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MATERIALE DIDATTICO IDONEITA’ ALLA CLASSE 5 TECNOLOGIA RURALE indice La tessitura del terreno Costituenti del terreno Le lavorazioni del terreno Gli avvicendamenti colturali Arboricoltura Apicoltura Bachicoltura .

Tecnologia Rurale

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Appunti di tecnologia rurale

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Page 1: Tecnologia Rurale

MATERIALE DIDATTICO IDONEITA’ ALLA CLASSE 5

TECNOLOGIA RURALE

indice

La tessitura del terreno

Costituenti del terreno

Le lavorazioni del terreno

Gli avvicendamenti colturali

Arboricoltura

Apicoltura

Bachicoltura

.

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LA TESSITURA DEL TERRENO

In agronomia e pedologia, la tessitura o grana o granulometria è la proprietà fisica

del terreno che lo identifica in base alla composizione percentuale delle sue particelle

solide distinte per classi granulometriche. Questa proprietà è importante per lo studio

dei suoli e del terreno in quanto ne condiziona sensibilmente le proprietà fisico-

meccaniche e chimiche con riflessi sulla dinamica dell'acqua e dell'aria e sulla tecnica

agronomica.

La tecnica agronomica influisce pochissimo sulla tessitura, fatta eccezione per

l'apporto di alcuni ammendanti che in ogni modo ha un ruolo marginale. Più che una

correzione vera e propria della tessitura, che avrebbe costi proibitivi, la tecnica

agronomica si prefigge gli scopi di correggere i difetti di una tessitura anomala e di

esaltare gli aspetti positivi delle singole frazioni granulometriche.

le frazioni granulometriche del terreno si distinguono in grossolana

(sabbia e scheletro), fine (limo) e finissima (argilla); sabbia, limo e argilla

costituiscono la cosiddetta terra fine.

Esistono delle leggere differenze nella definizione dei limiti delle classi diametriche

delle particelle componenti la terra fine in un suolo:[1] secondo la distinzione

del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, maggiormente utilizzata al

mondo, le classi diametriche della terra fine sono:

argilla, con diametro minore di 2 micron;

limo, diametro compreso fra 2 e 50 micron;

sabbia, fra 50 micron e 2 mm. Questa classe viene suddivisa in sottoclassi:

sabbia molto fine, fra 50 e 100 micron;

sabbia fine, fra i 100 e i 250 micron;

sabbia media, fra 250 e 500 micron;

sabbia grossa, fra 500 micron e 1 mm;

sabbia molto grossa, da 1 a 2 mm.

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Argilla

In virtù delle piccolissime dimensioni e delle proprietà colloidali di una parte di

questa frazione, l'argilla conferisce al terreno un notevole sviluppo della superficie

d'interfaccia con la fase liquida e quella gassosa e, di conseguenza, un ruolo attivo nei

fenomeni di adsorbimento e di aggregazione strutturale che si traduce nelle seguenti

proprietà fra loro correlate:

Elevata porosità, orientata verso una microporosità prevalente.

Grande capacità d'invaso ed elevata capacità di ritenzione idrica.

Tensione matriciale elevata (in valore assoluto) sia per

l'adsorbimento colloidale sia per la capillarità.

Scarsa permeabilità e difficoltà di movimento dell'acqua, con tendenza al

ristagno e all'asfissia.

Elevati valori della coesione allo stato asciutto e dell'adesione allo stato

plastico.

Compattezza e tenacità allo stato coesivo.

Plasticità e adesività allo stato plastico.

Liquidità allo stato fluido.

Tendenza al costipamento.

Elevati tenori di argilla pongono pertanto seri problemi di fertilità fisica, che possono

essere evitati con una gestione conservativa della struttura. La tecnica colturale deve

pertanto fare attenzione al mantenimento di una stabilità strutturale. Per contro,

l'argilla offre le condizioni per il mantenimento di un'elevata

fertilità chimica e biologica.

Sabbia

In virtù delle dimensioni relativamente grandi conferisce al terreno un ridotto

sviluppo della superficie d'interfaccia, pertanto la sabbia è una frazione

sostanzialmente inerte da cui derivano le seguenti proprietà:

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Limitata porosità in gran parte costituita da macroporosità.

Limitata capacità d'invaso e scarsa capacità di ritenuta idrica.

Tensione matriciale più bassa (in valore assoluto) in gran parte dovuta alla

capillarità.

Elevata permeabilità e facilità di movimento dell'acqua, con tendenza al rapido

sgrondo.

Coesione e adesione virtualmente nulle.

Sofficità e scarsa resistenza alla penetrazione di organi lavoranti e di radici.

Elevata portanza.

Elevati tenori di sabbia pongono problemi di fertilità fisica solo in relazione alla

dinamica dell'acqua, mentre sono ottime le proprietà meccaniche. La sabbia è invece

causa di una scarsa fertilità chimica e biologica, accentuata dall'elevato potenziale di

ossidoriduzione e dallalisciviazione. La tecnica colturale deve pertanto fare

attenzione a sopperire le carenze idriche e nutrizionali a cui vanno facilmente soggetti

i terreni ricchi di sabbia.

Limo

Ha proprietà intermedie fra quelle della sabbia e quelle dell'argilla. In particolare le

particelle più grandi hanno proprietà analoghe a quelle della sabbia, le più fini a

quelle dell'argilla escluse le proprietà colloidali. In definitiva, il limo eredita pregi e

difetti della sabbia e dell'argilla che in parte si autocompensano.

Elevati tenori di limo pongono problemi sia di fertilità fisica e soprattutto meccanica,

sia di fertilità chimica. Si tratta dei terreni di più difficile gestione e la tecnica

colturale deve prestare attenzione sia agli aspetti chimici che a quelli fisici.

