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storia di bolzano

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storia della citta di bolzano nel trentino alto-adige

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Indice

la storia

preistoria

Epoca romana

Alto Medioevo

Germanizzazione

Epoca napoleonica

prima guerra mondiale

primo dopoguerra

fascismo

secondo dopo guerra

nascita della provincia autonoma di bolzano

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La storia dell'Alto Adige si riferisce alle vicende del territorio della provincia di Bolzano, in Italia. L'odierno Alto Adige, in antichità già retico, fu conquistato dai romani nel 15 a.C., che latinizzarono completamente la regione. Dopo il crollo dell'Impero romano d'Occidente nel 476, la zona passò al Regno d'Italia di Odoacre, agli ostrogoti, ai bizantini, ai longobardi e infine ai franchi, entrando a far parte del Sacro Romano Impero. Nel XI secolo, il suo territorio fu spartito fra i principi vescovi di Trento, Bressanone e Coira. Il loro potere fu gradualmente eroso dalla contea del Tirolo, nata sotto i conti Albertini a partire dagli inizi del XIII secolo. Dal 1363 la contea passò alla casata degli Asburgo, seguendone le sorti. Tra il 1810 e il 1814 la parte meridionale e quella orientale della provincia appartennero al Regno d'Italia napoleonico come parte del Dipartimento dell'Alto Adige e Dipartimento della Piave. Nel 1814 l'Alto Adige in quanto parte del Tirolo meridionale assieme al Trentino passò all'impero austriaco e nel 1867 all'Austria-Ungheria. Alla fine della prima guerra mondiale, in seguito alla sconfitta austro-ungarica, il territorio venne annesso al Regno d'Italia. La costituzione repubblicana del 1948 riconobbe i diritti della minoranza germanofona dell'Alto Adige, concedendo, allo scopo, lo status di regione autonoma al Trentino-Alto Adige (una delle cinque regioni autonome italiane). Nel 1972 ci fu l'ulteriore riconoscimento dello status di provincia autonoma. Sul territorio altoatesino, segnato da una forte politica di italianizzazione durante il fascismo e da episodi di terrorismo nel dopoguerra, coesistono oggi in modo pacifico, seppur non esente da tensioni, popolazioni di lingua tedesca, italiana e ladina.

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PreistoriaI rinvenimenti archeologici dimostrano la presenza dell'uomo nelle valli dell'odierno Alto Adige dopo la fine dell'ultima glaciazione, intorno al 12 000 a.C. Reperti provenienti dall'Alpe di Siusi sono databili al paleolitico inferiore. Accampamenti di cacciatori mesolitici risalenti all' VII Bolzano, Bressanone, Valle Aurina e Salorno. La

celebre mummia del Similaun, nota anche come Ötzi, avrebbe un'età di circa 5 300 anni. Questo la pone nell'età del rame, momento di transizione tra il neolitico e l'età del bronzo. Sepolcri in pietra del 2000 a.C. sono stati localizzati ad Appiano. Il clima era ancora più mite di oggi, come dimostrano i reperti localizzati in grotte della Val Pusteria. Per l'età del bronzo (1800-1300 a.C.) sono attestati insediamenti sia nelle valli principali che in quelle secondarie, localizzati su terrazzi alluvionali e su siti d'altura. Intorno al 1500 a.C., l'uomo si spinse più in alto, lasciando le vallate di mezzamontagna, per estrarre il rame in Valle Aurina e d'Isarco. Durante l'età del bronzo e del ferro

nella regione sono attestate culture locali autoctone che occupavano approssimativamente l'area del Tirolo storico. Appartiene alla tarda età del bronzo e alla prima età del ferro la cultura di Luco-Meluno, che prende il nome da due importanti siti archeologici presso Bressanone. Essa ebbe origine nel XIV secolo a.C. nella valle dell'Adige tra Trento e Bolzano, da dove si diffuse fino ad occupare all'incirca l'area del Trentino a nord di Rovereto, dell'Alto Adige, del Tirolo Orientale e della Bassa Engadina.[5] La cultura di Luco-Meluno è caratterizzata da un particolare stile di ceramica riccamente decorata, mentre la produzione metallurgica è influenzata dalle culture circostanti. Gli appartenenti a questa cultura cremavano i loro morti e raccoglievano i resti in urne che poi venivano sepolte in modo simile alla cultura dei campi di urne, attestatasi in questo stesso periodo nelle valli del Tirolo Settentrionale. I santuari nei quali venivano adorate le divinità si trovavano su colline sovrastanti le vallate e vicino a corsi d'acqua e laghi, spesso anche in aree remote. I ricchi corredi funebri rinvenuti dagli archeologi dimostrano che la cultura di Luco-Meluno raggiunse il suo apice tra il XIII e l'XI secolo a.C., soprattutto grazie all'estrazione del rame, materiale necessario per la produzione del bronzo. Intorno al 500 a.C. si sviluppò la cultura di Fritzens-Sanzeno, conosciuta anche come la cultura dei Reti, che prese il posto della cultura di Luco-Meluno a sud delspartiacque alpino e della cultura dei campi d'urne a nord dello stesso.[6] Il nome di "Reti" per queste popolazioni viene tramandato dagli scrittori romani; la sua origine è incerta (Plinio lo attribuiva a un loro antico capo, Raetus[7]), mentre sia Plinio[8] sia lo storico romano Tito Livio[9] affermano che i Reti sarebbero della stessa etnia degli Etruschi. Per altri il nome sembra connesso con la principale divinità di questi popoli, la dea Raetia.[6] Come nella precedente cultura di Luco-Meluno, è la ceramica riccamente decorata che contraddistingue Fritzens-Sanzeno, mentre la lavorazione degli oggetti di metallo è influenzata dalle civiltà degli Etruschi e dei Celti. Tipici della cultura di Fritzens-Sanzeno sono i luoghi di culto, peraltro già frequentati dalla cultura di Luco-Meluno, certi tipi di fibula, particolari armature in bronzo e un alfabeto di derivazione etrusca.

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Epoca romana

Nel 16 a.C. e 15 a.C., i Romani sotto Druso e Tiberio occuparono il territorio alpino, spingendosi fino alle rive del Danubio. La parte settentrionale dell'odierno Alto Adige venne divisa fra le due province Rezia (Raetia prima e Raetia secunda) e Norico (Noricum), mentre quella meridionale che includeva la Val d'Adige fino all'altezza di Merano venne inclusa nella Regio X Venetia et Histria. L'insediamento di maggiori dimensioni finora noto è Sebatum/San Lorenzo di Sebato, un importante snodo stradale. Il periodo romano si protrasse per cinque secoli e lasciò profonde tracce nella regione che fu fortemente latinizzata. Le popolazioni autoctone, quali Isarci, Breuni, Venosti, svilupparono una parlata neolatina nella quale si fuse il sostrato retico-celtico, il cosiddetto retoromanzo. Fanno parte di questo gruppo linguistico le odierne varianti del ladino, oltre al romancio e al friulano. Secondo la controversa teoria etnolinguistica della continuità, invece, le popolazioni alpine parlavano un idioma romanzo già prima della conquista romana. Secondo questa teoria, il ladino sarebbe una lingua italide modificata da influssi slavi attribuibili a cercatori di rame provenienti dall'area balcanica durante l'età del bronzo . Questa teoria si scontra

però col fatto che la presenza di Slavi nei Balcani è accertata solo a partire dai tempi delle invasioni di Attila, intorno al 440 d.C. Dopo l'anno 400 d.C., nella tarda romanità, si diffuse il cristianesimo, influenzando in misura crescente la vita pubblica e privata. La sede vescovile di Sabiona, presso l'odierna Chiusa, ebbe un ruolo importante nella cristianizzazione del territorio.

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Alto Medioevo

Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 476 d.C., la regione fu inclusa nel Regno di Odoacre e successivamente nel Regno degli Ostrogoti (493-553). Dopo la caduta del regno ostrogoto, nel 558-559 fu la volta dei Longobardi, che annessero al loro regno la regione. Bolzano e parte delle valli d'Adige e d'Isarco (da Maia-Merano a Sabiona) entrarono a far parte del ducato di Trento. I Baiuvari e i Franchi a più riprese penetrarono in Val Venosta e Val Pusteria, questi ultimi favoriti dagli alleati Longobardi, che continuarono a controllare il Ducato di Trento. All'inizio dell'VII secolo anche la conca meranese era stata occupata dai Baiuvari e nel 679, come attesta Paolo Diacono un comes baiuvaro reggeva Bolzano.[16] Nel 774 d.C. Carlo Magno sconfisse i Longobardi a Pavia e conquistò il regno longobardo d'Italia. Pochi anni più tardi, nel 788, ebbe ragione anche dei Baiuvari. Il territorio passò dunque sotto l'Impero Carolingio. Fu decisivo in questo contesto l'inglobamento della chiesa vescovile di Sabiona, dal 798 in poi, nella metropoli vescovile di Salisburgo, abbandonando così l'orientamento precedente verso Aquileia.[17]

