguali, essendo ognuno più grande o più piccolo (a seconda che si proceda ascendendo o discendendo) di quello che gli sta vicino. Sicché in questa progressione – intendendo insieme ai rapporti gli intervalli in sé come è stato prima affermato –104 2 a 3 è il più grande essendo diapente; 3 a 4 il seguente, diatessaron; 4 a 5 ancora più piccolo, cioè ditono; 5 a 6 il minore dato che è sesquitono. Oppure, in senso discendente, 6 a 5 il più piccolo, 5 a 4 il successivo, ecc. Questi sono i rapporti intermedi compresi nel rapporto 6 a 2, in base al quale si divide nei suddetti intervalli la diapason con diapente, ovvero una dodicesima, e da questi intervalli è determinato e misurato; cioè, com’è 6 rispetto a 2 (ossia il triplo), così è l’unione di tutti i rapporti intermedi all’interno di quel numero: 6 a 5, 5 a 4, 4 a 3 e 3 a 2. Oppure 6 a 5, 5 a 2; o 6 a 4, 4 a 2; oppure 6 a 3, 3 a 2; le loro somme sono uguali a 6 a 2, ovvero il triplo.

È stato premesso questo per poter procedere con quanto si è accennato nel precedente capitolo.

Occupiamoci prima di tutto di questo procedimento peculiare all’armonia ossia creare una progressione o una divisione nella proporzione aritmetica rispetto ai numeri, ma considerando le cose numerate secondo i loro rapporti geometrici – per cui si dice che la proporzione armonica è formata dall’aritmetica e dalla geometrica.

104 Errata corrige: è stato aggiunto l’inciso.

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Si possono trovare tutte nella suddivisione del sistema di diapason in diapente e diatessaron, cioè in una quinta e una quarta ascendendo dall’unisono.

Se si sale prima con la diapente, allora si ha 2, 3, 4 aritmeticamente; se prima con la diatessaron, allora si ha 3, 4, 6 armonicamente. E se considerati geometricamente, ossia rispetto al suono, si trovano parimenti proporzioni geometriche tra i numeri 6 e 3 rispetto a 4 e 2, e 6 e 4 rispetto a 3 e 2.105

Gli antichi perciò, riconoscendo solamente ottava, quinta e quarta come semplici intervalli, li fissarono entro i numeri 12, 9, 8, 6 che li contengono tutti: cioè 12 a 6 diapason, 12 a 8 diapente, 12 a 9 diatessaron, 9 a 8 tono. Ed essi servivano a esprimere i tre tipi di proporzione, ovvero armonica tra 12 a 8 e 8 a 6, aritmetica tra 12 a 9 e 9 a 6, geometrica tra 12 a 9 e 8 a 6

105 You may… 2 [Si possono… 2]: la suddivisione armonica dell’8a prevede prima la 5a poi la 4a, cioè i termini 2, 3, 4 sono tre numeri in progressione aritmetica ma i rapporti da essi derivati sono in progressione armonica, dove prima c’è 3/2, la 5a, e poi 4/3, la 4a (e 4/2 = 2/1 è l’8a risultante). Invece, con la suddivisione aritmetica si ha prima la 4a poi la 5a in base alla progressione armonica 3, 4, 6 dove 4/3 è la 4a, 6/4 = 3/2 è la 5a (e 6/3 = 2/1, l’8a risultante). Per Zarlino la suddivisione armonica è migliore di quella aritmetica perché «si ritrova aver tutte le sue corde nel loro proprio luogo naturale, secondo la natura delle forme delle consonanze contenute in esso»; Zarlino, parte IV, capitolo IX, p. 652.

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e tra 12 a 8 e 9 a 6.106 Si diceva, quindi, che la lira di Mercurio fosse accordata con quattro corde aventi quelle proporzioni: 6, 8, 9, 12 (Gassendi).107

Ho accennato che qui avrei più ampiamente spiegato quel modo facile e veloce per trovare e misurare i rapporti intermedi contenuti in uno qualsiasi di questi rapporti armonici dati, trasformandoli dai loro numeri radicali o basi in numeri più grandi aventi lo stesso rapporto. Raddoppiando non il rapporto, che rimane sempre lo stesso, ma i suoi termini si avrà un solo medio: 2 a 1 raddoppiato diventa 4 a 2 e si ottiene 3, che è il medio. Triplicando si avranno due rapporti intermedi: 2 a 1, triplicato dà 6 a 3, che contiene tre rapporti, 6 a 5, 5 a 4, 4 a 3; e così sempre più man mano che lo si moltiplica.

Osserviamo prima di tutto che qualsiasi rapporto multiplo o superparziente, o trasformato in superparziente a partire dai suoi numeri primi, contiene tanti rapporti superparticolari quante sono le unità che risultano dalla differenza tra l’antecedente e il conseguente. Così in 8 a 4, che è 2 a 1 trasformato per quadruplicazione, la differenza è 4 e contiene quattro rapporti superparticolari, ossia 8 a 7, 7 a 6, 6 a 5, 5 a 4 in cui, sebbene la progressione dei numeri sia aritmetica, le proporzioni di ciò che eccede sono geometriche e disuguali. I rapporti superparticolari, espressi dai numeri più piccoli, risultano – come è stato detto – maggiori di quelli che sono formati dai numeri più grandi: 5 a 4 è un rapporto più grande di 6 a 5, 6 a 5 è più grande di 7 a 6 e 7 a 6 di 8 a 7; come un quarto è maggiore di un quinto e un quinto maggiore di un sesto, ecc. Ma in questo esempio ci sono due rapporti che non appartengono alla scienza dell’armonia, cioè 8 a 7 e 7 a 6.

106 And which… 6 [Ed essi… 6]: proporzione armonica tra 12, 8, 6 = 12/8 + 8/6 = 12/6, ov-vero 3/2 + 4/3 = 2, cioè 5a + 4a = 8a. Proporzione aritmetica tra 12, 9, 6 = 12/9 + 9/6 = 12/6, ovvero 4/3 + 3/2 = 2, cioè 4a + 5a = 8a. Proporzione geometrica tra 12/9 e 8/6 cioè 4/3, la 4a, e tra 12/8 e 9/6 cioè 3/2, la 5a. Per la descrizione holderiana delle tre tipologie, cfr. qui a pp. 114-115.

107 It was… Gassend [Si diceva… Gassendi]: Mercurio, identificato col greco Ermes, figlio di Zeus e di Maia, era protettore dei commerci, messaggero degli dei e guida delle anime nell’aldilà col nome di Psicopompo. Fra i molti racconti sulla lira a quattro corde, cfr. boeZio, De institutione musica, libro I, capitolo XX; Gassendi, volume V, miscellanea, capitolo III, p. 586.

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In secondo luogo, dunque, si può procedere per gradi disuguali e prendere soltanto rapporti armonici selezionando un minor numero di rapporti intermedi, ma più grandi, anche se qualcuno di questi è composto di diversi superparticolari, facendo attenzione a non interrompere la progressione razionale, e a ripetere ancora l’ultimo conseguente facendolo diventare il successivo antecedente. Come se si misurasse il rapporto 8 a 4 per mezzo di 8 a 6 e 6 a 4, oppure con 8 a 5 e 5 a 4, o anche con 8 a 6 e 6 a 5 e 5 a 4; in questi tre modi i rapporti sono tutti armonici e sono rispettivamente contenuti e compongono il rapporto 8 a 4. Così si possono misurare e dividere e combinare molti rapporti armonici senza ricorrere alla penna.

A tal fine vorrei che il mio lettore conoscesse perfettamente i numeri primi che esprimono i rapporti delle sette prime, ovvero semplici, consonanze, cioè diapason 2 a 1, diapente 3 a 2, diatessaron 4 a 3, ditono 5 a 4, trisemitono 6 a 5, esacordo maggiore 5 a 3, esacordo minore 8 a 5. Nonché i gradi dell’armonia diatonica, ovvero tono maggiore 9 a 8, tono minore 10 a 9, semitono maggiore 16 a 15. E le differenze di questi gradi: semitono massimo 27 a 25, semitono minore 25 a 24, comma o schisma 81 a 80, diesis enarmonica 128 a 125.108

Parlerò degli altri semitoni nell’ottavo capitolo.Ora, se si volesse suddividere qualsiasi consonanza in due parti, si può farlo

grazie al medio, ovvero la metà dei due numeri primi, se c’è un punto di mezzo; e qualora non lo avessero, come quando i loro rapporti sono superparticolari, basterà solo raddoppiare quei numeri e si otterranno uno o più medi. Si raddoppino pertanto i numeri del rapporto di diapason 2 a 1

108 And the… 125 [E le… 125]: in realtà è la diesis zarliniana o comma grande; cfr. nota 86, qui a p. 107, e tavola C, qui a p. 310.

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e si ha 4 a 2, quindi 3 è il punto medio per cui è diviso in due porzioni disuguali ma corrette e armoniche, ossia 4 a 3 e 3 a 2. Parimenti, la diapason 4 a 2 comprende 4 a 3 e 3 a 2. Analogamente, la diapente 6 a 4 è 6 a 5 e 5 a 4; il ditono 10 a 8 è 10 a 9 e 9 a 8; così la sesta maggiore 5 a 3 è 5 a 4 e 4 a 3.

Benché, da quanto si è appena osservato, si possa dividere qualsiasi rapporto consonante in parti intermedie, tuttavia quando si suddividono le tre seguenti – vale a dire sesta minore, diatessaron e trisemitono – si troverà che le parti in cui si suddividono non risultano tutti intervalli tali da essere definiti armonici. La sesta minore, il cui rapporto è 8 a 5, contiene tre rapporti intermedi, ossia 8 a 7, 7 a 6, 6 a 5, solamente l’ultimo dei quali è uno degli intervalli armonici di cui è composta la sesta minore, cioè il trisemitono. E per formare l’altro intervallo, la diatessaron, si devono considerare gli altri due, 8 a 7 e 7 a 6 che, sommati – oppure, che è la stessa cosa, prendendo il rapporto dei loro due termini esterni essendo questa la somma di tutti quelli intermedi sommati – danno 8 a 6, o in numeri primi, 4 a 3. E dacché la diatessaron, in numeri primi 4 a 3, diventa, se essi si raddoppiano, 8 a 6, dà come sue parti 8 a 7 e 7 a 6, i cui rapporti non concordano con nessun intervallo che sia armonico. Perciò, si deve considerare il rapporto di diatessaron in altri termini, tali da poter offrire rapporti armonici. E per ottenere questo si deve andare oltre il raddoppio, ovvero il fatto di sommarlo una volta sola a se stesso, giacché a questo doppio si devono aggiungere ancora una volta i precedenti numeri primi, che praticamente è lo stesso che triplicarlo dall’inizio, cioè aggiungere 4 e 3 a 8 e 6 e il risultato sarà

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un nuovo ma equivalente rapporto di diatessaron, ovvero 12 a 9. E questo dà tre rapporti intermedi: 12 a 11 e 11 a 10 – entrambi non armonici, ma che messi insieme danno, come è stato prima mostrato, lo stesso di 12 a 10 ovvero 6 a 5, un trisemitono – e 10 a 9, tono minore; e sono i due intervalli armonici di cui è formata la diatessaron e che la dividono nelle due parti armoniche uguali più vicine. In ultimo luogo, il trisemitono o terza minore, 6 a 5 ovvero, raddoppiando questi numeri, 12 a 10, dà 12 a 11 e 11 a 10, che non sono rapporti armonici ma, triplicato, secondo il modo precedente, 6 a 5 dà 18 a 15 che si divide come prima in 18 a 16, tono maggiore, e 16 a 15, semitono maggiore.

Così, con un po’ di esercizio, si misureranno assai facilmente tutti gli intervalli armonici mediante gli intervalli più piccoli in essi compresi. Per esercitarsi, si prendano ora le quantità di un rapporto più grande; supponiamo di considerare 16 a 3 come un sistema armonico. Per scoprire che cos’è e di quali parti è composto, anzitutto si devono trovare le parti più grandi e poi le più piccole. Si capirà subito che 16 a 8, che è una parte di questo rapporto, è diapason e anche 8 a 4 è diapason, allora 16 a 4 è disdiapason ovvero una quindicesima e il rimanente 4 a 3 è una quarta. Cosicché 16 a 3 è una disdiapason più una diatessaron, cioè una diciottesima: 16 a 8, 8 a 4 e 4 a 3.

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Per trovare però tutti gli intervalli armonici all’interno di quel rapporto (poiché noi ora consideriamo i rapporti in relazione all’armonia) si osservi questo schema; 16 a 3 contiene:

minimi termini

16 a 15 semitono

15 a 12 5 a 4 ditono

12 a 10 6 a 5 trisemitono

10 a 9 tono minore

9 a 8 tono maggiore

8 a 6 4 a 3 diatessaron

6 a 5 trisemitono

5 a 4 ditono

4 a 3 diatessaron

totale 16 a 3 disdiapason con diatessaron

Oppure così:

minimi termini

16 a 10 8 a 5 6a minore

10 a 6 5 a 3 6a maggiore

6 a 4 3 a 2 5a

4 a 3 4a

totale 16 a 3 18a

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Tutti questi intervalli così riuniti sono compresi e formano il rapporto 16 a 3, essendo considerati in una serie congiunta di rapporti.

Diversamente, in questa serie di numeri sono contenute molte più espressioni di rapporti armonici. Per esempio:

minimi termini minimi termini

16 a 15 12 a 6 2 a 1

16 a 12 4 a 3 12 a 4 3 a 1

16 a 10 8 a 5 12 a 3 4 a 1

16 a 8 2 a 1 10 a 9

16 a 6 8 a 3 10 a 8 5 a 4

16 a 4 4 a 1 10 a 6 5 a 3

16 a 3 10 a 5 2 a 1

15 a 12 5 a 4 9 a 8

15 a 10 3 a 2 9 a 6 3 a 2

15 a 5 3 a 1 9 a 3 3 a 1

15 a 3 5 a 1 8 a 6 4 a 3

14 a 7 2 a 1 8 a 5

12 a 10 6 a 5 8 a 4 2 a 1

12 a 9 4 a 3 6 a 5 ecc.

12 a 8 3 a 2 (vedi p. 67 [86-87])

E ora suppongo che il lettore sia meglio preparato per proseguire con ciò che rimane di questo argomento, ovvero le dissonanze.

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Capitolo VI

Delle dissonanze e dei gradi

Tutte le relazioni tra una corda e un’altra che non siano consonanze (come sono state prima descritte) sono dissonanze, che sono o possono essere innumerevoli come lo sono le minuscole tensioni per mezzo delle quali si può far mutare una corda rispetto a se stessa o rispetto a un’altra. Ma si devono qui considerare solamente quelle dissonanze che risultano utili e veramente necessarie all’armonia, o almeno che a essa si riferiscono, come lo sono le differenze constatate tra gli intervalli armonici.

E queste dissonanze utili e appropriate o sono semplici intervalli non composti – come quelli che si susseguono direttamente l’un l’altro ascendendo o discendendo nella scala musicale, quali Ut Re Mi Fa Sol La Fa Sol,109 e sono chiamati gradi – o, altrimenti, sono distanze o intervalli più grandi composti da gradi, includendo o escludendo alcuni di essi come fanno tutte le consonanze: Do Mi, Do Fa, Do Sol, ecc. E tali sono le dissonanze di cui ora trattiamo: principalmente il tritono, la quinta falsa e le due settime, maggiore e minore, se non sono piuttosto catalogate tra i gradi. Per maggiore chiarezza ne discuterò separatamente; ovvero dei gradi, delle dissonanze e delle differenze.

E prima di tutto dei gradi110

I gradi sono intervalli non composti111 che si trovano su otto linee e sette spazi, attraverso i quali si realizza una diretta ascesa o discesa dall’unisono all’ottava o diapason

109 As… Sol [quali… Sol]: cfr. qui a pp. 102-103.110 Degrees [gradi]: le dissonanze e le differenze vengono trattate rispettivamente nei capitoli VII

e VIII, qui a pp. 210-211 e 228-229.111 Degrees… Intervals [I gradi… composti]: gli intervalli non composti sono considerati come

un tutt’uno, non come la somma di intervalli più piccoli in essi contenuti; per la distinzione tra diastema e sistema, cfr. qui a pp. 182-185.

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e, seguendo la stessa progressione, a tante ottave a seconda del caso. Essi sono diversi secondo i diversi generi di musica, ossia enarmonico, cromatico e diatonico, e dei vari colori degli ultimi due; li spiegherò tutti più convenientemente tra breve. Tra questi appena citati, però, il genere diatonico è il più appropriato e naturale; gli altri due – se per curiosità li consideriamo soltanto scorrendo le note di un’ottava su o giù in queste scale – sembrano piuttosto una violenza alla natura; eppure in questo potrebbe probabilmente trovarsi la grandezza degli antichi Greci.112 Noi però ora usiamo solamente il genere diatonico, inserendovi qua e là un po’ del cromatico e più raramente un po’ dell’enarmonico. Sembra che la nostra grandezza risieda in composizioni assai artificiose e nell’unire parecchie parti in sinfonia o consort, il che non si può ritenere essi abbiano realizzato, almeno in parti tanto numerose come è solito per noi poiché, come generalmente

112 But… Greeks [Tra… Greci]: sebbene Holder avesse un grande rispetto per la musica dei Greci, la considerava inferiore rispetto a quella del periodo in cui viveva per alcune debolezze, come ad esempio la limitatezza dei generi cromatico ed enarmonico rispetto al diatonico e la con-cezione solo orizzontale della musica, estranea quindi a ogni principio armonico.

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di loro si afferma, non ammisero alcuna consonanza al di fuori di ottava, quinta e quarta e dei loro composti.

Padre Kircher (citato anche da Gassendi113 senza alcuna indicazione di dissenso) è dell’opinione che gli antichi Greci non praticarono mai la musica in consort, cioè formata da diverse parti, bensì solamente monodica, per un’unica voce o114 strumento, e che fu Guido d’Arezzo115 il primo a inventare e introdurre la musica polifonica o consort, sia per voce che per strumenti. Essi applicarono gli strumenti alla voce, ma in che modo venissero combinati potrà dirlo chi è più dotto di me.

Sembra che questo loro uso nel comporre sia più adatto – attraverso l’elaborata meticolosità e inventiva nel disporre i gradi, e attraverso i rapporti piuttosto che mediante la consonanza armonica e le esecuzioni a lungo preparate – a impressionare fortemente l’immaginazione e ad agire di conseguenza, come alcuni resoconti storici

113 F. Kircher… Gassendus [Padre Kircher… Gassendi]: Athanasius Kircher (1602-1680) dove «F.» sta probabilmente per «Father», gesuita tedesco e teorico della musica. La sua principale opera di argomento musicale, Musurgia universalis (1650), uno studio razionale e scientifico sulla musica e sui suoi fenomeni, venne tradotta in tedesco nel 1662 (due anni dopo la fondazione della Royal Society e un anno prima dell’ingresso di Holder) e ciò ne favorì la diffusione in tutti gli ambienti culturali europei; Gassendi, volume V, miscellanea, capitolo III, p. 594.

114 Errata corrige: nel testo originale leggi or invece di on.115 Guido Aretinus [Guido d’Arezzo]: Guido d’Arezzo dedica due dei venti capitoli in cui è

suddiviso il Micrologus alla diaphonia od organum a due voci in cui le innovazioni apportate nella disposizione e nell’andamento delle parti, nonché la scelta degli intervalli permessi e vietati, sono abbondantemente esemplificate. L’organum è stata la prima forma polifonica della musica occiden-tale e consisteva nell’affiancare a distanza di una 4a una nuova voce (vox organalis) a un canto dato (vox principalis) tratto dal repertorio sacro. Il primo trattato a riportare testimonianze dell’organum medievale fu Musica enchiriadis dell’860 circa; edizione moderna, a cura di Mauro Casadei Turroni Monti, Udine, Forum, 2009.

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riportano.116 Il nostro uso, invece, influisce più compostamente sull’intelletto e sul giudizio, grazie alla ponderata capacità di invenzione e alla felice composizione di consort melodiosi. L’uno in modo tranquillo ma con vigore agisce sull’intelletto grazie alla precisione armonica, l’altro principalmente attraverso il ritmo colpisce e infervora l’immaginazione. In conclusione, è sui principi naturali dell’armonia di cui ho fin qui trattato che si fonda la musica diatonica; ma non così, o non in modo così regolare, i generi cromatico ed enarmonico. A proposito di questi si considerino le seguenti osservazioni.

Gli antichi117 salivano dall’unisono all’ottava per mezzo di due sistemi di tetracordi o quarte. Questi potevano essere uniti o disgiunti; erano uniti quando facevano cominciare il secondo tetracordo dalla quarta corda, ossia dall’ultima nota del primo tetracordo; così congiunti formavano solo una settima e quindi aggiungevano un tono

116 This… relate [Sembra… riportano]: tra le numerose fonti che descrivono gli stili in relazione all’uso e al comportamento civile, cfr. per esempio plaTone, Le leggi, III, 700a8-700e4, che distin-gue l’inno dal ditirambo e dal peana; plaTone, La repubblica, 424b5-424c6, paragona il sistema mo-dale all’ordinamento dello stato; per una corposa rassegna degli autori che si occupano Della natura e proprietà dei modi, cfr. Zarlino, parte IV, capitolo V, pp. 634-642.

117 The Ancients [Gli antichi]: «Le informazioni contenute in questo capitolo costituiscono una delle prime e delle più complete trattazioni di questo argomento in lingua inglese. È piuttosto cu-rioso che studiosi di lingua inglese per ben due secoli non estendano la loro indagine in quest’area»; sTanley, p. 186.

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al di sotto dell’unisono, che chiamavano proslambanomenos, per formare un’ottava completa.118

I due tetracordi erano disgiunti quando il secondo partiva dalla quinta corda, dato che tra la quarta e la quinta corda c’era sempre un tono maggiore; in questo modo si applicavano immediatamente i gradi alle quarte e tramite queste all’ottava ed erano diversi secondo il diverso genere di musica. Nel comune genere diatonico i gradi erano tono e semitono, gli intervalli più simili, semplici e naturali. Nel comune genere cromatico, in cui i gradi erano semitoni e trisemitoni, la differenza tra alcuni intervalli era maggiore. Ma la massima differenza, e quindi anche difficoltà, stava nel genere enarmonico119 nel quale i gradi per formare il tetracordo erano soltanto la diesis, ovvero la quarta parte di un tono, e il ditono.

118 These… Eighth [Questi… completa]: i quattro suoni dei tetracordi sono sempre compresi nell’ambito di una 4a giusta; i suoni estremi sono fissi, quelli interni mobili; l’ampiezza dei loro intervalli caratterizza i tre generi della musica greca: diatonica, cromatica, enarmonica. Quando i due tetracordi sono uniti (sinafe) si ottiene un’armonia congiunta, quando sono disgiunti (diazeusi) l’armonia è disgiunta.

119 Diatonic… Enharmonic [diatonico… enarmonico]: genere diatonico genere cromatico genere enarmonico

& w œ œ w

genere diatonico

w œ# œn w

genere cromatico

w œ œ w

genere enarmonico

1/4 di tono

1/4 di tono

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ì

Per formare questi gradi, alcuni di loro, e cioè i discepoli di Aristosseno,120 divisero un tono maggiore in dodici parti uguali, ossia lo pensarono così suddiviso: sei parti formavano un semitono, ossia mezzo tono maggiore,121 determinando un grado di cromatico toniaco,122 e tre parti, ossia un quarto di tono chiamato diesis, un grado enarmonico. La quarta cromatica nasceva in questo modo: dalla prima alla seconda corda vi era un semitono, dalla seconda alla terza un altro semitono, dalla terza alla quarta un trisemitono, oppure la parte di tono necessaria a formare una quarta giusta. In questo caso tale distanza era considerata, come le altre due, soltanto di un grado cioè di un intervallo indiviso. Ed essi li chiamavano intervalli compatti123 (pukna) quando due degli altri gradi messi assieme non formavano un intervallo così ampio come uno di questi; come nel tetracordo enarmonico due diesis erano meno del rimanente ditono e nel

120 Aristoxenus [Aristosseno]: Aristosseno (IV secolo a.C.), filosofo greco allievo di Aristotele. È stato uno dei più importanti teorici greci grazie all’imponente lavoro di sistemazione di tutta la teoria musicale raccolto in 453 opere. Probabilmente con «i discepoli di Aristosseno» Holder intendeva Aristosseno e tutta la sua scuola poiché è stato proprio il maestro a teorizzare una tale suddivisione del tono; arisTosseno, Elementa harmonica, libro I, in meibom, pp. 21-26.

121 Six… of it [sei… maggiore]: nella scala aristossenica la metà del tono 9/8 (204 cents), cioè il semitono, corrisponde alla somma di due diesis enarmoniche (51 + 51 cents). Il termine semitono, cioè mezzo tono, è corretto solo nel sistema aristossenico e nell’attuale sistema occidentale a tem-peramento equalizzato. In tutti gli altri sistemi, antichi e nuovi, il semitono non corrisponde esatta-mente alla metà del tono, dato che risulta più grande o più piccolo; cfr. tavola C, qui a p. 310.

122 Chromatic Toniaeum [cromatico toniaco]: toniaeum significa ‘della lunghezza di un tono’; però il cromatico toniaco è uno dei «tre colori» del genere cromatico; cfr. qui a p. 167; vincenZo Gali-lei (1520-1591), Dialogo della musica antica e della moderna, Firenze, Giorgio Marescotti, 1581, p. 42.

123 Spiss [compatti]: insieme denso, chiuso che si ha quando la somma di due intervalli è infe-riore alla metà del tetracordo stesso; per esempio, il tetracordo discendente Mi-Si copre due toni e mezzo; la metà è 1,25; due intervalli cromatici formano un tono; due intervalli enarmonici formano mezzo tono; luisa Zanoncelli, La manualistica musicale greca, Milano, Guerini, 1990, p. 116.

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comune cromatico due gradi di semitono erano meno del rimanente grado di trisemitono.

Per la quarta enarmonica, poi, il primo grado era una diesis o un quarto di tono e anche il secondo prendeva tre di queste dodici parti e cioè era una diesis, il terzo un ditono in modo tale da formare una quarta giusta. Considerato in base al posto occupato nel tetracordo enarmonico, questo ditono appariva loro come un unico intervallo semplice o intero, benché fosse un grado così ampio.

Questi erano i gradi cromatici ed enarmonici, sebbene potessero essere collocati diversamente, cioè il loro grado più grande potesse essere spostato come avviene col semitono, il grado più piccolo, nel genere diatonico. E principalmente da un tale cambiamento sorsero i diversi modi, dorico, lidio, ecc.,124 dai quali senza dubbio, anche se ci risulta difficile immaginarlo, la loro musica doveva offrire diletto e piacere straordinari, se solo era ragionevolmente proporzionata alla loro infinita curiosità e laboriosità. E dato che la125 possiamo immaginare assai diversa da quella che c’è ora e da quella che è stata in uso per parecchi secoli, possiamo considerarla come in un certo senso perduta per noi.

Per proseguire nel mio scopo, devo solamente o principalmente insistere sull’altro genere di gradi i quali risultano più adatti alla naturale spiegazione dell’armonia e cioè i gradi diatonici, che si chiamano così non perché sono tutti toni ma perché lo sono molti di loro, tanti quanti possono esservene, ossia in ogni diapason, cinque toni e due semitoni. Su questi devo insistere, dato che tra quelli appena nominati sono i più naturali e razionali.

124 And… etc. [E… ecc.]: la posizione dell’unico semitono del genere diatonico distingue i tre modi: dorico, frigio e lidio, rispettivamente col semitono al grave, al centro e all’acuto.

125 Errata corrige: nel testo originale leggi it invece di ie.

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Digressione

Prima di procedere, può forse essere una soddisfazione per il lettore, dopo ciò che è stato detto, avere un quadro migliore della musica degli antichi Greci per mezzo di alcune considerazioni generali, non di tutta la loro dottrina ma di ciò che riguarda questo argomento, ossia i loro gradi, le scale dell’armonia e le note.

Innanzi tutto, quindi, si prendano in considerazione da Euclide i gradi secondo i tre generi – enarmonico, cromatico e diatonico – i quali hanno colori fissi, come essi li chiamavano (Euclide, Introductio harmonica, p. 10).126

Il genere enarmonico possedeva un solo colore che costituiva il suo tetracordo grazie a questi intervalli: una diesis o un quarto di tono, poi un’altra diesis simile e inoltre un ditono non composto.

Quello cromatico aveva tre colori in base ai quali si divideva in molle, sescuplo127 e toniaco:

1. molle, in cui il tetracordo era formato da una diesis trientale128 (quattro di quelle dodici parti prima citate, ossia la terza parte di un tono), un’altra diesis simile e un intervallo non composto che conteneva un tono e mezzo più la terza parte di un tono. Era denominato molle perché all’interno del genere cromatico aveva gli intervalli compatti più piccoli e di conseguenza più deboli;

2. sescuplo, da una diesis sesquialtera rispetto alla diesis enarmonica, un’altra diesis simile e un intervallo non composto di sette diesis quadrantali,129 cioè ognuna delle quali è formata da tre dodicesimi di tono;

3. toniaco, da un semitono, un semitono e un trisemitono; si chiama toniaco perché i due intervalli compatti formano un tono.

Questo è il cromatico comune.

126 Euclid… 10 [Euclide… 10]: euclide, Introductio harmonica, in meibom, pp. 10 sgg. Soltanto dieci dei numerosi manoscritti conservati attribuiscono a Cleonide l’Introductio harmonica, la cui da-tazione, estremamente labile, si colloca fra il III secolo a.C. e il IV d.C.; altre fonti citano Euclide, il matematico Pappo di Alessandria (IV secolo d.C.) o uno Zosimo non meglio identificato; Grove, s.v. Cleonides.

127 Sescuplum [sescuplo]: ‘una volta e mezzo’, cioè sesquialtero.128 Triental [trientale]: ‘della lunghezza di un terzo di piede’, cioè quattro pollici. Corrisponde alla

terza parte del tono greco e vale 68 cents.129 Quadrantal [quadrantali]: ‘della lunghezza di un quarto di piede’, cioè la quarta parte del tono

greco; vale 51 cents.