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Scheletro

Ha proprietà analoghe a quelle della sabbia da cui eredita soprattutto i difetti,

esaltandoli. Le principali proprietà legate allo scheletro sono le seguenti:

Scarsa porosità in gran parte costituita da macroporosità.

Limitata capacità d'invaso e scarsa capacità di ritenuta idrica.

Tensione matriciale bassissima.

Elevata permeabilità e facilità di movimento dell'acqua, con tendenza al rapido

sgrondo.

Coesione e adesione assenti.

Sofficità e compattezza strettamente legate alle dimensioni dello scheletro.

Elevata portanza.

Rapida usura degli organi lavoranti e difficoltà di esecuzione di diverse

operazioni colturali.

Elevati tenori in scheletro sono da considerarsi negativi a tutti gli effetti in quanto

esaltano i difetti della sabbia senza mantenerne i pregi e ostacolano o addirittura

impediscono l'esecuzione di molti interventi agronomici. La tecnica colturale deve

pertanto adattarsi ad una specifica realtà poco migliorabile e curare in particolare il

mantenimento della fertilità chimica e la disponibilità idrica.

Per ridurre lo scheletro è possibile utilizzare particolari macchine che agiscono o

separandolo dalla terra fine, o frantumandolo. Esiste un'unica eccezione in cui si è

verificato che questa operazione non porta alcun beneficio, ed è quella dei pascoli

alpini, in cui lo scheletro permette di mantenere un tenore d'umidità più elevato che in

assenza di esso.

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COSTITUENTI DEL TERRENO

SOSTANZE MINERALI: Le particelle minerali sono derivate dal materiale roccioso

originario e sono costituite perciò da quarzo (SiO2), argille (SiO4), ossidi e idrossidi

metallici (alluminio e ferro) e carbonati (calcio e magnesio).magnesio).

SOSTANZA ORGANICA:

E’ la frazione solida del suolo derivante da tutte le sostanze organiche morte (residui

vegetali, letame, spoglie animali), che appena giungono al terreno vengono attaccate

e trasformate da vari organismi terricoli. Durante questo processo si forma una

grande quantità di composti intermedi e un materiale a struttura amorfa e di colore

scuro detto humus, il quale rappresenta il fondamento dell’equilibrio microbiologico

del suolo perché è contemporaneamente il prodotto(catabolismi) e il substrato

(anabolismo) dell’attività microbica.

ORGANISMI TERRICOLI:

Gli esseri viventi di sono numerosi e tutti fondamentali per le sue funzioni ( alcuni

animali svolgono tutto il loro ciclo vitale nel suolo, altri solo alcuni stadi). Tutti i

regni biologici vi sono rappresentati: batteri, protozoi, animali, vegetali e funghi. Il

numero dei batteri è di gran lunga superiore quello degli altri organismi del suolo. I

protozoi costituiscono la microfauna del suolo e sono in genere predatori dei batteri e

fungi nutrendosi di sostanze organiche o direttamente di cellule batteriche.

La categoria più importante per la funzioni del suolo è quella dei funghi. Insieme ai

batteri, i funghi(la cui principale massa è costituita dalle innumerevoli ife, filamenti

di cellule microscopiche, che si irradiano nel suolo)svolgono la funzione

fondamentale di trasformare la sostanza organica, a disposizione degli apparati

radicali delle piante.

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Tra gli animali del suolo ci sono i mammiferi come talpe e topi: dissodano il terreno e

frammentano le parti più grossolane. Tra i numerosi invertebrati citiamo i lombrichi,

utili nel migliorare aerazione e porosità del suolo fino a 6-7 m di profondità,

riportando in superficie gli strati più profondi; mangiando direttamente la terra

operando una predigestione delle sostanze organiche presenti nel suolo. Altri animali

sono i nematodi, i mille piedi, i porcellini di terra, gli acari, le chiocciole, le lumache

e numerosissime specie di insetti.

ORGANISMI VEGETALI:

Tra i vegetali citiamo le alghe unicellulari, presenti negli strati più superficiali e nei

suoli umidi, senza dimenticare gli apparati radicali delle piante.

ACQUA:

L’altra fondamentale funzione del suolo riguarda appunto la capacità di assorbire e

trattenere l’acqua piovana. La capacità di assorbimento dell’acqua da parte del suolo

è enorme: si calcola che più dell’80% dell’acqua piovana possa essere trattenuta da

un suolo in buone condizioni. Non è importante la quantità del suolo, ma anche la sua

qualità: alterazioni provocate da incendi e forme di erosione accelerate ma limitano

ovviamente l’efficienza.

Una volta nel suolo il movimento dell’acqua avviene risalendo per capillarità oppure

se i diametri sono maggiori l’acqua viceversa scende, per drenaggio, alimentando la

falda acquifera.

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Lavorazioni del terreno

Le lavorazioni del terreno, in agronomia, sono interventi praticati dall'uomo con

l'ausilio di utensili o macchine allo scopo di creare un ambiente fisico ospitale per le

piante agrarie.

In generale le lavorazioni migliorano le condizioni fisico-meccaniche del terreno e

indirettamente influiscono in modo più o meno marcato sulle proprietà chimiche e su

quelle biologiche.

Fra gli scopi principali che hanno in genere le lavorazioni si segnalano i seguenti:

1. Aumento della sofficità. Una maggiore sofficità riduce la tenacità e la

compattezza del terreno, creando le condizioni ideali per favorire l'espansione

delle radici e l'esecuzione di altre operazioni colturali.

2. Aumento della permeabilità. Una maggiore permeabilità del terreno favorisce

l'infiltrazione dell'acqua, evitando che ristagni o defluisca in superficie.

Favorisce altresì un facile sgrondo dell'acqua in eccesso, migliorando il

rapporto fra acqua e aria nel terreno. L'aumento della permeabilità permette

inoltre la costituzione di riserve idriche di maggiore entità.

