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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1047 DANNO E RESPONSABILITA’• ANNO XI OPINIONI LE CRITICITÀ DEL NUOVO DANNO AMBIENTALE: IL CONFUSO APPROCCIO DEL “CODICE DELL’AMBIENTE” di Luca Prati 1049 LA FORMAZIONE DEL CONSULENTE TECNICO di Enzo Ronchi 1056 GIURISPRUDENZA Itinerari della giurisprudenza DANNO PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO a cura di Alberto Venturelli 1061 QUANTUM DEL DANNO PATRIMONIALE E LIQUIDAZIONE EQUITATIVA a cura di Marco Bona 1073 Legittimità LA RESPONSABILITÀ PER IL DANNO DA AUTOLESIONE Cassazione civile, sez. III, 18 novembre 2005, n. 24456 1081 commento di Valentina V. Cuocci 1083 commento di Teresa Perna 1084 ANIMALI SELVATICI E RESPONSABILITÀ ALLO STATO BRADO Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2005, n. 24895 1091 commento di Roberto Foffa 1093 LA DILIGENZA PROFESSIONALE DEL NOTAIO: OBBLIGHI DI VISURA E INFORMAZIONE Cassazione civile, sez. III, 11 gennaio 2006, n. 264 1099 commento di Gianluca Guerreschi 1107 INTERMEDIAZIONE MOBILIARE E APPARENZA DEL DIRITTO Cassazione civ., sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229 1112 commento di Luca Frumento 1116 IL LITISCONSORZIO NELL’AZIONE DIRETTA VERSO L’ASSICURAZIONE R.C.A. Cassazione civile, sez. un., 5 maggio 2006, n. 10311 1123 commento di Giuseppe Finocchiaro 1129 Merito TUTELA ANTITRUST DEL CONSUMATORE FINALE Corte d’Appello di Napoli, sez. I, 9 febbraio 2006, n. 374 1133 commento di Stefano Bastianon 1134 LA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE PREVIDENZIALE PER DANNO ESISTENZIALE Tribunale di Lecce 18 aprile 2006 1140 commento di Giuseppe Cassano 1142 Osservatorio di legittimità a cura di Antonella Batà e Angelo Spirito 1145 SOMMARIO

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1047

DANNO E RESPONSABILITA’•ANNO XI

OPINIONILE CRITICITÀ DEL NUOVO DANNO AMBIENTALE: IL CONFUSO APPROCCIO DEL “CODICE DELL’AMBIENTE” di Luca Prati 1049

LA FORMAZIONE DEL CONSULENTE TECNICOdi Enzo Ronchi 1056

GIURISPRUDENZA

Itinerari della giurisprudenzaDANNO PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO a cura di Alberto Venturelli 1061

QUANTUM DEL DANNO PATRIMONIALE E LIQUIDAZIONE EQUITATIVAa cura di Marco Bona 1073

LegittimitàLA RESPONSABILITÀ PER IL DANNO DA AUTOLESIONECassazione civile, sez. III, 18 novembre 2005, n. 24456 1081commento di Valentina V. Cuocci 1083commento di Teresa Perna 1084

ANIMALI SELVATICI E RESPONSABILITÀ ALLO STATO BRADO Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2005, n. 24895 1091commento di Roberto Foffa 1093

LA DILIGENZA PROFESSIONALE DEL NOTAIO: OBBLIGHI DI VISURA E INFORMAZIONE Cassazione civile, sez. III, 11 gennaio 2006, n. 264 1099commento di Gianluca Guerreschi 1107

INTERMEDIAZIONE MOBILIARE E APPARENZA DEL DIRITTO Cassazione civ., sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229 1112commento di Luca Frumento 1116

IL LITISCONSORZIO NELL’AZIONE DIRETTA VERSO L’ASSICURAZIONE R.C.A.Cassazione civile, sez. un., 5 maggio 2006, n. 10311 1123commento di Giuseppe Finocchiaro 1129

MeritoTUTELA ANTITRUST DEL CONSUMATORE FINALE Corte d’Appello di Napoli, sez. I, 9 febbraio 2006, n. 374 1133commento di Stefano Bastianon 1134

LA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE PREVIDENZIALE PER DANNO ESISTENZIALETribunale di Lecce 18 aprile 2006 1140commento di Giuseppe Cassano 1142

Osservatorio di legittimitàa cura di Antonella Batà e Angelo Spirito 1145

SOMMARIO

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061048

DANNO E RESPONSABILITA’•ANNO XI

Osservatorio sulla giustizia amministrativaa cura di Gina Gioia 1149

INTERVENTIL’INAIL E LA TUTELA PREVIDENZIALE DEL DANNO DA MOBBINGdi Guglielmo Corsalini 1153

INDICIINDICE DEGLI AUTORI 1157

INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTI 1157

INDICE ANALITICO 1157

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Dannoe responsabilitàProblemi di responsabilità civile e assicurazioni

RIVISTA MENSILEDI GIURISPRUDENZA E DOTTRINA

Dannoe responsabilitàProblemi di responsabilità civile e assicurazioni

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IntroduzioneIl legislatore del 1942, con i pochi e stringati articoliche vanno dal 2043 al 2059 del codice civile, ha saputocostruire un articolato, e relativamente efficace, sistemadi responsabilità civile, flessibile quanto bastava per po-ter disciplinare pressoché tutti gli accadimenti della vi-ta umana produttivi di danni extracontrattuali. Il suoepigono del 2006, con l’ormai noto d.lgs. n. 152/2006(il c.d. “codice dell’ambiente”), ha invece avuto biso-gno di 18 articoli (e svariati allegati) per disciplinare ilnuovo “danno ambientale”, la cui disciplina era prece-dentemente contenuta nell’art. 18 della legge n.349/1986.Certo il legislatore del periodo bellico era stato aiutatodal bagaglio di diritto vivente formatosi nei secoli tra-scorsi dalle prime elaborazioni dei giureconsulti romaniin tema di illecito aquiliano; non osiamo pensare cosaavrebbe potuto fare, con un simile lasso di tempo a di-sposizione, il legislatore del “codice dell’ambiente”, vistociò che ha saputo mettere insieme nel breve spazio ditempo trascorso dalla legge delega n. 308/2004 all’apriledel 2006. In tale finestra temporale è riuscito, infatti, atrasformare la speciale fattispecie di danno ambientalecontenuta all’abrogato art. 18 in un autentico guazzabu-glio di definizioni, concetti e principi spesso tra loro deltutto antitetici, dai quali è oggettivamente impossibilenon solo ricavare una disciplina unitaria e sistematicadella materia, ma addirittura comprendere con certezzala natura del bene oggetto di tutela ed il tipo di respon-sabilità disegnato dalle nuove previsioni.Ci si limiterà in questa sede a scorrere alcuni dei puntinodali che rendono a dir poco problematica la colloca-zione della nuova, astrusa fattispecie di illecito scaturen-

te dal d.lgs. n. 152/2006 all’interno del sistema di re-sponsabilità civile.

