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40 Proprietà Meccaniche In esercizio, tutti i materiali sono soggetti a sollecitazioni di varia natura (sempre riconducibili a forze) che ne determinano deformazioni macroscopiche e spesso le proprietà meccaniche sono il fattore più importante che determina le potenziali applicazioni di un materiale. Ogni oggetto sottoposto all’azione di una forza meccanica si deforma. Tale deformazione è dovuta a livello microscopico allo spostamento degli atomi dalla loro posizione di equilibrio. Deformazioni: Elastica (reversibile) Plastica (permanente) Viscoelastica (dipendente dal tempo)

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Proprietà Meccaniche In esercizio, tutti i materiali sono soggetti a sollecitazioni di varia natura (sempre riconducibili a forze) che ne determinano deformazioni macroscopiche e spesso le proprietà meccaniche sono il fattore più importante che determina le potenziali applicazioni di un materiale. Ogni oggetto sottoposto all’azione di una forza meccanica si deforma. Tale deformazione è dovuta a livello microscopico allo spostamento degli atomi dalla loro posizione di equilibrio. Deformazioni: Elastica (reversibile)

Plastica (permanente)

Viscoelastica (dipendente dal tempo)

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Comportamento elastico Sforzo: rapporto tra la forza (F) applicata ad un corpo e la sua sezione (A) su cui la forza insiste.

F

A

Unità di misura: MN/m2 (MPa) Deformazione (allungamento relativo):

l l0

l0

Legge di Hooke: la deformazione è proporzionale allo sforzo (solo nel campo delle piccole deformazioni) Il coefficiente di proporzionalità (modulo elastico), misura la resistenza del materiale alla deformazione elastica. Per la trazione semplice:

E

E = modulo elastico o di Young (MPa) Il modulo elastico dipende dalla rigidità del legame chimico che caratterizza il materiale.

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Tipologie di deformazioni

Analogamente alla definizione data per il modulo elastico che presupponeva una deformazione a trazione, per deformazioni a compressione e a taglio si introducono altre definizioni:

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Nel caso di uno sforzo di taglio, 0S

Fτ lungo l’asse z, la

deformazione osservata è riconducibile ad un angolo di

taglio x

y

Δ

Δφ .

Il modulo corrispondente a questa deformazione si chiama modulo di taglio G e permette di scrivere una relazione analoga alla legge di Hooke vista in precedenza:

φφτ GtgG Nel caso di uno sforzo di compressione, la pressione P esercitata su di un solido genera una diminuzione di volume

V

VΔΔ .

Anche i questo caso viene definito un modulo detto di compressibilità K che rappresenta il termine di proporzionalità tra P e Δ:

ΔKP

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Quando un provino viene deformato elasticamente, per esempio lungo l’asse di applicazione dello sforzo (p. es. l’asse z), subisce una contrazione laterale lungo le direzioni x ed y. Se il materiale è isotropo (si comporto nello stesso modo nelle tre direzioni) la deformazione lungo l’asse di applicazione dello sforzo (εz) è associata alle contrazioni lungo x e y di uguale entità: εx = εy.

Il rapporto tra la deformazione assiale e quella laterale è un parametro chiamato rapporto di Poisson:

z

y

z

x

ε

ε

ε

εν

Il segno negativo viene introdotto in modo da rendere ν sempre positivo visto che εx εy hanno sempre segno opposto rispetto a εz.

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Il valore massimo del rapporto di Poisson è 0.5 (per il quale non si misura variazione di volume). Per il metalli il valore più tipico è 0.33 mentre per i materiali ceramici è 0.17-0.27. I materiali idealmente isotropi hanno ν = 0.25.

Il rapporto di Poisson permette di definire una relazione tra modulo elastico e modulo di taglio:

ν 1G2E

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COMPORTAMENTO A TRAZIONE

L'utilizzo di un materiale in una qualunque struttura che deve sottostare a determinati sforzi, comporta la conoscenza del comportamento del materiale a trazione. - Prova di trazione Si esegue su provini di dimensione standard, per mezzo di una macchina in grado di deformare il provino a velocità costante, in seguito all'applicazione di uno sforzo crescente.

