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Tecnologia Farmaceutica Come si fa in modo che la sostanza attiva possa essere somministrata? Di ciò si occupa la tecnologia farmaceutica. Circa ¼ di molecole che vengono scoperte ad altissima attività farmacologica, non sono poi commercializzate perché non si trova una formulazione funzionale per queste sostanze. Forma farmaceutica, ci sono due definizioni: Categoria delle preparazioni formulate cui appartiene il prodotto; Presentazione del farmaco conseguente una trasformazione che lo rende idoneo a un certo tipo di somministrazione. Quindi nella prima definizione, entra il concetto di formulazione che, nella seconda definizione, in cui entra il concetto di trasformazione, e quindi un processo formulativo (di trasformazione) che rende il principio attivo idoneo alla somministrazione. Quindi sono tutte le sostanze e tutti quei processi che fanno sì che il principio attivo possa essere somministrato. La classificazione delle forme farmaceutiche è varia, e può essere fatta in base: Alla forma “fisica”: si possono avere forme farmaceutiche solide, liquide e semisolide. Unidose/multidose: unidose per le forme farmaceutiche che sono suddivise, all'atto della preparazione, nella singola unità posologica (compresse, supposte), quindi quando la suddivisione nell'unità posologica è fatta da chi produce la forma farmaceutica. Multidose quella in cui la suddivisione della singola unità posologica è fatta dal paziente (gocce, sciroppi, colliri). Via di somministrazione, che sono: 1) orale, 2) rettale, 3) parenterale, 4) topica, 5) polmonare, 6) nasale, 7) oculare. Un’altra suddivisione delle forme farmaceutiche è in base all'uso: l'uso sistemico e l'uso locale. Spesso ci si confonde: spesso s’intende per somministrazione sistemica quella che prevede che la forma farmaceutica arrivi all'interno dell'organismo mentre per somministrazione locale s’intende una forma farmaceutica che si applica all'esterno; non è sempre così perché in realtà quello che fa la differenza è se viene assorbito e quindi se viene trasportato dal torrente circolatorio si parla di uso sistemico. Nella forma farmaceutica, escludendo il principio attivo, ci sono degli eccipienti. Sono definiti come qualsiasi materiale contenuto nella forma farmaceutica finale che non sia il principio attivo. Gli eccipienti devono rientrare nella categoria di sostanze definite GRAS, generally recognized as safe, ovvero, sicure dal punto di vista farmaceutico e tossicologico. Inoltre, nella definizione di eccipiente, entra il fatto che queste sostanze devono essere inerti da tutti i punti di vista; devono essere inerti chimicamente, fisicamente, farmacologicamente e dal punto di vista tossicologico. Per ogni singolo eccipiente deve essere valutata e giustificata in sede di Autorizzazione all'immissione in commercio la funzione, e quindi deve essere giustificato perché l'eccipiente è stato aggiunto e deve essere dichiarata o validata la sua funzione nella forma farmaceutica. Nella definizione della Ph Eur: un qualsiasi componente, al di fuori del principio attivo, presente in

Tecnologia Farmaceutica

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Tecnologia Farmaceutica

Come si fa in modo che la sostanza attiva possa essere somministrata? Di ciò si occupa la

tecnologia farmaceutica. Circa ¼ di molecole che vengono scoperte ad altissima attività

farmacologica, non sono poi commercializzate perché non si trova una formulazione funzionale per

queste sostanze.

Forma farmaceutica, ci sono due definizioni:

Categoria delle preparazioni formulate cui appartiene il prodotto;

Presentazione del farmaco conseguente una trasformazione che lo rende idoneo a un certo

tipo di somministrazione.

Quindi nella prima definizione, entra il concetto di formulazione che, nella seconda definizione, in

cui entra il concetto di trasformazione, e quindi un processo formulativo (di trasformazione) che

rende il principio attivo idoneo alla somministrazione. Quindi sono tutte le sostanze e tutti quei

processi che fanno sì che il principio attivo possa essere somministrato. La classificazione delle

forme farmaceutiche è varia, e può essere fatta in base:

Alla forma “fisica”: si possono avere forme farmaceutiche solide, liquide e semisolide.

Unidose/multidose: unidose per le forme farmaceutiche che sono suddivise, all'atto della

preparazione, nella singola unità posologica (compresse, supposte), quindi quando la

suddivisione nell'unità posologica è fatta da chi produce la forma farmaceutica. Multidose

quella in cui la suddivisione della singola unità posologica è fatta dal paziente (gocce,

sciroppi, colliri).

Via di somministrazione, che sono: 1) orale, 2) rettale, 3) parenterale, 4) topica, 5)

polmonare, 6) nasale, 7) oculare.

Un’altra suddivisione delle forme farmaceutiche è in base all'uso: l'uso sistemico e l'uso locale.

Spesso ci si confonde: spesso s’intende per somministrazione sistemica quella che prevede che la

forma farmaceutica arrivi all'interno dell'organismo mentre per somministrazione locale s’intende

una forma farmaceutica che si applica all'esterno; non è sempre così perché in realtà quello che fa la

differenza è se viene assorbito e quindi se viene trasportato dal torrente circolatorio si parla di uso

sistemico.

Nella forma farmaceutica, escludendo il principio attivo, ci sono degli eccipienti. Sono definiti

come qualsiasi materiale contenuto nella forma farmaceutica finale che non sia il principio attivo.

Gli eccipienti devono rientrare nella categoria di sostanze definite GRAS, generally recognized as

safe, ovvero, sicure dal punto di vista farmaceutico e tossicologico. Inoltre, nella definizione di

eccipiente, entra il fatto che queste sostanze devono essere inerti da tutti i punti di vista; devono

essere inerti chimicamente, fisicamente, farmacologicamente e dal punto di vista tossicologico. Per

ogni singolo eccipiente deve essere valutata e giustificata in sede di Autorizzazione all'immissione

in commercio la funzione, e quindi deve essere giustificato perché l'eccipiente è stato aggiunto e

deve essere dichiarata o validata la sua funzione nella forma farmaceutica.

Nella definizione della Ph Eur: un qualsiasi componente, al di fuori del principio attivo, presente in

una preparazione farmaceutica o utilizzata per la fabbricazione. Esiste un’istituzione internazionale

per il controllo e per la qualità degli eccipienti per uso farmaceutico che ha dato una sua

definizione. Nella definizione dell'IPEC(international Pharmaceutical Eccipients control) c'è una

classificazione degli eccipienti che devono essere inerti. La definizione secondo l'IPEC degli

eccipienti è: una qualsiasi sostanza,diversa dal principio attivo,adeguatamente valutata nella

sicurezza, che faccia parte di un sistema di azione del principio attivo, per una delle seguenti

ragioni:

1. Aiutare la lavorazione del sistema durante la preparazione;

2. Proteggere,supportare o aumentare la stabilità, la biodisponibilità e la patient compliance;

3. Aiutare l'identificazione del medicinale potenziare la sicurezza e l'efficacia del medicinale

durante lo stoccaggio e l'uso.

I primi eccipienti, utilizzati nelle preparazioni farmaceutiche, erano tutte sostanze alimentari e di

uso corrente, come il miele, il vino, l'uovo, le mele, etc. ovviamente si è passati dall'uso di queste

sostanze, poco standardizzate, all'uso di sostanze riconosciute come eccipienti farmaceutici. Questo

perché la composizione deve essere standardizzata come anche le caratteristiche chimico-fisiche.

Esiste, redatta e controllata dall'IPEC, una guida per la qualità degli eccipienti per uso farmaceutico

( good manufacting guide ok buik pharmaceutical excipient); in queste norme di buona

preparazione degli eccipienti sono state standardizzate le tecniche e i controlli, e vengono definite le

fonti degli eccipienti(che possono essere naturali o sintetici). Le industrie farmaceutiche speravano

di poter utilizzare o sostanze già utilizzate da altri (così si risparmiavano studi di inerzia e

tossicologia) o sostanze utilizzate nell'industria alimentare. Infatti si sono tantissime sostanze che

entrano nelle confezioni farmaceutiche che sono già in uso nei prodotti alimentari soprattutto del

mondo orientale.

Nella standardizzazione degli eccipienti deve essere validata la presenza di impurezze ( devono

essere identificate e/o analizzate) e possono essere:

Tossiche,che devono essere sempre controllate;

Funzionali,che devono essere accertate nella composizione della sostanza perché altrimenti

quella sostanza non riesce a esplicare la sua funzione di eccipiente(es. Cellulosa cristallina

ha una piccola frazione di emicellulosa che è fondamentale in quanto in assenza di questa

sostanza non si ha una modificazione della viscosità).

È difficile valutare la purezza e la stabilità degli eccipienti perché la maggior parte degli

eccipienti non sono specie chimiche pure, ma sono miscele di specie diverse. Per molti

eccipienti, la valutazione della stabilità non è fatta da un'analisi di tipo chimico ma è fatta da

un'analisi di tipo fisico. Ad esempio, la gelatina che è un eccipiente di derivazione animale,

e quindi non ha composizione chimica semplice, la sua stabilità nel tempo viene valutata

misurando una capacità fisica cioè il potere gelificante. Quindi si misura il tempo 0 di potere

gelificante e si misura, poi, dopo un anno e da questo si valuta se l'eccipiente è ancora

stabile oppure no. Questo è ovviamente valido per gli eccipienti di sintesi generalmente

hanno una composizione standard e quindi la stabilità viene fatta con altri metodi. Gli

eccipienti possono essere classificati in base al ruolo:

Costitutivo , la cui presenza è fondamentale per realizzare la forma farmaceutica; nella

quasi totalità delle forme farmaceutiche, gli eccipienti oscillano tra il 60 e l'80% della massa

della forma farmaceutica. Servono quindi per ottenere una “massa lavorabile”;

Produttivo, che non sono fondamentali, in assoluto ma sono legati alla tecnica di

produzione. Servono quindi per facilitare i processi tecnologici di produzione;

biofarmaceutico, ovvero che sono in grado di modificare la biodisponibilità o piu' in

generale, il “destino” del principio attivo nell'organismo;

Conservazione, che servono per la stabilità;

presentazione , per la patient compliance(es associazione odore-aroma come per esempio

nello sciroppo all'aroma di arancio con colore blu).

Gli eccipienti devono essere inerti ma possono influenzare il rilascio della forma farmaceutica, e la

presenza di un eccipiente è il responsabile delle allergie e delle reazioni avverse al 70%, ai farmaci.

Tra gli eccipienti che sono sicuramente presenti in maggiori quantità nella forma farmaceutica, ci

sono quelli che hanno un ruolo costitutivo, ovvero quelli che consentono la lavorabilità del

principio attivo. Nell'ambito degli eccipienti con il ruolo costitutivo si trovano i DILUENTI. Questi

possono essere: solidi, liquidi e semisolidi( per le preparazioni ad uso dermatologico). Uno dei

diluenti piu' utilizzati,nonostante il problema legato alle intolleranze, è il lattosio. Le informazioni

sul lattosio dalla farmacopea europea.

Le principali sono:monografie:anidro,monoidrato (2 forme di lattosio); caratteristiche

specifiche:potere rotatorio specifico,perdita all'essiccamento,metalli pesanti. Forme farmaceutiche

solide:diluente(65-85%); In soluzione ( + saccarosio 1/3): confettura; Lattosio spray dried (SP) è un

tipo particolare di lattosio,che può essere usato per ottenere compresse con la tecnica della

compressione diretta e quindi è un eccipiente facilmente comprimibile. Quindi il lattosio che può

essere utilizzato nelle preparazioni di uso farmaceutico deve rispondere ai requisiti di farmacopea,

in farmacia non si può utilizzare qualsiasi lattosio, ma bisogna utilizzare il lattosio FU. Se non esiste

per quella sostanza la monografia sulla farmacopea italiana si fa rifermento alla monografia che fa

riferimento alla sostanza sulla farmacopea europea.

Nell'utilizzo del lattosio cosa bisogna che sia valutato: l'intolleranza da parte del paziente e le

incompatibilità di tipo chimico o fisico. Di tipo chimico possono essere: da condensazione con

ammine primarie; può dare prodotti con colorazione scura. Quindi non è solo un problema legato al

fatto che il principio attivo non è piu' attivo una volta che il lattosio si è condensato, ma è anche che

la forma farmaceutica ha una colorazione non corretta. Durante il riscaldamento per la

nebulizzazione per ottenere il lattosio spray dried o se nella lavorazione della forma farmaceutica

c'è una fase di riscaldamento, il lattosio può dare luogo alla 5-idrossimetil-2-furfale che ha sempre

un colore scuro.

Tra gli eccipienti con ruolo costitutivo, oltre ai diluenti ci sono gli assorbenti e gli adsorbenti: gli

assorbenti, che sono generalmente dei silicati, che sono aggiunti nelle preparazioni farmaceutiche

per assorbire l'eventuale umidità residua che ci può essere nel processo produttivo. Gli adsorbenti

sono delle sostanze, come per esempio il caolino o il talco, che hanno la caratteristica di avere

elevata capacità assorbente e questo serve, ad esempio, a formulare in forma solida dei principi

attivi liquidi. Quindi il principio attivo liquido viene fatto adsorbire sul solito e poi viene formulato

in una forma farmaceutica solida. Ciò che però bisogna stare attenti è di non alterare la

biodisponibilità del principio attivo,quindi che non influenzi il rilascio in vivo del principio attivo.

Oltre a questi ci sono anche gli eccipienti con ruolo produttivo: sono una classe decisamente piu'

ampia e sono: i lubrificanti, i glicanti, i leganti, i elasticizzanti, i tensioattivi e i viscosizzanti. Quelli

più interessanti sono i lubrificanti e i glicanti: queste due classi fanno parte della classe

generalmente definita come lubrificanti. I glicanti agiscono sulle particelle delle polveri e quindi

aumentano la scorrevolezza di una polvere agendo sulla porosità; i lubrificanti aumentano la

scorrevolezza della polvere modificando o agendo sulle interazioni tra la polvere e le parti della

macchina che produce la forma farmaceutica.

Ci sono anche gli eccipienti con ruolo farmaceutico cioè quelli che influenzano il rilascio del

principio attivo della forma farmaceutica. In questo caso sono: i disgreganti, i polimeri e i bagnanti.

La classe preponderante è quella dei disgreganti o disaggreganti. Uno dei disgreganti più utilizzato

è l’amido, ma esistono anche dei polimeri particolari come la croscaramellosio il cui nome

commerciale è l'explotab, che porta proprio all'esplosione della compressa una volta che questa è

messa in contatto con l'acqua.

Da notare bene è che le forme farmaceutiche sono distinte in: convenzionali e in non

convenzionali. Le forma farmaceutica convenzionale non deve avere effetto sull'assorbimento del

principio attivo, quindi generalmente la forma farmaceutica convenzionale è realizzata per fare in

modo che il principio attivo sia rilasciato nella maggiore quantità e il più velocemente possibile.

Quindi nella forma farmaceutica convenzionale, la velocità di rilascio della forma farmaceutica è

molto maggiore rispetto alla velocità di assorbimento. Quando il principio attivo è formulato con la

forma farmaceutica convenzionale, lo stadio limitante della sua azione è l'assorbimento e non la

liberazione del principio attivo. La forma farmaceutica non convenzionale, invece, viene realizzata

per modulare il rilascio del principio attivo e la caratteristica è che la velocità di rilascio del

principio attivo è minore rispetto alla velocità di assorbimento, e quindi lo stadio limitante non è il

passaggio attraverso le membrane biologiche bensì la liberazione del principio attivo. Nelle forme

farmaceutiche convenzionali , il ruolo del disgregante è fondamentale. Uno dei disaggreganti più

utilizzato è l'amido; in farmacopea ci sono 4 monografie a seconda dell'azione dell'amido e non ha

un solo ruolo( come la maggior parte degli eccipienti); infatti funziona sia da diluente, che da

legante (pasta d'amido al 5-25%) e da disgregante(3-17%). Quindi indipendentemente dalla sua

composizione può funzionare da disgregante o da legante nella forma farmaceutica. Inoltre l'amido

può essere utilizzato anche come principio attivo:entra come principio attivo in numerose

preparazioni per uso cutaneo come assorbenti o come anti irritanti.

Un'altra classe degli eccipienti, presenti in quasi tutte le forme farmaceutiche industriali è la classe

degli stereati, in particolare lo stearato di magnesio (Ph. Eur) ha delle incompatibilità chimiche, che

vanno valutate; il problema degli stearati è che sono totalmente insolubili in acqua e quindi la loro

presenza è fondamentale per favorire lo scorrimento delle forme per uso farmaceutico nelle

macchine produttrici, ma bisogna valutare negli studi di pre-formulazione in maniera estremamente

accurata, la loro quantità perché possono influenzare in maniera drammatica la liberazione del

principio attivo, ovvero si potrebbero produrre delle compresso che non rilasciano il principio

attivo. Il loro ruolo è di lubrificanti.

Indipendentemente che le forme farmaceutiche siano solido o liquide, i conservanti avranno una

funzione diversa. Tra i conservanti ci sono:

antiossidanti:metabisolfito, acido ascorbico;

chelanti: EDTA;

antimicrobici: parabeni, acido benzoico.

Il processo ossidativo nasce sostanzialmente con i doppi legami di O2, catalizzati dalla luce o da

alcuni metalli; per la conservazione di moltissime preparazioni è richiesto il vetro scuro; il risultato

del processo ossidativo sono altri prodotti. Sono catalizzati da alcuni ioni, per questo vengono

aggiunti degli agenti chelanti che non sono dei protettori, ovvero non inibiscono il processo

ossidativo, ma eliminando i metalli rallenta il processo ossidativo. Oppure , gli antiossidanti veri e

proprio sono delle sostanze che si ossidano e quindi impediscono l'ossidazione della forma

farmaceutica.

Ci sono degli eccipienti con il ruolo di presentazione e sono:

aromatizzanti

edulcoranti: aspartame, saccarosio,saccarina

coloranti: idrosolubili, ossidi di ferro

opacizzanti: biossido di titanio.

Per gli aromatizzanti e per i coloranti ci sono degli studi impegnativi; c'è infatti, un istituto in

Svizzera che studia questi( sono un team di psicologi,chimici) che studia l'effetto psicologico del

colore nelle forme farmaceutiche. Ci sono degli effetti dei coloranti impensabili, per esempio

nell'anti aritmico se è di colore delle tonalità del rosso potenzia l'effetto del principio attivo. Un'altro

problema dei coloranti è che molti di questi(come gli ossidi di ferro) sono insolubili in acqua e

quindi con gli stearati, la loro presenza nella forma farmaceutica deve essere valutata molto

accuratamente perché possono avere effetti sul rilascio del principio attivo.

Polveri

Le polveri hanno diverse classificazioni: sono classificate come polveri delle forme allo stato solido

costituite da particelle che vanno dall'ordine del micron ai 100-4000 μm, ma in questo caso si parla

di aggregati, e quindi si passa da dimensioni non visibili ad occhio nudo a dimensioni visibili. Le

dimensioni delle particelle solide, che costituiscono una polvere, sono responsabili di quasi tutte le

caratteristiche delle polveri. Le dimensioni delle particelle influenzano l'area superficiale di una

polvere. Per area superficiale si intende la superficie della polvere/volume(viene anche chiamata

area superficiale specifica). Delle riduzioni, non caratteristiche, delle dimensioni (in questo caso

sono considerati dei gruppetti di polvere) o di lunghezza del lato portano a variazioni della

superficie specifica sostanziali. Se un cubetto, che ha 1 cm di lato, ha un'area specifica di 6

cm2/cm3, se riduciamo di 1μm si ha un incremento dell'area superficiale. L'area superficiale è

importante perché influenza numerose caratteristiche delle polveri in particolare la velocità di

dissoluzione, e quindi la capacità che la forma farmaceutica ha di liberare il principio attivo. Le

polveri sono preparate con:

un approccio di tipo meccanico(nella quasi totalità dei casi) con delle macchine dette

molini, in cui viene ridotta la dimensione delle particelle, in cui quindi si ha la riduzione di

materiale grossolano in particelle più piccole;

un approccio di tipo chimico-fisico(raramente perché la tecnica è costosa), generalmente si

utilizza per produrre delle polveri colloidali,cioè a dimensioni inferiori al micron.

Nell'approccio meccanico ci possono essere dei problemi sia per i principi attivi che per le polveri,

perché in un processo di riduzione meccanica si sviluppa sicuramente calore, e quindi bisogna

valutare la stabilità alle variazioni di calore del principio attivo e degli eccipienti e bisogna valutare

accuratamente l'energia che bisogna fornire al processo di macinazione; questo perché una parte di

energia servirà a ridurre le dimensioni delle particelle mentre una frazione sarà assorbita dal

sistema(dalla polvere e dalla macchina). Quindi vanno fatti degli studi di pre- formulazione in cui

deve essere valutata l'energia da fornire nel processo di macinazione, che deve essere l'energia

sufficiente alla riduzione delle dimensioni delle particelle ma non eccessiva per danneggiare, dal

punto di vista chimico-fisico, il principio attivo e gli eccipienti o addirittura l'apparecchiatura. Se ,

per esempio, bisogna macinare o trattare delle sostanze che sono fortemente ossidabili all'aria, nel

processo di macinazione ci potrebbe essere un'esplosione. Le macchine vengono scelta in base alla

tecnica, perché la tecnica che sfruttano influenza le dimensioni delle particelle. Quindi ci sono i

processi di:

frantumazione: è un processo grossolano, ed è la riduzione del materiale grezzo in pezzi

grossolani(mm);

macinazione: riduzione dimensionale dei pezzi grossolani in particelle più piccole

(centinaia/decine di μm)

micronizzazione: riduzione delle dimensioni di particelle o dimensioni inferiori a 10μm

fino a particelle colloidali( è la tecnica che si utilizza per produrre il lattosio spray dried,

molto costoso). Sostanzialmente il costo produttivo dipenda da numerosi fattori ma il

principale è l'energia assorbita, ovvero più energia ci vuole per realizzare il processo più il

processo è costoso.

Per la macinazione vera e propria si usano i molini, che hanno caratteristiche costruttive diverse

perché sfruttano dei meccanismi di polverizzazione diversi. I principali molini sono:a martello, a

cilindri, a coltelli, colloidale, a compressione e a impatto. Per esempio,sui molini a coltello il

meccanismo è il meccanismo di taglio. A seconda del tipo di molino e quindi a seconda del

meccanismo di macinazione,si otterranno polveri di dimensioni diverse.

Quindi il meccanismo principale è la macinazione,che si esegue attraverso i molini i quali sfruttano

meccanismi di macinazione diversi e questo meccanismo influenza la dimensione della polvere. La

scelta del molino viene fatta da:

caratteristiche di materiali di partenza ( termolabilità, dimensioni, degradabilità e struttura

fisica);

dimensioni del prodotto che si vuole ottenere;

fattori economici, definiti dal costo del processo e dal tempo del processo; perché se un

processo assorbe meno energia ma dura 6 giorni,si tiene l'impianto per 6 giorni per produrre

la base di uno dei costituenti della formulazione;

facilità di pulizia dell'apparecchiatura (anch'esso un punto cruciale della produzione) perché

lavare l'impianto vuol dire fermarlo e quindi non produrre. C'è una ricerca enorme, da parte

dell'ingegneria chimica, in quelle che si chiamano le tecniche CIP, ovvero in clean in place,

realizzati,cioè, degli impianti che possono essere lavati senza smontare nulla,riducendo,

così, in maniera drastica i tempo in cui l'impianto è fermo.

Possibilità, quando è necessario, di operare in ambiente di sterilità;

versatilità dell'operazione, macinazione o a secco o a umido, differenza della velocità di

rotazione degli elementi macinanti.

La polvere per uso farmaceutico è la base di tutte le preparazioni successive oppure può essere la

forma farmaceutica finale, e quindi la caratterizzazione secondo farmacopea sarà diversa a seconda

che la polvere per uso farmaceutico sia intermedia o sia la forma farmaceutica finita. La prima

caratterizzazione che viene richiesta dalla farmacopea è l'analisi granulometrica della polvere,

cioè la classificazione delle polveri in base alle loro dimensioni. A seconda di quali siano le

dimensioni delle particelle delle polveri, si avranno delle tecniche di dimensionamento diverse, che

daranno informazioni diverse. Le polveri possono essere caratterizzate dal diametro medio, ovvero

la dimensione media delle particelle. Un'altra informazione è data dal diametro mediano,ovvero

che tiene conto anche della distribuzione dei valori(si dice che la mediana è il valore che divide a

unità la popolazione che tiene conto anche di quante volte il valore è ripetuto, e quindi non solo il

valore medio ma della distribuzione dei valori).

Il metodo della farmacopea prende il nome di metodo dei setacci o degli stacci: i setacci sono di

alluminio e sono caratterizzati da un numero che indica l'apertura della maglia in μm. I setacci, della

farmacopea ufficiale italiana, sono a maglia quadrata. I setacci sono costituiti da materiali adatti ed

hanno maglie quadrate, in cui non deve avvenire alcuna reazione tra il materiale del setacci e della

sostanza da setacciare: servono per determinare il grado di finezza della polvere che viene descritto

nelle singole monografie utilizzando il numero del setaccio che indica l'apertura della maglia in μm.

Come si esegue il saggio di farmacopea: questo saggio dà informazioni sia sulle dimensioni che

sulla distribuzione. Vengono impilati i setacci, secondo un valore decrescente di apertura della

maglia. Vengono posti, per esempio, 100 g di polvere sul primo setaccio. La pila di setacci viene

sotto l'azione meccanica di un apparecchiatura che imprime degli scorrimenti. Dopo un certo

periodo di tempo, si pesa la quantità di polvere che si è fermata sui vari setacci. Per esempio, 80 g si

sono fermati sul setaccio 4000 e 20 g si sono fermati sul setaccio 3000. quindi 80 g della polvere

avranno un diametro medio di 4500, ovvero l'80% della polvere è certamente inferiore a 5000 ma

superiore a 4000(la farmacopea chiede il diametro medio), il 20% della polvere avrà un diametro

medio di 3500. Con questo saggio si hanno, come si è visto, sia informazioni sulle dimensioni che

sulla distribuzione; ciò perché, in farmacopea, la classificazione delle polveri non è fatta solo sulle

dimensioni ma è fatta anche sulla distribuzione delle dimensioni(che è

l'indice dell’omogeneità della polvere). Quindi le polveri sono

classificate in:

polvere grossolana: è una polvere che ha una dispersione delle

dimensioni tra 1400 μm e 355 μm, e quindi non è solo una polvere

grande, ma è molto disomogenea. La farmacopea, inoltre, guarda la %

della polvere che è passata attraverso i setacci->non meno del 95% in

massa della polvere attraverso il setaccio 1400 e non piu' del 40% in

massa della polvere attraverso il setaccio 355;

polvere moderatamente fine: non meno del 95% in massa della polvere passa attraverso il setaccio

355 e non piu' del 40% in massa della polvere attraverso il setaccio 180;

polvere fine: non meno del 95% in massa della polvere attraversa il setaccio 180 e non piu' del 40%

in massa della polvere attraversa il setaccio 125;

polvere molto fine: non meno del 95% in massa della polvere passa attraverso il setaccio 125 e non

piu' del 40% in massa della polvere passa attraverso il setaccio novanta.

Le polveri vengono classificate da dei numeri, vuol dire che la polvere ha un intervallo di

dimensioni, o da un solo numero, e vuol dire che la polvere è omogenea quando non meno del 97%

della polvere passa attraverso il setaccio di quel numero. Le dimensioni delle particelle influenzano

un'altra caratteristica importante, ovvero la porosità. La porosità delle polvere è un valore % che

esprime:

ε = volume dei pori/volume apparente x 100

e quindi esprime il rapporto tra il volume degli spazi vuoti e il volume occupato dalle particelle

delle polveri piu' gli spazi vuoti. La presenza o meno e l'entità degli spazi vuoti dipende

dall’impaccamento della polvere. Ci sono

due impaccamenti:

a) cubico, che ha una maggiore quantità

di spazi vuoti

b) romboedrico, in cui gli spazi vuoti

sono minori

Le caratteristiche della polvere che definiscono la porosità sono due: a) volume apparente,che è il

volume che tiene conto del volume delle particelle piu' gli spazi vuoti, b) volume reale,cioè il

volume della polvere una volta che si sono eliminati gli spazi tra le particelle, quindi il volume

occupato solo dalle particelle. La porosità quindi diventerà:

La farmacopea chiama il volume apparente e il volume reale: a) volume apparente prima

dell'impaccamento;b) volume apparente dopo l'impaccamento. Come si esegue il saggio: si

pongono 100 g di polvere all'interno di un cilindro, si misura il volume a impaccamento, il cilindro

è posto su un motore che imprime dei colpi al cilindro( un numero di colpi sempre fissato dalla

farmacopea): i valori che si raccolgono da questo saggio è il volume apparente prima

dell'impaccamento, che la farmacopea indica con Vo, e il volume apparente dopo l'impaccamento,

caratterizzato da Vn, dove n è il n° di colpi che sono stati dati al cilindro, e la capacità di

impaccamento, ovvero quanto la polvere è impaccabile.

Dal volume apparente,dice la farmacopea, si può rilevare la densità apparente o Vo e la densità

apparente dopo impacchettamento: è fondamentale conoscere la porosità di una polvere perché

dipende dalla dimensione delle particelle e dell'impaccamento della polvere, ma anche perché la

porosità della polvere dipendono numerose altre caratteristiche tra cui la scorrevolezza di una

polvere, che è fondamentale perché la suddivisione nelle singole unità posologiche della massa, sia

nella produzione industriale ma anche nella preparazione galenica, è fatta a volume. Quindi anche

se le macchine lavorano con dei solidi, i dosatori sono dosatori di volume e quindi la polvere si

deve muovere sulla macchina simile ad un fluido( che non viene dosato a peso ma a volume).

Il saggio di scorrimento: i solidi suddivisi in farmacopea( le polveri e i granulati) devono essere in

grado di scorrere verticalmente perché tutte le suddivisioni sulle singole unità posologiche vengono

fatte a volume e non a peso. Quindi anche se le polveri sono solidi devono scorrere e comportarsi

come un fluido. Sulla farmacopea italiana viene riportato un solo saggio come ufficiale, per

determinare la velocità di scorrimento che misura in realtà un tempo di scorrimento. 100 g di

polvere vengono fatti passare dentro un imbuto in cui è stato tappato il fondo; si apre e si misura il

tempo necessario a che la polvere defluisca attraverso questo imbuto. L'imbuto non è casuale ma

deve avere delle dimensioni in mm dettate dalla farmacopea, così come gli angoli. Ciò per avere un

sistema di riferimento uguale per tutti.

Nelle versioni precedenti della farmacopea italiana ed è stato

inserito nuovamente nella farmacopea europea. C'è un altro

saggio per definire la scorrevolezza di una polvere che si indica

con il concetto di angolo di riposo. In cosa consiste: un piatto

circolare di raggio noto che viene posto su un sostegno. Su

questo piano circolare,viene fatta cadere attraverso un imbuto la

polvere;questa, cadendo sul piano circolare, formerà un cono. Il

saggio è considerato terminato ossia quando sarà il momento in

cui è possibile eseguire la misura, quando per aggiunte

successive di polvere, l'altezza del cono non varia più. Questo

perché: la polvere che si aggiunge incomincia a cadere dai lati,che dal punto di vista fisico significa

che si è formato un equilibrio tra la forza peso e le forze di attrito e di tensione tra le particelle di

polvere,che sono quelle che mi interessa determinare(ovvero la capacità o meno delle particelle di

scorrere, quanto l'attrito influenza questa proprietà). Si misura l'angolo α che si definisce come

angolo di riposo e che dà una misura della scorrevolezza o meno della polvere.

In realtà non si misura l'α ma misuro la tag α.

si considera un valore di scorrevolezza ottimale di una polvere quando 35°< α <45°, perché polveri

poco scorrevoli sono un problema perché possono bloccare le macchine mentre polveri troppo

scorrevoli possono essere altrettanto un problema perché una polvere che scorre troppo rapidamente

viene difficilmente dosata dal sensore di volume, e quindi può dare problemi di dosaggio tanto

quanto una polvere poco scorrevole.

Le caratteristiche di una polvere che possono influenzare la scorrevolezza sono:

dimensione delle particelle; le polveri più sono piccole e più scorrono ma anche maggiore è

la loro uniformità e maggiore è la scorrevolezza;

forma delle particelle; più è regolare la forma, e quindi più assimilabile a una sfera,

maggiore sarà la scorrevolezza;

porosità: una polvere poco porosa ovvero con poco spazio vuoto tra le particelle scorre

meno rispetto a quella più porosa per un problema di ingombro fisico.

Un' altra caratteristica che viene misurata per le polveri, i cui saggi sono presenti in farmacopea, è la

misura della densità della polvere che viene fatta utilizzando un picnometro. Altra caratteristica

che viene misurata è la misura della superficie specifica della polvere. La superficie specifica è la

superficie su unità di volume ed è un parametro fondamentale per valutare la biodisponibilità di un

principio attivo perché è un parametro che influenza in maniera sostanziale la velocità di

dissoluzione delle forme farmaceutiche e quindi la capacità di liberare il principio attivo. Ci sono

moltissime tecniche per misurare la superficie specifica, ma c'è un concetto che le accomuna: sono

tutte tecniche che sfruttano l'adsorbimento (o di gas o di mercurio) di sostanze che hanno un volume

noto sulla superficie della polvere. Quindi si fa in modo che ci sia un adsorbimento

monomolecolare ( ad esempio di gas) sulla superficie della polvere e si misura quanto gas è stato

adsorbito; dato che è nota l'area che ogni molecola di gas occupa e quindi moltiplicando la

superficie occupata da una molecola per il numero di molecole che sono state adsorbite si misura la

superficie della polvere.

Le caratteristiche e i saggi visti sono quelli che la farmacopea chiede quando la polvere è

l'intermedio della lavorazione della forma farmaceutica. Però le polveri possono anche essere la

forma farmaceutica finita. Le polveri possono essere impiegate:

come polveri per uso orale;

come polveri per uso iniettabile;

come polveri per applicazione cutanea.

Sulla monografia delle polveri per uso orale, le polveri per uso orale sono preparazioni costituite

da particelle solide, non aggregate, asciutte e di vari gradi di finezza. Contengono una o più principi

attivi, con o senza eccipienti. Sono generalmente somministrate in acqua o altro liquido adatto.

Possono anche essere ingerite direttamente. Sono presentate come preparazioni a dose unica o

multidose. La farmacopea in questo caso, indica anche le caratteristiche del processo produttivo e

dà delle indicazioni sui saggi da eseguire sulla forma farmaceutica; cioè per dire che la forma

farmaceutica può essere autorizzata all'immissione in commercio deve rispondere ai saggi di

farmacopea.

Quando si hanno le polveri per applicazione cutanea si nota che la definizione è identica a quella

delle polveri per uso orale, ma aggiunge una caratteristica: se le polveri per applicazione cutanea

sono pensate per essere applicate sulle ferite e sulla cute lesa, il preparato deve essere STERILE. Le

polveri possono essere anche formulate per essere somministrate attraverso dei contenitori

pressurizzati.

Nell'ambito delle polveri per uso orale ci sono le polveri per gocce orali o per sciroppi. Quindi la

polvere può essere la forma farmaceutica finita oppure può essere venduta come polvere ma al

momento dell'assunzione l'utilizzatore deve ricostituire la vera forma farmaceutica: le gocce o lo

sciroppo. Per i problemi legati alle polveri, di fatto, raramente l'azienda farmaceutica le polveri

vengono utilizzate come forme farmaceutiche finite;oggi si aggiunge un passaggio che è quello

della granulazione. Da una miscela di polveri si ottengono i granulati. I granulati vengono fatti

sostanzialmente per ovviare a due problematiche fondamentali :innanzitutto alla regolarità delle

particelle della polvere, perché nella polvere sono polverizzate con i molini e quindi non c'è una

grande attenzione alla forma geometrica della particella di polvere. Con i granulati, invece, si

ottengono sempre delle particelle sferiche, e quindi il granulato è, a parità di composizione, più

scorrevole della polvere.

Esempio: si ha un principio attivo più il lattosio. Si miscelano insieme tutte le polveri; si attua la

misura della velocità di scorrimento e queste due componenti avranno due velocità di scorrimento

(che dipenderanno dalla granulometria di entrambi,dalla porosità di entrambi e dalla miscela).

Invece passando attraverso la formazione del granulato si miscela,preventivamente il lattosio e il

principio attivo e da questa miscela si prepara il granulato e si avranno dei granuli perfettamente

sferici che saranno composti, in maniera omogenea, da eccipiente e principio attivo. Questo anche

perché risolve il problema che si definisce di de miscelamento delle polveri: perché in un impianto

che fa mini compresse ora si mescolano tonnellate di eccipienti e tonnellate di principio attivo.

Dopo averli miscelati si metteranno nei silos da carico. Dipendentemente dal tempo in cui la

miscela è ferma;siccome le polveri che sono state miscelate non hanno la stessa densità, queste si

demiscelano, ovvero si depositano in fondo le polveri più pesanti. Quindi si correrebbe il rischio di

fare le prime compresse solo di principio attivo e tutte le restanti di eccipienti.

I metodi di granulazione sono sostanzialmente distinti:

1. granulazione a secco;

2. granulazione ad umido:

- granulazione per estrusione- sfendiziazione;

- granulazione a letto fluido

- granulazione per spray drying.

Il metodo della granulazione a secco, cioè che non prevede la

presenza di solventi, si realizza attraverso un processo di

supercompressione, cioè le polveri sono mescolate insieme e

vengono formate attraverso 2 nuclei e quindi vengono

supercompresse insieme e poi, questo nastro che viene fuori dal

granulatore a secco viene frantumato, setacciato e vengono poi

realizzate le compresse. È un processo che non richiede la presenza

di acqua sì la presenza di calore. I vantaggi sostanziali di questo processo sono: va bene per principi

attivi che possono subire idrolisi e per sostanze che sono termolabili ed inoltre costa poco. Ci sono

però molti svantaggi: innanzitutto il fatto che il granulato a secco ha comunque un elevato grado di

polverosità, cioè la possibilità “volare” porta a quello che vengono chiamate contaminazioni

crociate, cioè si possono mescolare all'interno dell'impianto produttivo e può essere rischiosa per il

personale, perché la polvere può essere malata. Inoltre ci sono dei tempi di pulizia molto lunghi.

Un altro problema è quello di distribuire in modo uniforme i coloranti.

Nella granulazione ad umido c'è un numero maggiore di fasi. L'agente legante viene sciolto o in

acqua o generalmente in una miscela di acqua ed etanolo (miscele sono alcoliche). Le polveri sono

impastate con la soluzione di agenti leganti e si ottiene una massa pastosa che viene forzata

attraverso un setaccio. I granuli ottenuti vengono seccati e vengono poi setacciati per ottenere delle

dimensioni omogenee di granulato; una tipica forma farmaceutica che si ferma a questa fase è la

citrosodina, che è un esempio di granulato non setacciato. La setacciatura finale è detta

calibrazione dei granuli.

Il problema fondamentale della granulazione ad umido è la scelta dell'agente legante e la sua

concentrazione. Che anche qui deve essere un compromesso tra una quantità sufficiente ad ottenere

un granulato che sia resistente ma che poi sia facilmente solubile o disgregabile. Deve essere un

buon agente legante ovvero che dia un prodotto resistente ma che deve essere in grado di liberare il

principio attivo in maniera efficace una volta che è stato assunto. Le soluzioni leganti sono o

soluzioni zuccherine (gelatina e amido) ma l'agente che viene utilizzato principalmente è il polivinil

pirrolidone (PVP).

Le tecniche di granulazione ad umido possono essere o in continuo o in fase discontinua, ovvero

che il processo produttivo può avvenire passaggio per passaggio e quindi la miscela di polveri viene

bagnata con la soluzione di agente legante e poi avviene l'essiccamento ed infine avviene la

setacciatura per uniformare i granulati. Sono delle tecniche che si chiamano granulatori a letto

fluido o flusso continuo in cui il processo viene fatto in continuo e quindi c'è una sola macchina

dove dalla miscela di polveri si arriva direttamente al granulato setacciato.

La definizione della Farmacopea dei Granulati: i granulati sono delle preparazioni solide costituite

da aggregati solidi, secchi, di particelle di polvere, sufficientemente resistenti a manipolazioni

energiche.

Lo stadio più complesso nell'operazione di granulazione ad umido è la scelta dell'agente legante e

della sua concentrazione, ciò torna nella definizione di farmacopea, perché deve essere resistente a

manipolazioni energiche (dal punto di vista meccanico) del granulato e quindi non si deve

ripolverizzare nel processo produttivo, ma a sua volta non deve essere eccessivamente resistente dal

non liberare il principio attivo. I granulati, secondo Farmacopea, sono destinati alla

somministrazione orale. Possono essere deglutiti tal quale,come per esempio i granulati

effervescenti, masticati oppure sciolti o dispersi in acqua o in altro liquido adatto prima di essere

somministrati(di questo tipo usiamo l'Aulin e l'Oki). I granulati possono essere a dose unica(Aulin)

o a multidose(citrosodina).

I saggi che prevede la farmacopea per i granulati sono saggi relativi al granulato come forma

farmaceutica finita unidose. Sarà obbligatorio il saggio di uniformità di massa e il saggio di

uniformità di contenuto. I granulati previsti in farmacopea sono distinti in:

- effervescenti

- rivestiti: ovvero che ogni singolo granulo che costituisce la forma farmaceutica finale

avrà un rivestimento di natura polimerica. In questo ambito si possono trovare i

granulati gastroresistenti, in cui ogni singolo granulo è ricoperto con un polimero che

gli conferisce delle caratteristiche gastroresistenti (non si sciolgono a pH acido ma a pH

intestinale); generalmente, questi polimeri, hanno dei residui bicarbonilici, con uno dei

residui carbossilici sono legati al polimero naturale e l'altro conferisce la sensibilità a pH

diversi. Uno dei più utilizzati è l'acetoftalato cellulosa. Quindi è la cellulosa

devitalizzata con l'acido ftalico(che è un derivato bicarbonilico) che ha un COOH che

esterifica con un OH della cellulosa e l'altro COOH libero.

Compresse

Il primo riferimento a delle forme farmaceutiche compresse, risalgono a dei trattati di medicina

araba del X sec. , in cui proprio le polveri erano poste in delle forme e venivano compresse a

martellate. Il processo produttivo della compressione, però, è abbastanza giovane; è alla fine del

1800 che compare, per la prima volta, in terapia, la parola compressa. Sempre verso la fino dell'800

compare la prima monografia (sulla farmacopea inglese) sulle compresse, che rimane l'unica fino al

1945. Da notare che i primi studi sull'influenza della formulazione sul principio sistematico sono

della fine degli anni '70. Le compresse sono delle preparazioni solide contenenti ciascuna una dose

unica di uno o più principi attivi e ottenuti usualmente per compressione di volumi uniformi di

particelle. La maggior parte delle compresse sono per somministrazione orale, in quanto ci sono

anche le compresse per uso rettale. Si possono distinguere varie categorie di compresse per uso

orale: compresse non rivestite,rivestite, effervescenti, solubili, dispersibili, orodispersibili,a rilascio

modificato, gastroresistenti e da utilizzare nella cavità buccale. Esistono due tipi di comprimitrici:

alternativa e rotativa.

In che cosa consiste il processo di compressione: (1) riempimento della camera di compressione

,che ha un dosatore a volume nella comprimitrice; ci sono due parti dette punzoni, uno superiore e

l'altro inferiore. Nella comprimitrice alternativa i due punzoni si muovono in maniera alternata; (2)

il punzone superiore è quello che comprime e quindi è quello che applica la forza di compressione

e (3) il punzone inferiore è quello che fa espellere la compressa. La forma della camera di

compressione, che si chiama anche matrice , determina la forma e la sezione trasversale della

compressa; i punzoni superiori ed inferiori , determinano la forma alla linea di separazione visibile

delle compresse e questo dipende dalle facce dei punzoni. La comprimitrice rotativa è fatta in modo

che i punzoni si muovano contemporaneamente, cioè scorre tra il punzone superiore e il punzone

inferiore un letto di polvere; ad altezza di questi rulli i punzoni vengono spinti inseme e quindi

l'operazione di compressione viene fatta in continuo(che non viene fatta in quella alternativa). Nelle

industrie, di fatto, ci sono solo le comprimitrici rotative, che arrivano a produrre fino a 1000000 di

compresse/ora; per la formulazione galenica invece, le poche farmacie che fanno le compresse

hanno comprimitrici alternative, in quanto più piccole e maneggevoli. Le compresse possono essere

ottenute per: compressione diretta o compressione dopo granulazione(la maggior parte).