Le diverse definizioni di danno ambientale: il danno “comunitario” e quello “nazionale”Un corretto approccio logico-giuridico avrebbe dovutoprevedere una preliminare definizione del bene protetto(l’ambiente) e quindi descrivere il danno giuridicamen-te rilevante al medesimo bene. Il d.lgs. n. 152/2006 sipresenta invece già privo di chiarezza su tali fondamen-tali questioni.Ed infatti, ai sensi dell’art. 300, comma 1, del d.lgs. n.152/2006, il danno ambientale viene definito come“qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, di-retto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità as-sicurata da quest’ultima”. Il predetto articolo precisa poial comma 2 che “ai sensi della Direttiva 2004/35/CE”costituisce danno ambientale il “deterioramento, inconfronto alle condizioni originarie”, provocato: a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normati-va nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio1992, n. 157, recante norme per la protezione della faunaselvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consi-glio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decretodel Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357,recante regolamento recante attuazione della direttiva92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat natu-rali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvati-che, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 di-cembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione;

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1049

OPINIONI•DANNI NON PATRIMONIALI

Danno ambientale

Le criticità del nuovo dannoambientale: il confuso approccio del “Codice dell’Ambiente”di LUCA PRATI

Con il d.lgs. n. 152/2006 (il c.d. “Codice dell’Ambiente”), il legislatore è intervenuto, tra l’altro, a disci-plinare il nuovo “danno ambientale”, in precedenza oggetto dell’art. 18 della legge n. 349/1986. Un cor-retto approccio logico-giuridico avrebbe dovuto prevedere una preliminare definizione del bene protetto(l’Ambiente), ed una descrizione del danno giuridicamente rilevante coerente ed univoca. La nuova disci-plina, invece, si presenta priva di chiarezza già sotto tali aspetti, oltre che in relazione a questioni fonda-mentali quali i criteri di imputazione della responsabilità da danno ambientale. In questa sede ci si sof-fermerà quindi su alcuni dei punti nodali che rendono problematica la collocazione della nuova fattispe-cie all’interno del sistema di responsabilità civile.

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b) alle acque interne, mediante azioni che incidano inmodo significativamente negativo sullo stato ecologico,chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologi-co delle acque interessate, quali definiti nella direttiva2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si ap-plica l’articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva;c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mareterritoriale mediante le azioni suddette, anche se svoltein acque internazionali;d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione checrei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indi-retti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nelsuolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, or-ganismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.L’art. 300 riprende pedissequamente la definizione delladirettiva europea, senza fare alcuno sforzo di adatta-mento della norma comunitaria all’ordinamento nazio-nale. Ne discende una impostazione “riduttiva” del c.d.danno ambientale (1), che in particolare dovrebbe co-prire essenzialmente il danno alle specie ed agli habitatprotetti, il danno ecologico, chimico e quantitativo alleacque ed il danno da contaminazione del terreno cherechi pregiudizio alla salute umana, secondo la conce-zione “materialistica” di danno presente nella direttiva(già di per sé criticabile sotto molti aspetti). Ciò cheviene soprattutto in rilievo è quindi un danno consi-stente nella “alterazione fisico - chimica” di una deter-minata risorsa naturale, “misurabile in termini di effettinegativi sullo stato della stessa”, a cui si accompagna,come logico corollario, la “frammentazione” del dannoin ipotesi distinte, ed aventi presupposti parzialmentediversi, a seconda della componente ambientale (o del-la “risorsa naturale”) interessata: specie ed habitat pro-tetti, acque e terreno.Alla tutela “frazionata di alcune componenti del beneambiente” descritta nell’art. 300, commi 1 e 2, segueperò la formulazione in termini generali dell’illecito am-bientale contenuta all’art. 311, comma 2, del d.lgs. n.152/2006, in base al quale “chiunque realizzando un fat-to illecito, o omettendo attività o comportamenti dove-rosi, con violazione di legge, di regolamento, o di prov-vedimento amministrativo, con negligenza, imperizia,imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi dan-no all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distrug-gendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino del-la precedente situazione e, in mancanza, al risarcimentoper equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato”.La totale mancanza di coordinamento tra l’art. 300 el’art. 311, comma 2, è evidente (2). Mentre il primo li-mita la definizione di danno ambientale a quanto con-templato dalla direttiva europea, indicando in modo(probabilmente troppo) puntuale e tassativo ciò che co-stituisce oggetto di “deterioramento significativo e misu-rabile di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata daquest’ultima”, l’art. 311, comma 2, riproduce in larga mi-sura la più ampia ed onnicomprensiva fattispecie giàcontenuta nell’art. 18 dell’abrogata legge n. 349/1986,

che dà rilievo a qualsiasi alterazione, deterioramento odistruzione in tutto o in parte dell’ambiente.Accanto alla definizione di matrice “comunitaria” didanno all’ambiente (deterioramento significativo e mi-surabile di una specifica componente ambientale) conti-nua quindi a sussistere una fattispecie di danno analogaa quella dell’abrogato art. 18, che contempla una diver-sa e più ampia figura di illecito, in cui oggetto di tutelapare essere l’ambiente inteso come bene unitario e distintodalla sue singole componenti.Mette conto ricordare come proprio sulla base dell’abro-gato art. 18 la giurisprudenza (3) (sulla scia di due pro-nunce della Corte costituzionale del 1987 (4)) si fosseorientata nel senso di riconoscere l’unitarietà e l’autono-mia del bene ambiente, in quanto “bene immateriale magiuridicamente riconosciuto e tutelato nella sua unita-rietà” specificando che per “ambiente in senso giuridicova considerato un insieme che, pur comprendendo varibeni o valori, quali la flora, la fauna, il suolo, l’acqua ecc.,si distingue ontologicamente da questi poiché si identifi-ca in una realtà priva di consistenza materiale, maespressiva di un autonomo valore collettivo costituente,come tale, specifico oggetto di tutela da parte dell’ordi-namento (5)”. A fronte della duplicità della definizione legale contenu-ta nel d.lgs. n. 152/2006, ci si deve chiedere se può rite-nersi sopravvivere gran parte dell’elaborazione giurispru-denziale e dottrinale sviluppatasi nel vigore dell’art. 18,relativamente alla concezione unitaria del bene ambien-te. O d’ora in poi dovrà prevalere la più riduttiva defini-zione comunitaria ed il relativo approccio frazionato al-la tutela ambientale? A parere di scrive, pur nella pessima formulazione dellanormativa, la nozione unitaria di danno all’ambiente de-ve ritenersi ancora attuale; nonostante l’art. 300 del d.lgs.n. 152/2006 definisca ciò che “ai sensi della Direttiva2004/35/CE costituisce danno ambientale”, il dato letteraledell’art. 311, comma 2, ha un significato precettivo indi-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061050

OPINIONI•DANNI NON PATRIMONIALI

Note:

(1) Si pensi solo al danno al terreno, rispetto al quale viene in rilievo so-lo quella contaminazione che cagioni "un rischio significativo di effettinegativi sulla salute umana e derivi da un introduzione diretta o indiret-ta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi omicrorganismi nel suolo". L’evento di danno (o di pericolo concreto) è ri-ferito quindi non all’ambiente ed alle risorse naturali, ma alla tutela del-la salute umana. Cfr. anche F. Giampietro, La direttiva 2004/35/CE suldanno ambientale e l’esperienza italiana, in Ambiente, n. 9/2004.

