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TEORIA DELLA RELATIVITA RISTRETTA ED IPOTESI DELL'ETERE (Umberto Bartocci) "Questo lavoro è dedicato con stima e simpatia all'amico Roberto Monti, per il suo modo coraggioso e anticonformista di fare scienza" Perugia, Dipartimento di Matematica, Università degli Studi Aprile 1988 Avvertenza - Soprattutto la prima parte del presente testo è corredata di numerose note, che è parso opportuno non eliminare, sia allo scopo di fornire a coloro che siano meno addentro alle questioni maggiori informazioni, anche "storiche", sulla delicata e controversa questione, sia a quello di prevenire alcune delle prevedibili consuete obiezioni. Si è deciso di lasciare questo materiale al di fuori del testo base per non appesantire troppo l'esposizione, e comunque, trattandosi per lo più di riflessioni e chiarimenti "per inciso", quando non di puri riferimenti bibliografici, la loro omissione a una prima lettura non dovrebbe costituire impedimento al progresso nell'argomentazione principale.

Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

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Come ben noto, la teoria della relatività ristretta (TRR nel seguito), è nata più da motivazioni di carattere teorico (le "asimmetrie" alle quali avrebbe condotto l'accettazione della teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell, ferma mantenendo l'ipotesi, propria della meccanica classica, di considerare tra loro equivalenti tutti i sistemi inerziali), che non sperimentali ("i falliti tentativi di constatare un moto della Terra relativamente al mezzo luminoso") [...]Come ben noto, la teoria della relatività ristretta (TRR nel seguito), è nata più da motivazioni di carattere teorico (le "asimmetrie" alle quali avrebbe condotto l'accettazione della teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell, ferma mantenendo l'ipotesi, propria della meccanica classica, di considerare tra loro equivalenti tutti i sistemi inerziali), che non sperimentali ("i falliti tentativi di constatare un moto della Terra relativamente al mezzo luminoso")1.Ciò nonostante, e presumibilmente allo scopo di attenuare un certo dogmatismo che risulterebbe da una presentazione "ortodossa" della teoria2, il ruolo dell'esperienza di Michelson-Morley come motivazione e punto d'appoggio sperimentale della TRR è andato sempre più crescendo, attenuandosi nel contempo la discussione critica sui fondamenti della teoria3. Citiamo tra gli altri lo stesso Einstein, il quale assieme a L. Infeld ebbe a scrivere parecchi anni dopo4:"Il risultato del celebre esperimento di Michelson-Morley fu un "verdetto di morte" per la teoria di un oceano d'etere immobile attraverso il quale tutta la terra si muoverebbe";ed il nostro G. Castelfranchi, il quale asserisce5 che:"L'esperimento di Michelson-Morley è un solido appoggio al postulato einsteiniano sulla costanza della velocità della luce".[...]revisione in chiave filosofica delle teorie che a quelle "nozioni preconcette" attribuivano invece ben altro fondamento9.Sul fatto che i principi della TRR siano incompatibili con l'ipotesi dell'esistenza di un mezzo che non sia un puro e semplice fantasma, o, peggio, una finzione matematica, non c'è in realtà unanimità di opinioni. Si sostiene da parte di alcuni che TRR e concezioni dell'etere potrebbero andar d'accordo, partendo da un'affermazione contenuta nello stesso lavoro originale di Einstein, secondo il quale "l'introduzione di un etere luminoso" si sarebbe dimostrata "superflua" (vedi nota (1)), ma, per l'appunto, si dice, non necessariamente contraddittoria. Di qui, e conformemente al principio "economico" con cui si ammonisce che "entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem", la scomparsa dalla fisica del concetto di etere almeno da un punto di vista utilitaristico, e la sua eventuale ed occasionale riapparizione sotto vesti però ormai completamente "ortodosse", ovvero come di un etere "covariante" o "relativistico", tale cioè che la sua presenza non sia comunque di impaccio ai principi della TRR. In realtà, a parte "sofismi" e costruzioni matematiche più o meno accettabili e brillanti (parafrasando Cicerone, non c'è nulla di così assurdo che un buon matematico non sarebbe capace di descrivere con qualche struttura - purché naturalmente non contraddittorio), ad una autentica riconciliazione tra TRR e teoria dell'etere resta assai difficile di credere.

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TEORIA DELLA RELATIVITA RISTRETTA ED IPOTESI DELL'ETERE (Umberto Bartocci)

"Questo lavoro è dedicato con stima e simpatia

all'amico Roberto Monti, per il suo modo

coraggioso e anticonformista di fare scienza"

Perugia, Dipartimento di Matematica,

Università degli Studi

Aprile 1988

Avvertenza - Soprattutto la prima parte del presente testo è corredata di numerose note, che è parso opportuno non eliminare,

sia allo scopo di fornire a coloro che siano meno addentro alle questioni maggiori informazioni, anche "storiche", sulla delicata e

controversa questione, sia a quello di prevenire alcune delle prevedibili consuete obiezioni. Si è deciso di lasciare questo materiale

al di fuori del testo base per non appesantire troppo l'esposizione, e comunque, trattandosi per lo più di riflessioni e chiarimenti

"per inciso", quando non di puri riferimenti bibliografici, la loro omissione a una prima lettura non dovrebbe costituire

impedimento al progresso nell'argomentazione principale.

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1 - INTRODUZIONE

Come ben noto, la teoria della relatività ristretta (TRR nel seguito), è nata più da motivazioni di carattere

teorico (le "asimmetrie" alle quali avrebbe condotto l'accettazione della teoria dell'elettromagnetismo di

Maxwell, ferma mantenendo l'ipotesi, propria della meccanica classica, di considerare tra loro equivalenti

tutti i sistemi inerziali), che non sperimentali ("i falliti tentativi di constatare un moto della Terra

relativamente al mezzo luminoso")1.

Ciò nonostante, e presumibilmente allo scopo di attenuare un certo dogmatismo che risulterebbe da una

presentazione "ortodossa" della teoria2, il ruolo dell'esperienza di Michelson-Morley come motivazione e

punto d'appoggio sperimentale della TRR è andato sempre più crescendo, attenuandosi nel contempo la

discussione critica sui fondamenti della teoria3. Citiamo tra gli altri lo stesso Einstein, il quale assieme a L.

Infeld ebbe a scrivere parecchi anni dopo4:

"Il risultato del celebre esperimento di Michelson-Morley fu un "verdetto di morte"

per la teoria di un oceano d'etere immobile attraverso il quale tutta la terra si

muoverebbe";

ed il nostro G. Castelfranchi, il quale asserisce5 che:

"L'esperimento di Michelson-Morley è un solido appoggio al postulato einsteiniano

sulla costanza della velocità della luce".6

Su questa base sperimentale si pretenderebbe evidentemente di rendere più accettabili, e necessarie, le

ben note e "sgradevoli" implicazioni "filosofiche" della TRR per quanto riguarda i concetti di spazio, tempo e

causalità. M. Born così si esprime in proposito7:

"Era necessaria una revisione dei concetti di spazio e di tempo, basati nell'accezione

corrente su ipotesi non provate dai fatti, ed Einstein formulò una nuova teoria che

non tenesse alcun conto di simili nozioni preconcette".

In effetti, l'affermazione della TRR ha storicamente significato da un canto il progressivo assottigliarsi delle

schiere di coloro i quali "credevano" nell'esistenza di un mezzo fisico, reale, nel quale si propagassero tutte

le varie "vibrazioni", e che fosse il supporto di ogni fenomeno fisico; 8 dall'altro, un massiccio tentativo di

1 Le parole tra virgolette sono citate dal lavoro originale di Einstein del 1905. 2 Ad esempio, in un recente testo di teoria della relatività, quello di O. Barbier (Tempo e relatività, Ed. Bizzarri, Roma, 1976), si dice ancora che il secondo postulato einsteiniano relativo all'invarianza della velocità della luce (naturalmente rispetto ad ogni osservatore inerziale, e nel "vuoto") è "di natura del tutto inesplicabile e dal punto di vista teorico e da quello intuitivo". 3 Sembrerebbe invece più corretto ridurre il ruolo delle motivazioni sperimentali "a priori", limitandosi a quelle di ordine teorico di cui si è detto, ed insistendo semmai sul fatto che accettare le "convenzioni" della TRR appare conveniente, in quanto esse si rivelano capaci di interpretare e di prevedere alcuni fenomeni (vale a dire, enfatizzare semmai le conferme "a posteriori" della TRR). Si può dire che questo ordine di idee era condiviso dallo stesso Einstein, secondo il quale era più importante valutare gli argomenti che non "sopravvalutare la precisione delle misure". 4 L'evoluzione della fisica, Ed. Boringhieri, Torino, 1965, p.183. 5 Fisica moderna, Ed. Hoepli, Milano, 1931, p. 182. Testi più recenti sono anche più disinvolti sull'argomento, che sfiorano appena presentando come ovvia ed "unica" spiegazione dell'esperienza di Michelson-Morley la sua interpretazione "ufficiale". Tra di essi vedi ad esempio il diffuso "Fisica Moderna", di R. Gautreau e W. Savin, Ed. Etas, 1982. 6 Qui, e molte altre volte nel seguito, le sottolineature nelle citazioni sono dell'autore della presente nota. [scomparse nel passaggio di formato] 7 La sintesi einsteiniana, Ed. Boringhieri, Torino, 1969, p. 269. 8 Abbiamo detto mezzo fisico, reale, e pertanto suscettibile in linea di principio di poter essere osservato sperimentalmente, e compreso nelle sue proprietà. Presumibilmente anzi non soltanto protagonista passivo delle varie trasformazioni ed interazioni fisiche, bensì partecipe in maniera diretta al verificarsi dei fenomeni, quando addirittura non causa di essi. Questa era ad esempio la concezione di Faraday, e fu anche in qualche

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revisione in chiave filosofica delle teorie che a quelle "nozioni preconcette" attribuivano invece ben altro

fondamento9.

Sul fatto che i principi della TRR siano incompatibili con l'ipotesi dell'esistenza di un mezzo che non sia un

puro e semplice fantasma, o, peggio, una finzione matematica, non c'è in realtà unanimità di opinioni. Si

sostiene da parte di alcuni che TRR e concezioni dell'etere potrebbero andar d'accordo, partendo da

un'affermazione contenuta nello stesso lavoro originale di Einstein, secondo il quale "l'introduzione di un

etere luminoso" si sarebbe dimostrata "superflua" (vedi nota (1)), ma, per l'appunto, si dice, non

necessariamente contraddittoria. Di qui, e conformemente al principio "economico" con cui si ammonisce

che "entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem", la scomparsa dalla fisica del concetto di etere

almeno da un punto di vista utilitaristico, e la sua eventuale ed occasionale riapparizione sotto vesti però

ormai completamente "ortodosse", ovvero come di un etere "covariante" o "relativistico", tale cioè che la

sua presenza non sia comunque di impaccio ai principi della TRR. In realtà, a parte "sofismi" e costruzioni

matematiche più o meno accettabili e brillanti (parafrasando Cicerone, non c'è nulla di così assurdo che un

buon matematico non sarebbe capace di descrivere con qualche struttura - purché naturalmente non

contraddittorio), ad una autentica riconciliazione tra TRR e teoria dell'etere resta assai difficile di credere.