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La prova è descritta dalla curva sforzo/deformazione (σ/ε). σ = rapporto tra la forza applicata e la sezione iniziale del provino (A0) ε = rapporto tra l'allungamento (l-l0) e la lunghezza iniziale (l0).

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- Deformazione elastica • La deformazione è proporzionale allo sforzo • La deformazione si annulla completamente in seguito

alla rimozione dello sforzo • L'energia elastica assorbita durante l'applicazione dello

sforzo viene restituita integralmente alla sua rimozione (recupero elastico).

- Deformazione plastica • È una deformazione permanente che si manifesta

quando il materiale viene sollecitato oltre il limite elastico.

• Viene agevolata dalla presenza di difetti di linea.

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- Sforzo di snervamento • Valore dello sforzo per il quale si passa dal campo delle

deformazioni elastiche a quello delle deformazioni plastiche.

• In pratica si assuma il valore dello sforzo che provoca

una deformazione plastica residua dello 0.2%. - Strizione • Concentrazione della deformazione in corrispondenza di

una data sezione del provino. • Si manifesta in corrispondenza del punto di massimo

della curva sforzo/deformazione. - Sforzo massimo (Resistenza a trazione o carico di rottura) • Lo sforzo massimo a cui può resistere il materiale è dato

dal massimo della curva. • La rottura si verifica al punto finale della curva.

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- Duttilità Elongazione totale del provino a rottura: è una misura

della deformazione plastica che un materiale può subire. Si stima mediante la percentuale della deformazione

plastica a rottura (la deformazione elastica viene recuperata).

Duttilità → Allungamento a rottura = 0

0R l

ll100

ε

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Riassunto grandezze meccaniche

Modulo Elastico (1): è definito come il rapporto tra lo sforzo applicato e la deformazione in regime elastico. Sforzo di snervamento (2): Valore dello sforzo per il quale si passa dal campo delle deformazioni elastiche a quello delle deformazioni plastiche. Resistenza a trazione (3): è il carico massimo sopportato dal campione, diviso per la sezione iniziale. Allungamento a rottura (4): è la deformazione plastica dopo la rottura. È una misura della duttilità. Tenacità (5): quantità di energia assorbita dal materiale → area della curva σ – ε.

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ρ (g/cm3)

E (GPa)

σC (MPa)

σT (MPa)

Terra 1.6-2.1 0.001-0.05 0.5-1.0 Pietra 1.9-3.0 2-150 1-300 1-10

Calcestruzzo 2.4 20-50 30-70 2-5 Mattoni 1.5-1.8 5-25 10-50 5-10 Vetro 3 70 1000 100

Acciaio 7.8 200 300-500 300-500 Resina 1.6 59 77 PVC 1.1-1.5 3 40 10

Legno 0.6-0.9 15(┴)-0.5(║) 50(┴)-5(║) 100(┴)-3(║)

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Scelta del materiale per una trave con una determinata rigidità e peso minimo Si immagini di dover selezionare il materiale per una trave di lunghezza l, sezione quadrata che deve sopportare una forza F senza flettere oltre un dato valore δ.

L’equazione che lega la flessione della trave alla lunghezza (l), alla forza applicata (F), allo spessore (t) ed all’elasticità (E) del materiale è:

4

3

Et

Fl4δ

trascurando l’influenza del peso della stessa trave.

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La massa è data da:

ρ2ltM

dove ρ è la densità del materiale. La massa della trave si ottiene riducendo lo spessore senza superare un dato valore di flessione. Eliminando lo spessore t dalle due espressioni e ricavando M si ottiene:

21

221

5

E

Fl4M

ρ

δ

Il minimo valore della massa della trave viene ottenuto con la scelta del materiale con l’indice

21

2

2 EM

ρ

più opportuno per un dato valore di F/δ.