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Il diatonico possedeva due colori, molle e sintono:1. molle, formato da un semitono, un intervallo non composto di tre diesis

quadrantali e un intervallo di cinque diesis simili;2. sintono, da un semitono, un tono e un altro tono. Questo è il diatonico comune.Per comprendere meglio questo, devo riassumere ciò che prima ho accennato

ma non in modo completo. Si suppone che un tono sia diviso in dodici parti più piccole e perciò che un semitono ne contenga sei, una diesis trientale quattro, una diesis quadrantale tre, l’intera diatessaron trenta; in ognuno dei tre generi la diatessaron era creata e realizzata su quattro corde che avevano tre intervalli intermedi di grado secondo i seguenti numeri e proporzioni di quelle trenta dodicesime parti.130

Enarmonico con 3 + 3 + 24

molle con 4 + 4 + 22Cromatico { emiolio o sescuplo con 4 e mezzo + 4 e mezzo + 21 toniaco con 6 + 6 + 18

molle con 6 + 9 + 15Diatonico { sintono con 6 + 12 + 12

A ognuno di questi generi e dei loro modi adattavano un sistema perfetto o scala di gradi fino alla diapason, come nel seguente esempio tratto da Nicomaco131 al quale ho prefissato le nostre lettere moderne.

130 A Tone… parts [Si suppone… parti]: arisTide QuinTiliano, De musica, libro I, in meibom, pp. 20-21.

131 Nichomachus [Nicomaco]: Nicomaco di Gerasa (I-II secolo d.C.), filosofo neopitagorico e matematico greco. Grande sistematore delle dottrine pitagoriche, lasciò scritti dedicati all’arte dei numeri, alla geometria e all’aritmetica, che costituirono una fonte importante per i posteri; seppe organizzare i diversi risultati della scienza matematica conseguiti nel corso dei secoli. La sua opera dedicata alla musica è stata scritta basandosi su questi principi matematici e rappresenta la fonte più antica sulla musica pitagorica; il suo intento era quello di conciliare scuola pitagorica e scuola platonica. Tali dottrine vennero trasmesse al Medioevo attraverso il lavoro di Boezio. La tavola è tratta da nicomaco, Harmonices manuale, libro I, capitolo XII, in meibom, p. 22.

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Da Nicomaco, p. 22:

La nete hyperbolaeonSol paranete hyperbolaeon (enarmonico, cromatico, diatonico)Fa trite hyperbolaeon (enarmonico, cromatico, diatonico)Mi nete diezeugmenonRe paranete diezeugmenon (enarmonico, cromatico, diatonico)Do trite diezeugmenon (enarmonico, cromatico, diatonico)Si parameseRe nete synemmenonDo paranete synemmenon (enarmonico, cromatico, diatonico)Si132 trite synemmenon (enarmonico, cromatico, diatonico)La meseSol lichanos meson (enarmonico, cromatico, diatonico)Fa parhypate meson (enarmonico, cromatico, diatonico)Mi hypate meson Re lichanos hypaton (enarmonico, cromatico, diatonico)Do parhypate hypaton (enarmonico, cromatico, diatonico)Si hypate hypaton______________________________________________________________

La proslambanomenos133

132 D… B [Re… Si]: i tre suoni corrispondenti alle note Re, Do, Si vengono riportati due volte, la prima riferita al tetracordo dei suoni disgiunti (diezeugmenon), la seconda al tetracordo dei suoni congiunti (synemmenon). Il sistema perfetto dei Greci è sempre formato da quindici suoni.

133 hyperbolaeon… proslambanomenos: hyperbolaeon ‘dei suoni acuti’, diezeugmenon ‘dei suoni disgiunti’, synemmenon ‘dei suoni congiunti’, meson ‘dei suoni medi’, hypaton ‘dei suoni gravi’, nete ‘estrema, ulti-ma’, paranete ‘corda vicina all’ultima’, trite ‘terza corda’, paramese ‘corda vicina alla media’, mese ‘me-dia’, lichanos ‘corda toccata dall’indice’, hypate ‘somma, elevata’ (indica la corda più grave), parhypate ‘corda vicina alla somma’, proslambanomenos ‘corda aggiunta’. Secondo Nicomaco i nomi delle note sono legati ai sette pianeti che ruotano attorno alla terra; nicomaco, Harmonices manuale, libro I, capitolo III.

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In questa scala di disdiapason si vede che la mese sta un’ottava sotto la nete hyperbolaeon e un’ottava sopra la proslambanomenos e che la lichanos, la parhypate, la paranete e la trite sono variabili, come sui nostri strumenti lo sono le seconde, le terze, le seste e le settime; la proslambanomenos, l’hypate, la mese, la paramese e la nete sono immutabili, come lo sono l’unisono, le quarte, le quinte e le ottave.

Ebbene, dai diversi cambiamenti di queste corde variabili derivano principalmente i diversi modi della musica (alcuni li chiamavano toni); Euclide ne stabilisce tredici, cui se ne unirono altri due e cioè ipereolio e iperlidio e altri sei ne furono aggiunti in seguito. Darò come esempio i tredici modi di Euclide, p. 19.134

ipermisolidio, o iperfrigiomisolidio più acuto, o iperiastio135

misolidio più grave, o iperdoricolidio più acutolidio più grave, o eoliofrigio più acutofrigio più grave, o iastiodoricoipolidio più acutoipolidio più grave, o ipoeolioipofrigio più acutoipofrigio più grave, o ipoiastioipodorico

134 Moods… 19 [modi… 19]: euclide, Introductio harmonica, in meibom, p. 19. Probabilmente Euclide ha ripreso questi tredici modi dall’opera di Aristosseno.

135 -iastius [-iastio]: ionico.

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Il più grave o più basso tra questi era il modo ipodorico, la cui proslambanomenos venne fissata nella nota più bassa, chiara e stabile della voce o strumento ritenuto in possesso della più profonda altezza naturale assoluta e spontaneamente adatto a esprimerla.136 E poi via via dal grave all’acuto i modi salivano per semitoni, essendo ogni modo un semitono più alto, ovvero più acuto, del suo immediato precedente. Cosicché, la proslambanomenos del modo ipermisolidio era giusto un’ottava più alta di quella dell’ipodorico; e il resto di conseguenza.137

Allora ogni specifica corda della scala precedente aveva due segni o notazioni [shmei~a] dai quali era caratterizzata o descritta rispettivamente in ciascuno di questi modi e anche per

136 Errata corrige: nel testo originale leggi that was supposed to be of the deepest setled Pitch in Nature, and adapted freely to express it invece di that was to express it.

137 Of these… accordingly [Il più… conseguenza]: questi tredici modi o tonoi, cioè scale o armonie formate sui gradi successivi del sistema perfetto, appartengono alla teoria di Aristosseno e occupa-no l’estensione di un’ottava, da Fa a Fa procedendo per semitoni; Grove, s.v. Greece.

Fa iperfrigio (o ipermisolidio)semitono Mi iperionico (o misolidio più acuto)tono Mib iperdorico (o misolidio) Re lidio tono Do# eolio (o lidio più grave) Do frigiotono Si ionico (o frigio più grave) Sib doricosemitono La ipolidio più acutotono Sol# ipoeolio (o ipolidio più grave) Sol ipofrigio tono Fa# ipoionico (o ipofrigio più grave) Fa ipodorico

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tutti i modi nei diversi generi di musica, enarmonico, cromatico e diatonico; delle due notazioni, quella più in alto serviva per la lettura [levxis], quella più bassa per la percussione [krou~~siß] – una per la voce, l’altra per la mano.138 Si consideri quindi quante note usavano: diciotto corde distinte per tredici modi (o meglio quindici, se si conta l’ipereolio e l’iperlidio, tutti descritti da Alipio)139 e questi adattati ai tre generi di musica. Tante note e così specifiche doveva quindi apprendere e imparare chi studiava musica. Di queste voglio darvi un estratto da Alipio.

Notazioni nel modo lidio nel genere diatonico:140

138 One… Hand [una… mano]: il sistema greco di notazione, strumentale e vocale, era molto complesso ed è stato descritto da teorici quali Aristide Quintiliano e Gaudenzio. Il più antico uti-lizzava le lettere di un alfabeto arcaico in cui spesso a una nota alterata corrispondeva un simbolo capovolto; il secondo, invece, si rifaceva all’alfabeto ionico classico, più recente.

139 Alypius [Alipio]: Alipio (IV secolo d.C.), musicografo greco; considera solo l’aspetto tecnico della musica, armonia, ritmo e metro. È ritenuto l’autore di un trattato, Introductio musica, che con-tiene una serie di tavole con la descrizione dei segni della notazione musicale greca suddivisi in due ordini, uno per la musica strumentale e uno per quella vocale. Costituisce pertanto la più completa e attendibile fonte dell’antica semiografia musicale.

140 Notes… Genus [Notazioni… diatonico]: le lettere corrispondono alle seguenti note: 1 = Re; 2 = Mi; 3 = Mi#; 4 = Sol; 5 = La; 6 = La +; 7 = Do; 8 = Re; 9 = Re +; 10 = Fa; 11 = Sol; 12 = Mi; 13 = Mi#; 14 = Fa; 15 = Sol; 16 = La; 17 = Do; 18 = Re (dove + è mezzo #).

1 2 3 4 5 6 7 8 9

10 11 12 13 14 15 16 17 18

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1 proslambanomenos zeta imperfetta e tau distesa 2 hypate hypaton gamma rovesciata e gamma diritta 3 parhypate hypaton beta imperfetta e gamma capovolta 4 hypaton diatonos phi e doppia gamma 5 hypate meson sigma e sigma 6 parhypate meson rho e sigma capovolta 7 meson diatonos mi e pi allungata 8 mese iota e lambda distesa 9 trite synemmenon theta e lambda capovolta10 synemmenon diatonos gamma e ni11 nete synemmenon W quadrata che giace supina rivolta in su e zeta12 paramese zeta e pi distesa13 trite diezeugmenon E quadrata e pi capovolta14 diezeugmenon diatonos W quadrata supina e zeta15 nete diezeugmenon phi distesa e una imprecisa eta (h) allungata16 trite hyperbolaeon U rivolta verso il basso e alpha dimezzata rivolta verso l’alto17 hyperbolaeon diatonos mi e pi allungata con un accento acuto sopra18 nete hyperbolaeon iota e lambda distesa con un accento acuto sopra

Ho aggiunto i numeri sotto i segni solo per riferimento ai nomi delle note da loro indicati, evitando così di scriverli due volte.

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Notazioni del modo eolio nel genere diatonico:141

1 proslambanomenos eta (H) imperfetta rovesciata ed E quadrata rovesciata2 hypate hypaton, ecc. delta capovolta e tau distesa, girata, ecc.

Aristide (p. 91)142 elenca e descrive tutte le variazioni di ogni lettera dell’alfabeto greco con le quali si indicavano i segni o notazioni sopra citate e quelle degli altri modi. Sono 91 in tutto, incluse le lettere vere e proprie; io non le descriverò, le numererò solamente.

141 Notes… Genus [Notazioni… diatonico]: le lettere corrispondono alle seguenti note: 1 = Do#; 2 = Re#; 3 = Mi; 4 = Fa#; 5 = Sol#; 6 = La; 7 = Si; 8 = Do#; 9 = Re; 10 = Mi; 11 = Fa#; 12 = Re#; 13 = Mi; 14 = Fa#; 15 = Sol#; 16 = La; 17 = Si; 18 = Do#.

142 Aristides (Pag. 91) [Aristide (p. 91)]: arisTide QuinTiliano, De musica, libro I, in meibom, pp. 27-28; siccome la citazione non corrisponde, forse in questo caso Holder non si riferisce all’edi-zione curata da Meibom, a meno che «Pag. 91» non sia un errore indotto dal successivo «all 91».

1 2 3 4 5 6 7 8 9

10 11 12 13 14 15 16 17 18

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Da

A se ne formavano 7 N se ne formavano 2B 2 X 2G 7 O 2D 4 P 7E 3 R 2Z 2 S 6H 5 T 4Q 2 U 3I 4 F 4K 3 X 4L 5 Y 2M 5 W 4

49 42___________________________________________________ 91

Aggiungerò soltanto una o due parole riguardanti l’antico uso dei termini diastema e sistema. Diastema indicava un intervallo o spazio, sistema un’unione o combinazione di intervalli. Cosicché, generalmente parlando, un’ottava o un qualsiasi altro sistema potrebbe invero essere chiamato diastema, e molto spesso si usava chiamarlo così laddove non era necessario apportare distinzioni. Però un tono o un semitono non poteva essere definito sistema poiché, a rigor di termini, per diastema si intendeva solamente un grado non composto – che fosse diesis, semitono, tono, sesquitono oppure ditono, dato che questi ultimi due erano talvolta soltanto gradi, uno enarmonico, l’altro cromatico. Con sistema si intendeva un intervallo comprensivo, formato da gradi o da sistemi minori o da entrambi. Così un tono era un diastema, la diatessaron un sistema composto da gradi oppure da una terza e un grado. Diapason era un sistema formato dai sistemi più piccoli, quarta e quinta, oppure terza e sesta, o da una scala di gradi; e la scala di note che essi usavano era il loro sistema massimo o sistema perfetto. In questo modo,

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una terza maggiore e una terza minore nel genere diatonico erano, propriamente parlando, sistemi, il primo composto da due toni e il secondo da tre semitoni, oppure da un tono e un semitono. Ma nel genere enarmonico, un ditono non era un sistema ma un grado non composto che, aggiunto a due diesis, formava la diatessaron; e nel genere cromatico un trisemitono era la medesima cosa, dato che era soltanto un diastema non composto e non un sistema.

Ma rientriamo da questa digressione – non tanto per un mio proposito quanto per soddisfare la curiosità del lettore – e continuiamo il nostro discorso sui gradi diatonici secondo le regole della natura. Si è detto che in ogni diapason ci sono cinque toni e due semitoni; ora, la ragione per cui ci devono essere due semitoni è che un’ottava è naturalmente composta e divisa in una quinta e una quarta e una quinta è costituita da tre toni e mezzo, una quarta da due toni e mezzo. La salita per gradi deve passare attraverso la quarta e la quinta che sono sempre invariabili e mantengono la stessa distanza dall’unisono e fra loro deve sempre trovarsi un esatto tono maggiore di 9 a 8. Perciò la diapason non sale attraverso sei toni, ma attraverso cinque toni e due semitoni essendo un semitono collocato in ciascuna quarta disgiunta, in ognuna delle quali i gradi si possono alterare situando il semitono nel primo, nel secondo o nel terzo grado, come Mi Fa Sol La, La Mi Fa Sol, Sol La Mi Fa.143 Se si è fatto questo nel primo tetracordo si cambia la seconda o la terza corda; se nell’altro tetracordo disgiunto si cambia la sesta o la settima, poiché la quarta e la quinta risultano stabili e immutabili. Con queste si divide la diapason in modo naturale poiché seconda, terza, sesta e settima sono variabili, in quanto minore e maggiore, a seconda del posto del semitono.

143 Mi… Fa: l’indicazione dei semitoni sempre con le note Mi-Fa fu proposta da Guido d’Arez-zo per semplificare nella pratica esecutiva la lettura degli altri due semitoni, La-Sib e Sin-Do.

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Così sistemati, questi toni e semitoni sono i gradi144 o note per le quali si costruisce una salita o una discesa dall’unisono all’ottava o attraverso qualsiasi altro sistema, dando a tutte le consonanze i loro esatti valori o rapporti senza i quali non potremmo né misurare né dividere né ben esercitarci per imparare gli intervalli più grandi, ovvero i sistemi.

Come noi istintivamente, grazie alla valutazione del nostro orecchio, riconosciamo e consideriamo l’ottava come la principale consonanza, così riusciamo in modo altrettanto naturale, senza studio o pratica musicale, a misurare il sistema di una diapason per mezzo di questi gradi diatonici, senza poter fare diversamente. Con la nostra voce non riusciamo a eseguire, se non dopo uno studio infinito, otto note in senso ascendente o discendente senza mescolare toni e semitoni, ma risulta molto più facile quando evitiamo il tritono. Lo notiamo in uno squillo di campane in cui il suono più completo e piacevole è quello di una serie di sei campane ordinate in modo tale che il semitono sia al centro, cioè tra il terzo e il quarto grado sia ascendendo che discendendo, evitando perciò il tritono. Per esempio, La Sol Fa Mi Re Do, in cui tutte le salite e le discese si compiono attraverso diatessaron giuste: Do Re Mi Fa, Re Mi Fa Sol, Mi Fa Sol La. Oppure discendendo: La Sol Fa Mi, Sol Fa Mi Re, Fa Mi Re Do.145

E ciò risulta così naturale che diletta tutti gli orecchi e se si disponessero in qualunque altro ordine, apparirebbe così sgradevole che qualsiasi orecchio rozzo o incolto, di chi non sa cosa sia un tritono, sarebbe in grado di giudicare e scoprire un’avversione nei suoi confronti. E quanto maggiore risulterebbe se lo squillo di campane fosse disposto secondo i gradi cromatici o enarmonici per formare le diatessaron! Come sembrerebbe assurdo e rozzo! L’uso di questi generi, quindi, e in questo modo, come si è detto sembra essere una violenza alla natura e soltanto per curiosità.

144 Errata corrige: nel testo originale leggi Degrees invece di Degree.145 We see… Ut [Lo notiamo… Do]: le sei campane col semitono centrale ci riportano ancora

una volta all’esacordo guidoniano, mentre la costruzione della scala procedendo per 4e giuste segue il metodo induttivo di Aristosseno. Da questo momento Holder esalta il genere diatonico come l’unico accettabile perché «diletta tutti gli orecchi».

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Tra i gradi della musica diatonica c’è soltanto un tipo di semitono chiamato semitono maggiore il cui rapporto è 16 a 15, essendo la differenza e formando un grado tra un tono maggiore e una terza minore, o tra una terza maggiore e una quarta.

Ci sono due tipi di tono, maggiore e minore: il tono maggiore (9 a 8) è la differenza tra una quarta e una quinta e il tono minore (10 a 9) è la differenza tra una terza minore e una quarta. Ma entrambi derivano, come è stato detto, dalla divisione di una terza maggiore, nello stesso modo in cui avviene la suddivisione di un’ottava in una quinta e una quarta.146 Potrei umilmente fare la seguente considerazione e se sarò troppo audace oppure cadrò in errore chiederò scusa al lettore.

I maestri dell’antica Grecia scoprirono il tono dalla differenza tra una quarta e una quinta sottraendo l’una all’altra. Ma se l’avessero trovato anche, e in modo più naturale, per mezzo della divisione di una quinta, prima in un ditono e un sesquitono e poi mediante la giusta divisione di un vero ditono o terza maggiore nelle sue parti esatte, avrebbero scoperto sia il tono maggiore sia quello minore.147 Euclide è convinto che inter super particulare non cadit medium;148 un rapporto superparticolare non può avere un medio, espresso cioè da un numero intero, il che è vero nei suoi minimi termini. Ma se egli avesse raddoppiato i minimi termini di un superparticolare, avrebbe potuto scoprire i numeri intermedi suddividendo i sistemi dell’armonia in modo assai naturale e regolare. Per esempio, poiché i suoi numeri si superano di una sola unità, il rapporto doppio 2 a 1 ha la natura di un superparticolare; ma una volta raddoppiati i termini, 2 a 1 diventa 4 a 2, dove 3 è il medio che lo divide in 4 a 3 (quarta) e 3 a 2 (quinta). Ancora, raddoppiando entrambi i termini, 3 a 2 diventa 6 a 4 e similmente dà le due terze, ossia 6 a 5 (terza minore)

146 In… Eighth [Tra… quarta]: Holder si rifà al sistema dei rapporti semplici teorizzato fra l’altro da Zarlino per formulare il temperamento naturale; cfr. qui a p. 288.

147 The Ancient… Minor [I maestri… minore]: per esempio: Do-Sol (5a) = Do-Mi (ditono) + Mi-Sol (sesquitono); Do-Mi (5/4, 3a maggiore) = Do-Re (9/8, tono maggiore) + Re-Mi (10/9, tono minore) nel sistema zarliniano.

148 Euclid… Medium [Euclide… medium]: euclide, Sectio canonis, teorema X, in meibom, p. 32.

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e 5 a 4 (terza maggiore). Analogamente, la terza maggiore (5 a 4), raddoppiata come prima (10 a 8), dà149 i due toni, cioè 10 a 9, tono minore, e 9 a 8, tono maggiore.

Questo sembra un motivo per cui gli antichi non scoprirono né usarono il tono minore né, di conseguenza, non riconobbero il ditono150 come consonanza; essi non adottarono questo modo di suddividere i sistemi, benché Euclide avesse ricevuto un buon suggerimento per ricercare oltre, quando misurò la diapason per mezzo di sei toni [maggiori] e trovò che questi la superavano.151

I pitagorici, non usando il tono minore bensì due toni maggiori uguali in una quarta, furono costretti a prendere per semitono un intervallo più piccolo che è chiamato limma o semitono pitagorico; questo, sommato a quei due toni, forma una quarta; è un comma più piccolo del semitono maggiore (16 a 15) e il suo rapporto è 256 a 243.152

149 Errata corrige: nel testo originale leggi gives invece di give.150 Ditone [ditono]: il ditono nel sistema pitagorico è la somma di due toni 9/8 (81/64, 408

cents), mentre in quello zarliniano è la somma di un tono maggiore 9/8 e uno minore 10/9 (5/4, 386 cents). Il ditono greco era una 3a maggiore aspra che lo stesso Aristosseno considerava disso-nante. La 3a e la 6a nell’antica Grecia erano veramente dissonanti dato che la progressione delle 5e comportava un allargamento degli intervalli.

151 Euclid… Diapason [Euclide… superavano]: Euclide fu il primo a dimostrare che un’8a non poteva essere formata da sei toni maggiori; euclide, Sectio canonis, teorema XIV, in meibom, p. 34. Il solo tono conosciuto nell’antica Grecia era quello maggiore (9/8, 204 cents) per cui al termine della scala il Si# 531441/524288 (comma ditonico, 24 cents) superava il Do 524288/262144 = 2/1: Do-Re + Re-Mi + Mi-Fa# + Fa#-Sol# + Sol#-La# + La#-Si# = Do-Do; cfr. tavola B, qui a p. 308.

152 The Pythagoreans… 243 [I pitagorici… 243]: cfr. tavola C, qui a p. 310.

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Tuttavia troviamo che i maestri greci più tardi (Tolomeo) si occuparono del tono minore153 e Aristide Quintiliano divise un tono sesquiottavo (9 a 8) dopo aver raddoppiato i termini di quel rapporto in due semitoni, 18 a 17 e 17 a 16; e questi a loro volta in due diesis ciascuno, 36 a 35 e 35 a 34, la divisione di 18 a 17, il semitono più piccolo, e 34 a 33 e 33 a 32, le parti di 17 a 16, il semitono più grande.154 Eppure nessuno di questi era il complemento di due toni sesquiottavi rispetto alla diatessaron, ma un altro semitono il cui rapporto è intorno a 20 a 19 (non precisamente, ma così vicino che la differenza è solo 1216 a 1215) ed insieme formano il limma pitagorico.

Ma non trovo da nessuna parte che essi divisero la quinta e la terza maggiore in questo modo; anzi, sembra provassero avversione per questo metodo a causa dell’ineguaglianza dei semitoni e delle diesis così trovati, e preferivano piuttosto

153 Yet… Minor [Tuttavia… minore]: l’introduzione del tono minore (10/9, 182 cents) si attribui-sce a Didimo Musico (seconda metà del I secolo a.C.) che intendeva correggere la scala pitagorica e che alcuni identificano col grammatico alessandrino detto Calcentero ossia ‘viscere di bronzo’ perché infaticabile (circa 80-10 a.C.); Grove, s.v. Didymus. Gli scritti perduti di Didimo Musico si conoscono indirettamente attraverso le citazioni di Claudio Tolomeo (post 83-161), matematico, astronomo e geografo alessandrino, autore di un poderoso compendio in tre volumi, intitolato Harmonicorum libri. Il tono minore serviva a eliminare quell’eccesso della 3a maggiore della scala pi-tagorica formata da due toni maggiori; il semitono pitagorico (256/243, 90 cents) venne sostituito col semitono diatonico (16/15, 112 cents); la differenza tra i due toni è il comma sintonico (81/80, 22 cents).

154 Aristides… Hemitone [Aristide… grande]: arisTide QuinTiliano, De musica, libro III, in mei-bom, p. 114.

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formare i loro gradi per mezzo del tono sesquiottavo e di quelle dodicesime parti supposte come sue suddivisioni uguali. Torniamo però al nostro discorso.

Vediamo che ci sono tre gradi diatonici, ovvero semitono maggiore, tono minore e tono maggiore; alcuni chiamano il primo grado minore, il secondo grado maggiore e il terzo grado massimo.155 Ebbene, questi tre tipi di gradi si devono correttamente mescolare e ordinare in ogni ascesa verso un’ottava in base al tono, o unisono dato,156 e alle sue caratteristiche per quanto riguarda minore o maggiore nella nostra scala musicale, cosicché tutte le consonanze possono essere vere e stare nel loro rapporto stabilito. Se si cambia la tonalità, quindi, bisogna cambiare anche questi ed è la ragione per cui un clavicembalo, i cui gradi non variano, oppure uno strumento a tastiera, rimanendo i tasti fissi, non può essere accordato contemporaneamente in tutte le tonalità, perché se si cambia tonalità

155 Maxim [massimo]: nella tavola qui a pp. 108-109, la terminologia usata da Holder per defi-nire le grandezze dei tre gradi diatonici è leggermente diversa: minimo invece di minore, piccolo invece di maggiore, grande invece di massimo.

156 Key… given [tono… dato]: è il primo riferimento di Holder alla tonalità (o tono). Per una panoramica sull’evoluzione del pensiero nel XVII secolo riguardo al passaggio dalla modalità alla tonalità e al concernente problema terminologico (mode-tone-key), cfr. per esempio loris aZZaroni, Ai confini della modalità. Le toccate per cembalo e organo di Girolamo Frescobaldi, Bologna, clueb, 1986.

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IV

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con essa cambia la posizione del tono minore e del tono maggiore e si ricade in altri semitoni, che non sono propriamente gradi diatonici, e di conseguenza in falsi intervalli.

Si può osservare pienamente questo se si disegnano e si confrontano scale in senso ascendente corrispondenti a diverse tonalità (come quelle qui inserite). Per fare un esempio, si consideri la prima scala, esattamente nel tono di Do, ascendente alla diapason (I) per mezzo di gradi diatonici, facendo in modo che il primo sia un tono minore, come indicato in questo esempio, mescolando semitoni cromatici e altri semitoni come di solito avviene nella tastiera di un organo. Cioè, su un organo accordato nel modo migliore si formi un’ottava procedendo per semitoni a partire da Do e si troveranno questi valori; i gradi corretti sono esattamente dove dovrebbero essere e sono raffigurati con brevi, gli altri con semibrevi; le brevi rappresentano i toni dei principali tasti di un organo che procedono per grado, le semibrevi indicano i tasti superiori corti che generalmente vengono chiamati neri.157 E sia questa la prima scala e un modello per le rimanenti.158

Sullo stesso organo intonato come prima si delinei poi una seconda scala (II) ascendente all’ottava nello stesso modo ma il tono, ovvero la prima nota, sia Re con una sesta minore,159 il quale tono è collocato una nota, o tono minore, più in alto della precedente.

Si tracci anche una terza scala (III) partendo dal Re diesis, ovvero con terza e settima maggiori cioè Fa e Do diesis.

Nella prima di queste scale i gradi, espressi da brevi, sono posti secondo un ordine accettabile e naturale.

Cambiando il tono da Do a Re, nella seconda scala ci saranno la seconda,160 la quarta e la sesta con un comma (81 a 80) di troppo e tra la quarta e la quinta un tono minore che invece dovrebbe sempre essere un tono maggiore. Perciò dalla quarta

157 Musics [neri]: Oxford dictionary of English, a cura di Angus Stevenson, Oxford, Oxford Univer-sity Press, 2010 (www.oxforddictionaries.com), s.v. Music, per l’accezione n. 7 obsoleta e rara, cita soltanto questo passo del Treatise; i tasti che vengono definiti black o neri, in realtà possono essere di colore diverso ancor oggi, per esempio nel clavicembalo, e a maggior ragione alla fine del Seicento.

158 And… rest [E… rimanenti]: se si invertono i primi due toni di questa scala (tono maggiore e minore) si ottiene la scala naturale zarliniana; cfr. tavola B, qui a p. 308.

159 Errata corrige: nel testo originale leggi with a Flat 6th invece di Proper.160 Errata corrige: nel testo originale leggi the Second, Fourth invece di the Fourth.

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all’ottava c’è un comma di meno rispetto alla diapente, e dalla sesta un comma di meno rispetto alla terza maggiore.161 E ciò perché in questa scala i gradi sono posti male.

La terza scala presenta la seconda,162 la quarta e la sesta dall’unisono ciascuna con un comma in più e a partire dall’ottava con un comma in meno. In essa il terzo grado tra Fa diesis e Sol non è il semitono vero e proprio, bensì il semitono massimo, 27 a 25. E tutto ciò perché anche in questa scala i gradi sono collocati male e, come si può vedere, capitano tre toni minori e solamente due maggiori, dato che si aggiunge il comma mancante al semitono.

Ho aggiunto l’ulteriore esempio (IV) di una quarta scala che inizia dalla nota Do diesis, coi gradi ordinati come la prima, sullo stesso strumento accordato nello stesso modo. E questa scala sarà più alta della prima di un semitono.

In essa tutti i semitoni sono rispettivamente dello stesso tipo di quelli della prima scala.

E anche gli intervalli dovrebbero essere uguali, con terza, sesta e settima maggiori.

Ma in questa quarta scala, il primo grado, da Do diesis a Mi bemolle, è un tono maggiore più una diesis, essendo composto da 16 a 15 e 27 a 25.