Tralasciando per un momento la questione della "costanza della velocità della luce", è il "principio di

relatività" stesso che non può essere verosimilmente messo d'accordo, a meno di forzature,10 con

l'esistenza reale di un mezzo che, proprio in quanto realmente esistente, assai probabilmente avrà

proprietà fisiche che non potranno essere trascurate, ed il cui segreto per essere indagato consisterà non

già nell'attribuirgli dei "nostri" principi, bensì nell'andare ad "interrogarlo" sperimentalmente. Non si vede

come sia possibile ritenere ipotesi fisicamente plausibili, sia pure in prima approssimazione, quelle di

omogeneità ed isotropia dello spazio rispetto a ciascun osservatore, a prescindere dallo stato di moto o di

quiete di questi rispetto allo "spazio" stesso, se si considera per l'appunto questo ambiente come "non

vuoto", per non parlare poi dei possibili "moti" propri del mezzo in questione rispetto ad altre sue parti11. In

modo quella di Maxwell, il quale, ben lungi dall'immaginare una sorta di "fluido" per ogni tipo di radiazione, si esprimeva invece assai lucidamente così: "Riempire tutto lo spazio con un nuovo mezzo ogni volta che si debba spiegare un nuovo fenomeno, non è certo cosa degna di una seria filosofia, ma se lo studio di due diverse branche della scienza ha suggerito in modo indipendente l'idea di un mezzo, e se le proprietà che si devono attribuire al mezzo per spiegare i fenomeni elettromagnetici sono identiche a quelle che si attribuiscono al mezzo luminifero per spiegare i fenomeni luminosi, si rafforzerà notevolmente il complesso di prove a favore dell'esistenza fisica del mezzo" (da J.C. Maxwell, Opere, Ed. UTET, N. 781). 9 All'aspetto più propriamente "filosofico" della questione l'autore ha dedicato un saggio parallelo a questo, dal titolo "Principi della filosofia naturale ed eterogenesi dell'illuminismo", che si spera di imminente pubblicazione. 10 È molto interessante quanto osservato in proposito da I. Lakatos in "La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifici", apparso su "Critica e crescita della conoscenza", AA. VV., Ed. Feltrinelli, 1984. 11 È bene forse di precisare ulteriormente questo punto, visto che l'irriducibilità tra TRR ed ipotesi dell'etere è tutta in queste parole. Se è vero che nello spazio veramente vuoto non si possono immaginare "landmarks", e che sarebbe quindi impossibile a vari osservatori l'uno in movimento relativo rispetto all'altro di stabilire quale stia fermo e quale si muova, considerazione questa che sta alla vera radice del principio di relatività, il grosso problema è che probabilmente lo spazio veramente vuoto non ha senso fisico, e si trova come tale, ovvero come idealità astratta, sol tanto nello studio della geometria. In ogni modo, si può pensare che forse nello spazio veramente vuoto non potrebbero darsi fenomeni fisici come quello della luce, sicché questi osservatori immaginari non avrebbero alcuna possibilità, neanche teorica, di scambiarsi segnali luminosi, sincronizzare orologi, etc., secondo le convenzioni einsteiniane, perché non avrebbero a disposizione né la luce né tanto meno un principio di costanza per la sua velocità! (vedi anche la nota (28)). Invece il riferimento ai possibili "moti propri" del mezzo rispetto ad altre sue parti merita parecchia più attenzione. A rigore, nel confronto tra TRR e teoria dell'etere bisognerebbe porsi allo stesso livello di presupposti iniziali, ovvero nelle condizioni di uno spazio privo di materia, la TRR costituendo per l'appunto una riflessione di tipo preliminare sulla "fisica" che può essere effettuata in questa situazione, nella quale, più che le "cose", ad agire sono gli "osservatori". Così, questi "moti" dell'etere non debbono essere presi in considerazione neppure come possibilità teorica in questa prima fase, nella quale si deve fare soltanto un discorso ideale sulle condizioni nelle quali si verrebbe presumibilmente a trovare un osservatore immerso in un oceano di etere immobile e "privo di materia" (a parte naturalmente tutto ciò che serve agli osservatori per misurare, sincronizzare orologi, etc.!). I moti di cui si parla interverrebbero unicamente in presenza di materia, e quindi nel confronto tra la teoria dell'etere e la teoria della relatività generale (TRG nel seguito), ma non perché si debba necessariamente pensare che essi siano originati dalla materia immersa nell'etere, (questa è un'ipotesi che si ritrova nei lavori di M. Todeschini - vedi la nota (22), ed anche la nota (15)), quanto piuttosto che sia la materia stessa ad essere "originata" da questi moti! Questa ipotesi si ritrova invece nei lavori del misconosciuto scienziato italiano N. Mancini, le cui "intuizioni" sembrerebbero meritevoli di ben altra considerazione che non il silenzio con il quale esse sono state accolte. Tra questi lavori citiamo soprattutto "Energia universale e reazione della materia", Ed. L'Arco, Firenze, 1948. Si può citare a questo proposito anche l'interessante nota dell'altrettanto sconosciuto italiano O. De Pretto, Ipotesi dell'etere nella vita dell'universo, Atti del Reale Ist. Veneto di Sci. Lett. ed Arti, 1903. In questo lavoro, la cui esistenza è stata segnalata all'autore dal Prof. O. Speri e dall'Ing. P. Zorzi di Verona, è contenuta anche la celebre formula E = m c2 . Ipotizzando (e non su basi puramente congetturali, bensì tenendo conto di circostanze di tempo e di

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altre parole, mentre nello studio idealizzato del moto dei corpi effettuato dalla meccanica classica (che si

può poi con successo applicare soltanto a quelli "macroscopici", vedi la nota (12)), si può

"ragionevolmente" trascurare l'interazione con il mezzo, questo non sembra proprio essere il caso di un

fenomeno come la luce, il quale, oltre ad esserci ancora sostanzialmente ignoto, è presumibilmente

collegato in maniera strettissima con la natura fisica del mezzo in cui questa si propaga. È strano a pensarci

bene un siffatto uso dell'"ignotum per aeque ignotum" (o "ignotum per ignotius"), con il quale si pretende

di dar forma "razionale" e matematicamente semplice alla natura utilizzando come principio per essa un

fenomeno che ci è così poco noto come la luce!12 (vedi anche la nota (11)). Potremmo aggiungere che tanto

luogo!) una conoscenza del lavoro in questione da parte di Michele Besso, l'amico di Einstein che viene ringraziato al termine del lavoro originale del 1905, si perviene ad una apparentemente inedita "anticipazione" di una formula "relativistica" della quale, a differenza di altre consimili, forse Einstein stesso era a conoscenza prima di formulare la sua teoria. Un confronto tra teoria dell'etere mobile e TRG esula dai limiti che si propone il presente lavoro, pure si può subito immaginare che tipo di immagine del cosmo offra questa ipotesi. Tra le due teorie si riscontra adesso una molto maggiore somiglianza qualitativa, perché si può dire, e capire, che la presenza della materia "incurva" lo spazio (anche se sarebbe meglio dire il viceversa, ovvero, che è lo spazio "incurvato" che ci "appare" come materia!). Il moto del fluido si potrebbe descrivere "in grande" con una qualche struttura riemanniana dello spazio-etere, le cui geodetiche corrisponderebbero alle traiettorie "medie" delle "monadi" d'etere (per usare una terminologia di G. Cantor). Le forze andrebbero sostituite concettualmente con "stati d’eccitazione" dello spazio, che si manifesterebbero sui vari corpi immersi in esso a seconda delle loro caratteristiche fisiche, come massa, carica, etc., ma anche stato di moto, come velocità, rotazione, e, perché no, "forma" (il che potrebbe spiegare perché corpi diversi situati nello stesso punto dello spazio reagiscono alla presenza delle "forze" in modi diversi - vedi anche la nota (22)). Naturalmente, ancorché di analogie qualitative si tratti, e quindi possa essere in qualche senso accettabile l'affermazione "relativistica" secondo la quale la "geometria" più adatta a studiare i fenomeni fisici sarebbe la geometria riemanniana, anziché la geometria euclidea (vedi il lavoro di G. Cavalleri citato nella nota (22)), pure questa visione "classica" ed intuitiva che qui si propone come possibile alternativa, differisce profondamente e dalle concezioni generali e dal formalismo della TRG. Questa si "edifica" infatti sulla TRR, ed in quanto tale, in conformità al principio di invarianza della velocità della luce (che adesso sarà però soltanto di natura "locale"), esegue tutte le sue costruzioni in uno spazio degli eventi quadridimensionale, la geometria del quale è soltanto pseudo-riemanniana. Secondo la teoria che qui si sostiene invece, conformemente all'ipotesi sulla natura fluido-dinamica dello spazio fisico, si dovrebbe poter sempre lavorare in un ambiente tridimensionale, e con una struttura propriamente riemanniana. Va da sé, anche questa "fisica" dovrà poi sempre alla fine collocarsi in un ambiente quadridimensionale degli "eventi", aggregando alle tre dimensioni spaziali anche un'altra temporale, ma, conformemente alla soluzione del problema "trattamento del tempo" che verrà in seguito adottata (e vedi anche la nota (28)), spazio e tempo resterebbero comunque separati come nella fisica classica, e la non-euclideicità, o curvatura, dello spazio, resterebbe di pertinenza esclusiva delle sole dimensioni spaziali, e non già dello spazio-tempo "tutto intero". In altre parole, tale non-euclideicità si ritroverebbe solamente nella "matematizzazione" dello spazio fisico reale, e non si verificherebbe alcun contrasto con l’intuizione astratta del concetto di spazio, la quale continuerebbe come sempre ad essere perfettamente descritta dalla geometria euclidea, in conformità con quanto asserito nella filosofia kantiana (la geometria euclidea resterebbe comunque alla base anche di quella matematizzazione, oltre che di tutta la matematica, visto che non è certo "impossibile" concepire l'idea di uno spazio astratto euclideo nel quale si svolge il moto "curvo" di un "fluido" che lo riempie tutto). Un'ultima doverosa osservazione riguarda l'inevitabile presenza di una certa "contaminazione" tra questi due diversi livelli del discorso, diciamo pure ristretto e generale, nel seguito del lavoro, dovuta alla necessità di discutere e confrontare tra loro argomentazioni nelle quali tale contaminazione è già presente. Infatti al livello veramente iniziale non avrebbe senso di prendere in considerazione nessun tipo di esperienza reale, visto che tutte queste si svolgono evidentemente non solo in presenza della strumentazione necessaria all'effettuazione dell'esperimento, ma anche dei campi gravitazionali della terra, del sole, etc., sicché l'unico confronto possibile andrebbe effettuato tra TRG e teoria dell'etere mobile. La situazione è ben descritta dalla seguente osservazione (T. Regge, Appendice a "Spazio, tempo e gravitazione", di A.S. Eddington, Ed. Boringhieri, 1971, p. 254): "Come dovrebbe risultare chiaro dal libro di Eddington, la TRR è valida a rigore solo in assenza di campo gravitazionale... Dato che gli esperimenti sono condotti quasi esclusivamente sulla Terra, c'è da chiedersi se la sicurezza da noi ostentata non sia in parte ingiustificata. Rassicureremo il lettore su questo punto facendo presente che gli effetti della gravità sulle esperienze citate sono del tutto trascurabili e comunque valutabili con facilità". Questa affermazione però origina anche un giro vizioso, perché evidentemente gli effetti della gravità si potrebbero valutare soltanto nell'ambito della TRG, la quale si fonda sulla TRR, che sarebbe proprio la teoria che le precitate esperienze dovrebbero mettere alla prova. Anche se si "cominciasse" subito con la TRG, l'osservazione resterebbe sempre "storicamente" valida per tutte le asserzioni della stessa natura fatte in favore della TRR quando la TRG non era stata ancora elaborata, non potendosi usare evidentemente per il calcolo di tali effetti la teoria della gravitazione newtoniana che è assolutamente non-relativistica. Questo è il solito problema delle "approssimazioni ad hoc", che si presenta tutte le volte che possibili effetti vengono esclusi "a priori" sulla base della loro solo teoricamente plausibile trascurabilità, perché non si è di solito capaci di formulare una teoria matematica veramente completa che dimostri tale trascurabilità per certa (vedi P.K. Feyerabend, Contro il metodo, Ed. Feltrinelli, 1984, p. 52 e segg.). 12 Val forse la pena di spendere una parola di più su questa possibilità dell'interazione col mezzo, degli effetti che possono conseguire dal trascurarla, e dei fenomeni altrimenti inesplicabili che invece proprio a lei potrebbero essere attribuiti. È ben noto come la meccanica classica, ovvero newtoniana, sia entrata in crisi quando non si riuscì per il tramite di essa a spiegare la stabilità delle strutture atomiche, o più in generale di rendere conto delle traiettorie delle particelle del mondo micro-fisico. Sia la TRR che successivamente la meccanica quantistica furono chiamate a supplire a tale fallimento, entrambe non procedendo però ad una autentica revisione della meccanica newtoniana, che per l'appunto trascurava tale possibilità dello spazio pieno e delle sue conseguenze, bensì al contrario "migliorandola" e portando i suoi principi alle estreme conseguenze, come è proprio il caso della TRR. La scelta di Einstein fu quella di "mantenere" il principio di inerzia, e quindi il concetto di "sistema di riferimento inerziale", e di estendere la validità del principio di relatività, che funzionava così bene nell'ambito della dinamica, anche a quello dell'ottica e dell'elettromagnetismo, nonostante tutte le implicazioni che ciò avrebbe significato. Ma, visto che la meccanica newtoniana stava già fallendo nel microcosmo, non sarebbe stato al contrario più opportuno abbandonare coraggiosamente alcuni suoi principi, anziché estenderne forse indebitamente l'ambito? Trascurare la presenza del mezzo potrebbe anche essere inessenziale per prevedere la traiettoria di una palla di cannone, ma probabilmente non quella di una particella che comincia ad avere lo stesso ordine di grandezza di "quelle", di natura ancora da determinare, che costituiscono il fantomatico mezzo! Fenomeni quali l'aumento della massa inerziale di un elettrone, con il quale si esprime il fatto che si incontra difficoltà ad accelerarlo di più quando sia già prossimo a velocità come quella della luce, non avrebbero potuto ascriversi più plausibilmente alla "resistenza" di tipo fluido-dinamico opposta dal mezzo? Anche la meccanica quantistica, ancor meno inquadrabile della relatività negli schemi della "razionalità classica", troverebbe invece una sua possibile "spiegazione" nell'ipotesi dell'etere: si segnalano qui ad esempio alcuni lavori di B.H. Lavenda ed E. Santamato, che cercano di dare della meccanica quantistica un'interpretazione che non impropriamente si potrebbe definire

