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STEMMA · 2017-09-05 · messaggio della storia e delle ambizioni a chiunque ... La croce rossa su sfondo bianco ... sviluppano diversi sottoaplogruppi di M269, e quando si insediano

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STEMMA

Lo stemma di famiglia approvato dal Centro Studi

Araldici nel 2013 su proposta del sottoscritto, e

rappresentato sulla copertina di questa ricerca è così

composto: «D’argento alla croce diminuita, di rosso,

accompagnata nel canton sinistro del capo, da un

garofano, al naturale; al capo d’azzurro caricato di

tre api, poste in fascia, d’oro».

In uno stemma va descritta l’aspirazione e l’anima

della famiglia, ma anche un richiamo alle origini. In

tempi remoti lo stemma di una casata era un chiaro

messaggio della storia e delle ambizioni a chiunque

sapeva leggere i simboli racchiusi in esso. Nel

nostro caso il capo azzurro richiama la fermezza e

l’incorruttibilità, avvalorate dall’operosità e dall’attitudine ad una vita laboriosa indicata

dalle api. La croce rossa su sfondo bianco (argento in araldica) rappresenta le origini

profondamente lombarde. La bandiera dei crociati è divenuta nei secoli un simbolo

lombardo, sia durante le guerre col Federico Barbarossa a cui si opposero i comuni della

Lega Lombarda, sia con il predominio milanese (infatti ancor oggi tale bandiera figura nello

stemma di Milano). Il garofano rosso può essere facilmente equivocato dai profani

dell’araldica. Il significato politico assunto negli ultimi periodi storici lo collega al socialismo

e alle lotte popolari, ma nel nostro contesto, il garofano che si erge eretto e fiero,

personifica le virtù e l’onore.

Questo lo stemma, che per miglioria l’ho voluto inserire in un araldo completo con le

bandiere dell’Italia: quella odierna e quella dei tempi in cui nacque il cognome Fossadri

(citato per la prima volta nei documenti nel 1863). Troneggiato dal Leone di S. Marco che

oltre ad essere il simbolo di Rovato, era già stemma della Repubblica Veneta in cui per

molti secoli i nostri antenati hanno vissuto.

Nel corso delle ricerche nel 2015 è parso chiaro

l’errore di trascrizione del cognome dal precedente

Fusari. Fusari potrebbe derivare in origine da un

capostipite che lavorava la lana. Il termine fusiaro

indicava appunto colui che filava la lana coi fusi. Ad

avvalorare questa ipotesi, nel novembre dello stesso

anno mi sono imbattuto nella “Enciclopedia Storico -

Nobiliare Italiana” del marchese Vincenzo Spreti

(Milano 1928), che riporta gli stemmi delle famiglie

nobiliari italiane.

Vi è riportato lo stemma dei Fusari con la descrizione:

«3 monti uscenti dalla punta cimati da 3 fusi tutto al

naturale su argento sormontati da - 3 stelle (5raggi) di

oro poste 1,2 in alto su argento - 3 gigli di oro posti in

fascia su azzurro in capo divisi da 2 filetti in palo di

nero»1.

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ORIGINE ANCESTRALE TRAMITE L’ANALISI DEL DNA2

Per completare questo studio storico mi sono avvalso anche delle materie scientifiche per

ricostruire, tramite la scienza forense già applicata all’archeologia, l’ascendenza

ancestrale dalla nascita dell’Homo Sapiens fino all’epoca protostorica.

Esiste a tal proposito un progetto a lungo termine al quale ho aderito. È portato avanti

dalla prestigiosa National Geographic e si chiama appunto “Genographic Project”. Ho inviato per l’occasione un campione del mio DNA ricavato dalle mucose della bocca.

L’analisi consiste nell’isolare il DNA e procedere con tre analisi differenti:

1. L’analisi del cromosoma Y (presente solo nel maschio, motivo per cui questo tipo di

analisi non è possibile in un individuo di sesso femminile);

2. L’analisi del DNA mitocondriale (da non confondere con il DNA del nucleo;

3. L’analisi dei cromosomi non sessuali.

Con l’analisi del cromosoma Y, la più importante per questa ricerca, si va ad identificare

l’aplogruppo di appartenenza in soggetti appartenenti a svariati gruppi di popolazioni

fornendo così informazioni su quando e dove tali gruppi si siano spostati nel mondo

durante le varie ondate migratorie. Le mutazioni genetiche non contraddistinguono solo

singole famiglie, bensì anche interi gruppi di popolazioni. Analizzando la frequenza o

l’insorgenza di determinate mutazioni, è possibile suddividere il complesso albero

genealogico dell’umanità in singoli rami.

Se un gruppo di popoli migra oppure vive a lungo geograficamente isolato e dunque non

avviene alcuno scambio con altri gruppi, si sviluppano alcuni modelli di mutazione. Se tali

modelli si diffondono in svariati popoli, questi ultimi sono imparentati. Alcuni modelli

compaiono unicamente in determinate popolazioni, in questo caso è possibile dimostrare

la discendenza da tali popoli.

Il cromosoma Y è ereditato dal maschio solo ed esclusivamente dal padre. Quindi a rigor

di logica il cromosoma Y di padre in figlio è identico. Succede però che ogni ca. 150 anni

nella trasmissione del cromosoma avviene una piccola mutazione. Una forma di selezione

naturale degli aplotipi che varia leggermente il codice genetico della persona ricevente.

Conseguentemente, risalire a tutte queste mutazioni ci porta a conoscere un intricato

albero genealogico dei popoli che ha partenza da un singolo individuo Homo Sapiens

maschio che gli scienziati hanno chiamato Adamo Cromosomiale Y in chiaro riferimento al

personaggio biblico. Tuttavia questo accostamento non vuole ipotizzare che l'Adamo

ancestrale sia stato l'unico uomo maschio del suo tempo, ma semplicemente colui che

produsse una linea completa di

figli maschi fino ad oggi. La sua

è l’unica discendenza

sopravvissuta fino a noi. È

quindi l'antenato a cui converge

tutta la popolazione attuale del

pianeta.

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L’esistenza di questo personaggio vissuto all’incirca 70.000 anni fa, è messa in

correlazione dalla “Teoria della catastrofe di Toba”. Pare che a quel periodo risalga una

delle eruzioni vulcaniche più violente della storia terreste. Questo cataclisma rese ancor

più rigido il clima del pianeta che stava affrontando un era glaciale, e secondo la teoria

portò vicino all’estinzione l’Homo Sapiens (all’epoca localizzati solamente nel continante

africano), riducendone la popolazione mondiale ad un numero di individui stimato in circa

mille individui. Questo collo

di bottiglia spiegherebbe la

scarsa variabilità genetica

della nostra specie.

Comunque sia, ciascun

essere umano di sesso

maschile possiede una

parte identica di codice

genetico da cui si sono

succedute le successive

mutazioni dell’aplogruppo

del cromosoma Y.

Ecco spiegato perché

l’analisi dell’aplogruppo del

cromosoma Y è un

interessante strumento di

ricerca per patrilinearità.

Viceversa il DNA mitocondriale (mtDNA) è un ottimo strumente di ricerca per

matrilinearità. Il mtDNA che, ripetiamo, non è da confondere con il DNA del nucleo delle

nostre cellule, è ereditato esclusivamente dalla madre, per cui la sua analisi ci permette di

fare un discorso speculare a quello già fatto per il cromosoma Y.

È interessante notare che anche qui si riscontra la convergenza di tutte le linee di

ascendenza verso un unico individuo di sesso femminile che i genetisti hanno chiamato

Eva mitocondriale.

Nel caso specifico del sottoscritto, i risultati delle analisi condotte dai laboratori del

Genographic Project, hanno dato risultati per nulla sorprendenti nel caso della

patrilinearità. L'aplogruppo di appartenenza riscontrato, e quindi valido per tutte le persone

dirette discendenti di linea maschile dei Fusari/Fossadri, è un ramo discendente del

celebre R1b (M343) che domina tra la popolazione dell'Europa Occidentale. In particolare

si tratta dell'aplogruppo R-U152 (S28). Ma vediamo la sua storia nel dettaglio.

Circa 18.000 anni fa, in un'area identificata con l'altopiano iranico, tra gli attuali Iran e

Afganistan, e comunque nell'area attorno al mar Caspio, nasce R1b (M343) che discende

a sua volta da popolazioni viventi in centro-Asia. R1b è una clade di R1 e quindi diremmo

"sorella" di R1a, che invece è predominante tra i popoli dell'Europa orientale. Circa 8000

anni più tardi, si sviluppa nel caucaso una sua mutazione R1b1a2 (M269) che risulta la

forma più comune in Europa, ed a cui è associata alla diffusione delle lingue indoeuropee.

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È accertato che chi appartiene a questo aplogruppo è predisposto a tollerare il lattosio,

particolarità che è stata verificata anche tra i discendenti di R1b1a2 (V88) cui non sono

associate lingue indoeuropee e che ha attraversato la zona sahariana quando questa non

era ancora desertica, stabilendosi nelle zone degli odierni Camerun e Nigeria.