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Il legno è uno dei materiali migliori ed è effettivamente usato per costruzioni su piccola scala. L’unico materiale nettamente migliore del legno è il composito con fibre di carbonio (CFRP) che alleggerisce sensibilmente la struttura.

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Scelta del materiale per minimizzare i costi di una trave di una rigidità data. Spesso non è il peso, ma il costo di una struttura che indirizza la scelta di un materiale. Con riferimento al caso visto in precedenza, il costo della trave è approssimativamente il peso della trave per il costo per tonnellata del materiale (P) (trascurando eventuali costi di lavorazione).

21

221

5

EP

Fl4Costo

ρ

δ

Il prezzo più basso è quello con il più basso valore dell’indice:

21

2

3 EPM

ρ

Il calcestruzzo ed il legno sono i materiali più economici. L’acciaio costa di più, ma ha il vantaggio che può essere facilmente (e con bassi costi) lavorato con delle forme che offrono una maggiore resistenza con un basso peso.

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Di fatto, legno, acciaio e calcestruzzo sono di fatto i materiali utilizzati. Il CFRP discusso in precedenza costa 100 volte di più del legno e per questo (al momento) viene scartato.

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Sistemi di scorrimento Durante una deformazione plastica, il movimento delle dislocazioni provoca uno spostamento degli atomi lungo specifici piani cristallini e in specifiche direzioni cristallografiche. Tale scorrimento non avviene con uguale facilità in tutti i piani cristallografici, ma vi sono dei piani e delle direzioni preferenziali. La combinazione del piano e della direzioni di scorrimento viene chiamato sistema di scorrimento. Per una definita struttura cristallina il piano più favorito è quello che ha una maggiore densità atomica. La direzione di scorrimento corrisponde alla più alta densità lineare.

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Quanto più numerosi sono i sistemi di scorrimento, tanto più facile è la deformazione plastica del cristallo. I sistemi cristallini CFC (struttura compatta) possiedono 12 sistemi di scorrimento ad alta densità atomica. I sistemi CCC non sono una struttura compatta e non hanno un piano di scorrimento predominante come la CFC. I sistemi cristallini a struttura esagonale hanno solo 3 sistemi di scorrimento ed infatti, di norma, i cristalli EC hanno una minore capacità di deformazione (duttilità) rispetto a quelli a struttura cubica (servirà uno sforzo maggiore per ottenere la stessa deformazione plastica).

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Lo sforzo richiesto per provocare lo scorrimento in un metallo puro monocristallino dipende da: struttura cristallina natura dei legami atomici orientamento dei piani di scorrimento rispetto alla

direzione di applicazione dello sforzo di taglio temperatura

Lo scorrimento avviene quanto lo sforzo di taglio nel piano e nella direzione di scorrimento supera un valore limite detto sforzo critico di taglio (τc).

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Tale sforzo è equivalente allo sforzo di snervamento di un mono cristallo. La relazione che esiste tra lo sforzo assiale applicato ad una barra di un metallo monocristallino e τc può essere ottenuta facilmente: Si consideri uno sforzo di trazione come in figura.

Ao = area perpendicolare alla forza F (sezione del provino) A1 = area del piano di scorrimento (su cui agisce τ) Fr = componente di taglio di F (nel piano di scorrimento) φ = angolo tra F e la normale ad A1 λ = angolo tra F e la direzione di scorrimento Lo sforzo di taglio critico (il cui raggiungimento produce lo scorrimento delle dislocazioni) è:

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1

rr A

F

o)scorriment di piano (del tagliodi area

tagliodiforzaτ

La componente di taglio Fr legata alla forza assiale da:

λcosFFr

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L’area del piano di scorrimento:

φcos

AA 0

1

Dividendo la forza di taglio (Fr) per l’area di taglio (A1) si ottiene:

φλσφλφ

λτ coscoscoscos

A

F

cosA

cosF

00r

nota come legge di Schmid. La funzione è rappresentata in figura e mostra che, a parità di forza applicata, lo sforzo di taglio è massimo quando l’orientazione è 45º.