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è "sentita", più o meno criticamente, l'incompatibilità tra le due diverse concezioni, che all'affermazione

della TRR non potevano non accompagnarsi, come di fatto si è poi verificato, non soltanto il rifiuto del

concetto di etere come di un'ipotesi scientifica ormai ritenuta superata, bensì un vero e proprio

atteggiamento di derisione e di discredito nei suoi confronti. Oggi chi osasse parlare negli ambienti

scientifici di etere o di consimili questioni, al di fuori di un ambito rigorosamente storico, passerebbe per un

oscurantista, o peggio per un provocatore, come colui che volesse intervenire ad un convegno medico

riproponendo l'importanza dell'influsso degli astri nell'evoluzione di una qualche malattia, un inguaribile

nostalgico che dimostrasse così di voler restare irrimediabilmente legato a teorie che non

rappresenterebbero altro che "il ciarpame della storia della stupidità umana".13

Ciò nonostante, l'ipotesi dell'etere è così naturale14, suggestiva15, esplicativa16, che tale concezione, ben

lungi dall'essere definitivamente tramontata, conosce di tanto in tanto una sia pur parziale ripresa. Si

potrebbe addirittura gridare "L'etere è morto, viva l'etere",17 visto che si comincia a parlare, anche se con

"cautela", dell'esistenza di un "nuovo etere", della possibilità di rilevare il movimento rispetto alla

"radiazione di fondo"18, di "nuove" interpretazioni delle esperienze di Michelson-Morley, Sagnac,

Michelson-Gale, etc.19

"classica" nel senso che qui stiamo illustrando ("The Underlying Brownian Motion of Nonrelativistic Quantum Mechanics", Foundations of Physics, Vol. 11, N. 9/10, 1981; "Stochastic Interpretations of Nonrelativistic Quantum Theory", Int. J. of Th. Physics, Vol. 23, N. 7, 1984 ). Citiamo dal primo: "Quantum indeterminism is explainable in terms of the random interactions between quantum particles and the underlying medium in which they supposedly move", e dal secondo: "It might perhaps be possible to develop a completely classical formulation of quantum mechanics based upon the irregular motion of a single Brownian particle immersed in a suspension of lighter particles". Così, i limiti della meccanica classica potevano essere ben evidenziati, a livello del microcosmo secondo quanto appena detto, ed a livello del macro cosmo in quanto le azioni, svolgendosi presumibilmente nel mezzo, ed anzi forse a causa di questo, non potevano, proprio per questa ragione, essere supposte istantanee, bensì dotate di una velocità finita, dipendente dalla costituzione del mezzo stesso (uno spazio veramente vuoto non dovrebbe offrire nessun tipo di resistenza, e quindi nessun limite alla velocità delle interazioni svolgentisi in esso, non così invece uno spazio "pieno"). Senza trascurare l'importanza delle acquisizioni che, permesse dallo sviluppo della fisica di questo secolo, hanno consentito di elaborare siffatte concezioni sconosciute ai tempi di Galileo e di Newton, pure sembra che la "sistemazione" che la stessa fisica ha poi, di fatto, di tali acquisizioni, effettuato si possa ritenere, per quanto fin qui detto, estremamente carente, e necessaria pertanto di revisione. 13 La citazione è tratta dall'Introduzione al libro di F. B"ll ed altri, Storia dell'astrologia, Ed. Laterza, 1979. Che non si tratti di esagerazioni è "dimostrato" dal fatto che addirittura si ritiene nel 1985 (proprio così, non nel 1685!) "non idoneo all'insegnamento nelle Università quale professore associato" il fisico palermitano Giuseppe Cannata, noto per alcuni suoi tentativi di rivitalizzazione del concetto di etere, con la giustificazione che siffatte ricerche "dimenticano ... nella TRR una delle spiegazioni più semplici" e che quindi "tali posizioni sono evidentemente sbagliate ed arretrate". Per il generale atteggiamento "persecutorio" ed "intollerante" della comunità scientifica internazionale (considerata a livello dei suoi quadri "dirigenti") sulla questione, si consulti ad esempio tutta l'opera del fisico-matematico R.M. Santilli (The Institut for Basich Research, 96 Prescott St., Cambridge, Massachusetts, USA), ed anche la successiva nota (23). Tutto ciò sembra significare che la questione coinvolge atteggiamenti non tanto scientifici quanto "ideologici", e la spiegazione di questo fenomeno può essere forse trovata nel lavoro citato nella nota (9), e nello studio del processo "storico" e delle "cause" di varia natura che portarono all'affermazione così indiscussa e reclamizzata del "personaggio" A. Einstein e della sua teoria (vedi anche la successiva nota (24)). 14 Già nel "Tractatus de Lumine", di C. Huygens, del 1690, è scritto: "Non c'è dubbio che la luce arrivi da un corpo luminoso a noi come moto impresso alla materia interposta" (citazione tratta da V. Ronchi, Storia della Luce, Ed. Laterza, 1953). Ma l'idea dell'"assurdità fisica" dello spazio vuoto è già in Anassagora e poi in Aristotele, fino a trovare piena dignità e sistemazione teorica in Cartesio. 15 Si può citare al proposito l'opera dello scienziato italiano Marco Todeschini, per il quale si potrebbero ripetere le considerazioni già fatte nella nota (11) a proposito di Niccolò Mancini. Pure, il sistema, se non vogliamo dire "scientifico", ma anche soltanto "filosofico", del Todeschini risulta quanto mai "attraente", e degno di essere considerato alla pari di altri ben più noti, ma molto meno ricchi di contenuti (vedi anche la nota (22)). 16 Oltre che capace di eliminare tutte le ben note sgradevoli implicazioni filosofiche, care naturalmente al "nichilismo" del pensiero "moderno", ed ai suoi progetti di "deantropocentrizzazione", come si è detto nella nota (13) la teoria dell'etere sembra anche capace di risolvere "razionalmente" questioni quale quella dei fondamenti della meccanica quantistica. 17 Da O. Gingerich, The aethereal Sky: Man's Search for a plenum Universe, The Great Ideas Today, Enc. Brit. Inc., 1979. 18 Questa, alternativamente all'opinione diffusa oggi secondo la quale consisterebbe della radiazione che ha riempito l'universo in seguito al mitico big-bang primordiale (teoria che, non lo si dimentichi, ha origine e plausibilità solamente in ambito relativistico), potrebbe invece costituire, conformemente con la teoria dell'etere, nient'altro che "l'oscillazione di fondo" di questo elusivo mezzo, ovvero, il residuo di tutte le "vibrazioni" che arrivano ormai smorzate dalle parti più lontane dell'universo. Un interessante lavoro di R. Monti (vedi nota (23)), "A. Einstein e W. Nernst: Cosmologie a confronto", esamina la questione del big-bang, fornendo un'interpretazione del red-shift sperimentale che ne è alla base come dovuto invece ad un fenomeno di assorbimento dell'energia della radiazione luminosa da parte del mezzo. Dalla lettura del lavoro in oggetto si traggono anche altre inaspettate informazioni storiche. La prima, che il cosiddetto "scopritore" della legge di espansione dell'universo, E. Hubble, era in realtà molto restio a considerare corretta l'interpretazione ormai ufficiale del red-shift come conseguenza di un effetto Doppler ("quando i dati sperimentali sono pesati in favore della teoria dell'espansione tanto pesantemente quanto può essere ragionevolmente ammesso, essi cadono ancora al di sotto delle aspettative" e "le discrepanze possono essere eliminate solo attraverso un'interpretazione forzosa dei dati"), fornendo così un altro di quegli esempi, ai quali accenna G. Sermonti (La luna nel bosco, Ed. Rusconi, 1985, p. 13), di una "prova", ritenuta "cruciale" per la validità di una teoria, che non viene invece ritenuta tale dal suo stesso scopritore! La seconda, che un premio Nobel come W. Nernst, pur conoscendo perfettamente ormai le interpretazioni relativistiche (1937), propone lo stesso tipo di spiegazione cui si è prima accennato, giungendo anche a prevedere l'esistenza della radiazione cosmica di fondo, e dichiarando la teoria dell'espansione "ben poco attendibile", di contro a quella alternativa

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A ben vedere, anche nella coscienza dello stesso creatore della relatività deve essere rimasta la sensazione

che la teoria dell'etere fosse stata troppo frettolosamente abbandonata (si potrebbe dire con Shakespeare

che, come le cattive azioni, anche le buone teorie risorgono, nonostante tutta la terra con cui si sia cercato

di ricoprirle), tanto da dedicare ad essa numerose attenzioni fino alla sua morte (anche se naturalmente

sempre in modo "non classico", sì da non incorrere in contraddizioni con il principio di relatività).20