Il secondo grado, da Mi bemolle a Fa, è un tono minore, perciò il ditono formato da questi due gradi eccede di una diesis (128 a 125) e altrettanto più piccolo risulta il trisemitono dal ditono alla quinta.

Il terzo grado, da Fa a Fa diesis, è un semitono minore, 25 a 24 che, sebbene non sia un grado corretto, riaggiusta la diatessaron.

Il quarto grado, da Fa diesis a Sol diesis, è un tono maggiore e forma una quinta giusta.

Il quinto grado, da Sol diesis a Si bemolle, è un tono maggiore più una diesis assegnando all’esacordo

161 Errata corrige: nel testo originale leggi Major invece di Minor. 162 Errata corrige: nel testo originale cancella Third.

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(o sesta) una diesis e un comma di troppo o troppo in alto; sarebbe dovuto essere un tono minore.

Il sesto, da Si bemolle a Do, è un tono minore diminuito in quella posizione di un comma.

Il settimo, da Do a Do diesis, è un semitono minore diminuito di una diesis. E così questi ultimi due gradi hanno una diesis e un comma di meno i quali, dal momento che risultano come prima sovrabbondanti nel quinto grado, vengono equilibrati dalla mancanza di un comma nel sesto grado e di una diesis nel settimo e così l’ottava risulta giusta.

Si possono osservare meglio queste differenze mettendo assieme e confrontando i gradi di questa quarta scala con quelli della prima; troveremo che solo uno163 tra tutti e sette i gradi risulta uguale in entrambe le scale.

scala i scala ivGradiI tono minore tono maggiore e diesisII tono maggiore tono minoreIII semitono maggiore semitono minoreIV tono maggiore tono maggiore164

V tono minore165 tono maggiore e diesisVI tono maggiore tono minoreVII semitono maggiore semitono minore

E questo succederà in tutti quegli strumenti accordati per semitoni, fissati su corde come l’arpa, o su corde con tasti come l’organo, il clavicembalo, o distinti da tasti come il liuto, la viola. Perciò non c’è altro rimedio che apportare qualche modifica all’accordatura delle corde nei primi due e allo spazio dei tasti negli ultimi, come richiederà la tonalità del momento, quando nell’esecuzione di composizioni musicali si passa da una all’altra.166

163 Errata corrige: nel testo originale leggi but one invece di no one.164 Errata corrige: nel testo originale leggi Major invece di Minor. 165 Errata corrige: nel testo originale leggi Minor invece di Major. 166 And… Compositions [E… all’altra]: si sente l’esigenza di unificare gli intervalli più piccoli del

tono e del semitono, dato che le differenze tra i vari rapporti sono veramente minime; un tempera-mento equabile permetterebbe di cambiare tonalità senza dover ogni volta cambiare l’accordatura dello strumento; cfr. qui a pp. 292 sgg.

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Tuttavia la voce mentre canta, essendo libera, viene guidata in modo naturale a evitare e a correggere quelle anomalie prima descritte e a muoversi secondo intervalli giusti e appropriati, poiché con essa è molto più facile intonare l’in-tervallo giusto che distanze anomale o scorrette.

Si possono trovare molte più caratteristiche di questo tipo se si costruiscono e si confrontano più scale che partono da altri toni. Si troverà ancora che, cambiando la tonalità, si fanno anche cambiare e spostare i gradi e si useranno gradi impropri creando intervalli incoerenti.

Giacché, invece del semitono vero e proprio, alcuni gradi saranno formati da altri tipi di semitoni, tra i quali ce ne sono soprattutto due, il semitono massimo 27 a 25 e il semitono minore o cromatico 25 a 24, che formano e dividono i due toni: il tono maggiore, 9 a 8, i cui termini triplicati diventano 27 a 24 e danno 27 a 25 e 25 a 24, e il tono minore che nello stesso modo si divide in semitono maggiore 16 a 15 e semitono minore 25 a 24.

Questi due semitoni servono per misurare i toni e si usano anche quando ci si allontana verso il genere cromatico. Ma nel genere diatonico il grado semitono dovrebbe sempre essere un semitono maggiore, 16 a 15, dal momento che è il grado corretto ed è la differenza tra tono maggiore e trisemitono, tra ditono e quarta, tra quinta e sesta minore167 e anche tra settima maggiore e ottava.

La musica sembrerebbe molto più semplice se lo sviluppo della suddivisione avesse raggiunto il semitono, se, cioè – come raddoppiando i termini della diapason, 4 a 2 si divide in 4 a 3 e 3 a 2, diatessaron e diapente; e raddoppiando i termini della diapente, 6 a 4 si scompone in 6 a 5

167 Errata corrige: nel testo originale cancella between 6th Major and 7th Minor.

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e 5 a 4, terza minore e terza maggiore; e il ditono, o terza maggiore, così duplicato, 10 a 8 si suddivide in 10 a 9 e 9 a 8, tono minore e tono maggiore – se, dico, nello stesso modo i termini raddoppiati del tono maggiore, 18 a 16, così divisi avessero dato semitoni utili e appropriati, 18 a 17 e 17 a 16. Ma non ci sono semitoni di questo tipo in armonia; si devono ricercare tra le differenze degli altri intervalli, come avremo occasione di vedere quando arriverò a trattare le differenze nel capitolo ottavo.168

Posso concludere questo capitolo mostrando come tutte le consonanze e gli altri intervalli gradevoli siano formati da questi tre gradi: tono maggiore, tono minore e semitono maggiore, distintamente collocati come richiesto dalla tonalità.

168 Chap. 8 [capitolo ottavo]: cfr. qui a pp. 228-241.

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3 toni maggiori2 toni minori uniti formano una 7a maggiore1 semitono maggiore

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Capitolo VII

Delle dissonanze

Sebbene costituiscano e compongano tutte le consonanze, i gradi vengono considerati tra le dissonanze, dato che ognuno è tale rispetto a ciascuna corda dalla quale dista di un grado, ascendendo o discendendo, in quanto rispetto a essa è una seconda. Oltre a essi ci sono altre dissonanze, alcune più grandi, altre più piccole; troveremo queste ultime tra le differenze nel prossimo capitolo ed è giusto riconoscerle come differenze piuttosto che trattarle come intervalli.

Le dissonanze più grandi sono in genere formate dalle consonanze alle quali, a causa di gradi collocati fuori posto, capita di avere un comma o una diesis o talvolta un semitono in più o in meno cosicché diventano dissonanze; la maggior parte di loro trovano scarso impiego e si deve riconoscerle solo per meglio misurare e correggere i sistemi. Eppure le ritroviamo tra le scale della nostra musica.

Talvolta un tono maggiore che si trova al posto di un tono minore, oppure un tono minore invece di un tono maggiore, qualche volta altri semitoni, che prendono il posto del semitono maggiore diatonico e vengono usati come fossero gradi, creano intervalli dissonanti non appropriati. Tra questi si possono trovare per lo meno altre due seconde, altre due terze, altre due seste e altre due settime, in ciascuna delle quali coppie una è più piccola e l’altra più grande dei veri intervalli legittimi, ovvero spazi con quelle denominazioni, come si spiegherà meglio nel discorso seguente.

Oltre a questi, però – o piuttosto tra questi, dato che qui considero i gradi come dissonanze – ci sono due dissonanze sommamente

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importanti, cioè il tritono e la semidiapente. Il tritono (o quarta falsa), il cui rapporto è 45 a 32, è formato da tre note intere, ossia due toni maggiori e uno minore; la semidiapente (o quinta falsa), 64 a 45, è composta da una quarta e un semitono maggiore.169

E questi due dividono la diapason, 64 a 32, nel punto di mezzo, 45, e la suddividono in modo talmente uguale che in pratica è difficile distinguerli e si possono quasi considerare identici. In natura, però, sono sufficientemente distinti, come si può vedere sia in base ai loro diversi rapporti, sia alle diverse parti di cui sono composti.

Ritengo di poter considerare le settime dei gradi, come pure considerarle tra gli intervalli dissonanti più grandi, poiché sono solamente delle seconde rispetto all’ottava e sono dei gradi discendendo tanto quanto lo sono le seconde ascendendo, anche se sono intervalli grandi rispetto all’unisono, e come tali si possono qui considerare.

169 The Tritone… Major [Il tritono… maggiore]: «L’acustica distingue due 4e eccedenti e due 5e diminuite: nella scala pitagorica rispettivamente di 729/512 e di 1024/729; in quella naturale rispet-tivamente di 45/32 e di 64/45»; deumm, s.v. Tritono. Rifacendosi alla scala naturale, Holder chiama tritono la 4a eccedente e semidiapente la 5a diminuita che sommate danno l’8a: per esempio Do-Fa# (4a eccedente) = 590 cents e Do-Solb (5a diminuita) = 610 cents; 590 + 610 = 1200 cents (8a); cfr. tavola B, qui a p. 308.

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Queste dissonanze – il tritono e la semidiapente, come pure le seconde e le settime – sono assai utili in musica e le aggiungono un meraviglioso ornamento e diletto se giudiziosamente trattate. Senza di loro la musica sarebbe molto meno piacevole, come risulterebbe al palato la carne senza sale o condimento.170 Ma offrire ulteriori considerazioni a questo proposito e indicare quando e come usarli non è compito mio, ma va lasciato ai maestri di composizione.

Le dissonanze che risultano quindi più convenienti e utili (intervalla concinna)171 sono le seguenti:

2a minore o semitono maggiore 16 a 152a maggiore o tono minore 10 a 92a più grande o tono maggiore 9 a 8172 7a minore o 5a e 3a minore 9 a 57a maggiore o 5a e 3a maggiore 15 a 8tritono o 3a maggiore e tono maggiore 45 a 32semidiapente o 4a e semitono maggiore 64 a 45

Questi sono gli intervalli dissonanti semplici e appropriati che rientrano nella diapason; se si aumenta l’estensione, non si fa altro che ripetere gli stessi intervalli aggiunti alla diapason, o disdiapason o trisdiapason, ecc. come ad esempio una

9a è la diapason con una 2a

10a è la diapason con una 3a

11a è la diapason con una 4a, oppure la diapason con la diatessaron12a è la diapason con una 5a, oppure la diapason con la diapente15a è la disdiapason19a è la disdiapason con la diapente22a è la trisdiapason, ecc.

170 These… Sawce [Queste… condimento]: l’atteggiamento dei trattatisti tardomedievali e rinasci-mentali nei confronti del tritono è contraddittorio; alcuni lo proibivano del tutto; altri lo tolleravano soltanto in qualche caso, come il franco-fiammingo Johannes Tinctoris o più tardi il veneziano Zarlino; Holder si schierò con coloro che ne esaltavano l’espressività come Gaffurio.

171 concinna: ‘gradevoli, armoniosi’.172 2d… 8 [2a… 8]: in questa tavola la denominazione degli intervalli di 2a si discosta da quella

utilizzata nella tavola qui a pp. 108-109, secondo la quale il semitono maggiore (16 a 15) è chiamato 2a minima e non minore, il tono minore (10 a 9) 2a minore e non maggiore, il tono maggiore (9 a 8) 2a maggiore e non «più grande».

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A questo proposito, il lettore si potrebbe divertire esercitandosi a misurare i rapporti di alcuni di quegli intervalli del precedente elenco di dissonanze confrontandoli con la diapason, come quelli delle settime, che scelgo perché sono i rapporti più distanti sotto la diapason, e cioè settima minore, 9 a 5, e settima maggiore, 15 a 8. Scopriamo ora quali gradi e quali intervalli si trovano tra questi e la diapason.

Innanzi tutto 9 a 5 è 10 a 5 meno 10 a 9 (tono minore); poi 15 a 8 è 16 a 8 meno 16 a 15 (semitono maggiore); perciò il grado tra settima minore e diapason è il tono minore e tra settima maggiore e diapason è il semitono maggiore. Il lettore potrà quindi allenarsi osservando quali intervalli sono compresi in quelle diverse settime e di quali esse si compongano.

Prima di tutto 9 a 5 comprende 9 a 8 e 8 a 5; oppure 9 a 8, 8 a 6 e 6 a 5. Poi, 15 a 8 contiene 15 a 12, 12 a 10, 10 a 9 e 9 a 8; oppure 15 a 12 e 12 a 8; o 15 a 10 e 10 a 8, ecc. Suppongo che, prima di questo, il lettore conosca talmente bene questi rapporti che non occorre che io perda tempo a nominare gli intervalli espressi dai rapporti intermedi contenuti nei precedenti rapporti di settime che mostrano di quali intervalli queste sono formate.

A causa dei gradi sistemati male, oltre a queste ci sono altre due settime (settime false), una più piccola di quella reale e una più grande. La più piccola, il cui rapporto è 16 a 9, è composta da due quarte e ha un comma di meno rispetto alla settima minore e un tono maggiore in meno rispetto alla diapason; l’altra è la più grande, detta semidiapason, il cui rapporto è 48 a 25 dato che ha una diesis in più rispetto alla settima maggiore e ha un semitono minore in meno rispetto alla diapason.

Innanzi tutto 16 a 9 è 16 a 8 (2 a 1) meno 9 a 8, cioè ha un tono maggiore meno della diapason e contiene 16 a 10 (8 a 5) e 10 a 9; oppure 16 a 15, 15 a 12 (5 a 4), 12 a 10 (6 a 5)

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e 10 a 9. Poi, la semidiapason 48 a 25 è 50 a 25 meno 50 a 48, ossia 25 a 24, e cioè un semitono minore dalla diapason.

La stessa cosa succede, come si è detto, agli altri intervalli che ammettono maggiore e minore, ossia seconde, terze e seste. La quarta, la quinta e l’ottava dovrebbero sempre rimanere immutabili, benché se si sale verso di loro mediante gradi errati a volte anch’esse possano subirne gli effetti e tendere alle dissonanze. Ciò si può vedere nella seconda scala del precedente capitolo,173 dove la quarta con due toni maggiori possiede un comma di troppo.

Tutti questi intervalli possono essere soggetti a più cambiamenti, attraverso i più assurdi posizionamenti dei gradi o delle differenze di gradi; ma non vale la pena di inoltrarci a curiosare tra di loro. Il lettore può dilettarsi ed esercitarsi a sufficienza da solo a comparare e misurare questi che gli sono già stati offerti.

Ma rientriamo da questa digressione. Esistono molte dissonanze inadeguate che possono derivare dalla continua progressione delle stesse consonanze, cioè aggiungendo per esempio una quarta a una quarta, una quinta a una quinta, ecc.; infatti si può osservare che solamente la diapason sommata a se stessa tante volte quanto piace genera ancora una consonanza ma, aggiunta a se stessa, ogni altra consonanza produce una dissonanza.

Si vedrà la ragione di ciò dopo aver ben considerato l’anatomia, se così la posso definire, delle parti che costituiscono la diapason, che contiene ed è composta da sette intervalli di grado, o da quarta e quinta, o da terze e seste, o da seconde e settime, tutti intervalli che devono mantenere i veri valori e rapporti a loro appartenenti altrimenti vengono alterati con facilità.

Si consideri poi la diapason come formata da due quarte disgiunte con un tono maggiore tra loro. È indispensabile che si faccia bene attenzione a quest’ultimo,

173 foregoing Chapter [precedente capitolo]: cfr. qui a pp. 196-197.

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in quanto rivela assai chiaramente le ragioni di quelle anomalie, o intervalli irregolari generati dal cambiamento di tonalità e che, di conseguenza, danno una nuova ed errata posizione a questo strano tono maggiore al centro della diapason tra le due quarte disgiunte.

Ogni quarta deve essere formata, come gradi propri, da un tono maggiore, un tono minore e un semitono maggiore, ordinati come piace; sommati assieme, i loro rapporti danno il rapporto di diatessaron. E di questi stessi gradi contenuti nella quarta sono formate le due terze, che costituiscono la quinta; tono maggiore e semitono maggiore danno la terza minore o trisemitono, tono maggiore e tono minore danno la terza maggiore o ditono, triesemitono e ditono danno la diapente, trisemitono e tono minore (come pure ditono e semitono maggiore) danno la diatessaron.

Quando si cambia la tonalità e si comincia la scala di diapason da un’altra nota, questo tono maggiore, che si trova al centro della diapason tra le due quarte, che separa, e i gradi necessari alle quarte, non sarà preciso in una scala fissa. Difatti ciò che prima era la quinta ora sarà la quarta, o la sesta, ecc. E poi i gradi saranno disordinati e creeranno alcuni intervalli dissonanti. Se si manterranno unite le quarte ci saranno toni maggiori in difetto, se si manterranno unite le quinte nei sistemi che ne derivano ci saranno toni maggiori in eccesso. E se un tono maggiore si trova al posto di un tono minore, o un tono minore invece di un tono maggiore, quell’intervallo eccederà o sarà in difetto di un comma. Analogamente, da un semitono sbagliato nasce la differenza di una diesis. E questi due, comma e diesis, sono frequentemente abbondanti o carenti se i gradi risultano mal posti o in disordine;

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in questo modo le difficoltà di fissare i semitoni di un organo accordato per tutte le tonalità o di dare la vera accordatura per mezzo dei tasti diventano affatto insuperabili.

Si veda come in ogni spazio di un’ottava ci debbano essere tre toni maggiori, due toni minori e due semitoni maggiori, un tono maggiore tra la diatessaron e la diapente e un tono maggiore, un tono minore e un semitono maggiore in ognuna delle quarte disgiunte.174

Questi sono i gradi esatti per i quali sempre si dovrebbe salire o scendere attraverso la diapason nel genere diatonico; la quale diapason, essendo il sistema completo in quanto contiene tutti i principali intervalli armonici semplici che ci sono, e per questo chiamato diapason, si può moltiplicare o sommare a se stessa tanto quanto piace, fin dove voce o strumento possono estendersi. E sarà sempre una consonanza; né da tale addizione potrà essere alterata perché ciascuna conterrà, comunque collocata, esattamente tre toni maggiori, due toni minori e due semitoni maggiori.

Laddove invece si aggiunga un qualsiasi altro intervallo a se stesso, i gradi non cadranno esatti e si otterrà una dissonanza, perché tutte le consonanze sono composte da parti disuguali, come è stato prima dimostrato; e se si trasportano in un’uguale progressione, si mescoleranno con altri intervalli attraverso gradi incongruenti, e questi gradi disordinati daranno origine a un intervallo dissonante. Se ne osservi lo schema seguente:

due 3e minori formano una 5a meno un semitono minoredue 3e maggiori formano una 5a più un semitono minoredue 4e formano un’8a meno un tono maggioredue 5e formano un’8a più un tono maggioredue 6e minori formano un’8a più un ditono e una diesisdue 6e maggiori formano un’8a più una 4a e un semitono minore

A ciò si può aggiungere che:

due toni minori formano un ditono meno un commadue toni maggiori formano un ditono più un comma

174 You see… Fourths [Si veda… disgiunte]: è la scala naturale; cfr. tavola B, qui a p. 308.

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È stato detto che la diapason può essere sommata a se stessa tante volte quanto può piacere e non ci sarà scompiglio alcuno, poiché ciascuna manterrà sempre gli stessi gradi di cui è composta la prima; ma non così in altre consonanze, delle quali aggiungerò ancora un esempio dato l’uso che se ne può fare.

Formiamo una progressione di quattro diapenti che, come si è fatto vedere nel capitolo quinto (p. 102 [126-127]), produrrà una disdiapason e due toni maggiori, cioè una diciassettesima con un comma in più; in quello spazio ci dovrebbero essere esattamente sette toni maggiori e cinque toni minori, mentre in quattro quinte continue troviamo otto toni maggiori e soltanto quattro toni minori, cosicché collocando un tono maggiore al posto di un tono minore si avrà nell’intero sistema un comma in più. Uno di questi toni maggiori sarebbe dovuto essere un tono minore per fare in modo che ciò che superava la disdiapason fosse un ditono esatto.

D’altra parte, se si mantiene il rapporto di quattro diatessaron ci sarà un tono minore invece di un tono maggiore e, di conseguenza, un comma di meno per formare la diapason e una sesta minore. Poiché ogni quarta deve essere composta dai gradi di tono minore, un tono maggiore e un semitono maggiore, ne deriva che se si eseguono in sequenza quattro quarte ci saranno quattro toni minori, quattro toni maggiori e quattro semitoni maggiori, mentre nell’intervallo di diapason con la sesta minore ci dovrebbero essere cinque toni maggiori e solamente tre minori.

Con ciò si può vedere il motivo per cui, per accordare un organo o un clavicembalo nell’intonazione più generale e utile, si deve accordare per ottave e quinte, formando le ottave perfette e le quinte un po’ tendenti verso il basso, ossia tanto quanto un quarto di comma, che l’orecchio sopporterà in una quinta ma non in un’ottava.175 Per esempio, partiamo da Do e costruiamo col Do superiore un’ottava perfetta rispetto a esso e con Sol

175 By… 8th [Con… ottava]: Holder giunge qui al punto centrale della trattazione sull’intona-zione e sull’accordatura degli strumenti a tastiera. Il metodo, spiegato in termini molto semplici, è l’accordatura mesotonica; cfr. qui a pp. 290-292.

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una quinta calante; poi accordiamo un’ottava perfetta rispetto a Sol e una quinta calante al Re e da qui verso il basso, per mantenersi al centro dello strumento, un’ottava perfetta al Re inferiore. Da questo punto una quinta calante al La e dal La un’ottava perfetta verso l’alto e una quinta calante al Mi. Dal Mi un’ottava verso il basso, e così via fin dove questo metodo ci guida nell’accordare tutta la parte centrale dello strumento. Alla fine si completa tutto verso l’alto e verso il basso tramite ottave, partendo da quelle accordate secondo lo schema annesso.176

176 Scheme annexed [schema annesso]: nell’originale, alla battuta 6 del terzo sistema, la chiave di Fa si trova in una posizione errata; perciò nella trascrizione l’esempio è stato emendato.

V ww ww

ww ww w

w wwww ww w

w wwww ww#

Vww#

# ww## ww#

# ww##ww#

# wwww

wwbwwb

b wwbb wwb

b

& ww

ww#

# ww

ww#

# ww

ww

ww#

# ww

ww#

# ww

ecc.

ecc.

ww

wwb

b?

? ww

ww

wwb

b ww

ww

wwb

b ww

ww

ww

ww

wwecc.

ecc.

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Avendo cura, come si è detto, di accordare le ottave perfette e le quinte leggermente più basse, tranne nelle ultime tre battute di quinte dove queste cominciano a essere prese al di sotto del Do, visto che in precedenza erano ovunque crescenti; come prima si abbassava la quinta sopra, così qui si deve innalzare la quinta sotto per formare una quinta accettabile. Però, non essendo ciò tanto facile da valutare, si altera la nota sotto fino a che si ritiene che la nota sopra sia una quinta accettabile rispetto a essa. Questo correggerà ambedue le anomalie delle quinte e delle quarte, giacché la quinta rispetto all’unisono è una quarta rispetto all’ottava, e ciò che la quinta perde con l’abbassamento viene guadagnato dalla quarta, il che rettifica ampiamente la scala dello strumento. Facendo sempre attenzione che, nel corso dell’accordatura, le eventuali anomalie che si troveranno ancora in questa scala di semitoni si possono, seguendo il proprio orecchio, collocare sulle corde meno usate per la tonalità, come Sol diesis, Mi bemolle, ecc. L’orecchio sopporterà anche queste, come sopporta altre dissonanze in passaggi obbligati; se questo avviene, non si concluda con esse. Le altre dissonanze, però, usate in tal modo sono assai eleganti, queste soltanto più accettabili.

Capitolo VIII

Delle differenze

Quando si confrontano l’un con l’altro, tutti i rapporti e le proporzioni di ineguaglianza presentano una differenza e, di conseguenza, gli intervalli espressi tramite questi rapporti differiscono nello stesso modo; una quinta è diversa da una quarta per un tono maggiore, da una terza minore per una terza maggiore, così un’ottava da una quinta per una quarta. Delle parti che compongono qualsiasi intervallo, una è la differenza tra l’intero intervallo e l’altra parte.

Ma considero ora quelle differenze che di solito sono minori di un tono e che creano le difficoltà e le anomalie evidenziate nei due precedenti capitoli.177 Di queste non ho molto da dire

177 But… Chapters [Ma… capitoli]: sono le difficoltà e le anomalie che si riscontrano nell’accor-datura degli strumenti a tastiera, che creano i problemi di intonazione relativi ai cambi di tonalità.

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separatamente, poiché non potevo evitare di trattarle mentre procedevo; sarà perciò soltanto necessario presentarne un panorama ordinato. E, prendendo prima di tutto in considerazione i veri intervalli armonici con le loro differenze e i gradi dai quali derivano, sarà più facile valutare i falsi intervalli e di quale interesse siano per l’armonia.

Tavola dei veri intervalli diatonici all’interno della diapason e differenze tra loro

composti da rapporti differenze

semitono maggiore 16 a 15 25 a 24

tono minore 10 a 9 81 a 80

tono maggiore 9 a 8 16 a 15

3a minore tono maggiore + semitono maggiore 6 a 5 25 a 24

3a maggiore tono maggiore + tono minore 5 a 4 10 a 9178

4a 3a minore + tono minore 4 a 3

o 3a maggiore + semitono maggiore } 9 a 8

5a 4a + tono maggiore o le due 3e 3 a 2 16 a 15

6a minore 5a + semitono maggiore 8 a 5

o 4a + 3a minore }

25 a 246a maggiore 5a + tono minore

5 a 3 o 4a + 3a maggiore

}

27 a 257a minore 6a maggiore + semitono massimo

o 6a minore + tono maggiore 9 a 5

o 5a + 3a minore }

25 a 24

7a maggiore 6a maggiore + tono maggiore 15 a 8

o 5a + 3a maggiore }

16 a 15diapason 7a + 2a o 6a + 3a o 5a + 4a 2 a 1

tritono 3a maggiore + tono maggiore 45 a 32 2048 a 2025

semidiapente 4a + semitono maggiore 64 a 45

178 10 to 9 [10 a 9]: in realtà la differenza tra la 4a giusta e la 3a maggiore è di un semitono mag-giore (16 a 15).

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Quelli che derivano dalle differenze di intervalli consonanti si chiamano intervalla concinna e propriamente appartengono all’armonia; è necessario conoscere i rimanenti per costruire e comprendere le scale musicali.

Tavola dei falsi intervalli diatonici determinati da gradi improprie loro rapporti e differenze rispetto ai veri intervalli

(il segno + sta per più, - per meno)

rapporti differenze dai veri intervalli

trisemitono

più piccolo: tono minore e semitono maggiore 32 a 27 81 a 80 -

più grande: tono maggiore e semitono massimo 243 a 200 81 a 80 +

ditono

più piccolo: 2 toni minori 100 a 81 81 a 80 -

più grande: 2 toni maggiori 81 a 64 81 a 80 +

4a

più piccola: 2 toni minori e semitono maggiore 320 a 243 81 a 80 -

più grande: 2 toni maggiori e semitono maggiore 27 a 20 81 a 80 +

5a

più piccola: 4a più piccola e tono maggiore 40 a 27 81 a 80 -

più grande: 4a più grande e tono maggiore 243 a 160 81 a 80 +

6a

più piccola: 5a e semitono minore 25 a 16 81 a 80 -

più grande: 5a e tono maggiore 27 a 16 81 a 80 +

7a

più piccola: 6a maggiore e semitono maggiore 16 a 9 81 a 80 -

più grande: 6a minore e 3a minore 48 a 25 128 a 125 +

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In questo resoconto si può vedere quanto frequentemente il comma e la diesis in più o in meno, a causa dei gradi collocati fuori posto, creino dissonanza negli intervalli armonici; il comma a causa di un tono sbagliato, cioè in più quando capita che un tono maggiore si trovi al posto di uno minore, o in meno quando il tono minore è al posto di uno maggiore; e la diesis risulta eccedente o mancante a causa di un semitono sbagliato, quando succede che c’è il maggiore invece del minore oppure il contrario, essendo la diesis la differenza tra loro. E se il semitono massimo occupa il posto del semitono maggiore, ci sarà un comma in più; se al posto di un semitono minore, di troppo ci saranno un comma e una diesis.

Queste anomalie non sono immaginarie o solamente possibili, ma reali negli strumenti ad accordatura fissa per semitoni, come organo, clavicembalo, ecc. Il lettore ne può riscontrare qualcuna tra le quattro scale di diapason nel capitolo sesto,179 alle quali se ne potrebbero aggiungere altre; dalla prima di queste ho scelto alcuni esempi, usando i comuni segni come innanzi, e cioè + per più e - per meno o mancante.

da Do# a Mib tono maggiore + diesis o 3a minore - semitono minoreda Do# a Fa 3a maggiore + diesis o 4a - semitono minoreda Re a Sol 4a + commada Mib a Fa# 3a minore - diesis e comma o tono minore + semitono minoreda Mib a Sol# 4a - diesis o 3a maggiore + semitono minoreda Fa# a Sib 3a maggiore + diesis e comma o 4a - semitono subminimoda Fa# a Si 4a + commada Sol# a Sib tono maggiore + diesis o 3a minore - semitono minoreda Sol# a Do 3a maggiore + diesis o 4a - semitono minoreda Si a Re 3a minore - comma

179 in… Chapter [nel… sesto]: cfr. qui a pp. 196-197.

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In seguito si prendano in considerazione alcune differenze che costituiscono parecchi semitoni.

Differenza tra

tono maggiore e semitono minore semitono massimo 27 a 253a maggiore e 4a semitono maggiore 16 a 15tono maggiore e semitono maggiore semitono medio 135 a 1283a minore e 3a maggiore semitono minore, diesis cromatica 25 a 242 toni maggiori e 4a semitono pitagorico (o limma) 256 a 243tono maggiore e limma apotome180 o semitono medio con comma181 2187 a 2048

Alle quali si possono aggiungere, tratte da Mersenne:182

Differenza tra

semitono massimo e semitono minore semitono minimo 648 a 625tono minore e semitono massimoo semitono minore e comma } semitono subminimo 250 a 243

Si consideri, poi, un ulteriore schema di differenze, la maggior parte delle quali deriva dalle precedenti, per cui si vedrà meglio come si compongono e si differenziano tutti gli intervalli, e si valuteranno più facilmente le loro misure.