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Per i materiali policristallini, i grani hanno differenti orientazioni e quindi l’inizio dello scorrimento avviene di preferenza nei grani con sistemi di scorrimento orientati a 45º rispetto alla direzione del carico applicato.

Lo scorrimento associato ai grani orientati nelle altre direzioni richiede un aumento dello sforzo applicato e quindi il valore di carico di snervamento determinabile dalle curve sforzo deformazione è un valore medio.

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Rottura dei materiali La rottura è la separazione di un solido in due o più elementi. Può essere classificata in duttile o fragile, a seconda delle caratteristiche di deformazione plastica del materiale. I materiali duttili mostrano una notevole capacità di deformazione plastica (assorbendo una grande quantità di energia prima di arrivare a rottura) mentre i materiali fragili sono caratterizzati da una bassa o nulla deformazione plastica. I processi di rottura avvengono in due stadi: formazione e propagazione delle cricche. La rottura duttile è caratterizzata da un’intensa deformazione plastica nelle immediate vicinanze della cricca che avanza. Il processo è relativamente lento e la cricca viene di solito definita stabile. Nella rottura di tipo fragile le cricche si propagano in modo istantaneo. Tali cricche possono essere definite instabili e la loro propagazione, una volta innescata continua spontaneamente senza bisogno di aumentare il carico applicato.

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La frattura duttile è sempre preferibile in quanto quella fragile avviene senza preavviso a causa della propagazione spontanea della cricca. Nella frattura duttile, la presenza di deformazione plastica è un indice della rottura imminente. Inoltre per provocare una frattura duttile è necessaria un’energia superiore e quindi i materiali duttili sono in genere più tenaci.

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Frattura duttile Se viene applicata una sollecitazione che supera il carico di rottura e la si mantiene per un periodo abbastanza lungo, il provino si romperà.

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Si possono individuare tre stadi distinti nella rottura duttile: 1) Inizia il fenomeno della strizione e si generano dei microvuoti all’interno della strizione (b in figura). 2) I microvuoti coalescono formando una cricca al centro del provino che si muova in direzione della superficie (c in figura). 3) Quando la cricca arriva alla superficie la sua direzione si inclina a 45º e si verifica la rottura di tipo coppa-cono (d in figura). L’aspetto della superficie di un metallo che ha subito frattura duttile si presenta opaca e rugosa.

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Frattura fragile Molti metalli con una struttura cristallina di tipo Esagonale Compatto manifestano una frattura fragile a causa del loro limitato numero di piani di scorrimento (che limita lo scorrimento delle dislocazioni). La frattura fragile può avvenire con meccanismo transgranulare (la cricca si propaga attraverso i grani) ed intergranulare (propagazione lungo il bordo di grano). Il meccanismo di rottura fragile è schematizzato in 3 fasi: 1) La deformazione plastica (anche se contenuta) concentra le dislocazioni in corrispondenza di difetti. 2) Nelle zone di blocco delle dislocazioni si generano degli sforzi di taglio che producono delle microcricche. 3) Le microcricche si propagano per azione di un ulteriore sforzo e sotto l’energia rilasciata dal recupero elastico. Basse temperature ed alte velocità di deformazione favoriscono la rottura fragile. L’aspetto della superficie di un metallo che ha subito frattura fragile si presenta liscia e lucente.

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Coefficiente di concentrazione dello sforzo Si consideri il fenomeno di propagazione di una cricca in un materiale fragile sotto l’azione di un carico. In presenza di una cricca o di una fessura lo sforzo applicato, viene “amplificato” dalla presenza della cricca. La figura illustra il campo dei carichi che agisce sul contorno di una cricca ellittica sollecitata a trazione mediante l’applicazione di un carico σ.