I principati vescovili (Trento e Bressanone)L'imperatore del Sacro Romano Impero Corrado II, nel 1027 concesse ai vescovi di Trento e Bressanone il potere temporale sulle rispettive diocesi, secondo una consuetudine tipica dell'impero (vedi principe vescovo), che aveva lo scopo di limitare il potere delle famiglie nobiliari. Il territorio dell'odierno Alto Adige fu di conseguenza assegnato ai principi-vescovi. Al vescovo di Trento Udalrico II l'imperatore donò il comitato di Trento, che corrispondeva all'antico ducato longobardo, il comitato di Venosta, e il comitato di Bolzano. Nei comitati di Trento e Bolzano il vescovo di Trento esercitava sia la giurisdizione ecclesiastica che quella temporale, mentre nel comitato di Venosta la giurisdizione ecclesiastica rimase al vescovo di Coira. Anche il vescovo di Bressanone venne investito di poteri politici. A lui spettava il dominio sulla valle inferiore dell'Inn, il Wipptal e la valle dell'Isarco, inclusa la val di Fassa e Livinallongo. Nel 1091 l'imperatore Enrico IV aggiunse al dominio di Bressanone il comitato di Pusteria.[18] Queste donazioni si pongono all'interno di un progetto di egemonia sulla chiesa perseguito dalla dinastia degli Ottoni. I vescovi venivano scelti nell'ambito delle famiglie fedeli all'imperatore, e garantivano all'imperatore sostegno morale e politico,

senza che ami potessero sorgere problemi dinastici. Le chiese vescovili così divennero uno strumento efficace per contrastare l'ascesa delle grandi casate dei duchi di Baviera, Svevia e Lorena, e per mantenere il controllo sulle importanti vie di comunicazione verso sud che passavano per la rotta del Brennero.[19] Circa 80 furono le spedizioni in Italia compiute dai re germanici tra il X e il XIII secolo che per attraversare i valici alpini fecero concessioni e donazioni ai vescovi di Trento e Sabiona. Antica documentazione è l'Immunitas al vescovo di Sabiona Lanfrido (845-848) da parte dell'imperatore Ludovico il Germanico.[20] La consacrazione dell'imperatore del Sacro romano impero di nazionalità tedesca prevedeva infatti un viaggio a Roma per l'incoronazione da parte del papa, in seguito all'elezione da parte dei principi elettori. L'ultimo imperatore incoronato a Roma dal papa fu Federico III d'Asburgo (1452). I principi-vescovi mantennero il potere, via via più formale che effettivo, fino alla secolarizzazione napoleonica del 1803. Dal XIII secolo fino alla secolarizzazione il territorio dell'Alto Adige fece anche parte del baliato all'Adige e nei Monti, una ripartizione dell'Ordine Teutonico, con sede principale a Bolzano.

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GermanizzazioneNell'alto Medioevo cominciò il processo di germanizzazione dei territori alpini centrali, non densamente popolati, a spese dell'originaria popolazione retoromanza da parte di Longobardi, Franchi e soprattutto Baiuvari.[21] Il territorio dell'odierno Alto Adige alla caduta dell'Impero romano d'Occidente era infatti incluso nella regione di parlata retoromanza, che si estendeva dagli attuali Grigioni al Friuli.[22] Nei secoli seguenti le popolazioni alpine, frammentate e prive di strutture politiche e sociali comuni, rimasero soggette a forti pressioni demografiche, culturali e linguistiche da parte delle popolazioni circumalpine.[23] Sin dal VII secolo le lingue germaniche penetrarono nella regione, a partire dalla val Pusteria e dalla zona a nord di Merano verso le altre vallate. Nei secoli XII-XIII la penetrazione divenne generale, come testimoniano i documenti storici[24] e la microtoponomastica ad oggi esistente.[25] Strati neoromanzi erano presenti in val Venosta ancora nel XVI secolo, e lo sono tutt'oggi nelle valli ladine (Val Gardena, Marebbe e Val Badia).[26] La germanizzazione dell'attuale Alto Adige, come di tutta la regione storica del Tirolo, fu dunque un processo lento, continuo e intenso[27] e vide sia il progressivo arretramento delle popolazioni di cultura retoromanza (gli antenati degli attuali ladini) sia la conquista di nuovi spazi in precedenza disabitati come le valli laterali. Anche le epidemie cicliche, come la peste trecentesca e seicentesca, portarono a ingenti sostituzioni di popolazioni.[28] La nobiltà e il clero d'Oltralpe furono i principali attori della germanizzazione capillare, possedendo ingenti latifondi nelle zone di Bolzano e Merano (a produzione prevalentemente vinicola).[29] Tra i maggiori proprietari terrieri figuravano i vescovi di Augusta e Frisinga, i conventi di Schäftlarn, Herrenchiemsee e Weingarten nonché le casate degli Ariboni e degli Andechs.[30] L'immigrazione germanica seguì due direttrici: i contadini germanici si stabilirono nelle vallate più settentrionali e remote, portando la lingua tedesca negli ambienti rurali delle valli; i commercianti tedeschi dalle zone austriache e della Germania meridionale, soprattutto della Baviera e della Svevia, si stabilirono invece nei centri urbani come Bolzano, Merano, Vipiteno e Brunico.[31] Lo sviluppo della lingua tedesca non escluse continui contatti e presenze di persone e gruppi di lingue italiche. Commercianti italiani provenienti dal Principato Vescovile di Trento e dalla Repubblica di Venezia nonché banchieri esuli da Firenze, tra cui i Botsch, si trasferirono a Bolzano e generalmente si germanizzarono nel corso di una sola generazione.[32][33] Contatti commerciali mantennero sempre vivi i rapporti con Venezia, verso la quale furono esportati pregiati legni utilizzati per la fabbricazione navale.[34][35], come con le due metropoli commerciali della Germania meridionale, Norimberga e Augusta.[36] A Merano nacque Arbeo di Frisinga, autore di un vocabolario tedesco latino, che è la più antica testimonianza scritta in lingua tedesca. È solo un'ipotesi, viceversa, che il poeta Walther von der Vogelweide (1170 circa – 1230 circa) sia nato in Alto Adige, mentre appare probabile che Oswald von Wolkenstein (1377-1445) sia nato in Val Pusteria. Entrambi questi poeti sono considerati tra i padri del tedesco letterario.

la nascita della Contea del TiroloNel corso del XII secolo iniziò l'ascesa delle casate nobiliari, a scapito del potere dei due principi vescovi, attraverso l'istituzione della advocatia. Con questo termine viene descritta una protezione concessa dai conti alle chiese, che con il passare del tempo divenne dominio effettivo sul territorio. Fu grazie a questo processo che iniziò l'ascesa dei conti di Tirolo, una casata che prese il nome dall'omonimo castello presso Merano. I Tirolo sono noti circa dal 1140 come advocati dei vescovi di Trento, Bressanone e Coira. Grazie anche all'estinzione o eliminazione di casati avversari come i conti di Appiano, i conti di Morit-Greifenstein, i conti di Andechs e i signori di Vanga essi diventano la più potente autorità dell'alta val d'Adige. Il conte Alberto III nella prima metà del XIII secolo controllava un territorio che spaziava dalla valle dell'Engadina fino a Bolzano, ed includeva la val d'Isarco nei pressi di Bressanone e la valle dell'Inn. Si venne così a creare un dominio che univa territori a nord ed a sud dello spartiacque alpino.[37] La figlia di Alberto, Adelaide, sposò il conte Mainardo I di

Gorizia (1194-1258), che con la morte di Alberto III ereditò la contea del Tirolo. Dopo la morte di Mainardo I le due contee furono di nuovo divise fra i figli. A Mainardo II (1238-1295) spettò la contea di Tirolo e il titolo di conte di Tirolo-Gorizia, ad Alberto andò la contea di Gorizia con il titolo di Conte di Gorizia-Tirolo.

Espansione della Contea del TiroloFu Mainardo II a dare alla regione del Tirolo i confini che poi, con minimi ampliamenti, restarono immutati dal tempo dell'imperatore Massimiliano I fino al 1918.[38] Mainardo II continuò gli sforzi dei suoi predecessori, limitando i diritti e i poteri dei vescovi, e per far ciò non rinunciò all'azioni di forza. Nel 1276 conquistò Bolzano, distruggendone castello e palazzo vescovile, e ordinò l'abbattimento delle mura, con i cui resti venne colmato il fossato che circondava la città. Questi sviluppi trovano paralleli nelle regioni vicine: anche i vescovi di Verona, Vicenza, Feltre e Padova dovettero cedere diritti e

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poteri ai comuni ed ai nuovi signori. Forse furono anche questi esempi ad ispirare la radicale politica di Mainardo contro il potere temporale dei vescovi. Ma le sue azioni contro i vescovi di Trento e Bressanone non furono l'unico motivo per il suo successo. I suoi sforzi nell'amministrazione e nell'economia contribuirono in modo fondamentale al consolidamento interno ed esterno della contea. Mainardo ampliò le miniere di sale presso Hall, nell'odierno Tirolo austriaco, e la zecca di Merano, assicurandosi lauti guadagni. Vennero stipulati contratti con Verona e Venezia sulla scorta di commercianti che attraversavano il Tirolo, incoraggiando il commercio e il traffico, ed aumentando di molto la rendita dei dazi imposti sulle strade del Tirolo. Il riconoscimento da parte dell'impero di questo dominio territoriale fu raggiunto nella prima metà del XIV secolo.[39] Alla morte dell'ultimo discendente maschio dei Tirolo, il potere passò nel 1335 alla nipote del conte Mainardo II, Margherita di Tirolo-Gorizia, nota come Margherita Boccalarga o Boccagrande (Maultasch).[40] Nel 1342 fu concesso uno statuto che prevedeva forme di partecipazione rappresentativa al potere, ampliava le libertà individuali, riconosceva il diritto di proprietà, anche ai contadini, e creava un'amministrazione autonoma di tipo pubblico.