180 apotome: semitono cromatico della scala pitagorica (si trova tra note con lo stesso nome, per esempio Do-Do#, Si-Sib). È espresso dal rapporto 2187/2048 e vale 114 cents, ovvero 204 cents (il tono pitagorico) meno 90 cents (il limma); cfr. tavola C, qui a p. 310.

181 comma: il comma (ditonico) è la differenza tra l’apotome e il limma (si trova, per esempio, tra Do e Si#, tra Lab e Sol#, tra Fab e Mi, tra Fa# e Solb, ecc.). Vale 24 cents (cioè, 114 - 90); cfr. tavola C, qui a p. 310.

182 out of Mersennus [tratte da Mersenne]: mersenne, libro II, proposizione III, pp. 119-120.

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Tavola di ulteriori differenze

Differenza tra

tono maggiore e tono minore commatono maggiore e semitono massimo semitono minoretono maggiore e semitono medio semitono maggioretono maggiore e semitono pitagorico apotomesemitono massimo e semitono maggiore commasemitono massimo e semitono minore comma e diesis, cioè semitono minimosemitono maggiore e minore diesissemitono maggiore e medio 2048 a 2025, cioè comma minoresemitono maggiore e pitagorico commaapotome e semitono maggiore differenza tra comma maggiore e minoreapotome e semitono medio commaapotome e semitono pitagorico comma e la suddetta differenzaapotome e semitono minore due commasemitono medio e pitagorico differenza tra comma maggiore e minoresemitono medio e minore commasemitono pitagorico e minore comma minoresemitono minore e diesis un po’ più di un comma, cioè 3125 a 3072semitono minore e comma semitono subminimodiesis e comma comma minore, cioè 2048 a 2025comma maggiore e comma minore 32805 a 32768183

Queste differenze, con alcune altre, si trovano tra diversi altri intervalli di cui si potrebbero compilare altre tavole, con le quali però non annoierò il lettore. Avendo qui fatto vedere che cosa sono, se gli piace potrà esercitarsi a esaminare queste tramite i numeri e anche a ricercarne altre; per alcuni ciò può essere piacevole e dilettevole, e per questo motivo ho insistito più largamente su questa parte del mio argomento che concerne le misure, le configurazioni e le differenze degli intervalli armonici.

Aggiungerò ancora una tavola riguardante le parti di cui questi intervalli più piccoli si compongono, il che illuminerà ancor più quella precedente (e in effetti è la stessa).

183 32805 to 32768 [32805 a 32768]: si tratta dello schisma o comma minimo (2 cents) anche se Holder chiama schisma il comma sintonico (81/80, 22 cents); cfr. tavola C, qui a p. 310.

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Ritengo che, riguardo alla grammatica, non sia affatto necessaria una giustificazione per l’uso di queste denominazioni; dico hemitonium ed hexachordon maius e minus e talvolta hemitone ed hexachord major e minor. Questi ultimi due termini si adattano così bene alla nostra lingua che non c’è inglese che non li conosca. Perciò, quando considero hemitone un termine inglese prendo anche major e minor come inglesi e perfettamente adatti ad accompagnarsi a esso, senza dover rispettare il genere.184

184 That… Gender [dico… genere]: cfr. Nota al testo, qui a p. 260.

tono maggiore tono minore e comma semitono massimo e semitono minorecontiene 2 semitoni minori ed è composto da { semitono maggiore limma 1 diesis semitono medio { apotome { 1 comma

tono minore semitono massimo semitono maggiore 2 semitoni minori { semitono subminimo { semitono minore { 1 diesis semitono massimo semitono maggiore semitono medio semitono pitagotico semitono minore { comma { diesis { 2 comma {diesis e comma

semitono maggiore semitono medio semitono pitagorico semitono minore semitono subminimo { comma minore { comma { diesis { diesis e comma

semitono medio semitono minore semitono pitagorico { comma { differenza tra comma maggiore e minore ovvero 32805 a 32768semitono pitagorico semitono minore { comma minore

semitono minore semitono subminimo diesis e { comma { 3125 a 3072

diesis comma { comma minore

comma comma minore { 32805 a 32768

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Capitolo IX

Conclusione

Concludiamo l’intero discorso. Attraverso il movimento i corpi producono suono; il suono generato da corpi convenientemente costituiti è musicale ed è più acuto o più grave a seconda della velocità o della lentezza del moto, in proporzione alla quantità di andate e di ritorni, di tremolii o vibrazioni dei corpi sonori. Queste proporzioni si scoprono in base alla quantità e alle caratteristiche dei corpi sonori, per esempio alla lunghezza delle corde. Se il rapporto di lunghezza di parecchie corde, ceteris paribus, e di conseguenza delle loro vibrazioni, è proporzionato entro il numero sei allora quegli intervalli sono consonanti e generano una consonanza, coi moti che si incrociano e si uniscono nel loro procedere; se sproporzionati producono una dissonanza a causa della discordanza e dello scontro dei moti. Le consonanze sono un numero limitato, le dissonanze sono innumerevoli. Ma tra esse, soltanto quelle qui considerate sono (come i Greci le avevano definite) ∆emmelh~, eleganti, adatte e utili in armonia; o almeno sono quelle che è necessario conoscere, dal momento che sono le differenze e le unità di misura delle altre, e quelle che aiutano a scoprire la ragione delle anomalie riscontrate nei gradi di strumenti accordati per semitoni.

Ho cercato di spiegare tutte queste proporzioni, oltre alle evidenti cause della consonanza e della dissonanza (rese molto più chiare dalle proprietà del pendolo) in modo da renderle facilmente comprensibili a quasi tutti i tipi di lettori e a tal fine ho ampliato e ripetuto laddove, per i più preparati, potevo riassumere con poche parole. Ma spero che

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il lettore perdonerà quello che non si poteva ragionevolmente evitare per spiegare in modo chiaro e completo ciò che mi ero proposto ossia la filosofia dei principi naturali dell’armonia.

In generale si vede quanto razionalmente e naturalmente tutte le semplici consonanze e i due toni si trovano e si dimostrano grazie alle suddivisioni della diapason:

2 a 1, cioè 4 a 2 in 4 a 3 e 3 a 22 a 1, cioè 6 a 3 in 6 a 5 e 5 a 32 a 1, cioè 8 a 4 in 8 a 5 e 5 a 42 a 1, cioè 10 a 5 in 10 a 9, 9 a 8 e 8 a 5

nelle quali stanno i rapporti (nei minimi termini) di ottava, quinta, quarta, terza maggiore, terza minore, sesta maggiore, sesta minore, tono maggiore e tono minore.

E poi tutti i semitoni, le diesis e i comma si trovano dalle differenze tra ciascuno di questi e gli altri, come si è ampiamente mostrato.

Per esprimere i diversi intervalli si deve preferire di gran lunga questo sistema a qualsiasi invenzione irrazionale. Il metodo aristossenico di dividere un tono [maggiore] in dodici parti, di cui tre formavano una diesis, sei un semitono, trenta una diatessaron (come è stato detto), potrebbe essere utile, dato che risulta più facile per l’apprendimento degli intervalli che appartengono ai tre generi di musica e potrebbe servire per una piccola misura comune a tutti gli intervalli – come il comma artificiale del signor Mercator – essendone contenuti settantadue185 nella diapason.

Ma questo e alcuni altri metodi di suddivisione equa degli intervalli attraverso numeri irrazionali186 e frazioni, tentati

185 72 [settantadue]: 12 (particelle aristosseniche in un tono) x 6 (toni aristossenici in un’8ª) = 72.

186 Surd Numbers [numeri irrazionali]: il termine surd, dal latino surdus ‘sordo, muto, sconosciuto’ come il greco alogos ‘senza ragione, senza parole, indicibile’, è attestato dalla metà del XVII secolo. I numeri irrazionali, reali ma illimitati, ossia con infiniti decimali, e non periodici, non si possono esprimere mediante frazioni formate da numeri interi; il pitagorico Ippaso di Metaponto, vissuto probabilmente fra il VI e il V secolo a.C., applicando il teorema del suo maestro, si accorse che i lati di un triangolo isoscele (= 1) sono incommensurabili con la diagonale (= √2); secondo la leggenda, morì durante un naufragio o venne gettato in mare.

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da qualche autore moderno,187 non potrebbero mai formare veri intervalli sulle corde di uno strumento, né offrire una qualche ragione delle cause dell’armonia, come avviene col metodo razionale che spiega la consonanza attraverso i moti uniti e la coincidenza delle vibrazioni. E anche se gli autori moderni ipotizzavano tali suddivisioni di intervalli, possiamo tuttavia ben credere che non avrebbero potuto né crearle né applicarle per accordare uno strumento musicale e, se potessero, gli intervalli non sarebbero stati né veri né esatti. E la voce che li intona potrebbe tornare più facilmente ai veri intervalli naturali. Per esempio, difficilmente la voce potrebbe esprimere l’antico ditono di due toni maggiori ma, mirando a esso, intona spontaneamente il ditono consonante razionale di 5 a 4, composto da tono maggiore e tono minore. Si può ben respingere come assurda la misurazione degli intervalli coi numeri irrazionali, quando si possono scoprire e assegnare loro tanto facilmente i veri rapporti numerici, che sono sufficientemente precisi e facili da comprendere.

Non intendevo intromettermi nella parte artificiale della musica; l’arte del comporre e le parti metriche e ritmiche conferiscono all’armonia l’infinita varietà di motivi e di stati d’animo e senza dubbio la vita stessa. Esse possono creare musica senza intervalli di acuto o di grave perfino su un tamburo e soprattutto grazie ad esse si realizzano i meravigliosi effetti della musica e si distinguono i tipi di motivo – come allemanda,188 corrente,189 giga, ecc. – che in modo diverso toccano l’animo di chi ascolta, alcuni con allegria, altri con tristezza e altri seguendo una via intermedia. Tutto ciò viene migliorato anche grazie alle differenze tra quelle che noi chiamiamo tonalità minori o maggiori; le maggiori – che si avvalgono di intervalli più ampi entro la diapason, come terze, seste e settime maggiori – sono più vivaci e brillanti e con l’ausilio di valori ben scelti,

187 some Modern Authors [qualche autore moderno]: forse si può ipotizzare che Holder alluda alla divisione in 31 comma e alle complesse tabelle di calcolo pubblicate da cHrisTiaan HuyGens, Lettre à l’auteur [Henri Basnage de Beauval (1657-1710), responsabile della rivista pubblicata a Rotterdam] touchant le cycle harmonique, «Histoire des ouvrages des sçavans», VIII, 1691, pp. 78-88; edizione della rivista in facsimile Genève, Slatkine Reprints, 1969; edizione della Lettre in facsimile con traduzione olandese, a cura di Rudolf Rasch, in Tuning and temperament library, Utrecht, Diapason Press, 1986, VI, pp. 129-141; http://www.huygens-fokker.org/docs/lettre.html.

188 Almand [allemanda]: il nome può indicare due danze di origine tedesca, una aristocratica in tem-po binario con andamento moderato, l’altra popolare in tempo ternario, detta anche deutscher Tanz.

189 Corant [corrente]: danza probabilmente di origine francese, in tempo ternario con andamen-to vivace; per la giga, cfr. nota 49, qui a p. 63.

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di cui si è appena parlato, aprono gli animi e li destano alla galanteria e alla magnanimità. Le minori, costituite da intervalli tutti più piccoli, contraggono e deprimono gli animi e infondono tristezza e malinconia. Infine, una loro mescolanza con un ritmo adeguato calma dolcemente gli animi e li dispone in uno stato intermedio; per cui il primo di questi è dai Greci chiamato diastaltico, che dilata; il secondo sistaltico, che contrae; l’ultimo esicastico, che calma.190

Ho realizzato ciò che mi ero proposto; ho indagato le cause e i principi naturali e gli elementi dell’armonia senza pretendere di insegnare l’arte e la tecnica della musica, ma rivelando al lettore i suoi fondamenti e le ragioni dei fenomeni anomali che ricorrono nelle scale che procedono per gradi e intervalli. Sebbene sufficiente per il mio scopo, tutto ciò è tuttavia soltanto una piccola – anche se davvero la più certa e dunque la più incantevole – parte della filosofia della musica nella quale rimane spazio per curiose disquisizioni; come ad esempio, cosa rende le voci umane, anche nella stessa altezza, tanto diverse l’una dall’altra? Poiché, anche se le differenze tra le espressioni del volto umano sono visibili, non si possono notare le differenze tra i vari apparati vocali, né dunque fra i moti e fra le collisioni dell’aria dai quali si genera il suono. Cosa determina i diversi suoni dei vari strumenti musicali e anche dei singoli strumenti? In che modo la tromba, solamente con la forza del fiato, produce una tale varietà di note e nelle scale più basse salta in modo così naturale in intervalli consonanti di terza, quarta, quinta e ottava? Ma trovo che questo sia stato spiegato molto bene da un onorevole membro della Royal Society e pubblicato in «Philosophical transactions», n. 195.191 Inoltre

190 Lastly… Appeasing [Infine… calma]: è la suddivisione aristossenica nell’ambito della dottrina dell’ethos; quello diastaltico è proprio della tragedia, quello sistaltico della lirica monodica, quello esicastico della lirica corale; Jon solomon, The diastaltic ethos, «Classical philology», LXXVI, 1981, pp. 93-100. Ponendo alla base dell’esperienza musicale la percezione sensibile, Aristosseno affer-mava che l’azione della musica sulla natura umana era di tre specie fondamentali a seconda dello stato d’animo che suscitava. La differenza fra i tre momenti stava nella variazione della posizione del semitono e nel numero stesso di semitoni impiegati, come del resto oggi per le tonalità maggiori e minori.

191 But… 195 [Ma… 195]: probabile riferimento a Francis Roberts (1609-1675), teologo e ministro del culto; francis roberTs, A discourse concerning the musical notes of the trumpet and trumpet marine and of the defects of the same, pHil. Trans., XVI, 1686, pp. 559-563.

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come la tuba marina,192 o tromba marina (un monocordo), si avvicina in modo così completo alla tromba ed è anche fatta per emettere altre varietà di suoni, come quelle di un violino e di uno zufolo, di cui i miei orecchi sono stati testimoni? Come vengono ricevuti dall’orecchio i suoni dell’armonia e perché alcune persone non amano la musica? ecc.

A questo proposito, l’incomparabile dottor Willis193 nomina un certo nervo nel cervello che alcune persone possiedono e altre no. Inoltre, si potrebbe ritenere che tutti i nervi sono composti da piccole fibre; le corde del liuto sono formate da quelle presenti nelle budella di pecore, gatti, ecc. e in tal modo sono composti tutti i nervi, tra cui quelli dell’orecchio. E, come tali, questi ultimi reagiscono al regolare tremolio dei suoni armonici.194 Se una corda sbagliata (che ho descritto in precedenza) trasmette il suo suono al migliore orecchio, non piace. Allora, se si riscontrano dei difetti in quelle fibre che costituiscono le corde, perché non può accadere lo stesso in quelle dei nervi uditivi in alcune persone? E allora non c’è da meravigliarsi se la musica non è gradita da un tale orecchio, i cui nervi non sono adatti a corrispondere con essa secondo impressioni e moti proporzionati. Ho dato un esempio nel terzo capitolo195 di come una campana di vetro vibri e risuoni alla propria

192 Tube-Marine [tuba marina]: la tromba marina è uno strumento ad arco di origine medievale formato da una cassa lunga circa due metri sulla quale venivano tese da una a tre corde (per questo Holder la assimila a un monocordo). Il suono è ottenuto tramite sfregamento delle corde in prossi-mità del cavigliere con un arco e con le dita per ottenere i suoni armonici. Durante il Rinascimento, sotto le corde ma staccato dalla cassa, venne applicato un ponticello il cui movimento, dopo lo sfregamento delle corde, produce un suono aspro, simile a una tromba.

193 Dr. Willis [dottor Willis]: Thomas Willis (1621-1675), fisico e biologo, si dedicò allo studio del sistema nervoso, dei muscoli e delle arterie cerebrali e per questo sezionò molti cervelli sia di uomini che di animali. Lavorò anche con Christopher Wren; molti dei meravigliosi disegni nei suoi libri vennero realizzati proprio dal grande architetto. Divenne fellow della Royal Society nel 1660; THomas Willis, Cerebri anatome, cui accessit nervorum descriptio et usus, London, Thomas Roycroft, John Martyn e James Allestry, 1664; edizione «priori emendatior» Amsterdam, [Gerbrant Schagen], 1667.

194 And… Sounds [Inoltre… armonici]: un grande passo ancora da compiere nello studio dell’acustica è la scoperta di come i suoni musicali colpiscono l’orecchio, una questione già oggetto di indagine nel secolo XVII dato che Holder nomina questo «nervo». Bisognerà attendere gli studi di Helmholtz per avere una risposta chiara: il moto prodotto dall’oscillazione periodica di un corpo sonoro colpisce prima l’aria e poi la membrana all’interno dell’orecchio.

195 I… Chap. 3 [Ho… capitolo]: cfr. qui a pp. 66-67.

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altezza se la si colpisce; e posso aggiungere che se il vetro fosse composto in modo irregolare e desse un’intonazione incerta, non risponderebbe al tentativo. In definitiva, per produrre suoni armonici i corpi devono essere costituiti in modo regolare e l’orecchio regolarmente formato onde riceverli. Questo, però, esula dal nostro campo ed è menzionato solo per inciso in vista di un’indagine ulteriore.

Dicevo che rimangono infinite curiosità in merito alla natura dell’armonia, e scoprirle darebbe al più acuto filosofo lavoro più che a sufficienza e forse non sembrerebbero così semplici da dimostrare e spiegare come lo sono i principi naturali della consonanza e della dissonanza.

Dopotutto, quindi, e soprattutto, grazie a ciò che già si è scoperto e a ciò che ancora rimane da scoprire, non possiamo non vedere ragioni sufficienti per destare i nostri migliori pensieri e ammirare e adorare l’infinita saggezza e bontà di Dio onnipotente. La sua saggezza nel disporre la natura dell’armonia in maniera tanto meravigliosa da superare la nostra capacità di ricercare in essa, sebbene, come ho detto, nell’indagare scopriamo così tanto da ricompensare le nostre fatiche con piacere e ammirazione.

E la sua bontà nell’offrire la musica per il sollievo e la gioia dell’umanità, tanto che dovrebbe essere, anche per quanto riguarda l’uso comune, uno strumento di lode del nostro grande creatore, poiché di essa è il fondatore e donatore.

Ma molto più, dato che viene proposta e destinata in funzione diretta del suo santo ufficio quando cantiamo l’onore e la lode di Dio. È una parte così essenziale del nostro omaggio alla divina maestà che non c’è mai stata religione al mondo – pagana, ebraica, cristiana o musulmana – che non abbia associato qualche genere di musica alle sue devozioni e che con inni sacri e strumenti musicali non abbia offerto

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gloria a Dio e celebrato la sua lode. Non solo Te decet hymnus Deus in Sion (salmo 65), ma anche Tutta la terra canti al Signore (salmo 96).196

Ed è quello che continuamente viene cantato in cielo innanzi al trono di Dio dal concerto di tutti i santi angeli e i beati.

In breve, per dovere e per gratitudine dobbiamo benedire Dio per i nostri piacevoli svaghi grazie alla musica; ma specialmente nelle pubbliche devozioni siamo obbligati dalla nostra religione a esaltare il suo santo nome con inni sacri e antifone,197 affinché possiamo essere ammessi finalmente lassù a sostenere una parte in quel consort benedetto ed eternamente cantare Alleluia e Trisagion198 nei cieli.

Dovxa tw~ qew~199

FINE

196 Not… 96 [Non… 96]: Vulgata, Psalmi (64), 65: «Si innalzi un inno a te, o Dio, in Sion» ov-vero «A hymn, o God, becometh thee in Sion», cantato nell’introito della missa pro defunctis nel rito cattolico e in quello anglicano; Vulgata, Psalmi (95), 96: «Cantate Domino canticum novum, cantate Domino omnis terra», usato fra l’altro nel 1688 in un anthem di Henry Purcell (1659-1695).

197 Anthems [antifone]: il termine anthem, sinonimo di antifona soprattutto nel Medio Evo, dalla riforma anglicana indica un brano corale su testo sacro, morale o liturgico, ovviamente in inglese.

198 Trisagions [Trisagion]: tre volte santo; inno della liturgia orientale e di quella cattolica che si ripete tre volte: «Santo Dio, santo e forte, santo e immortale, abbi pietà di noi».

199 Dovxa tw~ qew~: ‘gloria a Dio’.

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NOTA AL TESTO

TESTIMONI

Quattro sono le redazioni conosciute del Treatise di Holder. La princeps, pubblicata a Londra nel 1694 da John Heptinstall per John Carr, è formata da 204 pagine in ottavo (centimetri 17 x 11,5), oltre ad alcune carte non numerate che accolgono il frontespizio, l’indice, l’Errata corrige e l’introduzione. La stampa contiene sia gli errori segnalati all’inizio del volume, sia altre mende non rilevate nell’elenco. L’anastatica (qui alle pp. pari 8-254) riproduce la versione del 1694, l’unica uscita vivente l’autore, nell’esemplare conservato in I-Bc, D. 64. Per le altre copie, per le collocazioni e per le varianti del title page (qui a p. 7), cfr. www.bl.uk; www.copac.ac.uk. La seconda edizione, fedelissima alla precedente e pubblicata da John Heptinstall per Philip Monckton, risale al 1701.

La terza versione del Treatise è tramandata da una copia calligrafica (GB-Lbm, add. ms. 54855, secondo sTanley, p. 8, nota 26; ma add. ms. 57855 secondo www.bl.uk), stesa nel 1711-1712 da Joseph Stevens, lecturer nel sobborgo londinese di Cripplegate che prende il nome dall’antica porta vicino al London Wall. Il manoscritto riproduce la princeps ma corregge in parte gli errori segnalati nell’originale.

La quarta versione ovvero la terza edizione, pubblicata nel 1731 sempre a Londra da William Pearson per John Wilcox e Thomas Osborne, riprende la princeps con l’aggiunta di alcune fortunatissime regole del compositore tedesco Gottfried Keller (circa 1639-1704) per realizzare il basso continuo: Rules for playing a thorough bass; with variety of proper lessons, fuges, and examples, also directions for tuning an harpsichord or spinnet (pp. 159-206); prima edizione, postuma, A compleat method for attaining to play thorough bass upon either organ, harpsicord or theorbo lute, London, John Walsh e John Hare, 1705; altre edizioni London, John Cullen e John Young, 1707; London, John Walsh, John Hare e Paul Randall, [1707]; London, John Walsh e John Hare, [1713]; London, John Walsh, John Hare e Paul Randall, 1715; London, Richard Meares, [1715]; London, John Walsh e John Hare, [1717]; London, John Walsh e John Hare, [1730]; cfr. david damscHroder e david russell Williams, Music theory from Zarlino to Schenker. A bibliography and guide, Stuyvesant (New York), Pendragon Press, 1990; www.musicologie.org/Biographies/k/keller_gottfried.html. Il frontespizio sottolinea che il celebre manuale di Keller e il trattato di

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Holder sono stati riveduti e corretti (cfr. tavola D, qui a pp. 312-315). Diversi sono i cambiamenti apportati in quest’ultima stampa: il formato del libro (centimetri 17 x 26) e di conseguenza l’impaginazione del Treatise che termina a p. 156; gli esempi musicali omessi alla fine del settimo capitolo (qui a pp. 226-227); la correzione di alcune mende elencate nella prima edizione.

Fra le riprese moderne del Treatise si segnalano l’anastatica (New York, Broude Brothers, 1967, «Monuments of music and music literature in facsimile», serie II, 32) e la digitale (European Cultural Heritage Online, ECHO, www.echo.mpiwg-berlin.mpg.de) che riproducono la princeps del 1694. Si attende la probabile uscita di Holder nella collana «Music theory in Britain. 1500-1700. Critical editions», Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2003 sgg.

TRADUZIONE ITALIANA

La versione italiana, a fronte dell’anastatica (qui alle pp. dispari 9-255), cerca di rendere il più possibile scorrevole la lettura, pur rimanendo fedele all’originale. Traducendo sono stati emendati sia gli errori sfuggiti all’autore o all’editore, sia quelli evidenziati nell’Errata corrige (qui a pp. 10-11). La segnalazione si trova nelle note a piè di pagina, a meno che l’intervento non riguardi semplicemente la punteggiatura o che non sia già stato accolto nel testo, forse stampato in un secondo momento rispetto alla lista dei refusi. I termini in corsivo presenti nel Treatise sono stati resi in tondo per non appesantire il dettato, mantenendo il carattere solo per i titoli e per le locuzioni alloglotte. Le maiuscole e l’interpunzione seguono l’uso corrente, conservando le poche parentesi quadre ma eliminando molti altri segni della princeps (virgole, punti e virgola, parentesi tonde, ecc.). Talvolta il periodare è stato modificato per agevolare la comprensione del discorso. Il testo è stato alleggerito – se la trattazione lo permetteva – da congiunzioni e avverbi usati con abbondanza soprattutto all’inizio di frase: ora, orbene, così, dunque, perciò, poi, ancora, inoltre, ecc.

Secondo un’abitudine consolidata (per esempio dall’Enciclopedia italiana o dal Dizionario biografico; www.Treccani.it), nelle note e nella presentazione (Filosofia della scienza, scienza della musica, musica speculativa, qui a pp. 265-304) le citazioni sono state tradotte nella nostra lingua, mentre i titoli sono rimasti com’erano.

Le pagine citate nell’originale sono state mantenute com’erano ma integrate fra quadre col numero corrispondente in questo volume (qui a pp. 11, 151, ecc.).

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Si avverte infine che la voce «comma» è stata considerata invariabile, al singolare e al plurale.

Locuzioni inglesi

In base al contesto alcuni termini inglesi, che possono assumere significati diversi, sono stati resi come segue.

Air: oltre che aria, può significare motivo o melodia (cfr. qui a pp. 246-247).Consort: sia nell’accezione vocale che strumentale, spesso è stato mantenuto

com’era per evitare l’uso del francese ensemble o di qualche sommaria locuzione italiana (coro, complesso da camera, ecc.).

Diesis: come sostantivo qui al femminile indica gli intervalli inferiori al tono (diesis cromatica e diesis enarmonica); come sostantivo al maschile si riferisce all’alterazione di una nota (#).

Flat e sharp: rispettivamente bemolle e diesis, significano anche tonalità minore e maggiore, talvolta indicate da Holder coi termini minus e maius oppure minor e maior.

Harmonick sounds: suoni che appartengono all’armonia; quindi la locuzione, qui tradotta con «suoni armonici», esula dall’area semantica attuale, in primo luogo perché gli armonici veri e propri (overtones o ipertoni, come vengono chiamati) sono stati definiti più tardi da un noto fisico francese (JosepH sauveur, Principes d’acoustique et de musique ou Système général des intervalles des sons et son application à tous les systèmes et à tous les instruments de musique, «Mémoires de l’Académie Royale des Sciences», III, 1701, pp. 299-366), in secondo luogo perché Holder intende discutere proprio dei suoni eufonici, melodiosi o armoniosi, utilizzando l’aggettivo harmonick come sinonimo di tuneable o di harmonical (cfr. qui a pp. 56-57, 74-75).

Key: tonalità o tono (ma non l’intervallo) e naturalmente anche tasto.Musics: tasti neri dell’organo (qui a pp. 198-199).Originals: semplici, riferito agli intervalli non composti.Radical numbers: può significare numeri primi tra loro oppure minimo comune

denominatore o ancora base di una potenza. Spiss: compatto, denso, fitto (riferito agli intervalli) dal latino spissus.Tune: intonazione, accordatura, altezza, suono intonato.Unison: quasi sempre indica l’unisono vero e proprio oppure la nota a partire

dalla quale si calcola un intervallo (qui a pp. 72-73); molto raramente, usato come sinonimo di tonic o keynote, individua il suono da cui comincia una scala ascendente o discendente (qui a pp. 194-195).

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Locuzioni in greco e in latino

Nella versione italiana il greco è rimasto in lingua originale e tradotto in nota, a meno che l’autore non abbia già provveduto. È stata conservata l’omega con la iota sottoscritta (qui a pp. 254-255), largamente attestata nell’usus scribendi. Gli inserti alloglotti traslitterati da Holder sono stati mantenuti in corsivo, senza accento né indicazione della quantità vocalica (hyperbolæon (forma plausibile e comunque preferita da Holder rispetto a hyperboleon)] hyperbolaeon, lichanos, trite synemmenon, ecc.).

Sono stati resi in italiano i nomi propri (Mersennus, Gassendus, ecc.) e le abbreviazioni: etc. (etcetera)] ecc.; e.g./ex. gr. (exempli gratia)] per esempio; i.e. (id est)] cioè; viz. (contrazione di videlicet col simbolo z che nel mediolatino sostituisce -et)] ovvero/vale a dire. Sono stati tradotti i termini più ricercati (quadrantalis] quadrantale, sescuplum] sescuplo, syntonum] sintono, toniaeum] toniaco, trientalis] trientale, ecc.) e quelli più comuni (acutior, aeolius, genera, genus, gravior, ratio, rythmus, ecc.). Sono rimasti tali major e minor soltanto quando Holder li usa «without respect of gender» perché li considera inglesi e non declinabili (qui a pp. 240-241). Sono state mantenute due locuzioni ricorrenti: ceteris paribus (col monogramma æ normalizzato come sempre: cæteris] ceteris) e intervalla concinna (qui a pp. 214-215, 232-233), spiegato dall’autore, mentre ovviamente è stato tradotto concinnous, derivato dal latino concinnus e comparso in Inghilterra attorno alla metà del XVII secolo.

Notazione, intervalli, proporzioni ed esempi musicali

I nomi delle note, indicati dall’autore con la scrittura alfabetica o mediante la solmisazione, sono stati tradotti secondo l’uso italiano (C/C Sol fa ut] Do, D/D Sol re] Re, ecc.). Ut è stato reso con Do, a meno che non fosse necessario mantenere la nomenclatura originale, come nel caso dell’esacordo guidoniano. È rimasto com’era Gamut, contrazione di Gamma Ut largamente attestata.