Il presente lavoro vuole da parte sua assai modestamente21 contribuire a tale opera di "disseppellimento",

e ad alimentare il "gioco dei possibili", divulgando una "nuova" interpretazione del risultato "negativo"

dell'esperienza di Michelson-Morley. Si sfrutteranno per realizzare questo intento la "vecchia" ipotesi della

possibilità di un'effettiva alterazione subita dalle dimensioni dei corpi per effetto del loro movimento

nell'etere22, ed una recente osservazione del fisico bolognese Roberto Monti23, secondo il quale sarebbe in

di un universo stazionario, "coerente e fisicamente semplice", e "non in contrasto con nessun tipo di esperienza". Quanto alla relatività poi, Nernst la ignora come argomentazione del tutto irrilevante, meritandosi così in un necrologio che ne scrisse A. Einstein in persona la seguente opinione: "Fino a che non entrò in gioco la sua debolezza egocentrica, egli mostrò un'obiettività raramente riscontrabile, un senso infallibile degli aspetti essenziali, etc.". Si vuole terminare questa nota, nella quale le citazioni sono tratte dal detto lavoro di Monti , ricordando anche H. Dingle, il quale nel suo "Science at the crossroads", Martin Brian & Ò Keefe, Londra, 1972, scrive a proposito dell'interpretazione del red-shift come di un effetto Doppler che: "benché sia l'universale convinzione, è una speculazione delle più azzardate" (p. 217), probabilmente ignorando che si trattasse anche dell'opinione di uno scienziato come W. Nernst. 19 A prescindere dal complesso delle opere di R. Monti in proposito (vedi la successiva nota (23)), ed in particolare "The Michelson-Morley, Sagnac and Michelson-Gale Experiments", 1988, si possono ricordare vari lavori di S. Marinov, tra i quali "Measurement of the Laboratory's Absolute Velocity", Gen. Relativity and Gravitation, Vol. 12, N. 1, 1980, e quello di E.W. Silvertooth, Experimental detection of the ether, Speculations in Science and Technology, Vol. 10, N. 1, 1987. Si osservi esplicita mente come si tratta qui di ritorni alla teoria dell'etere intesa in senso "classico", e non di "finzioni matematiche" o costruzioni intellettuali comunque in accordo con la TRR! (vedi quanto detto nell'Introduzione e nella successiva nota (22)). 20 Si veda ad esempio "Einstein's conception of the ether and its up-to-date applications in the relativistic wave mechanics", di L. Kostro (Ist. di Fis. Sper.le, Un.tà di Danzica), Preprint. 21 Modestia non tale però da essere "intimorita" dall'ammonimento di Borel (Space and Time, Dover Pub.ns, NY, 1960): "coloro che sono ansiosi di rifiutare o anche solo di discutere la TRR dovrebbero prima assumersi il compito di studiarla attentamente" e "non è discutendo un articolo, o anche un piccolo libro come questo, che si può sperare di demolire una teoria i cui elementi essenziali si possono spiegare soltanto con l'aiuto di numerosi sviluppi e di innumerevoli formule matematiche", sicché "fisici e matematici a prima vista alquanto scettici...hanno adottato ora un comportamento più prudente e cessato di scrivere sul soggetto della TRR" (p. 193). Analogamente, G. Cavalleri avverte che "mettere in discussione la coerenza interna della TRR dopo che per quasi 80 anni vi hanno lavorato molti fisici, e parecchi dei migliori, è insensato" (Recente riformulazione della teoria della relatività speciale e possibilità di discriminazione sperimentale fra le conseguenze dell'impostazione di Einstein e di quella di Lorentz, L'Elettrotecnica, Vol. 71, N. 6, 1984). Il fatto è che la "coerenza interna" di una teoria appartiene esclusivamente al suo strutturarsi in argomentazioni matematiche, mentre quella che si vuole, e si può, mettere in discussione è la sua verosimiglianza, o plausibilità fisica. È sotto tale aspetto che si può ritenere, senza essere necessariamente dei "folli", che forse la teoria è completamente sbagliata, e possibilmente responsabile di un mancato progresso nella conoscenza della natura e della sua reale essenza (meta questa alla quale gran parte dei fisici non credono più, neanche a livello di aspirazione). Questo autore ritiene invece che si possa trasferire al caso in esame quanto sostenuto da P.K. Feyerabend, secondo il quale "la metodologia è oggi così affollata da ragionamenti raffinati e vuoti che è estremamente difficile percepire i semplici errori alla base", e che quindi "l'unico modo di conservare il contatto con la realtà è di essere rozzi e superficiali" (da "Come difendere la società contro la scienza", apparso su "Rivoluzioni scientifiche", a cura di I. Hacking, AA. VV., Ed. Laterza, 1984). Tanto per effettuare una sorta di auto-analisi sui motivi "etici" che hanno spinto l'autore alla compilazione di questo lavoro, oltre agli scopi, sin dall'inizio dell'impresa ben presenti, di mostrare solidarietà con coloro che sono impegnati su questo nuovo "fronte", e di aiutare con questo tipo di ricerca coloro che si fossero arenati nello stesso tipo di "secche" intellettuali, c'era probabilmente anche la convinzione di fondo che bisogna comunque ripercorrere il cammino già fatto dagli altri, senza avere paura degli "errori", poiché questo è in ogni caso l'unico modo per capire veramente bene le questioni, e farle proprie: "per i valori dello spirito come per quelli materiali dell'economia, sussiste una legge di degradazione: non si può goderne pacificamente il possesso ereditario, se non si rinnovino ricreandoli nel proprio sforzo di intenderli e di superarli" (da F. Enriques, Le matematiche nella storia e nella cultura, Ed. Zanichelli, Bologna, 1938, p. 153). 22 Questa ipotesi fu lanciata per il primo dal FitzGerald, il quale però sembra non abbia lasciato alcuna traccia scritta della sua congettura. Di essa si parla però in una comunicazione di Sir O. Lodge alla rivista "Nature" nel 1892, ed è ancora riportata in un testo di Lodge, "The ether of space", Ed. Harper, 1909. Lorentz riprese, sembra indipendentemente dal FitzGerald, ed in ogni caso in modo diverso (come si vedrà nel testo), tale idea già dal 1892, e la sviluppò ulteriormente in una serie di lavori fino al 1904. L'ipotesi in questione sembra abbastanza capace di spiegare non soltanto l'esperienza di Michelson-Morley, ma anche tutta una serie di "fatti" che sono alla base delle cosiddette conferme sperimentali della TRR. Se si consulta un testo come quello di R. Resnick, (Introduzione alla relatività ristretta, Ed. Ambrosiana, 1969), si può constatare come l'unico degli esperimenti "famosi" che risulterebbe in disaccordo con questo tipo di interpretazione sembrerebbe essere quello di Kennedy-Thorndike (vedi la p. 36 del testo citato), ma a proposito di questo esperimento si dice anche che "is a very difficult and time-consuming experiment to perform", e che questa è probabilmente la ragione per cui "no modern high-precision versions of this experiment has been attempted" (vedi R. Mansouri e R.U. Sexl, A Test Theory of Special Relativity, III, General Rel. and Gravitation, Vol. 8, N. 10, 1977)). Questa possibilità "effettiva" delle alterazioni delle dimensioni dei corpi a causa del moto nell'"etere", viene ripresa anche nel lavoro di G. Cavalleri citato nella nota (21), nel quale essa viene indicata come una di quelle capaci di spiegare tutto quanto spiega anche la TRR, ed anzi si aggiunge che: "dei due punti di vista di Einstein e Lorentz uno solo sopravviverà" e "se dovessi scommettere, punterei su quello di Lorentz", "perché basato su una causa fisica dei fenomeni relativistici che, tra l'altro, permette di comprenderli in modo realistico ed intuitivo". Nonostante il lavoro in oggetto appaia in parecchi punti "ben orientato", pure sembra in esso costantemente presente soprattutto la "preoccupazione" di non far apparire alcun tipo di "contraddizione" con le interpretazioni

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effetti possibile di determinare per via sperimentale il famoso "vento d'etere", o se si preferisce il

coefficiente di aberrazione b , distinguendo opportunamente tra misure della velocità cinematica e della

velocità elettromagnetica della luce, conformemente a quanto si faceva nei primi decenni di questo secolo,

e non si è poi più fatto di fronte alla crescente adesione della comunità scientifica internazionale

all'impostazione relativistica24.

Oltre a sviluppare tali considerazioni in una forma alquanto riveduta rispetto a quella originale del Monti,

ed a pervenire così ad una diversa determinazione numerica del valore di b , con una stima del "vento