(2) Sulle complesse problematiche relative alla molteplicità di definizio-ni di “ambiente” come oggetto di tutela, si veda F. Giampietro, La nozio-ne di ambiente e di illecito ambientale, in Ambiente e sviluppo, n. 5/2006, p.464.

(3) Cfr. Cass. 25 gennaio 1989, n. 440, in Giust. civ., 1989, 552

(4) Si fa riferimento alle sentenze 210/1987 e 641/1987, rispettivamentein Foro it., 1988, I, 333 e 641.

(5) Cfr. sentenza Cass. 9 aprile 1992, n. 4362, in Mass. giust. civ., 1992,588; in argomento si veda: B. Pozzo, Danno ambientale, in Riv. dir. civ.,1997, II, 778 ss.

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scutibile. Del resto, tale soluzione è l’unica compatibilecon la più volte affermata natura costituzionale del beneambiente. Basti qui ricordare come l’art. 9 della Costitu-zione, proteggendo il paesaggio, abbia rappresentato unaggancio normativo per reprimere le violazioni ambienta-li che si realizzano mediante attività modificatrici dell’as-setto del territorio, mentre nell’ambito l’art. 32 sono stateinquadrate le violazioni che determinano un danno allasalute della persona a seguito della compromissione del-l’ambiente (6). Parte della dottrina tende poi ad indivi-duare una direttiva utilizzabile in materia ambientale an-che nell’art. 44, nella parte in cui prescrive alla legge dicompiere una serie di attività “al fine di conseguire il ra-zionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapportisociali” (7). Infine, anche gli articoli 41 e 42 Cost., là do-ve pongono dei limiti all’iniziativa economica e alla pro-prietà privata, sono stati ritenuti esprimere anche finalitàambientali (8). Del resto, la giurisprudenza della Cassazio-ne non ha esitato ad individuare nel dettato costituziona-le la fonte stessa delle norme sul danno ambientale; la sen-tenza n. 5650/1996 (9) ha così affermato che “la configu-rabilità dell’ambiente come bene giuridico, non trova lasua fonte genetica nella citata legge del 1986 (che si occu-pa piuttosto della ripartizione della tutela tra Stato, entiterritoriali ed associazioni protezionistiche) ma diretta-mente nella Costituzione, considerata dinamicamente,come diritto vigente e vivente, attraverso il combinato di-sposto di quelle disposizioni (quali gli articoli 2, 3, 9, 41 e42) che concernono l’individuo e la collettività nel suohabitat economico, sociale, ambientale” (10).Pertanto, una volta ammessa la portata costituzionaledel bene ambiente (e quindi la necessità di apprestare al-lo stesso una tutela adeguata ad un bene di tale rango),una definizione restrittiva e frammentata quale quelladell’art. 300 non può prevalere sulla più ampia definizio-ne dell’art. 311, comma 2, tramite la quale viene così da-ta sostanziale continuità allo ius receptum formatosi nelvigore dell’abrogato art. 18. Se la giurisprudenza, come è probabile, si indirizzerà nelsenso di valorizzare il comma 2 dell’art. 311 d.lgs. n.152/2006 rispetto all’art. 300, commi 1 e 2, del medesimodecreto, non è difficile prevedere che la nozione di “dan-no ambientale” ai sensi della direttiva comunitaria finiràper assumere un ruolo del tutto marginale. Forse non c’èda dispiacersene troppo: tuttavia, la definizione dell’art.300 esiste e si contrappone inevitabilmente a quella om-nicomprensiva ereditata dall’abrogato art. 18; l’interfe-renza tra due norme così palesemente antitetiche avreb-be preteso un coordinamento che il legislatore del “codi-ce dell’ambiente” ha del tutto ignorato, al punto di averlasciato nell’ambiguità proprio l’oggetto della tutela a cuiha dedicato l’intera parte sesta del d.lgs. n. 152/2006.

L’ambiente tra bene collettivo e bene individualeL’ambiguità di ciò che costituisce oggetto di tutela, pe-raltro, non si ferma ai punti sopra citati.

Infatti il legislatore, all’art. 311, comma 1, individuachiaramente il titolare delle azioni di risarcimento deldanno nello Stato, attribuendo la legittimazione ad agiresolo ed esclusivamente al Ministro dell’Ambiente, con ilpatrocinio obbligatorio ed organico dell’Avvocatura del-lo Stato. Tuttavia, all’art. 309 viene tra l’altro previstoche “le regioni, le province autonome e gli enti locali, an-che associati, nonché le persone fisiche o giuridiche chesono o che potrebbero essere colpite dal danno ambien-tale …. possono presentare al Ministro dell’ambiente edella tutela del territorio, depositandole presso le Prefet-ture - Uffici territoriali del Governo, denunce e osserva-zioni, corredate da documenti ed informazioni, concer-nenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minacciaimminente di danno ambientale e chiedere l’interventostatale a tutela dell’ambiente”; ai sensi del successivo art.310, “I soggetti di cui all’articolo 309, comma 1, sono le-gittimati ad agire … per il risarcimento del danno subitoa causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesi-mo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzioneo di contenimento del danno ambientale”.Il combinato disposto dei predetti articoli si riflette sullaqualificazione del danno all’ambiente e sulla natura giu-ridica del bene tutelato. Mentre da un lato si stabilisce ilprincipio generale della titolarità esclusiva in capo alloStato della pretesa risarcitoria in materia di danno am-bientale, assumendo così che esso agisca a tutela dellacollettività facendo valere un diritto superindividuale atutela di un bene collettivo, dall’altro si ammette cheanche tutte “le persone fisiche o giuridiche”, oltre che glienti espressione della collettività locale, possano essere“colpite dal danno ambientale” in senso stretto e quindiagire “per il risarcimento del danno subito” a seguito deldeterioramento delle risorse naturali. I privati sono per-tanto legittimati ad agire per il ristoro del danno all’am-biente così come definito dal d.lgs. n. 152/2006, e nonsolo per la tutela dei diritti soggettivi eventualmente le-si dal medesimo fatto produttivo di danno ambientale.Con ciò si torna però a trasporre il danno ambientale sul

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1051

OPINIONI•DANNI NON PATRIMONIALI

Note:

(6) S. Patti, Valori costituzionali e tutela dell’ambiente, cit., 117.