3. Preparazione del letto di semina. Lo sminuzzamento delle zolle crea un

ambiente adatto ad ospitare il seme in modo che le particelle terrose vi

aderiscano meglio favorendone l'imbibizione e la conseguente germinazione.

Gli scopi secondari o specifici che possono avere alcune lavorazioni sono molteplici.

A titolo d'esempio si segnalano i seguenti:

1. Contenimento della vegetazione infestante.

2. Contenimento delle perdite d'acqua per evaporazione.

3. Livellamento della superficie del terreno.

4. Interramento di fertilizzanti o altre sostanze.

I terreni sabbiosi hanno una struttura incoerente che non subisce conseguenze

negative a seguito delle lavorazioni. Questi terreni si possono infatti lavorare sia

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quando sono umidi sia quando sono asciutti perché le proprietà fisiche sono

determinate esclusivamente dalla tessitura. Per tutti gli altri terreni (terreni di medio

impasto, tendenti al limoso o all'argilloso) le proprietà fisiche sono determinate sia

dalla tessitura sia dalla struttura. Dal momento che la struttura del terreno è una

proprietà dinamica che può subire alterazioni marcate anche con un solo intervento è

importante considerare gli aspetti, relativi alle lavorazioni, che possono avere riflessi

negativi su questa proprietà. Le considerazioni che seguono non si applicano ai

terreni sabbiosi.

Nei terreni dotati di un certo tenore in particelle fini, in particolare l'argilla, il risultato

di una lavorazione cambia in funzione della coesione e dell'adesione. I valori di

queste proprietà variano in funzione dell'umidità, perciò la scelta del momento

ottimale in cui eseguire una lavorazione è subordinata all'umidità del terreno. In

relazione all'umidità, il terreno può trovarsi in tre stati fisici: coesivo, plastico e

fluido. Lo stato coesivo si ha a umidità relativamente basse, quello fluido a umidità

elevate.

Con terreno allo stato coesivo, l'adesione ha valori molto bassi. La coesione dipende

dal tenore in colloidi minerali: ha valori molto alti nei terreni argillosi, piuttosto bassi

nei terreni poveri di colloidi. Una lavorazione, ad esempio l'aratura, eseguita su un

terreno allo stato coesivo richiede un notevole dispendio di energia nei terreni

argillosi, in quanto gli organi lavoranti devono vincere le forze di coesione, con

formazione di una elevata macrozollosità. Nei terreni limosi si ottiene invece un certo

grado di zollosità accompagnato da una notevole polverizzazione del terreno.

In generale si dovrebbe evitare la lavorazione dei terreni limosi in quanto l'eccessiva

polverizzazione avrà riflessi negativi sulla struttura quando il terreno riacquista

umidità. I terreni polverizzati tendono infatti a diventare asfittici e mal strutturati, con

formazione di crosta superficiale quando asciugano e difficoltà di sgrondo delle

acque in eccesso.

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Nei terreni argillosi gli inconvenienti sono per lo più legati ai maggiori costi delle

lavorazioni (aumenta il numero di interventi, il consumo di carburante, il costo di

manutenzione per la maggiore usura degli organi lavoranti). Non ci sono invece

vincoli tecnici. Prudenzialmente si eseguono le lavorazioni con terreno allo stato

coesivo quando si teme che l'umidità elevata ne impedisca la lavorazione.

Con terreno allo stato plastico la coesione ha valori relativamente bassi mentre

l'adesione ha i valori più alti in assoluto. Con le lavorazioni il terreno aderisce agli

organi lavorati e subisce un modellamento con la distruzione della struttura, a causa

del costipamento esercitato sia dagli organi di movimento delle macchine (ruote e

cingoli) sia dagli organi lavoranti. La lavorazione allo stato plastico va pertanto

evitata in tutti i terreni perché ha effetti deleteri.

Con terreno allo stato fluido sia la coesione sia l'adesione hanno valori molto bassi. In

condizioni di umidità elevata, infatti, le particelle terrose tendono a circondarsi di un

velo liquido smorzando sia le forze di adesione sia le forze di coesione. Anche in

questo caso ogni sollecitazione meccanica ha effetti distruttivi sulla struttura. Peraltro

il terreno perde del tutto la sua capacità di opporsi alla compressione, perciò le

lavorazioni sono impedite dall'impossibilità d'ingresso in campo con i mezzi agricoli.

Esiste un campo di umidità, compreso fra lo stato coesivo e lo stato plastico in cui

adesione e coesione hanno valori abbastanza vicini. In queste condizioni si dice che il

terreno è in tempera. Con terreno in tempera gli organi lavoranti vincono facilmente

le forze di coesione e il terreno aderisce poco. Le zolle si sgretolano con relativa

facilità e la lavorazione lascia il terreno in condizioni di sofficità ideali. Con valori di

umidità leggermente superiori a quelli ottimali (terreno tendente al plastico) si ottiene

un principio di modellamento. Ad esempio, dopo un'aratura le zolle mostrano

superfici lisce per effetto della compressione esercitata con il versoio. Con valori di

umidità leggermente inferiori a quelli ottimali (terreno tendente al coesivo) allo

sgretolamento delle zolle si accompagna un certo grado di polverizzazione, più

accentuato nei terreni limosi e di medio impasto rispetto a quelli argillosi.

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Da quanto detto in precedenza, si evince che i terreni più facilmente lavorabili sono

quelli sabbiosi, non essendoci vincoli legati all'umidità. Un minor margine di scelta è

offerto dai terreni argillosi, i quali andrebbero lavorati in tempera, ma

prudenzialmente si può optare per la lavorazione allo stato coesivo. I terreni più

difficili da gestire sono quelli limosi, i quali vanno lavorati sempre in stato di

tempera.