La forza di compressione porta ad una deformazione plastica della particelle o ad una deformazione

elastica, ovvero dipendentemente dalla forza che si applica si può avere:

Quindi si ha (1) la polvere che inizialmente si trova nel suo stato di volume apparente (particelle +

spazi vuoti); iniziando ad applicare una forza di compressione si arriva alla (2) alla condizione di

volume reale, detto impaccamento denso, in cui si elimina l'aria tra le particelle. Continuando ad

applicare la forza si ottiene (3) la deformazione elastica: questo vuol dire che se in questo punto si

smette di applicare la forza di compressione , la polvere torna alla sua situazione di partenza.

Continuando ad applicare la forza si arriva (4) alla deformazione plastica, che è quella si che vuole

ovvero la formazione di una compressa e vuol dire che se in questo punto si smette di applicare la

forza di compressione la compressa rimane tale( la polvere rimane coesa). Continuando ad applicare

una forza eccessiva si ha la rottura della compressa(5). Quindi negli studi di questo tipo ovvero in

base alla polvere o al granulato che si deve comprimere dovranno essere fatti degli studi di forza di

compressione, per ogni singola miscela.

La compressione diretta è quella che si fa in farmacia ed è possibile quando la polvere ( o la

miscela di polveri di principio attivo e degli eccipienti) ha buona proprietà di scorrimento e di

comprimibilità; quindi la polvere deve essere scorrevole e deve essere possibile, applicando una

forza di compressione eccessiva, ottenere una compressa resistente. Come si prepara una compressa

per compressione diretta:

glicante

(2)

lubrificante

(3)

Principio Attivo

miscelazione

compressione

disgregante

(4)

diluenti

(1)

Si prende il principio attivo o i principi attivi e li si miscela, prima di tutto, con un diluente (1), che

sono gli eccipienti che rendono la massa lavorabile, e poi si aggiunge un glicante (2) e un

lubrificante (3), fanno parte della classe che generalmente si chiama dei lubrificanti ma la differenza

è che i glicanti influenzano la scorrevolezza vera e propria della polvere cioè agiscono sulle forze di

attrito e di frizione delle particelle della polvere e quindi modificano l'angolo di riposo. Un glicante

che viene usato anche in galenica è la silice colloidale ( il cui nome commerciale è aerosil) ed è

praticamente una polvere impalpabile che aumenta la scorrevolezza delle polveri. I lubrificanti,

propriamente detti, hanno la funzione di modificale le interazioni della polvere con le parti

meccaniche della comprimitrice e quindi evitare i fenomeni di pitching e stiching, che sono

rispettivamente la possibilità che la compressa resti attaccata al punzone superiore( se la polvere

non è sufficientemente scorrevole può rimanere adesa al punzone superiore e quindi quando risale

la compressa non si stacca), oppure può rimanere attaccata al punzone inferiore(cioè quando il

punzone superiore, dopo la compressione, risale per espellere la compressa ma questa non si

stacca). Quindi i glicanti agiscono sulla polvere, i lubrificanti agiscono sul processo di

compressione. A questa miscela dovrà essere aggiunto un disaggregante (4) che è un eccipiente con

ruolo biofarmaceutico perchè modifica o comunque influenza la disaggregazione della compressa e

quindi la liberazione del principio attivo.

I vantaggi della compressione diretta sono:

tempi minori: se la miscela è comprimibile e scorrevole.

No acqua e nessun contatto con i solventi.

No calore.

Non essendoci riscaldamento, è un processo energicamente meno costoso.

Gli svantaggi sono:

le polveri difficilmente sono facilmente comprimibili

demiscelamento polveri

costo elevato eccipienti, perchè gli eccipienti che possono essere utilizzati nella compressione

diretta sono estremamente costosi(si utilizza infatti il lattosio spray dried).

Generalmente le aziende, per la produzione delle compresse per la compressione diretta, in farmacia

vendono delle miscele di eccipienti di cui raramente interessa la composizione reale.

La compressione dopo granulazione ad umido è più complicata della compressione diretta( mi

basta miscelare le polveri evitando la loro demiscelazione e poi comprimere).

diluente Miscelazione Principio Attivo

Legante Granulazione H2O

Essiccamento

Setacciatura

Glicante 2° miscelazione Lubrificante

Disgregante

Compressione

Inizialmente verrà miscelato il principio attivo con il diluente; dopo di che, questa polvere, verrà

bagnata con la soluzione di agente legante ( H2O o miscele idroalcoliche) e avverrà il processo vero

e proprio di granulazione e ci sarà poi la fase di essiccamento. Successiva alla fase di essiccamento

c'è la setacciatura, ovvero rendere omogenee le dimensioni del granulato. Sul granulato, essiccato e

setacciato, avverrà la seconda miscelazione e quindi saranno aggiunti il glicante, il lubrificante e

l'agente disaggregante, dopo la seconda setacciatura avverrà la compressione.

La disaggregazione e la disgregazione sono due processi diversi: la disaggregazione è la fase

iniziale della rottura della compressa mentre la disgregazione avviene dopo, ovvero dalla rottura

grossolana(disaggregazione) si ha la rottura in frammenti più piccoli(disgregazione). L'eccipiente è

sempre lo stesso(amido, cellulosa, derivati o zuccheri), che influenza in realtà il processo dalla

compressa al principio attivo solubile; è sempre chiamato disaggregante ma influenza tutti e due

questi processi.

Il processo di spray drying è quello che consente di ottenere delle polveri finemente suddivise, e

quindi con delle dimensioni ridotte e estremamente omogenee, oppure consente di ottenere da

principi attivi liquidi una formulazione solida. La miscela, o il principio attivo, viene disciolta, e

quindi si trova sotto forma di soluzione; sull'impianto c'è un atomizzatore che spruzza, dall'alto, la

miscela( e che viene quindi nebulizzata, ed entra nella camera(sotto forma di goccioline finissime)).

Queste goccioline vengono investite, generalmente dal basso, da una corrente di aria calda:quindi,

le micro goccioline vengono immediatamente essiccate dalla corrente di aria calda. L'aria calda, non

solo essicca, ma mantiene in movimento, e quindi rende il processo ancora più rapido. Una volta

che le particelle sono diventate solide, chiaramente pesano di più e quindi scendono verso il basso e

vengono portate nel ciclone, dove sono setacciate in maniera raffinata, per forza centrifuga: in base

alle dimensioni verranno separate all'interno del ciclone. Alla fine della setacciatura verrà raccolto il

prodotto.

E' un processo molto costoso e visto le temperature elevate che si raggiungono nella camere(180°-

200°C) è ovvio che questo è un processo che non si può utilizzare per principi attivi termolabili.

Una volta appurato come si ottengono le compresse e quali sono i problemi produttivi delle

compresse, quali sono i saggi che la farmacopea chiede per le compresse; sono dei saggi che vanno

eseguiti obbligatoriamente dalle aziende prima di poter licenziare il tutto. Viene prodotto così un

lotto di compresse, che deve rispondere a tutti i saggi della farmacopea, e solo dopo che l'ufficio di

controllo di qualità ha dato il permesso, in azienda si “licenzia” il lotto, ovvero si mette in vendita

quel lotto.

Saggio dell’uniformità di massa, obbligatorio per tutte le forme farmaceutiche solide a dose unica.

Il saggio si esegue su 20 unità, nel caso delle compresse sono 20 compresse,che vengono pesate

singolarmente, su questi 20 pesi si calcola il peso medio delle compresse. Il saggio dice: non più di

due di tali masse individuali, ovvero dei singoli pesi, possono presentare uno scarto rispetto alla

media superiore allo scarto percentuale ammesso e nessuna unità può presentare uno scarto

maggiore del doppio di tale scarto percentuale ammesso.

Nella tabella è riportata la deviazione percentuale

della massa media. Cioè i pesi singoli delle 20 unità

devono essere confrontate al peso medio, più o meno

con lo scarto percentuale ammesso. Lo scarto

percentuale ammesso o deviazione percentuale,

come si vede dalla tabella, varia a seconda della

forma farmaceutica(dato che è obbligatorio per le

forme farmaceutiche solide) e quindi si hanno dei

valori di deviazione percentuale(che si indica con K)

diversi. All'interno della stessa forma farmaceutica K

varia al variare del peso medio. Come varia: minore

è il peso maggiore è la deviazione percentuale

ammessa.

Es: peso medio 80 mg; il valore di K=10; ovvero

intorno a questo peso medio la deviazione

percentuale ammessa è +/- 10%. quindi si avrà un

intervallo di 80+/- 8; la farmacopea dice che non più

di 2 unità possono essere fuori da questo intervallo,

cioè si possono discostare di 1 valore di deviazione percentuale ammessa dal peso medio, e nessuna

delle 20 unità si deve discostare dal peso medio di 2 deviazioni percentuali cioè dall'intervallo 80+/-

16. Il secondo intervallo è più ampio e quindi 18 compresse devono rientrare nell'intervallo 72-88, e

2 possono uscire ma non oltre i 16; devono essere rispettati entrambi questi criteri e quindi anche

se tutte e 20 rientrano in 80+/-16 ma 17 rientrano nel primo limite comunque il lotto non può essere

validato. È ovvio che se tutte e 20 le compresse rientrano nel primo intervallo, rientreranno anche

nel secondo.

K diminuisce all'aumento del peso medio. Per esempio se il peso medio è 250 mg, K = 5 → 250+/-

12,5, questo perchè, in questo modo, l'intervallo intorno al peso medio è più o meno lo stesso.

Il saggio di uniformità di contenuto è ' il saggio in cui viene dosato il principio attivo(il saggio di

uniformità di massa è quello che dà per l'appunto l'uniformità di massa). Il saggio di uniformità di

contenuto si esegue solo quando il principio attivo è inferiore al 2% in peso dell'intera forma

farmaceutica o a 2 mg. In tutti gli altri casi, cioè quando il principio attivo è in quantità superiore al

2 % o a 2 mg, l'uniformità di contenuto è ottemperata dall'uniformità di massa;quindi se si sono

fatte delle compresse omogenee in peso certamente queste saranno omogenee nel contenuto. Il

criterio di fabbricazione sarà sempre un range ammesso percentuale intorno al contenuto dichiarato

del principio attivo. Ci sono saggi diversi(saggio A,B,C) in cui ciò che cambia è la tecnica analitica

per i principi attivi. È importante vedere che il range intorno al contenuto medio ammesso deve

essere compreso tra i 85 e il 115%; quindi se il contenuto nominale, in mg, è X, l'uniformità di

contenuto si considera ottemperata se quello che si trova analiticamente si trova nell'intervallo 85%

< X < 115%. Questa è la base di buona parte del dibattito sugli equivalenti, perchè il range è

abbastanza ampio del dichiarato e su questo si basa quello che i produttori di generici cercano come

l'ammissibilità nelle prove di rilascio, ovvero fanno un po' di confusione. In questo saggio si dice

che la quantità nominale deve essere +/- 15%; allora i produttori, sulle prove di dissoluzione, dicono

che c'è l'oscillazione del +/- 15% perchè lo dice la farmacopea; ma la farmacopea non parla del

rilascio del principio attivo ma ciò che c'è realmente.

Il Saggio della friabilità è un saggio obbligatorio per le compresse non rivestite. Esiste un

apparecchio, il friabilometro, costituito da un tamburo di plexiglas che viene posto verticalmente

su una macchina. All'interno di questo tamburo c'è un braccio, e questo tamburo viene fatto ruotare

dalla macchina. Nella rotazione del tamburo, le compresse sono sollevate e poi ricadono. Con

questo saggio si misura la resistenza meccanica superficiale delle compresse. Il saggio,

generalmente si esegua una volta sola.

Il numero di compresse da utilizzare nel

saggio, anche in questo caso, dipende dal

peso delle compresse. Per compresse di

massa unitaria fino a 0,75 g è di 20

compresse, per compresse maggiori di

0,75 g sono 10. Si pongono le compresse

all'interno del friabilometro, prima di porle

all'interno si pesano, si esegue il saggio, si

spolverano le compresse alla fine del

saggio e si ripesano. Quindi si valuta se c'è

una perdita di peso e quindi una scarsa

resistenza superficiale delle compresse. È

ovvio che questo saggio non si esegue per

le compresse rivestite perchè hanno un

rivestimento e dovrebbero essere

resistenti.

Il saggio della rottura delle compresse è quello proprio in cui si misura la resistenza meccanica

alla rottura della compressa. Prima in farmacopea erano descritti degli apparecchi, ma nelle XII non

c'è un apparecchio specifico per determinare la rottura. La farmacopea dice solo che si misura come

forza necessaria a rompere le compresse. Uno degli apparecchi che può essere usato( i risultati

devono essere espressi in N) è l'apparecchio di monsanto

si pone la compressa lungo la sezione longitudinale e girando la vite si calcola la forza necessaria

alla frantumazione. L'apparecchio di Monsanto è calibrato in Kg.

Saggio di disaggregazione delle compresse e delle capsule: Un cestello, di plexiglas o di vetro,

che contiene 6 cilindri di vetro la cui base, di questo cilindro, è una rete di acciaio, è agganciato ad

un motore che fa muovere il cestello dal basso verso l'alto. Il cestello viene immerso in una

soluzione di H2O e serve a misurare il tempo necessario a che le forme farmaceutiche solide siano

disaggregate

la compressa si considera disaggregata quando sulla rete metallica sul fondo non c'è nessun

frammento oppure ci sono dei frammenti ma che sono completamente bagnati dall'acqua; la

farmacopea dice che non deve resistere nessun nucleo non bagnato. Il saggio si esegue su 6

compresse: la farmacopea dice che la compressa si considera disaggregata quando non rimane

nessun residuo oppure c'è un residuo costituito da una massa molle. Ci sono dei saggi diversi per le

compresse e le capsule, per quelle grandi, e per le supposte e per gli ovuli; questi saggi sono

obbligatori per tutte le forme farmaceutiche solide unidose.

Fattori che influenzano la velocità di disaggregazione di una forma farmaceutica. L'influenza

delle caratteristiche della compressa e dell'ambiente sulla velocità di disaggregazione si misurano

con profondità di ingresso del solvente all'interno della compressa. La velocità di disaggregazione

sarà:

dove L è la velocità di disaggregazione, r è il raggio dei pori della compressa, γ cos θ è la

bagnabilità ( la tensione superficiale per il coseno dell'angolo di contatto, ed è la capacità di un

solido di essere bagnato da un liquido ed è quindi una caratteristica del soluto). Η è la viscosità

del liquido(con cui la compressa entra in contatto) e t è il tempo. Questa relazione vale per le

compresse non rivestite. Un parametro che può avere un effetto sul raggio dei pori è la grandezza

delle particelle ma soprattutto la forza di compressione, ed è per questo che bisogna valutarla con

attenzione perchè bisogna arrivare alla deformazione plastica e non alla rottura, ma bisogna anche

fare in modo che la compressa sia disaggregabile. Infatti, il meccanismo di azione principale dei

disaggreganti è quello di creare dei canali all'interno della compressa;cioè generalmente sono

delle sostanze immediatamente solubili in H2O che a contatto con il fluido si dissolvono

rapidamente e aumentano r sia come dimensione che come numero. Un altro meccanismo di azione

dei disaggreganti, di quelli che vengono chiamati super disaggreganti, è la caratteristica che

hanno alcuni polimeri di assorbire l'H2O rapidamente e di rigonfiarsi. I fenomeno si chiama

swelling, e in questo caso le compresse meccanicamente esplodono( explotab, o sodio

caramellosio).

Il saggio della velocità di dissoluzione è un saggio non obbligatorio, ma per le forme

farmaceutiche non convenzionali sì perchè serve per dimostrare che abbiamo un effetto in quanto

forma farmaceutica nella liberazione del principio attivo. Il macchinario che si utilizza è costituito

da 1 contenitore, nel quale viene posto il liquido che viene utilizzato come solvente, e da un

agitatore meccanico, che può essere a cestello rotante, ovvero un cestello di acciaio inossidabile che

è legato direttamente al motore che imprime la rotazione, o a paletta(che invece agita il solvente). In

questo caso la forma farmaceutica è posta nel cestello e ruota in maniera solidale con il motore; nel

caso dell'agitatore a paletta la forma farmaceutica è posta nel contenitore dove c'è il liquido ed il

movimento è imposto al liquido. Le palette sono generalmente di teflon o di acciaio inossidabile. Il

saggio di dissoluzione si esegue a 37° C. Nel caso della determinazione della velocità di

dissoluzione con questi dissolutori, la forma farmaceutica viene messa nel fluido(generalmente 1 L)

si impone una certa velocità di rotazione, a intermedi di tempo predefiniti si fanno dei prelievi,si

misura la concentrazione di principio attivo e, indipendentemente dal volume che si preleva, si

aggiunge solvente nuovo. Quello che si calcola è un incremento della quantità di principio attivo

che si sta analizzando nel tempo,che si chiama quantità cumulativa, che dovrà tenere conto delle

singole diluizioni, perchè ad ogni prelievo si aggiunge solvente nuovo. Si aggiunge solvente nuovo

per fare in modo che comunque il volume sia costante, perchè sennò si avrebbe una concentrazione

crescente che può essere legata al fatto che il volume sia diminuito.

Il saggio si fa su 6 compresse ma valutate singolarmente, in cui poi il profilo di rilascio si fa

facendo la media. Nel caso del cestello rotante, se si dice che è stata applicata una velocità di

rotazione che si misura in giramento o RPM, si è sicuri che la forma farmaceutica ruota a quella

velocità. Nel caso del dissolutore a paletta il movimento che ha la la forma farmaceutica non è

controllato ,perchè la paletta imprime il movimento al solvente e il movimento del solvente trascina

la forma farmaceutica che potrebbe trovarsi nella parte bassa( e quindi è agitata più velocemente)

oppure potrebbe spostarsi nella parte più alta e quindi imprime una velocità di rotazione minore. Se

però la forma farmaceutica ha una composizione particolare, il cestello si può otturare(come per es.

polimeri che rigonfiano) e quindi il principio attivo è intrappolato nel cestello. Lo stesso problema

si può avere utilizzando delle compresse di natura polimerica, con il dissolutore a paletta, e bisogna

essere certi che la forma farmaceutica non aderisca al recipiente, per cui in questo casi si imprime la

velocità la velocità di rotazione ma la forma farmaceutica non si muove. Mettere appunto il saggio

di dissoluzione funzionale non è facile, perchè bisogna scegliere il dissolutore, il solvente(che

solitamente sono tamponi a pH 1-2, ed alcuni utilizzano il fluido gastrico intestinale simulato), la

velocità di rotazione, il modello di dissolutore, i tempi di prelievo e i volumi dei prelievi. Per

simulare le condizioni in vivo è stata introdotta, nella XII edizione della farmacopea, una nuova

apparecchiatura: il dissolutore a flusso continuo. Perchè in questi dissolutori, non cambiando se

non di pochi ml il volume nel tempo, non si simulano le condizioni in vivo; la compressa nello

stomaco viene in contatto in continuo con liquido gastrico diverso. Quindi è previsto un

apparecchio a flusso continuo in cui c'è una camera di dissoluzione in cui viene messa una

compressa(o capsula) che è termostatata, viene inviato in questa in continuo, solvente riscaldato a

37°C e si raccolgono poi dei campioni che vengono analizzati. Questi saggi non sono obbligatori

per tutte le forme farmaceutiche solida ma sono consigliati per le forme farmaceutiche a rilascio

continuo.

Compresse

Le compresse sono preparazioni solide contenenti ciascuna una dose unica di uno o più principi

attivi e ottenute usualmente per compressione di volumi uniformi di particelle. Si possono

distinguere varie categorie di compresse per uso orale:

compresse non rivestite(con dei saggi obbligatori);

compresse rivestite

compresse effervescenti;

compresse disperdibili ed orodisperdibili;

compresse a rilascio modificato;

compresse gastroresistenti;

compresse da utilizzare nella cavità buccale.

Queste compresse devono avere una sufficiente resistenza meccanica, che tiene conto di due fattori:

la resistenza meccanica superficiale(i) che si misura con il saggio della friabilità, e la resistenza alla

rottura. Se le compresse sono realizzate e dispensate come compresse divisibili( quelle con il

“taglio” al centro), la farmacopea dice che, le aziende devono dimostrare che in ciascuna delle unità

in cui è divisibile la compressa ci sia uniformità di contenuto. I saggi obbligatori sono l'uniformità

di massa, l'uniformità di contenuto se il principio attivo è inferiore a 2 mg o al 2% della massa

totale, altrimenti l'uniformità di massa garantisce anche l'uniformità di contenuto.

Le compresse non rivestite possono essere:

1. a strato singolo

2. a multistrato

quindi si avrà una compressa in cui una miscela di polveri, nella maggior parte dei casi di

granulato,oppure nelle compresse multistrato si ottengono per compressione successiva e possono

gli strati essere paralleli o concentrici. Le compresse multistrato, indipendentemente dal disegno,

sono ottenute per compressioni successive di miscele diverse.

Le compresse multistrato vengono fatte o per avere il rilascio modificato o si può avere, nelle

compresse a multistrato quelle concentriche,concentrazioni diverse dello stesso principio attivo. Per

esempio la parte iniziale libera più rapidamente,etc, ma questo è soprattutto per le compresse a

rilascio modificato ovvero per forme farmaceutiche non convenzionali in cui la forma farmaceutica

controlla l'assorbimento. In genere viene fatta quando c'è una incompatibilità chimico-fisica dei

principi attivi; se la formulazione, quindi, contiene più principi attivi che presentano tra loro

incompatibilità chimico-fisica, vengono granulate separatamente e poi vengono compresse le

miscele diverse.

Il saggio, oltre quelli obbligatori, obbligatorio per queste compresse è il saggio della

disaggregazione: si fa in H2O R( secondo farmacopea ovvero inclusa, con delle caratteristiche, nei

reattivi della farmacopea). Anche per le compresse rivestite è obbligatorio questo saggio, ma ciò che

cambia è il tempo, ovvero una compressa non rivestita è conforme alle caratteristiche di farmacopea

se disaggrega in H2O in 15 minuti, viceversa, le compresse rivestite, se hanno un rivestimento di

tipo zuccherino si chiamano confetti, come quelli per uso alimentare in quanto la tecnica è stata

importata dall'industria dolciaria, devono disaggregare in 60 minuti, mentre le compresse rivestite

con film devono disaggregare in 30 minuti.

Le compresse rivestite sono compresse ricoperte con uno o più strati di miscele di varie sostanze;

la rivestitura si fa senza compliance del paziente, perchè generalmente servono per coprire l'odore

sgradevole e il colore sgradevole. La confettura è un processo complesso, perchè per esempio

richiede che la soluzione sia di una composizione giusta e bisogna ottenere una confettatura che non

influenzi troppo la disaggregazione della compressa; fino a 5-6 anni fa la confettatura veniva fatta a

mano ovvero c'erano degli artigiani, importati dall'industria dolciaria, e operavano bagnando le

compresse, in cui stavano in un grande contenitore di rame e venivano fatte girare, con la soluzione

zuccherina fino alla consistenza voluta. La confettura in genere viene fatta per aiutare la

deglutabilità; infatti in genere i confetti sono per quelle compresse per uso pediatrico o geriatrico, o

per qualche patologia in cui il paziente ha difficoltà a deglutire(perchè sempre perfettamente liscio).

Il saggio di disaggregazione non si attua sulle compresse effervescenti.

Il tipo di rivestimento divide le compresse in:

compresse con rivestimento zuccherino(confetti) costituito un gran parte da saccarosio(che

può costituire fino la metà del peso totale)

compresse con rivestimento filmogeno, il film molto sottile è costituito da polimeri, questo

rivestimento può essere anche applicato a secco(non come il confetto,in cui la compressa e

bagnata della sostanza zuccherina), anche se ci sono delle compresse che vengono bagnate

con la soluzione polimerica.

Compresse a doppio strato o con rivestimento a secco.

Le compresse effervescenti sono compresse non rivestite contenenti generalmente sostanze acide e

carbonati o bicarbonati che reagiscono rapidamente in presenza di H2O sviluppando anidride

carbonica. Sono destinate ad essere disciolte o disperse in acqua prima della somministrazione.

Differiscono dalla compresse solubili in quanto devono essere sciolte in acqua prima della

somministrazione, mentre le compresse effervescenti hanno l'aggiunta che una volta sciolte in acqua

devono sviluppare rapidamente CO2. Il saggio di disaggragazione non si esegue sulle compresse

effervescenti ma si pone la compressa in un recipiente con acqua a una temperatura diversa da

quella corporea(37°C) e deve sviluppare numerose bolle di gas in 6 minuti, quindi il saggio di

disaggregazione è obbligatorio ma è diverso da quello delle altre compresse. Dalla reazione

dell'acido debole con il bicarbonato si sviluppa l'anidride carbonica.

3NaHCO3 + H3C6H2O7 → 3H2O + 3CO2 + Na3C6H2O7

252 g 192 g 54 g 132 g 258 g

da notare la quantità in grammi degli eccipienti utilizzati: le compresse effervescenti sono molto più

grandi di quelle normali, perchè per sviluppare 3 moli di CO2 si ha bisogno di quasi 3 etti di

eccipienti.

Le compresse disperdibili sono compresse non rivestite o rivestite con film destinate ad essere

disperse in acqua prima della somministrazione. La differenza con le compresse solubili è che la

compressa solubile dà luogo ad una soluzione, non necessariamente trasparente, mentre la

compressa disperdibile dà luogo ad una dispersione omogenea. I saggi che si fanno sulle compresse

disperdibili sono: 1) saggio della disaggregazione e 2) finezza della dispersione; quindi non solo

viene valutato il tempo in cui(a temperatura ambiente) disaggrega ma viene anche misurata la

dimensione della dispersione, che deve avere una dispersione tale da passare attraverso un setaccio

di 710 μm.

Le compresse oro disperdibili sono le compresse non rivestite destinate ad essere poste nella

bocca dove si disperdono rapidamente prima di essere inghiottite; sono quelle definite fast. Una

caratteristica formulativa particolare è che sono formulate con il mannitolo , perchè questo quando

si scioglie assorbe calore e quindi lascia un senso di freschezza perchè la dissoluzione è un processo

che libera calore.

Le compresse gastroresistenti sono le compresse a rilascio ritardato preparate per resistere al

fluido gastrico e rilasciare il o i loro principi attivi nel fluido intestinale. Sono preparate rivestendo

le compresse con una sostanza gastroresistente. Queste compresse devono resistere 2 ore in HCl 0,1

M e poi devono disaggregare in 1 ora in un tampone a pH= 6,8.

Sempre nell'ambito delle forme farmaceutiche solide per uso orale ci sono le gomme da masticare

medicate: sono preparazioni solide a dose unica con una base costituita essenzialmente da gomma,

destinate ad essere masticate ma non inghiottite. Sono per esempio il travelgum. Dopo dissoluzione

o dispersione dei principi attivi nella saliva, le gomme da masticare sono destinate:

al trattamento locale di affezioni della cavità buccale

all'azione sistemica dopo assorbimento attraverso la mucosa buccale o attraverso il tratto

gastro intestinale.

La compressa:

La compressa viene quindi prima (1) deaggregata, poi (2) disaggregata in particelle fini, poi avviene

il (3) processo di dissoluzione ed infine (5) l'assorbimento. Il principio attivo viene assorbito solo

dopo essere stato solubilizzato. È stato già visto quali sono i fattori che influenzano la

disaggregazione. I fattori che influenzano la dissoluzione di un solido: esistono molti modelli

matematici per descrivere il processo di dissoluzione di un solido. Si considera una sola teoria che è

quella che descrive la quasi totalità dei processi di dissoluzione.

La teoria del film lega la velocità della dissoluzione ai processi di diffusione, e quindi lega la

velocità di dissoluzione alla legge di Fick, che regola i processi diffusivi. Se si considera una

particella solida, questa entra in contatto con il solvente; la teoria del film dice che intorno alla

compressa di forma uno strato, detto strato idrodinamico diffusionale, in cui la concentrazione del

solido è pari alla sua solubilità.

Il solido incomincia a dissolversi nel solvente

e la porzione iniziale del solido disciolto

rimane a formare un film; quindi in questo

film che si crea intorno alla particella di

solido si ha una concentrazione di solido pari

a cs. Si avrà un volume di solvente in cui c'è

poco solido, in cui si avrà una concentrazione(ct), ovvero che dipende dal

tempo al quale si misura la concentrazione. Questa teoria richiama la teoria di

Fick perché in questo modello il processo di dissoluzione è considerato

costituito da due stadi: (1) passaggio solido nel film e (2) diffusione del solido

disciolto verso solvente puro.

In questo modello, il primo stadio è considerato lo stadio veloce mentre lo stadio lento è la

diffusione attraverso lo strato idrodinamico diffusionale e quindi sarà quello che influenza la

velocità di dissoluzione. La velocità di dissoluzione, che si misura come variazione della quantità

del solido che si trova in soluzione in funzione del tempo

dove A è la superficie specifica del solido(e quindi al grado di finezza dopo la disaggregazione), D è

il coefficiente di diffusione(attraverso le strato idrodinamico diffusionale), (cs - ct) è il gradiente di

concentrazione(tra lo strato idrodinamico diffusionale e la massa del solvente), h è lo spessore dello

strato idrodinamico diffusionale e V è il volume. Il gradiente di concentrazione tiene conto del

percorso che la molecola fa:

la differenza tra cs e ct al punto (1) è diverso dal punto (2) in quanto

dipende del percorso.

Per aumentare la velocità di dissoluzione di una forma farmaceutica in vitro si aumenta la superficie

specifica(evitando che la polvere eccessivamente fissa, non è facilmente lavorabile fino quindi al

limite della lavorabilità), h(aumentando la velocità di agitazione, in quanto gli agitatori sono

sottoposti ad agitazione si diminuisce h, perchè agitando lo strato idrodinamico diffusionale intorno

al solido si assottiglia); una delle tecniche, infatti, che si utilizza per discriminare il meccanismo di

dissoluzione è fare dei test al dissolutore variando la velocità di rotazione. Se la velocità di

dissoluzione aumenta all'aumentare della velocità di rotazione è plausibile che il meccanismo

coinvolto sia un meccanismo di questo tipo cioè legato a dei fenomeni diffusivi; se aumentando la

velocità di rotazione la velocità di dissoluzione rimane uguale si deve utilizzare un altro modello

matematico per valutare il processo di dissoluzione.

In vivo la situazione è molto più semplice, perchè ci sono delle situazioni sink cioè il solido viene in

contatto in continuo con il fluido gastrointestinale fresco quindi cs è sempre molto maggiore con ct.

quindi la variazione di concentrazione sarà legata al tempo attraverso una costante nel quale

rientrano dei parametri che sono costitutivi della forma farmaceutica. Questi grafici rappresentano

come gli eccipienti e i processi formulativi possono influenzare in maniere determinante la velocità

di dissoluzione e quindi la sua biodisponibilità.

In questo grafico è riportato il profilo di dissoluzione(riportato

come % disciolto in funzione del tempo) del fenobarbital,

formulato in polvere(1), in granuli(2) e in compresse(3).

Inspiegabilmente si vede che il fenobarbital in compresse si

scioglie più velocemente della polvere, quindi la polvere è già

disaggregata e quindi ha un processo in meno così come i

granuli, ma ciò nonostante, facendo il profilo di dissoluzione si

nota che le compresse si sciolgono più velocemente. Ciò

perchè nella compressione sono stati aggiunti degli eccipienti

che hanno favorito, ad esempio, la bagnabilità della polvere; prima di essere disciolto, il principio

attivo deve essere bagnato dal solvente e quindi se si aumenta la capacità della polvere di essere

bagnata si aumenta anche la velocità di dissoluzione. In genere, questa potrebbe essere

un'indicazione che comunque la granulazione è stata eseguita correttamente, perchè la presenza di

agente legante non ha ridotto, rispetto alla polvere (perchè la parte finale delle curve si

sovrappongono), la velocità di dissoluzione e che quindi la sua scelta e la sua concentrazione è

ottimale.

questo(1) invece è un grafico che fa vedere l'effetto del colorante; i coloranti hanno un effetto

sostanziale, soprattutto quelli insolubili in acqua come gli ossidi di ferro, nella biodisponibilità del

principio attivo. In questo caso viene studiata la velocità di dissoluzione della lipoflavina in

compresse rivestite con idrossipropil metil cellulosa. In questi due casi la velocità di dissoluzione è

stata eseguita sui succhi gastrici simulati: questo(*) è il profilo di dissoluzione in succo gastrico

simulato, mentre l'altro prifilo di rilascio è stato eseguito in fluido intestinale simulato. Nel fluido

gastrico simulato e nel fluido intestinale simulato non cambia solo il pH ma sono aggiunte delle

proteine e avvolte, nel fluido intestinale simulato, anche i sali biliari. In questo caso, la presenza di

colorante, nel succo gastrico simulato, rallenta in maniera sostanziale il profilo di dissoluzione

mentre i due profili si avvicinano e sono perfettamente sovrapponibili nel fluido intestinale

simulato. Questo è proprio legato al fatto che nel fluido intestinale simulato sono presenti i sali

biliari, che sono delle sostanze che formano micelle , e quindi in questo caso la presenza del

colorante che rallenta in maniera sostanziale il profilo di dissoluzione della vitamina(liposolubile) è

contrastata dal fatto che la presenza di sali biliari favorisce il processo di dissoluzione attraverso la

solubilizzazione micellare del colorante. Quindi è ovvio che in un saggio normale di

dissoluzione,eseguito in H2O o in un tampone non sarebbe possibile discriminare l'effetto del

colorante sul profilo della velocità di dissoluzione.

La solubilità, fino ad ora è sempre stata espressa come una concentrazione e quindi con dei valori

numerici(g/l, n/l o % p/v); in realtà, la farmacopea, esprime la solubilità delle sostanze utilizzando

una modalità completamente diversa. Infatti, divide le sostanze con delle indicazioni di solubilità

che vanno da solubilissimo a praticamente insolubile, dando la quantità in ml di H2O che solubilizza

1g di sostanza. Per esempio, solubilissimo meno di 1 vuol dire che 1g della sostanza si solubilizza

in 1ml di H2O(tra i 15-25°C ovvero a temperatura ambiente). Praticamente insolubile vuol dire che

1g di sostanza si scioglie in 10 l di H2O; quindi rispetto all'indicazione numerica in cui si esprime la

solubilità, la modalità della farmacopea di valutare la solubilità è completamente diversa. Wagner,

nel 1970, ideò uno schema per valutare gli stadi che portavano dalla forma farmaceutica solida al

farmaco in soluzione, che è la condizione necessaria perchè avvenga l'assorbimento del farmaco.

Forma farmaceutica solida → disintegrazione → granuli + aggregati → deaggregazione → polveri

fini

dalla forma farmaceutica solida inizia il processo di disintegrazione che porta a granuli e aggregati,

la deaggregazione, poi, porta alle particelle fini. Il processo di dissoluzione maggiore(ovvero in %

maggiore) avviene a carico ovviamente delle particelle fini anche se inizia un moderato processo di

dissoluzione anche nella forma farmaceutica solida. Qualche anno dopo, nel 1982, Cartensen

elabora uno schema più complesso e aggiunge, agli stadi che erano stati ipotizzati da Wagner, degli

stadi che precedono il processo di disaggregazione della forma farmaceutica solida. Inserisce un

tempo di lagging , necessario a che la forma farmaceutica sia bagnata dal solvente(in vivo dal

fluido biologico) per poi iniziare il processo di

disintegrazione.

Se si pone a grafico l'andamento del processo

considerato da Cartensen, si ottiene il tipico

diagramma ad S, che caratterizza il profilo di

dissoluzione delle forme farmacutiche solide.

La forma del grafico è ad S perchè: nella fase

iniziale (1) si avrà un tempo di lagging iniziale

in cui non c'è interazione tra la forma

farmaceutica e il fluido biologico; quindi la

forma farmaceutica dovrà essere bagnata dal

fluido biologico, il quale dovrà entrare all'interno della forma farmaceutica e solo a questo punto

inizierà il processo di disintegrazione(2) e il processo di disaggregazione(3). Nella fase centrale

della curva(4) si ha la fase di dissoluzione e andando avanti nel tempo non si arriva alla

dissoluzione totale perchè si genera uno stadio, secondo Cartensen, di occlusione. Si arriva così ad

uno stadio in cui il solido non solubilizza più e quindi la quantità disciolta rimane costante(5). Da

notare che la parte centrale del grafico è una retta; questo per i parametri che influenzano la velocità

di dissoluzione

In questi tre diagrammi A,B,C, si nota che tutti hanno la fase di

occlusione. L'andamento ad S è tipico del processo di

disintegrazione- dissoluzione: nel grafico A c'è solo il processo di

dissoluzione e quindi la compressa è a disaggregazione

immediata. Nelle curve B e C, il profilo di dissoluzione e quindi il

passaggio in soluzione del farmaco è influenzato dalla parte

iniziale. In queste forme farmaceutiche, quello che cambia è la

fase di disaggregazione; quindi la B rappresenta una forma

farmaceutiche in cui la disaggregazione è rapida mentre la C è

una forma farmaceutica poco bagnabile ( perchè il tempo di

lagging è lungo) e che ha una velocità di disaggregazione lenta.

Costruire questi grafici,utilizzando lo schema di Cartensen consente di evidenziare quale è lo stadio

limitante del processo di dissoluzione e quindi, indipendentemente da quello che si vuole ottenere

dalla forma farmaceutica, si modifica la formulazione. Da notare, che non è detto che una velocità

di disaggregazione elevata corrisponde a una velocità di dissoluzione elevata. Esistono una serie

infinità di modelli matematici che mettono in relazione, per le diverse formulazioni, la velocità di

disintegrazione con la velocità di dissoluzione, perchè non è certo che una forma farmaceutica che

disaggreghi rapidamente, rilasci poi rapidamente il principio attivo. Questi sono degli esempi che si

fanno negli studi di preformulazione, che sono assolutamente precedenti anche alla prima fare

della sperimentazione clinica, che si fanno per valutare l'effetto degli eccipienti sulla liberazione del

principio attivo.

In questo grafico sono riportati i profili di dissoluzione

dell'acido salicilico, formulato in compresse come forma

farmaceutica solida unidose, e si valuta l'effetto dell'amido sulla

dissoluzione. Aumentando la quantità di agente

disaggregante(dal 5% al 20%) si ha una velocità di dissoluzione

maggiore. Quindi per l'acido salicilico in questa composizione,

aumentando la quantità di disaggregante si rende più veloce la

dissoluzione del principio attivo.

Questa una situazione diversa, perchè sono prese in considerazione preparazioni diverse. Sono

compresse il cui principio attivo è il diazepan. Gli eccipienti che sono considerati: fosfato di calcio

idrato(utilizzato con diluente, presente in

93%, ovvero l'aggiunta che crea la

massa), poi sono considerati due

disaggreganti diversi, il glicolato di

amido e l'amido di patata ed è poi

aggiunto il magnesio stereato(con

lubrificante propriamente detto perchè gli

stereati sono quelli che, nel caso delle

compresse, evitano i fenomeni di

adesione ai punzoni). In questa

formulazione viene valutato, non solo

l'effetto dei due disaggreganti diversi ma

viene valutato anche il tempo di miscelamento con il lubrificante. Questo perchè gli stereati sono

indispensabili per formare le compresse ma, essendo delle sostanze totalmente insolubili in H2O, la

loro presenza disturba in maniere sostanziale la dissoluzione di principio attivo; quindi un

parametro che deve essere valutato in maniera estremamente precisa è il tempo di miscelamento con

gli stereati perchè stando sulla superficie della forma farmaceutica , impediscono la fase

iniziale(ovvero la bagnabilità) e quindi tutti i passaggi successivi saranno modificati in maniera

sostanziale.

Quindi ci saranno le due curve relative ai diversi tempi di mescolamento; per esempio nella

formulazioni di diazepan formulate con l'amido di patata, il tempo di mescolameto con gli stereati

influenza in maniera sostanziale la velocità di dissoluzione, cioè aumentando da 2 minuti a 30

minuti il tempo di miscelamento, la velocità di dissoluzione si riduce in maniera sostanziale.

Questo, viceversa, non si verifica per le formulazioni che hanno come disaggregante il glicolato di

amido. Quindi l'andamento delle due curve, quelle dell'amido di patata, è legato ai due diversi tempi

di mescolamento: 30 minuti e 2minuti il tempo di mescolamento con il lubrificante(stereato di

Magnesio). Se si utilizza come disaggregante l'amido di patata, il tempo di mescolamento con il

lubrificante influenza in maniera sostanziale, cioè se si passa da 2 minuti a 30 minuti la velocità di

dissoluzione a ora si riduce dall'80% a meno del 40%, ovvero più della metà di principio attivo

rimane non disciolto.

Le due curve superiori sono quelle relative alla formulazione che usano un derivato dell'amido, il

glicolato di amido, ma in questo caso il tempo di mescolamento non influenza per niente la velocità

di dissoluzione; dopo 1 ora ,questa formulazione, arriva all'80% di dissoluzione di principio attivo

sia che il tempo di mescolamento sia di 2 minuti sia che sia di 30 minuti. Se il tempo di

mescolamento con lo stereato non influenza la velocità di dissoluzione, vuol dire che il glicolato di

amido è un ottimo disaggregante e che quindi consente di eliminare l'effetto negativo degli stereati.

Quindi se si ha bisogno, per motivi formulativi, di usare un tempo lungo di mescolamento con gli

stereati non si sceglierà un moderato disaggregante(come l'amido di patata) ma si utilizzerà un

disaggregante migliore(come il glicolato d'amido).

Capsule

Le capsule sono preparazioni solide con involucri duri o molli di varie forme e capacità, contenenti

usualmente una dose di principio attivo. Sono destinate alla somministrazione orale. È la forma

farmaceutica di cui esiste la traccia più antica: si parla di capsule in alcuni documenti egiziani(del

1800 a.C); le capsule come si conoscono sono nate da un brevetto pensato e realizzato da una

studente della facoltà di farmacia dell'università di Parigi agli inizi dell' '800.

Esistono sostanzialmente due tipi di capsule:

capsule rigide o opercolare o opercoli;

capsule molli

I costituente delle capsule, in generale, sono: la gelatina, è il costituente principale, è un polimero

di derivazione naturale ed esistono due tipi di gelatina, in farmacopea, la gelatina A e la gelatina B e

questa distinzione dipende dalla tecnica che si utilizza per fare la gelatina. La gelatina si ottiene da

resti di animali(cartilagine, gelatine e farina di osso), bovina ma nella maggior parte dei casi suina;

la gelatina A e la gelatina B si distinguono dal fatto che l'idrolisi di queste parti di animali viene

fatta o in ambiente acido o in ambiente basico. Le caratteristiche che vengono richieste da valutare

nella farmacopea(ovvero che permetta di dire che la gelatina che si sta utilizzando è gelatina FU)

sono le caratteristiche di viscosità e la blouse strenght (cioè la capacità di gelificare): queste due

caratteristiche fisiche danno un'indicazione nel tempo della stabilità di questo eccipiente; dato che

non ha una composizione chimica definita né omogenea e quindi la stabilità nel tempo della

gelatina si misura utilizzando questi parametri fisici.