Tra il 4500 e il 3500 a.C. troviamo i nostri ascendenti nell'area dell'odierna Ucraina, tra il

Don e il Dnepr, dove si sviluppa la cultura Srednij Stog. Questo popolo pratica

l'inumazione dei morti in una fossa al livello del suolo, dove il defunto veniva posto supino

con le gambe flesse. Si utilizzavano l'ocra e le asce da guerra erano in pietra, ma la cosa

più eccezionale riguarda il fatto che qui sono state trovate le prove della più antica

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domesticazione del cavallo. Fa seguito l'importante cultura Jamna evolutasi nella stessa

area. Secondo la teoria kurganica di Marija Gimbutas, questa rappresenterebbe la patria

della lingua indoeuropea. La peculiarità di questa cultura è l'inumazione dei corpi in tombe

kurgan (a tumolo) dove i corpi erano ricoperti di ocra. Sono qui ritrovati i resti di carri con

ruote e recentemente è stato scoperto un sito a Luhansk dove si praticavano sacrifici

umani. Nonostante l'agricoltura fosse stata scoperta dall'uomo nel neolitico, circa 8000

anni prima della Jamna, prevalentemente questo popolo era nomade con alcune

coltivazioni messe in atto in piccole zone vicino ai fiumi.

Da qui verso il 4300 a.C. inizia un periodo di diverse ondate migratorie nei Balcani, la

Grecia e l'Anatolia (qui fonderanno l'Impero Ittita). Verso il 3000 a.C. nasce la cultura

dell'ascia da combattimento, legata proprio a questi popoli che tramite le loro armi in

bronzo fanno della conquista una loro caratteristica. La loro veloce espansione verso

ovest, in particolare seguendo il bacino del Danubio che li porta nell'Europa centrale, è

favorita dalla conoscenza del bronzo (che introdurranno nell'Europa settentrionale con la

cultura Unicete tra 2300 e 1600 a.C.), dalla tecnologia militare (cavalli e carri), dal vigore

fisico e culturale dettato da una mentalità e religiosità bellicosa, violenta e patriarcale che

entra in contrasto con una Europa di popoli arcaici piuttosto pacifici, spesso matriarcali e

legati al culto della dea Madre. Dove arrivano impongono la loro lingua, il loro sistema

gerarchico e si impossessano delle donne autoctone (fatto che potrebbe spiegare l'alta

concentrazione di R1b anche tra i discendenti di popoli anariani). In questo percorso

sviluppano diversi sottoaplogruppi di M269, e quando si insediano nell'Europa centrale si

sviluppa prima L11 e verso la media età del bronzo P312.

Dalla regione centrale del continente europeo si sviluppa la cultura dei tumoli, che prende

il nome dal rituale di sepoltura in fosse ricoperte da tumoli a volte lastricati con pietre. È la

cultura in cui diventa fondamentale la metallurgia, migliorando l'utensileria, le armi e

introducendo elementi in bronzo come ornamenti. I siti abitativi erano costruiti sulle alture

e le case avevano forma rettangolare e costruite perlopiù in legno.

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Gradualmente si sostituisce ad essa la cultura del campi di urne, che diventa

preponderante nella tarda età del bronzo, verso il 1300 a.C. e identificata con la pratica

della cremazione dei morti.

È a questo periodo che risale il nostro R-U152 (S28). Questo aplogruppo è identificato

con i proto-celti e con i proto-italici. Infatti, attorno al 1200 a.C. iniziano con questa cultura

le prime migrazioni attraverso le alpi e l'insediamento nella pianura padana e sull'arco

appenninico.

Nella penisola italiana incontrano alcuni popoli autoctoni quali i Reti delle Alpi e i loro

cugini Etruschi. Tra i Reti ricordiamo i Camuni, stabilitisi nella omonima valle bresciana e

celebri per i siti di arte rupestre. In queste raffigurazioni

su pietra, emerge la traccia di questi contatti (o scontri)

con i discendenti di R1b tra la tarda età del bronzo e

l'inizio dell'età del ferro. Nelle raffigurazioni dei camuni

infatti, fino a quel momento non erano mai state incise

scene di combattimento. Da questo momento invece la

raffigurazione delle armi, sia pure a scopo rituale, diventa

preponderante.

Nel bacino di sviluppo di R-U152 (S28), ai principi dell'età del ferro (1300 - 600 a.C.) si

diffonde la cultura di Hallstatt che viene associata alla nascita di un popolo che ha

plasmato l'Europa: i Celti.

Erodoto li chiamava "Keltoi", da cui il latino Celtae, il loro nome deriva probabilmente dalla

radice indoeuropea kelh (essere elevato). Si diffondono in tutta Europa, ma non

costituiscono mai un insieme uniforme, ma un etnia di popoli differenti geolocalizzati in

piccole aree e accomunati da cultura, radici linguistiche e tecnologie.

È interessante notare come l'espansione dell'aplogruppo U152 coincida con la diffusione

dei celti (vedi cartografie nella prossima pagina).

L'apogeo è raggiunto dal popolo celtico tra il IV e III secolo a.C. in nord Italia la nuova

ondata migratoria iniziata nel VI secolo a.C. con quelli che chiamiamo Galli Cisalpini

(Insubri, Orobi, Senoni, ecc.) si mescola con i popoli locali. In particolare con i liguri, che

dividono il territorio pianeggiante con loro.

È infine possibile identificare la loro area di distribuzione dagli studi toponomastici.

Basandoci su questo tipo di studi

svolti sul toponimo dei paesi

lombardi, emerge chiaramente

che questa ondata migratoria si

colloca sull'alta pianura,

emarginando i liguri sulle alture e

nelle valli prealpine. Se infatti

dividiamo i toponimi considerando

i suffissi, ne abbiamo una visione

chiara. I paesi con suffisso -AGO

sono di chiara origine celtica,

mentre quelli con suffisso -ASCO

indicano origine ligure3.

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Diffusione dei popoli celti dall'area originaria di La Téne e Hallstatt.

Diffusione dell'aplogruppo R-U152 (S28).

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Per quanto riguarda invece l'aplogruppo del mtDNA, la ricerca per matrilinearità, per parte

quindi di mia madre Pezzotti Bruna, i risultati sono stati decisamente più inaspettati.

L'aplogruppo di appartenenza in questo caso, è un derivato dell'aplogruppo H, che è

massiccio in Europa e sviluppatosi già prima dell'arrivo dei popoli indoeuropei.

La sorpresa sta nel fatto che il derivato in questione è l'aplogruppo H18, clade rara in

Europa e prevalente oggi nella penisola araba. Molto presente in medioriente, si è diffuso

in nordafrica, probabilmente con l'espansione del califfato musulmano nel VII secolo d.C4.

È frequente tra i berberi arabi (tra il 34% e il 37%), tra i marocchini (24%), i berberi algerini

(32%), e nei berberi tunisini (26%), mentre la frequenza cala attorno al 20% nell'Africa

Sahariana e in Egitto al 14%5.

È da sottolineare che comunque la ricerca per matrilinearità non riguarda tutti gli

ascendenti dei Fusari, ma esclusivamente gli ascendenti di mia madre per linea materna.

Quindi lo studio della trasmissione del cromosoma Y è più importante se vogliamo

intendere la ricerca familiare in senso univoco del lignaggio paterno.

La terza analisi sviluppata dal Genographic Project riguarda invece tutti i cromosomi non

sessuali. Questi sono ereditati dall'intera ascendenza genealogica, seguendo non solo i

rami patrilineari e matrilineari, ma risalendoli tutti.

In sostanza questa analisi va ad identificare tutti i cromosomi e confrontarli con quelli

prevalenti in determinate macroaree del mondo.

L'analisi del sottoscritto ha rivelato che per l'80% ho ereditato genoma prevalente

nell'Europa meridionale (Spagna, Francia meridionale, Italia, Grecia), per l'8% è invece di

origine delle isole Britanniche, e per un altro 8% è originario dell'Asia Minore (Turchia,

Siria, Armenia). L'analisi ha inoltre evidenziato la presenza di genoma dell'Homo di

Neanderthal per l'1.0% del totale.

Circa 70.000 anni fa l'Homo Sapiens ha iniziato a convivere con l'Homo Neanderthal negli

stessi territori esterni all'Africa. Questa convivenza ha dato luogo a degli incroci tra le due

specie, e tutti gli esseri umani di oggi ne portano la traccia. In particolare, tra i popoli che

vivono al di fuori del continente africano, la presenza di genoma Neanderthal varia nella

percentuale media tra 1.1% e 4%.