precedentemente accettate dall'ortodossia scientifica , tanto che il "nuovo etere" non dovrebbe essere più immaginato come un "fluido", bensì "come un "campo di forze", e precisamente di natura elettromagnetica, "non eserciterebbe attrito sui corpi che si muovono rispetto ad esso, contrariamente a quanto avviene per un fluido", ma non si capisce se esso deve essere anche concepito in modo tale da non impedire in alcun modo la validità del principio di relatività (vedi le note (10) e (19)). Questo "nuovo etere" sarebbe originato da tutti gli irraggiamenti di tutte le particelle dell'universo, ma restano comunque dal punto di vista classico molte obiezioni. A parte il fatto che non si capisce perché debba essere privilegiato l'aspetto elettromagnetico delle forze, si può ad esempio ribattere che tale etere non potrebbe di conseguenza neppure essere pensato in assenza di queste, e non si potrebbe quindi nemmeno cominciare il ragionamento con cui inizia la TRR, che abbiamo visto si occupa in prima approssimazione soltanto delle leggi valide in uno spazio "privo di materia". Inoltre, resta senza risposta il vero problema riassunto nella domanda se veramente la luce possa essere pensata come fenomeno fisico indipendente da tale campo, o se invece è l'esistenza di quel campo la premessa necessaria per il verificarsi del fenomeno luce. Nell'ultimo caso, bisognerebbe spiegare bene perché lo stato di moto o di quiete rispetto al campo (ovvero alle particelle che lo generano) sia irrilevante ai fini della determinazione della velocità della radiazione luminosa. Nel lavoro in questione si congettura anche validamente che "esso potrebbe spiegare il campo gravitazionale come un addensamento di etere attorno ai corpi", ma resterebbe sempre il problema che un siffatto campo elettromagnetico, per di più addensato (cosa potrebbe voler dire un "addensamento" di un campo, se non una sua maggiore "intensità"?), dovrebbe poter essere rilevato come tale, cioè con effetti di natura elettromagnetica molto marcati, e non sembra che ci siano evidenze sperimentali in favore di questo fatto, come pure a sostegno dell'ipotesi che l'etere non eserciterebbe comunque "attrito". Del resto, proprio il concetto di campo di forze, con il quale si tenta così di reintrodurre un etere "non classico", ovvero in definitiva di privare l'etere di una sua fisicità reale, è una di quelle finzioni matematiche di cui si diceva all'inizio e in varie parti di questo lavoro (vedi anche la nota (11) a proposito del concetto di forza in una teoria dell'etere mobile). Nella visione di un etere ispirata alla fluido-dinamica il concetto di campo di forze scompare per essere sostituito da quello di "campo di velocità", il quale sarebbe poi lui a determinare i vari tipi di "forze", che ci appaiono con caratteristiche differenti, pur avendo origine da un'unica causa, l'interazione del "mezzo" con i vari "corpi" in esso immersi. In altre parole, "reali" sarebbero soltanto i diversi stati di moto delle varie parti del "fluido", e anziché concepire questo come campo di forze, lo si dovrebbe concepire come sorgente di forze. Ad esempio, per questo "mezzo" sarebbe possibile parlare di una temperatura propria, mentre cosa sarebbe la "temperatura di un campo di forze"? La possibilità concettuale che è stata appena esposta si ispira in larga parte alle concezioni di Faraday, ma proviene direttamente dalla cosmologia di Cartesio (e di Leibniz), ed è l'oggetto del più importante dei lavori di M. Todeschini ( vedi anche le note (11) e (15)): La Teoria delle Apparenze, Ist. It. di Arti Grafiche, Bergamo, 1949. 23 Il Dott. Roberto Monti lavora a Bologna, presso l'Istituto TE.S.R.E. del C.N.R.. Finora le sue argomentazioni sono apparse per lo più soltanto su scritti a circolazione assai limitata, a causa delle difficoltà che l'ambiente accademico "ufficiale" ha frapposto anche soltanto ad una divulgazione delle sue idee, opponendo loro quella che non può non essere considerata come una vera e propria forma di censura scientifica preventiva. 24 Su questo argomento è stato scritto moltissimo, ma un rapido cenno non può trascurare, oltre le ragioni "filosofiche" che sono state spesso evidenziate, anche la tendenza della fisica di questo secolo di privilegiare l'aspetto "matematico" delle teorie, e quindi la loro "bellezza" ed armonia interna. Ad esempio H. Bondi ritiene "intollerabile" la possibilità che "tutti i sistemi inerziali siano equivalenti da un punto di vista dinamico ma distinguibili con misure ottiche" (citazione tratta dal testo di R. Resnick, vedi nota (22), p. 37), ed in effetti la TRR da questo punto di vista è più semplice di altre, soprattutto se si tiene conto che la meccanica dei fluidi non ha ancora sviluppato un formalismo matematico che sia del tutto conveniente ad inquadrare la "teoria dei vortici". In altre parole, si tende ad "imporre" alla natura dei principi ideali che ne rendano agevole la descrizione in termini matematici, ciò che tra l'altro rende esclusiva e da specialisti la scienza, e dà modo anche ai matematici di essere soddisfatti nel vedere un'insperata applicazione delle loro più astratte costruzioni . Questo aspetto, che non si ha esitazione nell'indicare come "ludico", non tiene naturalmente in nessun conto l'ammonimento di F. Bacone, secondo il quale la matematica "è al termine della filosofia naturale, ma non la deve generare né procreare" (Novum Organum, II, 96 - citazione tratta da N. Abbagnano, Storia della Filosofia, Ed. UTET, 1982, Vol. II), ed è chiara mente descritto nelle seguenti parole di H. Dingle (loc. cit. nella nota (18), p. 122): "Si è sviluppata nella comunità scientifica la consuetudine di assumere che una teoria fisica è ben fondata quando la sua matematica è impeccabile: la questione relativa al se c'è nulla in natura corrispondente a questa impeccabile matematica non è considerata una questione". Sempre in questo aspetto ludico si può far ricadere l'ovvia tendenza di gradire di più cose nuove e bizzarre, come erano ad esempio la TRR e la meccanica quantistica, che non l'austera impostazione classica sperimentale (si veda ad esempio il testo di G. Gamow, My World Line - An Informal Autobiography, Viking Press, NY, 1970, per avere un'idea dei tempi e dell'ambiente). Forse proprio a questo aspetto si può far risalire il fatto che in realtà la TRR ebbe, non solo nei primi tempi, ma anche successivamente, autorevolissimi "oppositori", e che soltanto dopo la fine della II Guerra Mondiale, con l'enfasi data alla celebre formula E = m c2 , come "ragione" della bomba atomica e dell'energia nucleare, sulla questione della sua accettazione si è poi riscontrata una pressoché totale uniformità di consensi. Va tenuto inoltre presente che i fisici tedeschi (ma non furono i soli - si veda il libro di Gamow appena citato sulle "accuse" di "idealismo" avanzate contro la TRR in Unione Sovietica) continuarono a trattare la TRR come una teoria "errata", ed a sostenere teorie del tipo dell'etere. Tutto sommato, sembra che le dispute siano state, giustamente del resto, più propriamente di natura filosofica ed ideologica che non strettamente scientifica (e ciò nonostante "i fisici" tengano moltissimo a mostrarsi "estranei" alla filosofia! - vedi anche la successiva nota (28)), e forse proprio a questo si deve imputare una certa perdurante "animosità" che si riscontra nel tentativo di discutere serenamente ed oggettivamente di questo tipo di questioni, quasi che siano ancora troppo vicine nel tempo certo genere di "ferite" (sul particolare aspetto della situazione della fisica in Germania e nel III Reich si veda l'interessantissimo testo di A.D. Beyerchen, Gli scienziati sotto Hitler, Ed. Zanichelli, Bologna, 1981). A proposito infine di "storia" della TRR, non si può non citare il testo di S. Goldberg, Understanding Relativity, Clarendon Press, Oxford, 1984, che compie un'analisi ampia e rigorosa sulla storia dell'accoglienza riservata alla TRR da parte delle varie scuole "nazionali", e del suo definitivo successo.

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d'etere" che risulterà essere sorprendentemente vicina come ordine di grandezza a quelle recentemente

ottenute a partire dall'anisotropia della radiazione di fondo, si preciserà qui anche come le ipotesi di

FitzGerald e di Lorentz, benché appartenenti allo stesso ordine di idee, debbano considerarsi in realtà ben

distinte, sicché dovrebbe parlarsi più propriamente di un'ipotesi della dilatazione di FitzGerald e di

un'ipotesi della contrazione di Lorentz, anziché, come si fa oggi genericamente, dell' ipotesi della

contrazione di Lorentz-FitzGerald25.

Non sarebbe forse necessario di dirlo, ma la "spiegazione" dell'esperimento di Michelson-Morley qui

contenuta, assieme alle sue eventuali conseguenze in ordine alla possibile determinazione per via

sperimentale del coefficiente b , viene proposta a puro titolo di possibilità logica26, e come contributo alla

discussione sui "fondamenti", che dovrebbe essere sempre "viva", e non mai cedere alla forza (questa sì

autentica! - vedi la nota (22)) costituita dalla "inerzia del pensiero". Resta in ogni caso la sensazione di

fondo che, nonostante l'apparente sicurezza con la quale ci si riferisce oggi alla "validità" della TRR27, e

teorie derivate, non tutto si possa considerare proprio chiaro e definitivo sull'argomento, e che quindi una

revisione, o meglio una "rivoluzione", sia ancora, oltre che possibile, anche necessaria.

25 Un autore che non incorre in tale equivoco è H. Dingle, vedi testo citato nella nota (18), dal quale il presente autore ha ripreso tale osservazione. 26 Sembra, infatti, che si possano immaginare anche altre diverse possibilità, tutte abbastanza "ragionevoli", sulle quali non è il caso di soffermarsi qui. Semmai, sarebbe opportuno aggiungere qualche considerazione sul fatto che, nonostante quanto riportato nella nota (22) a proposito di questo tipo d’ipotesi, esse siano state sostanzialmente all'epoca rifiutate, non sulla base di motivazioni sperimentali, bensì in quanto sentite come ipotesi "ad hoc" e di natura "artificiale". In realtà va tenuto presente che tali congetture erano state avanzate non tanto, o non solo, per dar ragione con qualche espediente matematico del risultato negativo dell'esperienza di Michelson-Morley, bensì provenivano anche da precise considerazioni fisiche sulla struttura della materia, intese queste naturalmente adeguate alle conoscenze dell'epoca. FitzGerald riteneva ad esempio che le forze di coesione molecolare fossero di origine elettrica, sicché l'alterazione della dimensione di un corpo nella direzione trasversale al moto nell'etere (vedi il paragrafo N. 2 nel testo) avrebbe potuto spiegarsi con una diminuzione della forza di attrazione molecolare in tale direzione, causata da una forza di repulsione del tipo di quella che si esercita tra due correnti elettriche svolgentisi in direzioni opposte. 27 Quasi al termine di questa lunga, ma necessaria, Introduzione, val forse la pena di accennare anche brevemente a come ci si riferisca nelle divulgazioni a tale validità, con un paio di esempi che stanno a smentire il comodo "rifugio" costituito dalla tesi secondo la quale le teorie scientifiche non sarebbero altro che dei "modelli", che gli scienziati elaborano a fini di "utilità" nei loro esperimenti, e che non hanno nessuna pretesa di "verità". Certa mente, se questa fosse l'impressione che la comunità scientifica lascia trasparire al suo esterno, venendo così a perdere parte del prestigio che le viene conferito nelle società moderne basate sui valori dello sviluppo tecnologico, non ci sarebbe molto da obiettare. Il fatto è che in realtà così non è, perché nonostante la copertura costituita dallo "scetticismo" filosofico, pure qualunque essere umano tende ad elevare a sistema le conclusioni alle quali perviene, e quindi anche quelle della scienza. Questa produce non soltanto tecnologie al livello materiale, ma anche "spiegazioni" a quello spirituale, ed il rispetto dal quale è circondata oggi si fonda non soltanto sulla prima causa. Di fatto, le seguenti citazioni, scelte tra mille, ne danno "prova": "Einstein's Theory of Relativity has advanced our ideas of the structure of the cosmos a step further. It is as if a wall which separated us from Truth has collapsed" ("Truth" ha iniziale maiuscola nel testo, anche se probabilmente non per "colpa" dell'autore, bensì per eccessivo entusiasmo del traduttore, tenuto conto che nell'originale tedesco il corrispondente "Wahrheit" doveva essere in maiuscolo per forza!); "Un oscuro impiegato dell'Ufficio dei brevetti di Berna vide la verità laddove scienziati autorevoli l'avevano sfiorata senza riconoscerla"; "La possibilità che un dubbio sulla TRR possa essere accolto è la stessa che avrebbe un dubbio sul sistema copernicano", "Nessun fisico, a meno che sia folle, può mettere in dubbio la TRR", e così via (citazioni tratte da: H. Weyl, Space - Time - Matter, Dover Pub.ns, NY, 1952; T. Regge, Cronache dell'Universo, Ed. Boringhieri, 1981, e Appendice a "Spazio, Tempo e Gravitazione", già citata nella nota (10); I. Asimov, The two masses, Mercury Press, 1984). È abbastanza comico osservare che in siffatti termini di sicurezza si esprimevano anche i fisici della fine del secolo scorso, quando invece la teoria dell'etere era ben viva e vegeta ("L'unica nube nel cielo limpido della teoria dell'etere è il risultato dell'esperimento di Michelson-Morley", Lord Kelvin, 1900; "La probabilità dell'ipotesi dell'etere sfiora la certezza", Chwolson, 1902), e per contro abbastanza drammatico che le condizioni nelle quali si trova attualmente la fisica diano origine a situazioni quali la seguente dimostrazione di difficoltà intellettuale nella quale si dibatte un certo G. Della Casa (in un articolo dal titolo "Fisica e Magia" apparso su Selezione dal Reader's Digest; l'anno di pubblicazione è purtroppo ignoto al presente autore). Questi presta evidentemente "troppa" attenzione alle dispute degli scienziati, e troppa fede nella "superiorità" delle loro tesi (probabilmente perché, al contrario di quelle dei "filosofi", basate sui "fatti", ma dimenticando, per usare un'espressione del Dingle - vedi nota (18) - che questi pretesi "fatti" non sono sovente altro che "implicazioni remote di teorie possibilmente erronee"); e scrive di conseguenza: "Bisogna ammettere che non si riesce a farsi un'immagine mentale soddisfacente di certe astrazioni della fisica moderna, ma tali difficoltà non possono essere considerate come argomenti validi contro una visione del mondo che ha dalla sua parte l'esperienza e la logica. La causa di queste difficoltà deve pertanto ricercarsi nella nostra struttura o nell'inerzia a modificare abiti mentali di lungo uso ... non si addice troppo al modo di funzionare del nostro povero cervello di mammiferi primati"!