Il plasticizzante, solo in alcune capsule(insieme alla gelatina e all'H2O); nella maggior parte dei

casi è glicerolo, ma può essere anche sorbitolo, una gomma (raramente) o il PEG ( polietilenglicol o

glicol propilenico). Per evitare che l'involucro della capsula, fatto solo di gelatina ed acqua, nel

tempo diventi secco e che si frantumi, si aggiungono queste sostanze, come il glicerolo e il

sorbitolo, chiamati plasticizzanti perchè mantengono una frazione di acqua all'inteno dell'involucro;

quindi fanno in modo che, nel tempo, l'involucro della capsula non si frantumi.

Come si sceglie il rapporto glicerina / gelatina da utilizzare per realizzare una capsula rigida: si

sceglie in base al tipo di utilizzo e dal tipo di impiego della capsula. Ad esempio, considerando che

il rapporto è espresso come parti di glicerolo anidro per una parte di gelatina secca, per le capsule

contenenti olii il rapporto è di 0,35(cioè per una parte di gelatina ci sono 0,35 parti di glicerolo). Per

le capsule che contengono liquidi idrofili il rapporto aumenta(cioè per ogni parte di gelatina secca

0,55-0,65 parti di glicerolo). Il rapporto 0,35 nelle capsule contenenti oli è basso perchè non ci sono

interazioni tra l'involucro e il contenuto e quindi la soluzione acquosa del contenuto non può

richiamare l'acqua dall'involucro. Altri costituenti sono

I coloranti, i conservanti che vanno aggiunti successivamente perchè l'involucro, essendo di

gelatina, è sempre una matrice che può essere attaccata dal punto di vista microbiologico.

Secondo la farmacopea: Gli involucri delle capsule sono fatti di gelatina o altre sostanze, la cui

consistenza può essere regolata per aggiunte di sostanze come glicerolo e sorbitolo.

La capsula è una forma farmaceutica estremamente versatile perchè consente di veicolare al suo

intendo diluizioni, granulati,piccole compresse, granulati e compresse, polveri. Di fatto è la forma

farmaceutica più facile da preparare perchè per riempire una capsula serve il principio attivo, il

diluente e qualcosa che aiuti la scorrevolezza della polvere intrinseca alla polvere. Non si

aggiungono disaggreganti e lubrificanti. In tutti gli studi di sperimentazione clinica, il principio

attivo è formulato in capsule perchè è la forma farmaceutica più facile da realizzare dal punto di

vista produttivo( in galenica si fanno le capsule piuttosto che le compresse). In farmacopea, le

capsule sono distinte:

capsule rigide

capsule molli

capsule a rilascio modificato

capsule gastroresistenti

cialdini (sono rientrati in farmacopea dalla X edizione perchè sono costituiti da amido e

quindi non hanno una composizione diversa dalla gelatina animale).

Essendo forme farmaceutiche solide unidose i saggi obbligatori saranno l'uniformità di contenuto e

l'uniformità di massa. Nella conservazione è specificato che deve essere conservato a temperature

non superiore a 30 °C perchè è la temperatura di transizione da solida a gel delle soluzioni di

gelatina e quindi a T > 30° C la capsula si scioglie( ed è proprio quello che viene sfruttato nel

meccanismo d'azione). Le differenze tra le capsule rigide e quelle molli sono:composizione , lo

spessore dell'involucro; la farmacopea infatti dice che l'involucro delle capsule molli(pur costituito

da gelatina, glicerolo e acqua) è generalmente più spesso.

Capsule rigide: sono composte da due parti: una parte nella quale viene inserita la polvere o il

granulato (ovvero quella che viene riempita) che si chiama corpo della capsula e poi la parte con

cui viene chiusa la capsula che si chiama testa, che ha un diametro leggermente superiore a quello

del corpo.

Quindi la caratteristica delle capsule opercolate è che le capsule vengono

preparate da aziende specializzate e poi vengono riempite o dal farmacista

o dall'azienda produttrice con la forma farmaceutica; quindi la preparazione

della capsula e il riempimento avvengono in 2 tempi distinti del processo

produttivo. Le capsule molli, invece, sono preparate e riempite

contemporaneamente con delle tecniche, che sono state brevettate dalle

aziende che preparano solo capsule molli. Quindi le aziende produttrici

inviano alle aziende che fanno le capsule le soluzioni del principio attivo e queste preparano le

capsule molli. La farmacopea dice che le capsule rigide hanno involucri costituiti da due sezioni

cilindriche preformate, un'estremità delle quali è arrotondata e chiusa, l'altra è aperta. Le capsule a

rilascio modificato e quelle gastroresistenti sono simili come caratteristiche.

I cialdini sono simili alle capsule, come concetto ma

non come forma, il cui involucro è costituito da pane

azzimo:infatti sono due parti che vengono riempite e

poi chiuse in cui le due parti che vengono messe insieme hanno questo aspetto

I due bordi, poi, vengono saldati insieme. Le dimensioni sono generalmente più grandi delle

capsule. I cialdini sono rientrati in farmacopea sostanzialmente per venire incontro a problemi legati

all'ambito religioso perchè per alcune perso e è un problema assumere derivati animali, in

particolare dei suini.

Esistono in commercio delle capsule preparate proprio per questi motivi, quindi non i cialdini fatti

con il pane azzimo,ma delle capsule vere e proprie fatte con delle sostanze diverse dalla gelatina:

come ad esempio dei derivati della cellulosa, in particolare sono preparati con

idrossipropilmetilcellulosa (HPMC) ; le capsule di gelatina e le capsule di

idrossipropilmetilcellulosa hanno delle caratteristiche di rilascio del principio attivo perfettamente

sovrapponibili e quindi la variazione del costituente della capsula non modifica il rilascio del

principio attivo e che quindi l'HPMC può sostituire l'eccipiente di derivazione animale nella

realizzazione delle capsule.

Le capsule rigide hanno varie dimensioni (non casuali), standardizzate, che sono contraddistinte da

un numero, che va da 000 a 5, e questi numeri sono inversamente proporzionali alla capacità della

capsula in ml. Anche per le capsule la capacità è espressa in ml e quindi la polvere, che viene

realizzata per riempire le capsule, deve essere scorrevole tanto quando un fluido.

bisogna preparare

0,3 g di acido acetilsalicilico

0,025 g di caffeina

eccipienti q.b.

Per 1 cps t. 30 (una capsula e tali 30)

Quali tipo di capsula si

utilizza? Si hanno, quindi, le

quantità degli eccipienti, si

miscelano con una quantità

di diluenti che sono stati

scelti, e si misura il valore

che si ottiene dai due

principi attivi e dagli

eccipienti. Si arriva così ad

un valore di 18 ml. Si

utilizzano i grafici di

riempimento. Bisogna quindi preparare 30 cps, da 18 ml: sul grafico non c'è una misura che faccia

al caso nostro. Quindi si osserva il valore che si avvicina a quella quantità: è il n° di capsula 0 ma

per riempirla correttamente non sono sufficienti 19 ml ma bisogna farne 20 ml. Dal punto di vista

formulativo sarebbe opportuno avere dei volumi ottimali perchè se bisogna suddividere in capsule

grandi delle quantità di polvere piccole è più facile fare errori perchè bisogna fare anche

l'uniformità di massa delle capsule: in teoria il valore che si suddivide deve essere proporzionale in

maniera precisa al volume delle capsule che si utilizzano perchè questo fa in modo che non si

facciano errori ed è il motivo per cui esistono tanti tipi di capsule.

Le capsule molli vengono fatte perchè il principio attivo è assorbito prima(rispetto alle compresse)

in quanto il principio attivo è già in soluzione e quindi tutti gli step( la disaggregazione, l'effetto

degli eccipienti sulla velocità di dissoluzione) non avvengono, e quindi il principio attivo viene, una

volta rilasciato dalla capsula(almeno teoricamente), immediatamente assorbito. Le forme che

possono assumere le capsule molli:

La maggior parte delle capsule molli ha la forma ovale, quando le capsule molli sono rotonde si

chiamano perle( come le perle di bagnoschiuma , e hanno anche la stessa tecnica di preparazione).

Quando si utilizzano le capsule molli:

per avere il principio attivo già in soluzione e quindi per aumentare la biodisponibilità;

nella maggior parte dei casi è quando si hanno dei principi attivi con un ristretto intervallo

terapeutico, cioè in cui la dose efficace è la dose tossica sono vicine, perchè è più facile

dosare uniformemente una soluzione che un solido.

La differenza sostanziale tra le capsule rigide e quelle molli è nella composizione quantitativa del

rivestimento, perchè comunque la composizione qualitativa di base è la stessa e nella tecnica di

preparazione: le capsule opercolate esistono come tali e vengono riempite poi, generalmente, con

una polvere o un granulato, mentre nel caso delle capsule molli le capsule vengono riempite e e

formate contemporaneamente. Ci sono due nastri di gelatina, che vengono scaldati e quindi si

ammorbidisce leggermente la gelatina, e passando attraverso gli stampi: la capsula viene riempita e

formata contemporaneamente. Tutti questi sistemi sono brevettati, cioè le tecniche di ottenimento

delle capsule molli sono brevettate e quindi generalmente ci sono delle aziende specializzate alle

quali le aziende produttrici mandano i principi attivi.

Un altro motivo per cui vengono realizzate le capsule molli è la possibilità di realizzare delle forme

farmaceutiche in cui sia elevata la stabilità del principio attivo: questo perchè, ad esempio, il guscio

di gelatina delle capsule molli protegge dal contatto con l'O2 e quindi per principi attivi che sono

facilmente ossidabili(e che quindi devono essere conservati in assenza di ossigeno si realizzano

delle capsule molli in cui il principio attivo, ad esempio, viene sciolto in un solvente oleoso.

Si può misurare il coefficiente di permeabilità del guscio di gelatina delle capsule molli come:

dove P è il coefficiente di permeabilità, q la quantità di O2 che passa attraverso la parete di gelatina,

h è lo spessore delle capsule molli, A è la superficie della capsula( e quindi attraverso la quale

avviene il processo di diffusione, t è il tempo, e la differenza(dato che si parla di un gas) di pressioni

parziali all'interno e all'esterno della capsula.

In questi due grafici si può vedere l'effetto proteggente, nella degradazione della riboflavina (1) e

della vitamina A (2). Sono confrontate le concentrazioni, misurate nel tempo, per le compresse e per

le capsule: si osserva che la variazione di concentrazione nel tempo rimane costante nelle capsule.

Quindi sia che la vitamina sia idrosolubile(riboflavina) che liposolubile(vitamina A) l'inclusione

nelle capsule molli diventa, in maniera sostanziale, la stabilità di principio attivo nel tempo

Quindi riassumendo, la funzione delle capsule molli:

aumento della biodisponibilità

aumento della stabillità del principio attivo

formulazione di principi attivi che abbiano un ristretto indice terapeutico

Nell'ambito delle preparazioni per uso orale si trovano le forme farmaceutiche, che la farmacopea

definisce, preparazioni oromucosali, cioè dove il sito di assunzione e di assorbimento è la bocca e

quindi la mucosa buccale è il sito attraverso il quale avviene l'assorbimento, quindi sono assunte per

via orale ma non vanno deglutite. Quindi, in queste preparazioni, l'assorbimento non avverrà nel

tratto gastroenterico, ma avverrà nel cavo orale. Le preparazioni oromucosali, secondo

farmacopea, sono preparazioni solide,semi-solide o liquide, contenenti una o più sostanze attive,

destinate alla somministrazione alla cavità orale e/o alla gola per ottenere un effetto locale o

sistemico. Il formulatore, da notare bene, per realizzare la forma farmaceutica deve studiare

l'anatomia del sito dove vuole che la sua forma farmaceutica sia assorbita; questo perchè, in base

alla costituzione dei tessuti si dovrà cambiare il tipo di formulazione e il tipo di interazione tra la

formulazione e il sito di assorbimento. Attraverso questo tipo di forme farmaceutiche e quindi con

l'assorbimento atttraverso la mucosa orale si possono avere delle formulazioni a rilascio locale; cioè

in cui il sito target è proprio la mucosa orale, oppure un'azione sistemica , che sarà ottenuta in

maniera differente a seconda che la frazione di assorbimento sia la frazione sublinguale della

bocca o la mucosa buccale vera e propria.

L'epitelio ha uno spessore di 40-50 strati di cellule, con un turnover di 5-6 giorni: alcune parti

dell'epitelio, come nelle gengive e nel palato, è cheratinizzato ed è ricco di ceramidi, in altre zone

della bocca c'è l'epitelio non cheratinizzato, ed è caratterizzato da un elevata frazione di colesterolo .

Quindi è possibile formulare delle preparazioni che di fermano in questi strati o si può pensare o

delle formulazioni che portino il principio attivo nella sottomucosa dove ci sono i vasi sanguigni e

quindi avere un effetto sistemico. Le caratteristiche della mucosa buccale è che ha una capacità di

permeabilità fino a 4000 volte superiore di quella della pelle; la capacità di assorbimento è massimo

nella zona sublinguale. La velocità di assorbimento è inversamente proporzionale allo spessore e al

grado di cheratizzazione.

sublinguale buccale palatale

assorbimento

spessore + cheratinizzazione

Uno degli ostacoli principali all'assorbimento attraverso la mucosa buccale è il materiale

intercellulare costituito da dei granuli che rivestono la membrana della cellule degli strati più alti

dell'epitelio della buccale; la presenza di questi granuli rallentano entrambi i processi di

assorbimento, che possono essere trans cellulare, cioè attraverso le cellule dell'epitelio, o

paracellulare , cioè degli spazi tra le cellule dell'epitelio. I meccanismi di assorbimento sono solo

all'interno del cavo orale, meccanismi di diffusione passiva. I componenti della mucosa buccale

sono:

il muco, componente principale, il quale è costituito al 90%(fino al 90%) di acqua, e il

restante è costituito da una glicoproteina ( la mucina) e poi sali numerali; la caratteristica

del muco è quello di avere una carica negativa, responsabile di queste sono i residui liberi di

acido sialico.

La saliva, costituita anch'essa sostanzialmente di acqua, ed è una delle fonti in cui il

principio attivo, qua, ed è una delle fonti in cui il principio attivo, rilasciato nella mucosa

buccale, si perde perchè ha un V flusso, che indipendentemente dalle condizioni fisiologiche

e patologiche, che varia da 0,5- 0,2 l/ al giorno. Infatti, indipendentemente da dove la forma

farmaceutica va commercializzata, bisogna valutare il tipo di dieta che segue la popolazione;

cioè la formulazione di una compressa, nel mondo occidentale, in cui c'è una dieta

principalmente a base di carne e di grassi, e quindi ha un tempo di residenza nell'intestino,

questa è diversa dalla formulazione che viene commercializzata nei paesi asiatici, dove la

dieta è principalmente vegetariana, e quindi sono diversi i tempi di residenza nell'intestino

delle forme farmaceutiche.

Il vantaggio attraverso la mucosa buccale è che si evita l'effetto di primo passaggio, perchè

l'assorbimento del principio attivo viene versato all'interno della giugulare interna e quindi è poi

un sangue che non passa attraverso il fegato, cioè non subisce l'effetto di primo passaggio. Le

caratteristiche chimico – fisiche del principio attivo, necessarie affinchè sia possibile attraverso la

mucosa buccale:

PM adeguato, anche se ci sono alcune molecole grandi come l'insulina che possono essere

assorbite attraverso la mucosa con dei meccanismi di interazione con il muco e con l'aiuto

dei “promotori di assorbimento”( delle sostanze che favoriscono il passaggio attraverso le

membrane) perchè disorganizzano in in maniera momentanea, la membrana da attraversare

facendo tornare la membrana alle condizioni iniziali dopo aver fatto passare il principio

attivo.

pKa della molecola, perchè con concetto generale l'assorbimento avviene a carico delle

molecole non ionizzate in quanto il pH della cavità orale è un pH fisiologico, e quindi

essendo la maggior parte dei farmaci acidi o basi deboli saranno più o meno assorbiti

all'interno della mucosa buccale perchè la maggior parte ha il pH della saliva(6,4);

coefficienti di ripartizione: il muco e la saliva sono costituiti principalmente da acqua e di

piccole frazioni lipoproteiche, e quindi la mucosa buccale è di costituzione essenzialmente

idrofila e quindi saranno preferenzialmente assorbiti i farmaci coi valori di coefficiente di

ripartizione basso( quindi per principi attivi idrofili). Il coefficiente di ripartizione è

all'equilibrio e a temperatura costante, il rapporto tra le concentrazioni di soluto che si

ripartisce tra due solventi immiscibili Ae B (P = ottanolo /H2O); il coefficiente di

ripartizione alto, quindi, indica lipofilia mentre un coefficiente di ripartizione basso indica

idrofilia.

Le dimensioni dell'area di somministrazione sono estremamente ridotte nella mucosa orale( 100

cm2, non di tutta la bocca ma delle zone non cheratinizzate della mucosa); quindi le dimensioni del

sistema di rilascio devono essere estremamente piccolo e, proprio per questo, la quantità di farmaco

che può essere somministrata è estremamente ridotta perchè le piccole dimensioni della forma

farmaceutica sono in limitate quantità. Una frazione del principio attivo disciolto nel cavo orale, che

ha come target l'assorbimento attraverso la mucosa buccale, viene inghiottito: quindi ci sarà una

frazione di principio attivo che esplica la sua azione all'interno del cavo orale ma hanno una

frazione che viene inghiottita e che quindi sarò assorbita a livello del tratto gastroenterico.

PA disciolto PA disciolto PA nel circolo

nei fluidi buccali nella membrana linfatico

buccale

PA inghiottito PA nel circolo

sanguigno

Infatti, sia a livello di biodisponibilità sia a livello di farmacocinetica bisogna tenere conto che una

frazione viene assorbita attraverso la mucosa orale ma comunque una frazione viene inghiottita, e

quindi anche questa esplicherà nel tempo la sua azione.

I siti per il rilascio di farmaci sono:

a) forme farmaceutiche sublinguali ( in commercio ed è quello che viene utilizzato

principalmente); si utilizzano perchè hanno un'elevata biodisponibilità, un assorbimento rapido,

facilmente accessibile a qualsiasi persona e presenta un'alta patient compliance. Si utilizza la forma

farmaceutica sublinguale, principalmente per i principi attivi di pronto soccorso o comunque per i

principi attivi da utilizzare per un attacco acuto. Un'altra applicazione sono quelli che si definiscono

a regimi di dosaggio infrequenti ovvero quando non c'è una terapia cronica. La maggior parte delle

formulazioni in commercio sono capsule molli o quelle che si chiamano compresse delitescenti:

sono delle compresse, per esempio ci sono degli antidolorifici, molto sottili che non si devono

toccare con le mani in quanto si scioglierebbero, infatti vengono chiamate in inglese “ a rapida

disintegrazione e dissoluzione”. Questi sono alcuni esempio di formulazioni sublinguali con

principi attivi particolari: nel caso ad esempio del MINIRIM/DDAIP è stato valutato che la

biodisponibilità è maggiore del 60 % rispetto alle compresse. Altri tipi di farmaci formulati in forme

farmaceutiche sublinguali sono:

farmaci peptidici: insulina, LHRH, α- interferone;

farmaci per la terapia del dolore: buprenorfinatil.

Comunque questi farmaci non sono commercializzati in Italia. Da notare bene gli eccipienti:

lattosio: è un diluente

mannitolo: per la freschezza(perchè la sua dissoluzione è un processo fortemente

endotermico e quindi assorbendo calore rilascia una sensazione di freschezza);

amido di mais: disaggregante( l'amido di patata, al contrario di quello di mais, non è un

potentissimo disaggregante).

PVP, o polivinilpolidone, K30(che dà un' indicazione di polimero non ad altissimo PM):

legante. Da notare bene che la presenza di un legante indica che la compressa è stata

ottenuta non per compressione diretta ma per compressione dopo granulazione:

Acido citrico e citrato di sodio: tampone

Stereato di magnesio: lubrificante propriamente detto e quindi la presenza degli stearati

indicano che la forma farmaceutica è una compressa, anziché una capsula, perchè vengono

usati solo se si utilizza la comprimitrice.

Quindi si è visto l'assorbimento sublinguale, e quindi formulazioni a rilascio immediato. Si può

avere anche un rilascio sistemico transmucosale, quindi attraverso la mucosa buccale quindi di

fatto sostanzialmente le guance e la zona posteriore del palato; per questo tipo di assorbimento, è

imprescindibile l'uso di promotori di assorbimento ( è penetration enhaceis) perchè la

biodisponibilità è bassa ed è legata al fatto che la velocità di assorbimento non è altissima e

soprattutto perchè la superficie assorbente è estremamente limitata. Un utilizzo, che ovviamente si

può fare, è quello per le patologie dentali e paradentali, in cui invece l'azione che si deve avere è

locale e , quindi il fatto che la superficie capace di assorbimento è ridotta non è importante.

Questi sono degli esempi di sostanze che vengono usate come promotori di assorbimento:

– ciclodestrine

– acido laurico( o acido laurico/ propilen glicol)

– mentolo

– acido oleico

– Na EDTA

– Na taurocolato

– Na taurodeossiedato

– fosfatildelcoline

– poliossietilene

– polisorbato 80

I promotori di assorbimento sono delle sostanze che hanno la capacità di interagire con le

membrane e di disorganizzare le membrane, facilitando il passaggio attraverso queste. Tutte le

sostanze che si utilizzano come promotori di assorbimento devono produrre una disorganizzazione

rapida ma totalmente reversibile; è ovvio che tutti i promotori di assorbimento per le formulazioni

oromucosali devono avere un odore e un sapore non sgradevoli. Un promotore di assorbimento

classico è il dimetilsolfossido che ha un odore sgradevole e quindi non può essere utilizzato per le

formulazioni oromucosali. Molte di queste sostanze hanno la caratteristica di essere dei tensioattivi,

alcuni naturali come gli acidi biliari ed altri sintetici.

Nell'ambito della mucosa buccale, la superficie capace dell'assorbimento è ridotta e i tempi di

permanenza sono ridotti, data la presenza di saliva che rimuove rapidamente il principio attivo, una

delle tecniche che si utilizza per questo tipo di formulazioni è l'utilizzo di polimeri mucoadesivi,

cioè delle forme farmaceutiche che si “mescolano” nella mucosa o all'interno della guancia o sopra

la mucosa sita sopra i denti. Le sostanze utilizzate come sostanze mucoadesive sono delle sostanze

di tipo polimerico, sintetico, oppure sono dei polimeri di origine naturale:

acidi poliacrilici → di sintesi

idrossipropil metilcellulosa → di sintesi

derivati polimetacrilati → di sintesi

acido ialuronico → naturale e quasi biocompatibili

chitosano → naturale e quasi biocompatibili

xanthum gum(xantano)

locust bean gum (carrubbo)

Gli ultimi due, sciolti in acqua, formano degli hydrogel, ovvero delle strutture polimeriche a forma

di gel.

Come funziona una sostanza mucoadesiva? Innanzitutto questo varia, in generale, per le sostanze

che sono definite bioadesive, cioè delle sostanze capaci di interagire con i tessuti; all'interno delle

sostanze bioadesive ci sono le sostanze mucoadesive, cioè capaci di interagire e di aderire alle

mucose. Ci sono molte teorie per spiegare la loro adesione, quelle che sono più sfruttate nella scelta

dei polimeri mucoadesivi:

teoria della bagnabilità, quindi scegliere un gel polimerico che sia capace di bagnare il

muco e quindi di interagire

mechanical theory, superficie ruvida

teoria “elettronica”:electron tranfert;

teoria dell'assorbimento. Hydrogel bonding- van der Waals force

diffusion theory: diffusione delle catene polimeriche dell'interfaccia

queste ultime 3 teorie sono legate perchè basano la mucoadesione sull'interazione delle catene

polimeriche con la struttura della mucina, quindi un'interazione di tipo fisico:le catene polimeriche

entrano nel reticolo polimerico della mucina e interagiscono fisicamente. Quasi tutti i polimeri

bioadesivi presentano dei gruppi -COOH o -OH liberi che sono capaci di formare legami ad H con

le proteine dei tessuti a cui aderiscono.

Sono delle forme farmaceutiche abbastanza giovani: il primo prodotto in commercio è stato l'aftach

(1985), di una compressa a doppio strato. Il primo strato è il principio attivo in presenza di carbopol

(un poliacrilato) più HPC( idrossipropilcellulosa) e quindi c'è il principio attivo disperso nei

polimeri mucoadesivi. Il secondo strato è costituito solo da lattosio, che è quello che rimane a

contatto all'interno della bocca e quindi quello che viene fatto aderire è lo strato polimerico,

all'interno del quale è presente il principio attivo, quello che resta a contatto con la saliva è il

lattosio. In questo caso il principio attivo diffonde solo attraverso la mucosa buccale; lo strato di

lattosio serve da “ protezione” e fa sì che il principio attivo venga rilasciato solo attraverso la

mucosa buccale e non attraverso il cavo orale. Nel 1996 è stato commercializzato il denti patch®,

uno strip adesivo che contiene lidocaina, da usare come pre-anestetico per i piccoli interventi

all'interno della bocca. L'effetto anestetico si instaura in 2 minuti, e rimane effettivo per 45 minuti e

non c'è assorbimento sistemico dell'anestetico, perchè le gengive sono cheratinizzate(e quindi c'è un

lentissimo assorbimento quasi nullo). Un'altra preparazione è l’orobase®,il cui principio attivo è la

benzocaina al 20 %, ed è formulato sottoforma di gomma da masticare(medicate): in questo caso è

un anestetico locale. Un'altra formulazione è il gel glair ®, in bustine (e quindi monodose) in cui si

trova il gel concentrato viscoso e mucoadesivo; quindi viene posto all'interno della bocca e il

polivinilpinolidone e l'acido ialuronico funzionano da agenti mucoadesivi e quindi fanno in modo,

anche se la formulazione non è una compressa o patch, di farla aderire in modo diffuso nella

mucosa buccale e quindi di esplicare un'azione locale nelle ulcere diffuse o sulle stomatiti da

radiochemioterapia, quindi non a livello locale ma su tutta la bocca.

In farmacopea, le preparazioni oromucosali sono definite come: sono preparazioni solide, semi-

solide o liquide destinate alla somministrazione alla cavità orale e/o alla gola per ottenere un effetto

locale o sistemico. Le preparazioni mucoadesive sono destinate ad essere trattenute nella cavità

buccale per adesione all'epitelio mucosale e possono modificare l'assorbimento sistemico del

farmaco al sito di applicazione. Si possono distinguere parecchie categorie di preparazioni per uso

oromucosale:

gargarismi

colluttori

gengivari

soluzioni e sospensioni oromucosali

preparazioni oromucosali semi-solide

gocce oromucosali, spray oromucosali sublinguali

pastiglie e paste

tavolette

compresse sublinguali e buccali

capsule oromucosali

preparazioni mucoadesive

La differenza tra i gargarismi e il colluttorio è che i gargarismi vanno fatti in gola mentre il

colluttorio nella bocca.

Se si parla di forme farmaceutiche solide unidose i saggi richiesti dalla farmacopea saranno

l'uniformità di massa e l'uniformità di contenuto; per gli spray oromucosali e sublinguali è previsto

un saggio particolare ed aggiuntivo, che è il saggio della dose rilasciata, perchè essendo gli spray

delle forme farmaceutiche multidose(cioè suddivisa alla singola unità posologica da parte del

paziente) deve essere garantito che ogni dose rilasciata abbia una concentrazione di principio attivo

uniforme.

I gargarismi sono soluzioni acquose destinate ad essere gargarizzate per ottenere un effetto locale.

Non devono essere inghiottiti. I colluttori sono soluzioni acquose destinate a venire in contatto con

la membrana mucosa della cavità orale, usualmente dopo diluizioni in acqua. Non devono essere

inghiottiti. I gengivari sono destinati ad essere somministrati alle gengive per mezzo di un

opportuno applicatore. Le gocce oromucosali, gli spray oromucosali e sublinguali sono soluzioni,

emulsioni o sospensioni destinati ad avere effetto locale o sistemico. Sono applicate per

instaurazione o nebulizzazione nella cavità orale o su una parte specifica della cavità orale come

nebulizzazione sotto la lingua(spray sublinguare) o nella gola(spray orofaringeo). Le pastiglie e le

paste sono preparazioni solide, a dose unica, destinate ad essere succhiate per ottenere, disciolto, un

effetto locale nella cavità buccale e della gola. Quindi la loro caratteristica è di sciogliere in bocca e

quindi anche la formulazione sarà legata e questo. Infatti contengono una o più sostanze attive,

usualmente in base aromatizzata e dolcificate e sono destinate o disciogliersi o disaggregarsi

lentantente nella bocca quando vengono succhiati.

Forme farmaceutiche liquide

Alcol etilico: In galenica farmaceutica, quando in una prescrizione si trova la parola alcool si

intende alcool etilico a 96°. Il grado alcolico, si definisce con le parti di alcool etillico in 100 parti

di soluzione idroalcolica: i volumi di acqua e di etanolo non sono- additivi, perchè quando la

soluzione si mescola(ovvero la soluzione di acqua e alcool) si ha una leggera contrazione di volume

pari area al 3%. Quindi la definizione di grado alcolico, che è una definizione volumetrica, è ml di

etanolo in 100 ml di soluzione idroalcolica. Nella farmacopea italiana non c'è più la monografia

dell'alcol ma si fa riferimento alla monografia sulla farmacopea europea;quindi l'alcool di

riferimento è l'etanolo a 96°. esiste l'etanolo anidro ma al farmacista non gli serve perchè non si

utilizza l'alcool assoluto nelle preparazioni farmaceutiche ma dovrà sempre operare delle

diluizioni(nelle forme farmaceutiche entrano sempre alcool diluiti). Si utilizza l'alcool al 96° perchè

la miscela di acqua e l'acool è una miscela azeotropica, che a quella percentuale non possono

essere separate per distillazione e si comportano come una fase singola. È possibile ottenere l'alcool

anidro ma con delle tecniche che sono più costose della distillazione, ovvero i setacci molecolari.

Determinazione del grado alcolico

il grado alcolico è , dal punto di vista fisico, una misura di densità e quindi non si misura

direttamente il grado alcolico ma si misura la densità della miscela di acqua e di alcool e da questo

valore di densità si estrapola il valore di grado alcolico. La densità è il rapporto tra la massa e il

volumetrica , d20

= m/V dove il 20 fa riferimento alla temperatura. Come si misura la densità dei

liquidi:

picnometro Questi due sfruttano principi diversi

densimetro

Picnometro: la densità è misurata sempre il relazione alla densità dell'H2O a 20°C.

Densitometro: ha una parte di vetro riempita da due piombini metallici, ed ha la scala

delle densità e il termometro(perchè la determinazione della densità dipende dalla

temperatura). Il densimetro sfrutta il principio di Archimede: un solido immerso in

un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari alla massa del volume di fluido

spostato. La misura viene fatta mettendo il densimetro nella soluzione, di cui si vuole

calcolare la densità,si misura sulla scala delle densità, al punto di affioramento, la

densità. Esistono dei densimetri che sono tarati direttamente a gradi alcolici che si

chiamano alcolometri. Sia l'alcolometro che il densimetro sono tra le apparecchiature

obbligatorie in farmacia( tabella VI della F.U).

In farmacopea viene scritto il metodo picnometrico oppure viene detto che può essere

anche fatto con il densimetro; essendo una misura di densità si potrebbe eseguire la

misura nella soluzione idroalcolica tal quale(se si avesse solo H2O e alcool nella miscela). Nella

maggior parte dei casi(nelle preparazioni farmaceutiche) non c'è solo H2O e alcool quindi prima di

effettuare la misura di grado alcolico,bisogna effettuare una distillazione, per separare H2O e alcool

e su questa miscela si farà la misura di grado alcolico. In farmacopea, poi, viene descritto il metodo

per distillare la miscela e sulla miscela di H2O e alcool che si raccoglie, all'interno del pallone, si

determina il grado alcolico. Dalla misura di densità si risale al grado alcolico attraverso le tabelle

alcolimetriche.

Quale è la relazione tra il grado alcolico e la densità? Per esempio un alcool a 20° è più denso di

quello a 96° perchè(l'alcool più è diluito più e denso) l'acqua ha densità 1 mentre l'etanolo circa 0,8

e quindi a parità di T essendo l'acqua più densa dell'alcool , più è diluito l'alcool maggiore sarà la

densità. Miscelando acqua e alcool si ha una contrazione di volume per preparare degli alcoli

diluiti non si può utilizzare la percentuale volumica(in ml) ma si deve utilizzare la percentuale

ponderale e le quantità espresse in PESO. Si utilizza la formula delle diluizioni

c1v1 = c2v2 → Aa = Bb

dove le lettere maiuscole corrispondono ai grammi di alcol a 96°(A) e la quantità in grammi di alcol

diluito(B), e le lettere minuscole sono le percentuali ponderali(ovvero la percentuale peso/peso). Le

percentuali ponderali si trovano in farmacopea, dove ci sono le tabelle alcolimetriche, nelle tabelle

alcolimetriche ci sono: grado alcolico (% volumica) | % p/p | ρ20

Per l'alcool a 96° la % peso/peso è 93,84.

Preparazioni liquide a base di alcool

Gli alcoliti si ottengono per dissoluzione diretta di sostanze in etanolo, e sono soluzioni. Possono

essere

salini

zuccherini, che si chiamano elisir

ammoniacali che si chiamano balsami.

Il nome tra alcoliti e alcolati, la diversità è nella tecnica di preparazione. Gli alcolati , invece, si

ottengono per macerazione e per distillazione di droghe fresche o secche( grado alcolico circa 80°).

Gli alcolaturi sono prodotti per macerazione di droghe fresche in un alcool 80-90°. Sono

aromatizzanti.

Nell'ambito delle preparazioni a base alcolica ci sono anche le forme farmaceutiche estrattive;

sono classificate secondo varie caratteristiche, ma fondamentalmente sono classificati in base al tipo

di processo per estrarre la droga. Diversi tipi di:

1) per infusione(o tisana)

2) per decozione

3) per digestione

4) per macerazione

5) per percolazione

Una delle tecniche estrattive è l'infusione, la cui forma farmaceutica si chiama infuso o tisana ed è

quando non si ha solo una pianta ma una miscela di piante da estrarre. La differenza tra infusi e

decotti è che nell'infuso si porta l'acqua ad ebollizione e poi si aggiunge la droga da estrarre(come

con il thè), mentre nel decotto la pianta da estrarre si mette in acqua e si fa bollire insieme all'acqua.

Un'altra tecnica che si può utilizzare è la digestione, cioè il trattamento della droga con acqua calda

ma a una temperatura inferiore alla temperatura di ebollizione dell'acqua(mentre gli infusi e i

decotti si ottengono con acqua portata alla temperatura di ebollizione). Le due tecniche complesse

sono la macerazione e la percolazione: la macerazione è un “processo statico” nel senso che la

droga, o le droghe, da estrarre vengono messe a macerare in un solvente. La percolazione, invece, è

un “processo dinamico” perchè in realtà la droga(o le droghe) da macerare viene posta in una specie

di colonna cromatografica ed attraverso la droga viene fatto passare in continuo solvente fresco;

quindi la macerazione è “statica” perchè ad un certo livello il solvente satura e non può estrarre

mentre nella percolazione si può arrivare all’esaurimento della droga, cioè all'estrazione completa

di tutti i principi attivi della droga di partenza.

Con la tecnica di macerazione si ottengono le tinture, che sono delle forme farmaceutiche estrattive,

con la percolazione di ottengono le tinture e gli estratti(fluidi, molli e secchi). Le tinture possono

essere classificate in base al solvente con cui viene effettuata l'estrazione: nella maggior parte dei

casi sono delle tinture alcoliche, perchè si utilizzano miscele idroalcoliche con una graduazione

media intorno ai 60-70°. possono essere anche classificate in base alla composizione; quindi si

possono avere delle tinture semplici o tinture composte. La classificazione più utile è quella relativa

alla droga di partenza: tinture eroiche e tinture non eroiche .Si chiama tintura eroica se si ottiene

da una droga eroica, ovvero quelle droghe in cui i principi attivi hanno un ristretto intervallo

terapeutico(digitale). Quello che cambia è il grado di diluizione rispetto alla droga di partenza.

Nelle tinture eroiche, il principio attivo è diluito 1 a 10 rispetto alla droga di partenza, mentre nelle

tinture non eroiche il principio attivo è diluito 1 a 5 rispetto alla droga di partenza.

Un'altra classificazione che può essere fatta è in base alla tecnica di preparazione e quindi per

macerazione e per percolazione. Come si sceglie la tecnica: per esempio una tintura composta,

ovvero che si realizza da una miscela di droghe diverse, non può essere fatta per percolazione

perchè non tutte le droghe hanno la capacità di estrazione dei principi attivi e quindi nel percolatore

si hanno delle droghe con una maggiore capacità di estrazione e altre no(e quindi si preparano per

macerazione). La scelta della tecnica dipende anche dalla natura della parte della droga da estrarre:

per esempio se si ha una corteccia è intuitivo che si utilizza la macerazione. Quando delle droghe da

estrarre sono delle resine o comunque delle parti di piante che in acqua rigonfiano(danno delle

mucillagini, per esempio) non si può utilizzare la percolazione perchè si bloccherebbe il processo

estrattivo.

La definizione di tintura, secondo farmacopea: le tinture sono delle preparazioni liquide ottenute

generalmente usando una parte di droga vegetale o materiali animali(essiccati) e dieci parti di

solvente di estrazione o una parte di droga vegetale o materiale di origine animale e cinque parti di

solvente di estrazione. I saggi sono: a) la densità relativa, b) il contenuto in etanolo(ovvero il grado

alcolico e per le tinture deve essere fatto prima della distillazione), c) metanolo e 2-propanolo,

ovvero la loro ricerca perchè sono due alcool tossici che devono essere sempre assenti dalle

preparazioni per uso farmaceutico. Le tinture sono più diluite rispetto alla droga di partenza in

principio attivo(o 1 a 10 o 1 a 5).

Gli estratti sono realizzati a partire da una tecnica diversa: cioè c'è una fase estrattiva, che

generalmente viene eseguita per percolazione, e una fase successiva di concentrazione, che deve

essere rapida, a pressione ridotta e a una temperatura che non deve superare mai i 60°C. Quindi le

tinture derivano da un processo di estrazione e sono sempre più diluite in principio attivo rispetto

alla droga di partenza, gli estratti sono preparati attraverso una tecnica di estrazione e una

successiva fase, però, di concentrazione. Gli estratti sono preparazioni di consistenza liquida

(estratti madri e tinture), semisolida( estratti madri e olio resine) o solida( estratti secchi), ottenute

da droghe vegetali o da materiali di origine animale generalmente allo stato essiccato.

I concentratori a vuoto , sono anch'essi presenti nella tabella 6 della farmacopea con la nota” solo

per farmacie che preparano estratti”. In base a quanto si rimuove il solvente usato per l'estrazione, si

hanno 3 tipi di estratti: estratti fluidi, molli e secchi. Cambia la consistenza e cambia soprattutto la

concentrazione del principio attivo; l'estratto fluido è liquido ed ha la stessa concentrazione di

principio attivo della droga di partenza. Gli estratti molli e gli estratti secchi sono più concentrati in

principio attivo rispetto alla droga di partenza. Generalmente gli estratti molli sono due volte

concentrati rispetto alla droga di partenza, negli estratti secchi la concentrazione di principio attivo

è 6 volte maggiore rispetto alla droga di partenza. L'estratto secco ha la consistenza di una polvere

mentre l'estratto molle ha la consistenza semisolida.

Anche per gli estratti fluidi e molli ma non secchi, i controlli sono il grado alcolico e il metanolo e il

2-propanolo. Poiché gli estratti,soprattutto quelli fluidi, vengono utilizzati generalmente per essere

diluiti e per realizzare altre preparazioni bisogna valutare quelle che sono le incompatibilità:

innanzitutto se si deve diluire l'estratto fluido in acqua, si deve considerare che si possono essere

delle sostanze poco solubili in H2O e che potrebbero precipitare diluendo. Così come con l'elevata

presenza di tannini nelle forme farmaceutiche estrattive potrebbe causare la precipitazione di alcuni

principi attivi(come per esempio gli alcaloidi); infatti, generalmente, si acquistano degli estratti

fluidi de-tannizzati, che servono a preparare le relative tinture perchè, a parte il processo estrattivo,

un'altro modo per ottenere una tintura è tramite la diluizione dell'estratto fluido( perchè ha la stessa

concentrazione in principio attivo della droga di partenza). Gli estratti liquidi sono preparazioni

nelle quali, in generale, una parte in massa o in volume è equivalente ad una parte in massa della

droga vegetale o del materiale di origine animale essiccati. Gli estratti molli sono preparazioni

semisolide ottenute per evaporazione o parziale evapora del solvente usato per l'estrazione. Gli

estratti secchi sono preparazioni ottenute per evaporazione del solvente usato per la loro

preparazione.

Da notare che nei saggi sia degli estratti molli che di quelli secchi non c'è più la determinazione del

grado alcolico e del metanolo e del 2-propanolo, ma soltanto la determinazione del residuo secco e

in questo caso la perdita all'essiccamento; nell'estratto molle c'è scritto, infatti, che hanno un residuo

secco non inferiore al 70% peso/peso.

Sono stati reintrodotti, in farmacopea, gli infusi e i decotti. Gli infusi sono preparazioni liquide

ottenute, estemporaneamente, versando sulle droghe, ridotte ad un grado di suddivisione e delle

quali si vogliono estrarre i principi attivi, acqua R alla temperatura di ebollizione e lasciando poi in

contatto con l'acqua stessa per un tempo più o meno lungo. I decotti sono preparazioni liquide

ottenute estemporaneamente facendo bollire in acqua le droghe opportunatamente polverizzate,

dalle quali si vogliono estrarre i principi attivi. In farmacia si può tenere soltanto alcool etilico a

96°, solo in bottiglie da 2l; in farmacia è possibile tenere fino ad un massimo di 50l di etanolo a 96°

in bottiglie da 2l. Se fosse necessario una quantità superiore a 50l è obbligatorio in farmacia un

registro di carico/scarico dell'alcool etilico. Si può tenere una sola bottiglia aperta per volta,dove per

aperta si intende la fascetta rosa dell'UTIF (ufficio delle imposte) rotta (quindi non è necessario che

la bottiglia sia aperta, ma se la fascetta è rotta la bottiglia si considera aperta).

Non è possibile tenere in farmacia alcol diluiti pronti, ma devono essere preparati

estemporaneamente: questo perchè sull'alcool c'è una tassa governativa, l'alcool a 96° non si può

utilizzare come sostanza da abuso mentre gli alcool diluiti possono essere utilizzati per preparare

liquori, profumi sui quali non ci sarebbe la tassa di imposta. Si può tenere, quindi, solo l'alcol a 96°

oppure l'alcol a graduazione più bassa, ovvero l'acool “rosa” che è alcool denaturato che ha una

graduazione in genere di circa 60°, che si chiama denaturato per aggiunta di colorante e di sostanze

che rendono impossibile l'uso alimentare o per uso cosmetico.

In farmacopea, sulla parte delle monografie specifiche sono riportati alcuni esempi di tinture e di

estratti: in realtà l'unica tintura ancora prescritta in farmacopea è la tintura di Ratania. La

monografia dice quale è la parte della pianta che si utilizza(la radice) e dice anche quale è la

percentuale di tannini presenti e indica la preparazione(dalla droga polverizzata 710 per trattamento

con alcool a 70° impiegando un metodo appropriato secondo le prescrizioni della monografia

tinture). 710 è l'indicazione granulometrica della polvere, in particolare 710 fa riferimento alla

maglia che ha un'apertura di 710 μm e deve essere omogenea(oltre il 96% della polvere è passata

dal molino 710) e lo deve essere perchè essendo un processo estrattivo le dimensioni devono essere

più piccole possibili; con una dispersione di dimensioni ampia si avrà una capacità estrattiva diversa

perchè cambia la superficie specifica.