Lavorazioni manuali

Sono eseguite per mezzo di semplici attrezzi maneggiati direttamente dall'uomo. In

generale si tratta di lavori particolarmente onerosi perché richiedono uno sforzo fisico

non trascurabile, pertanto sono eseguiti su piccole superfici in orticoltura e

in giardinaggio oppure come lavori di raffinamento spesso in arboricoltura e

in orticoltura. Va però precisato che nelle aree ad agricoltura marginale o di

sostentamento, in particolare nel Terzo Mondo le lavorazioni manuali occupano un

ruolo predominante, solo in parte integrato dalla trazione animale.

Le lavorazioni manuali sono essenzialmente riconducibili a due tipi:

1. Zappatura. Si esegue con la zappa, allo scopo di rompere il terreno,

sminuzzandolo in zolle, agendo in profondità per quanto è reso possibile dalle

dimensioni dell'attrezzo, dalla tenacità del terreno e dalla forza dell'uomo.

2. Zappettatura. Si esegue con la zappetta o con il bidente. A differenza del lavoro

precedente, la zappettatura si esegue in genere come lavoro di coltivazione

superficiale, per lo più allo scopo di eliminare piante infestanti e rompere

l'eventuale crosta superficiale del terreno.

3. Vangatura. Si esegue con la vanga. Con questa lavorazione il terreno è staccato

a piccole fette che vengono rivoltate e poi sminuzzate con alcuni colpi di

taglio eseguiti sempre con la vanga.

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Lavorazioni meccaniche

Sono eseguite con macchine provviste di utensili in grado di compiere interventi di

più larga portata, in termini di superficie e profondità, azionate per mezzo della

trazione animale o meccanica. La trazione animale è ancora largamente diffusa in

vaste aree della Terra, ad agricoltura marginale o di sostentamento, mentre la trazione

meccanica è largamente diffusa nelle aree economicamente sviluppate ad agricoltura

sia intensiva sia estensiva.

Le lavorazioni meccaniche sono eseguite con macchine semoventi, in grado di

operare su piccole superfici, oppure con macchine operatrici trainate o portate

dal trattore. L'azione meccanica degli organi lavoranti sul terreno può essere passiva,

per effetto della trazione, oppure attiva, per effetto di un moto trasmesso da un

motore proprio o dalla presa di potenza del trattore.

Lavorazioni di messa a coltura

Sono lavori di carattere straordinario in quanto si eseguono una sola volta allo scopo

di rendere un terreno naturale adatto alla coltivazione. Alcuni di questi lavori sono

talvolta eseguiti anche con macchine industriali (es. macchine movimento terra come

apripista, caterpillar, escavatrici a cucchiaio, ecc.). Le lavorazioni di messa a coltura

classiche sono le seguenti:

Dissodamento. È una lavorazione profonda, che può raggiungere i 150 cm di

profondità, eseguita allo scopo di rompere per la prima volta la compattezza di un

terreno naturale. In genere si esegue con aratri di grandi dimensioni trainati da

trattori di elevata potenza.

Scasso. È una lavorazione profonda, analoga al dissodamento, che si esegue a

80-120 cm prima dell'impianto di un arboreto. A differenza del dissodamento, lo

scasso si esegue su uno stesso terreno quando si ripetono più impianti.

Spietramento. È una lavorazione eseguita con macchine specifiche allo scopo

di ridurre l'eccessiva presenza di scheletro in superficie o anche in profondità. Le

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spietratrici agiscono effettuando una cernita meccanica oppure frantumando i

massi (es. calcare tenero).

Lavorazioni principali

Sono lavori di carattere ordinario eseguite per la preparazione del letto

di semina prima di ogni ciclo colturale. Queste lavorazioni si eseguono sul terreno

sodo, più o meno compattato dall'assestamento e dal ripetuto passaggio di macchine e

persone nel ciclo precedente, pertanto richiedono l'impiego di attrezzi in grado di

vincere l'eventuale tenacità del terreno. In occasione della lavorazione principale, in

genere, si provvede anche all'interramento di ammendanti e concimi. Secondo la

lavorazione adottata, lo stato del terreno negli strati supeficiali non è ancora adatto ad

ospitare il seme perciò sarà necessario eseguire uno o più lavori complementari allo

scopo di raffinare il letto di semina. I lavori che si possono eseguire come principali,

per consuetudine, sono i seguenti:

Aratura. È la lavorazione principale di più largo impiego in Italia, in genere

ritenuta indispensabile per i terreni limosi e argillosi. Lascia il terreno in uno stato

fisico inadatto per la semina a causa dell'eccessiva macrozollosità pertanto

richiede l'integrazione con lavori complementari.

Aratura con aratro a dischi. È una lavorazione alternativa alla precedente,

eseguita con l'aratro a dischi. È considerata impropriamente una variante

dell'aratura, ma in realtà le condizioni e il risultato dell'operazione sono

fondamentalmente differenti. Si pratica su terreni non compatti, spesso calcarei.

Ripuntatura. È una lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego

di scarificatori pesanti. A differenza delle lavorazioni precedenti non altera il

profilo del terreno perché non esegue rovesciamento né rimescolamento. Si presta

perciò per essere eseguita su terreni in cui si vuole evitare l'alterazione del profilo.

A parità di profondità richiede forze di trazione inferiori.

Lavorazione a due strati. Tecnica di lavorazione che consiste nella

combinazione di aratura e ripuntatura. Si può effettuare con un passaggio con un

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ripuntatore ad una profondità di circa 50 cm, seguito da un'aratura superficiale ad

una profondità di circa 30 cm, oppure con un unico passaggio con aratro

ripuntatore. Ha lo scopo di compensare vantaggi e svantaggi dell'aratura e della

ripuntatura. Ad esempio evita la formazione della "suola di lavorazione" che si

può avere con l'aratura e permette un adeguato interramento dei residui colturali e

dei concimi, impossibile con la ripuntatura.