Le indicazioni degli intervalli sono state riportate per esteso in tutta la tradu-zione (ottava, quinta, quarta, terza, ecc.), anche quando Holder, in pochi casi verso la fine del Treatise, usa le cifre (2a, 3a, ecc.). Quest’ultima grafia è stata invece adottata sistematicamente nelle note a piè di pagina, negli schemi, negli esempi, nelle tavole e nel testo della presentazione (Filosofia della scienza, scienza della musica, musica speculativa, qui a pp. 265-304).

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Le proporzioni numeriche sono state riprodotte attenendosi all’originale (5 a 3, 8 a 5, ecc.) e non secondo la scrittura matematica mediante frazioni (5/3, 8/5, ecc.), usate solo nei rari casi in cui l’autore le ha indicate in questo modo.

I decimali delle indicazioni in cents sono stati arrotondati all’intero (comma holderiano = 22,64 cents arrotondato a 23 cents).

Gli esempi musicali sono stati trascritti in notazione moderna.

COMMENTO

Il commento, che applica alle citazioni gli stessi criteri della traduzione e che in alcuni casi potrà sembrare ridondante, è stato impostato secondo le regole della collana, rivolta (almeno si spera) a un’utenza disparata: studiosi dell’armonia, curiosi privi di un’approfondita competenza e appassionati dell’aspetto teorico o tecnico-matematico della musica.

Tutte le note nelle pagine dispari a fronte dell’anastatica sono del curatore che tende a fornire le indicazioni sufficienti per una migliore comprensione del testo e le delucidazioni utili ad alcuni lettori ma talora superflue per quelli musicalmente più preparati. L’unica nota dell’autore, segnalata nel Treatise in corpo minore, è stata inserita nel testo della traduzione (qui a pp. 110-111). Le citazioni e i riferimenti eruditi sono stati controllati e confermati. I nomi propri, oscuri o celeberrimi, sono stati comunque annotati, fornendo almeno i dati biografici essenziali la prima volta in cui compaiono nel Treatise (Euclide, Aristosseno, Nicomaco, Galileo, Mersenne, Gassendi, ecc.) o quando sono menzionati soltanto a piè di pagina (Tinctoris, Gaffurio, Zarlino, ecc.).

Nei richiami del commento si trova l’originale inglese in corsivo, dove sono state mantenute per chiarezza la grafia e le maiuscole di Holder in qualsiasi lingua (major, Sounds, ecc.), altrimenti del tutto inutili e sempre normalizzate altrove. Segue la traduzione del passo corrispondente fra quadre in tondo. Ma se le due lezioni sono perfettamente identiche, naturalmente si fornisce una sola versione.

Nelle citazioni le note tipografiche in latino sono state restituite alle lingue moderne (Venetiis, per Simonem Papiensem dictum Beuilaquam] Venezia, Simone Papiense detto Bevilacqua). I nomi degli stampatori attivi fino all’anno 1800, anche se puntati o abbreviati nei frontespizi, sono stati svolti (J. Heptinstall] John Heptinstall, veuve Duchesne] Marie Antoinette Caillau Duchesne, ecc.), mentre nei titoli si sono conservate le forme obsolete (musicke, ecclesiasticall, practicle, ecc.).

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INDICI

L’indice generale (qui a p. 5), che traduce fedelmente le intestazioni holderiane dei singoli capitoli (qui a pp. 12-13, 14-15, 20-21, 36-37, ecc.), rispetto all’altra versione, sempre contenuta nell’originale (qui a pp. 8-9), presenta alcune lievi discrepanze che sono state mantenute.

Il volume è sprovvisto sia dell’indice analitico, sia di quello che dovrebbe contenere nomi e titoli, perché il lettore interessato potrà eseguire qualsiasi indagine in rete, all’indirizzo www.diastemastudiericerche.org.

ABBREVIAZIONI E SIGLE

Nella lista che segue si svolgono le sigle rism usate per le biblioteche, mentre si tralasciano le abbreviazioni scontate (a.C. per avanti Cristo, ms. o mss. per manoscritto o manoscritti, s.n. per senza nome di editore, s.v. per sub voce, ecc.). Le citazioni e i riferimenti delle note a piè di pagina sono tratti sempre dall’edizione qui citata per prima e non da quelle aggiunte fra parentesi tonde per fornire informazioni ulteriori.

burney cHarles burney, A general history of music from the earliest ages to the present period, London, l’autore, 1789, 4 volumi (edizione moderna New York, Dover, 1957).

deumm Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Torino, uTeT, 1988.

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mara Zia

Filosofia della scienza, scienza della musica, musica speculativa

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William Holder. la viTa e le opere

Hic sepultus est Gulielmus Holder, sanctae theologiae professor, Sacelli Regalis subdecanus, sere-nissimae regiae maestati subeleemosinarius, ecclesiae Sancti Pauli et Eliensis canonicus, Societatis Regiae londiniensis sodalis, etc., amplis quidem titulis donatus, amplissimis dignus. Vir perelegantis et amoeni ingenii, scientias industria sua illustravit, liberalitate promovit, egregie eruditus theologicis, mathematicis et arte musica. Memoriam excolite, posteri, et lucubrationibus suis editis loquelae principia agnoscite et harmoniae. Obiit 24 ianuarii anno Domini 1697.1

Qui giace William Holder, professore di teologia sacra, sottodiacono della Cappella Reale, secondo elemosinario per conto della serenissima reale maestà, canonico delle chiese di Saint Paul e di Ely, membro della Royal Society di Londra, ecc., insignito di titoli davvero onorevoli e degno di più onorevoli ancora. Uomo d’ingegno molto elegante e piacevole, col suo zelo rese illustri le scienze e le promosse con liberalità, straordinariamente erudito in teologia, in matematica e nell’arte musicale. Onorate la sua memoria, o posteri, e apprendete i principi del linguaggio e dell’armonia, frutto della sua applicazione assidua agli studi che sono stati pubblicati. Morì il 24 gennaio nell’anno del Signore 1697.

Questa iscrizione che si legge sul monumento funebre in marmo – eretto alla sua memoria nella cattedrale di Saint Paul dov’è sepolto – esalta le diverse mansioni che Holder coprì nel corso di una lunga esistenza, oltre alle numerose qualità legate alla profonda conoscenza che possedeva nelle varie discipline, dalla matematica alla fonetica, dalla musica alla teologia.

Le notizie sulla vita di Holder sono poche, frammentarie e spesso contraddit-torie, a cominciare dagli anni di nascita e di morte.2 È certo che vide la luce a Sou-thwell – una città della contea di Nottingham nel cuore dell’Inghilterra – in un

1 HaWkins, volume II, libro XVI, capitolo CLVII, p. 760; [maria HackeTT], A popular account of Saint Paul’s cathedral, including a history and description of the old and new cathedral, London, J.B. Nichols per C.J.F. e G. Rivington, 1830, p. 48; GiacinTo amaTi, Peregrinazione al Gran San Bernardo, Losanna, Friburgo, Ginevra, con una corsa a Lione, Parigi e Londra, Milano, Paolo Ripamonti Carpani, 1838, p. 393. Nella trascrizione dell’epigrafe, serenissimae regiae maestati è stato considerato un dativo e quindi non emendato col genitivo maiestatis; è stata mantenuta un’altra forma plausibile (subeleemosinarius), mentre le abbreviazioni sono state svolte come sempre, con un dubbio per H.S.E., interpretabile sia come hic sepultus est, sia come hic situs est. Per tutti i riferimenti che sono citati in maniera abbreviata o che non compaiono a piè di pagina, cfr. Nota al testo, qui a pp. 262-263; tavola D, qui a pp. 312-315.

2 Cfr. HaWkins e féTis 1614-1696; dnb 1615 o 1616-1698; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Kassel, Bärenreiter e Metzler, 1994-2008, e deumm 1616-1696; Grove 1616-1697 o 1698; burney e sTanley 1616-1698.

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periodo economicamente e politicamente molto difficile, ma non è sicuro se nel 1614, nel 1615 o nel 1616. I primi due storici anglosassoni della musica, Hawkins e Burney, riportano date differenti, anche se concordano sull’età al momento del decesso che sarebbe avvenuto a ottantadue anni. Siccome la scheda redatta dal Pembroke College registra l’ingresso del giovane William, allora diciassettenne, nella Pasqua del 1633,3 è probabile che sia nato nel 1616.

Holder rimase nove anni al Pembroke, terzo college fondato a Cambridge e noto per essere stato il primo ad avere una cappella al suo interno, progettata da Christopher Wren e consacrata nel 1665. Dopo aver conseguito due livelli di stu-dio – il bachelor of arts nel 1637, che corrisponde approssimativamente alla nostra laurea, e il master of arts nel 1640, ovvero una specie di dottorato – rimase come fellow fino al 1642, partecipando ai progetti culturali o scientifici e al consiglio di-rettivo. Nella sua carriera scolastica Holder non conseguì mai un titolo di studio musicale, poiché all’epoca il Pembroke non lo prevedeva.

Rettore di Barnoldby-le-Beck dal 1641, nel 1642 Holder venne ordinato dia-cono presso la cattedrale di Lincoln, pur continuando tuttavia a ottenere benefici ecclesiastici da altre parrocchie, come quella di Bletchington nell’Oxfordshire dove, sempre nello stesso anno, venne nominato rettore. Contemporaneamente – ed è l’unica notizia registrata sulla famiglia di Holder – il padre Clement rico-priva la stessa carica presso la cattedrale di Southwell, il paese natale di William. I registri dell’archivio avrebbero potuto certamente offrire notizie più copiose sulla sua infanzia ma sfortunatamente sono andati perduti durante la rivolta scoppiata nel 1640.4

Il 21 marzo del 1643 o del 1644 Holder entrò a Oxford come master of arts dove rimase fino al 1646, anche se la sua carriera, come quella di altri ecclesiastici legati alla famiglia reale, venne interrotta dalla guerra civile, terminata nel 1648, nel corso della quale molti si arruolarono. Da quel momento la produzione e il consumo musicale in Inghilterra subirono continui cambiamenti, poiché si trat-tava di un affare di stato, subordinato alla sensibilità artistica dei governanti e alla situazione politica in cui versava il paese. Con la rivoluzione puritana si ordinò la soppressione dell’organo e del coro nel servizio divino, venne eliminata dalle

3 JoHn venne e JoHn arcHibald venne, Alumni cantabrigienses. A biographical list of all known students, graduates and holders of office at the University of Cambridge, from the earliest times to 1900, Cambridge, Cambridge University Press, 1922-1953; venn.lib.cam.ac.uk/Documents/acad/intro.html.

4 sTanley, p. 2.

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chiese ogni manifestazione musicale, tranne il canto dei salmi, e furono bandite le rappresentazioni teatrali. Pertanto, mentre la musica inglese taceva o quasi fino al termine della dittatura di Oliver Cromwell, si favoriva lo sviluppo dell’esercizio domestico, sia strumentale che vocale.

Sempre nel 1643 Holder sposò la sedicenne Susanna Wren, nipote del vesco-vo Matthew Wren, figlia di Christopher, decano di Windsor e di Wolverhampton, e sorella di Christopher iunior che al tempo delle nozze aveva solo undici anni. Holder rivestì un ruolo molto importante nell’educazione del giovane cognato e si occupò della sua istruzione, soprattutto nelle scienze matematiche per cui era considerato un valido insegnante. Del resto il pupillo sarebbe diventato il più im-portante architetto inglese dell’epoca. La rispettabile posizione sociale che Hol-der occupava presso i contemporanei era dovuta certamente alle sue doti, alle sue opere e all’attività svolta nell’ambito della chiesa ma anche alla parentela con una famiglia distinta. Lo zio Matthew Wren, che aveva studiato al Pembroke, nel 1624 divenne rettore di Bingham nel Nottingham, la contea in cui era nato Holder otto anni prima, nel 1636 fu nominato decano della Cappella Reale e nel 1638 vescovo di Ely. Il 25 giugno del 1652 proprio Wren conferiva a Holder un beneficio come canonico al terzo stallo ecclesiastico nella cattedrale di Ely e nel 1660 il posto di subalmoner, cioè di colui che distribuiva il denaro per aiutare i poveri.

Dopo la restaurazione del potere monarchico e di Carlo II Stuart, noto per l’assolutismo antiparlamentare, Holder riprese il lavoro a Oxford dove conseguì il titolo di doctor of divinity. Due anni più tardi, sempre Matthew Wren lo presentò ai collegi presbiteriali di Northwold nel Norfolk e di Tydd Saint Giles nel Cam-bridgeshire. Il 20 maggio del 1663, non ancora cinquantenne, grazie agli studi teorici sulla lingua e sulla musica, Holder venne eletto fellow della Royal Society, fondata nel 1660 dal cognato Christopher insieme ad altri personaggi eminenti. Poco dopo, Londra fu segnata da due spaventose catastrofi: la peste bubbonica che uccise oltre 75.000 persone tra il 1665 e il 1666; il grande incendio che nel settembre del 1666 distrusse 13.000 case e ottantaquattro chiese, in gran parte ricostruite da Christopher Wren come la nuova cattedrale di Saint Paul.

Nel 1669 Holder stampa gli Elements of speech,5 un saggio di eufonia e di lingui-stica assai rilevante all’epoca, in cui classifica l’alfabeto in modo così minuzioso,

5 William Holder, Elements of speech. An essay of inquiry into the natural production of letters, London, John Martyn, 1669; London, Mark Pardoe, 1677; edizioni moderne Menston, Scolar Press, 1967; New York, AMS Press, 1975.

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chiaro ed efficace che Burney lo raccomanda ai filologi e in particolare ai poeti lirici e ai compositori dei generi vocali.6 Si tratta di un’indagine sulla naturale produzione dei singoli fonemi, delle sillabe, delle parole e delle frasi, attraverso l’analisi dei principi della pronuncia e la descrizione degli organi di emissione. Tutti i suoni musicali fra cui la voce umana, afferma Holder, sono generati da una vibrazione regolare, proporzionale all’altezza, e dall’ondulazione dell’aria: tema-tiche riprese e ampiamente sviluppate nel Treatise. Avviato in un periodo molto particolare della storia della musica, con la nascita dell’opera e la rivalutazione della parola, lo studio sul linguaggio divenne ben presto oggetto di un accurato esame e attirò l’attenzione degli studiosi, grazie al felice tentativo (il primo riusci-to in Inghilterra) esercitato su Alexander Popham, giovane figlio del colonnello Edward e sordomuto dalla nascita, al quale Holder aveva insegnato a parlare intorno al 1659, applicando un metodo presentato successivamente alla Royal Society7 e riportato nell’appendice degli Elements.

Si narra che, essendo in seguito ricaduto nel mutismo, Alexander venne vi-sitato da John Wallis, membro dell’accademia londinese e matematico insigne che si occupò di logica, teologia, algebra e geometria, gettando le basi per il calcolo differenziale e integrale. Ritenuto il più grande fra gli immediati prede-cessori di Newton e profondo conoscitore di musica, Wallis scrisse numerosi saggi sull’argomento, curando fra l’altro un’edizione di Tolomeo, finanziata dal teatro Sheldon, la celebre sala oxoniense costruita dal 1664 al 1669 su progetto di Christopher Wren.8 Wallis fece parlare di nuovo il ragazzo e quindi affermò di averlo guarito. Nacque un dibattito che chiamò in causa Robert Boyle e che andò per le lunghe, innescato da una lettera aperta di Wallis a cui Holder rispose pubblicando le sue tempestive controdeduzioni nel supplemento di un numero dei «Philosophical transactions».9

6 burney, volume II, p. 477.7 William Holder, An account of an experiment concerning deafness, pHil. Trans., XXXV, 1668,

pp. 665-668.8 claudio Tolomeo, Harmonicorum libri tres, a cura di John Wallis, Oxford, a spese del teatro

Sheldon, 1682.9 JoHn Wallis, A letter to Robert Boyle esquire, concerning the said doctor’s essay of teaching a person dumb

and deaf to speak and to understand a language, pHil. Trans., V, 1670, pp. 1087-1097; William Holder, Reflexions on doctor Wallis’s letter to mister Boyle, concerning an assay of teaching a person deaf and dumb to speak and understand a language, London, s.n., 1670; altra edizione col titolo Supplement to the «Philosophical transactions» of [3] july 1670, with some reflexions on doctor John Wallis, his letter there inserted, London,

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Il 16 novembre del 1672 Holder venne nominato canonico residente presso la cattedrale di Saint Paul. Due anni dopo, il 2 settembre, divenne sottodecano della Cappella Reale. Una delle attività che doveva svolgere consisteva nella for-mazione musicale dei bambini, tra i quali suo figlio William iunior, alla cui educa-zione si ritiene che fosse destinato il Treatise.10 Nel 1676 approdava all’istituzione londinese, come responsabile della formazione vocale, il compositore organista Michael Wise, nato nel 1647 circa, già fanciullo cantore nella Cappella Reale, poi impegnato a Windsor dal 1665, a Eton e a Salisbury. Dedito quasi esclusivamente alla produzione sacra in varie cattedrali inglesi, nel 1687, pochi mesi prima del-la morte, Wise si stabilirà definitivamente a Saint Paul su invito di Giacomo II Stuart, come almoner e istruttore del coro.

Dato il comportamento piuttosto rigido di Holder e la severa disciplina nel-la direzione del servizio divino, Wise lo soprannominò scherzosamente «mister snubdean», un gioco di parole basato sul titolo subdean e sul verbo to snub ‘snobba-re, disprezzare’.11 Holder infatti non tollerava la negligenza e la scarsa preparazio-ne nell’esecuzione dei canti corali durante la funzione religiosa. Gli autori della Hi-story di Saint Paul ritengono che, sebbene altri illustri compositori abbiano operato a Londra nel medesimo lasso di tempo, Holder si possa considerare «forse il più rilevante musicista di questo periodo»,12 attivo presso la cattedrale fino alla morte che sarebbe avvenuta nel 1697, l’anno che compare nell’iscrizione funebre.

Secondo la biografia di John Aubrey,13 Susanna Wren, che morì il 30 giugno del 1688, era famosa quanto il marito, dedita alla medicina e ben nota a corte per le guarigioni ottenute. Così recita l’iscrizione del suo monumento sepolcrale che sembra alludere a un aneddoto sulla cura applicata alla mano ferita di Carlo II:

Henry Brome, 1678; JoHn Wallis, A defence of the Royal Society and the «Philosophical transactions», particularly those of july 1670, in answer to the cavils of doctor William Holder, London, [Thomas Snowden] per Thomas Moore, 1678; edizione moderna di JoHn Wallis, Writings on music, a cura di David Cram e Benjamin Wardhaugh, Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2014.

10 sTanley, p. 5; invece, secondo il dnb, il matrimonio di Holder «è stato lungo e felice ma senza figli».

11 HaWkins, volume II, libro XVI, capitolo CLVII, p. 760; burney, volume II, p. 477.12 A history of Saint Paul’s cathedral and the men associated with it, a cura di Walter Robert Matthews

e William Maynard Atkins, London, Phoenix House, 1957, p. 243.13 JoHn aubrey, Brief lives (1669-1696), GB-Ob, Aubrey mss. 6-8; prima edizione, a cura di

Andrew Clark, Oxford, Clarendon Press, 1898, volume I, p. 405; edizione moderna, a cura di John Buchanan Brown, London, Penguin, 2000.

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Per compassione dei poveri si dedicò alla conoscenza dei medicamenti, nella cui scien-za Dio le diede una tale benedizione che in migliaia vennero felicemente guariti da lei e tutti ne trovarono giovamento e che il re Carlo II, la regina Caterina [di Braganza] e anche molte persone della corte conobbero il successo delle sue mani.14

William si dimise dall’incarico a Saint Paul poco prima di Natale nel 1689, un anno importante nella storia inglese, poiché la cosiddetta glorious revolution die-de vita pacificamente alla monarchia parlamentare. Da questo momento, prima dell’incoronazione, i sovrani dovranno giurare e impegnarsi con la dichiarazione dei diritti (bill of rights) a rispettare il potere delle camere. Quindi si instaurò un clima di maggior tolleranza religiosa, di libertà di stampa e di opinione, elementi che concorsero a formare una nuova coscienza filosofica, scientifica e storica alle soglie del Settecento. Nel 1690, quando la cappella del Pembroke College fu trasformata in biblioteca, l’istituzione si avvalse di sottoscrizioni private. Holder, che viene ricordato fra i benefattori e che fu uno dei tre donatori principali, offrì le ricchezze che era riuscito ad accumulare e quelle che la moglie, deceduta, gli aveva lasciato in eredità.

Nel frattempo venne assegnato a Holder il rettorato di Therfield nell’Hert-fordshire, dove trascorse gli ultimi anni. In questo periodo pubblicò uno scritto di particolare interesse scientifico: A discourse concerning time,15 proponendo un me-todo per migliorare il calendario giuliano, promulgato da Cesare nel 46 a.C., che comportava gli anni bisestili (uno ogni quattro) ma raddoppiava il 24 febbraio senza aggiungere il 28. In tal modo Cesare voleva ovviare allo sfasamento esi-stente fra l’anno tropico (di circa 365 giorni e un quarto) e quello civile di origine lunare (di 355 giorni).

A breve distanza dal Discourse uscì A treatise of the natural grounds and principles of harmony, l’ultima opera di Holder. Numerose lettere, scambiate fra l’autore, il libraio e l’editore dall’agosto del 1692 al maggio del 1694, in vista della stampa definitiva, illustrano la difficile storia dell’opera e dimostrano quanti rifacimenti un manoscritto doveva attraversare anche alla fine del XVII secolo, prima di trasformarsi in un libro.16 Problemi derivati da futili motivi, come il blocco dei

14 HaWkins, volume II, libro XVI, capitolo CLVII, p. 760.15 William Holder, A discourse concerning time, for the better understanding of the Julian year and calendar,

London, John Heptinstall per Luke Meredith, 1694; seconda edizione London, John Heptinstall per Philip Monckton, 1701; terza edizione London, John Heptinstall per Philip Monckton, 1712.

16 poole, pp. 31 sgg.; lettere degli stampatori, suggerimenti sul Treatise ed estratti dei contributi

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torchi, le malattie degli addetti ai lavori, la perdita di fogli nel passaggio delle copie dal tipografo all’editore, si aggiungevano a questioni ben più importanti come l’impaginazione di tavole e schemi, la revisione delle bozze, gli errori di bat-titura e gli inserti in greco, fortunatamente pochissimi. Holder non nascondeva l’insoddisfazione per la qualità del risultato e soprattutto per la lentezza con cui procedeva l’impresa. Come se non bastasse, trenta miglia di distanza separavano il correttore dall’autore che doveva servirsi del traffico epistolare, moltiplicando i tempi di attesa fra il messaggio e la risposta.

Qualche mese prima della stampa, Holder richiamò l’editore perché il fronte-spizio recitava semplicemente: «Printed for the author». Alla fine le versioni tra-mandate del sofferto title page per la princeps sono tre. La copia della Royal Society riporta: «London, printed by John Heptinstall for the author and sold by John Carr, at the Middle Temple Gate in Fleet street, 1694». Altri esemplari forniscono una quantità di notizie: «London, printed by John Heptinstall and sold by John Carr, at the Middle Temple Gate in Fleet street, Brabazon Aylmer, at the Three Pidgeons in Cornhill, William Hensman, at the King’s Head in Westminster Hall, and Luke Meredith, at the Star in Saint Paul’s churchyard, 1694». La copia di Bologna si limita ad annunciare: «London, printed by John Heptinstall for John Carr, at the Middle Temple Gate in Fleet street, 1694».17

Holder morì il 24 gennaio. Ma l’anno e il luogo del decesso non sono certi: per alcuni avvenne nel 1696 nella sua casa in Amen Corner a Londra, per altri nel 1698 a Hertford.18 Fu sepolto nella cripta sotto il coro della cattedrale di Saint Paul, vicino alla moglie Susanna e al cognato Christopher Wren.

L’ottima educazione ricevuta all’interno dell’ambiente ecclesiastico, l’ingresso in una famiglia facoltosa col matrimonio e l’occupazione sicura nella chiesa angli-cana permisero a Holder di trascorrere una lunga vita senza preoccupazioni e di coltivare al meglio i propri interessi culturali. Teologo, matematico, logopedista, musicista ed esempio perfetto di intellettuale del XVII secolo, preparato non solamente nell’arte dei suoni ma anche nelle scienze e nella letteratura, grazie al

per pHil. Trans., con una lista di persone alle quali spedire una copia del volume, fra cui Henry Purcell che morì nel 1695, si conservano in GB-Lbl, Sloane ms. 1338; GB-Lbl, Egerton ms. 2231; GB-Lbl, add. ms. 4921.

17 Qui a p. 7; poole, p. 40; www.copac.ac.uk; www.bl.uk; come sempre, le abbreviazioni sono state svolte.

18 sTanley, p. 1; dnb; Grove.

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livello culturale elevato seppe distinguersi come filosofo e filologo. Dilettante di rango, non studiò sistematicamente e non esercitò mai come professionista bensì come ecclesiastico. Il suo interesse affondava le radici nella più antica tra-dizione dei generi sacri, anche se il periodo storico in cui viveva manifestava una grande apertura culturale e una conseguente richiesta di forme profane. Erudito e sagace, merita particolare attenzione sia come teorico preciso e colto, sia come compositore, di cui si conservano dieci anthems e un Evening service in Do mag-giore, tuttora manoscritti.19 Burney, basando il suo giudizio sui brani di Holder conservati nella famosa collezione assemblata dall’organista Thomas Tudway per la famiglia Harley, li descrive con queste parole:

Dalla regolarità e dalla disinvolta disposizione delle diverse parti, in questi saggi di composizione è facile scoprire che egli non studiò e non mise in pratica il contrap-punto nella maniera superficiale di un pigro dilettante, ma con la cura di un diligente professore.20

l’acusTica di Holder fra il monocordo di piTaGora e il TemperamenTo di WerckmeisTer

Le nozioni fondamentali di acustica divulgate ai tempi di Holder risalgono al lungo periodo intercorso fra gli studi di Pitagora e le scoperte di Newton sulla propagazione del moto attraverso i fluidi, un arco di tempo in cui la teoria del suono si fondava prevalentemente sulle discipline matematiche. Nel corso dei secoli, molti si erano occupati dell’argomento, anche se nessuno o quasi, in duemila anni, aveva oltrepassato il traguardo raggiunto dagli antichi. Le scoperte significative furono veramente esigue, poiché si riprendevano le tesi dei Greci, approfondendo di volta in volta i temi ritenuti più importanti e aggiungendo qualche osservazione di carattere propositivo. L’acustica era considerata allo stes-so tempo scienza per i matematici, che analizzavano l’evento in modo astratto, e arte per i musicisti, più interessati all’aspetto fenomenologico.

19 Cfr. www.rism.org.uk; GB-Lbl, Harley mss. 7338-7339, in A collection of the most celebrated services and anthems, used in the church of England from the Reformation to the restauration of king Charles II, composed by the best masters and collected by Thomas Tudway, musick professor to the University of Cambridge, anno Domini 1725.

20 burney, volume II, pp. 476-477.

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Questa duplice prospettiva ha origini remote. Le grandi scuole dell’antichità che si dedicarono al suono – quella di Pitagora e quella di Aristosseno – sembra-no complementari. La prima affronta quasi esclusivamente i numeri, la divisione del monocordo e la distinzione degli intervalli consonanti o dissonanti, determi-nata dai rapporti fra le vibrazioni. La seconda indaga piuttosto il lato percettivo con un metodo squisitamente empirico. Per questo i pitagorici erano chiamati canonici (da canone ovvero monocordo) e gli aristossenici musici. Fuori dal ra-zionalismo degli uni e dallo sperimentalismo degli altri, per la teoria cosmologica dei seguaci di Platone la musica, non solo calcolo ideale e non solo esperienza concreta, esprime l’ordine dell’universo.

Almeno quattro sono le pietre miliari nella storia classica dell’acustica occi-dentale: Pitagora, Aristosseno, Euclide e Boezio. E proprio queste teorie guida-rono Holder nella sua indagine, a partire dai venerati Greci.

Com’è noto, il sistema di Pitagora si tramanda grazie a fonti molto più tarde, fra cui Nicomaco di Gerasa, Gaudenzio e soprattutto Boezio. Lo studio della matematica portò il filosofo di Samo a scoprire l’esistenza di un’armonia alla base del cosmo e quindi a concepire il numero come elemento essenziale di ogni cosa. Si ritiene che già Pitagora, avendo afferrato il concetto di frequenza e di-mostrando che la lunghezza di corde uguali per materiale, spessore e tensione, è proporzionale all’altezza del suono, abbia gettato le basi della teoria musicale come disciplina scientifica. Nel trattato holderiano, di pitagorico c’è tutto quello che deriva dalla speculazione sul monocordo: la proporzione fra l’altezza e il numero delle vibrazioni, la variazione del suono in base alla natura e alle carat-teristiche del corpo che lo produce, il presupposto che l’aria sia il veicolo della propagazione.21

Invece Aristosseno suggerì a Holder l’importanza dell’appagamento uditivo come criterio di valutazione, gli scontri delle corde che producono le dissonanze sgradevoli, la qualità del moto che genera il suono acuto o grave, l’esame dei modi greci, la suddivisione del tono maggiore in dodici parti uguali, introducen-do i termini «diesis trientale» e «quadrantale».22

Da Euclide Holder attinse l’aspetto più squisitamente matematico: la concor-danza dei moti per gli intervalli consonanti, la moltiplicazione e la divisione dei

21 Qui a pp. 14-15, 24-25, 42-43.22 Qui a pp. 16-17, 160-161, 170-171, 246-247.

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rapporti, le proporzioni interne alla diapason, la dimostrazione che un’8a non può essere formata da sei toni.23 La tradizione attribuisce a Euclide la Sectio canonis che tratta gli intervalli ottenuti con la segmentazione del monocordo; affrontando un argomento specifico, non si configura come un vero e proprio trattato di armonia ma piuttosto come un manuale che si occupa di un solo argomento, sottinten-dendo quindi la conoscenza della teoria di base (note, intervalli, ecc.). Grazie alla Sectio canonis si capisce perché la musica debba essere considerata una disciplina matematica e perché nell’ordinamento medievale appartenga al quadrivium che comprendeva le arti scientifiche – aritmetica, geometria, musica e astronomia – fra le sette liberali.