Il primo periodo asburgico (1363-1805)Nel 1363 Margherita fu costretta in seguito a pressioni politiche a cedere la contea del Tirolo al duca d'Austria Rodolfo IV d'Asburgo: Merano rimase

formalmente capitale tirolese fino al 1848, ma di fatto sin dal 1420 il duca Federico IV "dalle tasche vuote", trasferì la propria corte a Innsbruck. Il Tirolo rimase poi possedimento degli Asburgo quasi ininterrottamente fino al 1918. Intorno al 1500 vennero annessi al Tirolo i tribunali di Rattenberg, di Kitzbühel e di Kufstein, la Val Pusteria, la conca di Lienz, Ampezzo, Primiero. Nel 1665 il Tirolo (e quindi anche il territorio dell'attuale Alto Adige, che ne era la sua parte centrale), fino ad allora ampiamente autonomo, passò sotto l'amministrazione diretta di Vienna. La Riforma protestante e le rivolte contadine sconvolsero il Tirolo. Michael Gaismair (1490-1532) propose nei suoi "articoli meranesi" la costituzione di una repubblica contadina. Il progetto ebbe un esito fallimentare, vi furono violente sommosse e la popolazione insorse contro i nobili ed il clero, incendiando chiese e castelli, subendo poi la repressione del governo asburgico.[41] Il XVIII secolo fu segnato da numerosi conflitti: nella guerra di successione spagnola del 1703 gli Schützen si opposero vittoriosamente all'esercito bavarese. La regione fu anche teatro di scontri nel corso della prima guerra di coalizione contro la Francia (1792-1797).

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Epoca napoleonicaNel 1805, dopo la disfatta dell'Austria per opera di Napoleone, il Trattato di Presburgo assegnò la Contea del Tirolo alla Baviera, alleata della Francia. La secolarizzazione napoleonica pose anche fine ai Principati vescovili di Trento e Bressanone. Il locandiere eroe tirolese, Andreas Hofer In seguito alla dichiarazione di guerra dell'Austria alla Francia, i tirolesi (ivi inclusi i trentini di lingua italiana) si sollevarono contro il dominio dei bavaresi, alleati dei francesi. Andreas Hofer, un locandiere di San Leonardo in Passiria, organizzò assieme a Peter Mayr e al bellicoso padre Joachim Haspinger un'azione di opposizione popolare che sfociò in una rivolta concretizzatasi nelle quattro battaglie del Monte Isel. Nonostante alcuni successi militari ed una strenua resistenza, la sollevazione, anche per il mancato appoggio dell'Austria, non ebbe esito positivo, concludendosi con la battaglia a difesa di Innsbruck, in cui i tirolesi difesero da soverchianti forze francesi la città sino allo stremo nella convinzione di un soccorso delle truppe autriache che mai arrivò. Il capo della resistenza tirolese fu ivi catturato e poi processato e fucilato a Mantova dai francesi. La figura di Hofer fu successivamente mitizzata, assurgendo al ruole di eroe nazionale tirolese; fra le altre cose, l'inno del Tirolo (Das Andreas-Hofer-Lied) ricorda le sue vicende. Nel 1809 i confini cambiarono nuovamente. Con la pace di Schönbrunn del 14 ottobre 1809 il Tirolo venne assegnato alla Baviera. Tuttavia, già con il Trattato di Parigi del 28 febbraio 1810, avvenne la sua tripartizione[42]: alla Baviera toccò il Tirolo settentrionale fino a Merano e quello centrale fino a Chiusa; la Val Pusteria, da San Candido alle Province Illiriche, passò all'Austria; la città di Bolzano, l'Oltradige-Bassa Atesina, una parte rilevante del Salto-Sciliar e una piccola parte del Burgraviato (in particolare l'Alta Val di Non tedesca)[43][44] furono incorporati nel Regno d'Italia di Napoleone: il termine "Alto Adige" (Haut-Adige) nasce in questo periodo, per designare il nuovo dipartimento italiano che comprendeva la parte meridionale dell'odierna provincia di Bolzano e gran parte di quella di Trento.[45] Ettore Tolomei lo avrebbe ripreso per creare il toponimo italiano della provincia di Bolzano, spostandone così il significato geopolitico verso il settentrione. Le valli dolomitiche intorno a Dobbiaco divennero anch'esse parte del Regno d'Italia e furono riunite nel Dipartimento della Piave.[46] Nei mesi di settembre e ottobre 1813 le truppe del neo-proclamato Impero Austriaco, presero infine possesso di tutto il Tirolo cisalpino[47] e successivamente con il Trattato di Parigi del 3 giugno 1814[48] la regione passò formalmente alla monarchia asburgica

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Prima guerra mondialeNel 1914, all'inizio della guerra mondiale, l'Austria-Ungheria e l'Italia aderivano entrambe alla Triplice alleanza, che era di natura difensiva e non contemplava l'intervento italiano al fianco degli austro-tedeschi (che erano le potenze aggredenti). Inoltre il governo di Vienna aveva omesso di consultatore quello di Roma in vista dell'aggressione alla Serbia. L'Italia pertanto, mantenne la sua neutralità, anche considerando la propria scarsa preparazione militare[senza fonte] e presumendo che gli austrotedeschi, in caso di vittoria, non avrebbero offerto importanti contropartite territoriali (previste dall'alleanza in caso di espansione austriaca nei Balcani). Difatti, alla vigilia dell'entrata in guerra, l'Austria formalizzò un'offerta che riguardava solo una parte del Trentino e del Friuli, con l'esclusione di Gorizia e Trieste). In Italia erano inoltre forti i sentimenti irredentisti nei confronti dei territori irredenti in Trentino, Venezia Giulia e Dalmazia. Si sviluppò un forte movimento d'opinione volto a far entrare l'Italia in guerra, a fianco dell'intesa A

questo si aggiungevano diffusi sentimenti di simpatia per la Triplice intesa ed un patto segreto con la Francia, che di fatto invalidava gli accordi con gli Imperi centrali. In base ai termini del trattato segreto di Londra, stipulato nell'aprile 1915, l'Italia accettò di dichiarare guerra agli Imperi Centrali, in cambio (tra altre cose) di concessioni nei territori allora austro-ungarici del Tirolo (dal Trentino fino al Brennero), della Venezia Giulia, di alcune isole del Quarnaro e della parte nord della Dalmazia, ove vivevano consistenti popolazioni e comunità italiane. A nord il futuro confine fu segnato sullo spartiacque alpino, permettendo all'Italia di ottenere i suoi confini geografici, ma oltrepassando quelli etnici.[63]

Entrata in guerra dell'Italia

La guerra contro l'Impero austro-ungarico fu dichiarata il 23 maggio 1915. Malgrado la vicinanza al fronte, l'Alto Adige fu solo sfiorato dagli eventi bellici (nella zona dello Stelvio e di Lavaredo), che coinvolsero appieno il vicino Trentino. Nell'ottobre 1917, con l'aiuto tedesco, gli austroungrici sconfissero l'esercito italiano italiano nella battaglia di Caporetto. La vittoria si tramutò in una rotta per gli italiani che, caoticamente, si ritirarono fino al Piave, dove posero una nuova linea di difesa che riuscì a fermare l'avanzata. Nell'aprile del 1918 la "Dieta Popolare Tedesca" riunitasi a Vipiteno, rivendicò nei confronti dell'Italia dei "confini naturali" che comprendevano "antichi territori tedeschi come i Tredici comuni (Feltre), i Sette Comuni (Asiago), Bladen (Sappada), Zahre (Sauris), Schönfeld (Tolmezzo), Tischelwang (Timau). Inoltre una rettifica dei confini con cessione all'Austria della valle superiore dell'Adda e dell'Oglio, fino alla sponda meridionale del lago di Garda e al margine meridionale delle Alpi Veneto-friulane", oltre a rivendicare "unità e indivisibilità del Tirolo da Kufstein fino alla Chiusa di Verona, decisissimo rifiuto di ogni autonomia della parte meridionale del territorio, cioè al cosiddetto 'Tirolo Italiano'". Inoltre imponeva "l'insediamento d'un vescovo tedesco e preparazione dei futuri sacerdoti trentini in modo che siano buoni tirolesi amici dei tedeschi"[64]. Un punto della mozione della "Dieta Popolare tedesca" conteneva il nuovo programma educativo: "Completa trasformazione del sistema scolastico nel Tirolo italiano con l'introduzione dell'insegnamento obbligatorio della lingua tedesca ed educazione a sentimenti patriottici tirolesi e filo-tedeschi fra la gioventù e fra i docenti"[65]. Quest'assemblea rispecchiava l'euforia della momentanea vittoria tedesca di Caporetto[64]. Nel giugno 1918, grazie alle risorse liberate dalla resa dei russi, gli austroungarici sferrarono una grande offensiva contro la linea del Piave, contando di sfondare e concludere la guerra. La pronta reazione italiana, tuttavia, tramutò l'attacco in una disfatta, che esaurì le potenzialità militari dell'impero, rendendo inevitabile la sua sconfitta. Il 24 ottobre 1918, l'Italia, dopo molte esitazioni, lanciò un'offensiva contro l'esercito austro-ungarico, che di conseguenza crollò (vedi battaglia di Vittorio Veneto). L'Impero austro-ungarico, ormai allo sfascio, chiese l'armistizio, fu stipulato il 3 novembre e divenne operativo alle 15.00 del 4 novembre. Nei giorni successivi l'esercito italiano completò l'occupazione di tutto il Tirolo, inclusa Innsbruck, secondo i termini dell'armistizio. Nell'occasione le valli dell'Adige e dell'Isarco furono attraversate dalle truppe imperiali in fuga che, ormai allo sbando, si abbandonarono a saccheggi e violenze.