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FUSARO BARTOLOMEO (R. 6)

Nascita: /

Morte: prima del 1635

Matrimonio: con Antonia

Figli: Paola (1598), Maria (1599), Lucrezia (1601), Giovanni Francesco (1603), Lucrezia

(1604), Giovanni Giacomo (1606), Giovanni Battista (1608), Giulia (1609), Francesco

(1613), Carlo (1616)

Non sappiamo da chi è nato Bartolomeo. Venuto al mondo approssimativamente attorno

al 1570 è quasi certamente originario di Quinzano. Esistono infatti ceppi locali di Fusari

rilevati nella documentazione del fondo Martinengo almeno nel terzo decennio del XVI

secolo. Probabilmente nel 1597 sposa Antonia, di cui ignoriamo il cognome, e con lei dà

vita a numerosa prole. Di Bartolomeo c’è traccia documentale fino al 1616, anno di nascita

di Carlo, e risulta già morto nel 1635.

Quello che rende interessante la figura di Bartolomeo, è che costui è il generatore di tutti i

rami successivi della famiglia Fusari nelle zone di Quinzano e paesi limitrofi. A lui

ascendono tutti i Fusari trovati nei registri parrocchiali di Quinzano d’Oglio dagli inizi del

XVIII secolo alla fine del XVI.

FUSARO FRANCESCO (R. 7-8-9)

Nascita: 19/1/1613 - Quinzano

Morte: prima del 1671

Matrimonio: 22/5/1635 con Caterina Guadagno di Gabriello

Figli: Maria (1641), Maddalena (1644), Bartolomeo (1647), Anna Maria (1651), (altri ?)

Figlio di Bartolomeo e Antonia è penultimo di una serie numerosa di figli. È un contadino di

Quinzano senza alcuna proprietà e nel 1635 sposa Caterina Guadagno di Gabriello nella

chiesa parrocchiale dei SS. Faustino e Giovita.

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FUSARO BARTOLOMEO (R. 10-11-12-13-14-15-16)

Nascita: 9/2/1646 - Quinzano

Morte: dopo 1713

Matrimonio: 3/2/1671 con Laura Targa di Giulio

Figli: Francesco (1672), Carlo (1675), Giacomo (1677), Caterina (1681), Giacomo

(1685), Carlo (1692)

Figlio di Francesco e di Paola Guadagno, è stato battezzato in casa per probabilità che

non sopravvivesse dalla comare Domenica Gambara. È un contadino di Quinzano che

risulta essere il primo in famiglia a possedere delle proprietà. Nel catasto del 1641 infatti

non è ascritto alcun Fusari come titolare di beni immobili, mentre nel Catasto di Quinzano

del 1666, risulta che Bartolomeo è riuscito a diventare proprietario insieme al fratello di

«Un cortivo con corpo di casa, con trattello de finile, con ara, horto in contrada suddetta

[via Brescia NdA]». Nel 1671 sposa Laura Targa di Giulio nella chiesa parrocchiale dei SS.

Faustino e Giovita.

Nel 1684 da una polizza d’estimo si evince che Bartolemeo è entrato in possesso di una

pezza di terra «aradora e vidata di piò uno e tavole settantacinque». In questa

dichiarazione dei redditi ante-litteram Bartolomeo risulta “cohabitante” cioè cointestato con

il fratello. Nel catasto successivo del 1686, questa vigna non risulta dichiarata, ma la casa

descritta in precedenza è di proprietà esclusiva di Bartolomeo, senza quindi il fratello.

Possiamo desumere che in questo beve lasso di tempo sia avvenuta una divisione,

oppure il decesso del fratello, che abbia portato all’alienazione del fondo.

Nel 1713 sono di sua proprietà anche una pezza di terra aradora, adaquadora, vidata in

contrada delle Vernozze, si piò 1 e tavole 10, che nel catasto del 1751 risulta acquisita da

Bartolomeo e fratelli Fusari di Gian Giacomo (il ramo di Giacomo, altro figlio di

Bartolomeo); e un’altra pezza di terra aradora, adaquadora, vidata in contrada Pontealto,

di piò 1 e tavole 28, che nel catasto del 1751 passerà al nipote Carlo Fusaro di Francesco

insieme alla casa descritta in precedenza.

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FUSARO FRANCESCO (R. 17-18-19-20-21)

Nascita: 18/2/1672 - Quinzano

Morte: 21/11/1750 - Quinzano

Matrimonio: 27/11/1694 con Domenica Tello di Francesco

Figli: Francesca (1695), Bartolomeo (1698), Giuseppe (1702), Felice (1704), Gian

Paolo (1706)

Figlio primogenito di Bartolomeo e Laura Targa, è contadino e possidente di Quinzano.

Nel 1694 sposa Domenica Tello di Francesco nella chiesa parrocchiale dei SS. Faustino e

Giovita.

Nel catasto del 1713 Francesco ha la proprietà su alcuni terreni che non erano ascritti al

padre. Non è da escludere che facciano parte della dote della moglie Domenica Tello, ma

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è probabile che siano anche il frutto di un cospicuo aiuto del padre Bartolomeo che infatti

dei suoi beni non lascia nulla a Francesco.

Francesco possiede: una pezza di terra aradora, adaquadora, in contrada Saliceto, di piò

2 e tavole 10 (che lascierà in eredità al figlio Felice); un’altra pezza di terra aradora,

adaquadora, vidata in contrada delle Vernazze di piò 2 e tavole 60 (che cederà al futuro

consuocero Gio Paolo Vertua); e una pezza di terra aradora, adaquadora, vidata in

contrada Videtto di piò 3 e tavole 50 (che venderà ai nobili Martinengo). Le sue proprietà

fondiaria ammontavano quindi a 2,10 piò di terra seminativa irrigua e 6,10 piò di vigneto

irriguo, per un totale di 8,20 piò.

Nell’estate del 1701 scoppia la guerra di successione spagnola tra l’impero asburgico e le

corone di Spagna e Francia. Dopo la sconfitta subita a Carpi in luglio, l’armata franco-

spagnola è costretta a ritirarsi oltre il fiume Oglio, incalzata dagli imperiali guidati dal

principe Eugenio di Savoia, che in quello scontro è rimasto ferito. Nel principio di agosto le

due armate passano da Quinzano mentre si dirigono verso Rovato, in preludio alla vittoria

austriaca di Chiari.

Qui le due armate, che contano circa 30 mila uomini ciascuna, si procurano gli

approvvigionamenti necessari, oltre che darsi alle consuete ruberie, nelle cascine del

luogo. Nonostante dalle polizze di danno si ricavano informazioni di ingenti danni alla

popolazione locale, non è stata trovata nessuna denuncia da parte della famiglia Fusari

che probabilmente viveva in una zona che gli armigeri non hanno setacciato, costretti ad

accelerare il passo. I Fusari hanno avuto una fortuna che molti compaesani (nobili inclusi)

non hanno avuto. Meno fortunati invece gli abitanti di Rovato, presso cui le armate hanno

stazionato per quattro lunghi mesi, arrecando danni e violenze gravissimi.

Francesco lascia questo mondo alla veneranda età di 78 anni, nel 1750. Muore

improvvisamente, quindi vanno escluse come cause di morte malattie protratte nel tempo,

ma riceve comunque i sacramenti prima di esser sepolto nella Pieve.

FUSARO GIAN PAOLO (R. 22-23-24)

Nascita: 24/1/1706 - Quinzano

Morte: 3/8/1743 - Quinzano

Matrimonio: 20/2/1734 con Laura Guadagni di Antonio

Figli: Giuseppe (1738), Francesco (1738), Anna Maria (1742), Lucia (1743)

Figlio di Francesco e Domenica Tello, è battezzato semplicemente “Paolo”, ma sempre

nominato come Gian Paolo. È contadino di Quinzano e nel 1734 sposa Laura Guadagni

che gli dà una coppia di gemelli e una bambina che Giovanni Paolo fa appena in tempo a

vedere.

Muore per cause a noi ignote il 3 agosto 1743 e «ricevuto il sacramento della purificazione

morì d’anni circa 33 e fu sepolto alla Pieve». I figli Francesco, Giuseppe e Lucia vivono

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con la madre sotto la tutela dello zio Felice, a maggior ragione che questi perde le uniche

due figlie in fasce, oltre a perdere la moglie Antonia nel 1750. Nello stesso mese della

scomparsa di Antonia, muore anche Francesco che aveva 13 anni.

Nello stesso anno muore anche il nonno, Francesco, che ha sepolto il figlio Giovanni

Paolo e il nipote omonimo.

FUSARI GIUSEPPE (R. 25-26-27-28-29-30-31-32)

Nascita: 8/8/1738 - Quinzano

Morte: dopo 1816

Matrimonio: 5/2/1763 con Cecilia Vertua di Giovanni Paolo e Anna Maria Corsini

Figli: Giovanni Paolo (1763), Antonia (1766), Giovanni Francesco (1768), Giulia (1771)

Giovanni Antonio (1772), (altri ?)

Figlio di Gian Paolo e Laura, villici di Quinzano. Giuseppe è figlio gemello con Francesco.

A tredici anni è già orfano del padre e vive assieme al fratello nella casa dello zio Felice

come risulta dall’estimo del 1751.

Nel 1763 sposa Cecilia Vertua (classe 1739), figlia di un Gian Paolo Vertua da non

confondere con l’omonimo Gian Paolo Vertua suo coetaneo che è il rappresentante della

prestigiosa e facoltosa famiglia dei Vertua di Quinzano. Cecilia appartiene molto

probabilmente ad un ramo minore di questa stessa famiglia.