Quanto a Boezio, il De institutione musica sembrerebbe il primo trattato pura-mente teorico in cui l’arte dei suoni, a differenza delle altre scienze matematiche, viene intesa nella sua duplice natura: la ratio, fondata sui numeri e sulle propor-zioni, la sola che può comprendere i veri significati; il sensus che muove gli affetti e influenza le passioni. Per questo è necessario distinguere i diversi ambiti pro-fessionali: secondo Boezio il musicus intrattiene con l’acustica un rapporto intel-lettuale e in quanto tale privilegiato; invece il citharedus e il tibicen sono al servizio dello strumento perché possiedono soltanto una competenza pratica. L’opera di Boezio venne per molto tempo considerata un immenso deposito dello scibile sull’armonia che mette in primo piano l’aspetto teorico. Zarlino e Salinas, seguen-do il ragionamento avviato dal filosofo romano mille anni prima, sostengono che il piacere prodotto dalla musica deriva dalla conoscenza della verità sui rapporti e sulle coincidenze degli intervalli. L’età barocca riprese i due termini boeziani, sensus e ratio, impostando la ricerca teorica su questi elementi. Alla fine del Sei-cento la spiegazione scientifica degli armonici accentua l’importanza della ratio nella valutazione della musica, rivoluzionando la concezione di questa scienza rinnovata.

Ad Amsterdam nel 1652 vede la luce Antiquae musicae auctores septem, graece et latine, un’antologia curata dal filologo danese Marcus Meibom che raccoglie i trattati più importanti degli antichi. Nell’ordine: gli Elementa di Aristosseno, la Sectio canonis e l’Introductio harmonica di Euclide, che oggi si attribuisce a Cleonide come nella prima versione latina dell’umanista Giorgio Valla,24 il Manuale di Ni-

23 Qui a pp. 58-59, 78-79, 116 sgg., 188-189.24 cleonide e GiorGio valla, Harmonicum introductorium, Venezia, Simone Papiense detto

Bevilacqua, 1497; il volume contiene anche altri scritti, fra cui viTruvio, De architectura.

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comaco, l’Introductio di Alipio, quella di Gaudenzio e quella di Bacchio Seniore, per finire col De musica di Aristide Quintiliano, a cui si collega il nono libro del De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella che riprende Quintiliano in larga misura. Il volume, attento nella traduzione e preciso nella veste editoriale, ebbe all’epoca un’importanza fondamentale in quanto segnò una svolta nella divulga-zione, costituendo un punto di partenza per coloro che volevano avvicinarsi a questa disciplina. È probabile che Holder intorno al 1660, mentre si preparava per conseguire la laurea in teologia, sia venuto a conoscenza della silloge recente che potrebbe costituire la fonte degli schemi riportati nel sesto capitolo del Trea-tise nonché di molte citazioni, forse con l’eccezione di Quintiliano perché due loci menzionati da Holder non corrispondono all’edizione di Meibom.25

La battuta d’arresto che il progresso dell’acustica subì nell’era volgare per la mancanza di strumenti scientifici adatti a sostenere una ricerca approfondita sul suono, lentamente si sciolse nel primo Seicento e nei due secoli postnewtoniani, che divennero protagonisti di un radicale sviluppo della fisica, grazie all’applica-zione del calcolo alla meccanica. Le teorie tardoantiche e medievali, basate sui miti, sui dogmi e sul misticismo, cedevano il posto alla nuova acustica, fondata su presupposti più solidi perché più razionali e scientificamente dimostrabili. Mal-grado la preparazione accademica, che lo teneva ancorato alle tendenze conser-vatrici vicine ai classici, Holder riuscì ad allargare la propria visione allo spirito progressista dell’ambiente circostante, frequentato da studiosi come Huygens, Newton e Wallis, tutti legati alla Royal Society. E gli fecero da guida i giganti del primo Seicento: forse Bacone, di sicuro Galileo, Mersenne e Gassendi.

Bacone, il padre spirituale della filosofia inglese, secondo una concezione in-duttiva sostiene che l’osservazione della natura, l’empirismo e la messa in discus-sione delle ipotesi stanno alla base del sapere scientifico, benché non chiarisca appieno quanto sia necessaria la matematica per misurare i fenomeni. In Sylva sylvarum del 1627 distingue l’immusical dal musical sound, la cui regolarità dipende dall’uguaglianza delle parti che formano il corpo vibrante, e si interessa dei feno-meni fisici che danno origine alla qualità dei suoni, più che dei rapporti fra loro. Gli esperimenti di Bacone esercitarono un notevole influsso sulle indagini acu-

25 Qui a pp. 66-67, 180-181; edizione moderna di arisTide QuinTiliano, Sulla musica, a cura di Gabriella Moretti, Bari, Levante, 2010.

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stiche durante tutto il Seicento e costituirono la base per gli studi sull’argomento nei primi tempi di attività della Royal Society. Ma settant’anni dopo la pubblica-zione della Sylva, forse Holder, enfatizzando l’aspetto numerico, non concordava pienamente con la posizione di sir Francis che peraltro non è mai nominato nel Treatise.

Galileo, il cui pensiero ebbe notoriamente un impatto enorme dalla fine del XVI secolo, stabilì rigorosamente l’importanza dell’osservazione prima e della quantificazione matematica poi nell’esame dei fenomeni naturali. Pietra miliare per lo sviluppo dell’acustica, gli studi sul pendolo, annunciati dall’immancabile schizzo di Leonardo,26 giunsero alla formulazione della legge sull’isocronismo nel 1583, secondo l’aneddoto narrato da Vincenzo Viviani, giovanissimo allievo e assistente di Galileo ad Arcetri dal 1639 fino alla morte del maestro, avvenuta nel 1642.27 Nel fecondo ambiente dell’Europa secentesca, gli esperimenti culmi-narono con l’orologio brevettato dall’olandese Huygens nel 1656 e con la sua relazione intitolata Divisio monochordi, presentata nel 1661. Di galileiano nel Treatise si ritrovano per l’appunto l’isocronismo pendolare, le vibrazioni simpatiche e lo studio del doppio pendolo che gli permise di approfondire la riflessione su con-sonanza e dissonanza.28

Il concetto di moto in relazione alla produzione del suono è un caposaldo del Treatise, in cui l’assimilazione di una corda a un doppio pendolo – e quindi la spie-gazione delle vibrazioni basata su leggi che regolano le oscillazioni – è una teoria del tutto originale che permise a Holder di occupare un posto d’onore nell’evolu-zione dell’acustica. L’analogia fra pendolo e corda, che mette in relazione la mec-canica e la teoria musicale, diede a Holder la possibilità di approfondire gli studi sull’armonia. Inoltre la spiegazione degli intervalli, per mezzo della consonanza e della dissonanza, lo illuminò sull’accordatura degli strumenti. Strettamente legato alla differenza di altezza tra due suoni è il concetto di proporzione tra due fre-

26 leonardo da vinci, Disegno di un pendolo (1490-1499 circa), E-Mn, ms. 8937, volume I, c. 61v; edizione in facsimile Firenze, Giunti Barbera, 1974.

27 vincenZo viviani, Racconto istorico della vita del signor Galileo Galilei, in Galileo Galilei, Opere, Firenze, Barbera, 1968, volume XIX, pp. 603, 648-649; prima edizione, postuma, del ms. di Viviani datato 29 aprile 1654, in salvino salvini, Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Firenze, Giovanni Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1717.

28 Qui a pp. 24-25, 28-29, 62-65.

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quenze. Data l’importanza dell’argomento da Pitagora a Galileo, Holder lo svi-scerò nel quinto capitolo del Treatise, con indicazioni minuziose e dettagliate.29

Nella sua opera principale, Harmonie universelle del 1636, Mersenne affronta la natura del suono, gli intervalli, l’accordatura degli strumenti, la risonanza, la consonanza e la dissonanza, determinate dalla coincidenza o meno delle vibra-zioni. Ritenuto il fondatore dell’acustica moderna, il teologo francese considera l’arte dei suoni una branca della matematica. Sommandosi alle riflessioni di Ga-lileo, la sua speculazione rappresenta un momento di transizione fra la scolastica medievale e i principi armonici, considerati generatori dell’accordo maggiore da Rameau nel 1722, quasi un secolo dopo. Secondo lo studioso californiano War-ren Dwight Allen, il posto occupato da Mersenne nelle scienze musicali è para-gonabile a quello che nella fisica spetta a Cartesio, suo corrispondente, amico e collega.30

La pubblicazione londinese delle Animadversiones di Gassendi, uscite in Fran-cia nel 1649 ma tradotte e ampiamente rimaneggiate da Walter Charleton cinque anni dopo,31 diede nuovo vigore allo sviluppo delle idee holderiane, forse più del pensiero baconiano. Curiosa figura di prete cattolico e osservante ma epicureo e antiaristotelico, Gassendi fondava il sapere sull’empiria, rivisitando la natura e la propagazione del suono che, d’accordo con Bacone e a differenza di Kircher, riteneva circolare o parabolica e non diretta o lineare, perché altrimenti non si po-trebbe percepire una vibrazione emessa dietro un muro alto.32 Seguendo Galileo, per cui nutriva un’ammirazione sconfinata, dimostrò che la consonanza e la dis-sonanza di un intervallo dipendono dalla «mescolanza o coincidenza» delle vibra-zioni che lo compongono e che arrivano all’orecchio come «un suono solo», per dirla con Holder che accoglie in toto questa posizione.33 Per illustrare l’invisibile

29 Qui a pp. 112 sgg.30 Warren dWiGHT allen, Philosophies of music history. A study of general histories of music (1600-

1960), New York, American Book Company, 1939, p. 15.31 pierre Gassendi, Animadversiones in decimum librum Diogenis Laertii qui est de vita, moribus

placitisque Epicuri, Lyon, Guillaume Barbier, 1649; edizione anastatica New York, Garland, 1987; pierre Gassendi e WalTer cHarleTon, Physiologia epicuro-gassendo-charltoniana or A fabrick of science natural, upon the hypothesis of atoms founded by Epicurus, London, Thomas Newcomb per Thomas Heath, 1654; edizione anastatica New York e London, Johnson Reprint Corporation, 1966.

32 sTanley, p. 48.33 Qui a p. 77; sTanley, pp. 32-33.

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moto ondulatorio dell’aria, Holder propone tre analogie: il ciottolo nello stagno e il mercurio nel recipiente rotondo o nella vaschetta di legno.34 L’affinità fra le onde che si espandono in uno specchio d’acqua e la diffusione sonora, illustrata per la prima volta da Crisippo di Soli, il filosofo stoico del III secolo avanti Cristo, poi ripresa da innumerevoli Greci o Latini e in particolare da Boezio, naturalmen-te interessa Leonardo che si è occupato di tutto lo scibile, nei 1119 fogli dello stupefacente Codice atlantico, e che si serve di questo esperimento per avanzare il principio della sovrapposizione delle onde sonore.35 Gassendi nota che i cerchi formati dalla caduta di un sassolino nel fluido raggiungono le pareti della vasca nel medesimo tempo di quelli ottenuti lanciando una grossa pietra:36 un concetto poi applicato alla teoria della velocità uniforme del suono riconosciuto valido per tutti i fenomeni ondulatori.

Com’è noto, il termine acustica deriva dal greco ajkouein, ‘udire’ ed è stato introdotto nell’ultimo scorcio del Seicento da Joseph Sauveur, fisico, matematico e socio dell’Académie des Sciences dal 1696.37 A parte il fatto che Holder non conosce ancora il lemma e non lo usa mai nel Treatise, gli studi sull’acustica vera e propria dovranno attendere l’Ottocento, quando due testi basilari sintetizzano i risultati raggiunti dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz e dal barone di Rayleigh, segretario della Royal Society dal 1887 al 1896 e presidente dal 1905. Il primo descrive i processi fisiologici per spiegare la consonanza nel Lehre del 1863,38 in cui Jerome Stanley ha riscontrato numerosi punti in comune con le teo-rie di Holder e dei suoi maestri: i moti del pendolo, gli effetti del suono sull’udito, le onde e la loro diversa mescolanza nelle consonanze e nelle dissonanze.39 Il secondo saggio, considerato la bibbia dell’acustica e pubblicato nel 1887-1888 da Rayleigh, approfondisce le teorie di Helmholtz, precisando il sistema di apertura

34 Qui a pp. 58-61.35 emanuel WinTerniTZ, Leonardo da Vinci as a musician, New Haven (Connecticut), Yale

University Press, 1982, pp. 101-104; il corposo manoscritto, databile al 1478-1519 e restaurato dal 1962 al 1972, si conserva in I-Ma; edizione in facsimile Firenze, Giunti Barbera, 1973-1975.

36 sTanley, p. 47.37 JosepH sauveur, Traité de la théorie de la musique (1697), F-Pn, ms. n.a. 4674; JosepH sauveur,

Collected writings on musical acoustics, a cura di Rudolf Rasch, Utrecht, Diapason Press, 1984.38 Hermann von HelmHolTZ, Die Lehre von den Tonempfindungen als psychologische Grundlage für die

Theorie Musik, Braunschweig, Friedrich Vieweg, 1863; traduzione inglese, a cura di Alexander John Ellis, On the sensations of tone as a physiological basis for the theory of music, London, Longmans, 1875.

39 sTanley, pp. 174-175, 209-215.

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e di chiusura delle canne di risonanza.40 Frattanto, con l’invenzione del telefono nel 1871 e del fonografo nel 1878, la tecnologia favoriva lo sviluppo di nuovi strumenti per la generazione e per l’analisi del suono, rivoluzionando l’approccio a una disciplina ancora piena di lati oscuri.

Lo studio delle consonanze e la teoria del suono portarono all’approfondi-mento di tutte le materie che stanno alla base della scienza musicale, compre-se la fisiologia e l’estetica, favorendo l’apertura alle conquiste della rivoluzione scientifica secentesca. Determinanti furono le relazioni fra i settori diversi che, superando la concezione aristotelica dell’autonomia delle singole discipline, con-tribuirono alla scoperta delle origini storiche di ogni materia. La produzione delle onde sonore per mezzo del movimento dei corpi concerne la meccanica, mentre la trasmissione del moto vibratorio in un fluido riguarda l’idrodinamica. Le fasi di compressione e di rarefazione determinano zone di temperatura diversa che interessano la termodinamica. Come sosteneva l’ingegnere statunitense Frederick Vinton Hunt, docente di fisica a Harvard dal 1953:

In ogni momento del suo sviluppo, le origini storiche dell’acustica non sono tanto da ricercarsi nella situazione in cui si trovava questa scienza all’epoca precedente, quanto piuttosto nella recente storia della matematica, della meccanica, della termodinamica e in una serie di altre discipline le quali contribuiscono, in un doppio scambio intellet-tuale, alla formazione del suo contenuto.41

La suddivisione dell’8a

Si sa che l’idea di determinare un modo per suddividere la diapason è molto antica e dibattuta. Già i Greci sentivano questa esigenza per razionalizzare la scala e soprattutto per confrontare i rapporti interni all’8a, espressi mediante le frazio-ni, secondo un metodo che prevalse decisamente fino all’inizio del Seicento. An-che Holder affronta il problema, nel quinto capitolo del Treatise, usando il comma suggerito da Mersenne e dal tedesco Kauffmann, latinizzato in Mercator, benché Zarlino considerasse incoerente e infondata l’idea che la particella servisse come unità di misura nella valutazione degli intervalli. «Mersenne trova in un’8ª poco

40 JoHn William sTruTT, barone di rayleiGH, The theory of sound, London, Macmillan, 1877-1878.41 frederick vinTon HunT, Origins in acoustics. The science of sound from antiquity to the age of

Newton, New Haven (Connecticut), Yale University Press, 1978, p. XIV.

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più di cinquantotto comma e mezzo». Invece il «giudizioso» Mercator ne calcola almeno cinquantacinque. Ma «per maggior comodità»,42 in accordo con gli ap-punti manoscritti di Newton,43 suppose che il comma fosse la cinquantatree-sima parte della diapason, poiché bastava una serie di cinquantatré 5e giuste per chiudere il ciclo con buona approssimazione.

Sembra che il primo teorico a osservare che cinquantatré 5e giuste (3/2)53 coincidono quasi esattamente con trentuno 8e (2/1)31 sia stato il cinese Jing Fang nella notte dei tempi.44 Dopo essersi esercitato nel calcolo di quello che gli Occi-dentali chiamano comma ditonico, ossia la differenza tra dodici 5e e sette 8e, Fang estese il sistema a sessanta 5e. Dopo cinquantatré passaggi il ciclo si poteva chiu-dere con una piccola inesattezza più che accettabile (177147/176776). Mercator calcolò in 353/284 il valore preciso del frammento denominato comma artificiale: comma perché si avvicina molto a quello sintonico, largamente usato all’epoca per calcolare l’intonazione; artificiale perché si tratta di una nuova unità.

Usando il comma artificiale, Holder preparò una tavola completa di tutti gli intervalli all’interno dell’8a,45 valutati sommando a se stessa l’unità di misura che corrisponde alla 53√2, un po’ più grande del comma sintonico e un po’ più pic-cola di quello pitagorico, nota come comma holderiano o semplicemente holder, poiché fu lui a divulgare questa grandezza, preferibile per una migliore intonazio-ne rispetto alla cinquantacinquesima parte dell’8a. Il comma di Mercator (55√2), il comma di Holder (53√2) e il comma sintonico (81/80), sebbene molto simili tanto che l’orecchio non li discerne, vanno considerati unità distinte perché ap-partengono a sistemi diversi, anche se in relazione tra loro.46 Perciò, quando si parla di suddivisione dell’8a, è opportuno specificare, poiché solo il comma del sistema Mercator-Holder può scindere equamente il tono in nove parti e l’8a in cinquantatré. Il semitono diatonico, composto da due note di nome differente (Do-Reb), abbraccia quattro comma, mentre il cromatico, formato da due note con lo stesso nome (Do-Do#), ne contiene cinque. Il tono maggiore degli antichi,

42 Qui a pp. 112 sgg., e in particolare a pp. 128-131.43 isaac neWTon, [Notebook on music] (1664-1666 circa), GB-Cu, add. ms. 4000, cc. 138-143.44 Jing Fang (77-37 a.C.) secondo la trascrizione pinying, Ching Fang secondo la trascrizione

Wade-Giles, usata dagli anglofoni; ernesT maclain e minG sHui HunG, Chinese cyclic tunings in late antiquity, «Ethnomusicology», XXIII, 1979, pp. 205-224. Ovvero: (3/2)53 ≈ (2/1)31 "353/253 ≈ 231 "(353/253) : 231 ≈ 231 : 231"353/253+31 = 353/284, cioè 1,938324567 x 1025/1,934281311 x 1025.

45 Qui a pp. 130-131.46 Cfr. tavola C, qui a p. 310.

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costituito da nove comma, risulta sempre dalla somma di un semitono diatonico più uno cromatico. Quindi l’8a, formata da cinque toni più due semitoni diatonici, abbraccia cinquantatré particelle (45 + 8).

Il francese Mersenne e il tedesco Mercator applicavano i logaritmi che Holder chiama in causa una volta sola.47 L’invenzione rivoluzionaria è legata alle ricer-che di due matematici: il nobile scozzese John Neper e l’inglese Henry Briggs. Nel 1614 Neper pubblicò le tavole dei logaritmi naturali, diffuse quasi subito anche dalla versione inglese,48 mentre dopo un decennio Briggs calcolò quelli decimali, più pratici dei neperiani.49 Prima dello sviluppo di questo sistema, che mette in relazione gli intervalli con la lunghezza del corpo vibrante misurato sul monocordo, i teorici che si riferivano all’intonazione temperata incorrevano in considerazioni imprecise e matematicamente lacunose. Con l’aiuto dei logaritmi, nel corso del secolo XVII, vennero elaborati diversi metodi per suddividere la diapason in parti uguali.

Bisognerà comunque attendere il XVIII secolo per valutare comunemente gli intervalli con questo sistema. L’antesignano fu lo svizzero Eulero, la cui idea esposta nel Tentamen del 1739, che all’epoca non riscosse grande successo, co-stituì il punto di partenza dei sistemi logaritmici applicati successivamente dal matematico Charles Delezenne50 o dal medico e fisico Félix Savart, da cui prende il nome l’unità che divide l’8a in trecento parti, autore di numerose riflessioni sull’acustica, pubblicate nelle «Annales de chimie et de physique» o lette all’Aca-démie des Sciences di cui era socio dal 1827.51 Ricapitolando: i logaritmi di Neper possono avere come base 107 oppure il cosiddetto numero neperiano 1/e, dove e vale circa 2,718; quelli di Briggs, più comuni e detti volgari o briggiani, sono in base dieci; quelli di Eulero sono in base due, il numero che esprime in 8e la

47 Qui a pp. 128-129.48 JoHn neper o napier deTTo neperus, Mirifici logarithmorum canonis descriptio, Edinburgh,

Andrew Hart, 1614; JoHn neper o napier deTTo neperus e edWard WriGHT, A description of the admirable table of logarithmes, with an addition of an instrumentall table to finde the part proportionall, invented by the translator and described in the ende of the booke by Henry Briggs, London, Nicholas Okeas, 1616; edizione anastatica della traduzione inglese Derby, TGR Renascent Books, 2010.

49 Henry briGGs, Arithmetica logarithmica, London, William Jones, 1624.50 Secondo cHarles deleZenne, Table de logarithmes acoustiques depuis 1 jusqu’à 1200, précédée d’une

instruction élémentaire, Lille, s.n., 1857, i comma in un’8ª sono 55,798 (55√2); la radice 55√2 (21,81 cents) è quasi equivalente al comma sintonico (21,50 cents).

51 Cfr. www.utc.fr/~tthomass/Themes/Unites/Hommes/sav/Felix%20Savart.pdf.

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grandezza di qualsiasi intervallo; quelli di Delezenne, detti acustici e fondati sul comma sintonico di Didimo (81/80), sono in base 1,0125; i savarts sono in base 1,002305238.

La questione riemerge prepotentemente nella seconda metà dell’Ottocento, grazie a due studiosi impegnati a trovare un’unità di misura espressa in numeri interi per facilitare la distinzione dei vari intervalli: Thompson52 e Bosanquet.53 Ma la loro ripartizione in cinquantatré comma è esattamente quella proposta da Mercator e da Holder. Fra l’altro Bosanquet teorizzò un’8a, suddivisa in trentuno parti uguali, che necessitava di un tasto per ogni suono, alterato o meno (bb, b, suono naturale, # , ‹).

Dob-Do-Do#-Do‹ / Rebb-Reb-Re-Re#-Re‹ / Mibb-Mib-Mi-Mi# / Fab-Fa-Fa#-Fa‹ / Solbb-Solb-Sol-Sol#-Sol‹ / Labb-Lab-La-La#-La‹ / Sibb-Sib-Si-Si#

La ripartizione proposta nel Treatise ebbe vita lunga, visto che nel 1863 Helmholtz concordava col sistema Mercator-Holder dichiarando: «Se desideria-mo costruire una scala nella più esatta intonazione che permetta infinite modu-lazioni senza dover ricorrere a cambi enarmonici, dobbiamo ricorrere alla suddi-visione dell’8a in cinquantatré parti esatte, come molto tempo addietro propose Mercator».54 Vent’anni dopo, Riemann affermava che «nel libro di Holder c’è la più antica dimostrazione fatta sulla divisione dell’8a in cinquantatré frammenti che consente la più chiara rappresentazione di tutti i rapporti musicali».55 Inoltre il musicologo tedesco riteneva che un solo sistema tonale di cinquantatré gradi bastasse a soddisfare tutte le esigenze del temperamento. Nella tabella dei valori acustici, accanto alle colonne dedicate ai vari metodi (temperato con dodici gra-di, decimale, logaritmico in base dieci e in base due), inserisce una colonna con cinquantatré partizioni.

52 THomas THompson perroneT, On the principles and practice of just intonation, with a view to the abolition of temperament, London, Effingham Wilson, 1859; quarta edizione London, Effingham Wilson, 1860.

53 roberT Holford macdoWall bosanQueT, An elementary treatise on musical intervals and temperament, London, Macmillan, 1876.

54 Hermann von HelmHolTZ, On the sensations of tone, New York, Dover, 1954, p. 328.55 HuGo riemann, Music-Lexicon, Leipzig, Bibliographische Institut, 1882; dodicesima edizione

Mainz, Schott, 1959, volume I, p. 816.

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La valutazione in cents, oggi universalmente accettata, venne proposta dal britannico Alexander John Ellis nel 1885, per determinare esattamente l’altezza dei suoni, sia della musica, sia del linguaggio parlato.56 Il cent, pari a un centesi-mo del semitono temperato, è in base 1,000577789 e divide l’8a in milleduecento frammenti uguali. Nel suo studio anche Ellis afferma che il ciclo di cinquantatré gradi, ossia quello di Mercator, è molto vicino al temperamento pitagorico.57

Il metodo Mercator-Holder, l’unico a scindere il tono in nove comma, ha ottenuto tanto successo perché si è rivelato estremamente comodo per l’insegna-mento della teoria musicale. Molti testi scolastici lo riportano ancora,58 anche se non ha mai trovato alcuna applicazione pratica, visto che esigerebbe cinquantatré note per ogni 8a. Infatti i tastieristi adottano il sistema temperato, in cui il comma non esiste; gli archi si accordano a orecchio per quinte usando il metodo pitagori-co, in cui il comma vale 531441/524288, cioè quasi 24 cents, ed è contenuto circa otto volte e mezzo in un tono temperato; i fiati e i fisici seguono l’intonazione naturale di Zarlino, il cui comma minimo o schisma vale 32805/32768, cioè più o meno due cents, ed è minore della centesima parte del tono temperato.

Dufton nel 1941 richiamò nuovamente l’attenzione sul tema, considerando il com-ma l’unità più appropriata per misurare le differenze minime, e propose l’harmonodeik, il cui nome, simile a quello del phonodeik inventato da Miller una trentina di anni prima,59 impiega la radice indoeuropea deik che denota l’azione del mostrare. L’harmo-nodeik non è altro che una figura formata da due dischi concentrici, di cui quello interno è diviso in cinquantatré parti uguali.

56 alexander JoHn ellis, On the musical scales of various nations, «Journal of the Society of Arts», XXXIII, 1885, pp. 485-527.

57 sTanley, pp. 113-114.58 Cfr. per esempio pieTro riGHini, Gli intervalli musicali e la musica. Dai sistemi antichi ai nostri

giorni, Padova, Zanibon, 1975; pieTro riGHini, Lessico di acustica e tecnica musicale. Terminologia e commento musicologico, Padova, Zanibon, 1980, s.v. Intervalli e proporzioni.

59 dayTon clarence miller, The science of musical sunds, Mew York, Macmillan, 1916.

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Dalla disposizione dei dischi, il Si risulta la nota fondamentale. Quindi la scala di Si maggiore si legge considerando le note contrassegnate dalla losanga (Si-Do#-Re#-Mi-Fa#-Sol#-La#-Si), mentre per quella di Si minore bisogna seguire i pallini dentro le figure geometriche (Si-Do#-Re-Mi-Fa#-Sol-La-Si). La differenza tra i due semitoni, cromatico e diatonico, è di un comma, anche se al diatonico corrispondono cinque comma e al cromatico quattro, invece del contrario.60

La scala

Nel corso dei secoli, diversi furono i sistemi che permisero lo sviluppo della musica occidentale, stabilendo i principi basilari e partendo sempre dal rapporto fra i suoni. Nell’antica Grecia, dove la coesistenza di generi diversi era conside-rata naturale e utile ai fini espressivi, più la proporzione era semplice, più l’inter-vallo era accettabile. Le consonanze di Pitagora erano comprese nella tetractys, ovvero tra i numeri dall’uno al quattro la cui somma è dieci, e quindi si limitavano all’unisono (1/1), all’8a (2/1), alla 5a (3/2) e alla 4a (4/3). Il filosofo di Samo co-struì la scala che porta il suo nome utilizzando due tetracordi disgiunti, separati da un tono intero (9/8) e formati da due toni grandi (9/8) e da un semitono piccolo ovvero il limma (256/243).61 Seguendo il sistema ciclico basato su rationes perfette, la progressione di dodici 5e giuste comporta un graduale allargamento degli intervalli, alterando i loro rapporti e producendo l’inaccettabile dissonanza di 3e e 6e che impedisce di eseguire accordi intonati e che destabilizza la triade. Inoltre, come affermava per esempio Daniel Pickering Walker, noto studioso del Warburg Institute,62 la gamma pitagorica, adatta alla monodia, rimane aperta perché, procedendo per 5e, non è possibile né tornare al suono di partenza né identificare enarmonicamente le note naturali con quelle alterate dai doppi diesis o dai doppi bemolli, senza contare la differenza di un comma ditonico esistente per esempio fra Do# e Reb.

Tuttavia la successione pitagorica, a differenza di quella zarliniana, sopravvive da millenni e resta alla base di ogni scala, insieme al moderno sistema temperato.

60 arTHur felix dufTon, The comma in music, «Philosophical magazine», XXXII, 1941, pp. 259-261.

61 Cfr. tavola B, qui a p. 308.62 GoZZa, p. 74.

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Con la nascita della polifonia conobbe un lento declino, per le asprezze che si verificavano eseguendo più suoni simultaneamente.

La 3a, assai crescente nel sistema pitagorico e pertanto intollerabilmente dis-sonante, diventa consonante con Archita di Taranto che reputa la 5a come la giustapposizione di una 3a maggiore (5/4) più una minore (6/5). Erano passati secoli quando Didimo – il cui trattato non è pervenuto ai posteri ma è citato da Tolomeo – suddivise il tetracordo diatonico in un tono grande (9/8), uno piccolo (10/9) e un semitono più ampio di quello pitagorico (16/15).