Annessione all'ItaliaAl termine della guerra, l'autoproclamata Repubblica dell'Austria tedesca, sorta delle ceneri del dissolto Impero austro-ungarico, tentò invano di reclamare la sovranità su svariati territori tedescofoni (Alto Adige incluso), ma da paese sconfitto non poté far valere le proprie pretese. Alla conferenza di pace di Parigi, l'Italia sedeva fra le potenze vincitrici e chiese l'applicazione del Patto di Londra. Com'è noto, l'Italia non ebbe piena soddisfazione alle sue richieste, in quanto le venne negata la Dalmazia (vedi Vittoria mutilata). Le richieste per il confine sullo spartiacque alpino vennero invece accolte, sia nella Venezia Tridentina[66], che nella Venezia Giulia. Le decisioni prese alla conferenza furono fatte ratificare alla neo-costituita repubblica austriaca col trattato di pace di Saint-Germain-en-Laye, firmato il 10 settembre 1919. Il trattato non prevedeva plebiscito in nessuno dei territori già rivendicati dagli austrotedeschi (alla pari dei trattati ratificati con Germania, Ungheria e Turchia), con l'eccezione della Carinzia. L'annessione fu formalizzata il 10 ottobre del 1920. Il confine dell'Italia veniva pertanto portato sullo spartiacque delle Alpi (superandolo nella conca di San Candido e a

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Tarvisio), ed includendo consistenti minoranze germanofone[67] e slavofone. Con essa si realizzava uno dei principali obiettivi di guerra italiani, apertamente dichiarato da Vittorio Emanuele III il 24 maggio 1915.[68]

Perché fu annesso l'Alto Adige

Le ragioni dell'annessione dell'Alto Adige, molto spesso ferme allo stereotipo dell'"ingiustizia inflitta nel 1919"[69], nascono in uno specifico contesto storico, in cui le rivendicazioni territoriali degli stati non avvenivano su base puramente etnica. Il conflitto era scoppiato come conseguenza della cultura imperialistica di stampo ottocentesco, che non teneva nel dovuto conto le aspirazioni nazionali dei singoli popoli (e da questo punto di vista, l'esempio eclatante era proprio l'Austria), ed era basata prevalentemente sui rapporti di forza fra gli stati. Per questo gli Stati Uniti avevano cercato di far imporre un criterio etnico per ridisegnare la mappa d'Europa, mediante i famosi "Quattordici Punti"[70][71], nella velleitaria speranza di evitare futuri conflitti. Tuttavia, in sede di pace, tali punti furono ampiamente disattesi a sfavore delle nazioni sconfitte. Furono di conseguenza milioni le persone di lingua/etnia tedesca, ungherese, turca e slava, che si trovarono incluse in uno Stato che non era quello della propria nazione, creando le premesse per la successiva distruzione di gran parte di esse. In questo contesto l'annessione del germanofono Alto Adige fu tutt'altro che un caso eccezionale, soprattutto se comparato alla sorte delle ben più numerose minoranze tedesche dei Sudeti o dell'Alsazia-Lorena (per non parlare delle minoranze ungheresi o turche). Resta un fatto che, in base al censimento austriaco del 1910, effettuato "secondo la lingua d'uso", il 90% della popolazione dell'Alto Adige risultasse germanofono, a fronte di un 7% circa di parlata italiana (in quest'ultimo gruppo, peraltro, poco più della metà era in effetti di parlata ladina). Non pochi d'altronde avevano subito nel corso dell'Ottocento un processo di assimilazione, come dimostra tuttora la presenza di molte famiglie germanofone con cognomi marcatamente italiani (e ladini). Prima dell'entrata in guerra dell'Italia e anche durante la stessa, alcuni esponenti politici italiani - fra di essi Antonio Stefenelli, Leonida Bissolati, Filippo Turati, Gaetano Salvemini ed Ernesta Battisti - si erano espressi a favore del confine in prossimità della chiusa di Salorno, che all'epoca rappresentava il confine linguistico con l'area linguistica germanica, e perciò vennero definiti "salornisti". Le perplessità vertevano anche sulle condizioni della regione, fortemente cattolica, arretrata socialmente ed economicamente, e con un'economia esclusivamente agricola, che veniva vista pertanto come una sorta di Vandea[72]. Anche il politico ed irredentista trentino Cesare Battisti aveva nutrito "talune perplessità" sullo spostamento del confine al Brennero in ragione del principio di nazionalità, ma lo considerava militarmente "formidabile".[73] Le posizioni dei "salornisti" rimasero comunque sia minoritarie. Tutto ciò premesso, l'annessione fu dovuta sostanzialmente a ragioni militari: la frontiera sul Brennero era infatti facilmente difendibile. Dalla caduta dell'Impero romano, continue erano state infatti le ingerenze e le invasioni dall'area tedesca verso l'Italia. L'Austria, in particolare, era stata la potenza egemone in Italia, e ne aveva duramente combattuto l'indipendenza e l'unificazione, tanto che gli austriaci erano diventati il "nemico" per eccellenza. Non sorprende quindi il desiderio italiano di avere frontiere sicure a protezione di ulteriori possibili invasioni. Un ipotetico Alto Adige austriaco, profondamente incuneato in territorio italiano, avrebbe continuato a costituire una spina nel fianco alla sicurezza del Regno, riproponendo difficoltà simili a quelle incontrate nella Grande Guerra.[74] Lo stesso presidente U.S.A.Woodrow Wilson, appoggiò questa richiesta.[75] Di quest'ultimo vengono usualmente citato solo i quattordici punti, laddove avrebbero supportato le rivendicazioni austriache (punto 9: La rettifica delle frontiere italiane dovrà essere fatta secondo le linee di demarcazione chiaramente riconoscibili tra le nazionalità.)

Le istanze locali

La storiografia tirolese cita spesso due tentativi effettuati per difendere l'unità tirolese. A maggio del 1919, la dieta tirolese (senza i rappresentanti trentini) si riunì ad Innsbruck, proponendo[A chi?] la creazione di uno stato indipendente da Kufstein a Salorno.[senza fonte] Come ulteriore tentativo, a metà del 1919, alcune personalità rappresentative di tutti i principali partiti della dieta di Innsbruck, offrirono l'intero Tirolo al re d'Italia, pur di non smembrare la regione, richiedendo in cambio la stessa autonomia garantita dall'Austria, ma l'offerta venne declinata[76]. Vi furono, anche da parte di alcune associazioni ladine, talune manifestazioni di fedeltà all'Austria.[senza fonte][77] Tale episodi furono in ogni caso insignificanti nel contesto delle trattative di pace. È infatti noto che le condizioni di pace furono stabilite in proprio dalle potenze vincitrici e che le potenze sconfitte dovettero limitarsi a prenderne atto.