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Il carico massimo σm si trova all’estremità dell’asse maggiore della cricca e si ha la relazione:

b

a21m σσ

dove a e b sono gli assi della cricca e σ il carico applicato. Nel caso di una cricca lunga e stretta (a/b elevato) σm può

assumere valori molto elevati (in figura 6 volte il carico applicato). È utile introdurre il coefficiente di concentrazione degli sforzi (Kt) definito da:

5.0m

ta

21K

ρσ

σ

dove a

b2ρ è il raggio di curvatura della cricca.

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Teoria della frattura fragile di Griffith Durante la propagazione di una cricca, avvengono simultaneamente 2 fenomeni: un rilascio dell’energia elastica la creazione di nuove superfici (aumento dell’energia)

Attraverso un bilancio energetico si può ottenere un criterio per la propagazione della cricca.

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Si può dimostrare che la cricca si propaga sotto l’azione di una forza F che è applicata al suo apice e situata nel piano della cricca ed è composta da due componenti Fe e Fs di senso opposto. Fe = forza indotta dal rilascio elastico Fs = è associata alla creazione di nuove superfici

22 21 1 dU

NOTA : Energia elastica per unità di volume U a a , F2 2 E da

E

aF

2

eπσ

γ2Fs

E = modulo di elasticità γ = energia superficiale (formazione della nuova superficie) a = semilunghezza della cricca Uguagliando le due forze si arriva alle relazioni:

2c

E2a

πσ

γ (1)

21

sc a

E2

π

γσ (2)

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Queste equazioni definiscono: - la dimensione massima della cricca che rimane stabile all’applicazione di un carico σ - il valore dello sforzo che fa propagare la cricca di lunghezza 2a. Le equazioni valgono solo per i materiali “intrinsecamente” fragili, cioè caratterizzati da un comportamento totalmente fragile. Nel caso si voglia generalizzare l’equazione precedente anche nel caso di metalli duttili, si deve tener conto che l’avanzamento di una cricca in un materiale duttile richiede un’energia superficiale maggiore rispetto al caso puramente fragile:

21ps

c a

E2

π

γγσ

dove γp è l’energia di deformazione plastica. In genere per materiali molto duttili γp >> γs e quindi:

21p

c a

E2

π

γσ

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Meccanica della frattura La meccanica della frattura è in grado di generalizzare i risultati ottenuti da Griffith e permette di trovare una relazione in grado di stimare lo sforzo critico per qualunque tipo di materiale. L’energia liberata per il rilascio di sforzo elastico per unità di superficie della cricca (G) è data da:

E

aG

2πσ

G rappresenta il tasso di variazione di energia meccanica per unità di superficie della cricca. Perché una fessura di lunghezza a possa progredire è necessario che lo sforzo superi il valore critico dato dalla (2):

21c

c a

EG

π

σ (3)

dove si è sostituito il termine 2γ con quello più generico Gc. Gc tiene conto di tutte le energie dissipate durante la propagazione della cricca.

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Nel caso di materiali intrinsecamente fragili Gc = 2γ e la (3) torna uguale alla (2). La (3) può essere riordinata in modo che il termine a sinistra definisca lo stato dello sforzo applicato mentre il secondo membro sia caratteristico della proprietà del materiale:

21c

21c EGa πσ (4)

L’equazione (4) permette di definire un parametro fondamentale: il fattore di intensità degli sforzi K

21aK πσ (5) La rottura avviene quando K uguaglia il secondo membro dell’equazione (4), il valore critico KIc detto tenacità a frattura.

21ccI EGK (6)

Quando il valore di K supera KIc si verifica la rottura del materiale. Viceversa la condizione di stabilità di una cricca è

K < KIc.