Aristosseno anticipò la gamma zarliniana costruendone una formata da due tetracordi disgiunti come quella pitagorica (rispettivamente [A] e [P] nello schema alla pagina seguente) semplificando i rapporti della 3a e della 6a. Ma, a differenza del metodo pitagorico, basato sui rapporti matematici derivanti dalla suddivisione del monocordo, quello induttivo di Aristosseno considerava la scala come una linea con infiniti punti dove la voce di volta in volta si poteva fermare, in base alla valutazione del gusto e dell’intelletto ma non secondo un’accordatura prefissata.

Zarlino, quando tesse la sua scala, aggiunge alla tetractys pitagorica il cinque e il sei ottenendo il senarius, «numero armonico over sonoro, contenuto nel primo numero perfetto […] nel qual numero sono contenute tutte le forme delle sem-plici consonanze possibili da ritrovarsi, atte a produr l’armonie e le melodie».63 Zarlino apportò solo una lieve modifica alla scala di Aristosseno per elaborare la sua [Z], spostando il La (da 906 a 884 cents) in modo tale che formi un tono piccolo rispetto al Sol.64 Nella scala naturale – perfezionata e divulgata nelle Istitu-zioni armoniche del 1558 – il fatto che le 3e e le 6e siano consonanti è conseguenza diretta dell’accordo perfetto e quindi del passaggio da una concezione melodica a un impianto armonico. Le differenze di 3a, 6a e 7a nelle due scale [P, Z] sono vera-mente minime, anche se in quella di Zarlino gli intervalli sono espressi mediante rapporti più semplici.

63 Zarlino, parte I, capitolo XIII, p. 61.64 francesco riZZoli, Introduzione ai fondamenti fisici della musica, Padova, Zanibon, 1990,

pp. 48-50; cfr. tavola B, qui a p. 308.

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Per costruire questa scala detta dei rapporti semplici, Zarlino si basò sull’ac-cordo perfetto maggiore, formato dai suoni corrispondenti alle prime tre propor-zioni (1/1, 5/4, 3/2) e fondato sui gradi primo (Do), quarto (Fa) e quinto (Sol) della scala.

Fa La Do 5/4 6/5 386 cents 316 cents |––––––––––––––––––––| 3/2, 702 cents Do Mi Sol 5/4 6/5 386 cents 316 cents |–––––––––––––––––––| 3/2, 702 cents

Sol Si Re 5/4 6/5 386 cents 316 cents |–––––––––––––––––––| 3/2, 702 cents

Do Re Mi Fa Sol La Si Do

[P] 1 9/8 81/64 4/3 3/2 27/16 243/128 2/1cents 0 204 408 498 702 906 1110 1200 [A] 1 9/8 5/4 4/3 3/2 27/16 15/8 2/1cents 0 204 386 498 702 906 1088 1200 (= 80/64) (= 240/128)

[Z] 1 9/8 5/4 4/3 3/2 5/3 15/8 2/1cents 0 204 386 498 702 884 1088 1200 (= 26,66/16)

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Alla base della suddivisione dell’8a, Zarlino prese il suono fondamentale e gli armonici concomitanti, fra i quali si possono trovare tutti gli intervalli possibili della scala diatonica, più facile da intonare e per questo chiamata naturale. Le con-sonanze che ne risultano «sono le più esatte sotto ogni punto di vista, musicale, fisico e matematico, e costituiscono il miglior punto di riferimento per paragoni di buona armonia».65 La scala di Zarlino, detta della giusta intonazione, è instabile come quella di Pitagora perché contiene un gran numero di consonanze perfette, incompatibili fra loro. Inoltre nella scala zarliniana, oltre al semitono cromatico (25/24 = Re-Reb = Re-Re# = 70 cents), esistono due toni: il grande 9/8 (204 cents; Do-Re, Fa-Sol, La-Si) e il piccolo 10/9 (182 cents; Re-Mi, Sol-La). Questo determina una misura maggiore e una minore per ogni intervallo, fra i quali la differenza è sempre di 22 cents ovvero di un comma sintonico che si somma agli altri tipi di comma zarliniani.66

La gamma che deriva dalle misure di Mercator-Holder appartiene alla catego-ria delle scale teoriche, originate da quelle pratiche ma uniformate internamente per semplificare le relazioni fra i gradi.

0 comma 4 5 8 9 10I——I——I——I——I——I—— I—— I——I——I——IDo Si# Reb Do# Mibb Re Do‹

| —————————––— | ———————––– | semitono cromatico semitono diatonico

L’accordatura

La scala naturale basata sui rapporti semplici sopravvive a stento fino al se-colo XVIII, perché pone due gravi problemi da risolvere per gli strumenti ad accordatura fissa (arpa, clavicembalo, organo, ecc.): innanzi tutto la differenza fra le note alterate con diesis o con bemolli, per esempio quella di 64 cents fra Do# e Reb, maggiore di un quarto di tono, che rende inaccettabile l’identificazione

65 pieTro riGHini, L’acustica per il musicista. Fondamenti fisici della musica, Padova, Zanibon, 1978, p. 77.

66 Cfr. tavola B, qui a p. 308; tavola C, qui a p. 310.

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enarmonica tra i due suoni; e poi la distanza di un comma sintonico fra il tono grande e il piccolo che complica ulteriormente la situazione. I sistemi in cui l’8a non è suddivisa in parti uguali creano difficoltà notevoli e permettono raramente la modulazione, relegata all’ambito ristretto delle tonalità vicine che hanno sei note in comune. Per costruire una scala diversa da quella di Do, oltre a modificare i suoni legati alla tonalità, se ne sarebbero dovuti alterare (di un comma) anche altri per mantenere invariata la posizione dei toni e dei semitoni. La spinosa que-stione investe l’intera musica occidentale almeno dal XV secolo, in un intreccio complesso di speculazione filosofica, proposte innovative, calcolo matematico e soluzioni pratiche.67

I liutisti, i chitarristi e in genere i suonatori di quelli che gli anglofoni defini-scono fretted instruments, potendo spostare le dita sulla corda libera lungo la tastiera del manico, dalla metà del Cinquecento hanno risolto il problema temperando secondo le necessità concrete. Ma in tutti quegli strumenti a intonazione fissa in cui non si può intervenire sul corpo vibrante, emergeva la necessità di suddivi-dere i tasti neri per i diesis e per i bemolli, accordandoli a seconda della tonalità. In Italia un rimedio venne adottato per esempio nei due organi monumentali che si fronteggiano a Bologna nella basilica di San Petronio: il più antico, in cui alcuni tasti sono spezzati per ottenere separatamente le note Mib e Re# o Sol# e Lab, è stato ultimato da Lorenzo Da Ponte nel 1475; l’altro, opera di Baldassarre Malamini, risale al 1596.

Per ovviare più comodamente alle difficoltà nate da questo genere di tastiere, si fece ricorso al temperamento del tono medio (in inglese meantone e in france-se ton moyen), basato sulla progressione pitagorica delle 5e ma tutte leggermente calanti, con un valore che cambia nei diversi sistemi di accordatura. Il più cono-sciuto e praticato, al quale il termine si riferisce quasi sempre, è il temperamento mesotonico del quarto di comma, secondo alcuni studiosi teorizzato fin dal 1523 nel fortunatissimo Toscanello del fiorentino Pietro Aaron, nel capitolo De la parti-cipazione [ossia temperamento] e modo d’accordar l’instrumenti.68 Sostituendo il tono grande (204 cents) e il piccolo (182 cents) con quello di circa 193 cents, Aaron giunge all’accordatura del tono medio e unifica i due toni, prediligendo l’inter-

67 Cfr. il vasto panorama di mark lindley, in Grove, s.v. Temperaments, con le voci collegate e con la relativa bibliografia.

68 pieTro aaron, Toscanello de la musica, Venezia, Bernardino e Matteo De Vitali, 1523; James murray barbour, Tuning and temperament. A historical survey, New York, Dover, 2004, pp. 25-44.

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vallo di 3a e servendosi del comma sintonico: l’intermedio è inferiore di mezzo comma rispetto al grande e maggiore di mezzo comma rispetto al piccolo. Due di questi nuovi toni formano esattamente una 3a maggiore naturale (5/4, cioè 193 cents + 193 cents = 386 cents).

Il temperamento mesotonico, che nel tardo Rinascimento getta le basi per la trasformazione dei modi ecclesiastici, originariamente monodici, in concomi-tanza con lo sviluppo della triade armonica, viene preso in considerazione da Zarlino, che lo ritiene una novità e lo descrive chiaramente dal punto di vista matematico,69 da Praetorius70 e da Mersenne che consigliano di accordare gli or-gani esclusivamente con questo sistema. La necessità di ottenere una 3a espressa dal rapporto 5/4, e quindi consonante, nasce dall’uso sempre maggiore dell’in-tervallo nelle composizioni polifoniche a partire dal XV secolo. A causa della mancata convertibilità delle 5e e delle 8e – dato che non esiste una potenza di due che uguagli una potenza di tre, e quindi la serie delle 5e (in rapporto 3/2) non potrà mai coincidere con quella delle 8e (in rapporto 2/1) – era possibile ottenere una 3a consonante solo ritoccando la 5a, che doveva risultare calante di un quarto di comma, e la 4a crescente di conseguenza all’interno dell’8a giusta.

Largamente diffuso e usato dagli organari inglesi fino al 1850, il temperamen-to mesotonico sostituì completamente la scala pitagorica nell’accordatura degli strumenti. Ma le esigenze esecutive legate alla tastiera, padrona del basso con-tinuo e quindi dell’intero consort, indussero i teorici e i costruttori a cercare una soluzione più adatta per gli strumenti a suono fisso, perché il sistema mesotonico non permetteva di chiudere il circolo delle 5e evitando quella chiamata «del lupo», un intervallo insopportabile e molto crescente (737 cents anziché 702). Infatti, il temperamento aveva come scopo principale la soluzione di due equazioni: otte-nere la coincidenza di una successione di 5e accettabili con 3e consonanti; oppure la coincidenza dell’8ª con una serie di 3e maggiori consonanti o di 3e minori dall’intonazione ammissibile. Il temperamento mesotonico riesce a soddisfare

69 Zarlino, pp. 264-275; Gioseffo Zarlino, Dimostrazioni armoniche divise in cinque ragionamenti, Venezia, Francesco de Franceschi, 1571, ragionamento 4, proposta 1, p. 218; ragionamento 5, definizioni 26-27, pp. 281-283.

70 micHael praeTorius, Syntagma musicum, II, De organographia, Wolfenbüttel, Elias Holwein, 1619.

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solo la prima equazione: una serie di quattro 5e formano una buona 3a (Do-Mi); ma la successione di tre 3e maggiori (Do-Si#) o di quattro 3e minori (Do-Rebb) non portano all’unisono. Inoltre la soluzione mesotonica non dirimeva il problema dell’identificazione enarmonica tra diesis e bemolli, dato che il bemolle era più alto del diesis, cioè il contrario di quanto avveniva nell’intonazione pitagorica.

Un ulteriore collegamento fra l’accordatura antica e la moderna è rappre-sentato dalla soluzione di Andreas Werckmeister,71 compositore, musicologo e organista, alla ricerca di una soluzione pratica per ovviare agli inconvenienti che scaturivano dalle precedenti accordature. Nel 1691 Werckmeister scoprì che un sistema ciclico basato sull’uso di cinque 5e calanti (mesotoniche) e sette 5e giuste (pitagoriche) chiudeva quasi perfettamente il circolo e permetteva di suonare in tutte le tonalità. Considerando la 5a un po’ più piccola (da 702 a 700 cents), si raggiunge la coincidenza delle due progressioni fra 5e e 8e, con una differenza praticamente irrilevante, come risulta già dai calcoli di Jing Fang. Werkmeister suddivide l’8ª in dodici parti uguagliando diesis e bemolli nei suoni consecutivi (per esempio Do# = Reb); il suo contributo rappresenta l’ultimo anello nell’evolu-zione verso l’accordatura moderna, cioè nel passaggio dai temperamenti definiti inequabili al temperamento equabile, o più semplicemente sistema temperato. Questo metodo, diffuso in numerose varianti soprattutto in area germanica – allora definite buone per ventiquattro scale ma oggi chiamate inequabili – com’è noto venne glorificato da Bach nel 1722 e nel 1744 coi due volumi del Wohltem-perirte Clavier.

Nel capitolo settimo del Treatise Holder affronta il problema di «accordare un organo o un clavicembalo nell’intonazione più generale e utile», ossia quella mesotonica,72 e di non doverla cambiare per ogni brano. Si serve delle 8e perfette e delle 5e calanti di circa un quarto di comma, senza offendere l’udito e senza specificare granché sulle 4e perché non sono altro che i rivolti delle 5e rispetto alle 8e. La differenza che stabilisce tra la 5a pitagorica e quella che si deve utilizzare per uno strumento a tastiera è valutata in comma, mentre oggi si parla di battimenti al secondo, in questo caso pari a 0,4 e apprezzabili soltanto da un orecchio molto raffinato. Infine Holder specifica che le 5e gravi devono essere perfette, altrimenti

71 andreas WerckmeisTer, Musikalische Temperatur, Frankfurt e Leipzig, Theodor Philipp Cal-visi, 1691.

72 Qui a pp. 224-229.

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si produce quel risultato sgradevole, per l’appunto il battimento, molto più fasti-dioso al basso che all’acuto.

La spiegazione di questo effetto ondulatorio prodotto dal rafforzamento e dall’indebolimento dell’intensità, anticipata da Sauveur nel Traité del 1697 e svi-luppata da Helmholtz nel 1863, risiede nella sovrapposizione dei suoni emessi da due fonti che dovrebbero vibrare simultaneamente alla stessa altezza ma che non sono perfettamente intonate. All’aumentare delle interferenze, si accentua la sen-sazione spiacevole, perché l’orecchio sopporta fino a cinque o sei battimenti al secondo. Se sono rari, l’effetto può essere perfino gradevole per l’udito, al giorno d’oggi assuefatto al temperamento e spesso turbato dalla consonanza perfetta. Viceversa, se si intensificano, insorge la percezione della dissonanza, tanto più aspra quanto più vicina al registro grave e ai principali rapporti consonanti.

Su invito dell’organaro Renatus Harris, John Wallis in un articolo del 1698, che affronta il problema dell’accordatura e la suddivisione dell’8a, afferma già che un temperamento equabile si rende assolutamente necessario per le tastiere e che non è più possibile pensare diversamente.73 Il moderno sistema serve per l’ap-punto a temperare ovvero a regolare la scala ai fini dell’accordatura, appiattendo però le sfumature affettive tra le diverse tonalità, consentite dall’accordatura ine-quabile.74 Questa soluzione, per così dire dodecafonica, senza privilegiare alcun intervallo (come la 5a nel sistema pitagorico o la 3a in quello zarliniano), suddivide l’8a in dodici semitoni uguali, ognuno dei quali misura 100 cents, equivale alla 53√2 (= 1,05946) ed è pari alla metà del tono temperato come ai due semitoni naturali della scala diatonica (Mi-Fa e Si-Do). Comparando i tre metodi (pitagorico, zarli-niano, temperato) si nota che solo l’intervallo di 8a è identico. La 4a (crescente da 498 a 500 cents) e la 5a (calante da 702 a 700 cents) risultano molto simili a quelle naturali, mentre le 3e e le 6e maggiori sono ben diverse, benché le approssima-zioni (di 14 o di 16 cents in più o in meno) siano ampiamente tollerate. Pertanto il sistema odierno si avvale degli armonici, aggiustando la 5a superiore alla nota di base leggermente calante rispetto a quella giusta. Vale a dire che si isola arti-ficialmente il primo suono concomitante comune alle due 5e e lo si accorda un po’ più basso rispetto all’armonico del fondamentale, in modo da ovviare alla

73 JoHn Wallis, A letter to Samuel Pepys esquire, relating to some supposed imperfections in an organ, pHil. Trans., XX, 1698, pp. 249-256.

74 Cfr. per esempio Jean JacQues rousseau, Dictionnaire de musique, Paris, Marie Antoinette Cailleau Duchesne, 1768, s.v. Tempérament.

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piccolissima discordanza nata con l’egemonia del sistema temperato. L’intensità dei battimenti che ne deriva è talmente debole che viene tranquillamente accet-tata dall’orecchio.

il «TreaTise» nel seicenTo musicale

Il Treatise costituisce il risultato migliore e più rappresentativo dell’attività di Holder. Scritto per «tutti gli appassionati di musica e […] per i gentiluomini della Cappella Reale delle loro maestà»,75 accoglie le tendenze di un secolo ormai tra-scorso, in cui la rivoluzione scientifica – grazie agli studi astronomici di Keplero, alle scoperte di Galileo, alle ricerche di Harvey sulla circolazione del sangue, al principio d’inerzia di Cartesio, agli esperimenti sulla dilatazione dei gas compiuti da Boyle con l’assistenza di Robert Hooke – aveva affossato l’idea aristotelica del mondo, generalmente approvata per due millenni. Il processo di laicizzazione in-teressa tutti i campi della cultura,76 dell’arte e dello scibile, portando allo sviluppo di quello spirito critico e razionale su cui si sarebbe basato il pensiero illuministi-co, in una concezione organica che raggiungerà l’apice grazie alla monumentale Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, l’espressione più concreta dell’unificazione delle conoscenze umane, realizzabile attraverso la ricerca empirica dove armonia della natura e sapere teorico rappresentano due facce della stessa medaglia.

Nel Seicento nasceva la teoria della scienza che riuniva in sé tutte le discipline, poiché possedeva gli strumenti necessari per scoprire il legame tra i fenomeni. Da quel momento la matematica divenne un campo irrinunciabile per Cartesio, Leibniz, Newton e per i loro seguaci che vengono considerati a buon diritto tanto pensatori quanto scienziati. Quindi non deve stupire se i filosofi hanno scritto saggi di fisica, se i matematici si sono occupati di morale, se i ricercatori (nel senso lato del termine) hanno pubblicato trattati musicali, coniugando ideale artistico, rigore e principi naturali. La statica, i cui progressi sembravano esaurirsi coi classici, e la dinamica moderna, fondata da Galileo e sviluppata in Inghilterra da Huygens o da Newton fra gli altri, appartengono alla meccanica e studiano

75 Qui a p. 13.76 Per un panorama generale, cfr. benJamin WardHauGH, Music, experiment and mathematics in

England (1653-1705), Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2008.

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rispettivamente l’equilibrio e il movimento delle masse. Quindi la teoria del moto, uno dei primi aspetti della fisica greca a essere messo in discussione, costituisce il punto di riferimento di gran parte dei pensatori nel Seicento.

Alla luce di una concezione del sapere così razionale, dalla fine del secolo XVII all’inizio del XVIII si assiste alla fondazione di numerose accademie, sorte allo scopo di approfondire, diffondere e condividere le tendenze innovative. Vi presero parte studiosi di varie discipline, per coordinare la sperimentazione e per confrontare le proprie ricerche. Dopo la Deutsche Akademie der Naturforscher Leopoldina del 1652 e dopo la Royal Society del 1660, si istituisce la parigina Académie Royale des Sciences, protetta da Luigi XIV e dal ministro Jean Baptiste Colbert dal 1666. Nel 1710 spunta a Berlino la Societas Regia Scientiarum, pro-mossa e presieduta da Leibniz, ben noto per il calcolo delle derivate e degli inte-grali. Nel 1724, per volontà dello zar Pietro I Romanov detto il Grande, prende vita l’Accademia Imperiale delle Scienze a San Pietroburgo. A Roma già nel 1603 era nata la consorteria dei Lincei, tuttora vivace, mentre quella fiorentina del Ci-mento, sbocciata all’ombra di Galileo, durò soltanto un decennio dal 1657 al 1667 ma fornì un contributo formidabile allo sviluppo della ricerca empirica.

Fra le accademie del secondo Seicento, la Royal Society londinese occupa un posto di primo piano, allora come ora, grazie ai nomi prestigiosi dei partecipanti e al consistente numero di pubblicazioni. L’avventura cominciò quando Robert Boyle, di ritorno da un viaggio di studi in Italia nel 1645, pensò di riunire infor-malmente nel cosiddetto Invisible College una dozzina di filosofi, matematici, fi-sici e naturalisti. Nel 1660, con l’avvento della Restaurazione, quando gli incontri ottennero il riconoscimento ufficiale di Carlo II, nacque la Royal Society for the Advancement of Learning, il cui primo segretario fu John Wilkins, teologo, pre-lato anglicano e secondo marito di Robina Cromwell, la più giovane tra le sorelle di Oliver. I primi fellows scelsero il motto oraziano nullius in verba,77 a conferma della volontà di spiegare la realtà in modo oggettivo, senza l’influsso dell’auctoritas politica o religiosa. Durante gli incontri dei soci, che si svolgevano al Gresham College, si avviavano dibattiti e ricerche varie, compresi gli esperimenti acustici ai quali prendeva parte anche Holder.

77 oraZio, Epistole, I, 1, 14-15: «Nullius addictus iurare in verba magistri, / quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes»; ‘non essendo obbligato a giurare sulla parola di nessun precettore, dovunque il vento mi porti giungerò come un ospite’.

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Strumento indispensabile per i lavori del sodalizio era la corrispondenza fra gli inglesi e i colleghi europei che scambiavano impressioni su traduzioni, com-menti dei classici, scoperte, invenzioni e nuove ipotesi. Recensioni e dissertazioni uscivano nei «Philosophical transactions», un periodico tuttora attivo e prestigio-so dopo trecentocinquant’anni. Per esempio, la rivista diffonde un’opera di Nar-cissus Marsh, vescovo di Ferns e di Leighlin, che contiene alcune proposte per l’avanzamento dell’acustica.78 Ospita inoltre un’ampia presentazione del Treatise di Holder,79 destinato ai membri della società stessa, e annuncia molti saggi di ar-chitettura, di matematica e di fisica. Numerosi affiliati, pur non essendo musicisti ma spesso dilettanti, pubblicarono diversi trattati sull’argomento. Fra questi spic-ca una traduzione del Compendium di Cartesio attribuita al visconte Brouncker,80 primo presidente della Royal Society, che non risparmia le critiche all’originale e formula l’ipotesi per un nuovo metodo di accordatura temperata. Naturalmente la Royal Society promosse l’edizione di studi basilari, tra cui Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton nel 1687.

Invece l’adespoto Philosophical essay on musick del 1677,81 da non confondere con quello di William Turner, vissuto nella prima metà del XVIII secolo,82 si può ascrivere al giurista Francis North che non divenne mai fellow della gloriosa consorteria londinese. L’autore invita un amico a compiere gli esperimenti neces-sari per convalidare le ipotesi contenute nel saggio. Siccome Holder frequentava North, un’ipotesi vuole che il misterioso friend sia proprio lui. Anche se Roger North, fratello di Francis, accusò William di astrusità e soprattutto di plagio, in realtà il Treatise e il Philosophical essay presentano molte e sostanziali divergenze.

78 narcissus marsH, Introductory essay to the doctrine of sounds, pHil. Trans., XIV, 1684, pp. 472-488.79 pHil. Trans., XVIII, 1694, pp. 67-76.80 rené descarTes deTTo carTesio [e William brouncker], Exellent compendium of musick, with

animadversions thereupon by a person of honour, London, Thomas Harper per Humfrey Mosely, 1653.81 francis norTH, barone di Guilford, A philosophical essay on musick directed to a friend, London,

John Martyn, 1677; pHil. Trans., XI, 1677, pp. 835-838; sTanley, pp. 157 sgg.; Jamie croy kassler, The beginnings of the modern philosophy of music in England. Francis North’s «A philosophical essay on musick» (1677) with comments of Isaac Newton, Roger North and in the «Philosophical transactions», Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2004.

82 William Turner, Sound anatomiz’d in a philosophical essay on musick, to which is added a discourse concerning the abuse of musick, London, William Pearsons per l’autore, 1724; altre edizioni col titolo A philosophical essay on musick, London, John Walsh, [1740]; London, John Walsh, 1749; Grove, s.v. William Turner (III).

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Partendo dall’impostazione consueta sui fenomeni generali del suono, Francis North giunge all’ipotesi che l’aria sia formata da minuscoli corpi di varie dimen-sioni e specie, fra cui solo quelli più piccoli passano attraverso i solidi. Inoltre dà molta importanza all’analisi degli strumenti, in particolare alla struttura delle canne dei fiati e alla modalità di vibrazione del fluido interno. Prende in consi-derazione anche l’assetto dei teatri consigliato da Vitruvio nel De architectura, il tutto esposto in modo conciso, senza disegni o diagrammi esplicativi. Infine per North la consonanza principale è la 5a, mentre Holder parte dall’8a. Comunque l’opera, che contiene riflessioni sugli intervalli e sulle frequenze dei suoni conso-nanti, costituisce un tentativo di discussione sull’armonia, conforme allo spirito scientifico dell’epoca.

L’assenza o quasi di trattati anglosassoni importanti, dalla fine del Quattro-cento all’ultimo Cinquecento, permise uno sviluppo originale. A questa presenza esigua, nelle dissertazioni britanniche dell’epoca si associa la discontinuità coi predecessori, confermata dalla scarsa attenzione per i modi greci, per la mano guidoniana e per le solite classificazioni della musica, argomenti costanti nella speculazione continentale ma non sempre oggetto di indagine per i teorici al-bionesi. Al contrario, la consistente produzione dei saggi comparsi a Londra fra il 1584 e il 1725 testimonia la volontà di rendere accessibile al vasto pubblico un’arte che altrimenti sarebbe rimasta elitaria. Si cimentano nell’impresa studen-ti irlandesi ventenni iscritti a Oxford come Bathe,83 organisti come Bevin,84 sa-cerdoti come Butler (storico della lingua e apicultore nonché artefice di curiosi esperimenti sul ronzio e sull’ordinamento sociale degli insetti melliferi),85 editori librai come Playford,86 suonatori di viola come Simpson,87 semplici appassio-

83 William baTHe, A brief introduction to the true art of musicke, London, Abell Jeffes, 1584, perduto ma oggi conservato in GB-A da una copia ms. secentesca; edizione moderna, a cura di Cecil Hill, Colorado Springs (Colorado), Colorado College Music Press, 1979.

84 elWay bevin, A briefe and short instruction of the art of musicke, London, Robert Young, 1631; edizione moderna, a cura di Denis Collins, Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2007.

85 cHarles buTler, The feminine monarchie or A treatise concerning bees and the due ordering of bees, Oxford, Joseph Barnes, 1609; cHarles buTler, The principles of musick in singing and setting, with the twofold use thereof, ecclesiasticall and civil, London, John Haviland per l’autore, 1636.

86 JoHn playford, A breefe introduction to the skill of musick, London, l’autore, [1654].87 cHrisTopHer simpson, The principles of practicle musick either in singing or playing upon an instrument,

London, William Godbid per Henry Brome, 1665.

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nati come il clergyman Thomas Salmon88 e insegnanti come La Fond.89

Una delle principali innovazioni apportate dagli inglesi riguarda la sempli-ficazione pratica del pensare e del fare musica, un’esigenza nata dal consumo amatoriale che nel secolo XVII dominava un paese in cui la professione era meno conosciuta che altrove. Ma la complessità della solmisazione, delle chiavi, dei se-gni mensurali e dei modi ostacolava anche l’attività privata. Per quanto riguarda i nomi delle note, le sette sillabe odierne, accanto al sistema mobile di sei che non comprende il Si, sono già presenti in una redazione seriore dell’Introduction di William Bathe, uscita nel 1596,90 mentre si avanzava l’idea di cantare addirittura le lettere dell’alfabeto. A proposito delle chiavi, Salmon propose di adottarne una sola con le indicazioni per il registro (basso, medio, alto).

Un altro esempio, che denota il progresso della teoria anglosassone – e ger-manica – rispetto a quella del resto d’Europa, è l’affermazione della dualità mo-dale. John Cooper nei Rules how to compose, manoscritti e terminati entro il 1617, comprese che i modi si riducevano praticamente a due. Nel frattempo il tedesco Lippius,91 partendo dalla trias harmonica, aveva già suddiviso a metà le sei coppie di scale, autentiche e plagali, in base al tipo di accordo: maggiore nello ionico, nel lidio e nel misolidio; minore nel dorico, nel frigio e nell’eolico. Verso la fine del secolo, quando numerosi teorici arrivarono a questa conclusione, gli inglesi avevano già notato la relazione fra Do maggiore e La minore, mentre quei loro colleghi che pure ammettevano la bimodalità accoppiavano ancora il Do maggio-re al Re dorico.

Infatti il contributo più determinante è dato dalla conquista progressiva della tonalità moderna. Mentre gran parte degli studiosi continentali si ingegnava a mettere in pratica le otto scale ecclesiastiche oppure le dodici di Glareano, gli

88 THomas salmon, An essay to the advancement of musick, London, John Macock per John Carr, 1672; edizione moderna di THomas salmon, Writings on music, a cura di Benjamin Wardhaugh, Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2013.

89 Jean françois o JoHn francis de la fond, A new system of music, both theoretical and practical and not yet mathematical, London, l’autore, 1725.

90 William baTHe, A brief introduction to the skill of song, concerning the practice, London, Thomas Este, 1596; edizione moderna, a cura di Bernard Rainbow, Kilkenny, Boethius Press, 1982; edizione moderna, a cura di Kevin Karnes, Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2005.

91 JoHannes lippius, Synopsis musicae novae, Strassburg, Paul Ledertz, 1612; traduzione inglese, a cura di Benito Rivera, Synopsis of new music, Colorado Springs (Colorado), Colorado College Music Press, 1977.

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inglesi superavano il concetto obsoleto attraverso una mescolanza indipendente di elementi modali e tonali, per cui è stato coniato il termine «monale».92 Già nel 1597, in A plaine and easie introduction di Thomas Morley, il maestro spiega al disce-polo che lo sbaglio del suo esercizio sta nel fatto di essere uscito di tono nella par-te finale, inciampando in «uno dei più grossi errori che si possano commettere».93 Secondo il medico musicista Thomas Campion, che propone il basso invece del tenor come punto di partenza per la composizione a quattro voci,94 una sola tona-lità «guida e chiude l’intero canto».95 Le sue regole, così come sono state formula-te e applicate, furono le prime in questo settore, ben lontane da quelle dei teorici continentali fra cui Zarlino e Ornithoparcus, tradotto a Londra dal celebre liutista John Dowland nel 1609, quasi un secolo dopo la princeps.96

Nel Seicento le due branche della teoria musicale inglese – la pratica, do-minante per l’intero secolo, e la speculativa che emerge nella seconda metà – appaiono decisamente progressiste. Queste innovazioni erano possibili perché i teorici anglofoni, svincolati non solo dalla tradizione medievale e rinascimentale ma anche dalle correnti del coevo pensiero europeo, ebbero modo di sviluppare concetti nuovi.