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2 - INTERPRETAZIONE DELL'ESPERIENZA DI MICHELSON-MORLEY DAL

PUNTO DI VISTA DI FITZGERALD E LORENTZ

Consideriamo un interferometro di Michelson-Morley OSxSy "semplificato" come in figura:

*** Figura 1 ***

riferendolo ad un sistema di assi cartesiani x, y mobili nell'"etere" con velocità, che diremo assoluta, v0, e

che supporremo per semplicità parallela all'asse delle x . Nella figura compare anche un altro sistema di

riferimento ( W x' y' ) , che rappresenta un sistema "assoluto", ovvero, solidale con il mezzo. Non si tratta

naturalmente di un riferimento "effettivo", ma di uno che viene introdotto dal punto di vista "teorico"

soltanto allo scopo di fornire un punto d'appoggio per i calcoli ed arrivare così ad una spiegazione anche

quantitativa dei fenomeni in discorso. Come ben noto, il risultato del celebre esperimento di Michelson e

Morley si può enunciare sommariamente al seguente modo: Due raggi di luce emessi simultaneamente da

O e riflessi dagli specchi Sx ed Sy ritornano in O nello stesso istante, ovvero, la velocità della luce nei due

bracci dell'interferometro è sempre la stessa (circostanza che viene rivelata dall'assenza di fenomeni di

interferenza ottica in O ).

Veniamo alla spiegazione di questo fenomeno nell'ipotesi di un'effettiva alterazione delle dimensioni dei

corpi subita a causa del movimento nell'etere. Si suppone cioè che i due bracci dell'interferometro, che

"appaiono" avere la stessa lunghezza L all'osservatore solidale con esso, abbiano in realtà subito per effetto

del moto nell'etere un'alterazione nelle loro effettive dimensioni, e precisamente tale che il braccio

parallelo all'asse delle coordinate sia in realtà diventato (ovvero, rispetto al riferimento assoluto) di

lunghezza KLL, e l'altro di lunghezza KTL, essendo KL e KT due coefficienti di deformazione, il primo dei quali

diremo longitudinale, ed il secondo trasversale.

Più precisamente, si suppone che esista un "tensore" di deformazione, diciamolo T , dipendente nelle

attuali ipotesi soltanto dal modulo v0 della velocità assoluta, che nel riferimento prescelto ammette una

rappresentazione diagonale il quale fornisce per ogni regolo rigido di coordinate (a, b) in (O x y ) le

rispettive coordinate (a', b') in (W x' y' ) come

(1) (a',b') = T (a,b) = (KL*a , KT*b).

Ne consegue che coppie di vettori ortogonali v, w , dei quali uno dei due sia parallelo alla direzione del

moto, sono tali che i due vettori Tv e Tw sono ancora ortogonali, e che è possibile usare del teorema di

Pitagora per la determinazione della lunghezza di un vettore (a, b) da un riferimento all'altro. Una

lunghezza L nel riferimento mobile, determinata mediante la relazione √ , corrisponderà nel

riferimento assoluto ad una lunghezza "reale" KqL :

(2) KqL = √ .

Page 11: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

Nella (2) K(q) rappresenta il coefficiente di deformazione delle lunghezze nella direzione q, e poiché a = L

cos(q), e b = L sin(q), risulterà

(3) K(q) = √ .

Nota I - Si noti bene che nelle ipotesi attuali dalla <v,w> = O non consegue necessariamente in generale che

anche <T(v),T(w)> = 0 (se v non è parallelo all'asse delle x), e l'angolo q che fornisce la direzione del regolo

rigido nel riferimento mobile diventa in quello assoluto un angolo q ' legato al precedente dalla relazione:

(4) tgq ' = (KT/KL)*tgq .

Il tensore T fornisce le seguenti trasformazioni di coordinate dal riferimento mobile a quello assoluto:

(5) x' = v0*t + KL*x ;

y' = KT*y ;

avendo designato con t un tempo assoluto misurato in ( W x' y' ) .

Le (5) coincidono sostanzialmente con le prime due equazioni della trasformazione di Lorentz relativa al

caso in esame. Ad esse aggregheremo una terza equazione che fornirà la legge di trasformazione dei tempi

misurati nei due riferimenti. Scriveremo:

(6) t = A*t , per qualche coefficiente A (dipendente solo da v0)

avendo indicato con t un tempo locale, o relativo, misurato da un osservatore solidale con il riferimento

mobile, ed intendendo con ciò:

a) che il tempo viene misurato nei due riferimenti da orologi identici, ovvero, che le misure del tempo

si basano sul medesimo principio;

b) che la misura del tempo nel riferimento mobile (la quale sarà determinata: o mediante un oggetto

materiale, il quale subirà per effetto del movimento nell'etere un'alterazione del tipo di quella

precedentemente indicata; o mediante l'osservazione di un fenomeno "ciclico", il quale, sempre

per la stessa ragione, si potrà percepire "alterato" da un riferimento all'altro) non coinciderà più

necessariamente con quella che fornisce il tempo t , ma si comporterà secondo una legge quale la

(6) , nella quale potrebbe in qualche caso anche verificarsi l'eventualità A = 1 ;

c) che in tale ipotesi di deformazione dei tempi il coefficiente A sarebbe pertanto non solo funzione

del modulo della velocità assoluta v0 , ma anche, o meglio soprattutto, del tipo di orologio

prescelto, dovendo essere possibile in linea di principio determinare il coefficiente A una volta che

siano noti i coefficienti di deformazione longitudinale e trasversale, oltre che evidentemente il

principio di funzionamento dell'orologio, o del fenomeno prescelto alla base della convenzione

utilizzata per la misura del tempo (nulla esclude, ed anzi ci si deve aspettare, che il valore del

coefficiente A possa essere DIVERSO per misure del tempo funzionanti con principi diversi; ovvero,

Page 12: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

la (6) non esprimerà una trasformazione del tempo nei due riferimenti, bensì strettamente soltanto

della sua MISURA).28

Nota II - Quanto precede conduce ad immaginare un gedanken-experiment, che sarà oggetto di un altro

lavoro, con il quale si possa tentare di risolvere il dilemma galileiano costituito da un osservatore che cerca

di determinare l'eventuale moto uniforme della nave sulla quale è situato!

Ciò premesso, il risultato dell'esperienza di Michelson-Morley ci permette di determinare una relazione alla

quale KL e KT debbono soddisfare (relazione che si può dire viene così ottenuta per via sperimentale).

Il raggio di luce uscente da O in direzione dello specchio Sx compirà infatti, dal punto di vista

dell'osservatore "assoluto", il tragitto KLL + v0*Dt 'x in un tempo Dt 'x alla velocità (scalare) c0 , ove con tale

valore si indichi la velocità della luce nell'etere. Tale velocità, coerentemente con l'ipotesi sulla natura

28 È consuetudine di molti fisici di mostrare "fastidio" di fronte alle obiezioni filosofiche sulla natura dello spazio e del tempo quale risulterebbe dall'uso che ne viene fatto nella TRR, obiettando che essi non si interessano di problemi filosofici, e limitandosi a dire ad esempio che il tempo è "quella cosa" che viene misurata da certi strumenti chiamati orologi, e che soltanto su queste misure, e non su astrattezze metafisiche, la scienza fisica ha competenza. Pure, non sembra insensato il ritenere che se tutte le misure fisiche del tempo, comunque effettuate, si comportassero veramente sempre nello stesso identico modo nel passaggio da uno dei due riferimenti all'altro, indipendentemente dalla convenzione usata per la misura, allora tale circostanza sarebbe invero capace di generare un "concetto fisico" del tempo il quale verrebbe ad avere le stesse caratteristiche di "universalità" di quello metafisico. Si osservi esplicitamente che nel modello esposto nel presente lavoro si ha a che fare con un solo osservatore in ciascun riferimento, e quindi con un solo orologio per riferimento, sicché la proposta relazione (6) assume l'aspetto di una identità di origine sperimentale, causata ad esempio come si è detto dalle possibili alterazioni degli strumenti di misura per effetto del moto nell'etere. L'autore sa perfettamente di non aver toccato così quello che si ritiene uno dei punti salienti della TRR, ovvero la sua pretesa "operatività" in ordine alla definizione delle grandezze fisiche, ed in questo caso quindi alla "definizione del tempo" usando come metodo una sincronizzazione degli orologi mediante lo scambio di segnali luminosi, e conosce l'obiezione secondo la quale gli aspetti in discussione non sarebbero comunque paradossali, perché le variazioni previste sarebbero proprio causate dalla stessa convenzione che viene usata per "coordinare" tra loro tutti gli orologi degli osservatori solidali con lo stesso sistema. Gli basterà dire di non essere mai stato evidentemente capace di apprezzare l'impostazione einsteiniana del problema, e che comunque la convenzione proposta da Einstein, tra le tante possibili!, ripone la propria plausibilità sull'ipotesi dello spazio vuoto, e sulla "costanza della velocità" di trasmissione dei segnali, ipotesi che qui per l'appunto si sono presunte prive di fondamento fisico (le argomentazioni di Einstein in proposito potrebbero essere prese "in positivo" soltanto come un'indicazione delle reali difficoltà, non solo di natura operativa, ma anche di carattere teoretico, che si incontrerebbero nel tentativo di definizione di una "misura in grande" del tempo). Da quanto precede risulta comprensibile pertanto che i "filosofi" in questo stato di cose possano identificare i due termini della questione, o meglio si sentano necessariamente spinti ad esaminare la possibilità di sostituzione dell'un termine con l'altro, e parlino quindi tout court della "teoria del tempo" nella TRR. L'ipotesi qui presentata elimina senz'altro ogni possibile confusione tra i due livelli del discorso: il tempo continua a restare un referente assoluto e soggettivo nel quale l'osservatore inquadra i suoi ragionamenti di filosofia naturale; la misura del tempo viene effettuata soltanto in una certa regione dello spazio, sulla base dell'osservazione di una catena di eventi ritenuta per convenzione periodica, per coordinare ed oggettivizzare le "variazioni di tempo" e rendere così possibile la comunicazione interpersonale tra diversi osservatori. Il fatto che il risultato di tali misure possa poi cambiare per effetto del moto relativo di due osservatori, in funzione del tipo di convenzioni usate, e per la misura, e per la comunicazione tra gli osservatori, non sarebbe più tanto sorprendente nell'ipotesi che queste alterazioni siano dovute al mezzo nel quale il moto avviene, e comunque sarebbe del tutto irrilevante dal punto di vista filosofico. In ogni caso, l'importanza filosofica della teoria della relatività non può essere superficialmente sottovalutata, come ben rileva il Reichenbach in “Il significato filosofico della teoria della relatività” (apparso su "Albert Einstein scienziato e filosofo", AA. VV., Ed. Boringhieri, Torino, 1958). Terminiamo la nota aggiungendo che l'ipotesi di una possibile alterazione dei tempi misurati nei due riferimenti precede la TRR di Einstein, ed anche l'introduzione delle trasformazioni di Lorentz, in quanto fu già avanzata, nello stesso ordine di idee qui indicato, da J. Larmor nel suo "Aether and Matter", Cambridge, 1900, sulla scia delle concezioni di FitzGerald. Va da sé, il coefficiente a' potrebbe a posteriori porsi sempre uguale ad 1 , effettuando eventualmente una nuova graduazione della scala degli orologi, sicché non si esce in realtà in questo ambito da quello del tempo assoluto (è proprio per questo, come si diceva, che la soluzione proposta non viene in urto con le ordinarie categorie di spazio, tempo e causalità; in particolare, il concetto di simultaneità viene ovviamente mantenuto nei due riferimenti). Pure, la (6) in quanto tale sembra significativa perché capace di prevedere le possibili alterazioni, che si sono anche riscontrate sperimentalmente, tra la misura del tempo di orologi "mobili" rispetto ad orologi "fissi", le quali non dovrebbero destare alcun tipo di "sorpresa" nell'ordine delle idee qui descritte. È naturalmente proprio a proposito della legge di trasformazione (6) che la teoria qui presentata si discosta completamente dal formalismo della TRR, ovvero, dall'analoga legge espressa nelle trasformazioni di Lorentz. La circostanza che le equazioni di Maxwell non risultino invarianti per il complesso formato dalle (5) e dalla (6) costituisce, nell'ordine delle idee che vengono qui seguite, un fenomeno del tutto irrilevante, perché è proprio la validità del principio di relatività, e di conseguenza la definizione di "legge fisica", che qui si mettono in discussione. Le equazioni di Maxwell avrebbero validità soltanto relativamente ad un riferimento solidale con il mezzo, ed anche qui dovrebbero essere in ogni caso scritte nella forma che tiene conto delle proprietà fisiche del mezzo, e non in quella che si usa in tutti i testi con riferimento allo spazio "vuoto". In particolare, non dovrebbe essere omesso il coefficiente σ0 relativo alla conducibilità elettrica del mezzo. Tale termine viene invero posto arbitrariamente uguale a zero nello spazio "vuoto", mentre il Monti già citato (vedi nota (23)) proprio da questo fattore di "smorzamento" fa dipendere la sua (e di W. Nernst, vedi nota (18)!) interpretazione del red-shift, giungendo addirittura a determinare con argomentazioni di natura astronomica un suo presunto valore, che sarebbe pari a circa (2.85) 10-29 (ohm*metri)-1. Poiché, come vedremo, sia il coefficiente di aberrazione b che questo coefficiente σ0 risulterebbero, secondo le teorie qui divulgate, entrambi "molto piccoli", non ci sarebbe allora da stupirsi che in prima approssimazione le previsioni quantitative della TRR risultino esatte, mentre del tutto errate sarebbero invece i suoi fondamenti qualitativi, e le sue estrapolazioni a grande scala, che sono quelle che conducono ad esempio alle cosmologie "relativistiche", quali ad esempio il big-bang di cui si è parlato nella nota (18).