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Viscoelasticità I materiali viscoelastici hanno un comportamento intermedio tra quello dei corpi elastici e quello dei fluidi. Se si sottopone un materiale ad una sollecitazione a gradino (a), si hanno diverse risposte a seconda del materiale. Un materiale elastico, ha una risposta a gradino (b), un fluido ha un comportamento ad impulso (c), un materiale viscoelastico mostra una risposta che varia nel tempo (d).

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La risposta per un corpo viscoelastico è dipendente dal tempo di applicazione dello sforzo e in generale, la forza che deve essere applicata per mantenere la deformazione costante diminuisce nel tempo. Questo comportamento si manifesta soprattutto nel caso dei polimeri termoplastici o poco reticolati. La viscoelasticità può essere studiata dal punto di vista del rilassamento e dello scorrimento.

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Il rilassamento dello sforzo si osserva imponendo al materiale una certa deformazione ed osservando l’evoluzione dello sforzo conseguente. Per quanto riguarda lo scorrimento, si impone un certo sforzo e si osserva l’evoluzione della deformazione.

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PROVE DI DUREZZA La durezza è la resistenza di un materiale alla deformazione plastica localizzata. Viene misurata comprimendo un penetratore (di solito una sfera, una piramide o un cono) sulla superficie del materiale. Il penetratore realizza un’impronta e quindi si determina il valore della durezza sulla base dell’area dell’impronta o della sua profondità. Le prove (e le scale) di durezza più utilizzate sono: Brinell, Vickers, Knoop e Rockwell Il valore della durezza, a seconda della prova utilizzata, dipende dalla forma dell’impronta e dalla forza applicata. Le prove di durezza forniscono informazioni sul comportamento meccanico dei materiali in modo veloce e non distruttivo.

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Tenacità e prove di resilienza

La tenacità è una misura della quantità di energia che un materiale è in grado di assorbire prima di giungere a rottura. È rappresentata dall’area sottostante la curva σ-ε della prova di trazione. La prova di resilienza (o di impatto) è un modo semplice per misurare la tenacità. Le condizioni delle prove di resilienza sono scelte per agevolare la rottura fragile del materiale: alta velocità di deformazione (per anticipare il movimento delle dislocazioni) e realizzazione di un intaglio nel provino. La prova si realizza posizionando un provino con un intaglio tra gli appoggi della macchina, successivamente un pendolo pesante viene lasciato cadere da una altezza nota, in modo da colpire e rompere il provino. Nella prova detta di Charpy (mostrata in figura) il provino viene posizionato con l’intaglio dalla parte opposta del pendolo, mentre nella prova di Izod l’intaglio è dalla stessa parte del pendolo. Nota la massa del pendolo e la differenza tra l’altezza iniziale e finale del pendolo, si calcola l’energia assorbita dal materiale.

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Il risultato delle prove di resilienza è più qualitativo che quantitativo. Le energie di impatto forniscono informazioni solo in senso relativo e per fare confronti tra condizioni o materiali differenti.

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Una delle funzioni primarie delle prove di resilienza è quella di determinare se in materiale mostra una transizione duttile-fragile al variare della temperatura. All’aumentare della temperatura viene esaltato il comportamento duttile del materiale evidenziato da un maggiore assorbimento di energia. Anche la superficie di frattura evidenzia il tipo di rottura. Quando si verifica la transizione duttile-fragile, la superficie di frattura presenta delle zone di frattura duttile ed altre di frattura fragile. Non esistono convenzioni per la determinazione della temperatura di transizione duttile-fragile e quindi si fa ricorso ad un valore di energia assorbita nella prova di resilienza o ad una percentuale di superficie di frattura (p. es. si può prendere come riferimento il valore di temperatura a cui si ha il 50% di frattura duttile).

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Le leghe con struttura CFC (incluse quelle di Al e Cu) restano duttili anche a temperature molto basse mentre leghe CCC ed EC mostrano questo tipo di transizione. La composizione della lega (percentuale di elementi) e la sua microstruttura (dimensioni dei grani) influenza la temperatura di transizione.