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Primo dopoguerraDopo l'occupazione militare, l'Alto Adige fu incluso nel commissariato generale civile della Venezia Tridentina, in attesa che il trattato di pace ne sancisse l'annessione. Il re Vittorio Emanuele III, nel discorso alla corona del 1º dicembre 1919, dichiarò l'intento di voler rispettare in pieno le autonomie e le tradizioni locali, con il supporto delle istituzioni politiche e militari. Le scuole, le istituzioni e le associazioni tedesche furono mantenute e furono inoltre avviate trattative per creare strutture amministrative autonome, in grado di garantire un'integrazione efficace delle istituzioni locali nel nuovo sistema statale. In un primo momento i governi liberali perseguirono dunque una politica abbastanza tollerante verso le minoranze tedesche, sostituendo al governatore militare Guglielmo Pecori Giraldi il Commissario Generale Civile per la Venezia Tridentina Luigi Credaro,[78] il quale preservò l'ordinamento amministrativo decentrato della regione. Alle elezioni parlamentari del 1921 votarono per la prima volta gli elettori dei "territori redenti": in Alto Adige (compreso nella Venezia Tridentina) i germanofoni presentarono la Tiroler Volkspartei ("Partito popolare tirolese"), la Deutschfreiheitliche Partei ("Partito libertario tedesco") e la Sozialdemokratische Partei ("Partito socialdemocratico"). I primi due partiti si presentarono uniti sotto il nome di Deutscher Verband ("Alleanza tedesca"), ottenendo circa il 90% dei voti e conquistando quattro seggi alla Camera dei deputati (Eduard Reut-Nicolussi, Karl Tinzl, Friedrich von Toggenburg e Wilhelm von Walther). I socialdemocratici ebbero il restante 10% dei consensi e non riuscirono a inviare alcun deputato a Roma. I quattro rappresentanti continuarono le trattative sull'autonomia in parlamento, che terminarono dopo la presa di potere del fascismo (28 ottobre 1922). In Alto Adige, come nei nuovi territori acquisiti, le camicie nere iniziarono a effettuare alcune spedizioni punitive, come a Bolzano il 24 aprile 1921 dove al corteo di inaugurazione della fiera morì il maestro Franz Innerhofer di Marlengo; una seconda volta avvenne il 2 ottobre 1922, la marcia su Bolzano tre settimane prima della marcia su Roma, che portò alla destituzione del governatore della Venezia Tridentina Luigi Credano e del borgomastro di Bolzano Julius Perathoner.[79] Il 21 gennaio 1923 il commissariato della Venezia Tridentina, pur mantenendo il controllo militare e di polizia, passò il controllo amministrativo alla neocostituita provincia di Trento,[80] con capoluogo a Trento, che all'epoca incorporava anche l'Alto Adige. Sempre nel 1923, nell'ambito di una generale riorganizzazione amministrativa che investì tutta Italia, i comuni ladinofoni di Livinallongo, Colle e Cortina passarono alla provincia di Belluno. A tale distacco, di carattere prettamente pratico, i movimenti pantirolesi tentarono di dare un significato politico, in quanto avrebbe spezzato il territorio della cosiddetta Ladinia fra tre provincie (Trento, Bolzano e Belluno). In realtà, sin dalla riforma dei distretti giudiziari operata nel 1868 in seno all'Impero austro-ungarico, l'unità ladina era stata divisa, rendendo il tedesco la lingua ufficiale della Val Gardena e della Val Badia e l'italiano la lingua ufficiale di Livinallongo, Ampezzo e Fassa.[81] In un primo tempo l'Alto Adige rimase dunque incluso nella provincia di Trento al fine di diluire l'influenza dell'elemento etnico tedesco. Tale esigenza venne tuttavia meno quando il regime fascista abolì la democrazia locale e al contrario emerse la necessità di un controllo più particolareggiato del territorio: fu così che il 16 dicembre 1926 Umberto Ricci entrò in carica come primo Prefetto di Bolzano, mentre la Provincia di Bolzano fu istituita con Regio decreto 2 gennaio 1927, n° 1, sul territorio degli ex circondari di Bolzano, di Bressanone e di Merano.[82] La provincia della Venezia Tridentina venne quindi divisa nelle due province di Trento e Bolzano.[83] Il confine della provincia di Bolzano fu tracciato nei pressi di Laives, località appena a sud di Bolzano, e non più presso la chiusa di Salorno, che rappresentava il vecchio confine fra Trento e Bolzano. Questo allo scopo di favorire l'italianizzazione dei territori mistilingui (in cui cioè la presenza di popolazione italofona era già considerevole prima dell'annessione).[84]

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FascismoNell'immediato dopoguerra e negli anni successivi, in svariati territori europei soggetti ad opposte rivendicazioni scoppiarono violenze, rivolte e conflitti a carattere nazionalista ed interetnico. Ci furono guerre per definire il possesso di singoli territori. In territori con popolazione multietnica scoppiarono conflitti o furono varate politiche di assimilazione. A queste violenze si sommarono rivolte di carattere sociale ispirate dalla Rivoluzione Russa. L'Italia non fece eccezione (vedi Biennio Rosso): ad una serie di rivolte sociali ed operaie si contrappose la violenza del nascente fascismo. Anche l'Alto Adige fu pertanto investito da violenze disordini con connotazione politica e nazionalistica, perpetrati dagli squadristi fascisti, che miravano a ribadirne il possesso italiano e a reprimerne le istanze autonomiste. La ex Kaiserin Elisabeth Schule, oggi Scuola Elementare "Dante Alighieri". Il rifiuto del sindaco Julius Perathoner di concedere l'edificio per consentire l'apertura di una scuola elementare italiana, costituì il pretesto per la Marcia su Bolzano. Il 24 aprile 1921, i fascisti avevano avuto notizia che, nel corso della Fiera di Bolzano, si sarebbe tenuta una manifestazione pangermanista.[85] Achille Starace (divenuto poi celebre come segretario del P.N.F.), leader del

fascismo locale, organizzò un'azione squadrista posta ai suoi diretti ordini. Negli scontri che seguirono fu assalito con armi da fuoco e bombe a mano un corteo folkloristico.[86] Quarantacinque persone furono ferite, in parte gravemente. Franz Innerhofer, un maestro di Marlengo, rimase ucciso da colpi di pistola mentre tentava di ripararsi sotto un portone assieme ad uno scolaro. Quel giorno venne ricordato come la "Domenica di sangue" (Blutsonntag). Il 4 ottobre 1922 Starace organizzò la cosiddetta Marcia su Bolzano, utilizzando a pretesto la mancata concessione di un edificio per la scuola elementare italiana. Fu quindi occupato il Municipio e vennero chieste le dimissioni del sindaco (nazionalista) Julius Perathoner e del consiglio comunale. Anche il Commissario Generale Civile Luigi Credaro subì l'assalto di una squadra fascista (il 5 ottobre), a seguito del quale si dimise. Credaro era "reo" di una politica particolarmente conciliante verso la minoranza tedesca e rispettosa dell'ordinamento amministrativo decentrato della regione. Il governo non intervenne e, cedendo alla richieste, nominò al governo della città il (peraltro moderato) commissario straordinario Augusto Guerriero. Il governo italiano mostrò ancora una volta la propria debolezza di fronte alla ormai dilagante violenza fascista: nemmeno un mese dopo con la marcia su Roma, Mussolini prendeva il potere.

Gli anni del regime e la politica di italianizzazione

Con l'avvento del governo fascista fu varata in tutta Italia una politica nazionalista di compressione delle minoranze dialettali e linguistiche, che comportò l'italianizzazione di nomi e toponimi e la chiusura di tutte la scuole non italiane. I fascisti fecero proprie le teorie del nazionalista trentino Ettore Tolomei, che sosteneva che l'Alto Adige fosse un territorio forzatamente germanizzato da riportare alla sua condizione "originaria". Anche l'Alto Adige pertanto, fu sottoposto a una politica di graduale e progressiva italianizzazione. Il primo passo fu la riforma Gentile del 24 ottobre 1923, che prevedeva la graduale soppressione delle scuole in lingua non italiana nei nuovi territori occupati. Fu quindi chiusa gran parte della stampa germanofona. Toponimi e insegne furono italianizzati. Mediante un decreto del 1923, fu imposto l'uso dei soli toponimi, sulla base del Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige di Ettore Tolomei. Fu vietato l'uso delle parole Tirol o Südtirol. Vennero chiuse le sezioni del Deutscher und Österreichischer Alpenverein (Club Alpino austro-tedesco) e circa 20 rifugi montani furono espropriati senza risarcimento.[87] Nel 1926 un regio decreto impose il ritorno alla forma italiana dei "cognomi d'origine italiana o latina" che fossero stati "tradotti o trasformati con grafia straniera". Ettore Tolomia voleva invece che tale legge venisse ampliata a tutti i cognomi.[88] La popolazione tedescofona reagì istituendo le clandestine Katakombenschulen (scuole delle catacombe), fondate dal prelato Michael Gamper. La casa editrice Tyrolia da lui diretta dovette cambiare nome: si scelse il troppo tedescofono nome Verlagsanstalt Vogelweider, sostituito dopo pochi mesi col nome Athesia (il nome latino della valle dell'Adige), che conserva tuttora. Inoltre, nell'autunno del 1928 furono create scuole parrocchiali tedesche ove s'insegnava la religione nella madrelingua (su disposizione di papa Pio XI, contattato da Gamper).[87] Grazie ai privilegi garantiti dal concordato, fu inoltre possibile stampare dei periodici ecclesiastici in lingua tedesca. Nel 1927 venne istituita la nuova provincia di Bolzano, ottenuta dallo scorporo degli ex circondari di Bolzano, di Bressanone e di Merano della provincia di Trento[89].