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Dopo appena nove mesi Cecilia partorisce il primo figlio. Giuseppe resta con la famiglia a

Quinzano fino alla nascita di Giulia, la quarta figlia. Giovanni Antonio invece nasce altrove,

forse a Motella di Gabbiano, ma più probabilmente a Villanuova, frazione del comune di

Monticelli de Griffi (l’attuale Monticelli d’Oglio, fino a quando nel 1809 entrambi i paesi

vengono aggregati al comune di Verolavecchia diventandone frazioni). Questo almeno

possiamo desumerlo da alcuni atti notarili.

Giuseppe infatti è protagonista di importantissime vicende che riguardano i futuri sviluppi

della famiglia. Il padre è morto in una data non ancor precisata, quando Giuseppe è un

bambino. Viene allevato dallo zio Felice Fusari che non ha avuto figli dal suo matrimonio

con Antonia Olini di Francesco, zia del celebre colonnello Olini, comandante del 5° fanteria

dell’esercito cisalpino, pluridecorato e attivo su tutti i teatri delle guerre napoleoniche.

Così Giuseppe, cresciuto nell’ambiente familiare dello zio, inizia a lavorare con lui e

quando si sposa, continua questa collaborazione lavorativa come testimoniano gli atti

notarili. È probabile che già con lo zio Felice inizi una storia di mala gestione economica

che, unita a una serie di sfortune non particolarmente gravi, porta Giuseppe dalle stelle

alle stalle.

Il 7 gennaio 1768 lo zio Felice Fusari risulta compartecipe dei diritti sulla seriola

“Vencellata” (trattasi della seriola Vincellata che transita a sud di Quinzano per poi gettarsi

nel fiume Oglio), di cui godono per i loro terreni di diritti irrigui.

Il 9 novembre 1771, con atto del Notaio Trappa Gio. Michele, Felice assieme al nipote

Giuseppe costituisce un contratto livellario1 con Santo Vincenzo Nember e Gabriele

Cirimbelli, rispettivamente presidente e reggente della Veneranda Scuola del SS.

Sacramento, e con Giacomo Ambrosio sindico di Quinzano, quali commissari istituiti per il

pio legato dei poveri infermi. La somma destinata ai Fusari è di 525 lire piccole, per cui

viene messo a garanzia “una pezza di terra aradora, e vidata sita sul tener di Quinzano, in

contrada del Canadello di Piò 2 tavole 75” e viene pattuito un pagamento annuo di 20 lire

piccole per una durata totale del livello di otto anni.

Probabilmente Francesco, il fratello di Giuseppe, è già morto nel momento di questo

contratto, e non viene nemmeno nominato nel testamento dello zio Felice redatto 12 anni

più tardi.

1 Censo e Livello: i contratti di censo e di livello mascherano, essenzialmente, il prestito su garanzia. Nel contratto di livello more veneto, infatti, il livellario o censuario, nella necessità di ottenere un finanziamento, attraverso una vendita fittizia trasferisce il dominio diretto di un fondo al livellante o censuante; questi retrocede il dominio utile del fondo stesso al livellario, o censuario, che si impegna a corrispondere un canone annuo. Tale interesse sul prestito, in media del 5% sul prezzo di vendita, veniva chiamato per l'appunto censo, quando seguiva i dettami della Bolla di Papa Pio V del 19 gennaio 1568, livello quando si ottemperava alle leggi venete. Nel livello more veneto, che favorisce il livellante, il livellario obbligava in via sussidiaria tutti i propri beni, eventualmente ponendo la garanzia di un fideiussore, e, a differenza del censo, continuava a pagare il canone dovuto anche se il fondo periva. In entrambe le forme i canoni potevano essere perpetui o a tempo determinato, affrancabili secondo lo schema della retrovendita fatta dal livellante al livellario o dal censuante al censuario, di modo che il debitore riacquistava la proprietà che aveva ceduta in garanzia.Nel corso del tempo, il contratto di livello rappresentò il modo migliore e più efficace per gli enti (fossero essi comuni o parrocchie e confraternite) per reperire i fondi necessari a coprire particolari situazioni o per investire capitali altrimenti inattivi.

16

Il 29 dicembre 1774, altri Fusari, cioè Giovanni e Giuseppe qm Bartolomeo, che sono

cugino di Giuseppe, costituiscono contratto livellario per lire piccole 314 e soldi 14 con la

Cappellania Amighetta e Felice Fusari (anch’esso loro zio) per far loro favore si costituisce

come piezzo (cioè garante).

Nell’aprile 1780, lo zio Felice Fusari è in attesa della morte, adagiato sul letto della casa in

cui abita in contrada S. Giuseppe di Quinzano. Non avendo eredi a cui passare il

patrimonio familiare, Felice fa redigere un testamento nuncupativo dal notaio Giovanni

Michele Trappa e chiamati i nipoti dinanzi al suo giaciglio, fa leggere le sue ultime volontà.

Destinata per la salvezza della propria anima una parte del ricavato dalla vendita dei suoi

mobili per 30 messe in suo suffragio, lascia per prima cosa 25 scudi a testa ai fratelli

Giovanni e Giuseppe figli del fratello Bartolomeo, mentre «tutti di lui beni sia mobili, come

stabili, ragioni, ed azioni, debiti e crediti di qualunque sorte presenti, e futuri, salvi sempre

li legati medesimi, ha instituito, ed instituisce, e con la propria bocca ha nominato, e

nomina suo erede domino Giuseppe figlio del qm domino Gian Paolo Fusaro, fu fratello

d'esso Testatore, quale sia ad esser debba erede universale di sua facoltà».

Dobbiamo tener presente però che lo zio Felice, oltre agli onori, ha lasciato a Giuseppe

anche gli oneri della sua eredità. Lo si comprende nelle vicissitudini che vedremo tra poco.

L’8 novembre 1780, con atto dello stesso notaio, Giuseppe Fusari, ormai alla guida della

sua famiglia, costituisce un altro contratto livellario della durata di quattro anni, con il

cittadino di Brescia Andrea Calzavaccha. Giuseppe mette a garanzia “Una pezza di terra

aradora, ed adaquadora sita nel tener di Quinzano, in contrada de Massari di piò 2 tavole

50” per ottenere il prestito di 2150 lire piccole su cui paga un frutto annuo di 107 lire

piccole e 10 soldi.

Il 19 settembre 1781, con atto del notaio Carlo Trappa, Giuseppe costituisce un nuovo

contratto livellario della durata di quattro anni con Francesco Cicognini. Giuseppe mette a

garanzia “una pezza di terra aradora, vidata, adaquadora di piò 2 sita in Quinzano in

contrada Videtto” per ottenere il prestito di 700 lire piccole su cui si obbliga a pagare un

frutto annuo del 4%. Dato che il sig. Cicognini ha un forte debito pendente nei confronti di

tal Michele Deltratto, cede a quest’ultimo i diritti sul Fusari.

Anche grazie a questo nuovo prestito, il 29 dicembre 1783 Giuseppe Fusari acquista con

atto del notaio Carlo Trappa, dai cugini Giovanni e Giuseppe figli dello zio Bartolomeo,

“una pezza di terra aradora ed adaquadora sita sul tener di Quinzano, in contrada di S.

Ambrosio di sotto, chiamata il Simile” di tavole 75. Giuseppe corrisponde ai cugini 997 lire

piccole e 10 soldi.

Questo piccolo lembo di terra, già confinava con una delle sue proprietà. Considerando

che ancor oggi esiste la “cascina S. Ambrogio”, ed è proprio adiacente alla seriola

Vincellata, possiamo stabilire con certezza che i terreni coltivati da Giuseppe sono situati a

sud del paese di Quinzano, nella zona compresa tra la Vincellata e il fiume Oglio, che

ricordiamo, era all’epoca confine di stato tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano

che faceva parte dell’Impero Austriaco.

17

Grazie alla somma da poco ricevuta, i cugini Giovanni e fratello estinguono un loro

precedente debito stipulato come contratto livellario con la Cappellania Manente di

Quinzano per 390 lire piccole e soldi 12.

Interessante è notare che lo stesso giorno, ovvero il 5 maggio 1784, Giuseppe costituisce

con la stessa Cappellania Manente un contratto livellario esattamente per 390 lire piccole

e soldi 12. Giuseppe mette tra l’altro a garanzia la stessa terra in contrada S. Ambrogio

che ha da poco acquistato dai cugini.

A questo punto è doveroso analizzare nel catasto del 1785 cosa risulta ancora in

possesso di Giuseppe Fusari. Troviamo un cortivo (una casa in cascina) con ara, orto in

contrada S. Maria, una pezza di terra «aradora e adaquadora in contrada de Mazani […]

in catastico del 1751 alla partita di Felice Fusaro, di piò 2 tavole 50»; una pezza di terra

«aradora e adaquadora in contrada Saliceto di Mercato […] in catastico del 1751 alla

partita di Felice Fusaro, di piò 2 tavole 10»; una pezza di terra «aradora e adaquadora in

contrada del Videtto […] di piò 1 tavole 24»; una pezza di terra «aradora e adaquadora in

contrada del Canadello […] di piò 2 tavole 18»; una pezza di terra «aradora e adaquadora

in contrada del Canadello […] di piò 6 tavole 50».