Un esempio di estratto fluido è la Genzian: viene detta quale parte della pianta utilizzare(la radice),

la droga polverizzata è 1000 per trattamento con alcol 1 40°. Il grado alcolico si sceglie in base alla

solubilità del principio attivo, se basta alcol 30°, i principi attivi della genziana saranno più

idrosolubili, e quindi dipende dalla solubilità delle sostanze da portare in soluzione. Il rapporto,

nella genziana, della droga estratta è 1 a 1. Un altro esempio è l'estratto secco di Camomilla, la cui

droga sono i fiori, si utilizza alcol a 70°(con un metodo appropriato) operando una sgrassatura dei

percolati parzialmente concentrati: evidentemente perchè il processo di estrazione porta in

soluzione dei principi attivi che non si vogliono nell'estratto secco e quindi vengono eliminati prima

della concentrazione. Nei caratteri della polvere viene specificato che è una polvere amorfa

idroscopica(che assorbe facilmente umidità); questo tipo di indicazione serve per dare delle

considerazioni sulle modalità di conservazione della polvere. In etichetta, la farmacopea dice che

dovrà essere indicato il solvente usato per la sgrassatura, di cui non deve rimanere traccia nella

preparazione finale ma comunque in etichetta deve essere modificato.

Le droghe vegetali che si utilizzano in farmacia devono rispondere a dei requisiti precisi in

farmacopea, ovvero un farmacista deve comprare solo droghe vegetali FU, ovvero che rispondano a

dei requisiti di una precisa monografia,nel capitolo delle monografie generali, che si trova in

farmacopea. Sempre nel capitolo delle monografie generali c'è una monografia anche per le piante

per tisane; quindi la miscela per tisane preparata in farmacia è preparata con piante che rispondono

a dei requisiti precisi di farmacopea, e anche la semplice suddivisione dalla confezione grande alle

singole confezioni deve essere fatta utilizzando gli stessi criteri delle norme di buona preparazione

per preparare i galenici. Quindi la vendita in farmacia garantisce che le piante rispondono ai

requisiti della farmacopea ufficiale e che anche la ripartizione è fatta secondo le norme di buona

preparazione dei medicinali.

Gli oli grassi vegetali sono sostanzialmente degli eccipienti particolarmente importante perchè si

utilizzano per le formulazioni di tipo parenterale, cioè per le forme farmaceutiche iniettabili. Gli oli

grassi vegetali sono principalmente dei trigliceridi di acidi grassi in fase solida o liquida. Per

trigliceridi di acidi grassi si tratta di glicerolo i cui -OH sono esterificati con acidi grassi a lunga

catena; il glicerolo è un polialcool con tre funzioni alcoliche e si chiama 1,2,3 propantriolo. La

farmacopea, inoltre, dice da quale fonte si ottengono(semi, frutto o nocciola/drupa/nucleo). Si

possono avere secondo farmacopea:

olio vergine: olio ottenuto dalla materia prima di qualità speciale mediante procedure

meccaniche; questa è la caratteristica dell'olio di oliva. La differenza tra l'olio vergine e l'olio

extravergine è invece legata all'acidità dell'olio.

Olio raffinato: olio ottenuto mediante spremitura e/o estrazioni con solvente e successiva

raffinazione, in quanto il solvente estrae anche del materiale che non interessa e quindi

questo materiale deve essere allontanato.

Olio idrogenato: negli oli, essendo presenti dei doppi legami, il processo di idrogenazione

porta ad un dio che sia completamente saturo(quindi senza doppi legami). Nelle

preparazioni per uso parenterale sono usate solo oli raffinati con acido fosforico e alcali.

Le forme farmaceutiche parenterali sono quello forme farmaceutiche che non presentano il

passaggio attraverso il tratto gastrointestinale; all'interno delle forme farmaceutiche parenterali ci

sono le intravascolari( per cui sono previsti i veicoli oleosi), le endovenose, le intravenose, le

intradermiche. Per raffinazione si intende l'eliminazione delle impurezze e dei contaminanti

preservando il più possibile i trigliceridi(quindi i componenti essenziali dell'olio) e riducendo al

minimo la perdita di olio. Le sostanze allontanate per raffinazione sono:

acidi grassi liberi che possono essere facilmente ossidati, perchè gli acidi grassi esterificati

subiscono meno il processo di ossidazione;

l'acqua;

coloranti, come la clorofilla e i carotenoidi;

i metalli;

le proteine che possono provocane reazioni allergiche;

la frazione in saponificabile, cioè tutte le sostanze(lignine,steroli) che non possono essere

saponificate cioè sostanze che non subiscono idrolisi(in presenza di una base forte) che è il

processo che scinde i trigliceridi in glicerolo e acidi grassi.

In etichetta deve essere riportato:

– se l'olio è ottenuto mediante spremitura o estrazione;

– se l'olio è appropriato per le preparazioni di forme farmaceutiche per uso orale;

– il nome e la concentrazione di ogni antiossidante aggiunto (questo perchè gli oli subiscono il

processo di irrancidimento, che è una reazione di ossidazione con meccanismo radicalico in

cui l'O2 viene trasformato dalla luce in ossigeno tripletto, specie ad elevata energia, che

catalizza l'addizione radicalica di O2 alle catene degli acidi grassi con la formazione di

perossidi(stadio di propagazione)e nella fase di terminazione si hanno i prodotti finali come

chetoni e aldeidi; questi sono nella maggior parte dei casi i responsabili dell'odore

sgradevole.

Per alcuni oli a questa fase terminale del processo di irrancidimento si aggiunge una fase in cui le

aldeidi e i chetoni finali, polimerizzano e quindi l'olio non prende più la consistenza liquida ma

solida(cioè sono quelli utilizzati per dipingere) e sono detti oli siccativi. Gli oli saturi e i grassi

idrogenati perchè sono più stabili, in quanto in assenza di doppi legami è chiaro che l'ossigeno non

reagisce. Inoltre, il processo di irrancidimento è catalizzato dalla presenza di metalli; è per questo

che sostanze facilmente ossidabili sono conservati in contenitori di vetro scuri, in assenza di

ossigeno e, oltre agli antiossidanti classici che sono delle sostanze che si ossidano al posto dell'olio,

si aggiungono anche dei chelanti dei metalli (EDTA), che eliminano così i catalizzatori.

Alle forme farmaceutiche estrattive si ricollega l’omeopatia. I due principi sulla quale si basa

l'omeopatia sono:

1) il principio dell’analogia , ovvero l'agente che sull'uomo sano genera la malattia,sull'uomo

malato la cura;

2) principio delle diluizioni, dove il simile cura il simile se diluito in dosi infinitesimali;

L'Omeopatia è un metodo ideato da un metodo tedesco, Sanuel Hahnemann, alla fine del 18°

secolo. Le materie prime delle preparazioni omeopatiche sono quasi sempre di derivazione

vegetale(e a differenza della medicina tradizionale utilizza sempre la droga fresca raccolta nel

periodo balsamico della pianta ovvero nel periodo in cui la pianta è alla massima crescita), oppure

possono essere di derivazione animale(o animali interi vivi che sono estratti in soluzioni

idroalcoliche o animali essiccati), che in Italia sono vietati in quanto partono da polveri di organo o

di veleno. Le preparazioni base che sono tipiche nell'omeopatia sono: le tinture madri, i

macerati glicerici o gemmo derivati e le triturazioni.

Le tinture madri sono preparate in base ai requisiti della farmacopea tedesca(in quanto in

Germania c'è una doppia farmacopea) o in base alla farmacopea francese: sia in Francia che in

Germania l'omeopatia è riconosciuta nel sistema sanitario nazionale e in particolare in Germania ci

sono degli ospedali e ristretti medici in cui si utilizzano solo ed esclusivamente i prodotti

omeopatici. I gemmoderivati o macerati gliceridi sono ottenuti per macerazione in acqua, alcool e

glicerina e la caratteristica è che sono realizzati a partire dalla parte della pianta in crescita( le

gemme, le radici giovani o i semi). Le triturazioni sono preparazioni solide che si ottengono per

diluizione di polvere in lattosio. Nell'omeopatia ci sono due diluizioni diverse: quella decimale e

quella centesimale. Le triturazioni quindi possono essere preparate o diluendo una parte di materiale

di partenza in 9 parti di lattosio, oppure diluendo una parte di materiale di partenza in 99 parti di

lattosio. Le triturazioni non vengono utilizzate come forme farmaceutiche ma vengono utilizzate per

preparare le successive diluizioni. Le differenze tra la tintura FU e la tintura madre

Tintura FU Tinture madri

1:5, 1:10 10%(1:10)

pianta secca pianta fresca

macerazione,percolazione solo per macerazione

decozione,infusione,digestione

Le tinture madri sono utilizzate in quanto tale nella medicina omeopatica, ma sono poco utilizzate

se non per preparare le diluizioni. Le diluizioni possono essere preparate secondo 2 tecniche:

1) diluizioni Hahnemanniane, o per flaconi separati

2) diluizioni Korsakoviane o per flacone unico

Nelle diluzioni hahnemanniane,

le diluizioni sono

decimali(indicate con D o DH)

o centesimali(indicate con C o

CH). La prima diluizione,sia

quella decimale che quella

centesimale, viene fatta a peso.

Tutte le diluizioni successive

vengono fatte a volume. Già dalla terza diluizione, il contenuto in grammi della droga di partenza è

uno su un milione.

aumento

potenza

terapeutica

D1 10-1

D2 C1 10-2

D3 10-3

D4 C2 10-4

D5 10-5

D6 C3 10-6

Nelle diluizioni korsacoviane, indicate con la lettera K, invece si eseguono le diluizioni in un

flacone unico, ovvero si esegue la diluizione, si dinamizza poi si butta una frazione e poi si

aggiunge solvente nello stesso flacone. Ci sono poi le potenze cinquatesimali, dal n° latino

LM,che sono preparati a partire da un solido alla terza centesimale(solido diluito con lattosio) e poi

si prepara una soluzione 1 a 50000. Le diluizioni sono preparate generalmente in alcool a 30°.

Le forme farmaceutiche della terapia omeopatica sono:

compresse,fiale orali,suppositori,colliri,pomati,gocce → forme farmaceutiche comuni

sciroppo,granuli,globuli → tipiche della terapia omeopatica

In Italia, le preparazioni omeopatiche iniettabili sono vietate, i granuli e i globuli sono delle sfere di

saccarosio o di lattosio, i granuli sono più grandi mentre i globuli sono più piccoli(ed in genere

assunti come dose unica, ed infatti vengono chiamate anche dose globuli). Solitamente 20 granuli

sono 1 g, mentre 200 globuli sono 1g di preparazione. La tecnica di preparazione che si usa è la

tecnica dell’impregnazione, cioè i granuli vengono bagnati con la diluizione

richiesta(generalemente 5g di globuli con 32 gocce ovvero 0,5 ml) e vengono poi fatti essiccare.

Questo è un motivo per cui, globuli e granuli, non possono essere toccati con le mani. Nella terapia

omeopatica vengono assunti, per via orale, direttamente dal tubetto e posti sotto la lingua senza

toccarli, perchè sono impregnati superficialmente.

Secondo la farmacopea, le preparazioni omeopatiche sono ottenute da sostanze,prodotti o

preparazioni chiamati”materiale di partenza”, in accordo con un procedimento di produzione

omeopatico. Si nota che la definizione è data dalla materia di partenza e dalla tecnica di

preparazione (al contrario del medicinale che aveva la definizione per funzione e presentazione).

Sulle preparazioni omeopatiche, infatti, non è indicata l'indicazione terapeutica. I materiali di

partenza sono le tinture madri e il macerato glicerico.

Preparazioni nasali

Sempre nell'ambito delle forme farmaceutiche specifiche ci sono le preparazioni nasali , ovvero

preparazioni che servono e che vengono instillate nella cavità nasale e possono essere utilizzate sia

per avere un effetto locale sia per avere un effetto sistemico. Nella definizione di farmacopea, sono

preparazioni liquide,semisolide o solido da somministrare nelle cavità nasali per ottenere un effetto

sistemico o locale. Contengono uno o più principi attivi. Le preparazioni nasali, sono, per quanto

possibile non irritanti e non esercitano alcun effetto indesiderato sulle funzioni della mucosa nasale

e delle sue ciglia. Quindi non devono interagire con le mucose nasali e con la clearance mucociliare.

Le preparazioni per uso nasale, possono essere multidose o a dose unica e, se necessario, devono

essere dispensate insieme a un dispositivo di somministrazione,costituito in modo da evitare

l'introduzione di contaminanti. Si possono distinguere varie categorie di preparazioni nasali:

gocce nasali e spray nasali liquidi:sono quelli di uso comune

polveri nasali

preparazioni semisolide nasali

lavaggi nasali

bastoncini nasali

Nel caso che le preparazioni nasali siano a dose unica è il saggio obbligatorio è l'uniformità di

massa e l'uniformità di contenuto, che si eseguiranno in maniera diversa rispetto a quello per le

forme farmaceutiche solide unidose. In questo caso si pesa il contenuto dei singoli

contenitori,vuotati il più quantitativamente possibile e per determinare la massa media: quindi 10

contenitori si svuotano, si pesa il contenuto(non il contenitore) e si ricava la massa media dei

contenuti. Non più di due delle singole masse possono presentare uno scarto superiore al 10%,

nessuna uno scarto maggiore del 20%. Un saggio simile viene fatto sugli spray nasali, per quelli che

hanno la valvola dosatrice, cioè che per ogni singolo spruzzo erogano una dose fissa di farmaco.

Infatti, per questi spray nasali è previsto il saggio di uniformità di dose erogata.

Le polveri nasali devono rispettare le specifiche(dice la farmacopea) delle polveri per applicazione

cutanea ed inoltre la farmacopea dà indicazione sulle dimensioni delle particelle, cioè devono essere

tali da permettere la loro deposizione nella cavità nasale. La deposizione nella cavità nasali presenta

diverse serie di problemi: innanzitutto la via nasale ha la presenza della clearance mucocigliare,e

quindi l'utilizzo di forme farmaceutiche nasali per somministrazione locali è abbastanza diffuso ma

quello che è più complicato da ottenere è una forma farmaceutica nasale per uso sistemico. La

forma farmaceutica nasale è una forma farmaceutica che sicuramente ha una maggiore accettabilità

del paziente(rispetto all'ago) però c'è anche un fortissimo problema legato alle condizioni di salute,

ovvero mentre l'assorbimento attraverso l'ago garantisce una costanza di dose, la via di

somministrazione nasale no, perchè per esempio,raffreddore,allergia modificano in maniera

sostanziale l'assorbimento del principio attivo. Ci sono molti studi sulle polveri per via inalatoria

per via sistemica ma di fatto sul mercato le uniche forme farmaceutiche per uso nasale sono quelle

per uso topico(per il raffreddore o il sanguinamento del naso,etc.).

Ci sono, tra le preparazioni farmaceutiche specifiche alcune preparazioni galeniche(di gocce nasali)

in cui la più famosa è il protargolo,cioè l'argento proteinato gocce nasali che viene utilizzato come

disinfettante. La farmacopea non dice come è preparato ma dice solo cosa contiene(argento

proteinato in acqua depurata) e per come si prepara si fa riferimento al vecchio formulario;inoltre

dice quale deve essere il contenuto in argento(che è la sostanza che esplica l'azione antisettica e

astringente) e dice quali sono le concentrazioni che si possono preparare, in quanto è un galenico

officinale e quindi tenuto in farmacia, ovvero 0,5 per uso pediatrico, l'1 o 2% e queste sono le

concentrazioni che si possono tenere già preparate in farmacia. Parlando della terapia inalatoria, ci

sono problemi sui dispositivi inalatori. I dispositivi inalatori sono distinti in:

– pressurizzati (pressurized metered-dose inhalers o MDI)

– non pressurizzati o nebulizzatori.

Nell'ambito dei sistemi per la terapia inalatoria, oltre ai sistemi pressurizzati e ai nebulizzatori, ci

sono anche i sistemi erogatori di polveri (PI), perchè i sistemi pressurizzati erogano soluzioni.

Quali sono i parametri che devono essere tenuti presenti nel realizzare un sistema per la

terapia inalatoria:innanzitutto si deve considerare quali sono le modalità con cui una particella,

introdotta nell'albero respiratorio, si muove in questo. Nelle prime vie aeree, in cui c'è un regime di

moto vorticoso, le particelle si muovono per impatto inerziale ovvero vengono spostate dal vortice

di aria respirata, si muovono poi per deposito gravitazionale, e questo dipende dal fatto che si riduce

il diametro delle vie aeree e che si riduce il flusso di aria nelle basse vie aeree ed infine la

diffusione, perchè nella parte terminale dell'albero respiratorio(cioè nei bronchioli e negli alveoli)

c'è un'assenza di flusso di aria e quindi le particelle che riescono ad arrivare in questa parte

dell'albero respiratorio si muovono solo per diffusione.

Quindi riassumendo la cinetica dell’aerosol:

1) impatto iniziale: prime vie aeree che per la loro struttura creano un regime fortemente

vorticoso

2) deposito gravitazionale: per progressiva riduzione di:

- particelle

- flusso

- diametro delle vie aeree

3) diffusione dell'aerosol: per l'assenza di flusso sui bronchioli preterminali e terminali.

Per realizzare una particella che arrivi nelle alte vie respiratorie o sulla basse vie respiratorie

bisogna tenere presente una serie di parametri che sono il diametro aerodinamico della particella e

diametro aerodinamico mediano di massa; sono due parametri diversi ma che devono essere

misurati e valutati nella preparazione di una particella che viene aerosolizzata o che comunque

viene formulata per essere inalata. Il diametro aerodinamico tiene conto della geometria della

particella: attraverso la densità della particella, fa in modo che ogni particella inalata può essere

assimilata ad una sfera. È definito come il diametro di una sfera g/cm3 con la stessa velocità delle

particelle sotto l'azione della forza di gravità in aria calma, nelle stesse condizioni di

temperatura,pressione e umidità relativa. È quindi diametro geometrico della particella per densità

della particella. In questo modo si assimilano tutte le particelle a delle sfere. Il diametro

aerodinamico mediano di massa è la misura del diametro medio del 50% della frazione che si è

aerosolizzato cioè il valore che divide a metà la popolazione delle particelle che devono essere

somministrate. Quindi il diametro aerodinamico è una dimensione della particella(ovvero che

assimila una particella ad una sfera), mentre il diametro aerodinamico mediano di massa dice la

dimensione che divide a metà la popolazione cioè un diametro aerodinamico al di là del quale si

trova il 50% della popolazione delle particelle aerosolizzate.

Un altro parametro,molto importante,che dà un'indicazione sull'omogeneità della dispersione che si

realizza è la deviazione geometrica standard (GSD);differenzia sostanzialmente gli aerosol in due

classi: monodispersi e etero dispersi. I monodispersi classificano gli aerosol che hanno una

deviazione geometrica standard inferiore a 1,22,mentre gli eterodispersi hanno una GDS superiore a

1,22. E' fondamentale nella quasi totalità dei casi,avere un sistema monodisperso perchè garantisce

l'omogeneità delle particelle e quindi garantisce l'uniformità di dose.

Frazione

Di particelle

penetranti

Le particelle possono essere distinte in:

– frazione respirabile;

– frazione toracica;

– frazione inalabile.

La frazione inalabile,che corrisponde alle particelle più grandi, è quella che viene inalata attraverso

il naso e la bocca e quindi si deposita sostanzialmente nel primo tratto dell'albero respiratorio. La

frazione respirabile è la frazione che raggiunge gli alveoli polmonari,ovvero dove avviene lo

scambio gassoso. Quando si realizza una forma farmaceutica inalatoria, i principi attivi che si

possono veicolare sono:

se il target sono le alte vie respiratorie, si realizzano questo tipo di forme

farmaceutiche per quei principi attivi che hanno un'azione

locale(broncodilatatori,glucocorticoidi come antiinfiammatori e sostanze antinfettive).

Se il target sono le basse vie respiratorie, la forma farmaceutica è fatta per avere un

effetto sistemico e possono essere degli anestetici generali con tensioattivi polmonari nei

bambini prematuri, o per la terapia genica.

I sistemi utilizzati per realizzare queste forme farmaceutiche si dividono in pressurizzati e non

pressurizzati. I sistemi pressurizzati sono caratterizzati dal fatto che l'espulsione della forma

farmaceutica dal contenitore dipende all'azione di un gas compresso e liquefatto presente nel

contenitore stesso. Quindi gli spray per uso farmaceutico pressurizzati implicano la presenza di un

gas propellente o compresso o liquefatto. Sono utilizzati per applicazioni topiche e hanno il

vantaggio di avere un'elevata accettabilità da parte del paziente e soprattutto,se si utilizzano per la

protezione delle ferite o come antibatterici il farmaco non è suscettibile alla contaminazione. Gli

spray possono essere formulati anche per applicazioni orali e sublinguali, per applicazioni vaginali

o rettali e per applicazioni nasali. Ci sono anche dei farmaci per uso sistemico, ma che in Italia non

sono commercializzati, per la nicotina e la vasopressina. I componenti delle forme farmaceutiche

pressurizzate sono:

– propellente

– contenitore

– principio attivo ed eccipienti(soluzioni,emulsioni,sospensioni)

– valvola e tasto di erogazione.

Le valvole erogatrici possono essere di due tipi: a) una valvola continua(e vuol dire che il prodotto

viene erogato finchè viene tenuto premuto) e b) le valvole pre-dosate(che comunque alla pressione

segue l'emissione di una dose fissa). Uno dei problemi principali legati alle forme farmaceutiche

spray per uso inalatorio è la non capacità degli utilizzatori nel maneggiare i dispenser. Gli errori

che si fanno più frequentemente nell'uso di sistemi pressurizzati:

– il 54% dimentica di scuotere lo spray prima dell'uso;

– il 66% dimentica di espirare prima di erogare;

– il 58% ha problemi di coordinamento tra l'erogazione e l'aspirazione;

– il 68% inala troppo rapidamente.

Per ovviare a molti degli inconvenienti legati agli erogatori pressurizzati, sono stati realizzati degli

inalatori a polvere secca. Questi inalatori sono attivati direttamente dal respiro del paziente e

quindi non c'è bisogno della coordinazione pressione e respiro, e questo è il vantaggio principale,di

tipo ecologico, perchè non richiede la presenza di gas propellente e quindi meno inquinante ma ha

una serie di inconvenienti. Un inconveniente di tipo tecnologico cioè che non è adatto alle polveri

che sono igroscopiche perchè si aggregano e quindi cambia il diametro aerodinamico mediano di

massa(DAMM), che è il parametro che fa valutare l'altezza del tratto respiratorio in cui si

depositeranno le particelle. Da parte dell'accettabilità del paziente, invece, c'è il fatto che sostanze

che abbiano un odore o un sapore sgradevole restano comunque più in bocca come polvere secca

che lo spray.

Nei sistemi di erogazione delle polveri ci sono delle differenze: in alcuni, il farmaco è presente

come polveri e non dosate e viene dosata dall'apparecchio inalatore al momento dell'utilizzo,

azionando una leva, ma nella maggior parte, invece, di questi inalatori la quantità di polvere da

erogare è predosata(o sottoforma id capsule o in compresse). I nebulizzatori si dividono in:

nebulizzatori a membrana;

nebulizzatori a ultrasuoni;

nebulizzatori a pistone.

I nebulizzatori a membrana (o comunemente aerosol) sono gli strumenti più economici, che però

hanno lo svantaggio di dare un flusso non sufficiente e non costante nel tempo e di avere tempi di

nebulizzazione lunghi. Però riescono a dare una micronizzazione elevata, ovvero diminuendo la

dimensione delle particelle,aumenta la frazione di particelle che arrivano alle vie aeree basse, ma il

flusso non è costante nel tempo e quindi non c'è una garanzia della dose erogata. Viene chiamato a

membrana, perchè la pompa che si attiva per attivare il processo di nebulizzazione è la membrana e

il fluido viene forzato da una pompa nella camera di nebulizzazione.

I nebulizzatori ad ultrasuoni, non fanno rumore, sono rapidissimi in quanto la nebulizzazione dura

al massimo 5-6 minuti(contro la mezz'ora del nebulizzatore a membrana);la nebulizzazione viene

ottenuta sfruttando gli ultrasuoni tramite la vibrazione della testina piezoelettrica. Gli svantaggi

sono dovuti agli ultrasuoni che scaldano la soluzione del farmaco e quindi ci può essere

denaturazione del farmaco o addirittura una denaturazione della struttura molecolare del principio

attivo ed inoltre c'è una difficoltà di pulizia e di sterilizzazione della testina.

I nebulizzatori a pistone in cui la pressione esercitata per nebulizzare è ottenuta da una pompa a

pistone. Anche questi hanno un tempo di erogazione veloce, perchè è di circa 5 minuti e hanno le

dimensioni delle particelle che garantiscono che una larga parte che viene nebulizzata arriva nelle

basse vie aeree(il DAMM con soluzione fisiologica è inferiore a 2 micron e circa il 95% delle

particelle nebulizzate presentano 5 micron).

Tensione superficiale

La tensione superficiale è un fenomeno che considera una fase liquida e l'aria e in particolare i

fenomeni che avvengono all'interfaccia cioè alla superficie di separazione tra due fasi non

omogenee. Quindi la tensione superficiale è un fenomeno interfacciale e quindi avviene

all'interfaccia liquido-aria. Quindi si considera l'interfaccia,cioè la superficie di separazione tra il

liquido e l'aria. Si devono considerare quali sono le forze in gioco che determinano la presenza della

tensione superficiale. Le forze sono:

– forze coesive, si intendono le forze tra molecole uguali;

– forze adesive, le forze che si esercitano tra molecole di fasi diverse.

Se si considera un bicchiere d'acqua, le molecole che si trovano all'interno della massa dell'acqua

saranno soggette solo a forze tra molecole uguali(cioè a forze coesive) che saranno uguali in tutte le

direzioni. Le molecole, invece, che si trovano all'interfaccia sono soggette a forze di coesione,cioè

le molecole uguali e a forze adesive con l'aria che sono, nel caso specifico dell'acqua, molto minori

rispetto alle forze di coesione tra le molecole di acqua

Il risultato delle molecole che sono all'interfaccia è che tendono ad essere tirate verso l'interno;

questo però non è un fenomeno che avviene contemporaneamente allo stesso modo per tutte le

molecole all'interfaccia e quindi il risultato non è una pressione(e quindi non c'è una superficie e

una forza che agisce perpendicolarmente) ma una tensione. Se si considera che una molecola ogni

tot viene tirata verso l'interno il risultato è una contrazione della superficie di contatto per ridurre

il contenuto energetico del sistema.

La tensione superficiale si definisce come la tendenza che un liquido ha a contrarre la sua

superficie messa in contatto con l'aria. La direzione della tensione superficiale è tangente alla

superficie. Più sono alte le forze coesive maggiore sarà la tensione superficiale del liquido: il

liquido che ha la più alta tensione superficiale è il mercurio in quanto ha delle forze coesive di tipo

ionico e quindi sono dei legami estremamente forti. La forma della sfera che assume il liquido ha

un'elevata tensione superficiale è legata al fatto che a parità di volume,la sfera è il solido che ha la

minore superficie specifica, perchè non avendo gli spigoli è la forma che energeticamente ha la

minore superficie di contatto con l'aria(a parità di volume). Le dimensioni fisiche della tensione

superficiale sono definite considerando un'apparecchiatura, il telaio di Duprez; questo telaio è

costituito da 3 fissi e da un lato mobile in cui le dimensioni del lato sono note. Se si pone questo

telaio all'interno di un liquido e poi si estrae il telaio, si formerà un velo di liquido a contatto con

l'aria che si contrae e quindi sposta in basso il lato mobile del telaio.

Per riportare il telaio nella posizione di partenza si deve

applicare una forza. La forza che si deve applicare

dipenderà dalla tensione superficiale (γ) applicata sulla

lunghezza(l) del lato mobile. F = γ ∙ l → γ = F/l = dine/cm

, quindi γ è una forza su uno spostamento.

Se si vuole definire la tensione superficiale in termini

energetici e quindi si vuole considerare il lavoro fatto per

riportare il lato mobile nella condizione di partenza, bisogna

considerare l'area.

L = F ∙ dx → L = γ ∙l ∙ dx → γ = L / l ∙dx = erg/ cm2

anche se ha le dimensioni di una pressione, la tensione superficiale ha una direzione diversa perchè

è tangente alla superficie. Per esempio la tensione superficiale di varie sostanze è:

– Hg 476 dine/cm

– H2O 72,80 dine/cm

– etere etilico(sostanza volatile e quindi le forze di coesione sono estremamente basse) è 17,01

dine/cm.

La tensione interfacciale è la tensione che si genera all'interfaccia tra 2 liquidi diversi e immiscibili

mentre la tensione superficiale è la tensione liquido-aria e quindi la tendenza che il liquido ha a

contrarre la superficie di contatto con l'aria. Inoltre la tensione superficiale è dipendente dalla

temperatura, perchè all'aumentare della temperature aumenta l'energia cinetica delle molecole e

quindi le forze di coesione diminuiscono e quindi la tensione superficiale diminuisce.

Il concetto di tensione superficiale è legato a due caratteristiche: la bagnabilità e la spandibilità.

La bagnabilità si definisce come la tendenza di un solido ad essere bagnato da un liquido,e quindi

la bagnabilità è una caratteristica del solido. La bagnabilità si indica numericamente attraverso un

parametro, l' angolo di contatto (θ). Se si considerano le due situazioni estreme di bagnabilità

massima:

Il solido, quando è completamente bagnabile sarà coperto da un velo di liquido ed in questo caso θ

= 0. La condizione invece del solido che non è affatto bagnato dal liquido; si considera che un

solido non è bagnato dal liquido per un valore di θ > 90°. Come si misura l'angolo di contatto: se

si considera un solido ,si fa cadere su questo una goccia del liquido che si vuole bagnare. La goccia

si allargherà sul solido fino all'equilibrio

All'equilibrio, il punto triplo, perchè sono presenti tutte le fasi coinvolte (solido, aria e liquido) è

all'equilibrio. Nella rappresentazione grafica ce ne sono due ma nella realtà ce ne sono infiniti. Il

punto triplo è all'equilibrio quando le tensioni che agiscono su questo punto sono all'equilibrio:

quindi si considera la tensione superficiale del liquido ( γl ), che è tangente alla superficie, la

tensione interfacciale solido-liquido( γs/l ) e la tensione superficiale del solido(impropriamente

definita così perchè in realtà si chiama tensione superficiale critica e non è un valore reale, ovvero

non è un valore che descrive un fenomeno reale, perchè un solido a contatto con l'aria non contrae

la superficie). L'angolo di contatto è quello che si forma quando la goccia incontra il solido. Quindi,

il punto è all'equilibrio e le tensioni che agiscono su questo punto sono all'equilibrio. Poiché le

tensioni superficiale sono delle grandezze vettoriali, e quindi hanno un modulo, un verso e una

direzione, si può dire che γs e γs/l hanno una direzione uguale perchè agiscono sullo stesso piano

ma hanno il verso opposto, γl ha una direzione diversa,rispetto agli altri due vettori, perchè agisce

su un piano diverso. Per lavorare quindi con queste grandezze si deve scomporre il vettore γl nelle

due componenti che sono: γl sen θ e γl cos θ.

La componente γl sen θ della tensione superficiale è quella che cerca di alzare la goccia dal piano

del tavolo ed è,innanzitutto, vincolata dal tavolo e fondamentalmente bilanciata dalla forza peso e

quindi si può considerare nulla o meglio che non ha azione sull'equilibrio del punto. Il punto è

all'equilibrio quando:

γs = γs/l + γl cos θ → ovvero la componente di γl che agisce sullo stesso piano

La bagnabilità si esprime come cos θ.

Quindi la bagnabilità espressa come cos θ ( θ è l'angolo di contatto) dipende dalle tensioni che

agiscono nel sistema e per avere la bagnabilità massima, ovvero con θ = 0°. come bisogna operare

sull'equazione:bisogna tendere a un valore di coseno 1, che è il valore massimo che il coseno può

raggiungere. Quindi per aumentare la bagnabilità bisogna cercare di far arrivare questa equazione al

valore massimo.

γs è un numero ma non descrive un fenomeno, ma si può abbassare γl e abbassandola si abbassa

anche la tensione interfacciale solido-liquido e quindi γs/l aumenta: questo perchè abbassando

l'interfaccia solido-liquido e se al valore di γs, che è fisso, si sottrae un numero più piccolo aumenta.

Un buon valore di bagnabilità è indicato con θ intorno a 30°(il solido,quindi è bagnato bene).

La spandibilità , invece, riguarda un sistema costituito da due liquidi non miscibili tra loro; quindi

la bagnabilità è la proprietà di un solido di essere bagnata da un liquido, la spandibilità è la capacità

di un liquido di spandere su un altro liquido con il quale è miscibile. Se si considera un sistema

costituito da un parallelepipedo si olio con aria superficiale unitaria (1cm2)

Se si fa a metà, si distinguono due cubetti di olio e quindi generando, rispetto alla condizione

iniziale, due nuove superfici di contatto olio/aria. Se si deve considerare il lavoro fatto contro le

forze di coesione per separare i 2 cubetti olio bisognerà considerare la differenza dal punto di vista

energetico tra lo stato finale e quello iniziale. La tensione superficiale sarà:

γ = L / S dove il L = S ∙ γ

In questo caso la superficie è unitaria e quindi il lavoro che si fa sarà dato da

Lc = EII – EI = 2 γo – O → in questa condizione non si ha un contributo energetico poiché le

molecole sono in contatto solo tra loro. Se suppongo, invece, di avere un parallelepipedo costituito

da olio e acqua con superficie sempre unitaria e si separa anche questa in 2 cubetti

Il lavoro contro le forze di adesione sarà(La)

La = EII – EI = ( γa + γo) – γa/o

γa/o è la condizione di partenza ed in questo caso c'è la tensione perchè c'è una superficie di

contatto tra due liquidi non miscibili tra loro. Il COEFFICIENTE DI SPANDIBILITA'(S) sarà:

S = La – Lc dove La = lavoro contro le forze di adesione e

Lb = lavoro contro le forze di coesione

S = |( γa + γo) - γa/o | - 2 γo = γa – (γo + γa/o)

Bisogna però tendere a θ = 0 e quindi a cos θ = 1 e quindi la misura della bagnabilità è legata al

valore numerico dell'angolo. Come si fa a capire, avendo due liquidi immiscibili tra loro se è l'H2O

che spande sull'olio o è l'olio che spande sull'H2O? Si consideri la rappresentazione grafica del

fenomeno con una goccia di olio posta sull'acqua.

Quando la goccia di olio spande sull'acqua? Quando la somma γo + γa/o < γa, perchè γa trascina

la goccia di olio e fa in modo che spanda. Per valutare quale liquido spande sull'altro si deve partire

da un'ipotesi che si deve verificare presupponendo ciò: si dice che γa > γo + γa/o e quindi si

inseriscono i numeri. Se la relazione è confermata allora l'olio spande sull'acqua, se ciò non è vero è

l'acqua che spande sull'olio.

Metodo di Zisman: La tensione superficiale del solido non descrive un fenomeno fisico reale ma è

un valore che si determina per estrapolazione. Si costruisce un grafico( e si chiama metodo di

Zisman) in cui si bagna un solido con liquidi diversi, con γl diversi, bagneranno con angolo di

contatto diverso il solido che si considera e così si ottiene una retta. Γs si ottiene per estrapolazione

quando θ = 0, cioè al valore di bagnabilità massima in uni γl = γs.

Questi sono dei valori di bagnabilità di alcune sostanze di natura plastica.

γs

Nylon 46

Pralon 43

PVC 39

PVA 37

Polistirene 33

Politene 31

Teflon 18,5

γs diminuisce al diminuire della polarità dei solidi, dove i solidi più polari sono facilmente più

bagnabili. Questi invece sono dei valori di tensione superficiale interfacciale di alcune fasi oleose

ed è un'indicazione numerica del coefficiente di spandibilità di due sistemi.

γo/a γo γH2O = 72,8

Decano 54,3 23,9

Benzene 35 28,9

Acido oleico 15,1 32,2

Esano 51 18,4

Nel sistema decano/H2O: 72,8 -(23,9 + 52,3) = -3,4 è l'H2O che spande sul decano. Invece nel

sistema acido oleico/H2O: 72,8 – (32,9 + 15,1) = 24,7 ed è quindi l'olio che spande sull'H2O. Un

esempio di come si usano questi parametri in tecnologia, sono per esempio negli angoli di contatto

tra alcuni principi attivi nelle loro rispettive soluzioni sature, perchè la bagnabilità del principio

attivo nella sua soluzione satura influenzerà la velocità di dissoluzione di quel principio attivo.

Equazione di Gibbs

Uno dei parametri che agiscono sulla tensione superficiale e che la modifica è l'effetto del soluto

sulla tensione superficiale del liquido. L'effetto del soluto sulla tensione superficiale è definito

dall'equazione di Gibbs, che misura l'eccesso superficiale di concentrazione.

l'attività di soluzioni molto diluite si approssima alleconcentrazioni.

Γ è la differenza di concentrazioni del soluto tra la superficie e la massa interna del liquido. Ci

possono essere 3 situazioni:

1. se ΔC = 0 → dγ = 0; per aggiunta di soluto non si ha una variazione di tensione superficiale

(γ). Quindi il soluto si distribuisce nella soluzione e la concentrazione all'interfaccia è uguale

concentrazione della massa;

2. se ΔC > 0 → dγ è negativo, per aggiunta di un soluto diminuisce la tensione superficiale(γ);

quindi la concentrazione all'interfaccia è maggiore della concentrazione della massa cioè il

solido si distribuisce preferibilmente all'interfaccia;

3. se ΔC < 0 → dγ è positivo, quindi l'aggiunta di soluto aumenta la tensione superficiale(γ) e

la concentrazione all'interfaccia è minore della concentrazione della massa,quindi il soluto si

distribuisce preferibilmente nella massa del liquido.

Se si riporta in un grafico la variazione di tensione superficiale, in questo caso dell'H2O in funzione

della variazione di concentrazione di soluto, si avrà che per alcune sostante, come NaCl e glucosio,

si distribuiscono preferenzialmente nella massa avendo un ΔC < 0 e quindi per aggiunte successive

si avrà un incremento di γ. Per altre sostanze, come l'etanolo, si distribuisce preferenzialmente

all'interfaccia in quanto ha un ΔC > 0 e quindi un abbassamento della γ. Ci sono, inoltre, delle

sostanze (tensioattivi), che si dispongono solo all'interfaccia (ΔC >>0) e quindi si otterrà un

decremento notevole della tensione superficiale, ovviamente fino ad un valore di concentrazione

che è la concentrazione micellare critica.

I metodi per determinare la tensione superficiale sono:

a) metodo del piatto di Wilhelmy

b) metodo dell'anello (tensiometro di Nouy)

c) metodo del capillare

d) metodo dello stalagmometro

a) metodo del piatto di Wilhelmy

un piatto di platino viene immerso nel liquido di cui si vuole

misurare la tensione superficiale. Il piatto è legato ad una

bilancia che misura la forza necessaria a staccare il piatto subito

prima del distacco, quindi misura la forza che il liquido oppone

all'interfaccia al distacco del piatto; cioè misura le forze che

trattengono all'interfaccia il piatto. Questa forza sarà data dal valore letto sulla bilancia prima del

distacco meno il peso del piatto, e la forza è uguale alla tensione superficiale per l, cioè la lunghezza

su cui agisce la tensione superficiale. Quindi la tensione superficiale sarà legata alla lunghezza del

piatto e allo spessore del piatto, ovviamente in questo caso moltiplicato per due, perchè lo spessore

del piatto non è infinitesimo( il piatto ha 2 dimensioni e per quanto di lavori per avere una

dimensione unica); quindi sarà valutato il distacco della prima e della seconda faccia ma per quanto

lo spessore sia minimo, non si può avere un piatto in una dimesione.

Wl – W = 2 (L + T) γ

dove: Wl = valore letto sulla bilancia subito prima del distacco, W = peso del piatto, L = lunghezza

del piatto, T = spessore del piatto e quindi la forza di distacco è uguale a γ della superficie staccata.

Sullo stesso principio si basa b) il tensiometro di Novy (metodo dell'anello)

Si ha un anello di platino e si misura la forza di distacco di questo anello, nel caso della tensione

superficiale all'interfaccia liquido-aria, nel caso della misura interfacciale il distacco dall'interfaccia

fase idrofila - fase lipofila. La forza di distacco sarà data da γ ∙ l, in cui l in questo caso sarà data

dalla differenza tra raggio interno e raggio esterno, nell'altro caso si aveva la dimensione intera

perchè il piatto è pieno mentre questo invece è un anello, quindi il piatto è una superficie che si

distacca in questo caso forma un velo di liquido all'interno dell'anello(che è cavo); quindi la

superficie del liquido sarà data da 2π ( R1 + R2). Si deve calcolare la differenza dei due raggi

perchè non si può fare un anello di spessore

infinitesimale

il metodo misura la forza di distacco di un anello di

platino da una superficie o da un'interfaccia.

Forza di distacco = γ ∙ 2π ( R1 + R2) , dove R1 e

R2 sono il raggio interno e il raggio esterno e 2π ( R1

+ R2) è il perimetro del liquido distaccato.

c) il metodo del capillare

è legato al fatto che se si immerge un capillare in un liquido, il liquido sale

all'interno del capillare fino a quando la forza legata alla tensione

superficiale del liquido è bilanciata dalla forza peso, quindi il liquido salirà

all'interno del capillare fino ad un'altezza che sarà legata all'equilibrio alla

forza peso e la forza legata alla tensione superficiale data da γ ∙ L, dove L =

2πr (perimetro del capillare)

m ∙ g = γ 2πr

poiché si deve arrivare a grandezze utilizzabili, si moltiplica e si divide per il volume della

colonnina di liquido.

questo è vero quando la parete del capillare è perfettamente bagnata dal liquido; quindi quando si ha

un menisco concavo perfettamente emisferico vuol dire che il liquido sale all'interno del capillare

in base a una forza legata solo alla tensione superficiale non è limitata, o comunque condizionata

dalla bagnabilità del vetro da parte del liquido di cui si vuole misurare la tensione superficiale. Vale

solo quando la bagnabilità del capillare da parte del liquido è completa, quindi quando la

bagnabilità è massima,cioè quando l'angolo di contatto θ = 0, quando l'unica entità che agisce su

questa forza è la tensione superficiale del liquido perchè si implica che il liquido bagni

completamente il capillare. Nelle condizioni iniziali il menisco non è perfettamente emisferico,

quindi il menisco si forma per la tensione superficiale. Il menisco è il liquido che sale all'interno,

minori sono le dimensioni e più si percepisce(infatti in un bicchiere d'acqua non si percepisce).

Nelle condizioni reali, il menisco non è perfettamente emisferico e quindi si deve tenere conto della

bagnabilità del vetro da parte del liquido in esame e quindi anche in questo caso dell'angolo di

contatto e si devono considerare le 2 componenti:

ovviamente γsinθ è vincolata dalla parete quindi non può

tirare il liquido all'esterno del capillare → l'unica componente

da considerare è γcosθ. γ cosθ è quella che agisce sulla forza

ascenzionale, che consente al liquido di salire all'interno del

capillare ed in questo all'equilibrio si deve raggiungere cosθ.

quindi quando la bagnabilità è massima, cioè θ = 0 e cosθ = 1 quasto non compare nell'equazione e

quindi non c'è l'effetto della bagnabilità(cosθ è il parametro legato alla bagnabilità). Nel caso del

mercurio(che ha come valore di tensione superficiale 400 cm/dine) se si pone al suo interno un

capillare,il liquido non sale all'interno del capillare e dà un menisco convesso al di sotto del

normale.

c)metodo dello stalagmometro

si sfrutta l'utilizzo di un contagocce e viene misurata la tensione superficiale utilizzando un

contagocce basandosi sul fatto che la goccia si staccherà dal contagocce quando la forza che la tiene

attaccata al contagocce sarà bilanciata dalla forza peso, la forza che la tiene legata al contagocce è

una forza legata alla tensione superficiale F = γ ∙ L → L = 2πr (circonferenza)

γ2πrφ = mg è la forza che tiene attaccata la goccia al contagocce(legata alla tensione superficiale)

si aggiunge φ che è un fattore di correzione, che tiene conto del fatto che il bordo del contagocce

possa presentare delle irregolarità quindi che il vetro non sia perfettamente integro. M è la massa

della goccia, V è il volume della goccia, d è la densità del liquido, r è il raggio del capillare e g è

l'accelerazione di gravità. Con il metodo dello stalagmometro si fa una misura relativa, ovvero si fa

una misura di comparazione tra il liquido in esame e l'acqua cioè si raccolgono un numero definito

di gocce dell'acqua e del liquido in esame (incognito), si pesano queste gocce e si ottiene il rapporto

tra le tensioni superficiali, dove la tensione superficiale dell'acqua è nota ad una temperatura, così

come il rapporto tra i pesi delle gocce e si possono ricavare i valori di tensioni superficiali

incognite.