(7) Tra essi: L. Francario, Le destinazioni della proprietà a tutela del paesaggio,Napoli, 1986, 29 ss.; M. Libertini, La nuova disciplina del danno ambientalee i problemi generali del diritto all’ambiente, in Rivista critica del diritto privato,1987, 560.

(8) B. Caravita, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2001, 17 ss.

(9) In Danno e resp., 1996, 693, con nota di V. Colonna.

(10) Anche la successiva sentenza della Corte di cassazione, sez. III civi-le, 3 febbraio 1998, n. 1087, ha confermato che “Nel nostro ordinamentogiuridico la protezione dell’ambiente, anche prima della legge n. 349/86, la Co-stituzione e la norma generale dell’art. 2043 apprestavano all’ambiente una tu-tela organica e piena” . A seguito della riforma costituzionale attuata con lalegge 18 ottobre 2001 n. 3, è stato poi introdotto il concetto di “tutela del-l’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” nell’ambito del Titolo V,sebbene soltanto attraverso una norma di ripartizione di competenze; cfr.in merito R. Chieppa, L’ambiente nel nuovo ordinamento costituzionale, inUrbanistica e appalti, 2002, n. 11, 1249.

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piano dei diritti soggettivi astrattamente tutelabili indi-vidualmente, in contrapposizione alla concezione del-l’ambiente quale bene collettivo e superindividuale.Per conseguenza, sebbene sia chiaro, nel nuovo regime,che i privati non possono agire contro i diretti responsa-bili di illeciti ambientali, mai essi potrebbero invece ri-correre in via giurisdizionale per ottenere il risarcimentodel “danno all’ambiente”, patito a causa dell’inerzia delMinistero dell’Ambiente, nei confronti di quest’ultimo,in relazione a “qualsiasi caso di danno ambientale o diminaccia imminente di danno ambientale”.La confusione è evidente, tanto più se si considera comeall’art. 313, comma 7, venga poi previsto che “resta inogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fat-to produttivo di danno ambientale, nella loro salute onei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei con-fronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessilesi”. Il legislatore, al comma 7 dell’art. 313, parla corret-tamente del danno a singoli beni lesi dal fatto produtti-vo di danno ambientale, come tali distinti da quest’ulti-mo ed oggetto di tutela in base alle norme ordinarie(11), anche se poi limita inspiegabilmente l’ambito ditali diritti tutelabili in via ordinaria alla salute ed allaproprietà.La lunga elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale,con cui è stata faticosamente affermato come la lesionedell’ambiente in senso giuridico, considerato come in-sieme che, pur comprendendo vari beni materiali, si di-stingue da questi, debba essere distinta dalla sue singolecomponenti, rischia di essere in gran parte vanificatadalla commistione di concetti diversi operata nell’arti-colato sopra richiamato, articolato nel quale certamentevi è stato un uso disinvolto di una terminologia che in-vece è, per sua natura, estremamente delicata.

L’imputazione della responsabilità da danno ambientaleUn altro punto di criticità conseguente alla pessima tec-nica normativa della parte sesta del d.lgs. n. 152/2006 ècostituito dal criterio di imputazione della responsabilità(per colpa, per c.d. “colpa presunta”, od oggettiva) dadanno ambientale. Anche qui, le norme che vengono inrilievo in proposito sono diverse e tra loro disomogenee. L’art. 305 dispone che, “quando si è verificato un dannoambientale”, oltre azioni di prevenzione, l’operatore(12) ha inoltre l’obbligo di adottare immediatamente “lenecessarie misure di ripristino di cui all’articolo 306”. Lanorma prosegue precisando che, “se l’operatore nonadempie a tali obblighi”o “se non è tenuto a sostenere icosti a norma della parte sesta del presente decreto”, ilMinistro dell’ambiente e della tutela del territorio ha fa-coltà di adottare egli stesso tali misure, approvando lanota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile versochi abbia “causato o comunque concorso a causare lespese stesse”, se venga individuato entro il termine dicinque anni dall’effettuato pagamento. Letta isolatamente, la disposizione sembrerebbe diretta a

istituire un regime di responsabilità oggettiva, basata cioèsul solo nesso di causalità tra azione od omissione edevento: l’obbligo di ripristino sorge, infatti, “quando siverifica un danno ambientale”, ed il Ministro ha un di-ritto di rivalsa per le spese sostenute avverso chi lo abbia“causato o comunque concorso a causare”.Tuttavia, lo stesso art. 305 prevede il caso in cui l’opera-tore “non è tenuto a sostenere i costi a norma della par-te sesta del presente decreto”; si impone quindi una let-tura sistematica dell’articolato, lettura che riporta inve-ce a criteri di imputazione certamente diversi dal meronesso causale. In proposito l’art. 311, comma 2, di cui siè già parlato, depone certamente nel senso del manteni-mento di una responsabilità per colpa. In base ad esso, in-tegra gli estremi della fattispecie la realizzazione di unfatto illecito di natura dolosa o colposa, in forma attiva odomissiva, in violazione di legge, di regolamento o di prov-vedimento amministrativo, oppure commesso con ne-gligenza, imperizia, imprudenza (pare del tutto formale epleonastico il richiamo alle “norme tecniche”, posto cheil mancato rispetto delle stesse integra già l’imperizia). L’art. 18 della legge n. 349/1986, come noto, descrivevala condotta del soggetto agente come quella che siestrinseca in atti dolosi o colposi commessi “in violazio-ne di legge o di provvedimenti adottati in base a leggeche compromettano l’ambiente”; con ciò il legislatoreaveva ancorato la colpa rilevante per la causazione di undanno ambientale alla colpa specifica per violazione dilegge. Nella formulazione dell’art. 311, comma 2, il pro-filo della responsabilità viene invece allargato anche al-la colpa generica, non ancorata cioè alla sola violazione diuna norma o di un provvedimento espressamente posti aprotezione dell’ambiente. Con ciò l’illecito viene defini-tivamente modellato sull’art. 2043 del codice civile;scompare pertanto l’affermata “tipicità” del danno am-bientale regolato dalla legge n. 349/1986 (13), in con-

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OPINIONI•DANNI NON PATRIMONIALI

Note:

(11) Cfr. Cass. 25 gennaio 1989, n. 440, in Giust. civ., 1989, 552: “se loStato accentra in sé, nella veste di massimo ente esponenziale della collettivitànazionale, la titolarità del ristoro del danno all’ambiente, ciò non priva certa-mente altri soggetti della legittimazione diretta e rivolgersi al giudice per la tuteladi altri diritti, patrimoniali o personali, compromessi dal degrado ambientale: co-me, ad esempio, in caso di distruzione, in dipendenza della stessa condotta ille-cita che abbia compromesso l’ambiente, di beni appartenenti al demanio ed alpatrimonio di enti territoriali, o di cespiti o di attività di soggetti privati, oppure incaso di lesione del diritto alla salute, quale diritto soggettivo individuale”. Cfr.anche Cass. 1° settembre 1995, n. 9211, in Foro it., Rep. 1995, voce Am-biente (tutela dell’), n. 95, e Cass., sezione III civile, 3 febbraio 1998, n.1087, in Foro it., 1998, I, 1142.