In questo clima, il Treatise di Holder conquistò immediatamente larghi con-sensi da parte di teorici, storici della musica e studiosi in generale (lo confermano le tre edizioni più la versione manoscritta), per la profondità dell’analisi compiuta nel campo della fisica del suono, per la completezza ma soprattutto per la chia-rezza nel descrivere concetti non immediatamente comprensibili: la teoria greca, le leggi del pendolo, la consonanza e la dissonanza. Siccome Holder voleva che

92 roberT William WienpaHl, English theorists and evolving tonality, «Music and letters», XXXVI, 1955, pp. 377-393.

93 THomas morley, A plaine and easie introduction to practicall musicke, London, Dent, 1952, p. 249; prima edizione London, Peter Short, 1597.

94 THomas campion, A new way of making fowre parts in counterpoint, by a most familiar and infallible rule, London, Thomas Snodham per John Browne, [1610]; edizione moderna, a cura di Christopher Wilson, Farnham e Burlington (Vermont), Ashgate, 2003.

95 WalTer aTcHerson, Key and mode in seventeenth century music theory, «Journal of music theory», XVII, 1973, pp. 226-227.

96 andreas orniTHoparcus, Musicae activae micrologus, Leipzig, l’autore, 1517; andreas orniTHoparcus e JoHn doWland, Micrologus or Introduction containing the art of singing, London, [Thomas Snodham] per Thomas Adams, 1609; edizione moderna della traduzione, a cura di Gustave Reese e Steven Ledbetter, New York, Dover, 1973.

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il suo lavoro venisse largamente compreso, usò termini accessibili, semplificò le idee complesse, moltiplicò gli esempi e ribadì più volte gli stessi argomenti pro-ponendoli con parole diverse, sempre e comunque svincolate dagli aspetti pro-blematici. Naturalmente il trattato si distinse per l’importanza che l’autore diede alla matematica, strumento indispensabile per affrontare i fondamenti fisici della musica, in un periodo in cui non era ancora ben chiara l’applicazione pratica di questa scienza. Inoltre, siccome all’epoca lo studio dei numeri, così come quello dei suoni, non era al primo posto nei programmi del Pembroke College di Cam-bridge, Holder offrì un notevole contributo allo sviluppo del sapere nell’ultimo scorcio del Seicento.97

Nel 1721 Alexander Malcolm pubblicò un compendio, erudito e pregevole secondo i contemporanei, rendendo conto dei principali concetti che avevano segnato lo sviluppo della teoria musicale nei secoli, con particolare attenzione alla fisica.98 Stando a quanto afferma l’autore stesso che cita varie pagine dal testo di William, compreso il passo in cui descrive l’esperienza con un orologio per spiegare la consonanza e la dissonanza,99 i suoi principi armonici si basano sulla spiegazione holderiana dell’altezza delle note in funzione della frequenza delle vibrazioni.

Nel XVIII secolo i due maggiori storici inglesi della musica dedicarono am-pio spazio al Treatise. Hawkins, che cita Holder in vari capitoli della sua General history, lo considera un profondo conoscitore della dottrina, oltre che un buon interprete, e ritiene che il saggio sia scritto con grande cura, senza confusione terminologica ma con argomentazioni che ogni musicista dovrebbe possedere e discernere a fondo. Si sofferma a lungo sulla descrizione dei vari capitoli e sul loro contenuto. Inoltre, nel paragrafo dedicato a Malcolm, riporta un intero passo della sezione quinta del trattato che si intitola Of proportion and applyed to harmony.100 Burney elenca gli argomenti principali, sottolineando che vengono «trattati e spiegati con chiarezza, così abilmente che questo libro può essere letto con utilità e piacere dalla maggior parte degli esecutori, anche se poco esperti di

97 sTanley, pp. 39-40. 98 alexander malcolm, A treatise of musick, speculative, practical and historical, Edinburgh, l’autore,

1721; edizione moderna London, Travis ed Emery Music Bookshop, 2008; sTanley, p. 172. 99 Qui a pp. 20-21, 62-63.100 Qui a pp. 112-151; HaWkins, volume I, libro III, capitolo XXIV, pp. 115-117; volume II, libro

XVI, capitolo CLVII, pp. 760-761; volume II, libro XIX, capitolo II, p. 838; cfr. nota 89, qui a p. 113.

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geometria, di matematica o di filosofia». E insiste: «La teoria del suono è capita e illustrata così bene attraverso gli scritti di Galileo, Mersenne, Holder, Smith e molti altri».101 Citando questo personaggio dal cognome tutt’altro che originale, probabilmente Burney si riferisce al matematico Robert Smith, nato nel 1669, fellow della Royal Society dal 1719 e morto nel 1768.102

Nell’Ottocento Pietro Lichtenthal inserisce il Treatise nel capitolo del Diziona-rio dedicato alla Letteratura della dottrina dell’armonia, affermando che «appartiene alle buone opere di questa specie»,103 mentre Fétis lo considera uno dei risultati migliori sull’argomento.104 Più di recente secondo la classificazione proposta da Bukofzer,105 forse memore della suddivisione classica, si può ascrivere il lavoro di Holder alla sfera theorica, distinta dalla poetica e dalla practica. La disciplina spe-culativa costituirebbe il livello culturale più alto, soprattutto nell’età barocca, in cui l’Harmonie universelle di Mersenne e la Musurgia universalis di Kircher, diffusa anche in tedesco una dozzina di anni dopo la versione latina,106 rappresentano un punto di riferimento, preceduto dall’attività secolare di altri pensatori europei, fra cui l’umanista svizzero Glareano, il veneziano Zarlino, lo spagnolo Francisco de Salinas o Domenico Pietro Cerone, per citare soltanto i più noti.

Gli studi più disparati sui rapporti fra consonanza e dissonanza stanno alla base di tutta l’indagine musicale della cultura europea. Fra le prime teorie formu-late nell’età moderna sulla fusione dei principi della meccanica con la percezione sensoriale, quella del matematico Giovanni Battista Benedetti – nato nel 1530 e morto nel 1590 – si basava sul legame degli intervalli piacevoli col periodo rego-lare delle «percosse» causate nell’aria dal moto del corpo vibrante.107 Per spiegare

101 burney, volume II, p. 477.102 roberT smiTH, Harmonics or The philosophy of musical sounds, London, John Bentham per

William Thurlbourn, 1749.103 pieTro licHTenTHal, Dizionario e bibliografia della musica, Milano, Antonio Fontana, 1826,

volume IV, p. 220.104 féTis, volume V, p. 189.105 manfred bukofZer, La musica barocca, a cura di Oddo Piero Bertini, Paolo Isotta e Maurizio

Papini, Milano, Rusconi, 1982, pp. 558 sgg.; prima edizione Music in the Baroque era, from Monteverdi to Bach, New York, Norton, 1947.

106 aTHanasius kircHer e andreas HirscH, Philosophischer Extract und Auszug Athanasii Kircheri von Fulda «Musurgia universalis», Schwäbisch Hall, Hans Reinhard Laidigen, 1662.

107 Giovanni baTTisTa benedeTTi, Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber, Torino, Nicola Bevilacqua, 1585; GoZZa, pp. 35-36.

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la questione, Holder difende la teoria aristossenica, secondo la quale il «giudi-zio dell’orecchio» è l’unico responsabile per determinare la differenza:108 quindi prima di tutto ci si occupa della classificazione estetica degli intervalli (gradevoli o sgradevoli) e solo dopo si studiano i rapporti matematici che stanno alla base delle consonanze e delle dissonanze. Senza tradire la sua fiducia nei numeri, cerca di sintetizzare i due aspetti del pensiero boeziano, ratio e sensus, cioè il lato mate-matico e quello artistico legato alla concinnitas e alla sentenza finale del gusto. Così fin dall’introduzione del Treatise,109 precisione pitagorica e musicalità aristossenica formano la scienza dei suoni, alla quale partecipano discipline di natura diversa.

Ancor oggi l’acustica musicale viene considerata come l’unione dell’aspetto fisico meccanico e di quello fisiologico, secondo quanto corrisponde all’imposta-zione di Holder che, pur affermando come fine principale l’indagine sulle cause naturali della percezione sonora, non sottovaluta l’importanza dei sensi. Anche se non dedica nessun capitolo all’argomento, il Treatise manifesta l’interesse per la soggettività illustrando l’accordatura degli strumenti a tastiera o la produzione dei suoni che piacciono all’udito, grazie alle vibrazioni regolari. L’apprezzamento degli intervalla concinna, valutati come gradevoli e derivati dalla sottrazione del-le consonanze dall’8ª, non esclude l’aggiunta di qualche salsa digestiva, di un «condimento» giudizioso o di una «spruzzatina» dissonante, pur sempre accetta-bili per amore della varietas.110 Holder affida un ruolo importante alla sensibilità dell’ascoltatore anche quando parla della misurazione del «sistema di diapason»,111 ossia delle proporzioni che formano la successione naturale della scala diatonica, e quando sottolinea l’opposizione fra le tonalità maggiori «vivaci e brillanti», che «aprono gli animi e li destano alla galanteria e alla magnanimità», e quelle minori che invece li «contraggono e [li] deprimono», provocando «tristezza e malinco-nia». Ma una giudiziosa «mescolanza […] dolcemente» li calma e li «dispone in uno stato intermedio».112

Nell’Inghilterra del Seicento numerosi trattati, che si distinguono tra loro sol-tanto per qualche particolare, appaiono molto diversi rispetto a quello di Holder. I teorici dell’epoca si occupavano per lo più di contrappunto, di armonia o di

108 Qui a p. 69.109 Qui a pp. 12-13.110 Qui a pp. 89, 97, 215.111 Qui a p. 91.112 Qui a pp. 247, 249.

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basso continuo e suggerivano le regole per la composizione, tralasciando i princi-pi matematici legati all’intonazione e partecipando marginalmente al dibattito sul bipolarismo maggiore/minore o sulla definitiva conferma della tonalità moderna. Invece Holder non ha scritto un prontuario educativo ma ha affrontato questioni estetiche e scientifiche, in quanto direttamente legate ai fenomeni musicali. Del resto il professore di teologia non era in grado di insegnare l’arte di ben compor-re o la tecnica strumentale, lontane dal suo «proposito» e dalle sue competenze,113 mentre poteva cimentarsi in altri campi del sapere, tanto che vari aspetti del Tre-atise sono stati ripresi dai posteri, come l’insistenza sulle oscillazioni pendolari studiate da Galileo in poi, l’analogia tra le onde dell’aria e dell’acqua, la simpatia delle corde, il confine tra consonanza e dissonanza, stabilito dall’orecchio e non soltanto dai numeri. Probabilmente proprio la richiesta di manuali e di trattati sul basso figurato – dovuta alla pratica amatoriale del Seicento inglese – eclissò gli aspetti teorici del lavoro di Holder, talora considerato troppo all’antica. Ma pochi prima di lui dedicarono un intero volume ai problemi dibattuti nel Treatise che proprio per questo segna una nota di carattere innovativo nel più ampio contesto della teoria musicale europea.

Secondo l’olandese Floris Cohen, storico della scienza, tre sono i tipi di ap-proccio al problema: matematico, sperimentale e meccanicistico. Il primo risale a Pitagora, per cui le consonanze sono espresse da rationes che si servono dei quattro numeri interi compresi nella tetractys; il secondo è legato al nome di Ga-lileo che dimostra il nesso tra l’altezza e la frequenza delle vibrazioni; infine il terzo rientra nella concezione cartesiana del suono.114 Se il Treatise rappresenta una lucida sintesi fra l’applicazione della filosofia meccanicistica e la percezione sensoriale, questo è dovuto soprattutto all’ambiente culturale della Royal Society a cui è destinato il testo, scientifico sì ma allo stesso tempo divulgativo e facile da comprendere perché indirizzato a fruitori colti, quale strumento per una for-mazione di base, come l’autore sottolinea più volte nel corso dell’esposizione, invitando il lettore a divertirsi esercitandosi coi numeri. Holder non intendeva approfondire tutti i problemi concernenti la musica. Ma la scelta accurata dei temi e la loro successione logica gli permisero di affrontare le questioni in modo preciso e di renderle accessibili anche ai meno esperti, certamente anglofoni ma

113 Qui a p. 99.114 GoZZa, pp. 45-55.

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«a digiuno di […] latino e [di] altre lingue straniere»115 come il francese e soprat-tutto il greco.

Benché la posizione di Holder attenda ancora di essere definita completa-mente, le sue idee esercitarono un notevole influsso sulle indagini scientifiche e rappresentarono un valido contributo alla rinascita della teoria musicale inglese dopo un lungo periodo di stasi. Stanley afferma:

In questa età della ragione il trattato di Holder è di estrema importanza ed è forse il primo grande studio di acustica scritto da un competente matematico ed esperto musicista. Il lavoro è uno straordinario contributo che va a colmare la lacuna della letteratura riguardante la scienza, la matematica e la fisica della musica.116

115 Qui a p. 99.116 sTanley, p. 183.

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Tavole

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* La 3ª maggiore 5/4 è da Holder denominata «ditone» secondo la scala zarliniana (386 cents), cioè un tono maggiore 9/8 più un tono minore 10/9. Per la scala pitagorica invece, il ditono è un po’ più grande dell’intervallo di 3ª maggiore, espresso dal rapporto 81/64 (408 cents), ed è la somma di due toni maggiori in rapporto 9/8; cfr. tavola B, qui a p. 308.

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Tavola a

Gli inTervalli Holderiani all’inTerno dell’8a

intervalli rapporto holders cents nomenclatura holderiana

schisma 32805/32768 2

comma minore 2048/2025 20

comma 81/80 1 23 comma maggiore, schisma

comma ditonico 531441/524288 24

comma grande di Zarlino o diesis

128/125 2 42 diesis enarmonica, diesis minore

semitono subminimo 250/243 48

quarto di tono 25847/25097 51 diesis enarmonica o quadrantale

semitono minimo 648/625 64

terzo di tono 12987/12487 68 diesis trientale, diesis cromatica

semitono cromatico minore

25/24 3 70semitono minore, diesis cromatica, diesis maggiore

semitono pitagorico 256/243 4 90 limma

semitono cromatico maggiore

135/128 4 92 semitono medio

semitono diatonico maggiore

16/15 5 112semitono più grande, semitono maggiore, 2a minore, 2a minima

semitono cromatico 2187/2048 5 114 apotome

semitono massimo 27/25 6 134 semitono massimo

tono minore 10/9 8 182 tono piccolo, 2a minore

tono maggiore 9/8 9 204 tono grande, 2a maggiore

3a minore 6/5 14 316 sesquitono, trisemitono, semiditono

3a maggiore 5/4 17 386 ditono*

4a giusta 4/3 22 498 diatessaron, tetracordo

4a falsa 45/32 26 590 tritono

5a falsa 64/45 27 610 semidiapente

5a giusta 3/2 31 702 diapente, pentacordo

6a minore 8/5 36 814 esacordo minore

6a maggiore 5/3 39 884 esacordo maggiore

7a minore 9/5 45 1018 eptacordo minore

7a maggiore 15/8 48 1088 eptacordo maggiore

8a giusta 2/1 53 1200 diapason

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310

Tavola c

Gli inTervalli all’inTerno del Tono

nome rapporto cents

comma minimo (di Zarlino) o schisma (differenza tra comma ditonico e comma sintonico) 32805/32768 2

comma minore 2048/2025 20comma sintonico (di Didimo e Zarlino) o comma maggiore(differenza tra tono maggiore e tono minore)

81/80 22

comma artificiale (di mercator-Holder) 53√2 23 comma ditonico (di Pitagora) o comma greco(differenza tra apotome e limma) (Do-Si#; Reb-Do#)

531441/524288 24

comma grande (di Zarlino) o diesis (Do#-Reb)

128/125 42

semitono subminimo 250/243 48diesis enarmonica (o quadrantale) o quarto di tono 25847/25097 51semitono minimo 648/625 63diesis cromatica (o trientale) o terzo di tono 12987/12487 68semitono cromatico minore(Do-Do# ; Mib-Mi)

25/24 70

semitono diatonico pitagorico (o limma) o 2a minore diatonica (Do-Reb; Re#-Mi)

256/243 90

semitono cromatico maggiore (limma minus di Zarlino) 135/128 92semitono temperato (Do-Do#/Reb)

12√2 100

semitono aristossenico o semitono greco 35/33 102

semitono diatonico maggiore (Re#-Mi) 16/15 112

semitono cromatico pitagorico (o apotome) o 2a minore cromatica (Do-Do#; Mib-Mi)

2187/2048 114

semitono massimo (limma maius di Zarlino) o 2a minore diatonica (Do-Reb)

27/25 134

tono minore (di Didimo e Zarlino) o tono piccolo(Re-Mi)

10/9 182

tono temperato (Do-Re)

rapporto non esprimibile data la natura del sistema

200

tono maggiore (di Pitagora) o tono grande(Do-Re)

9/8 204

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311

0 25 50 75 100 125 150 175 200 225

tono maggiore

TONO TEMPERATO

tono minore

semitono massimo

semitono cromatico

semitono maggiore

semitono aristossenico

SEMITONO TEMPERATO

semitono medio

semitono diatonico

semitono minore

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semitono minimo

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comma ditonico

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comma minimo

cents

comma minimo

comma minore

comma sintonico

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comma ditonico

comma grande

semitono subminimo

diesis enarmonica

semitono minimo

diesis cromatica

semitono minore

semitono diatonico

semitono maggiore

SEMITONO TEMPERATO

semitono aristossenico

semitono maggiore

semitono cromatico

semitono massimo

tono minore

TONO TEMPERATO

tono maggiore

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312

Tavola d

cronoloGia delle opere ciTaTe

La lista comprende opere, saggi, studi e traduzioni elaborati fino al 1772, quando compare l’ultimo tomo dell’Encyclopédie. Per le fonti classiche perdute o frammentarie, si indicano gli estremi di nascita e di morte degli autori. Altrettanto dicasi per Platone e per Aristotele che hanno distribuito le loro teorie musicali in numerosi capolavori. Per i moderni si forniscono la data del manoscritto o della princeps, con l’eventuale redazione aggiornata e col luogo di stampa che restituisce, sia pure in parte, la circolazione e la geografia del pensiero europeo. Matematici, astronomi, biologi e fisici come Leibniz, Keplero, Harvey, Boyle e Newton, pietre miliari del sapere occidentale, benché citati di sfuggita nel volume entrano in questo elenco, anche se non sono certo ricordati per le loro speculazioni sull’acustica. Le righe vuote evidenziano la posizione del Treatise di Holder nel 1694.

Pitagora, prima metà del VI secolo a.C.Damone di Atene, V secolo a.C.Platone, circa 429-347 a.C.Aristotele, 384-322 a.C.Archita di Taranto, prima metà del IV secolo a.C.Aristosseno di Taranto, Harmonika stoicheia (Elementa harmonica), IV secolo a.C.Euclide, Katatome kanonos (Sectio canonis), IV-III secolo a.C.Euclide, Stoicheia (Elementa), IV-III secolo a.C.Crisippo di Soli, 280-205 a.C. circa.Cleonide o Euclide, Eisagoge harmonike (Introductio harmonica), III secolo a.C.-IV secolo d.C.Jing Fang o Ching Fang, 77-37 a.C.Dionigi di Alicarnasso, 60-7 a.C. circa.Didimo Musico, seconda metà del I secolo a.C.Marco Vitruvio Pollione, De architectura, 29-23 a.C. circa.Nicomaco di Gerasa, Harmonikon encheiridion (Harmonices manuale), I-II secolo d.C.Claudio Tolomeo, Harmonikon biblia (Harmonicorum libri), metà del II secolo.Aristide Quintiliano, Peri mousikes (De musica), post I, ante IV secolo.Bacchio Seniore, Eisagoge technes mousikes (Introductio artis musicae), III-IV secolo.Gaudenzio, Harmonike eisagoge (Introductio harmonica), III-IV secolo.Alipio, Eisagoge mousike (Introductio musica), IV secolo.Marziano Capella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, prima metà del V secolo.Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, De institutione musica, 500-507 circa.Anonimo, Musica enchiriadis, 860 circa.Guido d’Arezzo, Micrologus, 1030 circa.Hermann der Lahme detto Ermanno il Contratto, De musica, XI secolo.Johannes Tinctoris, Liber de arte contrapuncti, ms., 1477.

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313

Leonardo da Vinci, Disegno di un pendolo, ms., 1490-1499 circa.Franchino Gaffurio o Gaforius, Theorica musicae, Milano, 1492.Johannes Tinctoris, Terminorum musicae diffinitorium, Treviso, 1494 circa (ma scritto nel 1473 circa).Franchino Gaffurio o Gaforius, Practica musicae, Milano, 1496.Cleonide e Giorgio Valla, Harmonicum introductorium (Introductio harmonica), Venezia, 1497.Andreas Ornithoparcus, Musicae activae micrologus, Lipsia, 1517.Pietro Aaron, Toscanello de la musica, Venezia, 1523.Heinrich Glarean detto Glareano, Dodecachordon, Basilea, 1547.Gioseffo Zarlino, Istituzioni armoniche, Venezia, 1558.Gioseffo Zarlino, Dimostrazioni armoniche divise in cinque ragionamenti, Venezia, 1571.Francisco de Salinas, De musica libri septem, Salamanca, 1577.Vincenzo Galilei, Dialogo della musica antica e della moderna, Firenze, 1581.William Bathe, A brief introduction to the true art of musicke, Londra, 1584.Giovanni Battista Benedetti, Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber, Torino, 1585.Lodovico Zacconi, Prattica di musica, utile e necessaria sì al compositore per comporre i canti suoi regolatamente,

sì anco al cantore, Venezia, 1592.William Bathe, A brief introduction to the skill of song, concerning the practice, Londra, 1596.Johann von Kepler detto Keplero, Mysterium cosmographicum, Tubinga, 1597.Thomas Morley, A plaine and easie introduction to practicall musicke, Londra, 1597.Charles Butler, The feminine monarchie or A treatise concerning bees and the due ordering of bees, Oxford, 1609.Andreas Ornithoparcus e John Dowland, Micrologus or Introduction containing the art of singing, Londra, 1609.Thomas Campion, A new way of making fowre parts in counterpoint, by a most familiar and infallible rule,

Londra, 1610.Johannes Lippius, Synopsis musicae novae, Strasburgo, 1612.Domenico Pietro Cerone, El melopeo y maestro, tractado de música teórica y prática, Napoli, 1613.John Neper o Napier detto Neperus, Mirifici logarithmorum canonis descriptio, Edimburgo, 1614.John Neper o Napier detto Neperus e Edward Wright, A description of the admirable table of logarithmes,

with an addition of an instrumentall table to finde the part proportionall, invented by the translator and described in the ende of the booke by Henry Briggs, Londra, 1616.

John Cooper detto Coprario o Coperario, Rules how to compose, ms., ante 1617.Michael Praetorius, Syntagma musicum, II, De organographia, Wolfenbüttel, 1619. Henry Briggs, Arithmetica logarithmica, Londra, 1624.Francis Bacon detto Bacone, Sylva sylvarum or A naturall historie in ten centuries, Londra, 1627.William Harvey, Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, Francoforte, 1628.Elway Bevin, A briefe and short instruction of the art of musicke, Londra, 1631.Charles Butler, The principles of musick in singing and setting, with the twofold use thereof, ecclesiasticall and

civil, Londra, 1636.Marin Mersenne, Harmonie universelle contenant la théorie et la pratique de la musique, Parigi, 1636-1637.Galileo Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, Leida, 1638.Pierre Gassendi, Animadversiones in decimum librum Diogenis Laertii qui est de vita, moribus placitisque

Epicuri, Lione, 1649.

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314

René Descartes detto Cartesio, Compendium musicae, Utrecht, 1650 (ma scritto nel 1618).Athanasius Kircher, Musurgia universalis sive Ars magna consoni et dissoni, Roma, 1650.Marcus Meibom, Antiquae musicae auctores septem, graece et latine, Amsterdam, 1652.René Descartes detto Cartesio e William Brouncker, Exellent compendium of musick, with animadversions

thereupon by a person of honour, Londra, 1653.Pierre Gassendi e Walter Charleton, Physiologia epicuro-gassendo-charltoniana or A fabrick of science natural,

upon the hypothesis of atoms founded by Epicurus, Londra, 1654.John Playford, A breefe introduction to the skill of musick, Londra, 1654.Vincenzo Viviani, Racconto istorico della vita del signor Galileo Galilei, ms., 1654.Pierre Gassendi, Manuductio ad theoriam seu partem speculativam musicae, Lovanio, 1658.Christiaan Huygens, Horologium, L’Aia, 1658.Robert Boyle, New experiments physico-mechanicall, touching the spring of the air and its effects, Oxford, 1660.Christiaan Huygens, Divisio monochordi, ms., 1661.Athanasius Kircher e Andreas Hirsch, Philosophischer Extract und Auszug Athanasii Kircheri von Fulda

«Musurgia universalis», Schwäbisch Hall, 1662.Thomas Willis, Cerebri anatome, cui accessit nervorum descriptio et usus, Londra, 1664.Isaac Newton, [Notebook on music], ms., 1664-1666 circa.Christopher Simpson, The principles of practicle musick either in singing or playing upon an instrument,

Londra, 1665.Thomas Willis, Cerebri anatome, cui accessit nervorum descriptio et usus, editio ultima priori emendatior,

Amsterdam, 1667.William Holder, An account of an experiment concerning deafness, Londra, 1668.Nikolaus Kauffmann detto Mercator, Logarithmo-technica sive Methodus construendi logarithmos nova,

accurata et facilis, Londra, 1668.William Holder, Elements of speech. An essay of inquiry into the natural production of letters, Londra, 1669.John Aubrey, Brief lives, ms., 1669-1696.John Wallis, A letter to Robert Boyle esquire, concerning the said doctor’s essay of teaching a person dumb and deaf

to speak and to understand a language, Londra, 1670 (ma scritto nel 1662).William Holder, Reflexions on doctor Wallis’s letter to mister Boyle, concerning an assay of teaching a person deaf

and dumb to speak and understand a language, Londra, 1670.Thomas Salmon, An essay to the advancement of musick, Londra, 1672.Robert Hooke, Diary, ms., 1672-1680.Christiaan Huygens, Horologium oscillatorium sive De motu pendulorum ad horologia aptato demonstrationes

geometricae, Parigi, 1673.Francis North, A philosophical essay on musick directed to a friend, Londra, 1677.Robert Hooke, Lectures de potentia restitutiva or Of spring explaining the power of springing bodies,

Londra, 1678.John Wallis, A defence of the Royal Society and the «Philosophical transactions», particularly those of july 1670,

in answer to the cavils of doctor William Holder, Londra, 1678.

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315

Claudio Tolomeo, Harmonicorum libri tres, a cura di John Wallis, Oxford, 1682.Gottfried Wilhem von Leibniz, Nova methodus pro maximis et minimis itemque tangentibus quae nec fractas

nec irrationales quantitates moratur et singulare pro illi calculi genus, Lipsia, 1684.Narcisuss Marsh, Introductory essay to the doctrine of sounds, Londra, 1684.Francis Roberts, A discourse concerning the musical notes of the trumpet and trumpet marine and of the defects

of the same, Londra, 1686.Isaac Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica, Londra, 1687.Christiaan Huygens, Lettre touchant le cycle harmonique, Rotterdam, 1691.Andreas Werckmeister, Musikalische Temperatur, Francoforte e Lipsia, 1691.William Holder, A discourse concerning time, for the better understanding of the Julian year and calendar,

Londra, 1694.

William Holder, A treatise of the natural grounds and principles of harmony, Londra, 1694. Joseph Sauveur, Traité de la théorie de la musique, ms., 1697.John Wallis, A letter to Samuel Pepys esquire, relating to some supposed imperfections in an organ, Londra, 1698.Joseph Sauveur, Principes d’acoustique et de musique ou Système général des intervalles des sons et son application

à tous les systèmes et à tous les instruments de musique, Parigi, 1701.Christiaan Huygens, De motu corporum ex percussione, Leida, 1703 (ma scritto nel 1656 circa).Gottfried Keller, A compleat method for attaining to play thorough bass upon either organ, harpsicord or theorbo

lute, Londra, 1705.Salvino Salvini, Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina, Firenze, 1717.Alexander Malcolm, A treatise of musick, speculative, practical and historical, Edimburgo, 1721.Johann Sebastian Bach, Das wohltemperirte Clavier, I, ms., 1722. Jean Philippe Rameau, Traité de l’harmonie réduite à ses principes naturels, Parigi, 1722.William Turner, Sound anatomiz’d in a philosophical essay on musick, to which is added a discourse concerning

the abuse of musick, Londra, 1724.Jean François o John Francis de La Fond, A new system of music, both theoretical and practical and not yet

mathematical, Londra, 1725.William Holder e Gottfried Keller, A treatise of the natural grounds and principles of harmony, to which is

added «Rules for playing a thorow bass», the whole being revis’d and corrected, Londra, 1731.Leonhard Euler detto Eulero, Tentamen novae theoriae musicae, ex certissimis harmoniae principiis dilucide

expositae, San Pietroburgo, 1739 (ma scritto nel 1731 circa).Johann Sebastian Bach, Das wohltemperirte Clavier, II, ms., 1744.Robert Smith, Harmonics or The philosophy of musical sounds, Londra, 1749.Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, I, Parigi, 1751.Leonhard Euler detto Eulero, Theoria motus corporum solidorum seu rigidorum, Rostock, 1765.Jean Jacques Rousseau, Dictionnaire de musique, Parigi, 1768 (ma 1767).Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, XXVIII, Parigi, 1772.