Page 13: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

ondulatoria della radiazione luminosa, risulterà indipendente dallo stato di quiete o di moto della sorgente

nel mezzo di propagazione. Se ne dedurrà quindi l'identità:

(7) KLL + v0*Dt 'x = c0*Dt 'x ,

mentre analogamente, per il percorso di ritorno, sussisterà la formula:

(8) KLL - v0 Dt "x = c0*Dt "x .

Dalle (7) ed (8) si dedurrà che:

(9) Dt x = tempo totale impiegato dal raggio di luce per tornare in O

= Dt 'x + Dt "x = KLL/(c0 - v0) + KLL/(c0 + v0) = 2KLL/ c0 (1-b 2) ,

avendo posto secondo consuetudine

(10) b = v0/co = coefficiente di aberrazione.

Ripetendo lo stesso ragionamento in direzione trasversale al moto, e considerando il "reale" tragitto

effettuato dal raggio di luce come indicato in figura:

*** Figura 2 ***

si otterrà

(11) Dt 'y = Dt "y = KTL/c0*√ ,

ovvero

(12) Dt y = tempo totale = 2KTL/ c0*√ .

Orbene, il risultato dell'esperienza di Michelson-Morley ci assicura che

(13) Dt x = Dt y

(che è lo stessa cosa che Dtx = Dty - con ovvio simbolismo, i Dt sono i corrispondenti dei Dt nel riferimento

mobile).

Dalla (13) si deduce infine, tenuto conto di (9) ed (11), la relazione fondamentale:

(14) KL/KT =√ ,

Page 14: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

che esprimeremo anche dicendo che:

ogni valore dei coefficienti KL e KT per i quali risulti soddisfatta la (13), spiega anche perfettamente

l'esperienza di Michelson-Morley, e viceversa.29

In altre parole, la relazione (14) è esattamente equivalente all'ipotesi che le due velocità relative:

(15) cM,x = 2L/Dtx = 2AL/Dt x = Ac0* √ /KL

(velocità scalare media del raggio che compie il percorso parallelamente alla

direzione del moto),

e l'analoga

(16) cM,y = 2L/Dty = 2AL/Dt y = Ac0* √ /KT

coincidono:

(17) cM,x = cM,y = cM = velocità cinematica della luce nel riferimento mobile.

Terminiamo questo paragrafo chiarendo quanto anticipato nell'Introduzione a proposito della differenza

tra l'ipotesi di FitzGerald e quella di Lorentz. La prima corrisponde alla scelta per KL e KT dei valori:

(18) KL = 1 , KT = 1/ Ac0* √ /KL ,

ovvero, poiché risulta in ogni caso, in virtù della (14):

(19) KL £ KT

(in accordo con la (3), KL e KT sono rispettivamente il minimo ed il massimo della

funzione K(q) che esprime il coefficiente di deformazione nella direzione q ),

questa ipotesi prevede il verificarsi di una dilatazione delle lunghezze dei corpi in movimento nell'etere in

ogni direzione, con la particolarità che l'effetto della dilatazione è nullo nella direzione del moto, ed è

massimo in quella trasversale (vedi anche la nota (26) sulle possibili cause di una siffatta dilatazione).

L'ipotesi di Lorentz corrisponde invece, e si potrebbe dire "inversamente", alla possibilità

(20) KL = √ , KT = 1 ,

ovvero, ragionando come nel caso precedente, al verificarsi di una contrazione delle lunghezze dei corpi in

movimento nell'etere, con la particolarità che adesso non si riscontrerebbe alcun effetto soltanto nella

direzione trasversale al moto (nelle ipotesi attuali risulta sempre K(q ) £ 1).

29 Si noti che quanto appena detto risulta vero qualunque sia a'. Inoltre, un semplice esercizio di

trigonometria fornisce che, nell'ipotesi (13), l'esperimento di Michelson-Morley darebbe lo stesso identico

risultato qualunque fosse l'orientamento dei bracci dell'interferometro nel riferimento mobile ( O x y ).

Page 15: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

Vedremo nel prossimo paragrafo come si possa pensare di adoperare le considerazioni precedenti per una

possibile determinazione "sperimentale" del coefficiente a'.

Page 16: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

3 - UN'OSSERVAZIONE DI MONTI SULLA DISCREPANZA TRA MISURE

ELETTROMAGNETICHE E CINEMATICHE DELLA VELOCITÀ DELLA LUCE

Si è già detto nel paragrafo precedente come un osservatore solidale con il riferimento mobile misurerà

nell'ipotesi che stiamo illustrando un unico valore cM , espresso dalla (17), per la velocità scalare media

della luce. Tale valore sarà desumibile per definizione attraverso un'espressione del tipo consueto:

velocità cinematica = spazio percorso/tempo impiegato .

A fronte di valori ottenuti sperimentalmente in quest’ordine di idee, e che supporremo per il seguito

attestati su un valore numerico di

(21) cM = 299.793.000 m/sec30 ,

furono compiute parallelamente numerose misure elettromagnetiche della velocità della luce, ovvero

determinazioni di un valore, che indicheremo con c0 , che si ottiene invece mediante una formula del tipo

(22) √ ⁄ ,

la quale proviene direttamente dalla teoria di Maxwell come velocità di propagazione di un'onda

elettromagnetica nel mezzo in cui essa si propaga, che nel nostro caso verrà ad essere l'etere.

Con il simbolismo e la terminologia usuali, e0 rappresenta dunque la cosiddetta costante dielettrica del

"vuoto", mentre m0 è la sua permeabilità magnetica. In altre parole, il valore di c0 si otterrà mediante

determinazione diretta del valore di e0, visto che si pone invece per definizione

(23) m0 = 4 *1O-7 Weber/Ampere*metro .

Continuando ad usare, come si fa di solito, il sistema MKSQ razionalizzato, sceglieremo per e o il valore:

(24) e0 = 8,85415*10-12 Coulomb2/Newton*metri2,

il che ci fornirà, tenuto conto di quello indicato nella (23), una determinazione di c0 pari a:

(25) c0 = 299.793.090 m/sec .

Nota III - I valori qui usati per le costanti elettromagnetiche fondamentali sono stati desunti da un diffuso

testo di fisica, quale quello di D. Halliday e R. Resnick (Fisica, Ed. Ambrosiana, 1970, Vol. II). I calcoli

vengono effettuati senza alcuna pretesa di "rigore metrologico", ma solo come esempio, tanto per far

notare la possibilità che qualcosa non "torni", come ciascun lettore potrà da se stesso constatare andando

a confrontare qualche valore aggiornato di cM, che è possibile trovare in tutti i testi, con il valore che

abbiamo detto c0, definito mediante la (22), e che potrà calcolarsi in proprio a partire da indicazioni sui

valori indicati per e o e m o (vedi la nota (32) per l'ovvia obiezione sulla "precisione" di tali misure). Va da

sé, alcuni testi deducono il valore di e0 direttamente dalla (22), data la (23), e considerando il termine c0 al

30 Parte dei dati numerici usati nella presente Nota, assieme a molta altra documentazione al riguardo, sono stati gentilmente forniti all'autore dal Monti stesso.

Page 17: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

primo membro coincidente (a priori) con quello fornito per la velocità cinematica della luce; in questo caso,

ovviamente, l'identità c0 = cM risulterà esatta per definizione!

Ciò premesso, l'osservazione del Monti consiste in ciò: in virtù di formule quali la (15) e la (16), e dopo di

aver determinato "teoricamente" i valori dei "coefficienti di deformazione" A , KL e KT , si può risalire ad

una determinazione "sperimentale" del valore di b attraverso a una possibile differenza riscontrata tra i

valori misurati per le due velocità c0 e cM . In altre parole, una differenza tra questi valori31, anziché essere

casuale ed irrilevante, ovvero da intendersi compresa nel limite degli "errori", potrebbe invece proprio

risultare la chiave per la determinazione del tanto ricercato "vento d'etere", tanto più che, come vedremo,

la conclusione sarà comunque indipendente dai valori prescelti per i predetti coefficienti di deformazione!

Suggeriamo adesso delle possibilità teoriche per fare qualche calcolo, e vedere come si possa

effettivamente determinare una presunta stima di b, ferme mantenendo le idee e le notazioni del

paragrafo precedente.

Cominciamo prima di tutto con l’osservare che si deve pensare che misurazioni dirette della costante

dielettrica nel riferimento mobile, inserite poi nella formula (22), non forniranno proprio il ricercato valore

di c0, bensì soltanto un valore, che diremo c'0, per passare dal quale al valore c0 che è presente nelle (15) e

(16), sembra necessario, nelle ipotesi attuali, di utilizzare una formula del tipo:

(26) c0 = c'0 * °K/A ,

nella quale con °K abbiamo designato un coefficiente di deformazione medio, ottenibile ad esempio

mediante un'espressione quale la:

(27) °K = (1/2 )*∫ ( )

=

= (1/2 )*∫ √

.

Non si vede infatti come potrebbe essere altrimenti possibile riportare una grandezza di velocità scalare,

quale viene ad essere quel valore c'0 misurato nel riferimento mobile, ad una grandezza di velocità scalare

assoluta quale invece deve essere a rigore la c0, così come è stata precedentemente definita ed utilizzata.