(12) Per «operatore» s’intende qualsiasi persona, fisica o giuridica, pub-blica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente ri-levanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugliaspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permes-so o dell’autorizzazione a svolgere detta attività.

(13) Per la tipicità della fattispecie, cfr. Feola, Analisi della disciplina ex art.18 l. 349/86 in materia di danno ambientale ed evoluzioni giurisprudenziali, inResp. civ., 1996, 1078. La tipicità della responsabilità da danno ambien-tale rispetto alla più generale figura dell’illecito aquiliano ex art. 2043 era

(segue)

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trapposizione alla riconosciuta “atipicità” dell’illecitoaquiliano, ed anche il danno ambientale diventa illecito“atipico”, realizzabile quindi con qualsiasi condotta do-losa o colposa. Un’indicazione ancora diversa si rinviene poi all’art.308, ove viene precisato, al comma 4, che non sono a ca-rico dell’operatore i costi delle azioni di ripristino adot-tate se egli può provare che il danno ambientale o la mi-naccia imminente di tale danno è stato causato da unterzo e si è verificato nonostante l’esistenza di misure disicurezza astrattamente idonee; il comma 5 prevede poiche l’operatore non è tenuto a sostenere i costi “delleazioni di cui al comma 5” (sic!), “qualora dimostri chenon gli è attribuibile un comportamento doloso o colpo-so e che l’intervento preventivo a tutela dell’ambiente èstato causato da un’emissione o un evento espressamen-te consentiti”, o da un’emissione o un’attività o in qual-siasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corsodi un’attività “che l’operatore dimostri non essere staticonsiderati probabile causa di danno ambientale” secon-do lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche almomento del fatto. Tali disposizioni sembrerebberocomportare una responsabilità con inversione dell’oneredelle prova gravante sul danneggiante, sul tipo della col-pa presunta (sul modello dell’art. 2050 c.c.) (14).In ogni caso, oltre il chiaro dettato letterale dell’art. 311,depongono con certezza per un regime di responsabilitàper colpa, analogo al modello tradizionale dell’art. 2043c.c. anche i seguenti elementi:l’art. 316, nel descrivere le azioni con cui l’interessatopuò reagire avverso l’ordinanza che impone il ripristino,si riferisce al “trasgressore”, con ciò individuando al difuori di ogni dubbio un soggetto che con la propria azio-ne abbia violato una norma di condotta;l’art. 314 prevede che l’ordinanza di diffida al ripristinoambientale deve contenere anche l’indicazione specificadel fatto, commissivo o omissivo, contestato, nonchédegli elementi di fatto ritenuti rilevanti per l’individua-zione e la quantificazione del danno e delle fonti di pro-va per l’identificazione dei trasgressori; l’onere della pro-va resta quindi in capo all’amministrazione che agisceper il risarcimento del danno.Del resto, nel nostro sistema giuridico, la responsabilitàoggettiva rappresenta sempre una eccezione. Mentre lanorma dell’art. 2043 c.c., esprimendo il normale model-lo di atipicità dei fatti illeciti basato sul dolo o sulla col-pa contiene una regola generale (15), le norme degliartt. 2047 e ss., fondate su criteri che talora prescindonoda un accertamento di colpevolezza, individuano una se-rie di settori (fra cui le attività cd. pericolose e la respon-sabilità per cose in custodia) in cui si delineano previsio-ni speciali di responsabilità. Se, quindi, la regola generale pone quale fondamentodella responsabilità l’accertamento di una qualche formadi colpevolezza, le ipotesi che intendono prescindernedevono caratterizzarsi per la presenza nella fattispecienormativa di un elemento ulteriore, oggettivamente in-

dividuabile, che consenta di superare la regola generale;la scomparsa della causazione “anche accidentale” dallanuova formulazione della norma non consente più di in-dividuare un tale elemento specializzante.Tali considerazioni valgono poi anche per il d.lgs. n.152/2006, nella parte in cui ha disciplinato ex novo il re-gime della bonifica dei siti contaminati, e che costituisceun importante sottosistema della responsabilità da dan-no all’ambiente. In precedenza l’art. 17 del d.lgs. n.22/1997, che assoggettava all’obbligo di bonifica “chiun-que, anche in maniera accidentale, cagioni il supera-mento ovvero determini un pericolo concreto ed attua-le di superamento dei limiti di accettabilità della conta-minazione ambientale” dei suoli, delle acque superficialie sotterranee, in relazione alla particolare destinazioned’uso dei siti. Trattandosi di una responsabilità di naturaoggettiva, l’unico accertamento che doveva essere com-piuto per affermare la responsabilità dell’inquinatore nelvigore del d.lgs. n. 22/1997 era quindi quello relativo alnesso causale tra la condotta dell’autore dell’inquina-mento e l’evento (il superamento o il pericolo di supera-mento dei limiti di accettabilità). L’art. 242 del d.lgs. n.152/2006 prevede invece ora che l’interessato, “al verifi-carsi di un evento che sia potenzialmente in grado dicontaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento”deve mettere in opera entro ventiquattro ore le necessa-rie misure di prevenzione, dandone immediata comuni-cazione ai sensi e secondo le modalità previste dall’art.304. La scomparsa dell’inciso relativo all’accidentalitàdell’evento fa adesso propendere decisamente per unaresponsabilità per colpa. Infine, è da segnalare come l’art. 313, comma 3, abbiaprevisto una responsabilità per colpa (forse al limite del

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OPINIONI•DANNI NON PATRIMONIALI

Note:

(segue nota 13)

evidenziata dal fatto che non qualsiasi fatto doloso o colposo dannoso perl’ambiente poteva legittimare l’azione di risarcimento, ma solo quei fatticommessi in violazione di norme di legge o provvedimenti adottati in ba-se alla legge (Cfr. P. Dell’Anno, Manuale di diritto ambientale, Padova,1998, 151 e ss.).