γH2O = m1g/2πr m1 e m2 hanno il peso medio di una gtt;

γx = m2g/ 2πr

γH2O/γx = m1/m2 → γx = γH2O m2/m1

γ 2πr = p

20 gtt di H2O 1g più H2O c'è minore è il numero di gocce

34 gtt di alcool 50° 1g perchè maggiore è il contenuto di H2O

55 gtt si alcool 70° 1g quindi maggiore è la tensione superficiale

64 gtt di alcool 90° 1g più grande è la goccia.

62 gtt di alcool assoluto 1g

Il contagocce da FU viene misurato mettendo all'interno 1g di acqua (si devono contare 20 gtt).

I tensioattivi

Sono sostanze attive sulla tensione superficiale. La caratteristica è che sono delle sostanze che si

dispongono solo all'interfaccia perchè sono delle sostanze che sono caratterizzate dall'avere una

frazione polaree una apolare, all'interno della stessa molecola;questo fa sì che per motivi energetici

le molecole si predisporranno solo all'interfaccia e quindi l'aggiunta di un tensioattivo abbassa

drasticamente la tensione superficiale fino a quando l'interfaccia sarà satura di tensioattivi e per

aggiunte successive si formeranno le micelle, cioè delle strutture dell'ordine di 5-6 μm(che si

organizzano sempre per motivi energetici). Se, ad esempio, si sta in H2O,quindi in un solvente

polare, una volta che l'interfaccia sarà satura,i tensioattivi si struttureranno in una struttura che per

convenzione si assimila alla sfera ma che non è sempre sferica, in cui le teste polari

rimangono in contatto con l'H2O e le code apolari vengono chiuse all'interno della

micella. Se invece si trovano non in H2O, ma in un liquido apolare, si formeranno le

micelle inverse, in cui le teste polari sono all'interno e le code apolare sono a contatto

con il mezzo esterno.

Quindi una caratteristica dei tensioattivi è la concentrazione micellare inversa (CMC) ovvero la

concentrazione alla quale inizia la formazione delle micelle ovvero la concentrazione oltrepassata la

quale per aggiunte successive non c'è più effetto sulla tensione superficiale.

Nel grafico: per aggiunte

successive si abbassa la

tensione superficiale da un

certo punto in poi la tensione

superficiale resta costante, la

concentrazione di tensioattivo.

Nella realtà i tensioattivi non

sono delle sostanze pure, si ha

un leggero aumento e poi

risale.

È ovvio che la temperatura

influenza la CMC; per ogni

singolo tensioattivo, la CMC

sarà data in un determinato solvente o in una determinata fase e ad una determinata temperatura,

perchè la temperatura,influenza la solubilità del tensioattivo quindi vuol dire che le micelle si

formeranno più tardi quindi il valore di CMC aumenta, cioè si potrà aggiungere una quantità

maggiore di tensioattivo prima che inizi la formazione delle micelle, perchè,aumentando la

temperatura,anche il tensioattivo sotto forma di monomero riesce a rimanere in soluzione anche

stando all'interfaccia.

La formazione di micelle non è un fenomeno statico perchè le micelle sono in continuo equilibrio

con i monomeri quindi la formazione delle micelle è un fenomeno dinamico in un equilibrio

continuo tra micella e monomero di tensioattivo. Le caratteristiche dei tensioattivi che possono

influenzare la concentrazione micellare critica sono:

– temperatura;

– dipende dalla fase liquida che si considera, quindi un tensioattivo polare(cioè con una

maggiore frazione lipofila) in acqua ci si mette più tensioattivo e quindi si avrà una CMC

alta perchè il tensioattivo è polare in una fase polare e dal punto di vista energetico, anche la

presenza del monomero nella massa, non sarà così energeticamente sfavorita;viceversa un

tensioattivo polare in fase lipofila avrà una bassissima CMC, perchè non appena si satura

l'interfaccia il tensioattivo non può esistere sotto forma di monomero.

La formazione delle micelle inizia quando si satura l'interfaccia liquido-aria o liquido-liquido se le

due fasi sono immiscibili, quindi quale altro parametro può influenzare la CMC? Lo spazio e che

occupa la molecola di tensioattivo quindi l'area superficiale della testa

polare e il volume della molecola di tensioattivo cioè si considera un

parametro che tiene conto dell'area superficiale della testa;si assimila la

molecola di tensioattivo ad un cono e si considera un parametro detto

parametro critico di impacchettamento (IPP) che considera il rapporto tra

l'area della testa polare ed il volume occupato dalla molecola di

tensioattivo. In base al valore che assume questo parametro critico

d'impaccamento si formeranno strutture micellari piuttosto che altre

strutture e questo parametro influenza anche la tensione superficiale perchè influenza il numero di

molecole di tensioattivo all'interfaccia;maggiore è lo spazio che occupano,minore sarà il numero di

molecole interessate. I tensioattivi possono essere classificati in base a varie caratteristiche. La

prima classificazione è in base alla natura chimica dei tensioattivi ovvero: ionici e non ionici.

La differenza tra questi 2 classi è che i tensioattivi ionici presentano sulla frazione polare una carica

netta, costituita da una testa polare e una coda apolare; quindi saranno distinti in:

– tensioattivi cationici quando la carica netta sulla testa è positiva;

– tensioattivi anionici quando la carica netta sulla testa è negativa.

I tensioattivi anionici sono i cosiddetti saponi, tutti i detergenti sono a base di tensioattivi anionici;

in genere i saponi veri e propri sono sali di acidi grassi a lunga catena oppure sono esteri di acidi

alchensolfonici. Un esempio di tensioattivo anionico è il sodio laurilsolfato o il sodio

dodecilsolfato, perchè l'acido grasso è l'acido laurico che è un acido grasso a 12 atomi di carbonio.

L'utilizzo di questi nei saponi e nei detersivi è molto dibattuto per la tossicità e la cancerogenicità;

infatti sono poco utilizzati in campo tecnologico farmaceutico ma usati in campo cosmetico ma

sono comunque sostanze fortemente inquinanti

I tensioattivi cationici sono i disinfettanti come per esempio la citrimmidee il cloruro di

acetilpiridinio che si utilizza per esempio nelle pastiglie come antisettico del cavo orale. La carica

positiva è conferita da un N quaternario quindi anche sulla tossicità di queste sostanze c'è un ampio

dibattito. Quelli più usati in tecnologia farmaceutica sono i tensioattivi non ionici e non hanno una

carica netta sulla testa polare. Su questi tensioattivi non devono essere valutate le incompatibilità di

tipo elettrostatico(un tensioattivo cationico, in presenza di una sostanza carica positivamente può

dare interazioni); quindi partendo dal presupposto che il tensioattivo deve essere inerte nella quasi

totalità delle preparazioni per uso farmaceutico, i tensioattivi usati sono i tensioattivi non ionici. I

tensioattivi non ionici si dividono in:

• esteri

• eteri

• esteri - eteri

• anfoliti

gli esteri sono quelli più rappresentativi

sono gli SPAN, la cui base è l'anello del

SORBITOLO, un polialcol a 5 atomi di

carbonio. Gli SPAN sono caratterizzati da

un numero che è l'indicazione dell'acido

grasso con cui questi tensioattivi sono

esterificati. Il numero più basso è il 20

(SPAN20) ; quindi SPAN20 dice la

composizione chimica, cioè l'anello di sorbitolo esterificato con l'acido laurico cioè l'acido grasso a

12 atomi di carbonio. Lo SPAN80 è l'acido oleico, che a differenza degli altri presenta una

insaturazione(un doppio legame). Il sucrodets ha come poliolo il saccarosio con una o due radici di

acido grasso.

Gli eteri sono i brij, pluronic e polixaleni.. Sono alchilossialcol, quindi alcol a lunga catena

esterificati con polietilglicol o con polipropilen glicol. Non ci sono acidi grassi e la frazione lipofila

sono gli alcoli a lunga catena esterificati con PAG O PEG.

Gli eteri – esteri sono i TWEEN chiamati anche polisorbati e la composione chimica è simile a

quella degli SPAN: si parte sempre dall'anello di sorbitolo e l'ossidrile primario(come negli span) è

esterificato con gli acidi grassi mentre gli ossidrili secondari sono eterificati con polietilenglicol. In

questa classe di tensioattivi cambia l'acido grasso e il numero di molecole di PEG presenti sulla

molecola. Per esempio il TWEEN20 l'acido grasso è l'acido laurico, cioè a 20 atomi di carbonio e la

somma delle unità di polietilene glicol che formano gli eteri è 20,

quindi ci sono 20 unità di polietilene glicol che eterificano gli

ossidrili secondari.

Nel TWEEN21 l'acido grasso è sempre l'acido laurico ma le

catene di PEG sono 4:quindi nel caso dei TWEEN, il numero non

indica solo l'acido grasso ma la variazione dei numeri darà

un'indicazione anche del numero di PEG presenti sulla molecola.

All'interno dei tensioattivi non ionici si trovano anche i tensioattivi come le lecitine, acidi colici e

aminoacidi, che si chiamano anfoliti, perchè a seconda del pH dell'ambiente avranno una carica

positiva o negativa sulla testa polare ma al loro pH isoelettrico non presentano una carica netta.

I tensioattivi possono essere classificati: o per fuzione o in base al valore di HLB. L'HLB è il

bilancio idrofilo lipofilo; questo concetto è stato introdotto nel '49 da Griffin ed è un numero che

indica il rapporto tra la frazione idrofila e la frazione lipofila della molecola e quindi è un numero

esterificato con

acido grasso

da 0 a 20 e dà un'indicazione dell'affinità del tensioattivo per la fase idrofila o per la fase lipofila.

Quindi i tensioattivi con

1 < HLB < 10 saranno lipofili e 10< HLB < 20 saranno idrofili

Griffin, nel '49, aveva creato il concetto di HLB solo per gli SPAN e misurava delle caratteristiche

dei grassi; poi ha introdotto delle modificazioni anche per i TWEEN e per gli altri tensioattivi, dove

però, avendo una carica netta sulla testa polare preferiscono ovviamente la fase idrofila e quindi i

tensioattivi ionici hanno un valore di HLB che si calcola con il metodo di Davies(che è un metodo

numerico perchè ha dato per convenzione un numero ad ogni gruppo chimico che costituisce le

molecole e dalla somma di questi numeri si calcola l'HLB).

I sistemi dispersi sono dei sistemi tendenzialmente stabili, dal punto di vista termodinamico, e

quindi presentano maggiore difficoltà dal punto di vista formulativo. Possono essere classificati in

base alle dimensioni della fase dispersa;cioè si hanno 2 o più fasi che non sono miscibili tra loro in

cui una delle due fasi è dispersa finemente nell'altra.

Dispersioni molecolari < 1 nm

dispersioni colloidali(pseudosoluzioni) da 1 a 0,5 μm

dispersioni grossolane > 0,5 μm

Si ha una fase finemente dispersa quando le particelle della fase dispersa vanno da 0,5 μm a 1 nm

quindi hanno delle dimensioni comprese tra il micron e il nanometro. Le dispersioni con un

diametro inferiore sono le dispersioni vere, dispersioni con delle particelle di diametro maggiore si

chiamano dispersioni grossolane,cioè costituite da particelle visibili al microscopio ottico, e i

sistemi dispersi per uso farmaceutico fanno parte di questa classe. Quindi la prima classificazione è

in base alle dimensioni della fase dispersa;un'altra classificazione può essere fatto in base alla fase

dispersa e alla fase disperdente. Ci sono possibili combinazioni:

Fase disperdente Fase dispersa Tipo

Gas Liquido

solido

aerosol(nebbia)

aerosol(fumo)

Liquido Gas

liquido

solido

Schiuma

emulsione

sospensione

Solido Gas

liquido

solido

Schiuma solida

emulsione solida

sospensione solida

Le emulsioni sono un sistema disperso costituito da due fasi liquide non miscibili tra loro, una delle

quali è dispersa finemente nell'altra. Le due fasi si chiamano in un sistema semplice:

– emulsione acqua in olio A/O

– emulsione olio in acqua O/A

Le fasi dell'emulsione si chiamano:

– fase esterna o disperdente o continua;

– fase (del liquido disperso) interna o dispersa o discontinua

I metodi per stabilire che tipo di emulsione abbiamo: il primo metodo è la misura della

conduvibilità elettrica, in cui la conducibilità della fase acquosa sarà più alta della conducibilità

della fase oleosa e quindi se la conducibilità dell'emulsione è elevata, la fase esterna sarà

l'acqua(viceversa sarà l'olio). Si possono usare dei coloranti o delle sostanze fluorescenti: se si

aggiunge all'emulsione un colorante idrofilo e l'emulsione è tutta colorata, la fase esterna sarà

l'acqua perchè il colorante sarà solubilizzato nella fase esterna e viceversa se la colorazione si

osserva a puntini, l'acqua sarà la fase interna( e lo stesso vale per le sostanze fluorescenti). Gli

esempi che si possono avere di emulsione in natura sono il latte e il burro,dove infatti la parola

emulsione viene dal latino che vuol dire “mungere”: il latte è un emulsione olio in acqua e il burro è

un emulsione acqua in olio. Non bisogna immaginare l'emulsione come una fase liquida, nonostante

le due fasi siano due fasi liquide, la consistenza dell'emulsione può essere anche semisolida o

solida(come il burro). Un altro metodo per capire che emulsione si sta trattando è la tecnica della

diluizione; se si prede un po' di latte e si aggiunge acqua il latte si diluisce,quindi la fase esterna è

l'acqua, invece nel burro, se si aggiunge acqua, rimane l'olio come fase esterna.

Quelle di uso più comune sono le macroemulsioni in cui il diametro della fase dispersa è superiore

a 1000 nm; in queste c'è una stabilità”cinetica”. Le miniemulsioni hanno un diametro tra 100 e

1000 nm e hanno più stabilità termodinamica; le microemulsioni sono micelle e c'è stabilità

termodinamica. Le emulsioni sono dei sistemi termodinamicamente instabili e quindi si può agire

sulla stabilità cinetica cioè si può rallentare il processo di degradazione del sistema disperso:ciò può

essere fatto diminuendo la dimensione della fase dispersa fino ad arrivare, nel caso delle

microemulsioni, alla stabilità termodinamica.

Perchè le emulsioni sono dei sistemi termodinamicamente instabili? Perchè sul

sistema disperso è estremamente elevata l'energia libera di superficie, cioè si deve

tenere in contatto, su una superficie estremamente elevata, 2 fasi immiscibili tra loro e

quindi l'energia che c'è alla superficie di contatto è elevata ed è legata alla tensione

interfacciale olio/acqua. Se si considera di avere due cubetti di olio e di acqua di

spigolo 1 cm e quindi 1 cm3 di H2O e 1 cm3 di olio, la superficie di contatto tra i due cubetti è 1

cm2. Invece, ottenendo un sistema disperso assimilando le goccioline disperse a delle sfere con un

diametro di 0,1 cm la superficie di contatto tra le due fasi diventa di 60 m2. Quindi un parametro su

cui bisogna agire per rendere stabile un sistema disperso(e in particolare le emulsioni) sarà la

tensione interfacciale olio/acqua quindi uno degli agenti che stabilizzerà le emulsioni saranno i

tensioattivi, cioè delle sostanze capaci di agire sull'energia libera di superficie,perchè l'intento è di

mantenere elevato il ΔS perchè altrimenti abbassare l'energia libera di superficie(dopo aver agitato e

disperso una fase nell'altra) quella tende a ridurre la fase di contatto, cioè appunto l'energia legata

alla superficie di contatto.

Poiché l'energia di superficie di contatto è molto elevata, il sistema tenderà a ridurre al minimo la

superficie di contatto; quindi le goccioline della fase dispersa tenderanno a riunirsi andando a

ricostruire la fase disperdente, quindi i tensioattivi agiscono sulla fase esterna diminuendo la

tensione superficiale, così da far rimanere le goccioline.

Energia libera di superficie:

W(erg/cm2) = γo/a ∙ ΔS

Agendo sulla tensione interfacciale diminuisce W.

I criteri che fanno formare un'emulsione rispetto e un'altra(cioè se si ha una fase acquosa e una

oleosa come si fa predire che si formerà un'emulsione A/O o O/A): la prima regola è il volume di

fase,cioè generalmente la fase presente in volume maggiore sarà la fase esterna. La seconda regola

è quella della viscosità di fase, generalmente la fase che presenta viscosità maggiore è la fase

esterna dell'emulsione. Un altro parametro è quello che si definisce regola di Bancroft o del cuneo

orientato,che dice che la fase per cui il tensioattivo è più affine sarà la fase esterna dell'emulsione.

Perchè? La fase dispersa deve rimanere come goccioline disperse, in teoria la tensione superficiale

della fase dispersa dovrebbe aumentare ovvero si dovrebbe conservare la forma di goccioline(come

il Hg messo in contatto con l'aria); allora la fase per cui il tensioattivo è più affine diventa quella

esterna perchè la fase di cui si deve abbassare la tensione superficiale per far sì che la fase interna

rimanga dispersa nella fase esterna.

La fase esterna si deve deformare per ospitare le goccioline di fase dispersa quindi chi deve

diminuire la tensione superficiale è la fase esterna perchè più si abbassa la tensione superficiale

della fase esterna più la fase esterna sarà in grado, dal punto di vista energetico, di contrastare il

fatto che le goccioline di fase interna tendono a ricombinarsi e a separarsi perchè nell'equazione(

quella di W) il valore energetico è legato al fatto che l'incremento di superficie è altissimo e quindi

per abbassare l'energia del sistema, il sistema tende a ridurre al minimo la superficie di contatto;

quindi le goccioline di fase disperse, lente ma inesorabili, tendono a rincontrarsi man mano,

aumentano le dimensioni delle goccioline di fase dispersa con un sistema detto di coalescenza e poi

c'è la separazione dell'emulsione cioè le due fasi distinte in cui la superficie di contatto è minima.

C'è bisogno di valutare, nella fase preformulativa, l'instabilità del sistema e poi bisognerà scegliere i

tensioattivi da aggiungere perchè generalmente non si usa un solo tensioattivo ma si usa una

miscela di tensioattivi e si dovrà aggiungere un agente viscosizzante, perchè si può agire sulla

viscosità della fase esterna dell'emulsione.

legge di Stockes

La velocità di sedimentazione è proporzionale al quadrato del diametro delle particelle, alla

differenza delle densità tra la fase interna e la fase esterna, all'accelerazione di gravità ed è

inversamente proporzionale alla viscosità della fase esterna. Se si riduce questa velocità, si

stabilizza il sistema disperso, perchè rallentando il movimento delle particelle di fase interna si

rallenta la possibilità che si incontrino e quindi la possibilità che possano formare una fase

completamente separata dalla fase esterna.

Nelle emulsioni si parla di creaming perchè può capitare che la fase esterna abbia una densità

maggiore della fase interna e quindi si ha il segno negativo a V,quindi non si parla di velocità di

sedimentazione ma di velocità di affioramento. Un esempio di creaming è la panna nel latte in cui

la parte grassa affiora.

Nelle emulsioni gli agenti viscosizzanti usati come stabilizzanti delle emulsioni sono i colloidi

idrofili e generalmente si usano le gomme o i derivati della cellulosa, ovviamente se l'emulsione è

un' emulsione O/A perchè bisogna aumentare la viscosità della fase esterna. Se la fase esterna è

l'olio generalmente l'agente viscosizzante che si utilizza è la vaselina filante, chimicamente

costituita da miscele di idrocarburi con catene di lunghezza diversa ed è un prodotto secondario che

si ottiene generalmente dalla raffinazione del petrolio ed è presente in 3 forme(si chiama anche

paraffina, proprio per la sua scarsa reattività chimica); esiste anche la paraffina liquida o olio di

vaselina, anche la paraffina semisolida o vaselina filante o vaselina bianca e poi c'è la paraffina

solida che si usa poco in tecnologia farmaceutica(ma ha comunque un impiego nell'ambito sanitario

in cui si usa per la risoluzione della sonda ecografica). Tutte le fasi intermedie, cioè la fase del

creaming e la fase della flocculazione sono dei fenomeno reversibili, cioè per agitazione si è in

grado di ricostituire l'emulsione,quando l'emulsione si rompe cioè quando le due fasi sono

completamente separate non è più possibile ricostituire l'emulsione.

Quindi un modo per stabilizzare le emulsioni è quello di agire sulla viscosità della fase esterna

aggiungendo dei modificatori di viscosità che si chiamano agenti viscosizzanti o agenti ispessenti.

Gli stabilizzanti delle emulsioni possono essere:

agenti emulsionanti: come tensioattivi che diminuiscono la tensione interfacciale

diminuendo l'energia libera del sistema.

Agenti viscosizzanti: come gomme o colloidi idrofili che aumentano la viscosità della fase

esterna,cioè creano una fase protettiva

Per scegliere il tensioattivo da aggiungere per stabilizzare l'emulsione si usa un parametro, l'HLBr

(richiesto) ;l'HLB è una caratteristica dei tensioattivi e indica il bilancio idrofilo-lipofilo e può

assumere un valore da 0 a 20. Da 0 a 10 il tensioattivo è lipofilo, da 10 a 20 il tensioattivo è idrofilo.

L'HLBr, invece, fa riferimento alla fase oleosa dell'emulsione, dove infatti l'HLBr è definito come

l'HLB richiesto dalla fase oleosa per ottenere l'emulsione più stabile; quindi esistendo la regola di

Bancroft cioè che il tensioattivo deve essere affine per la fase estena, una fase oleosa, che può

essere interna o esterna, avrà 2 valori di HLBr con un valore da 0-10 quando la fase oleosa sarà la

fase esterna e con un valore 10-20 se è la fase interna dell'emulsione. Quindi per scegliere il

tensioattivo che stabilizza l'emulsione si fa riferimento al valore di HLBr della fase oleosa e

dipendentemente se l'emulsione che si deve preparare è O/A o A/O si sceglierà un tensioattivo con

un valore di HLB simile al valore di HLBr.

Generalmente non si usa un solo tensioattivo ma una miscela di tensioattivi e per calcolare quanto

tensioattivo di A e quanto tensioattivo di B bisogna aggiungere ci sono 3 metodi, di cui uno in cui il

valore di HLBr è uguale(scegliendo i tensioattivi A e B):

oppure si può utilizzare il metodo grafico.

Si scelgono 2 tensioattivi che hanno 2 valori di HLB uno maggiore dell'HLBr e uno minore

dell'HLBr.

Non bisogna però solo valutare l'instabilità fisica ma anche l'instabilità chimica. L'instabilità può

essere legata all'utilizzo di tensioattivi ionici perchè i tensioattivi che presentano una carica netta

possono reagire ed interagire con altri costituenti del sistema disperso. La presenza di elettroliti può

dare instabilità chimica perchè gli elettroliti causano la rottura dell'emulsione. I saponi sono dei

tensioattivi ionici che funzionano creando delle emulsioni e riescono ad eliminare il

grasso(emulsionandolo). Quindi l'instabilità chimica può essere data da:

– presenza di tensioattivi ionici;

– presenza di elettroliti;

– particolari condizioni di pH che si trovano all'interno del sistema disperso;

– fenomeni ossidativi che possono interessare la fase oleosa dell'emulsione.

Inoltre, essendo comunque un sistema in cui è presente una fase acquosa e soprattutto quando la

fase acquosa è la fase esterna ci sono anche dei problemi di contaminazione microbica quindi

problemi di conservazione(dal punto di vista microbiologico) e quindi, oltre gli agenti ispessenti e i

tensioattivi, si dovranno aggiungere dei conservanti ovvero degli agenti antimicrobici, tenendo

conto che l'agente antimicrobico, seppur in ridotta quantità, si ripartirà tra le 2 fasi e,che proprio la

presenza di tensioattivi, ci potranno essere delle zone disomogenee nella concentrazione del

tensioattivo e quindi si potrà avere un equilibrio monomero-micella e il conservante potrebbe

restare incluso all'interno di una micella e quindi la quantità di conservante che si aggiunge non sarà

perfettamente alle concentrazioni di conservante attivo, perchè una frazione sarà riportata nella fase

oleosa. Una parte sarà inclusa in una micella quindi la concentrazione attiva del conservante sarà

data da una serie di parametri che agiscono sulla concentrazione iniziale che si è aggiunta; quindi

utilizzando questi parametri in cui si ha il rapporto tra fase lipofila e idrofila. Φ,P il coefficiente di

ripartizione tra la fase idrofila e lipofila del conservante e R il rapporto emulsionante-conservante

ovvero considera la quantità di conservante inclusa nella micella, si può definire: Concentrazione

attiva del conservante

P e R sono dei dati che si ricavano sperimentalmente. La solubilizzazione micellare quindi fa

variare P. Per preparare un'emulsione stabile, gli eccipiente da aggiungere sono:

1) tensioattivi

2) conservanti

3) viscosizzanti

Generalmente soprattutto se l'emulsione è O/A si aggiungeranno delle sostanze come il sorbitolo e

il glicerolo, che si chiamano

4) umettanti, che servono per ritardare l'evaporazione dell'acqua.

La stabilità di un sistema disperso si fa con due prove: a) prove scaffale e b) prove accelerate. Le

prove scaffale valutano la stabilità di un sistema disperso nelle normali condizioni d'uso,cioè

appoggiate sullo scaffale. Consta di:

esame visivo(macroscopico), ed è evidente perchè se l'emulsione si rompe,si vede;

dimensione dei globuli(fase dispersa) nel tempo per vedere se le dimensioni sono rimaste

omogenee(con microscopio, coulter counter,diffrazione e raggi x);

variazione di viscosità perchè generalmente una variazione di viscosità del sistema è inoltre

una modificazione fisica del sistema disperso.

Nelle prove accelerate si fanno le stesse prove di dimensione dei globuli e variazione di viscosità

ma nelle prove accelerate si sottopone l'emulsione a degli stress; questi stress sono degli stress

tecnici cioè il campione si conserverà a 0 °C e poi si porta a 30 °C e poi si riporta a 0° e poi a 30° o

alle temperature scelte nell'analisi di stabilità e si sottopone a centrifugazione (200-300 rpm).

Quindi chiaramente se l'emulsione risulterà stabile in queste prove stressate allora risulterà stabile in

condizioni di conservazione normale. La preparazione delle emulsioni(qui è visualizzata una

provetta ma è alla base degli omogenizzatori industriali) è

legata alle 2 fasi: la prima fase si chiama

omogenizzazione primaria in cui si formano i primi nuclei

più grandi e l'omogeneizzazione secondaria che porta al

sistema comunemente disperso ed è basata sull'agitazione

meccanica. Maggiori sono i volumi,maggiore dovrà essere

l'energia fornita

Omogenizzatori

1) high spread blander → miscelatore ad alta velocità. La maionese fatta con il frullatore ad

immersione è un esempio di omogenizzatore high spread blander, cioè un miscelatore ad alta

velocità, per la formazione dell'emulsione perchè la maionese è un'emulsione.

2) Negli omogeneizzatori a valvole, il sistema dopo l'omogenizzazione primaria viene forzato

attraverso un sistema in cui viene mandato ad impattare contro la valvola e la sua forza di impatto

costituisce l'omogenizzazione secondaria;

3) Negli omogeneizzatori ad ultrasuoni, l'omogenizzazione primaria è fatta per agitazione

meccanica e poi la riduzione delle dimensioni alle dispersione colloidale è fatta per azione degli

ultrasuoni.

Le emulsioni multiple sono sistemi in cui le fasi sono 3 o addirittura 4, quindi per esempio

un'emulsione A/O|O/A e viceversa. Le microemulsioni sono sistemi stabili; la formazione delle

microemulsioni, scegliendo accuratamente le 2 fasi, è spontanea quindi presentano stabilità

termodinamica perchè se il sistema si forma spontaneamente vuol dire che ha un contenuto

energetico basso e non bisogna sottoporlo all'azione dell'omogenizzatore ed ha un colore limpido e

trasparente(preferibile nella cosmetica per il suo aspetto gradevole). Le emulsioni sono

rappresentate in quasi tutte le forme farmaceutiche liquide per uso orale, quelle che si chiamano

impropriamente “sciroppi”(infatti lo sciroppo è solo acqua più saccarosio). Sono presenti come

liquidi per applicazione cutanea oppure anche come preparazioni semisolide per applicazione

cutanea quando la fase esterna è una fase grassa,viscosa come le creme. Sono presenti come liquidi

per la nebulizzazione,come preparazioni nasali o come preparazioni per uso oftalmico e sono

possibili anche nella realizzazione di forme farmaceutiche parentali. Per tutte le forme

farmaceutiche,tranne i parenterali, nelle monografie ci sarà scritto che le emulsioni possono

presentare segni di separazione di fase ma l'emulsione deve essere perfettamente ricostituibile al

momento dell'uso per semplice agitazione ma nelle parenterali le emulsioni devono essere

omogenee.

Un altro tipo di fase dispersa è quella della sospensione in cui un solido è sospeso in un liquido

essendo il solido insolubile nella fase liquida in esame mentre è possibile realizzare delle emulsioni

che rimangono tali, cioè una fase liquida finemente suddivisa in un altro liquido mentre è ovvio che

con le sospensioni, trattandosi di un solido, si può interagire solo con la cinetica della separazione

delle fasi, e quindi non si può evitare che il solido sedimenti sul fondo della sospensione(perchè c'è

g). Una delle tecniche che si può utilizzare è quella di aumentare la viscosità della fase esterna(nel

caso delle emulsioni) e la fase liquida( nel caso delle sospensioni) perchè la velocità di

sedimentazione è descritta dalla legge di stockes

Quindi la velocità di sedimentazione dipende dal diametro al quadrato delle particelle, per la

differenza di densità del solido e del liquido e per l'accelerazione di gravità ed è inversamente

proporzionale alla viscosità del sistema. Fermo restante che il diametro delle particelle può essere

ridotto per diminuire la velocità di sedimentazione ma non si può scendere sotto un certo limite

perchè è proprio nella definizione di sistema disperso; si potrebbe cambiare la densità ma se il

sistema che si deve preparare è quello si può fare poco, e quindi il fattore sul quale si agisce è

aumentare la viscosità della fase liquida. Nel caso delle sospensioni, quindi, una prima classe di

eccipienti che si useranno per stabilizzare le sospensioni è quella chiamata degli agenti ispessenti o

modificatori di viscosità; nel caso delle sospensioni, quasi sempre, si usano le gomme oppure i

derivati della cellulosa che sono colloidi idrofili, perchè nella quasi totalità delle formulazioni per

uso farmaceutico il veicolo disperdente è di natura acquosa. Se si parte da un sistema iniziale in cui

le particelle di solido sono omogeneamente disperse nel liquido, lente ma inesorabili, le particelle

sedimentano sul fondo a formare il “fondello” o Cake , cioè un sedimento non ridisperdibile per

semplice agitazione.

Se si fa il rapporto tra il volume del fondello e il volume iniziale, cioè quello in cui il solido è

disperso omogeneamente, si avrà un valore molto inferiore a 1 perchè 1 è il valore di riferimento in

cui non si è formato il fondello,cioè il sistema è rimasto omogeneo nella condizione iniziale; visto

che non si può impedire che il sedimento si formi, si deve cercare di arrivare ad una condizione che

si definisce di sedimento flocculato

cioè la formazione di un sedimento che sia però facilmente ridisperdibile per semplice agitazione

per tornare nella condizione iniziale di dispersione omogenea. Nel caso del sedimento flocculato si

può avere che il rapporto potrà essere leggermente inferiore a 1, uguale a 1,cioè se il sedimento

occupa il volume iniziale della sospensione o in alcuni casi maggiore di 1 perchè il sedimento che si

ottiene occupa un volume maggiore rispetto al volume iniziale della sospensione. Il formulatore

vuole che il rapporto sia leggermente inferiore a 1. La qualità della sospensione che si prepara viene

definita dal grado di flocculazione G, ovvero il rapporto tra il volume del sedimento non flocculato

e il volume del sedimento flocculato.

La formazione del cake(che non si vuole) o del sedimento flocculato dipende

sostanzialmente dalle caratteristiche elettriche superficiali delle particelle di solido.

Per capire quali sono i fenomeni che intervengono nel processo di flocculazione si

deve definire il potenziale Z. Se si considera la superficie della particella solida che

si è dispersa nel liquido, la particella avrà aulla sua superficie una carica esterna (-),

che non è una carica netta, ma è una carica che dipende o dalle cariche adsorbite sulla

superficie delle particelle oppure da delle cariche di tipo dipolo che si dispongono sulla superficie

della particella. Se si pone la particella solida in H2O, sulla superficie della particella si

predisporranno per attrazione elettrostatica delle cariche(+) o come cariche (+) nette oppure come i

dipoli dell'H2O che si orientano a seconda della carica della particella.

Se si considera la particella rivestita da vari gusci, si avrà la particella (-), un

guscio di cariche(+) e un nuovo guscio di cariche opposte o legate agli ioni

presenti nell'H2O o legate all'orientamento opposto del dipolo dell'H2O.

Man mano che ci si allontana dalla particella si avrà una zona a prevalenza di cariche (+), una zona

a prevalenza di cariche(-) e si arriverà alla zona di H2O neutra in cui l'orientamento delle cariche

nell'H2O non risente più della carica superficiale della particella.

*

Il piano di taglio separa la zona a carica simile a quella della particella dal resto della soluzione; ci

sono due gusci: 1) il primo guscio di cariche opposte alla particella e 2) il secondo guscio di

cariche uguali che si chiama zona dell’acqua legata, perchè se questa particella in sospensione

viene posta in un campo elettroforetico, la particella si muove non da sola ma con questo guscio di

acqua legata che ha la sua stessa carica. La differenza di potenziale tra il piano di taglio e la zona

dell'acqua neutra si definisce potenziale Z. La differenza di potenziale è la misura del lavoro

necessario a spostare una carica elettrica. Definire il potenziale Z serve; per ottenere un sedimento

flocculato bisogna ridurre il potenziale Z, ovvero bisogna ridurre la differenza di potenziale tra il

piano di taglio e la zona dell'acqua neutra.

Intorno agli anni '50 è stata elaborata, da 2 gruppi di danesi, la teoria DLV0, che studia le

interazioni elettrostatiche tra le particelle in funzione della distanza. In particolare le forze disperse

variano con la distanza, mentre le forze attrattive variano inversamente alla distanza. All'aumentare

della distanza, variano più velocemente le forze repulsive.

Quindi è possibile costruire un grafico che sia la somma delle

forze attrattive e repulsive di una particella carica in funzione

della distanza A distanza 0 delle particelle, le forze repulsive

tendono a ∞ così come a distanza infinita, sia le forze repulsive

che attrattive tendono a 0, perchè non ci sarà interazione tra le

particelle.

Si ha una condizione di minimo primario quando le forze

attrattive, seppur a breve distanza, sono elevate e una

condizione di minimo secondario quando le particelle si

attraggono ma con forze attrattive molto deboli; quindi, visto

che non si può impedire che agisca la forza di gravità, si deve

realizzare un sistema in cui le particelle si trovano nella

condizione di minimo secondario,cioè che ci sia attrazione tra

le particelle e che quindi ci sia la formazione del sedimento ma che l'attrazione tra le particelle sia

debole e che, quindi, il sedimento sia facilmente ridi sperdibile (cioè per semplice agitazione si

vincono le forze attrattive tra le particelle e che si riesce a disperdere il sedimento). Per portare il

sistema nella condizione di minimo secondario si deve abbassare il potenziale Z delle particelle,

perchè abbassandolo si fa in modo che il sistema si trovi in questa condizione. Il potenziale Z si

abbassa agendo sulle cariche, quindi sulla condizione di carica presunta della particella ed in

particolare aggiungendo dei polielettroliti; gli agenti flocculanti sono dei polielettroliti, in cui

generalmente per un sistema in cui la particella è carica ( + ) si usano gli ioni fosfato, mentre

quando la particella è carica(-) si usa l'ossido di alluminio e quindi l'agente flocculante è l'Al +3

.

perchè l'Al+3

e non il 3Na+? Perchè serve un polielettrolità? È una questione di nuvola carica e

devono arrivare nel guscio intorno alla particella e quindi una singola carica magari non riesce ad

arrivare al guscio vicino alle particelle e viceversa una densità di carica magari riesce ad agire

meglio fisicamente e ad avvicinarsi alla superficie della particella.

Se si mette in grafico l'andamento del

valore di sedimentazione e del potenziale Z

in funzione della concentrazione di agente

flocculante: il potenziale Z, man mano che

si aggiunge l'agente flocculante, diminuisce

fino ad arrivare a 0 e per aggiunte

successive di agente flocculante si ha

l'inversione della carica superficiale della

particella e quindi il potenziale Z, in valore

assoluto, aumenta; nella zona intorno al

valore minimo di potenziale Z si avrà il

massimo valore di volume di sedimentazione.

Per formulare una sospensione quali sono gli eccipienti da aggiungere? Nella definizione di sistema

disperso si cerca di lavorare con particelle che abbiano delle dimensioni ridotte e omogenee e che

quindi rallentino il volume di sedimentazione secondo la legge di Stokes. Si possono aggiungere

degli agenti ispessenti o che modificano la viscosità del sistema e si possono anche aggiungere degli

agenti bagnati quindi dei tensioattivi che migliorano la bagnabilità del solido da parte del liquido; si

aggiungeranno degli agenti flocculanti per avere la formazione del sedimento flocculato e

disperdibile;si aggiungeranno anche dei conservanti perchè essendo in fase acquosa, almeno per le

sospensioni per uso farmaceutico,sarà necessario anche l'aggiunta di antimicrobici. Dal punto di

vista industriale, i sistemi per produrre le sospensioni sono simili a quelli per produrre

l'emulsione(omogenizzatori), in cui la miscelazione delle 2 fasi avviene utilizzando alte energie. Per

quanto riguarda le sospensioni ci sono 2 tecniche; dal punto di vista galenico le emulsioni possono

essere preparate con due tecniche: per sospensione o per soluzione.

Il metodo per sospensione prevede la formazione di un nucleo primario in cui il rapporto olio –

acqua - gomma(agente stabilizzante) è 4-2-1,quindi si pongono nel mortaio, in questo caso, le fasi.

Si ottiene un nucleo primario dell'emulsione al quale poi si aggiunge la restante H2O. Leggendo

questa formulazione, che tipo di formulazione si forma e perchè?

Olio di ricino g 40

Gomma arabica g 10

gomma g 1

vanillina mg 50

alcool g 2

sciroppo g 10

H2O q.b a 100g

è da ricordare il volume di fase, la viscosità di fase, la regola di Bancroft o del cuneo orientato. Il

volume di fase = la fase in volume maggiore è l'olio, e quindi aiuta poco perchè i volumi sono più o

meno simili. Quindi la cosa che aiuta è la regola di Bancroft in quanto, non essendoci i tensioattivi,

ma essendo presenti come agenti ispessenti le gomme(che sono dei colloidi idrofili) che modificano

la viscosità(aumentandola) dell'H2O, ovvero della fase acquosa, quindi fa presupporre che questa è

un'emulsione olio in H2O; quindi è un'emulsione O/A perchè vince la regola della viscosità di fase,

perchè, per aggiunta della gomma, la fase acquosa diventa altamente viscosa e ed è la fase estena

dell'emulsione. Infatti, questa è un'emulsione lassativa in cui l'olio di ricino viene disperso in una

fase acquosa,dolcificata dallo sciroppo e aromatizzata dalla vanillina.

Il metodo per soluzione parte dalla formulazione di un nucleo primario costituito,questa volta,

dalla gomma e dall'acqua, che formano una mucillagine; a questa mucillagine si aggiunge il resto

della formulazione. La fase esterna sarà l'H2O(avendo le gomme).

La preparazione delle sospensioni è fatta secondo 2 tecniche:

1) Il metodo continentale o della gomma secca

2) Il metodo inglese

Il metodo continentale si chiama anche della gomma secca perchè prevede che alle gomme o

all'agente ispessente(in questo caso il Na argillato) si aggiunge l'H2O e lo sciroppo; si forma così il

veicolo al quale si aggiunge il principio attivo. Nel metodo inglese si mescolano tutti gli ingredienti

e quindi la sospensione del farmaco viene fatta contemporaneamente alla formazione della

mucillagine. Infatti, il metodo continuentale forma prima il veicolo H2O - mucillagine e , nel

veicolo formato, ingloba il principio attivo; nel metodo inglese,invece, si mescola tutto insieme e

quindi si ha contemporaneamente la dispersione del principio attivo e della mucillagine. Nel

metodo della bottiglia (che usavano i vecchi farmacisti) si mettevano tutti i componenti all'interno

della bottiglia, veniva tappata e poi veniva usata come un mattarello sul piano della farmacia.

I test che si sfruttano per valutare al stabilità delle sospensioni sono dei test fisici in cui si valuta:

1) variazione di velocità di sedimentazione;

2) variazione nel tempo della flocculazione,cioè il rapporto dei 2 volumi nel tempo, partendo

dal presupposto che al tempo 0, il rapporto tra il volume del sedimento e il volume della

sospensione è uguale a 1 (perchè nel sistema al tempo 0,cioè in cui la dispersione è

perfettamente omogenea, il volume delle particelle corrisponde al volume di

sedimentazione);

3) facilità della ridispersione in cui si valuta il tempo di ridispersione del sedimento: anche in

questo caso si fanno delle prove scaffale cioè nelle normali condizioni di conservazione, e le

prove stressanti, sottoponendo la sospensione a cicli tecnici a 0°C, a 70°C o 60°C(dipende

dai protocolli) e dopo la centrifugazione.

Un esempio di monografia di una preparazione farmaceutica che fisicamente è una

sospensione(nella fattispecie è un collirio): le sospensioni, infatti, si trovano nelle preparazioni

farmaceutiche per uso orale(sciroppi, ma non necessariamente solo questi), colliri e , in alcuni casi,

anche nelle forme farmaceutiche parenterali. Il formulario nazionale dà indicazioni sulle

caratteristiche del collirio, cioè che deve essere isotonico e sterile, sul principio attivo e del

rapporto in cui devono esistere in H2O depurata e sugli adeguati eccipienti:quindi la farmacopea

non dà indicazioni formulative ma lascia ai farmacisti preparatori la scelta degli eccipienti. Dice che

si deve presentare sotto forma di una sospensione uniforme e lattescente dopo agitazione, perchè è

ovvio che la formazione di una sospensione non sarà mai limpida(come può capitare nelle

emulsioni) perchè c'è comunque un solido disperso. I saggi per la formulazione di un collirio sono:

il pH e la dimensione delle particelle, perchè è sia una sospensione che un collirio. La dimensione

delle particelle deve essere omogenea perchè una dimensione delle particelle omogenea (99%)

garantisce una velocità di sedimentazione uguale per ambedue i farmaci, perchè altrimenti si

avrebbe una distribuzione non omogenea del principio attivo all'interno delle gocce che saranno poi

istillate nell'occhio.

Viscosità

La viscosità, in realtà, è la viscosità dinamica. Si presupponga di considerare un cubetto di fluido e

questo cubetto lo si può pensare come costituito da lamine di fluido di spessore

infinitesimo,sovrapposte l'una sull'altra,se sulla superficie del fluido viene applicata una forza. Le

lamine di fluido si muoveranno secondo un gradiente di velocità diverso, quindi con una velocità

che sarà sempre più bassa man mano che ci si allontana dalla superficie sulla quale è stata

applicata(tangenzialmente) la forza. È come un mazzo di carte sul tavolo:spingendo solo la prima

carta, le carte non si muoveranno tutte insieme ma scivolano l'una sull'altra con le carte,che stanno

con in basso nel mazzo a contatto con il tavolo, che non si muoveranno proprio. Questa è la

condizione del fluido

Lo sforzo di taglio è la forza applicata tangenzialmente alla superficie di fluido e la velocità di

taglio (D),che in realtà è un gradiente di velocità e quindi una variazione di velocità;questi sono

messi in relazione tra loro dal parametro η che è la viscosità dinamica che dà la misura della

resistenza che il fluido oppone allo scorrimento una volta che a questo fluido è stata applicata la

forza.