Fresatura. È una lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego di

una fresatrice. Rispetto alle precedenti ha il pregio di eseguire un efficace lavoro

di sminuzzamento del terreno pertanto non necessita, in genere, di integrazioni

con lavori complementari, tuttavia non permette di raggiungere grandi profondità

(al massimo 25 cm). Si presta per la preparazione del terreno prima della semina

di una coltura intercalare, specie quando esiste l'esigenza di accorciare il più

possibile i tempi di preparazione del letto di semina. A parità di profondità

richiede elevate potenze in funzione della larghezza di lavoro.

Vangatura. È una lavorazione eseguita in alternativa all'aratura con l'impiego di

una vangatrice. Le condizioni di lavoro sono tali da ritenerla poco adatta per la

maggior parte dei terreni in Italia, inoltre non permette di raggiungere

considerevoli profondità. Si presta per la lavorazione di terreni sciolti.

Lavorazioni complementari

Sono detti anche lavori di preparazione del letto di semina, in quanto si collocano fra

la lavorazione principale e la semina. In genere l'obiettivo di queste lavorazioni è

quello di realizzare, negli strati superficiali del terreno, un ambiente fisico adatto a

ospitare il seme e fare in modo che le particelle terrose aderiscano perfettamente al

seme, affinché questi si trovi in condizioni ideali di umidità. I lavori complementari

possono anche avere lo scopo di correggere alcuni inconvenienti causati dalla

lavorazione principale oppure integrarne i benefici.

Estirpatura. È un lavoro che integra in genere l'aratura migliorando le

condizioni per la successiva erpicatura. Si esegue con l'estirpatore. L'estirpatura è

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in genere consigliabile nei terreni compatti quando l'aratura è eseguita diversi

mesi prima dell'erpicatura. Questa condizione si verifica in caso di aratura estiva e

semina autunnale e, soprattutto, in caso di aratura autunnale e semina primaverile:

durante questi intervalli di tempo le zolle subiscono un parziale sgretolamento per

azione degli agenti atmosferici ma nel frattempo il terreno tende a compattarsi in

superficie e a ricoprirsi di una vegetazione infestante. L'estirpatura riduce la

compattezza superficiale ed elimina la vegetazione eventualmente comparsa

creando le condizioni adatte per eseguire l'erpicatura. In alcuni casi, ad esempio

con colture poco esigenti che si adattano ad un letto di semina preparato

grossolanamente e su terreni non particolarmente tenaci, l'estirpatura può essere

anche il lavoro complementare finale, lasciando il terreno pronto per la semina.

Erpicatura. È la lavorazione complementare classica, in genere eseguita dopo

un'aratura o una ripuntatura allo scopo di ridurre la zollosità in superficie e, nello

stesso tempo, rendere più regolare e uniforme la superficie del letto di semina. La

qualità del lavoro dipende dal tipo dierpice impiegato e dalle caratteristiche fisico-

meccaniche del terreno. Nei casi più favorevoli è sufficiente un solo passaggio, in

casi più difficili sono necessari più passaggi con l'erpice.

Spianamento della superficie. È un'operazione da eseguire necessariamente

quando la lavorazione principale, soprattutto un'aratura profonda, lascia il terreno

con una superficie molto irregolare, oppure quando si deve avere una superficie

perfettamente livellata, come nel caso delle risaie. L'operazione si può eseguire

con una ruspa trainata dal trattore, spesso con l'ausilio di tecnologie di controllo

che migliorano l'accuratezza dell'operazione (puntamento Laser, GPS), ma nella

generalità dei casi lo spianamento della superficie si realizza agevolmente con la

semplice erpicatura.

Ripuntatura. Si esegue come lavoro complementare dopo un'aratura come

intervento correttivo o integrativo. Nel primo caso ha lo scopo di rompere il

crostone di lavorazione formato dall'aratura, intervento necessario soprattutto

quando si ricorre ad arature non profonde su terreni argillosi. Nel secondo caso ha

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lo scopo di approfondire la lavorazione quando l'aratura si esegue

superficialmente per evitare di portare terreno indesiderato in superficie. In

entrambi i casi la ripuntatura si esegue a profondità maggiore rispetto alla

precedente aratura. La combinazione della ripuntatura con l'aratura assume il

carattere di una lavorazione a due strati. Questa duplice lavorazione si esegue in

due passaggi (aratura e ripuntatura) oppure, più semplicemente, in un unico

passaggio impiegando un aratro ripuntatore.

Fresatura. Si esegue dopo un'aratura come unico intervento complementare in

alternativa all'erpicatura. In generale è un lavoro più superficiale rispetto alla

fresatura adottata come lavoro principale. L'utilizzo della fresatura in alternativa

all'erpicatura è poco razionale dal punto di vista economico in quanto comporta in

genere un maggior consumo di carburante, tuttavia può rendersi opportuna in caso

di eccessiva zollosità superficiale per semplificare le operazioni di preparazione

del letto di semina, specie quando le lavorazioni complementari richiederebbero 3

o più passaggi.

Rullatura. Si esegue con finalità differenti, in genere subito dopo la semina allo

scopo di compattare leggermente il terreno e ridurre ulteriormente la zollosità

superficiale. In questo modo si permette al terreno di aderire meglio al seme e,

nello stesso tempo, si riducono le cause di fallanza in fase di emergenza delle

piantine. La rullatura si può eseguire anche dopo una fresatura e prima della

semina: in questo caso lo scopo è quello di ridurre l'eccessiva sofficità del terreno

in quanto il successivo assestamento potrebbe alterare la profondità di semina. La

rullatura si esegue con rulli concepiti per questo scopo, abbastanza leggeri per non

costipare eccessivamente il terreno, a superficie liscia o dentata o realizzata con

una griglia metallica cilindrica. Spesso il rullo è combinato con la seminatrice,

pertanto l'operazione si esegue con un unico passaggio in corrispondenza della

semina.