Quindi, nonostante le vendite precedenti, parliamo di un patrimonio residuo formato da

una casa con orto e 14 piò e 52 tavole di terra.

Intanto i continui contratti livellari stipulati hanno procurato la necessità di dover estinguere

alcuni di questi debiti. Quindi il 23 dicembre 1785 con atto del notaio Trappa Carlo,

Giuseppe è costretto a cedere al sig. Luigi Desiderati «una pezza di terra aradora, ed

adaquadora, con due ore d’acqua della Seriola Vincellata, et cum onere, et honore, sita

sul tener di Quinzano in contrada del Laghetto di piò 2 tavole 25». Il Desiderati però, a

titolo di amicizia, cede il diritto d'acquisto al sig. Francesco Rossini. La vendita frutta a

Giuseppe Fusari 2520 lire piccole.

18

Ma non è tutto, il giorno successivo, sempre per atto del notaio Trappa Carlo, Giuseppe

vende al sig. Giovanni Paolo Peroni «una pezza di terra aradora, ed adaquadora e parte

asciuta, con mezz’ora d’acqua della seriola Gambalone cum onere, et honore, sita sul

tener di Quinzano, in contrada de Massani […] di piò due tavole cinquantatre piedi nove

come di misura fatta il dì 23 corrente da domino Giuseppe Sora pubblico agrimensore in

Quinzano». Dalla vendita Giuseppe ricava 2664 lire piccole e 7 soldi. Questi soldi però,

vengono direttamente destinati a debiti del Fusari che sono citati nell’atto e presi incarico

dai Peroni: «piccole lire duemilla sei cento sessanta quattro soldi sette a conto delle quali

primieramente detti sig.ri fratelli Peroni assumono un capitale di piccole lire duemilla

cento era dovuto dal sudetto Fusaro al Reverendo sig. Canonico don Bellavita di

Virola Alghise, [attuale Verolanuova, NdA] con altre piccole lire cento ventisei per tutti

scorsi sopra detto capitale sin tutto il di d’oggi. Item altro capitale assumono di piccole

lire trecento novanta soldi dieci dovuto pure dal sudetto Fusaro alla Cappellania

Manente [come da contratto livellario del 1784, NdA]».

Probabilmente nel primo caso di vendita si tratta di una delle due terre site in contrada

Canadello, mentra nel secondo caso è certamente la pezza di terra in contrada Mazzani (o

Massani) che appare nel catasto predetto, con leggera variazione della superficie poiché è

stata venduta previa misura topografica svolta dal “pubblico agrimensore”2.

In questa serie di difficoltà si aggiungono altri imprevisti. Infatti nella stessa vigilia di Natale

del 1785, Giuseppe ha versato alla cassa depositi di Quinzano 156 lire piccole 14 soldi, ad

estinzione del contratto che si protraeva dal 29 dicembre 1774, a censo per li atti di Gio

Michele Trappa, debito di Giovanni e Giuseppe fratelli Fusari (qm Bartolomeo, quindi

cugini del nostro protagonista) a credito della cappellania Amighetta, di cui Felice

Fusaro si era costituito piezzo, ma essendo lui morto, la garanzia spetta al suo successore

Giuseppe.

2 L’Agrimensore è il geometra, o meglio colui che misurava la terra svolgendo attività topografica (misuratore delle terre agrarie).

19

Il 7 novembre 1786, Giuseppe stipula due atti notarili. Uno con il notaio Carlo Trappa, in

cui la Vicinia di S. Giuseppe decide di dare a livello la somma di lire piccole 787 soldi 10 a

domino Giuseppe Fusaro qm Gio. Paolo che mette a garanzia di Giovanni Michele Trappa

e Giovanni Paolo Peroni, soprintendenti delle cause pie, una pezza di terra aradora,

adaquadora di piò 2 sita in Quinzano in contrada Canadello. Costituendo quindi un livello

affrancabile di 8 anni con canone di lire 35 soldi 12 all’anno in riagione del 4,5%.

Il secondo atto invece riguarda l’estinzione di un debito (probabilmente fatta con i denari

ricevuti in prestito il giorno stesso) col notaio Giovan Gian Giuseppe Nember. Il Fusari

viene “liberato” dal debito di 200 £ lasciatogli dallo zio sottoforma di censo. Si scrive infatti:

«Essendo oggi stato fatto deposito da domino Giuseppe Fusaro qm Paolo di questa terra

di un capitale in questa Cassa de Depositi di piccole lire duecento correnti che servono ad

estinzione, ed affrancazione d’altrettanto capitale che sin dal 1759, 11 dicembre restò

istromentato a censo per gli atti del sig. Giovan Francesco Nember Nodaro, a debito da

domino Felice Fusaro zio del suddetto, ed a credito della Cappellania Debrazza di S.

Rocco».

Forse anche da questi gravami nascono le difficoltà che caratterizzeranno d’ora in avanti

la vita economica di Giuseppe.

Ancora un contratto di investitura livellaria viene stipulato tra Carlo Contratti e Giuseppe

Fusaro il 2 marzo 1787. E ancora i due piò della pezza di terra in contrada del Canadello

vengono messi a garanzia per un livello di 650 lire piccole cui Giuseppe deve

corrispondere annualmente 35 lire e 10 soldi, in ragione del 5%.

A questo punto passano due anni prima di ritrovare traccia della sua travagliata vita

economica. Nell’atto del notaio Gatteri Pietro Paolo del 20 ottobre 1789, Giuseppe risulta

abitante di Villanuova, e questa volta vende una casa in contrada S. Giuseppe di

Quinzano (detta anche contrada della Morte), che possiamo ascrivere ai beni ereditati da

quello zio Felice di cui abbiamo già ampiamente parlato. Precisamente si tratta di «Un

luogo cupato, murato, e solarato con ara, portico, pesso d’orto ed altro, sito in contrata

della Morte, ossia di S. Giuseppe, in Quinzano, a cui confina da monte e mattina contrata

suddetta, da mezzo di il Rev. Sig. domino Giuseppe e fratelli Mantova, da sera Rev. Sig.

domino Francesco Cremesano, salvi però sempre li più veri confini che vi fossero».

Nell’atto redatto dal notaio Gatteri Pietro Paolo di Gabbiano, emerge chiaramente che

Giuseppe ha bisogno immediato di denaro, infatti «Giuseppe Fusaro qm Giovanni Paolo di

Quinzano ora abitante a Villanuova presente ed agente per se, con ogni miglior modo, a

titolo di supplica a suoi urgenti affari, ha datto, venduto, ed allienato, e così vende, ed

in perpetuo alliena a puro mondo, franco, ed espedito allodio, e ciò che meglio al Sig.

Giovanni Domenico Scanzi qm Sig. Francesco di Quinzano ora comodante in Aqualunga

in qualità di oste […] Per il qual acquisto hanno fatto, e fanno le parti contraenti il prezzo, e

stabilito contratto di scudi n° ottocento da piccole lire sette l’uno prezzo stabilito con la

mediazione di mastro Isacco Coleone fabbro muraro in Quinzan, ed con li seguenti patti

ciovè: Primo che il suddetto Giuseppe Fusaro si risserva di poter ricuperare il detto

luogo entro anni quattro, principiando il di d’oggi in avvenire, come così qui presente il

suddetto sig. Acquisitore Scansi accetta tal patto, e passati poi detti anni quattro oggi

20

principiati, non sia più padrone detto Venditor Fusaro di riacquistare detto luogo ut supra

[…]». La somma pattuita ammonta quindi a 5600 lire piccole che Giuseppe sperava di

poter restituire in futuro per recuperare l’immobile.

A sottolineare ulteriormente il bisogno impellente di denaro, troviamo un ulteriore accordo

in questo atto. Scanzi non dispone immediatamente dell’immobile (anzi pare di intuire che

Giuseppe lo tiene in utilizzo almeno per un anno, forse per un contratto di affitto vigente

con una persona terza), però scende al compromesso di dare immediatamente a

Giuseppe una parte della somma pattuita (precisamente 2100 lire piccole) su cui il Fusari

accetta di riconoscergli un frutto annuo del 5%.

E non finisce qui: «In riscontro del qual prezzo ut supra nominato sborsa quivi paga, e

numera il suddetto sig. Acquisitore Scanzi al suddetto Venditore Fusaro scudi n° trecento

da piccole lire sette l’uno qui presente il detto Fusaro che quelli riceve in tante buone

valute d’oro ed argento […] Sopra quali scudi n° trecento da piccole lire sette l’uno si

obbliga il suddetto Fusaro pagare il frutto al suddetto Acquisitor Scanzi del cinque per

cento sinché detto Acquisitor non va a possesso del detto luogo e ciò ogn’anno patto col

qual e senza il qual ecc. Più si obbliga il suddetto sig. Scanzi Acquisitore sborsare

occorrendo al suddetto Fusaro quel denaro che li occorresse sinchè è saldato detto

luogo, un poco per volta entro anni quattro, obbligandosi il Fusaro poi sempre per

quella somma che riceverà pagare il frutto del cinque per cento all’anno ed a ragion d’aver

sinchè solo non si avesse il Scansi in possesso del luogo acquistato per patto».