τ = η ∙ D → η = τ / D dove τ è lo sforzo di taglio e D è la velocità di taglio

e η è la viscosità dinamica.

Le dimensioni di τ sono forza/superficie ma è diversa dalla pressione perchè non è perpendicolare

alla superficie ma è tangente. D, ovvero la velocità di taglio, corrisponde a sec-1

ma in realtà è una

variazione di velocità in funzione dello spazio.η può avere diverse misure: 1) N ∙ m -2

x sec;2) Pa ∙

sec (nel SI) e 3) dine ∙ cm-1

∙ sec (cgs) che corrisponde a poise (P). Per lavorare con i numeri interi

si usa il centipoise (cP), il sui valore di riferimento è per l'acqua a 20°C, con η= 1cP.

Esiste e viene definita la viscosità cinematica che è il rapporto tra la viscosità dinamica e la densità

del fluido(con dimensioni m2 ∙ sec

-1

V = η/ρ V = m2 ∙sec

-1 (SI)

V = cm2 ∙sec

-1 (cgs) = stokes (SI)

ST= 10-4

m2 ∙ sec

-1 → cST = 10

-6 m

2 ∙ sec

-1

Per lavorare con numeri interi si utilizza il centiStokes (cST), per l'acqua a 20°C V = 1cST. Questo

è vero quando si considera un fluido puro però se si vuole misurare la viscosità di una soluzione, si

misurerà la viscosità relativa che è il rapporto tra la viscosità della soluzione e la viscosità del fluido

che funziona da solvente(ηo): ηr = η/ηo

Nel caso di una dispersione colloidale bisogna tenere conto della viscosità del fluido che funziona

da fase disperdente e da Φ, che è la frazione di volume della fase colloidale; nel caso della

sospensione basterà fare il rapporto tra la viscosità e quanto volume occupa la fase colloidale: η =

ηo (1+2,5Φ).

I fluidi si distinguono in fluidi newtoniani e non newtoniani . I fluidi newtoniani hanno la

caratteristica di avere un valore di viscosità costante ad una certa temperatura, e per ogni coppia di

valori: sforzo di taglio/velocità di taglio.

Se si costruisce un reogramma ,cioè l'andamento del fluido

newtoniano ad una determinata temperatura, si avrà una retta che

passa per l'origine. τ = η ∙ D, dove η corrisponde alla pendenza

della retta,che è costante per tutte le coppie di valori di sforzo di

taglio/velocità di taglio. L'esempio è l'acqua e le soluzioni

idroalcoliche. Dal grafico si vede come la velocità di flusso

aumenta linearmente con l'aumentare della forza applicata.

I fluidi non newtoniani presentano 3 diversi tipi di flussi:

1) fluido plastico(Birgham fluids)

2) pseudoplastico

3) fluido dilatante

Se si disegna il reogramma(chiamato così perchè lo studio delle variazioni di viscosità si chiama

reologia, da reo scorrere), si misura il ritardo; questo si misura misurando l'angolo di deviazione del

cilindro trascinato

dove k dipende dal viscosimetro, M è la deviazione del cilindro trascinato

e ω è la velocità angolare del cilindro che è libero di muoversi.

1) nel fluido plastico, all'inizio si applica uno sforzo di

taglio ma il fluido non scorre;inizia a scorrere lentamente fino

a un certo valore di sforzo di taglio in cui scorre e si comporta

come un fluido newtoniano. Il valore soglia si chiama valore

di scorrimento χ. Un esempio sono le sospensioni in cui sono

aggiunti dei polimeri come agenti ispessenti;questo perché

all'inizio lo sforzo di taglio servirà ad ordinare le catene

polimeriche e,da un certo valore, saranno ordinate e il fluido

si comporterà come uno newtoniano.

2) nel fluido pseudo plastico non c'è mai un momento in cui

la viscosità è costante, cioè la viscosità cambia istante per istante

per ogni coppia di valori sforzo di taglio/velocità di taglio. In

particolare, aumentando lo sforzo di taglio, la viscosità

diminuisce,cioè la resistenza che il fluido oppone allo scorrimento

diminuisce perchè la viscosità si definisce anche come l'inverso

della fluidità.

3) nel fluido dilatante, la viscosità di taglio e lo sforzo di

taglio, il valore di η cambiano istante per istante ma in maniera

opposta, cioè aumentando lo sforzo di taglio la viscosità aumenta.

Per esempio, se si mescola H2O e sabbia in un secchietto, la paletta

si ferma. Aumentando la velocità di taglio, la viscosità del sistema

si ferma. Nel caso dei fluidi dilatante, maggiore è lo sforzo di

taglio, maggiore è η e quindi aumenta la resistenza che il fluido

oppone allo scorrimento(un esempio è il tubetto di crema, in cui

aumentando lo sforzo di taglio la crema non esce più).

Ci sono, per esempio, delle preparazioni di uso dermatologico, le paste , che sono costituite da una

fase grassa in cui è dispersa una grande quantità di solido (fino al 50%), che è l'esempio tipico di

flusso dilatante;ciò è importante per capire quale contenitore scegliere in quanto la pasta non può

essere dispensata nel tubetto ma deve essere dispensata nel barattolo(dato che è un flusso dilatante)

perchè aumentando lo sforzo di taglio la viscosità aumenta e quindi la pasta non uscirà dal tubetto.

La viscosità si misura tramite 2 tipi di strumenti che possono essere utilizzati a seconda ci si trovi di

fronte a un fluido newtoniano o non newtoniano. In farmacopea viene definita la viscosità come la

forza tangenziale riferita all'unità di superficie, detta forza di taglio, necessaria a spostare

parallelamente al piano di scorrimento uno strato di liquido di 1m2 alla velocità di 1m/s, rispetto ad

un piano parallelo situato alla distanza di 1m. Il rapporto dV / dx costituisce il gradiente di V di

taglio espressa in sec-1

. La farmacopea dice che il viscosimetro a capillare può essere utilizzato solo

per determinare la viscosità di fluidi newtoniani, perchè ciò che si misura è il tempo di deflusso che

il liquido impiega per andare da un punto ad un altro nel capillare e da tempio di deflusso, dalla

densità del liquido e dalla costante k(che è un parametro che dipende dal viscosimetro) si può

determinare η. Quindi solo per i fluidi newtoniani perchè η è costante e quindi viene ricavata dal

tempo di scorrimento. L'altra apparecchiatura è il viscosimetro a corpo rotante che è costituito da

due cilindri coassiali; un cilindro è pieno ed uno è cavo. Uno dei due è mosso da un motore, mentre

l'altro viene trascinato nella rotazione;quando i 2 cilindri coassiali non hanno nulla in mezzo,questi

si muovono alla stessa velocità. Quando tra i 2 si pone un liquido,questo,opponendo una resistenza,

tarda la rotazione. Il ritardo si misura con l'angolo di deviazione del cilindro trascinato. Quindi la

viscosità dipende da μ(deviazione del cilindro trascurato) su ω (velocità angolare del cilindro che

trascina il fluido). η = k ( μ/ω).

Parlando di viscosità sono stati classificati i fluidi in newtoniani e non newtoniani; i fluidi non

newtoniani sono i fluidi in cui la viscosità varia dipendentemente dalla coppia forza di taglio-

velocità di taglio;nell'ambito dei fluidi non newtoniani si hanno i fluidi puramente viscosi(cioè nei

quali la viscosità, ovvero la fluidità, varia al variare della forza di taglio), poi c'è un'altra classe in

cui la viscosità varia al variare del tempo di applicazione della forza di taglio e sono i fluidi con

viscosità dipendente dal tempo. Questi fluidi, a loro volta, possono essere distinti in:

– fluidi tissotropici

– fluidi reo pectici

Questi due comportamenti reologici si distinguono mantenendo costante l'intensità della forza

applicata, valutando la variazione del comportamento reologico al variare del tempo di applicazione

della forza. In particolare, i fluidi tissotropici , per mantenere costante la resistenza allo

scorrimento(η costante) hanno bisogno che nel tempo si riduca l'intensità della forza

applicata;mentre i fluidi reopectici, per mantenere costante η,richiedono che nel tempo l'intensità

della forza sia gradualmente aumentata. Si parte dal presupposto che si vuole un sistema in cui la

viscosità rimanga costante, cioè mantenga lo stesso valore: nel caso dei fluidi newtoniani ciò è

semplice perchè lo fanno da soli, infatti per ogni coppia di valori sforzo di taglio e v di taglio(ad una

determinata temperatura), la η rimane costante,cioè il fluido oppone allo scorrimento la stessa

resistenza. Nel caso in cui, invece, si ha a che fare con dei fluidi non newtoniani si vuole che η

rimanga costante, cioè che il fluido imponga allo scorrimento la stessa resistenza. Se ci si trova di

fronte a dei fluidi tissotropici si deve diminuire, nel tempo, l'intensità della forza applicata e nel

caso dei fluidi reopectici si deve aumentare nel tempo la forza applicata. Lo scopo è quindi di

mantenere costante η in un sistema in cui η non sarebbe costante.

La tissotropia è una traformazione gel-sol reversibile e isoterma. Un esempio sono i dentifrici o il

ketchup che vengono conservati a testa in giù,che sono costruiti come dei gel tissotropici(ciò che

quindi permette a questi di non uscire dal recipiente). Nella tissotropia, quando si aumenta la forza

di taglio non si riforma il sistema. All'aumentare dello sforzo di taglio, la η diminuisce; quando si

smette di applicare lo sforzo di taglio si avrà una curva non sovrapponibile con quella di prima ed il

sistema torna indietro, sempre in modo che η rimanga costante. In pratica, quando si smette di

applicare la forza di taglio, la velocità di flusso è maggiore, cioè la viscosità è minore. Questo ciclo

si chiama ciclo di isteresi e la quantità del fluido tissotropico è data dall'area all'interno del ciclo, e

quindi si valuta con i reogramma, calcolando l'area all'interno del ciclo di isteresi

Il fluido dilatante è il comportamento reologico per le vernici, in quanto la vernice deve avere una

fluidità utile per poter dipingere, ma quando si smette di applicare la forza di taglio deve diminuire

il limite di scorrimento;quindi deve essere fluido quando si applica lo sforzo di taglio ma deve

aumentare la sua η immediatamente quando si smette di applicare lo sforzo di taglio per evitare che

la vernice, prima di seccarsi, coli. La reologia, dal punto di vista farmaceutico, è uno studio

fondamentale sui tipi ti fluidi, perchè può influenzare e può dare una misura sulla stabilità, perchè in

un'emulsione in cui le due fasi si separano,cambia il comportamento reologico. È una misura

fondamentale per valutare, nella forma farmaceutica per uso dermatologico, la spalmabilità. Un

altro parametro che può essere influenzato e che deve essere valutato negli studi reologici, è per le

fasi di confezionamento ; si consideri di avere una preparazione di tipo dermatologico o una

preparazione per uso orale; è fondamentale valutare il tipo di flusso,ad esempio nel riempimento dei

flaconi, in quanto si potrebbe avere un fluido, che all'aumentare dello sforzo di taglio può

aumentare la sua η e quindi potrebbe causare problemi nel riempimento uniforme dei flaconi.

I gel sono dei sistemi costituiti da due fasi liquido-solido in particolare un sistema polimerico

reticolato che a contatto con l'H2O dà,generalmente perchè esistono i gel lipofili, un reticolo

tridimensionale in cui si strutturano le catene polimeriche e hanno quindi la caratteristica di avere

un sistema altamente strutturato e con un elevato contenuto di H2O. I gel si possono distinguere in:

– gel chimici

– gel fisici

a seconda che il processo di reticolazione,cioè la formazione della struttura dimensionale sia

ottenuta per aggiunta di agenti reticolanti (che formano il reticolo tridimensionale reagendo

chimicamente) oppure il reticolo tridimensionale può essere ottenuto attraverso metodi fisici come

l'irraggiamento e la variazione di temperatura. I gel sono distinti in: a) di tipo I e b) di tipo II. I gel

di tipo I sono dei sistemi irreversibili, in cui la reticolazione è irreversibile perchè il reticolo è

formato da legami chimici covalenti; si utilizzano,ad esempio, per le lenti a contatto o in impianti ad

uso chirurgico(come quelli auricolari) perchè si fa avvenire la reazione di reticolazione di una

soluzione polimerica più un agente reticolante all'interno di un contenitore che ha una forma

predefinita. Il processo di reticolazione è irreversibile e rompendo la forma il gel mantiene la forma

del contenitore. Quelli che vengono utilizzati in tecnologia farmaceutica sono i gel di tipo II: sono

dei sistemi in cui la reticolazione è reversibile, che può essere chimica(con legami meno forti dei

legami covalenti) o fisica. Sono lentamente solubilizzabili. Inoltre sono caratterizzati da 2 parametri

che sono:

– la concentrazione critica , cioè la concentrazione al di sotto della quale il gel non si forma,

oppure una volta ottenuto il gel ritorna allo stato di sol;

– la temperatura di gelificazione,temperatura al di sotto della quale il sistema torna dallo

stato di sol allo stato di gel.

Quindi sono dei gel reversibili e i fattori che possono spostare l'equilibrio dal gel al solo sono la

concentrazione critica e la temperatura di gelificazione. La maggior parte sono dei derivati della

cellulosa oppure del PEG o del polivinilpirrolidone. Esempi di geli presenti in farmacopea sono: i

geli idrofobi, che sono costituiti da polietileni a basso PM in olio minerale (olio di vaselina),oppure

i geli idrofili, in cui una formulazione è presente in farmacopea ed è del glicerolato d'amido in cui il

gel è costituito dalla gelatina(gel di derivazione animale).

Gli agenti gelificanti naturali sono:

– le gomme

– gli alginati (polimeri che derivano dalle alghe)

– i carragenati (polimeri che derivano dalle alghe)

– pectine, presenti nella frutta

– xantani

tranne le gomme, le altre classi di polimeri sono tutti polisaccaridi.

Gli agenti gelificanti chimici sono:

– carbameri, polimeri dell'acido acrilico;

– derivati della cellulosa;

– polietilene e suoi capolimeri;

– silice;

– argina e caolina;

– PVP (polivinilpirrolidone) e il polivininalcol;

– paloxamer(capolimeri a blocchi).

Nella farmacopea è descritta la composizione del gel base per preparazione semisolida per

applicazione cutanea: la composizione è: caramellosa sodica59 (o explotab) ,glicerolo 85%

g10,acqua depurata q.b a g 100. Inoltre dice che la caramellosa sodica può essere sostituita dalla

idrossietilcellulosa. Il glicerolo è presente in questa preparazione perchè è un plasticizzante: cioè fa

in modo che non si perda(o si perda in misura ridotta) l'H2O all'interno della preparazione. Invece la

caramellosa sodica o l'idrossietilcellulosa è un polimero,e viene messa se, dopo la formazione del

gel, l'H2O evapora(perchè c'è una concentrazione critica di gelificazione),cambia il rapporto tra il

polimero/quantità di H2O e cambia anche la struttura e la natura del gel.

Questi sono degli esempi di gel

Gel per capelli:

carbopol(agente gelificante)

polivinilpirrolidone(agente gelificante)

alcol al 95 %

trietanolammina( è un conservante)

H2O depurata

Gel antivaricoso:

ippocastano ES (PA)

hannamelis ES (PA)

carbopol 9110(agente gelificante)

glicolpropilenico(cosolvente che serve a solubilizzare i conservanti e i PA)

Nipagina(conservante)

Nipasolo(conservante)

olio di ricino

profumazione

NaOH sol 10%(serve a realizzare il gel)

H2O depurata

Essaven gel

escina, eparina sodica, fosfatidilcolina(PA)

isopropanolo (solvente tossico,che dovrebbe essere assente ma in questa formulazione è

indispensabile per solubilizzare)

glicerolo (plasticizzante)

trietanolammina (agente gelificante)

H2O di colonia

H2O depurata

rosmarino essenza lavanda essenza

Preparazioni per uso dermatologico

Nelle preparazioni per uso dermatologico la struttura anatomica interessata è l'epidermide,

costituita(andando dall'esterno verso l'interno):

1) strato corneo, che è uno strato di cellule morte e che serve per difendere l'organismo,per

impedire che sostanze esterne possano aggredire la pelle;

2) altri strati

3) strato sottocutaneo nel quale si trovano i vasi sanguigni e i bulbi piliferi.

Quindi una preparazione per uso dermatologico potrà agire sulla superficie della pelle oppure avere

come target i singoli strati successivi. Si potranno avere delle sostanze che si devono fermare sulla

superficie senza nessun assorbimento, e questo è quello che per legge viene chiesto al

cosmetico(come ad esempio i coloranti non devono essere assorbiti). Ci sono delle sostanze che

devono raggiungere lo strato corneo, e che comunque devono essere assorbite attraverso lo strato

corneo ed hanno però come target la parte superficiale dell'epitelio (emollienti e gli esfolianti).

Potranno essere realizzate delle forme farmaceutiche(in quanto è il tipo di forma farmaceutica che

fa in modo che il principio attivo raggiunge uno strato piuttosto che un altro) che hanno come target

gli annessi cutanei(ghiandole sebacee o bulbi piliferi); si possono fare delle preparazioni per

veicolare principi attivi che esplichino un'azione a livello locale oppure realizzare delle

formulazioni che consentano al principio attivo di arrivare nello strato sottocutaneo e quindi al

torrente circolatorio per avere un'azione sistemica. Tutto questo si fa modificando il veicolo e quindi

scegliendo l'adeguata composizione del veicolo si può fare in modo che il PA si fermi alla superficie

o che possa essere assorbito.

Il processo di passaggio attraverso la pelle è un processo di tipo diffusivo, quindi dalla prima legge

di Fick:

J= flusso, D= coefficiente di diffusione(cm2/sec), dc/dx è una forza. Cioè un flusso viene generato

da una forza attraverso un coefficiente,che si chiama coefficiente fenomenologico, che in questo

caso è un coefficiente di diffusione; cioè il flusso si genera a spese della forza(e si nota dal segno (-)

del coefficiente). La diffusione attraverso la pelle è una diffusione unidirezionale(anche se nella

pelle c'è una diffusione laterale), nel caso più semplice in cui il gradiente di concentrazione viene

considerato solo sull'asse x ovvero una diffusione solo attraverso la pelle, l'assorbimento attraverso

la pelle avrà un andamento di questo tipo:

Si avrà quindi un tempo di latenza in cui si ha l'interazione della

forma farmaceutica con la pelle, una fase iniziale in cui

l'assorbimento è più rapido perchè avviene anche attraverso le

ghiandole sebacee e i bulbi piliferi(questo assorbimento si

chiama di derivazione pilosebacea; quando gli annessi cutanei,

sopo un breve lasso di tempo, saranno saturi, l'assorbimento

dipenderà soltanto da una costante perchè la velocità di

assorbimento sarà data dal coefficiente di diffusione attraverso la pelle, K il coefficiente di

ripartizione, Co è la concentrazione iniziale e h lo spessore della pelle. Quindi

I fattori che influenzano la diffusione: il coefficiente di ripartizione, cioè la capacità del principio

attivo di ripartirsi tra una fase idrofila e una lipofila, ed ovviamente le variazioni di pH, perchè

secondo la legge di ripartizione secondo pH, la forma che viene assorbita è la forma indissociata e

quindi, dipendentemente dal pka della sostanza, in base al pH in cui la sostanza si trova sarà nella

forma dissociata o indissociata;bisogna considerare che il pH di una pelle sana è intorno a

5,5,quindi leggermente acido. Ci sono poi dei fattori relativi alla pelle che influenzeranno la

diffusione del principio attivo. Uno dei fattori è lo spessore della pelle, e il distretto dell'organismo

sul quale si applica la preparazione per uso dermatologico(le piante delle mani e dei piedi sono

totalmente cheratinizzate e quindi sono delle zone del corpo in cui non avviene l'assorbimento,

mentre la pelle dietro l'orecchio è quella con meno spessore). Un altro fattore è lo stato di

idratazione della pelle, perchè una pelle più idratata ha più H2O e quindi indipendentemente da K

del principio attivo, l'assorbimento attraverso la pelle risulterà aumentato o rallentato;inoltre

l'idratazione della pelle è correlata all'età,con la pelle anziana che è meno idratata di quella di un

bambino. La composizione della pelle varia anche al variare delle diverse etnie e quindi ci sono

anche delle caratteristiche di popolazione che influenzano l'assorbimento cutaneo così come la cute

sana rappresenta una barriera per l'assorbimento, una cute infiammata o una cute lesa è una cute che

assorbe molto di più, una cute perturbata(come nel caso della psoriasi) in cui cambia la

composizione della cute ha delle caratteristiche di assorbimento diverse.

Per fare in modo che il principio attivo superi la barriera dello strato corneo si utilizzano I

promotori di assorbimento , che devono essere inerti dal punto di vista farmacologico e

tossicologico e che esplicano la loro azione disorganizzando i lipidi dello strato corneo e quindi

favorendo l'assorbimento. Lo strato corneo funziona da barriera, che essendo cellule morte, sono

completamente prive di H2O e quindi è una barriera fisica all'assorbimento. Questa azione di

disorganizzazione deve essere rapida e completamente reversibile: sono l'alcol(etanolo), DMSO,

DMF(dimetilformaldeide), 2-pirrolidone. Un'altra classe di assorbimento sono i tensioattivi ionici.

Quindi,dato che si modificherà la profondità di penetrazione del principio attivo modificando il

veicolo, si dovrà valutare come l'interazione veicolo – principi attivi influenza l'assorbimento del

principio attivo. Ci sono due possibilità da considerare:

1) se lo stadio lento è l'assorbimento percutaneo;quindi il processo che determina la velocità

della permeabilizzazione è l'assorbimento attraverso la pelle. Questo vuol dire che il veicolo non ha

nessun effetto, ovvero il veicolo rilascia immediatamente il PA, e sarà invece la diffusione

attraverso la pelle a modulare la velocità del processo. In questo caso la velocità di assorbimento

dipenderà dal coefficiente di ripartizione (P) del PA, dal coefficiente di diffusione della pelle (D),

dall'area dell'applicazione (A) e dalla concentrazione del PA nel veicolo e inversamente

proporzionale allo spessore della pelle da attraversare(h):

2) se invece lo stadio lento è il rilascio della forma farmaceutica, l'assorbimento percutaneo

sarà influenzato dalla diffusione dal PA nel veicolo, più che attraverso la pelle. In questo caso ci

sono 2 possibili situazioni:

a) quello in cui il veicolo sia una soluzione , e quindi il PA è già pronto per essere assorbito. La

velocità di assorbimento corrisponderà

Co = concentrazione iniziale che dipenderà dal coefficiente di ripartizione attraverso il

veicolo(DV), h è lo spessore.

b) se il veicolo sia una sospensione , si dovrà valutare anche la dissoluzione del PA che poi

diffonderà solo sotto forma di soluzione

Quindi la velocità dipenderà dalla quantità totale di PA sospeso nel veicolo(A), dalla solubilità nel

veicolo(Cs), dalla diffusione attraverso il veicolo (Dv);anch'essa varia al variare della radice

quadrata. Poiché generalmente la quantità totale del PA nel veicolo è molto maggiore di Cs

(A>>Cs),si può utilizzare la forma semplificata in cui non compare Cs, ovvero la solubilità è

trascurabile rispetto alla quantità iniziale di PA. Queste 3 leggi sono le leggi di Higuchi che

regolano la diffusione attraverso la pelle di un PA disperso in una preparazione per uso

dermatologico. Come possono essere classificate le preparazioni per uso dermatologico

Le preparazioni per uso dermatologico sono costituite da 3 fasi (la polvere, la fase grassa e la fase

acquosa) che possono essere mescolate tra loro per dare le diverse forme farmaceutiche per uso

dermatologico. Quella più semplice è la forma costituita solo da polveri; in questo caso si hanno lo

polveri aspensorie come il talco. Se si mescola una fase grassa con delle polveri(come la pasta

all'ossido di zinco) sono le paste, che sono caratterizzate dall'avere una quantità di polvere

inglobata in una singola fase grassa fino al 50%: è per questo che la pasta ha un comportamento

reologico dilatante. Poi si hanno gli unguenti, che sono costituiti da PA dispersi in una fase grassa;

l'unguento che avrà una η elevata rispetto alle altre formulazioni, si utilizza quando la preparazione

per uso dermatologico deve restare a contatto con la cute. Ci sono le basi di assorbimento che sono

costituite da una fase grassa e da una frazione emulsionante(come la lanolina): si chiama base di

assorbimento perchè riesce ad inglobare un'elevata quantità di H2O. Quando sono presenti la fase

grassa, la fase acquosa e gli emulsionanti si hanno le creme,che sono, dal punto di vista fisico delle

emulsioni, che possono essere A/O o O/A: le creme O/A sono dette anche lavabili perchè essendo

l'H2O la fase esterna, lavorando con l'acqua si diluisce l'emulsione e quindi si elimina. Quando la

fase acquosa è preponderante rispetto alla fase grassa e all'emulsione si hanno le lozione, mentre

quando si hanno i PA dispersi in H2O si hanno i Bagni; quando il sistema torna bifasico ma si ha

una polvere in H2O si hanno le lozioni per frizioni.

Gli eccipienti per uso dermatologico possono essere classificati in lipofili e in idrofili e possono

anche essere classificati a seconda del grado di penetrazione all'interno della pelle. Si avranno così

gli eccipienti epidermici, che fanno in modo che il PA resti nello strato superiore dell'epidermide,

gli endodermici, quando si raggiungono gli strati sotto quello corneo ma senza l'assorbimento, e gli

eccipienti diadermici. La classificazione dal punto di vista chimico (lipofili ed idrofili) e all'interno

di queste classi li suddivido in a)monofasibi e b) bifasici.

Eccipienti lipofili

La vaselina idrofila è costituita da una fase grassa(vaselina bianca, cera bianca e alcol steratico) e il

colesterolo come agente emulsionante(tensioattivo che permette di incorporare H2O)

a)

monofasici che non incorporano Grasso

H2O

vaselina siliconi

(dimeticone)

naturali che incorporano lanolina anidra

H2O

vaselina idrofila lanovaselina alcoli di lanolina

b) bifasici (emulsioni O/A) → lanolina e cold cream

eccipienti idrofili: a) monobasici → PEG e idrocolloidi e b) bifasici (creme lavabili) → a base di

stereati (evanescenti) e emulsionanti complessi.

Le preparazioni per applicazioni cutanee possono essere classificate in base ai sostituenti e

quindi alle fasi dei costituenti (la fase solida, grassa, acquosa e l’emulsionante ovvero lo

stabilizzante principale di questo tipo di formulazione); in farmacopea la suddivisione viene fatta in

base alla natura fisica delle preparazioni quindi si avranno le preparazioni liquide, le polveri per

applicazione cutanea e le preparazioni semi solide per applicazione cutanea (che veniva chiamata

anche pomata). Nella definizione di preparazione per applicazione cutanea secondo la farmacopea

entra il concento di viscosità: nella definizione si dice che sono preparazioni liquide diversa

viscosità da applicare sulla cute, sul cuoio capelluto e sulle unghie. Ci sono molti studi per le

preparazioni che riguardano le unghie per l’assorbimento trans unguale, sia per la medicina umana

(come antimicotici) sia per i farmaci veterinari, per le infezioni degli animali per alimenti perché la

normativa che riguarda questa classe di animali è estremamente restrittiva. Questo tipo di

applicazione può avere un effetto locale o un effetto sistemico attraverso la diffusione trans

dermica, il target può essere la superficie della cute o la cute oppure può prevedere l’effetto

sistemico attraverso l’assorbimento attraverso lo strato immediatamente sottostante l’epidermide.

Le preparazioni liquide per applicazione cutanea invece possono essere soluzioni, emulsioni o

sospensioni. Le preparazioni liquide per applicazione cutanea sono preparazioni di diversa viscosita'

destinate al rilascio locale o transdermico delle sostanze attive. Sono soluzioni, emulsioni o

sospensioni che possono contenere uno o più principi attivi in un adatto veicolo. Possono

contenere idonei antimicrobici, antiossidanti e altri eccipienti, quali stabilizzanti, emulsionanti

e addensanti. Le emulsioni possono presentare segni di separazione di fase, ma sono facilmente

ricostituite per agitazione. Le sospensioni possono presentare un sedimento che si disperde

facilmente dopo agitazione per dare una sospensione che e' sufficientemente stabile da permettere la

somministrazione di una preparazione omogenea. Quindi in queste preparazioni bisogna fare in

modo che nell’agitazione il sistema abbia una riduzione di viscosità che consenta di versare una

dose omogenea di principio attivo e che invece nel tempo, quando si deve conservare, si abbia un

incremento di viscosità che renda stabile la preparazione. Le preparazioni destinate

specificatamente all’applicazione su cute gravemente lesa sono sterili. Si possono distinguere varie

categorie di preparazioni liquide per applicazione cutanea, per esempio:

shampoo, è una preparazione medicata che deve agire sulla superficie della cute e quindi

non devono presentare assorbimento

schiume cutanee.

Le polveri per applicazione cutanea sono preparazioni costituite da particelle solide, non aggregate,

secche, di vari gradi di finezza. Contengono uno o più principi attivi, con o senza eccipienti e, se

necessario, coloranti autorizzati dall’autorità' competente. Le polveri per applicazione cutanea si

presentano come polveri a dose unica o come multidose; sono prive di granulosità. Le polveri

indicate specificamente per l’uso su larghe ferite aperte o su cute gravemente lesa sono sterili.

Hanno delle caratteristiche che devono essere valutate quali la finezza della polvere e , nel caso che

la polvere deve essere applicata sulla cute lesa o sulle ferite, deve essere sterile e quindi deve essere

formulata in modo da sopportare la sterilizzazione. Infatti una polvere granulata può risultare

abrasiva per la pelle. Le applicazioni semisolide per applicazione cutanea Le preparazioni

semisolide per applicazione cutanea sono destinate al rilascio locale o transdermico di principi

attivi, oppure hanno azione emolliente o protettiva. Hanno aspetto omogeneo. Le preparazioni

semisolide per applicazione cutanea sono costituite da una base semplice o composta in cui,

usualmente, sono disciolti o dispersi uno o piu' principi attivi. Secondo la sua composizione, la base

può influenzare l’azione della preparazione. Le basi possono essere costituite da sostanze naturali o

sintetiche e possono essere sistemi ad una fase o multifase. Secondo la natura della base, la

preparazione può avere carattere idrofilo o idrofobo (lipofilo), può contenere additivi adatti come

antimicrobici, antiossidanti, stabilizzanti, emulsionanti, addensanti e sostanze che aumentano

l’assorbimento.

Le preparazioni semisolide per applicazione cutanea destinate all’uso su pelle gravemente

danneggiata sono sterili. Si possono distinguere varie categorie di preparazioni semisolide per

applicazione cutanea: unguenti, creme, gel, paste, cataplasmi, impiastri medicati. Le ultime

due sono rientrate in farmacopea come forme farmaceutiche della vecchia galenica. Secondo la loro

struttura, unguenti, creme e gel generalmente hanno un comportamento viscoelastico ed un carattere

non-newtoniano, per esempio un flusso di tipo plastico, pseudoplastico o tissotropico ad alte

velocità di taglio. Le paste spesso mostrano un flusso dilatante. I cataplasmi consistono di una

base idrofila, che trattiene il calore, in cui sono dispersi principi attivi solidi o liquidi. Sono

usualmente spalmati in strato spesso su una tela adatta e scaldati prima dell’applicazione alla pelle.

Una base che si utilizza come base per i cataplasmi sono i semi di lino riscaldati; in questi viene

dispersa il principio attivo (generalmente si utilizzano per le problematiche respiratorie) e hanno

una consistenza sgradevole. Li hanno rimessi in uso perché la medicina tradizionale e quella

“naturale” sono tornati di moda. Al contrario dei cataclasmi, gli impiastri medicati sono una

preparazione flessibile in quanto il cataplasmo è una sacca che viene applicata l’impiastro medicato

può assume nere anche le caratteristiche di un cerotto e quindi si adatta alla parte che deve essere

trattata ed è a contatto diretto con la pelle (al contrario del cataplasma). Le schiume medicate sono

preparazioni costituite da grandi volumi di gas disperso in un liquido generalmente contenente uno

o piu' principi attivi, un tensioattivo che assicuri la loro formazione e vari altri eccipienti. Sono di

solito destinate ad essere applicate sulla cute o sulle mucose. Sono anch’esse un sistema disperso

dove la fase dispersa è un gas dispersa in un liquido, generalmente si formano al momento della

somministrazione: quindi nella bomboletta c’è la preparazione liquida in cui è disperso il gas e

sottoponendola all’azione della pressione della valvola dosatrice si attua la formazione della

schiuma. Nel caso in cui le schiume devono essere applicate sulle ferite, la formulazione deve

garantire la sterilità. Generalmente le schiume medicate sono per un’azione locale e non sistemica

(come antidolorifici, anticontusioni, rilassanti).

Come si valuta l’assorbimento percutaneo in vitro: sostanzialmente gli studi preliminari vengono

fatti in vitro utilizzando dei sistemi a stato stazionario in cui c’è la presenza di due compartimento:

uno donatore e uno accettore, e le celle possono essere verticali o orizzontali. La caratteristica

comune è quella di avere un compartimento donatore e uno accettore separati da una membrana che

simula la pelle. Si possono usare delle membrane sintetiche che sono della membrana lipofile, che

hanno una valenza relativa. Così come l’utilizzo di pelle animale o umana, che però ha la

caratteristica di essere il tessuto più simile (anziché della membrana) ma è un organo che è morto:

in vivo infatti sono presenti enzimi, fluidi biologici, il flusso sanguigno e comunque sono degli

esperimenti che sono fatti per uno screening iniziale che comunque hanno bisogno della prova in

vivo. La pelle più simile a quella umana come composizione è la pelle di maiale, dove infatti la

maggior parte degli esperimenti sull’assorbimento percutaneo viene fatta sulla pelle dei maiali.

I cerotti transdermici sono preparazioni farmaceutiche flessibili di varie dimensioni, contenenti

uno o piu' principi attivi, da applicare sulla pelle integra per rilasciare il o i principi attivi alla

circolazione sistemica, dopo aver attraversato la barriera cutanea. Sono costituiti normalmente da

una protezione esterna che serve da supporto a una preparazione contenente il o i principi attivi. La

loro superficie di rilascio è protetta da una copertura che è rimossa prima di applicare il cerotto alla

pelle. La preparazione contiene il o i principi attivi insieme con eccipienti come stabilizzanti,

solubilizzanti o sostanze destinate a modificare la velocità di rilascio o ad aumentare l’assorbimento

trans dermico. I cerotti trans dermici sono utilizzati per la somministrazione di sostanze che sono

particolarmente attive (come per le crisi di angina) e poi perché sono d’immediata applicazione e

soprattutto perché sono a immediata rimozione. Quindi il cerotto si toglie l'effetto indesiderato e

l'effetto collaterale finisce rapidamente.

I vantaggi della via transdermica rispetto a quella orale:

L'eliminazione della variabilità dell'assorbimento che può avvenire a livello gastrico

enterico; quindi sono dei principi attivi che devono essere immediatamente disponibili e in

maniera costante;

eliminazione dell'effetto di primo passaggio da parte del fegato;

Somministrazione costante e controllata del farmaco;

Eliminazione di picchi plasmatici di farmaco.

Il cerotto transdermico è realizzato con :

1. Una protezione esterna che funziona da sostegno e da protezione (generalmente) ed è

costituito da materiale impermeabile

2. Pellicola protettiva, che ha un foglio di materiale plastico metallico, rimosso

dall'applicazione del cerotto sulla pelle e serve per l'integrità del cerotto prima

dell'applicazione;

3. La parte centrale del cerotto che la formulazione delle proprie in cui è incluso il principio

attivo ed è definita preparazione o deposito del farmaco.

I cerotti transdermici possono essere realizzati secondo una classificazione: si hanno i sistemi

riserva o i sistemi a matrice, costituiti da una matrice polimerica nella quale sarà incluso il

principio attivo.

Sistema transdermico a riserva: si nota la protezione esterna (1), il deposito di farmaco, lo strato

adesivo, la pellicola protettiva e tra il deposito di farmaco e la parte adesiva c'è una membrana

polimerica che è quella che controlla il rilascio. Quindi nei sistemi transdermici a riserva la velocità

di rilascio del principio attivo è controllata dalla diffusione attraverso una membrana polimerica,

quindi la natura di questa membrana polimerica consentirà al formulatore di avere una velocità

fusione più o meno elevata o più o meno costante nel tempo e sarà questo passaggio a influenzare la

biodisponibilità del principio attivo. Un esempio in commercio è il transdermnitro in cui il principio

attivo è la glicerina e quindi utilizza per gli attacchi di angina: il deposito è costituito dal principio

attivo in un diluente in un mezzo diffuso e la membrana polimerica , che è la parte fondamentale di

questo sistema è una membrana costituita da un copolimero di polietilene e di vinilacetato.

Nei sistemi invece a matrice la diffusione del principio attivo è controllata da una matrice

polimerica: quindi principio attivo può essere disperso in una matrice polimerica e sarà funzione

attraverso questa matrice polimerica a regolare il rilascio del principio attivo oppure si avrà una

membrana polimerica che controlla il rilascio del principio attivo. Le caratteristiche del principio

attivo che consentono l'ipotesi di formularlo in un cerotto transdermico sono: innanzitutto deve

essere un principio attivo con un'alta potenza ovvero una dose inferiore a 2 mg pro die quindi deve

essere un farmaco molto vivo. Non deve essere irritante sulla pelle e deve avere un adatto

coefficiente di ripartizione che consente la diffusione attraverso la pelle ( anche adatte dimensioni).

Esempi sono: nitroglicerina, la scopolamina, gli ormoni (perché esistono delle formulazioni di

ormoni estrogeni per la terapia sostitutiva per le donne in menopausa), fentanyl (che necessita, per

essere somministrato come forma farmaceutica transdermica, di accortezze formulative particolari).

Non solo le caratteristiche del principio attivo devono essere valutate per ipotizzare l'uso di un

transdermico ma conosce anche in base alla regione del corpo su cui applicare il cerotto: questo è

l'esempio che riguarda l’idrocortisone. Quindi non solo bisogna valutare le caratteristiche del

principio attivo ma deve essere valutata anche la zona su cui deve essere applicato il cerotto; la zona

è scelta in base alla permeabilità del principio attivo in zone diverse dell'organismo. Esistono delle

tecniche per aumentare l'assorbimento percutaneo: una di queste è la iontoforesi cioè applicare una

corrente elettrica sulla cute che favoriscono il passaggio del principio attivo attraverso la pelle.

Sono stati realizzati dei sistemi miniaturizzati all'interno dei quali viene costruito un sistema di

iontoforesi e quindi un cerotto transdermico che ha all'interno del sistema di ionoforesi, che si attiva

attraverso una pila che applica una corrente quindi favorisce il passaggio del principio attivo

attraverso la pelle. Un altro esempio sono i cerotti con i micro aghi; sono un cerotto dalle

dimensioni normali la cui parte centrale nella quale viene inglobato il principio attivo ha dei micro

aghi generalmente di titanio e applicandoli, e quindi forano la pelle, si facilita assorbimento

attraverso la pelle.

Preparazioni liquide per l'uso orale

come vantaggi presenta un campo di applicazione vasto, una maggiore biodisponibilità del

principio attivo e una applicabilità superiore in campo pediatrico e geriatrico, perché non c'è

bisogno dell'atto della deglutizioni . Come inconvenienti si ha l'instabilità, perché rispetto alla

polvere o alle forme farmaceutiche solide, la reattività chimica e i processi di degradazione sono

estremamente più evidenti in forma liquida che forma solida. In farmacopea, Le preparazioni

liquide per uso orale sono generalmente soluzioni, emulsioni o sospensioni che contengono uno o

piu' principi attivi in un veicolo adatto; possono tuttavia essere costituiti da principi attivi liquidi

usati come tali (liquidi orali).

La differenza dal punto di vista normativo tra preparazione liquida per uso orale e il liquido orale

che il liquido orale è solo il principio attivo, dal punto di vista farmaceutico la preparazione liquida

per uso orale implica la presenza di eccipienti (veicolo); cioè il liquido orale è una formulazione

costituita da soli principi attivi e le preparazioni liquide per uso orale implica la presenza di uno o

più principi attivi ma anche di eccipienti. In questo caso la farmacopea indica come veicolo adatto.

La farmacopea dice anche quali sono le modalità di preparazione di queste forme farmaceutiche:

o per diluizione di preparazioni liquide concentrate;

per la preparazione di soluzioni o sospensioni a partire da polveri o granulati; quindi la

preparazione liquida per uso orale si può presentare come proprio una preparazione liquida

cioè già nello stato fisico di liquido oppure si può presentare fisicamente con un solido che

verrà portato in soluzione o in sospensione al momento dell'utilizzo dall'utilizzatore per

aggiunta, generalmente, di acqua; quindi sarà la persona che segue l'ultimo passaggio nella

preparazione liquida.

Il veicolo, dice la farmacopea, sarà scelto in base alla natura dei principi attivi per dare

caratteristiche organolettiche adatte all'uso previsto della preparazione. Quali sono le caratteristiche

da prendere in considerazione del principio attivo per scegliere gli adeguati eccipienti: Se si vuole

preparare una soluzione le caratteristiche del principio attivo da valutare è la solubilità; se la

solubilità in acqua è praticamente nulla si dovrà realizzare una sospensione. Un'altra caratteristica è

il sapore. Dipendentemente dall'odore dal sapore, come l’emulzione lassativa preparata con l'olio di

vaselina che ha un odore e un sapore sgradevole, questo viene coperto preparando un’emozione in

acqua dove l'acqua è dolcificato con lo zucchero. Una caratteristica che non è legata alla chimica

del principio attivo, nel caso per esempio di una sospensione andrà valutata la granulometria della

polvere.

Si possono distinguere parecchie categorie di preparazioni:

soluzioni, emulsioni e sospensioni orali,

polveri e granulati per soluzioni e sospensioni orali,

gocce per uso orale,

polveri per gocce orali,

sciroppi,

polveri e granulati per sciroppi.

Tranne le soluzioni, emulsioni e sospensioni orali e gli sciroppi tutte le altre forme farmaceutiche

solide che poi vengono ricostituite al momento all'uso dall'utilizzatore finale. Le soluzioni,

emulsioni e sospensioni orali sono fornite in contenitori unidose o multidose (unidose vuol dire

che la forma farmaceutica dispensata e divisa in una singola unità posologica mentre la

preparazione multidose indica che la suddivisione in unità posologica viene fatta dall'utilizzatore

finale). Ciascuna dose da un contenitore multidose e' somministrata per mezzo di un dispositivo

adatto a misurare il volume prescritto. Il dispositivo e' in genere un cucchiaio o una tazza per

volumi di 5 ml o multipli oppure una siringa orale per altri volumi.

Gli sciroppi sono preparazioni acquose caratterizzate da gusto dolce e viscosita' elevata. Possono

contenere saccarosio (in genere) ad una concentrazione di almeno il 45 per cento m/m o p/p. Il

gusto dolce può essere ottenuto anche usando altri polioli o dolcificanti. Generalmente gli sciroppi

contengono sostanze aromatiche o aromatizzanti. Ciascuna dose da un contenitore multidose viene

somministrata per mezzo di un dispositivo adatto a misurare il volume prescritto. Il dispositivo e'

usualmente un cucchiaio o una tazza per volumi di 5 ml o multipli. L’etichetta indica il nome e la

concentrazione del poliolo o del dolcificante. Se in etichetta quindi non c'è scritto niente oltre le

indicazioni di sciroppo vuol dire che il gusto dolce e la viscosità elevata sono impartite dalla

presenza di elevate percentuali di saccarosio. Quando saccarosio è sostituito da un altro dolcificante

deve essere specificato in etichetta.