Page 17: Tecnologia Rurale

Lavorazioni di coltivazione

Si effettuano con la coltura in atto con scopi specifici di varia natura secondo le

colture. Largamente adottate in passato, attualmente si ricorre meno a queste

lavorazioni in quanto possono essere surrogate da altre tecniche colturali come ad

esempio il diserbo chimico. I lavori di coltivazione tradizionali sono due:

Sarchiatura o scerbatura. Consiste in una lavorazione superficiale dell'interfila

eseguita allo scopo di interrompere la risalita capillare dell'acqua, in modo da

contenere le perdite per evaporazione, e di rimuovere le erbe infestanti. Si esegue

con macchine specifiche (sarchiatrici) oppure con macchine impiegate per altri

scopi ma adatte ad essere utilizzate anche per la sarchiatura. Nelle agricolture

marginali o in quelle ad alto reddito (come le orticole o le floricole) è eseguita

manualmente con la zappettatura.

Rincalzatura. Consiste nel riporto di terra al piede delle piante, rimuovendola

dall'interfila, per scopi che variano secondo la coltura. L'operazione si esegue con

aratri leggeri oppure con l'aratro assolcatore.

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AVVICENDAMENTI COLTURALI

Gli avvicendamenti colturali (rotazioni) sono importanti nei sistemi agricoli con

colture erbacee e sono state praticati per centinaia di anni.

• Gli avvicendamenti colturali devono essere programmati, adattandoli al tipo di

attività aziendale.

• Un avvicendamento colturale più o meno libero è parte essenziale della

gestione agricola integrata, perché produce benefici ambientali, agronomici e

gestionali.

• Lo scopo dell’avvicendamento colturale nella gestione agricola integrata è di

ottenere colture sane e vigorose, facendo il miglior uso delle risorse naturali,

per produrre in modo economico raccolti di qualità.

In particolare:

Gli avvicendamenti colturali sono importanti nei sistemi agricoli con colture erbacee

e sono praticati da centinaia di anni, perché:

• Riducono la crescita di molti parassiti, interrompendone il ciclo vitale.

• Consentono di ridurre l’impiego di fertilizzanti.

• Aiutano a mantenere la struttura del terreno.

• Riducono i rischi economici.

• Consentono un migliore utilizzo del lavoro e delle macchine.

Gli avvicendamenti colturali devono essere programmati, adattandoli al tipo di

attività aziendale, considerando:

• Il clima.

• I tipi di terreno.

• La localizzazione geografica dell’azienda.

• I mercati ai quali sono destinati i prodotti dell’azienda.

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• I problemi relativi alla protezione delle colture dalle avversità biotiche

parassitarie (fitofagi, malattie, malerbe) di tutta l’azienda e, delle singole

colture.

• L’impatto ambientale conseguente alle colture programmate.

• La disponibilità di lavoro.

• Le possibilità di stoccaggio dei prodotti raccolti.

• Le necessità di liquidità monetaria.

Ciascuna delle suddette voci, può influire su varie decisioni:

Clima: Scelta delle colture e delle varietà, possibilità di eseguire lavori, irrigazione,

sviluppo delle avversità biotiche.

Terreno e giacitura: Scelta delle colture e delle varietà, sistemazioni, concimazioni,

tipologia delle coltivazioni, epoca di tutte le operazioni in campo,

Mercati: Scelta di varietà, tenuto conto dell’ambiente, in funzione della richiesta dei

clienti, e della organizzazione commerciale.

Problemi fitosanitari: Scelta delle varietà, tenuto conto della loro resistenza.

Impatto ambientale: Sistemazioni idraulico agrarie, modalità di lavorazione,

concimazioni, epoca delle operazioni colturali.

Disponibilità di mano d’opera: Disponibilità di mano d’opera per seminare, eseguire

operazioni colturali, trattamenti e raccolta.

Stoccaggio dei prodotti: Disponibilità di spazi di stoccaggio dei prodotti non esitabili

immediatamente sul mercato o per le prime lavorazioni.

Page 20: Tecnologia Rurale

Un avvicendamento colturale più o meno libero è parte essenziale della gestione

agricola integrata, perché produce benefici ambientali, agronomici, gestionali ed

economici.

Benefici ambientali

• Minori danni per erosione dei terreni declivi.

• Minore disturbo e distruzione dei luoghi di nidificazione.

• Maggiore biodiversità.

• Maggiore varietà di fonti alimentari per la fauna selvatica.

Benefici agronomici

• Migliori condizioni fisiche del terreno.

• Riduzione o eliminazione di alcuni problemi fitosanitari.

• Contribuire a risolvere problemi fitosanitari “difficili”.

Benefici gestionali

• Soddisfacimento delle esigenze dei clienti.

• Facilitazione della gestione del lavoro.

Benefici economici

• Riduzione dell’impiego di prodotti fitosanitari e di fertilizzanti.

• Possibilità di pianificare l’impiego delle macchine e del personale.

• Mantenimento della redditività.

Page 21: Tecnologia Rurale

ARBORICOLTURA

L' arboricoltura è una disciplina tecnico-scientifica (chiamata anche coltivazione

arborea), che si occupa della coltivazione degli alberi a fini produttivi o ornamentali.

In particolare si occupa della selezione, piantagione e gestione degli alberi e dello

studio, dal livello molecolare alla pianta intera, di come essi crescono e rispondono

alla pratiche colturali alle quali sono sottoposti ed all'ambiente nel quale si trovano a

vivere.

Si distingue in:

arboricoltura da legno, si occupa delle piantagioni di specie arboree per la

produzione del legname

arboricoltura da frutto, ha il proprio campo di interesse nella coltivazione delle

piante da frutto

arboricoltura ornamentale, si occupa della coltivazione e cura di alberi

ornamentali

L'arboricoltura da legno è una disciplina tecnica, branca dell'arboricoltura, che si

occupa della realizzazione e della gestione di piantagioni di specie arboree

finalizzate alla produzione di determinati assortimenti legnosi nella massima

quantità possibile. Si tratta di piantagioni generalmente coetanee e monospecifiche

od oligospecifiche, localizzate in aziende agricole od aziende agroforestali su

terreni fertili, pianeggianti o poco pendenti e comunque facilmente accessibili dai

mezzi meccanici.