Giuseppe non riesce più a recuperare l’immobile, e con questa forse scompaiono del tutto

le proprietà immobiliari che avevano tenuto legata la famiglia Fusari alla terra di Quinzano.

Non possiamo di preciso sapere se alcuni immobili erano rimasti. Sarebbe stato di

notevole aiuto il sommarione napoleonico, che però è andato perduto.

Dopo il 1789, anno della rivoluzione francese, i Fusari si spostano continuamente. Il terzo

figlio maschio Giovanni Antonio non eredita alcuna proprietà immobiliare, e morendo molto

giovane, getta ulteriormente nella miseria una famiglia già precaria. Il XIX secolo si

prefigura quindi come il periodo più buio e difficile di questa discendenza che dovrà

attendere circa 150 anni prima di avere possesso di altri immobili, cioè quando Tomaso

Fossadri sposa Paolina Tonelli dal cui padre Francesco erediteranno parte della cascina di

via Quartiere al Duomo, che ancora oggi costituisce il nerbo patrimoniale della famiglia

Fossadri.

Giuseppe si sposta negli anni successivi alla Motella di Gabbiano, dove probabilmente

muore dopo il 1816, non prima di aver seppellito il figlio Giovanni Antonio.

21

FUSARI GIOVANNI ANTONIO (R. 33)

Nascita: 1772 ca. – Villanuova di Monticelli de Griffi (?)

Morte: 25/2/1812 - Gabbiano

Matrimonio: con Annunciata Alghisi

Figli: Giuseppe (1801), (altri ?)

Figlio di Giuseppe e Cecilia Vertua villici di Gabbiano, era un bracciante e morì a 39 anni

probabilmente mentre lavorava, o si recava nelle campagne. Infatti il cadavere giaceva in

proprietà di ragione degli illustri conti Martinengo dalle Palle (probabilmente tra Motella e

Padernello, dove i Martinengo avevano il loro feudo), e al riconoscimento da parte del

delegato dall’Ufficiale dello Stato Civile non erano presenti i parenti. Come testimoni

troviamo il possidente Antonio Benigno e il bifolco Francesco Colosio.

FUSARI GIUSEPPE (R. 34-35)

Nascita: 18/09/1801 – Motella di Gabbiano

Morte: 7/2/1834 - Castelgonelle di Brandico

Matrimonio: 11/11/1822 con Angela Venturini di Pudiano, figlia di Carlo e Maria Pia

Figli: Antonio (1823), Antonio (1825), Faustina (1827), Maria Luigia (1828), Tommaso

(1833), (altri ?)

Figlio di Giovanni Antonio e Annunciata Alghisi, nato nel 1801 a Motella, piccola frazione

di Gabiano (dal 1863 Borgo San Giacomo) che tra il 1816 e il 1859 costituì comune

autonomo assieme a Padernello. Vive come bracciante a Ognato, all’epoca facente

comune con Castelgonelle e Brandico. Qui nel 1822 sposa la filatrice Angela Venturini,

nativa di Pudiano di Orzinuovi. Resta a Brandico fino almeno al 1828, poi si trasferisce a

Pudiano dove nasce il figlio Tommaso. I precedenti figli maschi morirono in tenera età.

Probabilmente lavorava la campagna per i conti Caprioli che in quel paese possedevano

un feudo fin dal XV secolo. Dopo solo cinque mesi dalla nascita del figlioletto, arriva la

disgrazia. Giuseppe, probabilmente per una ferita malcurata, si porta all’ospedale di

Brescia, dove gli medicano un flemmone al braccio sinistro (grave infiammazione

purulenta che non resta circoscritta e può trasformarsi in ascesso e necrosi). Dopo esser

stato sommariamente curato viene dimesso. Nel ritorno a casa, Giuseppe decide di

passare a trovare la madre a Ognato, forse per rassicurarla. Morì improvvisamente il

giorno stesso a Castelgonelle di Brandico il 6 febbraio 1834.

22

FUSARI TOMMASO (R. 36-37-38-39-40)

Nascita: 29/10/1833 – Pudiano di Orzinuovi

Morte: /

Matrimonio: 16/11/1856 con Francesca Zanotti di Cizzago, figlia di Carlo e Lucia Scaja

Figli: Giuseppe, Angela (1863), Felice (1869) e Cecilio (1875)

Ricostruire la sua storia è stato assai complicato, e tutt’ora la ricostruzione presenta delle

incognite. Nasce nell’ottobre del 1833 a Pudiano di Orzinuovi da Giuseppe e da Angela

Venturini (originaria del luogo). Dopo soli cinque mesi dalla sua nascita il padre muore

accidentalmente. Presumibilmente Tommaso potrebbe esser stato allevato dalla madre

con l’aiuto di uno zio acquisito, tal Felice Benedetti. Quest’ultimo sposò la zia materna

Lucrezia Venturini con atto del Tribunale di Brescia poiché entrambi i contraenti erano

minorenni e figura nell’atto di battesimo del nipote Tommaso come suo padrino.

Tommaso sposa a Comezzano una cizzaghese: Francesca Zanotti a sua volta di origini

orceane e si trasferisce con lei a Maclodio dove lui già vive.

Entrambi illetterati, sia loro che i loro figli vengono registrati dal parroco di Maclodio col

cognome di Fossadri. Sappiamo da un registro di matrimonio di Rovato che aveva un figlio

di nome Giuseppe (battezzato a differenza degli altri col cognome di Fusari), che

probabilmente è il maggiore. Gli altri suoi suoi figli sono Angela, Felice e Cecilio.

Considerando l’usanza di dare ai figli il nome dei genitori, possiamo notare che Angela

corrisponde alla nonna paterna, mentre Felice corrisponde allo zio/padrino di Tommaso.

L’ipotesi che lo zio Felice possa aver allevato Tommaso è avvalorata unicamente da

questo elemento, ma si tratta pur sempre di un’illazione.

La vita di Tommaso è stata certamente difficile, rimasto orfano di padre ancora quand’era

in fasce, gli tocca seppellire almeno due figli. Il piccolo Felice muore infatti a 7 anni per

un’epidemia di difterite che nel 1876 uccide diversi bambini a Maclodio, mentre la figlia

Angela muore nubile a 32 anni di età. Angela, nata nel 1863, rappresenta per la storia

familiare la prima persona la cui nascita è registrata con l’attuale cognome Fossadri. A

giudicare dalla tempistica, non può passare inosservato il fatto che lo storpiamento

del cognome accade esattamente con l’avvento dell’Unità d’Italia, e quindi con la

creazione dell’anagrafe di Stato. Questa coincidenza, unita al fatto che il parroco aveva

già battezzato come Fusari almeno un figlio (Giuseppe), mi porta a concludere che l’errore

sia frutto dell’errore di un nuovo funzionario civile, e non dell’autorità ecclesiastica3.

Purtroppo non sappiamo quando e dove siano morti Tommaso e la moglie Francesca.

3 Nell’epoca del Regno Lombardo-Veneto di dominio Austriaco, il Parroco assolveva il compito di Ufficiale dell’Anagrafe di Stato. Infatti redigeva ben tre registri: uno dei battesimi per l’archivio parrocchiale, uno semplice per la diocesi, ed uno che doveva conservare in parrocchia dopo il vaglio della prefettura per conto dell’autorità civile.

23

FOSSADRI CECILIO (R. 41-42)

Nascita: 20/6/1875 - Maclodio

Morte: 2/11/1919 - Travagliato

Matrimonio: con Maddalena Norbis, figlia di Stefano e Teresa Falconi

Figli: Tomaso (1906)

Figlio di Tommaso, sappiamo poco sul suo conto. Nato a Maclodio nel 1875, vive i primi

anni di vita a Maclodio e si sposta a Rovato quando sposa Maddalena Norbis abitante del

comune franciacortino.

La conoscenza della moglie potrebbe essere avvenuta secondo una circostanza non

casuale. Il fratello maggiore Giuseppe Fusari nel 1898 si sposa a Rovato con Emilia

Conter del Duomo, ed entrambi restano a vivere nella frazione. Giuseppe sarebbe il primo

membro della famiglia a stabilirsi qui. Può darsi che Cecilio abbia conosciuto la sua futura

sposa facendo visita al fratello. Anzi, al Duomo potrebbe aver convissuto con lui dopo la

morte dei genitori.

Non sappiamo dove Cecilio celebra il matrimonio poiché a Rovato non è registrato, ma

sappiamo che il loro figlio Tomaso nasce qui nel 1906, quando suo padre ha già 31 anni.