Se si dicesse ad esempio 1 metro al secondo nel riferimento mobile, questo corrisponderebbe a KL metri al

secondo assoluti se il moto avvenisse nella direzione dell'asse delle ascisse, e KT metri al secondo in quella

dell'asse delle ordinate (senza tenere in conto per ora la questione dell'eventuale variazione dei tempi,

ovvero nel caso A = 1); in altre parole, bisognerebbe prevedere che soltanto grandezze di velocità vettoriale

si lasciano riportare univocamente da un riferimento all'altro, mentre per quelle scalari, che andranno

allora considerate soltanto come medie, proporremo di far uso di una legge di trasformazione quale la (26).

Con ormai ovvio simbolismo, il passaggio di velocità scalari medie dal riferimento mobile al riferimento

assoluto verrebbe cioè effettuato per il tramite di un'identità del tipo:

31 Che tale differenza fra i valori di cM e di c0 , o meglio, come vedremo, di c'0, sia un fatto reale e possa non essere invero del tutto priva di valore fisico, risulta ad esempio confermato da un'osservazione di A. Sommerfeld, il quale cita esplicitamente tale discrepanza nel suo "Lezioni di Fisica Teorica", Ed. Sansoni, 1961, Vol. III, p. 51, aggiungendo subito dopo però che "nella teoria generale essa non gioca alcun ufficio". Accenniamo soltanto alla circostanza che misure diverse della velocità della luce nei due ordini d’idee qui specificati erano comuni, prima dell'affermazione della TRR, e che così si esprime al riguardo lo sperimentatore N.E. Dorsey: "Probabilmente la grande maggioranza dei fisici è arrivata a considerare queste due velocità come necessariamente identiche ... questo cambiamento non è stato dovuto all'influenza di risultati sperimentali, perché questi, benché non trascurabili, sono stati lasciati completamente da parte, ma a delle considerazioni di natura filosofica" (Congr. Int. di Elettricità, Parigi, 1932, Atti dei Lavori della II Sezione - per maggiori dettagli sull'argomento si considerino gli scritti di R. Monti già citati).

Page 18: Teoria della Relatività Ristretta ed Ipotesi dell'Etere - Umberto Bartocci

(28) v = v' °K/A .

Sviluppando ora l'integrale al secondo membro della (27), utilizzando l'identità (14), si ottiene la

(29) °K = (KT/2 )*∫ √

L'integrale al secondo membro della (29) è un integrale ellittico, il quale può essere approssimato, a meno

di potenze di ordine superiore al secondo nella b , utilizzando il consueto sviluppo in serie, dalla:

(30) °K = (KT/2 )*∫ √

= (KT/2 )* =

(

),

o anche, tenendo conto della (14), ed utilizzando il coefficiente KL anziché il KT :

(31) °K = (

).

Siamo ormai evidentemente in grado di determinare il ricercato valore di b (il quale è definito come un

numero puro). Risulterà infatti, a partire ad esempio dalla (16), utilizzando la (26):

(32) cM,y = A* c0*(

) = A* c'0*

ovvero, tenuto conto della (30), e del fatto che a primo membro della (32) c'è proprio nelle nostre ipotesi la

velocità cinematica cM :

(33) cM c'0*(

) (

) (

)

Da questa finalmente, sostituendo ad esempio a cM il valore (21), e a c'0 un valore ottenuto come si è detto

mediante una misurazione diretta della costante dielettrica e0 , si ottiene:

(34) b = 0,001751856 .

Riassumendo, da un’eventuale discrepanza anche soltanto di pochi metri al secondo per i valori "osservati"

sulla Terra di c'0 e cM , si potrebbe risalire ad un valore non nullo di b , e tale differenza potrebbe quindi

risultare significativa per i fini desiderati se si riuscissero a fare misure sufficientemente esatte delle due

grandezze in gioco.32

32 Del resto, delle due l'una: o queste misure non si possono fino ad oggi ritenere sufficientemente precise per dirimere la questione, ed allora è inutile stare a discutere, o a cercare di convincere altri, se è possibile o no di rilevare con esperienze effettuate all'interno di un riferimento "inerziale" il suo stato di moto o di quiete nell'etere, perchè non saremmo per il momento in grado di valutare sperimentalmente eventuali "piccoli" effetti da tale movimento originati; oppure tali misure si possono effettuare in modo sufficientemente preciso, e cioè nei margini necessari per valutare se l'osservazione del Monti ha fondamento o no, ed allora basterebbe lasciar parlare l'esperienza ed andare a vedere chi ha ragione (la detta osservazione sottolinea in effetti soltanto l'importanza che avrebbe la ripetizione di misure di tale tipo, visto che oggi ci sono senz'altro

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Dopo di avere esplicitamente osservato che, come annunciato, la conoscenza dei coefficienti di

deformazione non è risultata di fatto necessaria, e che pertanto, sia nell'ipotesi di FitzGerald che in quella di

Lorentz si sarebbe ottenuto per b sempre lo stesso identico risultato (34), concludiamo il lavoro facendo

vedere come si possa risalire da questa identità a un valore presunto per la velocità di deriva nell'etere v0 .

Naturalmente, esprimeremo anche tale grandezza in unità di misura relative al riferimento mobile, ovvero,

nei nostri consueti metri al secondo, e quindi, visto che anche v0 è una grandezza scalare di velocità per la

quale possono ripetersi tutte le considerazioni precedentemente fatte per c'0 e c0, più che v0

determineremo un valore v'0 corrispondente a quello tramite una relazione quale la (28). Scriveremo

dunque v'0 = v0A/°K, dalla quale, tenuto conto che risulta v0 = b * c0 = b * c'0*°K/A , si ottiene finalmente

anche l'identità:

(35) v'0 = v0*A/°K = b * c'0 .

Questa fornirebbe ad esempio, sostituendo i valori numerici ormai noti (il valore (25) va inteso come quello

di c'0!):

(36) v'0 = 525 Km/sec.33

NOTA IV - Il valore indicato per le decine di metri al secondo si considera "esatto" nella determinazione

sperimentale della "costante" cM , ed il problema sperimentale consisterebbe quindi nel riuscire a fare

altrettanto per una misura diretta (indipendente!) di c'0.

Terminiamo con alcune considerazioni generali.

migliori possibilità da un punto di vista tecnico, e che da tanto tempo, proprio grazie all'influenza della TRR, tali misure non sono state più effettuate). 33 Il Monti ottiene invece per v'0 , usando non soltanto diversi valori per le due velocità c'0 e cM (dedotti dai risultati sperimentali disponibili), ma anche un altro tipo di formule da quelle qui ottenute, un valore di circa 1.500 Km/sec ("Elementi di Filosofia Naturale", Seagreen, Andromeda, Bologna, N. 1, Novembre 1984, Sezione A3). La differenza tra le due impostazioni sta nella qui presunta validità della (13), e pertanto nella conseguenza che debba essere necessariamente KL diverso da KT (al solito, se b non è zero). Il Monti perviene invece ad una identità KL = KT , che sembra invece impossibile se si vuole spiegare nelle ordine di idee qui seguito il risultato dell'esperienza di Michelson-Morley.

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4 - CONCLUSIONE

Prima di tutto, che i valori che come visto si potrebbe pensare di ottenere sono sorprendentemente vicini

come ordine di grandezza ai vari valori recentemente ottenuti quali espressione della velocità del sistema

solare rispetto alla cosiddetta radiazione di fondo.34

Osserviamo poi che, confrontando tra loro cM e c'0 , si è ottenuta, nell'ordine delle idee precedentemente

seguite, l'approssimazione (33). Da questa, a prescindere da valutazioni QUANTITATIVE, si potrebbe

ricavare almeno l'informazione QUALITATIVA che all'osservatore "mobile" nell'etere dovrebbe comunque

risultare sempre soddisfatta la disuguaglianza (se b è naturalmente diverso da 0 !):

(37) cM < c'0 .

Orbene, secondo quanto osserva il Monti, la disuguaglianza (37) si è sempre di fatto sperimentalmente

verificata quando si effettuavano ancora i due diversi tipi di misure.

Alle precedenti, affianchiamo un'ulteriore considerazione di natura "storica". Non è difficile immaginare

che le tesi qui presentate possano ritenersi "oggi" abbastanza "deboli" nei confronti di una teoria tanto

affermata, a favore della quale vengono riportate tante altre "conferme" di natura sperimentale. Pure,

costituisce un interrogativo al quale non è facile dare una risposta il chiedersi come mai tali argomentazioni

non solo non siano divenute decisive a favore dell'interpretazione diciamo pure di FitzGerald e Lorentz

dell'esperienza di Michelson-Morley (e quindi della teoria dell'etere, che era tra gli altri sostenuta dallo

stesso Michelson! - questo è un altro di quei casi di cui si parla nella nota (18)), ma non siano state neppure

mai da alcuno avanzate (almeno a conoscenza dell'autore), in un momento storico nel quale i due diversi

metodi per la misura della velocità della luce, e la differenza che ne risultava, erano, al contrario che ai

giorni nostri, ben noti (vedi nota (31)).

A conclusione di questo lavoro che, a metà com'è tra fisica, storia e filosofia, si spera non finirà con lo

scontentare ogni tipo di lettore, s’impone una riflessione di carattere filosofico-morale. E cioè che, anche se

tutto quanto precede potrà essere considerato poco significativo, o addirittura "fisicamente" errato, ed

ininfluente pertanto come si è già detto al fine di rinunciare ad una teoria sembra tanto importante nei

fondamenti della fisica moderna, appare comunque "rischioso" il rivolgersi acriticamente al pensiero

scientifico attuale con il proposito di erigere fondamenta più solide per la propria visione del mondo. Si

rischia di rinunciare, infatti, ad una eventuale "propria" concezione, per subirne passivamente una

certamente più "autorevole" ed ammantata di prestigio, ma probabilmente non più di quella conforme al

"vero". E questo non tanto per voler segnalare la circostanza piuttosto scontata che niente è perfetto, ché

ci si può benissimo accontentare di "approssimazioni" del vero, ed anzi forse è necessario, quanto piuttosto

per voler sottolineare il fatto che alcune teorie scientifiche molto influenti potrebbero essere

"completamente sbagliate", per avere nelle loro premesse qualche errore "molto piccolo", che hanno poi

però ingigantito fino a farlo diventare "molto grande" (questo per quanto riguarda l'aspetto quantitativo

tanto di moda; dal punto di vista qualitativo, non ci sono "piccole" differenze, ma soltanto teorie diverse!).

In altre parole, che anche nelle questioni scientifiche è molto pericoloso abbandonare un certo tipo di

"razionalità", la quale, seppure evidentemente di natura extra-scientifica, ed "umana" (caratteristiche

queste piuttosto screditate, in un clima culturale ancora caratterizzato dal tentativo di operare la famosa

34 Vedi ad esempio R.A. Muller, La radiazione cosmica di fondo e la nuova deriva dell'etere, Le Scienze, Luglio 1978, o il recente testo di D.J. Raine, The Isotropic Universe - An Introduction to Cosmology, Monographs on Astronomical Subjects, 7, Adam Hilger Ltd, Bristol, p.52 e segg.

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"deantropocentrizzazione", nel caso in esame esprimentesi nel sottovalutare il ruolo delle cosiddette

"categorie mentali" dell'essere umano nella fondazione della conoscenza), sembra nonostante tutto

sempre la migliore candidata a guidare le nostre indagini di filosofia naturale, ma questo diventerebbe

ormai un altro discorso!