Lo scopo dell'arboricoltura da legno, a differenza della silvicoltura, è la

massimizzazione della produzione del materiale legnoso, che nel momento

economicamente e commercialmente ottimale, viene totalmente asportato.

Le piantagioni da legno vengono governate a fustaia o a ceduo. Le specie arboree

più utilizzate in Italia sono alcune conifere nordamericane appartenenti ai

generi pinus e pseudotsuga, tra le latifoglie principalmente il pioppo ed in misura

Page 22: Tecnologia Rurale

minore altre specie come l'eucalipto, il noce ed il ciliegio selvatico le ultime due

considerate specie a legno pregiato,

La frutticoltura, è una branca dell'arboricoltura che riguarda tutte le caratteristiche

relative agli alberi da frutto. Ciò che caratterizza le coltivazioni arboree, è la

consistenza legnosa, ciò dovuto alla presenza di Lignina, e la loro longevità, cioè il

tempo che queste piante rimangono sul terreno.

Ovviamente, queste coltivazioni presentano esigenze assai più complesse rispetto alle

semplici Coltivazioni erbacee, lavorazioni più profonde; ad esempio per quanto

riguarda l'aratura, è previsto talvolta lo "scasso", cioè una lavorazione che può

giungere sino al metro di profondità.

Vi sono anche tutta una serie di accorgimenti da prendere a seconda di quale pianta si

stia trattando: olivo, vite, melo, ecc... Insomma dipende da cosa si abbia di fronte, in

base a ciò, si adatteranno le concimazioni, le irrigazioni, le potature; tutte le tecniche

colturali.

Pure le coltivazioni arboree, possono essere divise in una parte generale, in cui si

analizzano gli aspetti botanici e scientifici, che in una parte speciale in cui

analizziamo le varie tecniche colturali.

L'arboricoltura ornamentale si interessa dello studio delle specie arboree d'alto fusto

radicate in ambienti antropizzati o, in ogni caso, con scopi paesaggistico-estetici o

di forestazione urbana.

Page 23: Tecnologia Rurale

BACHICOLTURA

La bachicoltura (o sericoltura) è l'allevamento del baco da seta (Bombix mori) per la

produzione di bozzoli da cui si ricava il filo di seta.

Il baco (bigat, burdocc, cavalier in dialetto) si nutre esclusivamente

delle foglie deigelsi, piante del genere Morus (famiglia Moraceae), in

particolare Morus alba (gelso bianco o comune) e Morus nigra (gelso nero). Le sue

uova (dette semenza) si schiudono tra la fine di aprile e l'inizio di maggio, quando le

foglie sugli alberi si sono completamente formate. Si sviluppa attraverso quattro mute

(cambi di pelle) fino alla costruzione del bozzolo:

La prima età larvale (una settimana circa)

La seconda età larvale (una settimana circa)

La terza età larvale (cinque giorni circa)

La quarta età larvale (cinque giorni circa)

La quinta età larvale (quattro giorni circa)

Salita al bosco al completamento del bozzolo serico

L'allevamento veniva fatto nelle case dei contadini, le stanze adibite a questo scopo

avevano oltre alle finestre, aperture supplementari sopra le porte o sotto le finestre

per garantire l'aerazione. Per contenere i bachi si costruivano graticci o intelaiature in

legno con fondo in canne o tela, sovrapponibili per risparmiare spazio.

I piccoli bachi nati dalle uova venivano messi sui graticci e alimentati con foglia

fresca finemente trinciata, i letti periodicamente ripuliti per evitare malattie. Alla

terza età la foglia viene somministrata più volte al giorno, intera, alla quarta con tutto

il ramo. In 27/28 giorni, passando attraverso quattro dormite, i bachi crescono fino a

diventare lunghi 7/8 centimetri, insieme a loro cresce la quantità di cibo necessaria e

lo spazio che occupano.

Page 24: Tecnologia Rurale

I bachi salgono al bosco, si arrampicano su mazzi di frasche secche dove cercano un

posto sicuro per costruire il bozzolo dove compiere la metamorfosi in crisalide. La

costruzione dura 3/4 giorni.

Per i bachi nati da 20.000 uova le necessità di spazio e cibo aumentano in questo

modo a ogni età:

prima, un metro quadrato, 10 kilogrammi di foglia.

seconda, due metri quadrati, 20 Kg.

terza, cinque metri quadrati, 70 Kg.

quarta, dieci metri quadrati, 180 Kg.

quinta, 600 Kg.

La quantità di bozzoli da loro prodotta è di 35/40 Kg. Da 100 Kg. di bozzoli si

ricavano 20/25 Kg. di seta cruda e 15 Kg. di cascami.

Bachi di razza diversa producono bozzoli di differente colore: bianco candido (i più

pregiati), da giallini fino ad arancioni (meno pregiati).

Nelle zone del nord Italia, soprattutto in pianura, sono ancora visibili filari di gelsi a

testimonianza della diffusione che quest'industria ebbe sul territorio.

Page 25: Tecnologia Rurale

APICOLTURA

L'apicoltura, è l'allevamento di api allo scopo di sfruttare i prodotti dell'alveare dove

per tale si intenda un'arnia popolata da una famiglia di api. Le arnie "razionali" sono

quindi le strutture modulari dove l'apicoltore ricovera le api e strutturate con favi

mobili. Le arnie più primitive non avevano favi mobili ed erano dette bugno o "bugno

villico". Malgrado le specie allevate siano diverse, per la sua produttività ha netta

predominanza l'Apis mellifera. Il mestiere dell'apicoltore consiste sostanzialmente nel

procurare alle api ricovero e cure, e vegliare sul loro sviluppo; in cambio egli

raccoglie una quota discreta del loro prodotto, consistente in: miele, polline, cera

d'api, pappa reale, propoli, veleno.