Successivamente Cecilio si trasferisce con la famiglia a Travagliato. Doveva rientrare nelle

liste di coscrizione durante la prima guerra mondiale (essendo state arruolate tutte le

classi dal 1874 al 1900), ma il suo nome non è presente nei ruoli matricolari all’Archivio di

Stato di BS. Probabilmente è stato riformato alla leva per motivi di salute, infatti la sua

classe è richiamata per ruoli di lavoro o milizia territoriale nel novembre del 1917, dopo la

disfatta di Caporetto, ma considerando che Cecilio muore nel 1919 a Travagliato,

possiamo ipotizzare che fosse già malato e quindi escluso dal servizio.

A questo punto Maddalena Norbis ritorna a

Duomo e sposa Massetti Battista abitante del

Duomo tornato ferito dalla Grande Guerra.

Abitano nella cascina "Cannetta" poco più a

sud rispetto al cimitero. Da quest’uomo ha

avuto dei figli (fratellastri di Tomaso Fossadri):

Egidio (1926) e Angelo (1929). Il figlio

Tommaso non è molto legato alla madre, per

la quale non nutre grandi sentimenti. Secondo

le testimonianze degli anziani, Maddalena lo

avrebbe privato di affetto e attenzioni, ma ciò

che Tomaso non ha mai approvato è

l’atteggiamento libertino che la madre usava

per ingraziarsi il padron Massetti che poi

sposò. Maddalena muore a Duomo nel 1967.

24

FOSSADRI TOMASO (R. 43-44)

Nascita: 29/9/1906 – Rovato

Morte: 9/5/1995 – Duomo di Rovato

Matrimonio: con Paolina Tonelli, figlia di Francesco e Caterina Zipponi

Figli: Cecilia (1933), Pietro (1935), Franca (1937), Maddalena (1940) e Vittoria (1945)

Figlio di Cecilio, nato nel 1906, è un uomo

alto e robusto. Vive probabilmente i primi

anni a Travagliato e quando muore il padre

Cecilio nel 1919 segue la madre a Duomo

di Rovato. Pensando di concludere un

matrimonio conveniente, sposa Paolina

Tonelli. Per questo le regala una collana

nella richiesta di fidanzamento. Dato che la

vita economica di Tomaso si è rivelata

piuttosto travagliata, le rinfaccerà tutta la

vita quella collana come se la povera

donna lo avesse imbrogliato. Donna mite e

buonissima, esasperata dalle ingiuste

accuse del marito, arriverà a regalare la

collana alla nipote Caterina in occasione

del suo matrimonio4.

Inizialmente la coppia abita nella zona del

maglio di Rovato, dove c’era un vecchio

mulino vicino al macello comunale.

Tommaso è un gran lavoratore, ma

possiede un gran difetto: l’avidità. Lavora

come assaggiatore di formaggio per

un’industria casearia di Castel Mella che

raggiunge ogni giorno in bicicletta. Era

riconosciuto come ottimo

intenditore per questo lavoro,

percepiva uno stipendio buono e

poteva godere degli scarti di

formaggio (costoso all’epoca) che

portava a casa. Insomma, aveva

una buona posizione per l’epoca.

Insomma, aveva una buona

posizione per l’epoca che con

l’arrivo del boom economico degli

anni ’50 gli avrebbe potuto

garantire una carriera.

4 Purtroppo la collana è stata rubata nel 2016 alla stessa Caterina Fossadri che l’aveva conservata in ricordo.

25

Avrebbe, perché la bramosia gioca brutti scherzi. In questo periodo presta del denaro al

suocero Francesco Tonelli per i debiti da lui contratti con l’acquisto della nuova cascina in

via quartiere a Duomo. Complice la disputa sugli averi del suocero col cognato Biagio,

Tomaso decide di abbandonare il suo lavoro per venire a dirigere la cascina e coltivare il

brolo annesso. Il Tonelli aveva solo due figlie femmine, Paolina e Barbara che morì

prematuramente. Con il genero Biagio, Francesco ha pessimi rapporti (vedi famiglia

Tonelli), perciò l’ambizione di Tomaso è quella di ottenere in futuro l’eredità totale del

complesso. Cosa che non accadrà.

L’avidità lo porta in miseria, ma Tomaso si mette a far di tutto per racimolare il denaro

sufficiente a mandare avanti la famiglia. È un uomo intelligente e un infaticabile lavoratore,

in una maniera o nell’altra ha sempre trovato il modo per tirare avanti: come produttore di

formaggio, come gestore di un licenzino (piccola attività d’osteria al tempo regolata da

“licenzine”), come stradino ecc.

Durante la seconda guerra mondiale non viene arruolato. Tra il 1944 e il 1945 va spesso

col suo carretto alla stazione di Rovato dopo i bombardamenti alleati. Recuperare i

vettovagliamenti dai treni divelti è rischioso, ma nella miseria della guerra è necessario.

Molte volte torna a mani asciutte e con qualche botta, per via delle camice nere che

26

montano la guardia ai preziosi carichi. Verso la fine della guerra ha fatto il palo per i

partigiani all’incrocio tra la prov. Rovato-Iseo e la ex strada Nazionale (oggi via XXV

aprile). Proprio qui il 26 aprile 1945, una colonna di SS in ritirata si scontra ferocemente

con i partigiani di Rovato, supportati dai partigiani dei comuni limitrofi che riescono a

procurarsi perfino un carro armato catturato agli avversari la sera prima, a Chiari. Tomaso

non ha partecipato allo scontro, ma è probabile che abbia avvertito i partigiani della

presenza scomoda del nemico.

Col passare degli anni Tomaso inizia a bere molto vino, e a combinarne di tutti i colori.

Ancora negli anni ’60, in uno scatto d’ira e sotto l’effetto dell’alcool, scaglia un martello in

testa alla moglie Paolina che sviene. Chiamata l’ambulanza dei soccorsi, trovano lei

ripresa, e in buone condizioni, ma portano lui al manicomio con la camicia di forza. Dopo

qualche giorno, passata la sbornia, Tomaso cerca di convincere i medici di non esser

pazzo. Sente le urla dei pazienti trattati con l’elettroshock ed inizia a temere per se. È stato

allora che il figlio Pietro domanda il permesso ai medici di riportarlo a casa sotto la sua

responsabilità.

Tomaso è molto geloso della moglie, tanto da sospettare una relazione tra lei e un giovane

frate del collegio di Adro, frequentato dal nipote Mauro tra il 1970 e il 1974. Paolina si reca

spesso ad aiutare i frati nelle cucine insieme ad altre donne. Quando la famiglia invita

alcuni compagni e professori di Mauro nella loro cascina del Duomo, Tomaso esplode la

sua collera contro l’inconsapevole frate, rendendosi conto poi dello spiacevole equivoco.

Paolina muore nel 1982 e dopo questo avvenimento Tomaso smette di bere e cambia

completamente atteggiamento, lasciando svanire anche la sua irascibilità.

Tomaso Fossadri muore nel 1995 per un tumore alle ossa, nello stesso letto al pian

terreno della casa Fossadri, in cui dieci anni dopo spirerà il figlio Pietro.

27

FOSSADRI PIETRO (R. 45)

Nascita: 14/4/1935 – Duomo di Rovato

Morte: 20/7/2005 – Duomo di Rovato

Matrimonio: con Franca Maria Bersini, figlia di Pietro e Catterina Braghini

Figli: Mauro (1960), Caterina (1963) e Stefano (1975)

Detto Pierino è nato nel 1935 a Duomo di

Rovato, secondo di cinque figli e unico

maschio di Tomaso. Non molto alto,

attorno a 1.72 m, aveva occhi grigio-

azzurri e diventa calvo attorno ai 30 anni,

di fisionomia molto simile alla madre, e al

nonno Francesco Tonelli. Alle scuole

elementari è bocciato più volte, tanto da

trovarsi in terza elementare con la futura

moglie Bersini Franca di tre anni più

giovane. Riesce comunque a conseguire

la licenza elementare e da adulto

consegue un diploma di disegno tecnico

alla Ricchino di Rovato.

Ricordo che negli anni più recenti spesso

sbagliava a scrivere parole elementari,

ma non se la prendeva se qualcuno

glielo faceva notare.

A 17 anni comincia a lavorare come

muratore facendo il pendolare tra Rovato

e Milano. Era l’inizio di una vita

perennemente dedicata al lavoro che

terminò soltanto con la sua morte. In

quegli anni inizia la storia d’amore con

Franca Maria Bersini, abitante la cascina Bersini a poche decine di metri da lui. Lei ricorda

che aveva una finestra che affacciava sul brolo dei Fossadri. Spesso sul suo davanzale

trovava un grappolo d’uva lasciato da Pietro. Un chiaro gesto di corteggiamento.

Fidanzatisi a 17 anni il padre Tomaso non ne vuole sapere di matrimonio, e si rifiuta di

aiutarlo economicamente. Fino a quel momento Pietro aveva consegnato al padre la

propria busta paga, ma presa la decisione di sposarsi e trovato il rifiuto del padre inizia a

tenere per sé il ricavato del suo lavoro. Il padre, ritenutosi derubato dal figlio, distrusse a

bastonate la moto Vespa che questi si era appena comprato.