Le assimilazioni ed espulsioni forzate delle minoranze nel periodo interbellico

La politica italiana in Alto Adige durante il fascismo, non fu un unicum. Anche verso le minoranze slavofone (slovene e

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croate) della Venezia Giulia vennero adottate politiche simili. Verso le altre minoranze etnico-linguistiche, già facenti parte del Regno, vennero confermate le usuali politiche di non riconoscimento delle peculiarità linguistiche. Inoltre, in tutto il paese, furono numerosi i toponimi e i nomi che vennero italianizzati (in Sardegna, Piemonte, Valle d'Aosta, Sicilia, ecc,). In tutta Europa (e non solo), nel periodo interbellico, furono molte le minoranze etnico/linguistiche che si vennero a trovare all'interno di stati nazionali aventi un retroterra linguistico-culturale differente dal loro. Questo non era dovuto solo all'incompleta applicazione delle filosofie wilsoniane, ma al semplice fatto che i confini fra le diverse etnie e lingue non erano netti. Era vero semmai il contrario: regioni in cui diverse lingue ed etnie si mescolavano e convivevano erano frequentissime, soprattutto nell'Europa dell'est. Il definitivo trionfo degli stati nazionali, scaturito dalla conferenza di Parigi, sortì l'effetto contrario a quello desiderato da Wilson: le politiche di assimilazione forzata delle minoranze presero impulso e vigore. I casi più noti ed eclatanti furono le persecuzioni degli armeni e degli assiri, perpetrate dagli Ottomani, così come il gigantesco scambio di popolazioni fra Grecia e Turchia. Analogamente, si assistette all'assimilazione delle minoranze tedesche ed ungheresi operate dal Regno di Jugoslavia, e quelle delle minoranze ucraine operate dai polacchi. La stessa Austria, madrepatria degli altoatesini tedescofoni, non riconobbe i diritti degli sloveni della Carinzia. Oltre 200.000 tedeschi furono espulsi dall'Alsazia-Lorena in seguito alla riannessione alla Francia, anche se la metà di essi poté tornare.[90]

L'armistizio e l'occupazione tedesca

Dopo la destituzione e l'arresto di Mussolini a seguito degli eventi del 25 luglio 1943, Hitler ordinò l'inizio delle operazioni militari volte ad occupare i passi alpini e liberare il duce. I piani di azione erano già stati elaborati dal comando tedesco nel maggio ed erano pronti a scattare con la parola d'ordine: Alarich und Konstantin (operazione Alarico).

Il 27 luglio iniziò la discesa dal Brennero delle truppe tedesche, comandate dal generale Valentin Feuerstein, acquartierato a Innsbruck, utilizzando venti autobus postali dati in dotazione da Franz Hofer, Gauleiter del Tirolo e Vorarlberg; altri soldati erano pronti a dar loro manforte. L'arrivo contemporaneo in Alto Adige di truppe alpine italiane incrementò la tensione tra i comandi militari italiani e quelli tedeschi e Franz Hofer dal canto suo chiese ufficialmente la riunificazione del Tirolo.[97]

Il 30 luglio alle 20.10 la 26ª divisione corazzata tedesca attraversò il confine e in pochi giorni, senza che le fosse opposta una grande resistenza.

Dopo l'8 settembre 1943 l'esercito italiano, lasciato senza ordini, si sfasciò. L'Alto Adige fu occupato dal Terzo Reich nell'ambito dell'operazione Alarico. Parte della popolazione accolse le truppe tedesche come forze di liberazione.[98] Altre però temevano la vendetta dei nazisti dato che si erano dichiarati Dableiber.[99]

Uno dei primi obiettivi degli invasori fu l'occupazione delle caserme in località Terme di Brennero (Brennerbad) per poter disarmare le truppe italiane.[100] Alle 22 i tedeschi scesendendo lungo l'Alta Valle d'Isarco iniziarono ad attaccare Colle Isarco. Alle 23.30 le truppe italiane di Vipiteno e Colle Isarco abbandonarono le armi; in seguito vennero occupate le cittadine di Bressanone e Chiusa, ponti, ferrovie e centrali elettriche furono presidiate dalle truppe tedesche fronteggianti quelle italiane. Stessa sorte subirono la Val Pusteria e la Val Venosta. Alle 2 del mattino del 9 settembre le truppe arrivano a Bolzano ed iniziò l'occupazione della città. Il generale di divisione Fantoni venne informato dal giornalista Vischi che i tedeschi erano alle porte, decise di aspettare i tedeschi all'alba; l'aeroporto di Bolzano, dotato di 24 aerei, chiese il supporto di un reparto di alpini per aiutare gli avieri armati di due sole mitragliatrici, ma nessun aiuto arrivo'. Con un unico tentativo di penetrare nel palazzo del corpo d'armata, i tedeschi riuscirono a guadagnare l'ingresso nonostante una reazione da parte dei carabinieri. Sei carri armati arrivarono alla caserma Mignone: in tale occasione un ufficiale e un artigliere italiani morirono. Le truppe si posizionare ben presto attorno a diversi punti sensibile come il comando del Corpo d'Armata e alle antenne dell'EIAR presso Monticolo.[101]

Alle 3 del mattino i tedeschi sparano con artiglieria e tre carri, ma il comando resiste: restano sul campo 4 tedeschi e 3 carabinieri. Nel frattempo diversi sudtirolesi si ritrovano presso l'hotel Grifone dove vennero loro distribuite delle armi assieme a dei bracciali con la scritta SOD, Suedtiroler Ordnung-Dienst. L'avanzata tedesca nella città continua; carri armati giungono anche alla caserma Cadorna, dove vi fu qualche morto e numerosi feriti. Altri tentarono la fuga risalendo le pendici del Guncina, ma vennero fatti ritornare indietro da sassi fatti rotolare appositamente dai contadini.

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Mentre il generale Gloria che attendeva ordini da Roma, decise assieme ai suoi ufficiali di esporre bandiera bianca e di abbandonare le armi anche perché verso le 3 un panzer Tiger sparò un colpo alla facciata del comando generale. Pochi furono i combattimenti in città; qualche breve resistenza vi fu solamente presso i campo d'aviazione, ma ben presto tutte le truppe italiane furono radunate presso il greto del Talvera e dopo alcuni giorni vennero spostate in altri luoghi.[102] Bolzano, senza alcun mezzo corazzato, fu ben presto sottomessa: il 9 settembre morirono 26 militari italianie 9 tedeschi, se si calcolano i deceduti anche dei giorni seguenti, in seguito alle ferite riportate le cifre sono aggiornate a 35 italiani e 12 tedeschi.[101]

L'Operationszone Alpenvorland

Con l'occupazione tedesca, la provincia di Bolzano, insieme a quelle di Trento e Belluno, fu incorporata nella Zona d'Operazione delle Prealpi, nominalmente parte della Repubblica Sociale Italiana, ma de facto amministrata dal Terzo Reich, e posta sotto il comando del Gauleiter del Tirolo Franz Hofer. Durante i "600 giorni", il gruppo linguistico italiano subì gravi contraccolpi: gran parte delle autorità amministrative italiane, sinora fedeli al regime, furono sostituite da elementi tedeschi, fedeli al Reich; il giornale fascista La Provincia di Bolzano venne soppresso e sostituito con quello nazista Bozner Tagblatt; l'unica emittente radiofonica italiana venne sostituita con un'emittente tedesca. Alla provincia di Bolzano furono riaggregati i comuni della Bassa Atesina e quelli ladini di Cortina d'Ampezzo, Livinallongo e Colle Santa Lucia. A capo dell'amministrazione locale vennero collocati soprattutto elementi dell'associazione altoatesina per le Opzioni in Alto Adige (Arbeitsgemeinschaft der Optanten für Deutschland) e fu nominato prefetto Peter Hofer.[104]

I militari di lingua tedesca confluirono nella Wehrmacht, nelle SS e nella Gestapo. Nel 1943, dopo il reclutamento di circa 2000 soldati per i quali il servizio militare era d'obbligo (classi 1900-1912), in maggioranza optanti, la Wehrmacht ebbe difficoltà nel 1944 a trovare volontari per costituire il reggimento e dovette procedere all'arruolamento prevalentemente di Dableiber. Le alte qualifiche furono ricoperte esclusivamente da persone del Reich tedesco.

Il collaborazionismo con le autorità naziste

Il SS Polizei-Regiment "Bozen" collaborò alle persecuzioni contro gli ebrei (fu decimata la comunità di Merano) e alla caccia ai soldati italiani sbandati dopo l'8 settembre. I militari tedeschi vittime dell'Attentato di via Rasella a Roma, che scatenò la rappresaglia delle Fosse Ardeatine, appartenevano all'11ª compagnia del 3º battaglione del reggimento SS-Polizeiregiment Bozen. Il medesimo reggimento Bozen, formato quasi esclusivamente da altoatesini di lingua tedesca, si macchiò di gravi crimini contro la popolazione civile italiana, tra cui la strage della Valle del Biois, in cui vennero massacrate circa 44 persone[105]. Numerose furono le persecuzioni contro i Dableiber, tacciati di tradimento: molti di loro (soprattutto gli esponenti) furono picchiati, arrestati e deportati. Le violenze si protrassero anche oltre la fine della guerra: l'11 novembre 1946 veniva assassinato a randellate l'ex sindaco di Caldaro, Attilio Petri, secondo alcuni poiché avrebbe esposto il tricolore italiano il giorno del 4 novembre, anniversario della vittoria italiana nella prima guerra mondiale.

A Bolzano sorse un campo "di transito" (Polizeiliches Durchgangslager) attraverso il quale passarono migliaia di vittime destinate ai campi di sterminio Oltrebrennero. Anche 23 italiani furono catturati e internati nel campo di Bolzano, per poi essere trucidati nell'eccidio della caserma Mignone il 12 settembre 1944. Altri 9 italiani vennero massacrati nella strage di Lasa.