(14) La natura della responsabilità ex art. 2050 resta discussa, tuttaviaparte della dottrina è ancora ferma nell’individuare nelle fattispecie di cuiall’art. 2050 c.c. una ipotesi di responsabilità per colpa presunta, ritenen-do che l’esistenza di una presunzione atta ad invertire l’onere della provaponga in evidenza l’atteggiamento di diligente cautela preventiva che sipretende da parte dell’esercente l’attività pericolosa, e specificando che,se si fosse trattato di responsabilità obiettiva, la legge non avrebbe confe-rito al danneggiante la possibilità di dimostrare l’assenza di colpa ma si sa-rebbe limitata a prendere in considerazione il principio della mera impu-tatio facti (cfr. ex multis Giannini, Pogliani, La responsabilità da illecito civile,Milano, 1996, 135 e ss., che richiama l’opinione di Bonvicini, La respon-sabilità per i danni nel diritto delle obbligazioni, Milano, 1963, I, 192). Vedianche Alpa-Bessone, in Trattato Rescigno, 14, Torino, 1982, 332.

(15) Cfr. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, pag.164 e ss., e Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 1 ess., il quale sceglie il "rischio" come criterio di imputazione della respon-sabilità nei regimi speciali previsti dal Codice civile, Si veda anche DeCupis, Franzoni, Fatti illeciti, in Comm. del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Zanichelli, Bologna, 1993, 401 e ss.

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dolo) anche per l’obbligato solidale al risarcimento deldanno all’ambiente. Esso prevede che, “con riguardo alrisarcimento del danno in forma specifica, l’ordinanza èemessa nei confronti del responsabile del fatto dannosononché, in solido, del soggetto nel cui effettivo interesseil comportamento fonte del danno è stato tenuto o chene abbia obiettivamente tratto vantaggio sottraendosi,secondo l’accertamento istruttorio intervenuto, all’one-re economico necessario per apprestare, in via preventi-va, le opere, le attrezzature, le cautele e tenere i compor-tamenti previsti come obbligatori dalle norme applicabi-li”.Lungi dal prevedere una responsabilità del tipo di quellaprevista per i padroni e committenti ex art. 2049 c.c.,(per cui è sufficiente un collegamento tra il fatto danno-so del dipendente e le mansioni da questi espletate, sen-za che sia richiesta la prova di un vero e proprio nesso dicausalità, risultando sufficiente l’esistenza di un rapportodi “occasionalità necessaria”, anche se il dipendente ab-bia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persinotrasgredendo agli ordini ricevuti), l’obbligato solidale (inquanto soggetto che ha tratto vantaggio dalla condottadannosa) per essere tale, in tema di danno ambientale,deve essersi sottratto in via preventiva all’onere di appresta-re le necessarie cautele, e tale sottrazione deve risultareespressamente dall’attività istruttoria. Niente di più lontano da un approccio di strict liability,oltre che una ennesima deroga a principi già consolidatinei principi generali.

In conclusione, tra i molti (troppi) difetti della nuova di-sciplina del danno ambientale (tra cui quelli inerenti al-la giurisdizione, che esulano da questa trattazione (16),la totale mancanza di coordinamento tra le stesse normedel d.lgs. n. 152/2006, e tra queste e i principi generali,sembra costituire una sorta di peccato originale da cui illegislatore ambientale, ancora una volta, non ha saputoemendarsi.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061054

OPINIONI•DANNI NON PATRIMONIALI

Nota:

(16) Basti dire che l’art 316 prevede che l’ordinanza ministeriale che im-pone il risarcimento del danno possa essere impugnata entro il termineperentorio di sessanta giorni dalla comunicazione avanti il T.a.r., in sededi giurisdizione esclusiva, competente in relazione al luogo nel quale si èprodotto il danno ambientale. Nel caso in questione, trattandosi di giuri-sdizione esclusiva, il giudice amministrativo è investito anche del potere didecidere dei diritti soggettivi sottesi alla controversia. Tuttavia, è notoche in base ai principi generali il termine di 60 giorni per la proposizionedel gravame opera solo con riferimento agli interessi legittimi, mentre peri diritti vale l’ordinario termine di prescrizione. La legittimità costituzio-nale della giurisdizione esclusiva nella suddetta materia appare comunqueassai discutibile, specie dopo la nota sentenza della Corte Costituzionaledel 6 luglio 2004, n. 204, con cui la Corte ha stabilito che l’art. 103 Cost.“non consenta al legislatore di devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudiceamministrativo interi “blocchi di materie” di rilevante interesse pubblico”, masolamente materie "particolari", “nelle quali la pubblica amministrazione agi-sce comunque prevalentemente in via autoritativa”, e cioè materie nelle qua-li la tutela nei confronti della p.a. può investire "anche" diritti soggettivi,ma deve riguardare comunque in modo preminente interessi legittimi. Nel ca-so del danno ambientale si versa essenzialmente nell’ambito di rapportipatrimoniali, che sono tendenzialmente estranei alla materia dell’interes-se legittimo.

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OPINIONI•RESPONSABILITA’ MEDICA

Attività medico-legale viene esplicata da ogni medicoquando ricorra alle sue conoscenze scientifiche non confinalità diagnostico-terapeutica ma per contribuire aduna corretta applicazione delle norme che regolano lavita dell’uomo nella società. La redazione di un certifica-to o di una cartella clinica, ad esempio, non ha il solo fi-ne terapeutico e spesso, anzi, ha un importante significa-to medico-legale. L’attività medico-legale in tal senso, pertanto, è frequen-temente nelle mani non dello specialista in scienze fo-rensi ma del medico in generale, del clinico, che nonsempre ne ha piena consapevolezza.Un richiamo, al riguardo, proviene dallo stesso codice dideontologia medica che, all’art. 64, così recita: “Nell’e-spletamento dei compiti e delle funzioni di natura medico-le-gale, il medico deve essere consapevole delle gravi implicazio-ni penali, civili, amministrative e assicurative che tali compitie funzioni possono comportare e deve procedere, sul pianotecnico, in modo da soddisfare le esigenze giuridiche attinentiil caso in esame nel rispetto della verità scientifica, dei dirittidella persona e delle norme del presente Codice di Deontolo-gia Medica …”.La storia recente, peraltro, insegna che il medico (so-prattutto nella gestione ospedaliera) è entrato in contat-to con le problematiche medico-legali molto più che inpassato e anzi talora ne è stato violentemente investito:quotidianamente deve confrontarsi con disposizioni dilegge più o meno recenti (un tempo inesistenti o in sta-to di “sommersione”) che regolano diritti/doveri del cit-tadino; e quotidianamente deve pensare a difendere séstesso oltre che la salute del paziente.Per il clinico, dunque, la medicina legale non è più un li-bro, un manuale da chiudere per sempre e accantonareappena conseguita la laurea: è, invece, materia coinvol-gente suo malgrado; materia viva in continua evoluzio-ne come la società dell’uomo.Ogni settore delle scienze medico-biologiche registracrescenti, inarrestabili progressi ed è pertanto inevitabi-le che le competenze siano sempre più specialistiche esuper-specialistiche.Ma se le progressioni delle scienze biologiche sono im-pressionanti nondimeno lo sono i cambiamenti intro-