La solubilità in farmacopea è la quantità massima di sostanza richiesta per questo saggio e' di 111

mg (per ogni solvente) e il volume massimo di solvente di 30 ml. La solubilità può essere espressa

con varie unità di misura come la concentrazione, %p/p, %p/v, %v/v, non sono usati nelle

preparazioni farmaceutiche in maniera casuale: viene detto nella farmacopea che generalmente le

soluzioni per uso orale e le soluzioni di gas nei liquidi vengono classificate in base alla % p/p, che

le soluzioni per uso parenterali vengono indicati come % p/v e le soluzioni liquide in liquidi

vengono indicate con la % v/v. Questo fa capire perché idroalcolico indicato con % v/v perché è una

soluzione di un liquido in un liquido. In farmacopea le indicazioni di solubilità non vengono date

con il Ks o con Cs ma sono delle indicazioni di tipo pratico (perché la farmacopea è un aiuto a chi

prepara) infatti

Il termine ``parzialmente solubile'' è usato nel caso di

miscele di cui solo alcuni dei componenti si

disciolgono. Il termine ``miscibile'' è usato per

descrivere un liquido che è miscibile in tutte le

proporzioni con il solvente indicato.

Solventi

Quando in farmacopea viene scritta la parola

soluzione implica che sia una soluzione acquosa;

vuol dire che il solvente di bisogni utilizzare è

l'acqua. Se non è espressamente detto l'acqua di bisogni utilizzare l'acqua depurata che risponde a

una specifica monografia di farmacopea e quindi da indicazione sulle caratteristiche di

composizione dell'acqua. L'acqua distillata invece indica acqua depurata ottenuta per distillazione.

Quanto viene detto alcol si indica alcol al 96% v /v. quindi in farmacopea ci sono due monografie di

acqua:

acqua depurata in grande volume

l'acqua depurata ripartita in contenitori

l'acqua depurata si ottiene da acqua potabile che viene deionizzata, generalmente quasi sempre con

una tecniche a scambio ionico e che nel caso dell'acqua sterile e le preparazioni iniettabili viene

distillata. In Italia l'unica che sta ammessa è la distillazione; in altri paesi è ammessa anche le

tecniche di micro filtrazione e di osmosi inversa. L'acqua depurata secondo farmacopea possiede i

requisiti specifici come:

assenza di sali minerali;

assenza di metalli pesanti;

assenza di sostanze ossidabili (perché indicano la contaminazione di microorganismi);

assenza di sostanze alcaline e acide residui;

pH 5,5-6, ovvero deve essere più vicino alla neutralità anche se l'acqua distillata ha un pH

leggermente acido.

Quali sono le soluzioni per uso farmaceutiche propriamente dette:

idroliti, che vuol dire soluzioni in acqua; in questo ambito si trovano le limonate, le

pozioni, i gargarismi, decotti, infusi e tisane.

Gli alcoliti sono le soluzioni a base di alcol.

I gliceriti sono utilizzati nella medicina omeopatica.

Le soluzioni in olio detti oleoliti o oli medicinali o medicali;

Enoliti e acetoliti, cui i principi attivi vengono disciolti in vino o aceto.

Degli esempi di preparazione sono: negli idroliti semplici nelle soluzioni acquose ci sono le

limonate e questo è un esempio di limonata presente nella farmacopea XI ma può essere lo stesso

preparata, in farmacia come galenico officinale, perché riportata in una farmacopea antecedente

alla XII.

Acido citrico

Magnesio carbonato sono aggiunti per sviluppare la CO2

H2O

Sciroppo di limone.

Come si prepara la limonata citro magnesiaca: si scioglie l'acido Citrico in acqua, portata 60°C,

si aggiunge sotto agitazione il carbonato di magnesio e nel recipiente che contiene già lo sciroppo di

limone si introduce la soluzione che si ottenuta filtrando sul cotone. La conservabilità di questa

formulazione, dice la farmacopea, è di due o tre giorni. Questa preparazione zuccherina è una

preparazione altamente viscosa e quindi filtrarla con tutte le sostanze è faticoso, inoltre lo zucchero

caramellizza e imbrunisce quindi se l'acqua viene riscaldata a 60°C e quindi se la preparazione è

eccessivamente calda e questa viene a contatto con una soluzione molto densa di zucchero si può

attivare il processo di caramellizzazione ; invece questo modo, filtrando sul cotone, gocciolando si

raffredda e viene in contatto poco a poco con lo zucchero.

Gli idroliti semplici prendono il nome di pozioni; nelle farmacopea più vecchie c'era un elevato

numero di pozioni: un esempio è la pozione gassosa che, così come la limonata citro magnesiaca, ha

funzioni digestive, per la presenza dell’aroma di limone che per lo sviluppo di anidride carbonica.

Pozione gassosa

Soluzione A: Sodio bicarbonato, sciroppo semplice e H2O depurata

Soluzione B: acido citrico anidro, sciroppo semplice e H2O depurata

queste due soluzioni sono preparate mantenute e separate perché al momento dell'utilizzo vengono

mescolate e l'acido Citrico e il sodio bicarbonato, miscelate insieme, producono una quantità di

anidride carbonica.

Alcoliti: sono soluzioni il veicolo alcolico; possono essere distinti in salini, ammoniacali ed elisir,

che sono soluzioni medicate idroalcoliche edulcorate ed aromatizzate, con l'alcol che ha una

percentuale tra il 20 e il 35% e c'è un'elevata percentuale di dolcificante che più alta se il

dolcificante è il saccarosio si abbassa se è un poliolo perché il potere dolcificante negli edulcorate

sintetici maggiore rispetto a quelli del saccarosio. Come si prepara l'elisir:

1. dato che è costituita da acqua e da alcol, la prima operazione da fare è individuare le

solubilità preferenziali cioè se la sostanza (con le sostanze) sono più solubili in acqua o in

alcol quindi bisogna preparare le diluizioni

2. miscelarle mettendo il volume minore nel volume maggiore, sotto agitazione. Anche questa

è una tecnica che serve a rendere la preparazione più omogenea possibile.

3. Quando è presente il saccarosio si scioglie in acqua;

se si scioglie tutto il saccarosio in tutta l'acqua che bisogna usare per tutta la preparazione potrebbe

darsi che poi quando si miscela la fase acquosa con la fase alcolica, la fase alcolica si separa perché

l'elevata percentuale di saccarosio riduce la miscibilità di acqua in alcol. Quindi si prepara prima lo

sciroppo semplice (acqua e saccarosio), si aggiunge la soluzione alcolica e poi si diluisce con la

restante acqua in modo da riportare la formulazione nella condizione di omogeneità qualora ci fosse

stata separazione delle fasi.

Per sciroppo semplice si intende , in farmacopea, una preparazione costituita da 1/3 di acqua e 2/3

di saccarosio. La caratteristica dello sciroppo semplice è che nonostante abbia un'elevata quantità di

zucchero si definisce una soluzione auto conservante perché, nonostante sia una soluzione di

zucchero in acqua (quindi con possibile crescita di microorganismi ), per l'elevata viscosità

impedisce la crescita dei microrganismi. Si prepara a caldo quindi si porterà all'ebollizione una

determinata quantità di acqua, più alta di quella che sarebbe per la preparazione dello sciroppo

semplice, con l'acqua bollita di fresco si scioglie il saccarosio stando attenti che l'acqua non sia

eccessivamente calda perché lo zucchero potrebbe caramellizzarsi. Si prepara quindi a caldo,

facendo però abbassare la temperatura dell'acqua a 50-60°C e poi si filtra a caldo su garza. La

filtrazione va effettuata quindi su garza e a caldo altrimenti, proprio per elevata viscosità della

preparazione, questa si incolla sull'imbuto.

Un esempio preso della farmacopea è l'elisir di paracetamolo

Alcol etilico ml 20

Glicerina ml 10

EF arancio ml 20

Sciroppo semplice ml 20

H2O depurata ml 45

Il paracetamolo solubile in acqua in rapporto 1:70, quindi avendo 2 g di paracetamolo dovrebbero

servire, per sensibilizzare il paracetamolo, 140 ml di H2O ma nella preparazione ce ne sono solo 45

ml. Quindi come si prepara: L'alcol etilico, in questo caso, serve da cosolvente per il

paracetamolo, in quanto la solubilità in acqua non è elevata ed inoltre l'acqua che è 1/3 di 20 ml è

presente nell'sciroppo semplice quindi la presenza dell'alcol etilico è indispensabile perché funziona

da cosolvente.

1. Paracetamolo in alcol; naturalmente avendo valutato la solubilità del paracetamolo in alcol

2. estratto fluido (che è di natura alcolica) viene inserito nella soluzione alcolica perché così

non precipita niente; l'estratto fluido di arancio è l’ aromatizzante. L'estratto fluido ha

riferito troppo perché è meglio che sia il principio attivo ad essere solubilizzato tutto che

l'estratto fluido, perché la solubilizzazione viene fatta per porzioni successive.

3. L’etanolo può causare la separazione della fase alcolica quindi si mette lo sciroppo semplice

e la glicerina

4. si diluisce con la restante acqua per avere una formulazione omogenea.

Da notare che generalmente si aggiunge il volume maggiore e il volume minore.

In farmacopea gli estratti sono distinti, a parte i fluidi, molli e secchi, in estratti titolati ed estratti

quantificati. L'estratto titolato vuol dire che la concentrazione del principio attivo o dei principi

attivi, che la farmacopea indica come costituenti con l'attività terapeutica nota, è definito.

Generalmente il titolo viene dato, dipende dalle sostanze attive, più o meno 5% o più o meno 10%,

con quindi un intervallo più o meno ristretto intorno al titolo che viene dato a quell'estratto. Gli

estratti quantificati sono aggiustati in un intervallo di costituenti; quindi non basta dire estratto ma

bisogna specificare che, nella quasi totalità degli estratti usati per le preparazioni farmaceutiche, gli

estratti utilizzati sono estratti titolati cioè al titolo noto. Degli esempi presenti nelle vecchie

farmacopea sono ad esempio la tintura di arnica, di mirra che si preparano per macerazione mentre

per percolazione gli estratti di bella donna, digitale e di rabarbaro: questo perché per esempio la

mirra perché è una resina e quindi in acqua dà luogo ad una mucillagine e quindi preparandola per

percolazione si arriva all'otturazione del percolatore. Invece nell'arnica si estrae il fiore e quindi è

facilmente estraibile.

I gliceriti possono essere preparati anche come preparazioni allopatiche (oltre che nella medicina

omeopatica) e sono medicamenti ottenuti per dissoluzione di sostanze medicamentose in glicerina:

possono essere utilizzati per uso esterno e quindi per preparazioni oromucosali (che sono

preparazioni che devono esser utilizzate all'interno della cavità boccale o per avere un'azione locale

o per avere un'azione sistemica), nasali e otologiche , o per uso interno per alcune preparazioni

generalmente da ripartirsi in gocce. Questo è un esempio di glicerita in gocce per uso orale

Gocce di digitossina

Digitossina (PA) mg 50

Metil p idrossibenzoato, g 0.1: o parabene è un conservante.

Glicerina 12.5 ml:

Alcol ml 50

H2O depurata q.b a ml 100;

Come si prepara:

1. per prima cosa bisogna vedere la solubilità di principio attivo, che è solubile in alcol anche

perché la quantità di alcol è molta in confronto all’H2O depurata.

2. Metil p idrossi benzonato con glicerina in H2O;

3. si mescola tutto insieme.

Un esempio di preparazione industriale di glicerita sono le gocce di Valium, il cui principio attivo è

la benzodiazepina ed anche in questo caso è presente acqua, alcol, glicerina e glicolpropilenico.

Sempre tra i veicoli nominati ci sono gli oli, che possono essere usati come principi attivi oppure

come solvente. Il problema dell’ utilizzo degli oli è il l’irrancidimento dell'olio, ovvero processo

ossidativo catalizzato da metalli e dalla luce che avviene a carico degli oli, e quindi quando si

utilizza un olio e necessario utilizzare un antiossidante. Gli oleoliti o gli oli medicati sono delle

soluzioni di uno o più farmaci in veicolo oleoso. Gli oli medicati sono per esempio l'olio di ricino o

di fegato di merluzzo.

I vini medicati ( o enoliti): si usavano gli aperitivi diuretici in cui si metteva in principi attivi nel

vino bianco e i digestivi o i tonici, come per esempio il vino chinato, in cui invece la base era il vino

rosso. Un esempio di enolita è il Vermouth, che normalmente sarebbe un vino medicato in quanto

presenta un principio attivo (che non è più considerato come medicinale ma come sostanza di

abuso), l'Assenzio, che veniva preparato in vino bianco. Può essere anche utilizzato l'aceto

(acetoliti).

Gli emulsionanti possono essere classificati impropriamente in tre classi, in quanto gli

emulsionanti veri e propri sono i tensioattivi:

1. tensioattivi sono le sostanze che favoriscono o comunque mantengono l'emulsione perché

riducono l'energia del sistema;

nella galenica però, quindi non con una terminologia che ha a che fare con la terminologia che fa

riferimento alla corretta azione delle sostanze, si possono avere (però non danno indicazioni sul

meccanismo di azione):

2. gli emulsionanti insolubili: sono storie insolubili in acqua e in olio con una elevata

superficie specifica, capaci di farsi bagnare da acqua ed olio, formano una pellicola

protettiva intorno le goccioline della fase dispersa. Quindi proteggono l'emulsione dal punto

di vista fisico e meritano quindi che le goccioline si avvicinano per arrivare alla rottura

dell'equazione. Sono la bentonite ( un silicato), il idrossido di magnesio e la grafite;

3. quasi emulsionanti che in realtà sono dei modificatori di viscosità (dal punto di vista

fisico), e sono le gomme alchil cellulosa, idrocolloidi o CMC.

Si possono utilizzare come stabilizzanti queste due gomme, che sono di origine naturale, e sono la

gomma adragante (E413, nome commerciale) e la gomma arabica (E4141). Le soluzioni di

queste gomme hanno un pH leggermente acido (la gomma adragante un pH di 5, la gomma arabica

un pH 5-7); anche questo importante per valutare le incompatibilità e le interazioni eventuali, in

particolare sono suscettibili di ossidazione (tramite le per ossidasi) e presentano incompatibilità con

gli ioni di valenti (calcio e magnesio). Ci sono anche altri agenti come: l’agar (anche questo di

derivazione naturale), la metilcellulosa (o methocel), carbossimetilcelluloca (o blanose),

carbossipolimetilene (o carbomer o carbopol, con un pH di 6 -11); le ultime si utilizzano in

percentuale minore rispetto agli altri agenti di derivazione naturale quindi hanno una capacità

viscosizzante più elevata rispetto alle gomme.

I tensioattivi utilizzati sono quelli che sono compatibili con il tratto gastrointestinale perché sono

all'interno di preparazioni per uso orale, e quindi verranno in contatto con la mucosa del tratto

gastrointestinale. Vengono utilizzati:

lecitine: sono di derivazione naturale. Quello più usato è quello denominato Epicuron 130

con edulcorante diverso dal saccarosio.

esteri del saccarosio con acidi grassi: saccarosio mono palmitato o sucrestere.

Le fasi oleose hanno due valori di HLB richiesto, a seconda che l'emulsione e si deve preparare sia

un emulsione A/O o O/A. qui la tabella degli HLBr

Sostanze A/O O/A

Acido stearico / 17

Alcol cetilico / 15

Alcol stearilico / 14

Lanolina anidra 8 10

Oli vegetali 4 10

Oli minerali 4 12

Vaselina 4 8

Cera d’api 4 12

Paraffina 4 11

Alcuni tensioattivi hanno un solo valore di HLBr, perché secondo la regola di Bancroft il

tensioattivo deve essere af ine per la parte esterna e quindi le sostanze con un solo valore di HLBr

non ha un'affinità della fase oleosa e che possono dare solo emulsioni O/A. I conservante da

aggiungere nelle emulsioni O/A, perché i battericidi e i batteriostatici vanno aggiunti nell'emulsione

quando la parte esterna è l'acqua, sono:

acido benzoioco, pH acido, per uso orale;

acido sorbico e Sali, pH acido, ossidazione, per uso orale;

cloro cresolo, pH acido, uso esterno;

fenil mercurio nitrato e acido, pH acido, colliri;

parabeni, pH 7 – 9, per uso orale;

Bisogna tener conto di pH di compatibilità di questi conservanti e quali possono essere usati per le

formulazioni per uso orale. Quando le emulsioni sono A/O si devono aggiungere gli antiossidanti,

utilizzati in minima concentrazione e quelli utilizzati sono il nutil idrossianisolo (BHA) e il butil

idrossi toluene (BHT) (sono definiti degli antiossidanti veri in quanto si ossidano preferenzialmente,

al contrario dei chelanti dei metalli che “chelano” di metalli che catalizzano i processi ossidativi).

Gli antiossidanti possono essere anche distinti in:

- idrofili: acido ascorbico, sodio bisolfito;

- lipofili: estere acido ascorbico, BHA, BHT, tocoferoli e gallati.

Sospensioni

presentano dal punto di vista formativo le stesse problematiche delle emulsioni. Per formulare le

sospensioni, gli eccipienti da aggiungere sono:

agenti viscosizzanti, che diminuiscono la velocità di sedimentazione;

agenti bagnanti, perché essendo un solido disperso in un liquido si favorisce il contatto tra

solido e liquido;

agenti flocculizzanti: che sono tipici della formulazione della sospensione perché fanno si

che si riottenga un sedimento facilmente ridisperdibile.

Analizzando i comportamenti reologici , quindi le variazioni di viscosità in funzione allo sforzo di

taglio, che si deve realizzare un fluido che abbia un comportamento reologico di compromesso tra

la possibilità di versare questa formulazione, la possibilità di deglutirla e la stabilità della

formulazione. Quindi si deve avere un sistema che abbia una viscosità elevata nella fase di

conservazione, viscosità che si deve abbassare per poter versare la formulazione e per poterla

diluire, e che poi deve rapidamente salire perché una volta che è stato rimesso il flacone sullo

scaffale la viscosità deve aumentare per aumentare rapidamente la stabilità della formulazione.

Metil cellulosa (o methocel)

Idrossietilcellulosa

CMC (anionico)

Il Methocel è quello che si utilizza di più, e può essere methocel A 15 o A4C, in cui i numeri e

lettere fanno riferimento alle caratteristiche fisiche legate al peso molecolare e alle capacità

viscosizzanti. Un potere viscosizzante buono degli agenti tranquillizzanti nei sistemi dispersi è un

potere viscosizzante compreso tra 1 – 1.5%. Poiché nelle sospensioni si deve disperdere un solido

in un liquido c'è il problema anche legato alla quantità di principio attivo che si deve inserire nella

sospensione; nell'emulsione sono due soluzioni e quindi nelle due fasi (acquosa o idrofila) il

principio attivo è disciolto e quindi a una concentrazione omogenea, nella sospensione invece

essendo un solido, se la quantità di principio attivo è molto bassa bisogna prima di diluire (ovvero a

concentrazioni di farmaco tra 100 mg – 1 g e quindi si ha una dispersione non omogenea)

omogeneamente in un recipiente inerte e poi lo si può disperdere. Quali sostanze si utilizzano

come diluenti (non si può utilizzare il lattosio perché è solubile in acqua e quindi non si avrà una

sospensione): fosfato di calcio, caolino (argilla) e bentonite (silicato) che, oltre a funzionare da

diluenti funzionano anche da strutturanti perché sono degli agenti che modificano la viscosità della

fase acquosa. Quindi non va valutata solo la solubilità del principio attivo ma si deve considerare

anche la quantità stessa del principio attivo.

Ci sono due metodi per la preparazione:

1) sospensione del principio attivo che avviene contemporaneamente alla formazione

della mucillagine; quindi viene mescolato il principio attivo con un agente ispessente e

questa miscela viene bagnata dall’agente umettante (o la glicerina o lo sciroppo semplice) e

poi si aggiunge la restante fase acquosa in piccole frazioni, agitando vigorosamente.

Preparazione

Caolino g 20

Carbonato di magnesio g 5

Sciroppo semplice g 20

Essenza di menta gtt 3

Idrossietilcellulosa 1% q.b.

H2O depurata q.b. a g 100

L’idrossietil cellulosa quanto basta vuol dire che per calcolare la quantità di agente viscosizzante

ispessente da aggiungere si deve preventivamente valutare la viscosità della preparazione di base,

ovvero c'è in un certo quantitativo di acqua 25 g di polvere, non solubile in acqua, ed in particolare

una di queste polveri è il caolino (che si può utilizzare come agente ispessente); quindi la prima

cosa da fare, non avendo il viscosimetro in una farmacia, non si può avere una misura esatta, ma si

può, disperdendo le polveri nell'opportuna quantità di acqua, valutare la viscosità della

preparazione. Una volta che è stata valutata la viscosità della preparazione si sceglierà se e quanto

agente stabilizzante aggiungere perché si potrebbe avere anche una preparazione con una viscosità

tale che garantisce una stabilità sufficiente alla formulazione. Anche in questo caso, essendo la parte

esterna acquosa e essendo in presenza di sciroppo semplice e comunque un mezzo zuccherino

diluito (e quindi non è più auto conservante) si aggiungerà gli antimicrobici. Il magnesio carbonato

ha un'azione blanda da agente flocculante (dato che il magnesio ha due cariche positive).

2) Un'altra tecnica nella preparazione degli emulsioni è che viene sospeso il principio

attivo e poi si forma la mucillagine.

Preparazione

Calcio carbonato g 5

Magnesio trisilicato g 10

Sciroppo semplice g 10

Essenza di menta gtt 3

Veicolo mucillaginoso di idrossietil cellulosa q.b. a 100 g

il calcio carbonato e il magnesio trisilicato solo degli agenti ispessenti e in particolare la presenza di

questi ioni bivalenti potrebbe favorire la modificazione del potenziale Z; lo sciroppo semplice può

la glicerina come agenti umettanti. Quando si utilizzano dei derivati della cellulosa bisogna valutare

la possibilità di interazione tra polimeri e gli ioni bivalenti, in particolare il calcio; infatti non è stato

scelta la carbossimetilcellulosa che interagisce con gli ioni calcio ma è stata utilizzata la

idrossietilcellulosa: questi ioni bivalenti interferiscono con la capacità di gelificare. Anche questo

quindi è un problema che deve essere valutato nella preparazione delle sospensioni: ovvero la

incompatibilità degli agenti ispessenti con gli ioni bivalenti, in particolare con lo ione calcio.

Sospensione pediatrica di spironolattone al 0.5% m/V in veicolo acquoso per uso orale

Spironolattone g 0,5

Fosfato di calcio g 10, diluente (quando il principio attivo è compreso tra 500 mg e 1 g

bisogna utilizzare un diluente)

Na CMC g 1

Sciroppo semplice g 30

Essenza di anice gtt 2

Metil p idrossibenzoato g 0,1

Etanolo 1 ml

H2O depurata q.b. a 100 ml

questo formulatore ha fatto l'errore della scelta dell'agente ispessente in quanto il calcio interagisce

con la CMC; in questa preparazione è utile sottolineare la necessità di diluente che è norma

interagiscano con la gente viscosizzante.

Rifamicina sciroppo (FU XII) ,Lo sciroppo di rifampicina contiene Rifampicina in un adeguato

veicolo sciropposo aromatizzato. Contenuto di rifampicina (C43H58N4O12): non meno del 95,0 per

cento e non piu' del 105,0 per cento della quantità indicata in etichetta. Lo sciroppo contiene il 2 per

cento m/V di rifampicina. Sospensione sciropposa, omogenea dopo agitazione, di colore rosso.

Anche in questo caso la farmacopea non da indicazione formulativa ma dice soltanto che la forma

farmaceutica, una sospensione sciropposa omogenea dopo agitazione, dice il contenuto di principio

attivo (ovvero il 2%) e al farmacista viene data la scelta del veicolo sciropposa da usare.

Sciroppo semplice

È costituito da 1/3 di acqua e 2/3 di saccarosio. La caratteristica dello sciroppo semplice è quello di

essere auto conservante, cioè che è un liquido altamente viscoso. Può essere preparato a caldo (che

ha come svantaggi la dissoluzione veloce e la filtrazione ma come svantaggi la caramellizzazione) o

a freddo ed ha una conservabilità di tre mesi. Essendo una preparazione presente nelle monografie

delle forme farmaceutiche specifiche ed essendo quindi una galenico officinale può essere tenuto

già rotto in farmacia e può essere usato in una preparazione galenico magistrale tenendo conto che

la sua conservabilità è di tre mesi.

Preparazione: scaldare all’ebollizione, per 20 min, una quantità sufficiente di Acqua depurata;

mantenendo la temperatura a 80-85 °C, sciogliervi il Saccarosio, agitando bene per disciogliere

completamente lo zucchero. Mescolare per omogeneizzare e filtrare subito a caldo su garza, posta in

un imbuto precedentemente riscaldato. Mescolare e portare a peso con Acqua depurata,

precedentemente bollita per 20 min. I saggi sono:

Aspetto. Deve essere limpido e non piu' intensamente colorato della soluzione di riferimento

Densita' relativa Da 1,32 a 1,33, è proprio della caratterizzazione dello sciroppo semplice (quindi

alla domanda di che cosa lo sciroppo semplice è una miscela di acqua e saccarosio in rapporto 3 a 2

corna densità relativa di 1.32 – 1.33)

Indice di rifrazione Da 1,448 a 1,458.

Gli sciroppi meditati devono contenere una concentrazione di saccarosio almeno il 45% e

contengono uno o più principi attivi; ovviamente essendo delle soluzioni zuccherine devono

contenere degli antimicrobici come i parabeni, sorbato di potassio (come conservante) che deriva

dall'industria alimentare, l’acido benzoico e il benzoato di sodio.

Come si preparano gli sciroppi medicati: la prima tecnica prevede la dissoluzione del principio

attivo o direttamente nell'sciroppo semplice, e questa tecnica può essere utilizzata per i principi

attivi molto solubili come principi attivi poco attivi perché dissolvendo una sostanza in un veicolo

molto viscoso si avrà una distribuzione non omogenea del principio attivo, oppure miscelando con

lo sciroppo semplice di estratti fluidi per sciroppi per dissoluzione in diretta, perché le tinture

possono essere preparate per diluizione di estratti fluidi in quanto la caratteristica dell'estratto fluido

è quello di avere la stessa concentrazione del principio attivo della droga di partenza: quindi si

avranno degli estratti fluidi nella maggior parte dei casi privati di tannini per la preparazione di

tinture e si avranno invece degli estratti fluidi per sciroppi che saranno stati precedentemente

chiarificati. Un'altra tecnica utilizzata per la dissoluzione del farmaco è disciogliere il farmaco in

una determinata quantità di acqua, che nella soluzione di farmaco, scioglie il saccarosio e questo

ovviamente sarà fatto che i principi attivi poco solubili o molto attivi. Un esempio è

Sciroppo di tiocolo

Tiocolo g 2

Sciroppo semplice g 98

per scegliere la tecnica di dissoluzione bisogna valutare la solubilità del principio attivo in acqua, e

questo caso è 1 : 8, quindi si solubilizzerà il tiocolo in H2O ( 2 g in 16 e poi si miscelerà), e poi si

miscelerà con lo sciroppo semplice.

Un altro esempio che viene dalla farmacopea è lo sciroppo di in cui sono contenuti la poligala e la

narceina, che sono degli antitossivi, e quindi è uno sciroppo per la tosse in cui sono miscelati

l'estratto fluido di poligala ( 2.5 g ) e la narceina ( 0.05 g) e la Farmacopea dice in veicolo

sciropposo aromatizzato q.b.

Questo è un esempio di veicolo sciropposo aromatizzato

Arancio EF, è un aromatizzante che può essere sostituito con l'aroma di lampone

Poligala EF

Nipagina

Nipasolo

Narceina

Saccarosio

H2O depurata

La nipagina e il napisolo sono 2 conservanti. Se nella descrizione c'è scritto 100 ml contengono tot

grammi di poligala e di narceina, per calcolare la quantità di veicolo sciropposo aromatizzato si

deve ricordare che la densità dello sciroppo semplice è di 1.32 – 1.33. Possono essere preparati

sciroppi con zuccheri diversi dal saccarosio tenendo presente che sia il sorbitolo che il levulosio

possono avere un effetto lassativo.

Secondo la Farmacopea, le basi per preparazioni liquide per uso orale ( sono due) hanno le

seguenti composizioni:

Sorbitolo 7,35 g 28 g

Glicerolo 85 per cento 10 g 10 g

Saccarosio 46,5 g -

Acqua depurata q.b. a 100 ml 100 ml

Il sorbitolo e il saccarosio sono gli agenti dolcificanti, il glicerolo come agente umettante.

Preparazione: disciogliere, agitando, i componenti solidi in un uguale peso di Acqua depurata

riscaldata a 50 °C. Lasciar raffreddare a temperatura ambiente e aggiungere, mescolando, i

componenti liquidi, portando a volume con Acqua depurata: se necessario filtrare su garza o colino.

Le basi possono contenere anche il 7,0 per cento m/V di Etanolo 96 per cento.

Edulcoranti sintetici: ci sono due classi di dolcificanti sintetici: gli edulcoranti intensivi tra i quali

si trovano la saccarina,il ciclammato e l'aspartame. Quindi sono presenti

- Acesulfame K

- Aspartame E951; è fonte di fenilalanina e quindi deve essere specificato e che quindi non

può essere somministrato a chi presenta patologie come la fenilchetonuria

- Ciclammato ( acido ciclamico e i suoi sali di Na e di Ca); portare le reazioni di

sensibilizzazione allergica (dermatite, prurito, eczema) e foto sensibilizzazione.

- Saccarina e i suoi sali di Na e Ca.

ci sono poi gli edulcoranti che sono diversi chimicamente dalla classe precedente e sono i polioli

(zuccheri - alcool)

- Sorbitolo;

- Mannitolo;

- Xilitolo;

- Isomalto;

- Lacticolo.

La caratteristica di tutte queste sostanze è che possono essere lassative. Per mettere in relazione con

gli edulcoranti di tutte le sostanze, viene definito come potere edulcorante di riferimento (uguale

a 1) quello del saccarosio; gli edulcoranti intensivi, a parità di potere calorico hanno un potere

edulcoranti di molto maggiore (quasi 100 volte di più a quello del saccarosio) mentre i polioli hanno

un potere dolcificante addirittura inferiore a quello del saccarosio con un potere calorico pressocché

paragonabile ma si utilizza quando gli zuccheri semplici non possono essere presi.

Nelle preparazioni liquide per uso orale vanno aggiunti gli aromatizzanti, che possono essere

naturali o di sintesi. Gli aromatizzanti naturali sono i succhi di frutta concentrati, le essenze e

idrolati e alcolati. In genere gli aromatizzanti andrebbero scelti in base al tipo di composto che deve

essere coperto. Se il principio che deve essere coperto ha un gusto:

Gusto Aromi consigliati

Amaro Ciliegia, cioccolato, menta, anice, noce

Salino Pesca, albicocca, vaniglia

Dolce Succhi acidi di frutta

acido Ananas, agrumi, liquirizia, lampone

Ovviamente l’aroma è scelto in base al colore che presenta la preparazione.

Pressione osmotica

due soluzioni separate da una membrana ideale o semipermeabile, ovvero permeabile al solo

solvente. Le concentrazione ai due lati della membrana saranno delle concentrazioni diverse (per

esempio C1 > C2); quindi due concentrazioni diverse di soluto da una parte e dall'altra parte

membrana permeabile al solo solvente. Lenta ed inesorabile l'acqua, o il solvente, si sposterà dalla

soluzione meno concentrata alla più concentrato fino ad ottenere una concentrazione di equilibrio

tra le due parti della membrana. La pressione che si deve esercitare per contrastare questo

movimento di acqua dalla soluzione diluita a quella più concentrato si definisce pressione osmotica.

Le proprietà colligative perché sono collegate tra loro: sono la pressione osmotica, ∆t

ebullioscopico, ∆t crioscopico e sono collegate tra loro perché sono determinate perché la presenza

di un soluto in un solvente fatta variare le caratteristiche del sistema in particolare facendo

riferimento al grado di dissociazione del soluto. Quindi non è soltanto che la sostanza è presente in

soluzione ma è soprattutto il suo grado di dissociazione, cioè le specie degli ioni che sono presenti

in soluzione e sono questi che avranno un effetto sulle proprietà colligative. In particolare, per

quanto riguarda la pressione osmotica, si possono definire in maniera quantitativa la concentrazione

delle specie attive sulla variazione o sul valore della pressione osmotica assume. Si può definire

osmole che è uguale al peso in grammi di un soluto che è in soluzione, come le molecole (e/o ione,

macromolecole, aggregati), che è osmoticamente equivalente al peso molecolare di un non

elettrolita (ovvero la sostanza che non è dissociata) che si comporta idealmente. La definizione di

osmole consente di definire la:

- Osmolalità: p/p, n° di osmoli di un soluto in 1 Kg di solvente;

- Osmolarità: p/v, n° di osmoli di un soluto in 1 l di solvente.

Quindi quando si vuole dare un'indicazione della capacità di una sostanza, in particolare di una

soluzione di questa sostanza, di avere un effetto sulla pressione osmotica si hanno delle indicazioni

di tipo quantitativo, ovvero ci sono dei numeri che danno la misura di quanto quella sostanza a

quella concentrazione agisce sulla pressione osmotica (una pressione misurata in presenza di un

membrana ideale).

La tonicità tiene conto ("misura") l'effetto sulla variazione di pressione

osmotica di un soluto e in condizioni reali, ovvero in presenza di

membrane reali che siano permeabili sia all'solvente ma anche a qualche

soluto. Quindi valutare la tonicità vuol dire valutare l'effetto di una

soluzione su un volume cellulare. Quindi, dato che l’osmolarità e la

osmolarità sono dei numeri e che sono delle indicazioni di concentrazione

di un soluto che ha effetto sulla pressione osmotica in condizioni ideali, la

tonicità è una misura di variazione di volume cellulare quando le cellule

messe in contatto con una determinata soluzione, e infatti si parla di tonicità in quanto si parla di

membrane reali. La cellula di riferimento che si utilizza per fare queste misure è il globulo rosso,

che viene utilizzato come cellula perché è una cellula anucleata e quindi è più facile seguire la

variazione di volume.

Isotonia e Isoosmia

Quando la soluzione è isosmotica non vuol dire necessariamente che la

soluzione sia isotonica con i liquidi biologici come dire che una soluzione è

isotonica non vuol dire che sia isoosmotica. Isotonia e isoosmia sono due

concetti diversi. Iso osmotico vuol dire che la concentrazione in milliosmoli di

soluto è uguale all'interno e all'esterno dell'globulo rosso e quindi le due

soluzioni sono Iso osmotiche e quindi non c'è movimento di acqua perché non

si deve diluire la soluzione più concentrata e quindi la soluzione è isosomotica

ed in particolare è anche isotonica, perché il globulo rosso immerso in questa

soluzione non modifica il suo volume cellulare. Isotonico si riferisce così al

volume cellulare mentre isoosmotico al valore numerico della concentrazione

in milliosmoli al di là ed al di qua della membrana. Questo è vero perché la

membrana cellulare è impermeabile alla sostanza che si utilizza per generare

questa concentrazioni in milliosmoli (NaCl) e quindi essendo la membrana

impermeabile all'unico ione che è stato messo in soluzione, quindi questa

membrana si comporta come una membrana ideale.

Iperosmia e ipertonia

ci può essere il caso in cui la cellula vengono posti in una concentrazione iperosmotica, in cui la

concentrazioni in milliosmoli del soluto sia maggiore rispetto a quella che c'è all'interno della

cellula. C'è quindi un movimento di acqua dall'interno della cellula verso l'esterno e in questo caso

quindi la soluzione è iperosmotica ed era anche ipertonica perché si arriva alla modificazione del

volume cellulare. Se la soluzione è iper osmotica, vuol dire che la concentrazione è maggiore

all'interno e quindi ci sarà un movimento di acqua per bilanciare le due concentrazioni; quando la

soluzione all'esterno è ipoosmotica ci sarà movimento al contrario e quindi la cellula avrà una

variazione di volume cellulare sia perché c'è movimento di acqua ma perché c'è quindi una

variazione di concentrazione.

È più pericolosa di una soluzione ipertonica o ipotonica? È più pericolosa quella ipotonica

perché c'è un rigonfiamento dell'globulo rosso e che può portare alla sua lisi (scoppia), mentre nella

ipertonica non c’è la lisi cellulare, non necessariamente quindi. Infatti ci sono delle soluzioni

volutamente ipertoniche di glucosio che vengono somministrate per endovena nei casi di shock

anafilattico, quando c'è un edema nell'organismo si somministra delle soluzioni ipertonica per

richiamare l'acqua dai tessuti e diminuire l’edema. Quando una soluzione può essere isoosmotica

ma non isotonica con il sangue? Ad esempio la soluzione di urea alla 1,8% è isoosmotica con il

sangue, cioè ha 290 milliosmole, ma non è isotonica. Se la membrana impermeabile alla sostanza

che si considera (come ad esempio l'urea) non si sposta solo l'acqua ma si sposta tutto il soluto e

quindi si trascina dietro tutta l'acqua e quindi, non ci sarebbe movimento netto di acqua se la

membrana fosse impermeabile, ma siccome la membrana è impermeabile al soluto si sposta il

soluto che si trascina dietro anche una frazione di acqua. Ci sono delle soluzioni, come ad esempio

l'acido borico, che è isotonico con il sangue ma non è isotonico con gli altri liquidi biologici come

ad esempio il liquido lacrimare. Isoosmotico vuol dire che la concentrazione di soluto è uguale al di

qua e al di là della membrana e questo indica che si può considerare la membrana come una

membrana ideale, e la si può approssimare ad una membrana ideale quanto quella membrana è

impermeabile al soluto che si sta considerando. Quindi la membrana dell'globulo rosso è

impermeabile al cloruro di sodio, e quindi se si ha la stessa concentrazione al di qua ed al di là della

membrana le due soluzioni hanno uguale concentrazione e quindi non c'è movimento di acqua, in

quanto l'unica cosa che si può passare attraverso la membrana. Ma se la membrana è permeabile al

soluto, come ad esempio per l'urea, attraverso la membrana non c'è movimento di acqua perché la

concentrazione della specie attive sulla pressione osmotica sono uguali però si sposta il soluto

cambia la concentrazione tra le due parti separate dalla membrana e il soluto che si sposta si porta

con sé anche l'acqua e quindi c'era una variazione di concentrazione.

La soluzione è definita soluzione fisiologica cioè perfettamente isotonica con il sangue è una

soluzione allo 0,9% in NaCl p/v. Quindi la soluzione di riferimento è la soluzione fisiologica.

Quindi per preparare le soluzioni isotoniche si deve fare riferimento al cloruro di sodio e alla sua

concentrazione pari a 0,9% p/v. Quali strumenti numerici si hanno per preparare una soluzione

isotonica:

1) il primo è quello che si definisce equivalente in NaCl; si definisce come le grandi di cloruro

di sodio che hanno lo stesso effetto osmotico di 1 g di farmaco in 100 ml. Viene che un

farmaco ha un equivalente di NaCl di 0,5 vuol dire se si mette 1 g di farmaco in 100 ml è

come se si avesse aggiunto 0,5 g di NaCl. Quindi si trasforma in farmaco, come effetto della

pressione osmotica, in cloruro di sodio.

2) ∆t crioscopico: la soluzione fisiologica cioè allo 0,9% di cloruro di sodio ha un valore di ∆t

crioscopico varia 0,52 °C; motivo per cui quando c'è la si mette il sale per le strade perché si

alza la temperatura di congelamento dell'acqua;

3) volume isotonico che si definisce come il volume nel quale, scegliendo 0,3 g di farmaco si

ottiene una soluzione isotonica. Questo vuol dire che se il volume isotonico del farmaco A è

9 vuol dire che 0.3 g in 9 ml di acqua danno una soluzione sicuramente isotonica. Il volume

isotonico può essere anche riferito ad 1 g di farmaco ma deve essere detto espressamente.

Le preparazioni per le quali la farmacopea richiede il requisito di isotonia sono: i colliri e le

preparazioni parenterali, e quindi devono essere isotoniche con i fluidi biologici, in specie i colliri

devono essere isotonici con il liquido lacrimare. Le preparazioni oftalmiche oltre ad essere

isotoniche devono anche essere sterili e quindi le caratteristiche di farmacopea dei colliri sono la

sterilità e l’isotonia.

Preparazioni oftalmiche

Le preparazioni oftalmiche sono preparazioni liquide, semisolide o solide da applicare sul bulbo

oculare e/o sulla congiuntiva o da introdurre nel sacco congiuntivale. Le preparazioni oftalmiche si

preparano utilizzando materiali e metodi in grado di assicurare la sterilita' e di evitare l’introduzione

di contaminanti e la crescita di microrganismi; Nella produzione di preparazioni oftalmiche

contenenti particelle disperse, sono prese misure atte ad assicurare una idonea e controllata

dimensione delle particelle in relazione all’uso previsto (quindi si deve vedere anche il volume

particellare e delle dimensioni particellare).

Colliri

I colliri sono soluzioni acquose od oleose oppure sospensioni sterili, di uno o piu' principi attivi, da

instillare nell’occhio. I colliri possono contenere eccipienti, per esempio per regolare la tonicità o la

viscosita' della preparazione, per aggiustare o stabilizzare il pH, per aumentare la solubilità del

principio attivo o per stabilizzare la preparazione. Il pH deve essere stabilizzato e deve essere un pH

di compromesso tra la stabilità del principio attivo e la compatibilità del pH dell'occhio. Il

parametro della viscosità deve essere accuratamente valutato per due motivi:

1) innanzitutto perché la soluzione deve essere sufficientemente viscosa per avere un tempo di

residenza utile per l'occhio, perché una delle caratteristiche che gli occhio ha è quello di

liberarsi degli elementi estranei; anche perché il volume distillato e quindi la concentrazione

del principio attivo è estremamente bassa (una goccia ha un volume di circa 50 µl).

2) Inoltre un altro parametro è di non avere interferenza con la visione, perché un materiale

altamente viscosa può avere un alto indice di rifrazione, e quindi una volta che è stato

instillato nell'occhio da problemi di visione.

I colliri possono essere formulati sia multidose che unidose, e in quelli multi dose deve essere

contenuto un antimicrobico a meno che la preparazione stessa abbia una sufficiente proprietà

antimicrobica; i colliri unidose sono formulati senza antimicrobici, e la farmacopea specifica che i

colliri destinati ad un uso di interventi chirurgici devono essere formulati come preparazione

unidose perché non devono contenere agenti conservanti. Le soluzioni possono essere limpide e

prive di particelle, le sospensioni possono presentare un sedimento facilmente ridisperso per

agitazione. La farmacopea dice che deve dare una formulazione sufficientemente stabile per

consentire l'applicazione della corretta dose. La farmacopea dice che le preparazioni multi dose

possono avere al massimo una capacità di 10 ml, mentre i colliri industriali dall'apertura possono

essere utilizzati per un massimo di quattro settimane mentre i colliri galenici, dal momento

dell'apertura, possono essere utilizzati al massimo per 15 giorni.

I bagni oculari sono soluzioni acquose sterili destinate a lavare o bagnare gli occhi, o per impacchi.

Hanno le stesse caratteristiche dei colliri c'è solo la differenza che hanno dei volumi maggiori

perché servono per la detersione dell'occhio.

Le preparazioni oftalmiche semi solide hanno le stesse composizioni delle preparazioni semi

solide per uso dermatologico e quindi sono unguenti, creme e gel e devono essere sterili.