Nonostante tutto, Pietro sposa Franca nel 1959 e tiene i propri genitori in casa fino alla

loro morte.

Nel frattempo fonda un’impresa edile con alcuni compaesani. Uno di questi, Angelo

Econimo, era della stessa classe di Pierino, frequentarono la stessa scuola, lavorarono

insieme, e morirono a meno di 24 ore di distanza l’uno dall’altro.

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Proprio a questo amico si riferisce un aneddoto della vita di Pierino. Con ammirevole

altruismo, e dietro richiesta dell’Econimo, si assume la grande responsabilità di tenere

nascosti i risparmi del suo lavoro. La moglie di Angelo sperperava molto del denaro che

questi portava a casa, per cui l’aiuto fornito da Pietro è servito a permettere all’amico di

accumulare sufficiente denaro per comprarsi una casa.

Pietro ha tre figli: Mauro, Caterina e Stefano. Il ricordo principale che contraddistingue le

sue fatiche è certamente quello dei primi due figli, dato che Stefano è giunto molto più

tardi. La cascina di via Quartiere è un

romanzo a cielo aperto che descrive

l’immenso lavoro che la famiglia, nelle

generazioni, ha svolto su quei muri.

È soprattutto Pietro a ristrutturare

l’edificio. Quando il figlio Mauro ha 11

anni, gli lascia giornalmente istruzioni

sui preparativi che deve fare prima

che Pietro rientri dal lavoro. Quando la

sera Pierino torna a casa, dopo un

pasto veloce, accende la betoniera e

si mette a lavorare fino a tarda notte

per ricavare da quella cascina, una

serie di appartamenti che

costituiscono ancora oggi l’asse

portante del patrimonio familiare.

In ogni periodo della sua vita è stato

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concretizzato qualche lavoro, e con il

passare degli anni si è aggiunto ai lavori

anche il figlio Stefano, nel frattempo

diplomatosi geometra.

Un lavoro immane che trasforma

progressivamente la cascina. Sono

costruiti il loggiato; le autorimesse; è

ricostruito il tetto realizzato in latero-

cemento; sono ristrutturati tutti gli

appartamenti e vi si installano gli

impianti; è acquistato il vecchio fienile a

nord del complesso e creato il corridoio

di passaggio per accedervi; è rifatta la

cinta del brolo (cintato già nella mappa

catastale del 1807); è realizzato

l’appartamento sopra i garage per il figlio

Stefano (dove fino agli anni ’90 c’era un’ampia terrazza); ed infine si amplia il magazzino a

nord.

A questo proposito è bene ricordare un episodio particolarmente stressante della sua vita.

Già nei primi anni ’80 tenta di ampliare il magazzino, convinto dall’amico geometra

Toninelli a realizzarlo abusivamente in vista di un condono statale. Toninelli in questo

momento è anche Sindaco di Rovato. Pietro non si sarebbe mai fidato altrimenti, vista la

vicinanza del fabbricato con la famiglia Cavalli con cui pendevano già questioni legali.

Quando il capannone viene terminato, un altro geometra di famiglia (Zammarchi di

Castrezzato) avverte tempestivamente Pietro di essere venuto a conoscenza di una

imminente ispezione per verificare se era in corso un abuso. La visita era da attendersi a

pochi giorni. Pietro è costretto a demolire in fretta e furia la sua nuova opera, al fine di non

far trovare nulla in piedi il giorno dell’ispezione. Con forte bruciore di stomaco dovuto alla

rabbia e all’angoscia ci riesce!

Si scoprì anni dopo che il geom. Toninelli aveva ricevuto tutte le lettere di avviso, tenute

nascoste al suo “amico”. Dopo questo episodio passarono circa 15 anni prima che Pietro

riuscì nella ricostruzione del suo capannone, ma l’esperienza precedente lo portò a

modificarne il progetto e a realizzarlo in modo decisamente migliore.

Pietro, raggiunta la pensione, si dedica a fare il volontario per la Rovato Soccorso

guidando le ambulanze. Si offre volontario anche per portare un malato in pellegrinaggio a

San Giovanni Rotondo in Puglia. Nei primi anni del nuovo millennio, completamente

realizzato, decide di anticipare la divisione del suo patrimonio in favore dei figli con un atto

di donazione senza che vi fosse una determinata urgenza. Uomo molto attivo, muore di

tumore al pancreas nel 2005, molto sofferente, ma sereno e soddisfatto di tutte le sue

azioni.

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A.S.C.Bs/Polizze d’Estimo/B.61b – Fos 1632-1737

33

A.S.Bs/Cancelleria Camerale/B.87 Fu – Testamento di Felice Fusaro (pag.1)

34

A.S.Bs/Cancelleria Camerale/B.87 Fu – Testamento di Felice Fusaro (pag.2)

35

A.S.Bs/Notai Quinzano/Nember Gio. Giuseppe/F.12325

36

A.S.Bs/Notarile Gabbiano/Gatteri Pietro Paolo/F.14454 – Atto di vendita tra Giuseppe

Fusaro e Domenico Scanzi (pag.1)

37

A.S.Bs/Notarile Gabbiano/Gatteri Pietro Paolo/F.14454 – Atto di vendita tra Giuseppe

Fusaro e Domenico Scanzi (pag.2)

38

A.S.Bs/Notarile Gabbiano/Gatteri Pietro Paolo/F.14454 – Atto di vendita tra Giuseppe

Fusaro e Domenico Scanzi (pag.3)

39

A.S.Bs/Notarile Gabbiano/Gatteri Pietro Paolo/F.14454 – Atto di vendita tra Giuseppe

Fusaro e Domenico Scanzi (pag.4)

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FONTI ARCHIVISTICHE E BIBLIOGRAFAFICHE 1 Enciclopedia Storico - Nobiliare Italiana - Marchese Vincenzo Spreti (Milano 1928) – Vol. 3 – pag. 291 2 Dati basati sulle analisi del Genographic Project - laboratori di Houston (Texas) 3 Focus Storia n.19 -Articolo di Nino Gorio 4 www.eupedia.com 5 BMC Genetics - rivista peer-reviewed 6 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Battesimi 1583-1639 7 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Battesimi 1583-1639 8 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Matrimoni 1600-1678 9 A.S.Bs/Notarile Quinzano/Guadagno Cipriano F.7848 10 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Battesimi 1639-1697 11 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Matrimoni 1600-1678 12 A.S.Bs/Catasto Antico/Quinzano 1641/R.2159 13 A.S.Bs/Catasto Antico/Quinzano 1666/R.2162 14 A.S.Bs/Catasto Antico/Quinzano 1686/R.2163 15 A.S.Bs/Catasto Antico/Quinzano 1713/R.2164 16 A.S.C.Bs/Polizze d’Estimo/B.61b – Fos 1632-1737 17 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Battesimi 1697-1732 18 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Battesimi 1639-1697 19 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Matrimoni 1679-1739 20 A.S.Bs/Catasto Antico/Quinzano 1713/R.2164 21 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Morti 1736-1762 22 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Battesimi 1697-1732 23 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Matrimoni 1679-1739 24 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Morti 1736-1762 25 A.S.Bs/Stato Civile Napoleonico B. 189 26 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Matrimoni 1739-1812 27 A.P. di Quinzano d’Oglio/Registro Battesimi 1732-1774 28 A.S.Bs/Cancelleria Camerale/B.87 29 A.S.Bs/Notarile Gabbiano/Gatteri Pietro Paolo F.14454 30 A.S.Bs/Notai Quinzano/Nember Gio. Giuseppe/F.12325 31 A.S.Bs/Notai Quinzano/Trappa Carlo F.13103 32 A.S.Bs/Notai Quinzano/Trappa Gio. Michele F.12425 33 A.S.Bs/Stato Civile Napoleonico B. 189 34 A. Diocesano/Registri anagrafici parrocchie/Pudiano/Battesimi 1796-1847 35 A. Diocesano/Registri anagrafici parrocchie/Pudiano/Morti 1790-1847 36 A. Diocesano/Registri anagrafici parrocchie/Pudiano/Battesimi 1796-1847 37 A.P. di Comezzano/Registro Matrimoni 1856-1865 38 A.P. di Maclodio/Registro Nati 1846-1903 39 A.P. di Maclodio/Registro Morti 1851-1915 40 A. Diocesano/Registri anagrafici parrocchie/Pudiano/Matrimoni 1796-1847 41 A.P. di Maclodio/Registro Nati 1846-1903 42 A.P. di Travagliato/Registro Morti 1901-1932 43 Ricordi e aneddoti di Bersini Franca Maria, di Fossadri Pietro e di Fossadri Mauro 44 Comune di Rovato/Uff. Anagrafe/Certificato di morte di Fossadri Tomaso 45 Ricordi e aneddoti di Bersini Franca Maria, di Fossadri Pietro, di Fossadri Mauro e del sottoscritto