dotti dal Legislatore per quanto di rilievo in ambito me-dico-legale.Un confronto tra il vecchio e il nuovo potrà convincerechiunque di quanto sia ben impegnativo l’aggiornamen-to per il medico-legale che, in ogni caso, auspicabilmen-te dovrebbe “avere un occhio” anche per le recenti e piùrilevanti acquisizioni negli altri campi delle scienze bio-logiche.È agevole comprendere, pertanto, che difficilmente lostesso “specializzato” potrà cimentarsi con pari, elevatacompetenza in ogni ambito valutativo medico-legale; edè altrettanto agevole dare un più preciso significato aquanto disposto dal sovra-richiamato art. 64 del codice dideontologia medica il quale deve rappresentare un moni-to, per ogni medico non specialista, ad astenersi ovveroaccettare con cautela impegni professionali peritali.La formazione medico-legale del clinico è oggigiorno ir-rinunciabile e va orientata verso i grandi temi della me-dicina ospedaliera e generale: i doveri giuridici e deonto-logici; la nuova cultura del consenso informato in oppo-sizione a quella paternalistica; la cultura della comunica-zione medico-paziente e della prevenzione del “rischio”;la cultura della responsabilità professionale in sede pena-le e civile; la cultura della cartella clinica e delle certifi-cazioni.La formazione medico-legale dello specialista è tuttoquesto ma altro ancora: prima e dopo.Dopo, in ragione delle esigenze di più ampie conoscenzeche devono spaziare, per quanto possibile, negli altri, nu-merosi ambiti medico-legali. Ma prima ancora perché lefondamenta dell’edificio medico-legale devono salda-mente poggiare sulla cultura del “rigore nelle prove” chesi esprime attraverso motivazioni scientifiche ponderate.E questa, ad avviso del sottoscritto, deve essere la baseformativa di chi voglia dedicarsi all’attività di perito e diconsulente (incaricato dall’Ufficio o da una parte).Quella del rigore nelle prove è una cultura essenziale chesi acquisisce da dottrina e giurisprudenza e che si perfe-

Codice di deontologia medica

La formazione del consulente tecnicodi ENZO RONCHI*

L’autore, dopo avere ricordato il significato e valore dell’attività medico-legale (come richiamato an-che nel codice di deontologia medica), evidenzia quanto debba essere ritenuta irrinunciabile la for-mazione del perito o consulente tecnico, nel rispetto dei principi del rigore della prova: segnatamen-te per quanto concerne la valutazione del nesso causale secondo le regole di giudizio indicate dallaSuprema Corte.

Nota:

* Professore Ordinario, Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni,Università di Milano.

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ziona sul “campo”. Diviene una abitudine, una formamentis che porta a rifiutare, per principio, conclusioninon supportate da soddisfacenti motivazioni, nella con-sapevolezza che il contributo peritale è spesso decisivo,nella dinamica processuale, per attribuire o escludere re-sponsabilità, per avvalorare o negare diritti.Il rigore in termini, appartiene più al razionale giuridicoche clinico, come ricordato dallo Stella (1) che così scri-ve riprendendo una metafora del Murri: “Il medico nonpuò aspettare il meriggio, deve fare la diagnosi al malato cheha davanti a sé; il Giudice penale deve invece aspettare il me-riggio, per vedere se le sue ipotesi risultano controllate in fat-to; e se, venuto il meriggio, l’ipotesi risulterà ancora non con-trollata, per la mancata dimostrazione della concretizzazionedella legge scientifica pertinente, l’imputato dovrà essere pro-sciolto: il nesso causale non è stato dimostrato”.Perito o consulente medico-legale devono adeguarsi allametodologia processuale nelle motivazioni, così che sia“servito” un prodotto utile al Giudice e alle parti.È soprattutto nei principi della causalità che deve insi-stere la formazione del perito e consulente medico-lega-le.“Sopra i concetti di causa, concausa e occasione”, scrisseroautorevolmente nostri maestri, come il Cazzaniga nellontano 1919, rivendicando l’autonomia del concetto dicausa in medicina legale, identificato, in “ciò che modi-fica”, ovvero nella “capacità modificatrice come idoneitàad apportare variazioni quantitative o qualitative”.Una concezione del tutto originale che portò l’Autorestesso alla presentazione di una a tutti nota “criteriolo-gia” quale metodo di valutazione del nesso causale, in cuiè pregiudiziale il criterio di adeguatezza lesiva che ha por-tato ad elaborazioni come il concetto di “occasione” cherisulta in aperto contrasto con il principio della condi-zione necessaria e da cui sono derivate sentenze ritenuteingiuste in ultima analisi (2).Come bene evidenziato dallo Stella (3) “il giudice pena-le si attende che il medico-legale esprima delle conclu-sioni coerenti col punto di vista del diritto penale, noncon altri punti di vista, e quindi accerti, sulla base dellascienza se, senza la condotta umana, l’evento si sarebbe onon si sarebbe verificato”.Subordinando il giudizio tecnico sul valore causale diuna condizione antecedente,alla verifica della sua ade-guatezza a produrre un effetto, il perito o consulente ri-schia di fermarsi ad una valutazione della sola causalitàin generale, mentre il giudice necessita di un contributomedico-legale per la soluzione del caso di specie e cherappresenti prova particolaristica.Si comprende, pertanto, perché gli attuali insegnamentidel diritto (attraverso dottrina e giurisprudenza) identifi-cano la causa in una condizione antecedente necessaria,il cui valore, nel caso specifico, è filtrato dal modello disussunzione sotto leggi scientifiche di copertura ed ulte-riormente controllato da verifica contro-fattuale: verifi-che di valore necessarie ad evitare assurde applicazioniprocessuali del principio condizionalistico.