In base al "programma di eutanasia - T4", voluto da Hitler, molti infermi psichici e disabili vennero deportati presso la clinica psichiatrica di Innsbruck e di qui a Hall e al Castello di Hartheim a Linz. Dei 569 malati che furono deportati, 239 morirono di fame e privazioni o furono eliminati.[106]

Resistenza

Non mancarono tuttavia casi positivi: come ricordato dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, durante la sua detenzione al carcere di Regina Coeli a Roma nel corso dell'occupazione tedesca della capitale, le guardie di origine altoatesina si distinsero per una maggiore indulgenza verso i detenuti ed ebbero un ruolo molto importante nel facilitare l'evasione di Pertini stesso e di alcuni suoi compagni dalla prigione il 25 gennaio 1944[107].

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La resistenza contro i tedeschi era rappresentata dalla sezione provinciale del CNL (guidato fino alla sua esecuzione mediante strangolamento da Manlio Longon).[108] Anche i Dableiber, perseguitati come traditori dai nazisti, si organizzarono nella Andreas-Hofer-Bund. Si ricordano i nomi di Hans Egarter, Franz Thaler e Friedl Volgger, quest'ultimi internati nel campo di concentramento di Dachau. Volgger riuscì a sopravvivere e nel dopoguerra divenne senatore della Südtiroler Volkspartei. Josef Mayr-Nusser, capo della gioventù cattolica diocesana, non volle prestare giuramento alle SS per incompatibilità con la propria fede religiosa: morì durante il viaggio verso il Campo di concentramento di Dachau. Anche Erich Ammon, esponente di spicco dei Dableiber e poi tra i fondatori della Südtiroler Volkspartei (SVP), fece parte della resistenza.[109]

Il primo bombardamento alleato della città di Bolzano avvenne il 2 settembre 1943 (contemporaneamente a Trento, duramente colpita dalle bombe alleate che provocarono la strage della Portela, con poco meno di 200 vittime).[101]

Il 25 aprile del 1945 l'Alto Adige venne liberato dagli Alleati. La seconda guerra mondiale finiva con 8.000 altoatesini dispersi o morti in guerra.

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Secondo dopoguerraNell'immediato dopoguerra (1945-1946) la ricostituita Austria sperò di poter ottenere il territorio dell'Alto Adige, atteggiandosi a "prima vittima del nazismo". Tuttavia l'Austria era un paese sconfitto e sotto occupazione alleata. Non solo aveva dato i natali ad Adolf Hitler, ma aveva più tardi supportato il nazismo e partecipato allo sterminio degli ebrei. Un buon numero di altoatesini di lingua tedesca aveva a sua volta simpatizzato per il nazismo. Il tutto rendeva la richiesta di annessione intempestiva e difficile da sostenere. L'Italia, oltretutto, aveva già subito forti amputazioni territoriali in Venezia Giulia, che avevano provocato l'esodo di centinaia di migliaia di persone.

Infine, l'Unione Sovietica si oppose fermamente all'accorpamento dei territori tedescofoni, temendo possibili rigurgiti pangermanisti. Alla Conferenza di Potsdam pertanto, fu confermata la sovranità italiana su tutto l'Alto Adige anche in previsione della futura Guerra Fredda.[111] La raccolta di 155.000 firme, su iniziativa della neonata Südtiroler Volkspartei, non influì su tale decisione. Conseguenza della politica dell'URSS fu l'espulsione verso la Germania di circa 15 milioni di germanofoni, avvenuto con modalità tragiche e nella quale trovarono la morte tre milioni di civili. Situato fuori dalla zona di occupazione sovietica, l'Alto Adige fu preservato da questo destino, che comportò, fra le altre cose, l'eradicazione di tutte le minoranze tedesche ex-asburgiche rimaste fuori dall'Austria, e di tutte quelle propriamente tedesche. Fra le poche minoranze tedesche superstiti, gli altoatesini furono gli unici a non subire alcun processo di degermanizzazione (l'Alsazia-Lorena, per contro, fu però sottoposta ad un'intensa francesizzazione), vedendo, al contrario, riconosciuti il loro status.

Il riconoscimento della minoranza tedesca e la nascita della regione autonoma

« La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche »

A compensazione della mancata riannessione dell'Alto Adige, l'Austria ottenne infatti che lo status della sua minoranza fosse regolato mediante un trattato bilaterale.

Il primo ministro italiano Alcide De Gasperi e Karl Gruber, ministro degli esteri austriaco, raggiunsero un accordo, ratificato il 5 settembre 1946, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 24 dicembre del 1947. Tra le varie cose, fu prevista la possibilità del rientro degli optanti.

L'Accordo De Gasperi-Gruber riconosceva i diritti degli abitanti di lingua tedesca delle province di Trento e di Bolzano (l'art. 1 recitava: "Gli abitanti di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca"). Oltre a questo vi fu la concessione, unica in Europa verso una popolazione collaborazionista (si pensi solo alla sorte dei Sudeti), di riacquistare la cittadinanza italiana senza subire alcuna ritorsione (i cosiddetti "rioptanti"). Da parte sua l'Austria e rinunciava formalmente e in modo definitivo a qualsiasi rivendicazione sull'Alto Adige.

Il primo gennaio del 1948, entrò in vigore la nuova costituzione italiana, che, al suo art. 6, prevedeva la tutela delle minoranze e, all'art. 116, lo statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige.

Venne dunque creata la regione autonoma del Trentino-Alto Adige, dove però gli italofoni erano comunque in maggioranza. In questo veniva anche data soddisfazione alle istanze autonomiste trentine, supportate in prima persona da trentino De Gasperi. Il primo statuto speciale del 1948 concedeva ampi poteri legislativi, amministrativi e finanziari all'intera Regione Trentino-Alto Adige/Tiroler Etschland, sanciva il bilinguismo italiano/tedesco, istituiva scuole in lingua tedesca e reintroduceva la toponomastica bilingue.

Nel 1948 furono annessi alla provincia di Bolzano i comuni a maggioranza o forte presenza tedesca, a suo tempo accorpati alla provincia di Trento: Anterivo, Bronzolo, Cortaccia, Egna, Lauregno, Magrè (dal quale fu successivamente scorporato il comune di Cortina sulla strada del vino), Montagna, Ora, Proves, Salorno, Senale-San Felice, Trodena. In questo modo si raggruppavano i comuni "tedeschi" nella provincia di Bolzano[112]. Rimasero escluse solo alcune isole linguistiche sul territorio trentino, troppo isolate dall'Alto Adige.

Questa serie di provvedimenti, anche se ispirata dalle grandi potenze, poté realizzarsi grazie alla notevole disponibilità da parte del governo italiano, specie se si considera il fatto che in Alto Adige le simpatie verso il nazismo nell'immediato

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dopoguerra non erano affatto scomparse.[113][114]

Dal 1946 al 1967 l'Ufficio per le Zone di Confine istituito presso la Presidenza del Consiglio si occupò di tutti gli affari relativi alle complesse questioni delle aree di confine, come anche della questione altoatesina, adoperandosi anche economicamente per il "sostegno all'italianità".[115] L'edilizia popolare fu uno dei campi in cui vi furono maggiori tensioni in Alto Adige.[116]

La ratline altoatesina

Le vie di fuga (in inglese ratline) seguite nel 1946 da centinaia di criminali di guerra nazisti, fra cui Adolf Eichmann, Josef Mengele, Erich Priebke, passavano per il Brennero e portavano in Italia, e da qui, spesso passando per il porto di Genova, in Argentina.

L'Alto Adige nei primi anni del dopoguerra de facto "terra di nessuno". La cittadinanza degli altoatesini era incerta, e l'80% della popolazione che a suo tempo aveva optato per la Germania veniva considerata tedesca senza cittadinanza.[e con questo?]

Nel dicembre 1945, gli alleati si ritirarono dall'Italia settentrionale, facendo dell'Alto Adige l'unico territorio di lingua tedesca non occupato militarmente, e rendendolo una tappa obbligata sulla via di fuga di molti nazisti. In Alto Adige essi ricevettero aiuto e rifugio soprattutto da ecclesiastici di vario grado e livello. Fu spesso grazie all'aiuto delle gerarchie vaticane che essi poi poterono continuare il loro viaggio verso i porti italiani da dove si imbarcarono verso lidi sicuri. Le amministrazioni comunali contribuirono a ciò rilasciando documenti falsi ai suddetti fuggiaschi[117].

Gli storici concordano nell'affermare che in Alto Adige non vi fu nel dopoguerra, concause il risistemarsi dei grandi blocchi nella Guerra fredda e gli atteggiamenti riluttanti sia delle élite locali, in parte compromesse coi regimi totalitari, sia del Governo italiano, il quale non voleva mettere in luce la collaborazione fra fascisti e nazisti, né una sostanziale

defascistizzazione né una profonda denazificazione.[118]

Anni cinquanta e sessanta: il terrorismoNel rispetto dell'accordo De Gasperi-Gruber lo statuto del Trentino-Alto Adige aveva ripristinato l'insegnamento del tedesco e ristabilito la toponomastica bilingue. Fino alla metà degli anni cinquanta la Democrazia Cristiana e la Südtiroler Volkspartei (SVP), il partito di riferimento della popolazione di lingua tedesca, guidato originariamente dai Dableiber oppositori del nazismo, collaborarono dunque nella gestione dell'ente regionale, che poté svilupparsi anche economicamente. Nel 1952 il reddito per abitante della provincia di Bolzano era di 211.012 lire, ossia il 130,4% della media nazionale.[119]

La convivenza pacifica venne tuttavia messa a prova dal ritorno massiccio di optanti, caldeggiato dall'Austria e avallato dai vincitori della guerra.[120] A ciò si contrapponeva la politica del governo nazionale italiano che proseguiva nell'intento di creare una maggioranza italiana in Alto Adige (tramite la cosiddetta "politica del 51%"),[121][122][123] attirando manodopera dal resto d'Italia per le grandi industrie altoatesine.