Nel vecchio formulario è presente una preparazione di atropina solfato (principio attico), una

soluzione oftalmica 0.5 – 1 %, che è un collirio di atropina, in cui c’è

Atropina solfato

NaCl, agente isotonizzante principale a meno che non ci siano delle incompatibilità

Cloro butanolo, è uno dei conservanti che si aggiunge nella preparazione dei colliri in quanto

liquido;

acqua depurata sterile q.b.

i colliri si sterilizzano per filtrazione; quindi si utilizza un filtro sterilizzate con una dimensione di

pori pari a 0,22 o meno in contenitori sterilizzati quindi il contenitore sterile, l'acqua e si divide

questa preparazione non è quella depurata ma è quella sterile e la soluzione che deve essere

preparata deve essere sterilizzata per filtrazione su filtri sterilizzati. Il nitrato di fenil mercurio è un

altro stabilizzante che nei colliri.

Sterilizzazione e disinfezione

tra le caratteristiche dei colliri, oltre l’isotonia, c'è anche la sterilità. Inoltre i parenterali dovranno

essere isotonici e sterili ma anche apirogeni (quindi un ulteriore passaggio nella realizzazione del

controllo di queste forme farmaceutiche). La sterilizzazione consiste nell'uccisione di tutti i

microorganismi patogeni e non presenti in un oggetto o di un ambiente e comprende l'inattivazione

di tutti i virus. La disinfezione è l'utilizzo di particolari sostanze chimiche, utilizzate per un certo

tempo di applicazione, le quali uccidono i microorganismi patogeni attraverso molteplici

meccanismi. Quindi differisce dalla sterilizzazione poiché questa consiste nell'uccisione dei soli

microorganismi patogeni.

I metodi di sterilizzazione possono essere: fisici o chimici. I metodi fisici prevedono il calore, la

radiazione e la filtrazione (utilizzando i filtri da 0,22 micron). I metodi chimici invece, che

nell'industria farmaceutica vengono utilizzati per sterilizzare gli ambienti, sono l'uso di acidi e basi

concentrati , sostanzialmente sostanze che sviluppano cloro, le bombe ad acetilene per sterilizzare

gli ambienti.

Per sterilizzare le forme farmaceutiche le tecniche privilegiate sono la filtrazione ed il calore, in

quanto con la filtrazione si sterilizza la forma farmaceutica che deve però essere suddivisa in unità

posologica ancora, e quindi si sterilizza la forma farmaceutica priva di contenitore e quindi poi

bisogna sterilizzare il contenitore, ed infine bisogna riempire il contenitore con la forma

farmaceutica sterile in un ambiente in cui avviene la contaminazione. Invece con il calore, si può

fare la sterilizzazione delle forme farmaceutiche già suddivise nella singola unità posologica e già

chiuse (per esempio per i parenterali al calore si sterilizzano iniziale); è un processo che deve essere

studiato accuratamente perché deve tenere conto delle caratteristiche e dei componenti della forma

farmaceutica ma è, quando è possibile, privilegiato perché consente di eliminare passaggi che

potrebbero compromettere la qualità del prodotto finale. I parametri che influenzano una

sterilizzazione ottimale sono: la temperatura e il tempo. Questi due parametri devono essere

adeguati a garantire la sterilizzazione, non degradare componenti che si trova nell'interno della

forma farmaceutica, e deve infine costare il meno possibile (in quanto riscaldare bollire consuma

energia e quindi un costo maggiore): quindi deve essere un processo efficiente ed il meno costoso

possibile.

Il concetto di sterilità è strettamente collegato ad un concetto di probabilità statistica, che viene

indicato con la sigla LAS ovvero il livello di assicurazione di sterilità: è la probabilità di trovare un

certo numero di unità contaminate sulla totalità delle unità che sono state sterilizzate. Secondo

farmacopea, si realizza una sterilizzazione ottimale se si ha un LAS di 10-6

cioè una unità

contaminate su un 1 milione di unità sterilizzate.

Nella sterilizzazione al calore c'è la possibilità di sterilizzare alla fiamma ma questa è una tecnica

che ovviamente si utilizza il laboratorio; quindi quello che si utilizza in realtà sono due forme di

sterilizzazione al calore secco o al calore umido. Nel calore secco (forno pasteur) l'agente

sterilizzante è l'aria calda che però ha le caratteristiche di essere un cattivo conduttore di calore e

avere uno scarso potere penetrante; inoltre, per avere un LAS accettabile bisogna sterilizzare per

un'ora o un'ora e mezza a temperature intorno ai 180°C ( o 200°C). Quindi sono delle temperature

alte e tempi lunghi: quindi di fatto nell'ambito dell'industria farmaceutica il calore secco viene

utilizzato per sterilizzare i contenitori di vetro (quando non si utilizzano le radiazioni, ma dato che

costano di più nelle stufe, ma generalmente vengono utilizzate per sterilizzare le parti di plastica per

i presìdi chirurgici) e gli strumenti metallici. Nella sterilizzazione a calore umido l'agente

sterilizzante è il vapore acqueo che ha una buona conducibilità termica ed un elevato potere

penetrante che consente una sterilizzazione più efficiente a temperature più basse e a tempi minori.

Nell'ambito della sterilizzazione calore umido quella che viene usata nella quasi totalità delle

industrie farmaceutiche è l'utilizzo del vapore sotto pressione (sterilizzazione sotto autoclave o

pentola a pressione); gli altri due tipi di sterilizzazione al calore umido sono a vapore fluente e la

sterilizzazione frazionata.

Come si misura la qualità del processo di sterilizzazione e come

si scelgono il tempo e la temperatura di compromesso tra un

LAS convincente e consumo energetico minore: Innanzitutto si

deve definire il decadimento decimale che si indica con D e che

indica i minuti necessari a ridurre una popolazione di del 90% a

determinate condizioni di temperatura; quindi, si riporta sulle

ordinate le frazioni di unità sopravvissute alla sterilizzazione in

funzione del tempo di esposizione, si può ricavare il valore di

decadimento decimale cioè i minuti necessari ad abbattere la

popolazione microbica del 90%.

un altro parametro che viene valutato è il coefficiente di temperatura integrato con Z ed è il

numero di gradi che fa variare di 10 volte il valore D, cioè il tempo necessario ad una determinata

temperatura di ridurre al 90% la concentrazione microbica.

Un altro fattore che viene valutato per scegliere la condizione ottimale di sterilizzazione è il

fattore di letalità che si indica con F0; si paragonano i processi di sterilizzazione che si vuole

mettere appunto con il processo di sterilizzazione a 121°C, che è la temperatura della sterilizzazione

ad umido e sotto pressione: prendendo questo valore, cioè 121°, come valore di riferimento, si

calcola il fattore di letalità cioè quanto è efficace il nuovo processo di sterilizzazione che si vuole

realizzare considerando la differenza di tempo. Per esempio si vuole paragonare il ciclo standard a

121° con un ciclo a temperatura più bassa (per esempio 115°) per otto minuti. Se si sterilizza 115°

per otto minuti è come avesse sterilizzato per due minuti a 121°; questo consente di valutare

l'effetto, cioè la letalità del processo di sterilizzazione che si vuole applicare, paragonandolo alla

sterilizzazione standard. Abbassare la temperatura vuol dire consumare di meno ma riscaldare per

due minuti a 121° quanto può spendere rispetto otto minuti a 115°? Se fosse uguale allora sterilizza

121°, se invece fosse conveniente si sterilizza 115°: tutti questi studi vengono fatti perché

appartengono alla documentazione che si deve produrre al ministero per richiedere l'autorizzazione

al ciclo di riproduzione e all'immissione in commercio del prodotto. Si parla di 121° perché, del

diagramma di stato dell'acqua, se si aumenta la pressione la temperatura di ebollizione non è più a

100° ma è più alta (121°); quindi un processo che si instaura prima dal punto di vista temporale, con

una temperatura superiore e quindi il processo sotto pressione è più rapido perché si arriva

all'ebollizione prima ma ad una temperatura superiore e quindi proporre che si produce ha una

temperatura più elevata e quindi una maggiore capacità di sterilizzazione nel caso della autoclave.

Le autoclavi nell'azienda farmaceutica sono delle stanze; alcune farmacie che fanno sterili, per

sterilizzare hanno aperto la pressione. Invece nei laboratori sono presenti le autoclavi; il ciclo

classico è di 121°C per 16 minuti. Il ciclo overkill e il ciclo bioburden sono dei cicli di utilizzano

nella sterilizzazione al calore, soprattutto usati nelle aziende. Il ciclo bioburden si utilizza quando la

flora microbica risulta più resistente ai cibi standard sterilizzazione.

In farmacopea esiste tra gli argomenti generali un capitolo sulla sterilità e sui mezzi di preparare

prodotti sterili; dove è possibile si sceglie un processo in cui il prodotto è sterilizzato nel suo

contributo risale (sterilizzazione terminale) e viene anche definito il livello di assicurazione di

sterilità: il LAS è la probabilità di persistenza di un elemento non sterile in questo complesso.

Quando non è possibile sterilizzare, per esempio per i farmaci proteici e per la quasi totalità dei

farmaci biotecnologici in cui la sterilizzazione al calore è impossibile, si utilizza un tipo di

procedura che si chiama produzione in asepsi, cioè tutto il processo produttivo e il processo di

condizionamento viene fatto in ambiente sterili. Le strutture in cui si opera in condizioni di totale

sterilità si chiamano clean room. In test che vengono fatti su queste camere si indicano come:

1) As built: in cui l'azienda valuta se il costruttore ha rispettati i requisiti richiesti per;

2) As rest: test a riposo, e vengono effettuati per valutare l'efficacia e la qualità soprattutto dell'aria

di queste stanze a macchine ferme e quindi in assenza di persone;

3) As use: quando nelle clean room si lavora e quindi con le macchine funzionanti e le persone

all'interno e si vanta, sostanzialmente, la qualità dell'aria.

Nelle clean room non si protegge sul prodotto farmaceutico dalla contaminazione atmosferica ed

umana ma si protegge soprattutto l'operatore dal materiale che sta manovrando (per esempio nelle

aziende che fanno antitumorali, o che usano derivati di virus o di sostanze particolarmente tossiche).

Le clean room si classificano in base a degli standard americani in classi e le classi misurano il

numero di particelle per metro cubo. La classificazione è appunto per numero di particelle per metro

cubo perché quello che viene valutato, sostanzialmente, è la contaminazione particellare dell'aria

che c'è all'interno di queste stanze; in questi ambienti entra dell'aria filtrata, su filtri HEPA (high

efficient particle air) o ULPA (ultra low penetration air). Un altro parametro che viene valutato è il

tipo di flusso, e quindi sono di filtri che filtrano all'aria l'ingresso e che assicurano dei moti laminari

di aria, in modo che l'aria dall'alto verso il basso. Un altro parametro che è presente in queste stanze

è la pressione, infatti in queste stanze c'è una pressione maggiore rispetto all'ambiente esterno e

quindi ogniqualvolta che la porta è aperta l'aria filtrata esce e l'aria che viene da fuori che potrebbe

essere contaminata non entra. In genere intorno alla clean room ci sono degli ambienti intermedi,

anche perché le persone che lavorano all'interno di queste hanno degli abbigliamenti particolari: lo

spogliatoio e dove si lavano gli operatori sono diversi da quelli delle altre aree dell'azienda. Inoltre

gli operatori hanno delle tute che li ricoprono totalmente, non possono avere i capelli lunghi e la

barba mentre le operatrice non devono portare gioielli ed essere toccate: molte hanno dei costi

estremamente ridotti perché sono delle condizioni di lavoro altamente stressanti.

I pirogeni sono delle sostanze tossiche, dei lipopolisaccaridi prodotti dalla degradazione della

membrana dei gram - , e si chiamano pirogeni e che agiscono sui centri di termoregolazione, quindi

alzano la temperatura a livello centrale e sono quindi molto pericolosi. Per valutare la presenza di

questi contaminanti all'interno di una preparazione, viene utilizzato un test che si chiama il LAL

test (lisato di amebocita di limulus –polifemus- perché è un granchio di dimensioni notevoli) , da

questa granchio si ottiene una lisato proteico e si metta a contatto con la soluzione che si vuole

valutare la pirogenicità ; il LAL test può dare un'indicazione di tipo qualitativo (con il metodo del

coagulo) , perché se mettendo a contatto il lisato con la soluzione che si vuole testare si forma un

coagulo da indicazioni di tipo qualitativo, o di tipo quantitativo o con il saggio del substrato

cromogenico (con l'aggiunta di un colorante al lisato proteico e quindi poi misurando l'intensità del

colore, con il test colorimetrico, si può misurare quanti pirogeni ci sono) o con il saggio

torbidimetrico, in cui si misura nell'eventuale presenza del coagulo l'incremento di torbidità. Le

tecniche di de pirogenazione sono:

rimozione dell’ endotossina: sfruttano sostanzialmente delle tecniche di ultra filtrazione (per

grandi volumi) o di osmosi inversa , in queste pagine che il controllo di fatto sulle dimensioni

dei poveri della membrana, oppure con tecniche come la filtrazione con filtri modificati o la

cromatografia che sfruttano l'interazione elettrostatica tra la membrana e la colonna

elettrostatica perché i lipopolissacaridi sono carichi negativamente e quindi utilizzando la

cromatografia per affinità, o a scambio ionico e la filtrazione su membrane cariche

positivamente si sfrutta l'interazione elettrostatica. Si può utilizzare anche un processo al calore

come la distillazione e nel caso di contenitori o di tappi in elastomero (in gomma) vengono de

pirogenati per diluizione ovvero la mando in maniera estensiva i contenitori ed i tappi prima con

acqua sterile e poi con acqua de pirogenata. Si può utilizzare anche il carbone attivo.

inattivazione o distruzione della endotossina: prevedono che qui metodi fisici (come il calore

sia secco che umido) sia agenti chimici; queste tecniche possono essere usate solo per i

contenitori perché le condizioni sono veramente drastiche: in un contenitore di vetro viene

mantenuto per un minuto 427° C mentre gli agenti chimici possono essere:

acidi e basi, NaOH 0.1 – 1 N/ HCl 0.1 N – 1N;

sostanze ossidative; H2O2

agenti chelanti anidride carbonica o succinica.

Un altro processo che interessa le forme farmaceutiche, soprattutto quelli per uso parenterali è la

liofilizzazione, perché la presenza di acqua in generale favorisce la degradazione dei principi attivi,

perché una forma farmaceutica in soluzione si degrada più rapidamente rispetto alla forma

farmaceutica solida. Per migliorare quindi la conservabilità e la stabilità di queste forme

farmaceutiche si realizzano delle forme farmaceutiche si che e quindi si possono avere o delle

polveri o dei liofilizzati. La caratteristica dei liofilizzati, rispetto alla polvere, è quella di disperdersi

in maniera rapida ed omogenea una volta messa a contatto con il solvente. La polvere liofilizzata o

liofilo (“amico dell’acqua”) si trasforma rapidamente e in modo omogeneo con un solvente perché

il processo di liofilizzazione non avviene attraverso un processo di essiccamento, cioè il passaggio

dal liquido a vapore, ma perché sfrutta il passaggio da solido a vapore. Quindi il processo di

liofilizzazione prevede una prima fase di congelamento, in cui l'acqua viene trasformata in ghiaccio,

e si sfrutta la sublimazione e non l'evaporazione come per l'essiccamento.

Diagramma di stato dell'acqua : viene tracciato usando l'equazione di Clausius clapeyron:

Il diagramma di stato dell'acqua la caratteristica di avere la curva di equilibrio solido-liquido con

una diversa inclinazione (tendenza negativa) poiché il solido, rispetto al liquido presenta un

incremento di volume.

Il processo di liofilizzazione ha come fasi: fase

preparatoria (1) in cui le sostanze sono portato in

soluzione, sono filtrate e ripartite nei contenitori perché

anche in questo caso la liofilizzazione viene effettuata

sull'unità posologica già ripartita; a volte è opportuno

aggiungere delle sostanze che si chiamano crioprotettori

che servono a stabilizzare le strutture che vengono

liofilizzate, soprattutto ad esempio quando si ha a che fare

con farmaci proteici o peptidici:generalmente le sostanze

che si aggiungono come crioprotettori sono degli zuccheri

(o il mannitolo o il trealosio);

le sostanze ripartite vengono inserite nella liofilizzazione che nelle industrie sono delle camere;

quindi la fase di liofilizzazione vera e propria inizia con il processo di congelamento (2) , in

quanto bisogna fare in modo che il congelamento sia rapido e quindi più veloce possibile e che

avvenga su uno strato sottile possibile; quindi quando è necessario le fiale sono fatte ruotare su se

stesse durante il processo di liofilizzazione oppure vengono posizionati intorno alle rastrelliere nelle

posizioni tali per fare in modo che lo strato di liquido sulle pareti sia più sottile possibile; questo

perché bisogna fare in modo che il congelamento sia il più uniforme e il più rapido di perché così in

questo modo si formano dei cristalli di ghiaccio piccoli e di dimensioni omogenee in tutta la massa

che dovrà essere liofilizzata. Il sistema di congelamento comprende vari metodi su come

possono essere posizionate le fiale

1) congelamento statico: in quella fiala viene tenuta ferma ma in piedi;

2) congelamento depositato, in cui la fiala viene messa quasi orizzontale ma sempre ferma;

3) congelamento per lenta rotazione o Shell freezing;

4) congelamento della rotazione veloce o Spin freezing: in cui grazie alla forza centrifuga il

liquido si attacca alle pareti laterali, sempre su strato sottile;

5) congelamento con stratificazione a conchiglia.

Dopo che il liquido è stato congelato inizia la fase della sublimazione (3) del ghiaccio; il processo

di sublimazione dell'avvenire a temperatura costante e quindi questo significa che per rimanere su

questa linea di equilibrio solido-vapore, man mano che avviene il processo di sublimazione che

assorbe calore si dovrebbe lentamente ma costantemente riscaldare il sistema perché si deve

continuare a ragionare calore in modo tale che il sistema resti nella fase solido-vapore. Questa è la

fase che viene definita essiccamento primario, che viene fatto sotto vuoto con un incremento

costante di temperatura e quindi la pressione è costante ma man mano questo processo sarebbe

calore e quindi bisogna sempre continuare a riscaldarlo. C'è inoltre la fase dell'essiccamento

secondario che non sarebbe più al processo di sublimazione ma serve ad eliminare le eventuali

umidità residua che è presente all'interno del sistema.

Se si fa un grafico in cui si riporta la

variazione di temperatura del processo di

liofilizzazione in funzione del tempo e si

osserva che si ha un inizio un abbassamento

di temperatura rapido, veloce e su strato

sottile; poi si ha processo di liofilizzazione

delle proprie in cui si mantiene costante la

temperatura e poi si ha la fase finale, di

essiccamento primario in cui la realizzazione

è terminata e si elimina l'umidità residua,

infatti in questa fase si fornisce calore alla

temperatura rimane costante perché è

assorbita dal processo di liofilizzazione.

Invece nella fase di essiccamento secondario,

il calore che viene fornito invece serve per

eliminare la frazione parziale di umidità

residua e quindi fornendo calore si aumenta

anche la temperatura.

Il prodotto liofilizzato è un prodotto che ha una consistenza della massa spugnosa e da un'elevata

idroscopicità, cioè a un'elevata tendenza a riacquistare acqua perché idroscopico vuol dire che

assorbe acqua. Quindi una volta terminato il processo di liofilizzazione, in contenitori devono

venire esclusi rapidamente utilizzando generalmente delle gomme dette elastomere e delle ghiere di

alluminio che chiudono ermeticamente la fiala. Se il preparato è iniziale la chiusura della fiala è

stata saldando la fiala alla fiamma, che sono dei flaconi come la maggior parte dei casi viene messo

il tappo di elastomero che deve essere perforabile da un ago.

forme farmaceutiche parenterali

parenterali vuol dire che va oltre l'intestino e quindi nel caso del principio attivo non subisce

l'effetto di primo passaggio cioè non passa attraverso il fegato come accade per i principi attivi che

sono assorbiti nel tratto gastroenterico. Avviene attraverso l'uso dell'ago, e asseconda delle zone

dell'organismo in cui avviene l'iniezione si possono distinguere le forme: epidermiche,

intradermiche (ID), sottocutanea (SC), intramuscolare (IM) e endovenosa (EV), in cui quest'ultima

il farmaco viene inserito direttamente nel torrente circolatorio e quindi non c'è nessuna barriera e di

nessuna assorbimento e quindi non c'è nessuna difesa da parte dell'organismo. Queste sono le vie

parenterali più comuni, infatti ci sono delle definite vie parenterali specializzate, che sono più

invasive rispetto alle altre, come la via intrarteriosa, la intratecale, intrcardiaca e intrasinovale.

Gli aghi hanno un calibro: diametro del ago è indicato con un numero detto gauge; tanto maggiore

è questo numero tanto più sottile largo. Ci sono diversi sistemi per indicare il Gauge , come il

sistema francese, ma quelli di uso più comune prende in considerazione il calibro da 7 (il più

grosso) a 33 (più sottile).

La via sottocutanea consiste nella iniezione della sottocute di volumi di liquido piccolo; la ago

strato sottile e corto. I volumi somministrati quindi sono molto piccoli e possono andare da 0,5- 1

ml di soluzione. Siti per la somministrazione sottocutanea sono il braccio, la parte anteriore della

coscia e l'addome. Possono essere per esempio i vaccini, insulina e l’eparina. Questi sono dei

distretti dell'organismo in cui è stato studiato che c'è il massimo assorbimento del principio attivo.

L’ago va inserito con un'angolazione di 90° rispetto all'superficie cutanea. Nella via intradermica

cambia la votazione dell'angolo che diventa 10-15° rispetto al sito di iniezione; i siti di

somministrazione sono gli stessi dello sottocutanea ma anche la scapola ma è una via usata

soprattutto per scopi diagnostici o per la somministrazione di anestetici locali.

Nel caso della somministrazione per via intramuscolare si possono somministrare volumi

maggiori da 2-5 ml. Si possono utilizzare due distretti dell'organismo: i glutei e il deltoide (se viene

fatta di queste più rapida perché è stretto più irrorato rispetto i glutei). I veicoli che possono essere

utilizzati per queste forme farmaceutiche possono essere acquosi o oleosi; l'utilizzo di un veicolo

oleoso viene utilizzato in genere quando si vuole realizzare una forma deposito perché se si inietta

una forma acquosa il farmaco in soluzione passera nel torrente circolatorio ma al contrario se viene

iniettata una forma oleosa, o generalmente il principio attivo è solo liposolubile oppure perché si

vuole avere un'azione di rilascio lento e quindi c'è il nucleo che è stato iniettato oleoso e il principio

attivo si dovrà ripartire a seconda delle sue caratteristiche tra il veicolo oleoso e i fluidi biologici.

Ovviamente, essendo il punto di inoculazione il muscolo un parametro che influenzano fortemente

l'assorbimento e l'effetto di una somministrazione intramuscolare è lo spessore del pannicolo

adiposo, in quanto si basa la costituzione l'effetto di questa forma farmaceutica sarà diversa.

Per esempio per scegliere la lunghezza dell’ago nel deltoide per avere una somministrazione

efficiente:

- uomini 25 mm;

- donna < 60 Kg, 16 mm;

- donna tra 60 – 90 Kg, 25 mm;

- donna > 90 Kg, 38 mm.

Nell'ambito delle preparazioni parenterali ci sono le forme farmaceutiche iniettabili. Le

somministrazioni per via endovenosa sono quelle che devono essere controllate di più in assoluto

perché sono quelle che non prevedono la fase di assorbimento del farmaco viene iniettato

direttamente nel torrente circolatorio e quindi l'organismo non ha difese da opporre alla presenza del

farmaco; ci sono due tipi di somministrazione:

- lenta, che è quella che si definisce per infusione (flebo o con siringa), può arrivare fino a 50

ml per unica dose;

- rapida, in cui si inietta la dose di farmaco e si chiama anche in volo si può iniettare un

massimo di 20 ml.

I veicoli per le preparazioni iniettabili sono l'acqua, le preparazioni iniettabili (acqua pi) che deve

essere sterile e apirogena, ed è possibile anche l'utilizzo di solventi non acquosi come l'alcol etilico,

il glicol propilenico o polietilen glicol e anche l'utilizzo di veicoli oleosi, solo per le

somministrazioni intradermiche, sottocutanea e intramuscolare in quanto si utilizza come forma di

deposito e possono essere utilizzati oli sintetici ma in generale quelli vegetali (come l'olio di

sesamo) oppure oli semisintetici (come l’oleato di etile).

Le preparazioni parenterali secondo farmacopea: Le preparazioni parenterali sono preparazioni

sterili destinate alla somministrazione per iniezione, infusione o impianto nel corpo umano o

animale. Si possono distinguere varie categorie di preparazioni parenterali:

- preparazioni iniettabili,

- infusioni, preparazioni in grande volume per infusione generalmente endovenosa;

- concentrati per preparazioni iniettabili o infusioni, quindi delle soluzioni concentrate che

vengono diluite al momento della somministrazione;

- polveri per preparazioni iniettabili o infusioni,

- gel per preparazioni iniettabili,

- impianti.

La caratteristica comune di queste preparazioni è quella della sterilità,della isotonia nel caso delle

preparazioni liquide e della assenza di pirogeni. Vengono specificati i contenitori: Le preparazioni

parenterali sono fornite in contenitori di vetro o in altri contenitori come contenitori in plastica e

siringhe preriempite. La tenuta del contenitore e' assicurata con opportuni accorgimenti. Le chiusure

garantiscono l’ereticità' , impediscono l’accesso di microrganismi e altri contaminanti e di norma

consentono il prelievo di una parte o di tutto il contenuto senza rimuoverle. I materiali plastici o

elastomeri di cui e' fatta la chiusura, sono sufficientemente compatti ed elastici da permettere il

passaggio di un ago con il minor distacco possibile di particelle. Le chiusure per contenitori

multidose sono sufficientemente elastiche da garantire che il foro si richiuda quando si toglie l’ago.

per queste preparazioni le caratteristiche dei materiali cioè del vetro e della plastica sono più

stringenti rispetto alle altre preparazioni. In particolare, il vetro per uso farmaceutico si distingue in

tre classi (che il vetro è un derivato della sabbia che si ottiene per la fusione di essa): la

classificazione del vetro dal tipo I al IV è legata alle sue caratteristiche di resistenza idrolitica. Per

preparare il vetro, nel processo di fusione della sabbia, vengono aggiunti dei sali per rendere la

massa fusa nella parte più lavorabile. Quindi un problema del vetro, come materiale, è quella della

cessione idrolitica cioè il vetro può cedere, in presenza di soluzioni acquose, degli ioni che possono

cambiare il pH della soluzione contenuta all'interno del contenitore.

- Il Vetro di tipo I, è il vetro migliore (boro – silicato) a cui sono stati aggiunti dei sali che

conferiscono una resistenza idrolitica a tutta la massa del vetro e quindi inteso che viene

preparato e quindi contenitori che vengono preparati con il vetro di tipo I si dice che hanno

una resistenza idrolitica in massa. Come si esegue il saggio: la fiala o il contenitore viene

frantumato e viene posta all'interno di una soluzione acquosa e si rivaluta la cessione

alcalina di ioni da parte del vetro frantumato; il vetro di tipo I è il più costoso ed è quello che

si usa per gli emo - derivati per i contenitori quindi in cui verranno poste le preparazioni

iniettabili a base di di sangue umano o di derivati del sangue;

- il vetro di tipo II invece ha quella che si definisce resistenza idrolitica superficiale, cioè le

pareti interne del contenitore e solo queste sono trattate costruendo un velo di ioni che

impediscono la cessione idrolitica ma solo dalla superficie interna. Il caso viene fatto

riempiendo di acqua al contenitore e valutando le variazioni sia di pH che di ioni presenti in

soluzione; questo tipo di vetro si utilizza per le forme farmaceutiche parenterali in veicolo

acquoso;

- il vetro di tipo III è il vetro classico con delle caratteristiche particolari di resistenza e si

utilizza per le altre forme farmaceutiche come i liquidi acquosi ma per esempio anche per

sciroppi o parenterali (ovvero iniettabili) in veicolo oleoso;

- il vetro di tipo IV è il vetro di tipo alimentare.

I saggi sono previsti in farmacopea per le preparazioni parenterali sono: contaminazione

particellare, saggio di sterilità ma un saggio importante è quello della Contaminazione particellare:

In questo saggio devono essere assenti particelle sia visibili che non visibili (che prevederà delle

tecniche analitiche che permettano di evidenziare queste particelle). Il saggio delle particelle

invisibili viene anche chiamata sperlatura delle fiale che ormai viene fatta utilizzando dei

macchinari ma nella quasi totalità delle aziende qualche anno fa le faceva a mano solo dalle donne.

Le preparazioni iniettabili secondo farmacopea: Le preparazioni iniettabili sono soluzioni,

emulsioni o sospensioni sterili. Sono preparate disciogliendo, emulsionando o sospendendo il o i

principi attivi e qualunque altro eccipiente aggiunto in acqua, in un adatto liquido non acquoso che

puo' essere non sterile se giustificato o in una miscela di questi veicoli. Le soluzioni per

preparazioni iniettabili, esaminate in condizioni di luce adatta, sono limpide e praticamente prive di

particelle. Le emulsioni per preparazioni iniettabili non mostrano segni di separazione di fase. Le

sospensioni per preparazioni iniettabili possono presentare un sedimento che e' facilmente disperso

all’agitazione per dare una sospensione che rimane sufficientemente stabile per permettere di

prelevare la corretta dose. Preparazioni multidose. Le iniezioni acquose multidose contengono un

adatto antimicrobico ad una concentrazione appropriata eccetto quando la preparazione ha di per sé

adeguate proprieta' antimicrobiche. Quandouna preparazione per uso parenterale e' fornita in un

contenitore multidose, sono indicate le precauzioni da prendere per la sua somministrazione ed in

particolare per la sua conservazione tra prelievi successivi. Antimicrobici. Le preparazioni acquose

che vengono preparate usando condizioni asettiche e che non possono essere sterilizzate al termine

del procedimento possono contenere un adatto antimicrobico in concentrazione appropriata.

Non viene aggiunto alcun antimicrobico quando:

- il volume da iniettare in una dose unica supera i 15 ml, se non diversamente giustificato,

- la preparazione e' destinata alla somministrazione per vie dove, per ragioni mediche, non e'

accettabile un antimicrobico, quali quella intracisternale, epidurale, intratecale o per

qualsiasi altra via che dia accesso al liquido cerebrospinale, o intra- o retrooculare.

Tali preparazioni vengono presentate in contenitori a dose unica. Nelle preparazioni a dose unica

deve essere valutato il volume estraibile dal contenitore e quindi la fiala (o il flacone) devono

permettere il prelievo della dose nominale; quindi il volume all'interno della fiala o del flacone sarà

sempre leggermente maggiore rispetto al volume e si definisce estraibile e quindi del volume

nominale del farmaco. Quindi la preparazione deve essere realizzate in modo che, all'interno della

fiala del flacone resti sempre un'uguale quantità di liquido e che il volume che si riesce prelevare

contenga la dose corretta di principio attivo.

Infusioni: Le infusioni sono soluzioni acquose o emulsioni, con acqua come fase continua, sterili;

esse vengono generalmente rese isotoniche con il sangue (perché ci sono preparazioni che sono

realizzate ipertoniche soprattutto nello shock anafilattico). Sono principalmente destinate alla

somministrazione in grande volume. Le infusioni non contengono alcun antimicrobico aggiunto. Le

soluzioni per infusione, esaminate in condizioni adatte di visibilita' , sono limpide e praticamente

esenti da particelle.

Le polveri per preparazioni iniettabili o infusioni sono sostanze solide, sterili, ripartite nei loro

contenitori finali e che, quando vengono agitate con il volume prescritto di un dato liquido sterile,

danno luogo rapidamente o a soluzioni limpide e praticamente prive di particelle o a sospensioni

uniformi. Dopo dissoluzione o sospensione, esse soddisfano alle specifiche per le iniezioni o per le

infusioni.

I prodotti liofilizzati per uso parenterale sono considerati come polveri per preparazioni iniettabili

o infusioni. Infatti da ricordare che la differenza tra le polveri e liofilizzati è che le polveri sono

preparati per le miscelazione secca di varie polveri mentre il liofilizzato è un prodotto che si

ricostituisce immediatamente in acqua. Quando si congela si mantiene la struttura della

preparazione, invece quando si attua la sublimazione la struttura rimane intatta ed è per questo che

il liofilizzato è immediatamente ricostituito perché non c'è un processo di dissoluzione ma sarà un

processo di ricostituzione ed infatti per le polveri, nel caso in cui si deve realizzare una soluzione

parenterale si parla di soluzione e quindi è un processo di dissoluzione, mentre nel caso delle

utilizzato si parla di ricostituzione ovvero non viene sciolto nell'acqua ma è "l'acqua che entra”. Le

polveri per uso iniettabile in dose unica dovranno rispondere al saggio di uniformità di massa,

obbligatorio per tutte le forme farmaceutiche solite unidose, al passaggio di uniformità di contenuto,

qualora il principio attivo o i principi attivi sia inferiore a 2 mg o al 2%.

Gli impianti sono preparazioni solide, sterili, di dimensione e forma adatte per l’impianto e il

rilascio del/dei principi attivi per un periodo di tempo prolungato. Ciascuna dose viene fornita in un

contenitore sterile. Vengono impiantati sottocute, la loro caratteristica formulativa è quella di

garantire un rilascio dei principi attivi prolungato nel tempo. Perché è un piccolo intervento

chirurgico per essere immessa sottocute.

Nella farmacopea che il capitolo dei materiali e dei contenitori e nel capitolo dei contenitori viene

data la definizione di contenitori unidose e multi dose e viene data anche la definizione del tipo di

chiusura; quindi se la farmacopea dice che contenitore deve essere ben chiuso, significa che il

farmacista deve acquistare dal fornitore il contenitore come ben chiuso e sulle specifiche nel

certificato di analisi del contenitore della prescritto che risponde a questi requisiti di farmacopea.

Ermeticamente chiuso vuol dire che è impermeabile a soldi, liquidi e gas in condizioni normali di

manipolazione e di conservazione di trasporto. Il contenitore con chiusura inviolabile vuol dire che

la chiusura deve rilevare se il contenitore è stato aperto; questa tipologia di chiusura viene data della

farmacia ospedaliera in cui si deve essere certi, che sulla richiesta di reparto per i farmaci della sala

operatoria, che questi non siamo mai stati utilizzati. I contenitori a prova di bambino hanno una

chiusura particolare.

Farmaci proteici e biotecnologici

hanno dei problemi formativi in quanto hanno generalmente delle dimensioni maggiori rispetto ai

farmaci di reazione chimica; mediamente vanno dai 600 - 10.000 dalton di peso molecolare e questa

caratteristica influenza la capacità di permeabilità di questi farmaci. Sono anche i farmaci che

vengono degradati dai sistemi enzimatici, e quindi anche la dose che deve essere somministrata

deve tenere conto che una frazione di questi farmaci viene immediatamente digerito da parte degli

enzimi. Quindi questi farmaci hanno un problema di biodisponibilità, ma hanno anche altri

problemi formativi rispetto agli altri farmaci perché per esempio sono sicuramente tutti termolabili

perché il calore, presente in quasi tutti i processi produttivi, degrada le proteine. Poiché la quasi

totalità delle preparazioni di natura proteica in particolare i farmaci biotecnologici sono

somministrati per via iniettiva, il processo di sterilizzazione e di isotonicizzazione sono molto

complessi perché generalmente, la sterilizzazione viene fatta al calore, mentre l’isotonicizzazione

viene fatta con il cloruro di sodio: l'aggiunta di cloruro di sodio può dare problemi di stabilità delle

proteine con il fenomeno di salting in e di salting out. Quindi la sterilizzazione del prodotto finito è

praticamente impossibile se non in alcuni casi che viene fatta per filtrazione, ma nella quasi totalità

dei casi si lavora in asepsi, e quindi la produzione di questi farmaci viene fatta in sepsi

generalmente in classe di stanze 100 (in cui la suddivisione di queste clean room fatta in base al

numero di particelle presenti in 1 m³) e significa che ci sono al massimo 100 particelle con una un

diametro non maggiore di 0,5 micron in 1 m³ di aria; l'aria viene filtrata con tappe a flusso è

laminare (i filtri HEPA e ULPA). Devono naturalmente essere eliminati i pirogeni e deve essere

ridotta al minimo la presenza di eccipienti a rischio cioè eccipienti di derivazione umana (emo –

derivati o albumina serica); l'albumina serica deve essere eliminata per problemi di shock

anafilattico, ed era presente quasi sempre nella formulazione di questi tipi di farmaci perché i

farmaci proteici si adsorbono sull'contenitori di plastica, sulle pareti, e quindi contenitori in genere

venivano trattati con l'albumina che si adsorbe sulle pareti e quindi contrastava fisicamente la

perdita di principio attivo. Per ridurre al minimo l'uso di questo recipiente sono stati studiati classi

diverse che non di una interazione con i farmaci peptidici e proteici e una derivazione di farmaci

che inibisce questo tipo di interazione.

Quali sono gli eccipienti che si aggiungono:

- agenti stabilizzanti: per il pH, tensioattivi e aminoacidi (arginina e lisina) che funzionano

da agenti solubilizzanti

- agenti antiaggreganti e antiadsorbenti: tensioattivi e quando proprio non se ne può fare a

meno albumina.

I sistemi tampone che si utilizza per mantenere il pH sono in genere tamponi fosfati o tamponi

citrati, e gli antiossidanti che si aggiungono qualora sono richiesti sono generalmente i più naturali

possibili e quindi l'acido ascorbico (vitamina C) e la cisteina.

Un esempio di farmaco biotecnologico dell'insulina, ha un problema formulativo aggiuntivo

rispetto agli altri in quanto funziona come monomero ma tende a dare dei aggregati legati tra di loro

con legami covalenti che rendono l'insulina inattiva; quindi in più, dell'insulina, viene aggiunto lo

zinco che faccio formare gli aggregati che però non siano con legami covalenti e quindi poi in vivo

liberano il monomero di insulina. L'insulina è stato il primo farmaco biotecnologico immesso nel

mercato perché l'insulina che prima era utilizzato era un insulina di derivazione animale (ovina ma

soprattutto suina). Gli equivalenti dei farmaci biotecnologici sono definiti biosimilari.

La via orale è alquanto complicata per i farmaci proteici perché tendono ad essere digeriti del tratto

gastroenterico anche se c'era uno studio enorme per la somministrazione dei vaccini per via orale,

soprattutto per le vaccinazioni non è paesi industrializzati ma per le vaccinazioni di massa nei paesi

meno industrializzati perché si è stabilito dell'acqua e quindi si può arrivare un numero molto

maggiore di persone vaccinate. Le vie preferenziali sono la Via intramuscolare e la via sottocutanea,

considerando ovviamente la presenza delle peptidasi tissutali: generalmente si aggiungono nelle

preparazioni degli inibitori di questi enzimi come per esempio l'antibiotico della bacitracina.

Raramente sono somministrati per via endovenosa in quanto hanno un emivita estremamente

ridotta.

Degli esempi di farmaci proteici sottolineando le caratteristiche cumulative e non un principio

attivo: una classi di farmaci proteici biotecnologici è quella dei fattori di crescita emopoietici, che

comprende due classi

- fattore di stimolazione delle colonie di granulociti; rG - CSF

- eritropoietina: rEPO

l’indicazione r davanti al nome del farmaco indica che è stato prodotto con tecniche di DNA

ricombinante. Infatti nella definizione di farmaco biotecnologico rientra il fatto di essere prodotte

con tecniche biotecnologiche ovvero attraverso tecniche di di combinazione del materiale genetico.

Dal punto di vista formativo possono essere soluzioni pronte o liofilizzate che vengono in questo

caso somministrati per via endovenosa, dato che sono dei componenti del sangue e quindi non sono

metabolizzati e hanno una stabilità limitata dopo diluizione o ricostituzione.

Un altro esempio sono le interleuchine e gli interferoni che sono somministrate generalmente gli

interferoni in via sottocutanea o intramuscolare mentre l'interleuchina anche per via endovenosa;

sono anche questi commercializzati come liofilizzate e la soluzione per ricostituire questa

preparazione è una soluzione al destrosio al 5 % dove il destrosio funziona da isotonicizzante.

Generalmente queste formulazioni, poiché sono prive totalmente di conservanti, devono essere

inviati al massimo entro 48 ore dalla ricostituzione (per esempio l'interferone β liofilizzato può

essere utilizzato al massimo entro tre ore dalla ricostituzione). I prodotti in commercio sono:

- interleuchina IL 2 ricombinante;

- interferone α ricombinante

- interferone β liofilizzato

- interferone γ Ricombinante

un altro esempio è l'ormone della crescita:

- secreto dalle cellule somatotrope (ipofisi anteriore);

- rhGH, dove rh significa ricombinante umano

- hGH da ipofisi di cadavere.

Anche in questo caso le preparazioni sono liofilizzate, utilizzando come crioprotettori la glicina o il

mannitolo e sono ricostituite in acqua sterile o in soluzione salina batteriostatica multi dose. Un

esempio di ormone della crescita è il vutropin AQ® (soma tropina rDNA) ottenuto con tecniche di

DNA ricombinante con zie di somministrazione non convenzionali; tutti questi farmaci sono

iniettabili e le persone che devono fare uso di questi farmaci per tutta la vita l'uso dell’ago può

risultare l'uso e quindi sono di studio dei dispositivi che consentono di realizzare la stessa via di

somministrazione in assenza di dialogo; ci sono infatti delle penne che sono ad aria compressa in

cui il farmaco viene sparato sottocute con aria compressa. Questi dispositivi sono stati fatti per

aumentare la patient compliance ma queste penne non sono comunque molto accettati perché

lasciano degli ematomi.

Per quanto riguarda l'insulina, dal punto di vista formativo ci sono diversi tipi di insulina che si

distinguono in base all'insorgenza dell'azione cioè il tempo necessario per far restaurare l'azione

della formulazione e il tempo di durata dell'azione. Una classe di questa è l'insulina regolare ad

azione rapida: sono delle soluzioni limpide e l'azione di stabilizzazione dell'insulina che tende a

formare degli aggregati covalenti ottenuta o per aggiunta di zinco, che coordina 6 esameri distinti di

insulina che vengono poi liberati in vivo, e un altro tipo di insulina umana monomerica è quella che

viene chiamata LIS PRO perché all'interno della struttura vengono invertiti, con tecniche

ricombinanti, un residuo di prolina e un residuo di lisina e questo impedisce l'aggregazione in

strutture sovramonomeriche: quest'inversione consente di ottenere insulina monometrica e quindi di

avere un picco d'azione dopo un'ora dalla somministrazione (con una durata d'azione due-tre ore).

Poi ci sono le insulina ad azione intermedia in cui si ha un instaurarsi dell'adesione e della durata

dell'azione più lunga del tempo, e sono realizzate dal punto di vista formativo utilizzando tecniche

diverse. Si ha l'insulina NPH (neutral protamine Hagedom) in cui l'insulina viene coordinata non

dallo zinco ma da un complesso di protamina, ovvero l'insulina viene cocrisallizzata con la

protamina, e si ottiene una sospensione con un picco a sei-12 ore con una durata d'azione di 18 a 24

ore perché questo complesso cristallino si dissolve lentamente nell'organismo mantenendo una

concentrazione di insulina utile per un tempo più lungo. Nel insulina lenta, invece, l'azione più

lunga è realizzata mescolando due forme di insulina: 70% di forma cristallina e 30% di forma

amorfa, e questo fa in modo che l'insulina cristallina si dissolva più velocemente e poi più

lentamente si dissolva l'insulina amorfa. Esiste poi il insulina ultra lenta in cui c'è una sospensione

di insulina cristallina al 100%. Il tempo di picco di questa insulina lenta è di 8:20 ore e la durata

d'azione è tra le 24 e le 48 ore. Quindi le caratteristiche di biodisponibilità variano e quindi di

farmaco cinetica in vivo variando solo le caratteristiche formative del farmaco; si sceglie in base al

tipo di diabete e al tipo di funzione che serve al diabetico (se il diabetico fatto un passo

particolarmente abbondanti si preferirà un farmaco rispetto all'altro).