Praticata in tutti i continenti, questa attività varia a seconda delle varietà delle api,

del clima e del livello di sviluppo economico dell'agricoltore, e in essa pratiche

ancestrali come l'affumicamento si mischiano a metodi moderni come

l'inseminazione artificiale delle regine.

Tale allevamento è branca della zootecnica, seppure intesa in accezione ampia, e

viene insegnata a livello accademico nei moduli di apicoltura come attività

zootecnica, per quanto riguarda le scienze e tecnologie delle produzioni animali, nei

corsi di zootecnia in medicina veterinaria, e nei corsi di zoocolture nell'ambito

di scienze biologiche e naturali.

La gestione di un alveare consiste soprattutto nel sorvegliarne lo sviluppo in funzione

del periodo e delle condizioni ambientali.

Una colonia di api è costituita da un'unica regina, da molte operaie (femmine),

da fuchi (maschi) e dalla covata (larve). Un alveare è composto da un'unica colonia o

famiglia.

Per riprodursi e sopravvivere, una colonia di api cerca di accumulare il massimo

possibile di provviste durante la buona stagione, per poter passare l'inverno. La

popolazione della colonia varia secondo le stagioni. È molto grande nei periodi in cui

le risorse naturali sono abbondanti (da 30.000 a 70.000 individui), allo scopo di fare

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la maggiore raccolta possibile. D'inverno si riduce fino a scendere attorno ai 6.000

individui, per ridurre al minimo indispensabile il consumo delle provviste. La

popolazione non può tuttavia scendere oltre un certo limite, giacché è quella che

dovrà rilanciare la colonia in primavera.

L'alveare divisibile

L'arnia si può definire come l'"unità abitativa" costruita dall'apicoltore per accogliere

una colonia di api. L'alveare è una famiglia inarniata. Un insieme di alveari

costituisce un apiario.

Nel XIX e nel XX secolo, l'approccio scientifico all'apicoltura e la ricerca in

direzione di un'apicoltura razionale hanno consentito di mettere a punto degli alveari

moderni, caratterizzati da favi mobili, di dimensioni precise e standardizzate.

I favi mobili consentono di intervenire nell'alveare senza distruggerlo. Costruiti dalle

api, uno a uno, possono essere facilmente estratti e rimessi a posto. Questi favi

possono essere sia costruiti su telai preparati dall'apicoltore, sia sospesi a barre o

barrette sulle quali l'apicoltore ha disposto degli abbozzi di favi.

Esistono due grandi famiglie di alveari:

quelle che crescono per elementi standard sovrapposti verticalmente,

dette alveari divisibili;

quelle che crescono per aggiunta di telai affiancati a quelli già sul posto, e sono

gli alveari orizzontali.

Le dimensioni degli alveari verticali variano in funzione del numero di elementi

impilati, quelle orizzontali hanno sempre lo stesso aspetto, all'esterno, ma hanno

all'interno spazio sufficiente per accogliere favi supplementari al momento della

crescita della colonia.

Le arnie portano spesso il nome del loro inventore.

Quelle verticali a telaio più comuni in Francia sono le Dadant, Langstroth e Voirnot;

la prima è la più presente in Europa, e la sua versione italiana, standardizzata

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nel 1932, e ancora oggi prevalente nell'apicoltura nazionale, sia pure con successive

evoluzioni, si chiamò Italica-Carlini

Il vero inventore del telaino era stato comunque il pastore americano Lorenzo

Lorraine Langstroth, originario del Massachussetts, che nel 1851 aveva scoperto

il passo d'ape o spazio d'ape, cioè quello spazio di ampiezza fissa (9, 5 mm) da

lasciare tra coprifavo e portafavo e tra i montanti dei telaini, che era sufficiente e

necessario perché le api non fissassero alla parete e al tetto i favi: nello spazio così

lasciato libero le api non costruirono né favi né ponti, il telaio diventò veramente

mobile, e non fu più necessario distruggere i favi per estrarne i prodotti.

La scoperta di Langstroth fu determinante per tutti i modelli successivi di favi mobili.

Gli alveari Warre e Climatstable sono di tipo orizzontale, divisibili a barrette, e

destinati prevalentemente all'apicoltura ecologica.

Tra gli alveari orizzontali a telaio vanno citati quelli messi a punto da De Layens e

perfezionati da Jean Hurpin. Attualmente suscita vivo interesse, sia nei paesi in via di

sviluppo che in quelli sviluppati, l'alveare a barre portafavo, adattato alle regioni

calde, e di basso costo.

Alveare divisibile a telaini mobili

L'alveare divisibile tipico è costituito da un numero variabile di casse impilate, aperte

sopra e sotto.

Questa pila poggia su un telaio sporgente da un lato a formare un balcone, detto telaio

di volo. Questo balcone costituisce la porta d'accesso delle api.

La prima cassa si chiama corpo dell'alveare. Esso costituisce il dominio proprio

e privato della api: tutto ciò che vi viene deposto appartiene a loro, e contiene le

provviste sufficienti a che la colonia possa svernare.

Le casse successive sono i melari: sono queste il dominio dell'agricoltore, dal

quale egli trae il miele.

Il tutto è sormontato da un cappuccio detto coprifavo e, per finire, da un tetto.

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Il corpo e i melari contengono dei telaini sospesi verticalmente nei quali le api

costruiscono i loro favi: i telaini come s'è detto sono mobili, e l'agricoltore può tirarli

fuori dall'alveare uno a uno, in modo da sostituirli al bisogno, o cambiarli di alveare,

o verificare lo stato della colonia. I vari modelli di alveare si distinguono per le

dimensioni e il numero dei telaini.