La situazione peggiorò a partire 1955, anno di ricostituzione della Repubblica Austriaca, che fino a quel momento era uno Stato sotto occupazione e privo di sovranità. Liberatasi del controllo alleato in seguito al trattato di stato, l'Austria decise di mettere in dubbio la sovranità italiana sull'Alto Adige e di farsi portavoce delle istanze rivendicazioniste sudtirolesi ingerendosi direttamente nelle vicende della provincia con la creazione di un apposito "sottosegretariato agli Esteri per gli affari sudtirolesi" (tuttora esistente). Questo venne affidato a Franz Gschnitzer, membro della Lega del Monte Isel (Bergisel-Bund), un'associazione di irredentisti austriaci.

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Durante gli anni della guerra fredda la linea fortificata del Vallo Alpino in Alto Adige, dopo essere stata temporaneamente abbandonata, riprese il suo livello strategico, dovendosi questa volta l'Italia difendere da possibili minacce dall'est, soprattutto dall'URSS. Le varie opere furono quindi riprese in mano ed aggiornate per poter resistere a questa nuova minaccia.[124]

Il Concilio Vaticano II (1962-1965) avviò un grande cambiamento anche nelle forme di intervento politiche e sociali. Proprio nel 1964 vennero ridefiniti i confini tra l'arcidiocesi di Trento e la diocesi di Bolzano-Bressanone, in modo tale che i confini corrispondessero a quelli provinciali. Artefice di questo passaggio fu l'allora vescovo di Bressanone Joseph Gargitter, precedentemente amministratore apostolico di Trento.[125]

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Dalla nascita della provincia autonoma (1972) ad oggiDopo dodici anni di discussione nei consessi nazionali e internazionali, nel 1972 l'Alto Adige ottenne dallo Stato italiano un'ampia autonomia separata dal Trentino. Con l'entrata in vigore del secondo statuto speciale del Trentino-Alto Adige (in tedesco Trentino-Südtirol) le maggiori competenze e risorse sono state infatti trasferite alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Ciononostante, gli attentati terroristici ripresero con forza nella seconda metà degli anni settanta, per finire solamente alla fine degli anni anni ottanta. Accanto a gruppi estremistici di lingua tedesca, in particolare Ein Tirol, ancora favorevoli al distacco dall'Italia, comparvero anche organizzazioni italiane, come l'Associazione Protezione Italiani e il Movimento Italiano Alto Adige, contrarie ai provvedimenti contenuti nel secondo statuto di autonomia. Pur senza provocare vittime umane, la nuova ondata di attentati fu legata ad un nuovo peggioramento dei rapporti etnici. Il sindaco di Bolzano, Giancarlo Bolognini, descrisse il fenomeno così: Non mi sento di dare risposte, l'uso della violenza è ormai un fatto così diffuso che non è semplice attribuire paternità. Un fatto appare comunque certo: il riapparire del terrorismo è riconducibile alle tensioni esistenti tra i due gruppi di lingua tedesca e italiana.[145]

Bilancio complessivo del terrorismo in Alto Adige: trentadue anni di guerriglia, dal 20 settembre del 1956 al 30 ottobre del 1988. 361 attentati con esplosivi, raffiche di mitra, mine. 21 morti, di cui 15 membri delle forze dell'ordine, due cittadini comuni e quattro terroristi, dilaniati dagli ordigni che stavano predisponendo. 57 feriti: 24 fra le forze dell'ordine, 33 privati cittadini.

Nel 1976 fu emanata la norma sulla ripartizione proporzionale degli impieghi pubblici in base alla consistenza numerica dei gruppi linguistici tedeschi, italiani e ladini. Tali dati vengono decennalmente aggiornati dal 1981 grazie alla dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico (dal 2011 la dichiarazione, inizialmente nominativa, è divenuta anonima). Questo sistema cosiddetto "proporzionale" incarna un principio "statico" e etnocentrico dell'autonomia, in contrasto con il requisito di bi- o trilinguismo obbligatorio dal 1976 per l'accesso al pubblico impiego.[146]

La distensione del periodo degli attentati cominciò solo sul finire degli anni ottanta. Nel 1992, approvate le norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige, confluite nel cosiddetto Pacchetto per l'Alto Adige (l'insieme delle misure a favore della popolazione di lingua tedesca), l'Austria rilasciò all'Italia la c.d. "quietanza liberatoria" (Streitbeilegungserklärung) che chiudeva il contenzioso tra i due stati pendente innanzi l'ONU.[147] In cambio l'Italia ritirò il proprio veto contro l'entrata dell'Austria nell'Unione Europea, avvenuta tre anni dopo.

L'Alto Adige è oggi un esempio di pacifica convivenza fra gruppi etnici, tanto da essere talora additato a modello per la soluzione di conflitti etnici, così nel caso del Tibet[148] o della minoranza serba in Kosovo[149]. Il governo kosovaro ha però escluso l'applicazione del modello altoatesino in quanto porterebbe alla creazione di una specie di repubblica serbo-bosniaca all'interno di uno Stato a maggioranza albanese, con conseguente rischio di fomentare le rivalità etniche.[150]

Tuttavia anche in Alto Adige le tensioni non sono state definitivamente sopite e si sono di nuovo accentuate negli ultimi anni, creando una situazione di disagio in particolare per la popolazione italofona.

Sviluppo economico

Rispetto alla media delle province italiane, l'Alto Adige eccelleva economicamente anche prima del 1972. Nel 1958 il reddito medio della provincia di Bolzano ammontava a 305.065 lire (del 24,8% superiore a quello medio nazionale, facendo dell'Alto Adige la dodicesima provincia più ricca d'Italia), mentre l'indice della disoccupazione era dell'1,25%.[151] La realtà economica era fortemente settorializzata per etnie: il gruppo linguistico italiano controllava l'industria e il pubblico impiego, l'agricoltura, l'artigianato e il turismo erano nelle mani del gruppo linguistico tedesco.[152][153]

Le cose cambiarono con l'introduzione del Pacchetto per l'Alto Adige, che di fatto riservò il pubblico impiego ai germanofoni, con l'arrivo del turismo di massa dalla Germania, ancora a favore dei germanofoni, e con la crisi dell'industria pesante, con una notevole perdita di potere degli italofoni anche nel settore economico. Le imprese altoatesine furono fortemente rinnovate, puntano sulla Green economy e fanno da cerniera con il mondo germanico ed europeo.[154]

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Nel 2010 l'Alto Adige si è attestato al secondo posto nella classifica delle province italiane, con un PIL pro capite di 35.249,88 euro (superato dalla sola provincia di Milano[155]). Anche la condizione occupazionale in provincia fino alla crisi dell'Eurozona era eccellente e con un tasso di disoccupazione che si attesta al 2,7% si poteva parlare tecnicamente di piena occupazione.[156] Nel frattempo la disoccupazione è salita al 4,1%.[157] Il notevole benessere è anche riconducibile alla oculata gestione delle risorse da parte dell'amministrazione provinciale: nel maggio del 2006 il Presidente Luis Durnwalder ha ricevuto lo "European Taxpayers' Award" per l'efficienza dell'amministrazione pubblica in Alto Adige.[158]

L'intervento pubblico nell'economia

L'Alto Adige dispone del 90% delle imposte pagate in provincia, corrispondenti a 9.000 euro di risorse all'anno per ognuno dei suoi oltre 500.000 abitanti (contro i 2.000 della Lombardia, superati però dai 12.000 della Valle d'Aosta). Complessivamente il bilancio dell'Alto Adige si aggira sui 5 miliardi di euro all'anno. L'economia dell'Alto Adige[159] si contraddistingue dunque per l'elevato ruolo giocato dalla provincia e dai relativi incentivi erogati.

Il ruolo svolto dal pubblico impiego è rilevante e spesso gli impiegati, a parità di ruolo e funzioni, godono di benefici economici superiori a quelli del resto d'Italia. L'industria è tuttora basata sulle imprese piccole, fortemente condizionate dai contributi pubblici. Lo sviluppo della grande industria (in mano italiana) viene tuttora ostacolato, memori anche del fatto che, nel ventennio fascista, fu la testa d'ariete che permise l'italianizzazione della provincia.

Si riscontra inoltre che le ingenti risorse finanziarie vengano erogate secondo criteri etnici. Il settore agricolo[160], quasi integralmente in mano tedesca, beneficia del 47,4% degli interi aiuti pubblici altoatesini: considerando gli altri comparti gestiti dalla comunità tedesca (commercio e turismo su tutti), si ha che oltre l'80% delle risorse pubbliche vadano al gruppo tedesco, che rappresenta attualmente il 68% della popolazione.[161]