Da notare, poi, che “limitandosi” alla verifica dell’ade-guatezza, il perito o consulente tende a condizionare ol-tre misura la decisione del giudice o addirittura a sosti-tuirvisi.I richiami a rifuggire dalla tentazione di “facili” valuta-zioni di adeguatezza, non sembrano inutili anche neitempi nostri, ove soltanto si presti attenzione a quantoindicato nell’art. 138 del Decreto Legislativo 7 Settem-bre 2005 n. 209 (nuovo Codice delle Assicurazioni) che,in ordine a criteri applicativi della tabella per danni psi-chici, così recita: “La verifica del nesso causale deve …passare attraverso la rigorosa applicazione della criterio-logia medico-legale, atteso che molti dei sintomi appar-tenenti alle categorie morbose sopra richiamate possonoessere di natura idiopatica e potranno considerarsi di na-tura post-traumatica soltanto previo accurato vaglio dellaloro coerenza quali-quantitativa e della loro proporzionalitàrispetto alla comprovata valenza psico-traumatica dell’eventolesivo”.Al riguardo, in uno sforzo di corretta interpretazione, èauspicabile da un lato che il criterio dell’adeguatezza siaqui da intendere come eventuale correttivo al metodocondizionalistico che di per sé solo potrebbe rilevarsi in-sufficiente al contenimento di ingiustificate amplifica-zioni risarcitorie; e d’altro lato che lo stesso criterio del-l’adeguatezza non sia inteso come pregiudiziale assolutanella valutazione.Ma verso la “adeguatezza” è ormai pronunciata una sen-tenza di condanna senza appello, come recentemente ri-cordato dal Barni (4). Ora la formazione del perito oconsulente medico-legale in ordine ai principi della cau-salità deve insistere sul significato e valore peritale delleleggi di copertura di tipo statistico.L’esperienza quotidiana insegna che, non raramente, inambito peritale non se ne è fatto un uso corretto, o me-glio se ne è fatto un uso che rivela una non piena consa-pevolezza dei condizionamenti e delle distorsioni che ildato tecnico-statistico può portare nelle aule di giustizia:e ciò nella valutazione della colpa, prima ancora che delnesso causale.Così nel caso di infezione nosocomiale verso la quale siamotivata l’assenza di colpevoli errori del personale di as-sistenza e della struttura sanitaria, in ragione di inciden-za statistica (ad esempio 0,5%) che proverebbe la possi-

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OPINIONI•RESPONSABILITA’ MEDICA

Note:

(1) F. Stella, Giustizia e Modernità, 2001, 294.

(2) In una lite, caratterizzata da inteso carico emozionale e strattonamen-ti un grave coronaropatico venne a morte contestualmente. Una periziamedico-legale stabilì che l’azione posta in essere dall’imputato non costi-tuiva causa del decesso ma semplice “occasione”. Il Giudice di I° gradopronunciò una sentenza di assoluzione ma il Giudice di Appello con-dannò l’imputato per omicidio preterintenzionale, ritenendo “bizzarra” edestranea al diritto la teoria dell’occasione. La Suprema Corte confermò lacondanna.

(3) F. Stella, loc. cit sub. I, 193.

(4) M. Barni, Recensione a “F. Stella, Il Giudice corpuscolariano: la culturadelle prove, 2005; in Riv. it. med. leg., XXXVIII, 2006, 249.

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bilità della complicanza medesima anche nel rispetto didoverose regole di asepsi. Ma la corretta argomentazionemedico-legale dovrebbe procedere oltre. Al giudice sidovrebbe correttamente rappresentare che le percentua-li desunte dalla letteratura sono composte da commistio-ne di casi determinati sia da fatalità sia da colpa medica;e che gli stessi dati della letteratura che vengono trasfe-riti nel contesto peritale derivano tuttavia da esperienzematurate, per solito, in altri nosocomi (anche d’oltreo-ceano): si riferiscono, cioè, ad una casistica generale enon esprimono certo l’incidenza di infezioni intra-opera-torie di quella casa di cura chiamata in causa, che puònon avere reso pubblici i suoi dati, i quali, a loro volta,potrebbero essere indicativi di più elevata incidenza diinfezioni, proprio per “malpratica”.In altre parole, quanto a valore delle prove, altra cosa èla casistica generale ed altra è quella particolare.Tale parzialità di informazioni tecnico-peritali al giudi-cante, non meno raramente ricorre nella valutazione delnesso causale, soprattutto per colpa omissiva, dove leleggi di copertura di tipo statistico svolgono un ruolo im-portante, spesso decisivo.Al riguardo, nell’attuale momento storico la sentenza n.30328/2002 delle Sezioni Unite Penali della Corte Su-prema di Cassazione (commentata da molti autori) co-stituisce un importante riferimento, quanto a regole digiudizio, che devono valere anche per il perito o consu-lente medico-legale.La nota sentenza stabilisce alcuni punti fermi: Ove, in giudizio, si pretendesse una spiegazione causale“secondo criteri di utopistica certezza assoluta, si finireb-be col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del dirittoe del processo penale in settori nevralgici per la tutela dibene primari”.“Non è sostenibile che si elevino a schemi di spiegazionedel condizionamento necessario solo le leggi scientificheuniversali e quelle statistiche che esprimano un coeffi-ciente probabilistico prossimo ad 1, cioè alla certezza …Soprattutto in contesti come quello della medicina bio-logica e clinica cui non appartengono per definizioneparametri di correlazione dotati di tale valore …”.“È in dubbio che coefficienti medio-bassi di probabilità… impongano verifiche attente e puntuali sia della fon-datezza scientifica che della specifica applicabilità nellafattispecie concreta. Ma nulla esclude che anch’essi, secorroborati dal positivo riscontro probatorio, condottosecondo le cadenze tipiche della più aggiornata criterio-logia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel casodi specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possanoessere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del ne-cessario nesso di condizionamento”.“Viceversa, livelli elevati di probabilità statistica o sche-mi interpretativi dedotti da leggi di carattere universale(in vero assai rare nel settore in esame), pur configuran-do un rapporto di successione tra eventi rilevato con re-golarità o in numero percentualmente alto di casi, pre-tendono sempre che il Giudice ne accerti il valore ezio-

logico effettivo, insieme con l’irrilevanza nel caso concretodi spiegazioni diverse, controllandone quindi la attendibi-lità in riferimento al singolo evento e all’evidenza dispo-nibile”.Non è consentito “dedurre automaticamente, e propor-zionalmente, dal coefficiente di probabilità statisticaespresso dalla legge la conferma dell’ipotesi sull’esistenzadel rapporto di causalità”. Mentre “la probabilità statisti-ca attiene alla verifica empirica circa la misura della fre-quenza relativa alla successione degli eventi … la proba-bilità logica … contiene la verifica aggiuntiva, sulla ba-se dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità del-l’impiego della legge statistica per il singolo evento e del-la persuasiva e razionale credibilità dell’accertamentogiudiziale”.Si evince, pertanto dall’esame della sentenza in termini,che le leggi statistiche fornite dall’esperto medico-legaleattengono più alla causalità generale; mentre la causalitàindividuale è valutata del giudice che è tenuto, a sua vol-ta, a non assumere come prova particolaristica la stessalegge statistica ed anzi deve verificare di volta in volta laeventuale interferenza di fattori eziologici alternativi,cioè spiegazioni causali diverse che, se esistenti, possonoportare ad escludere il nesso causale pur a fronte di ele-vati coefficienti di probabilità statistica. E, viceversa, seassenti possono portare il giudice a riconoscere il nessocausale pur in presenza di coefficienti medio-bassi, in unrazionale convincimento che trasferisce dalla probabi-lità statistica (propria del perito e della causalità genera-le) alla probabilità logica, propria del giudice e della cau-salità individuale.Ma, al perito-consulente dotato di formazione medico-legale, non deve sfuggire, a questo punto, che il giudi-cante può avvalersi di ulteriori contributi tecnici ancheriguardo all’eventuale interferenza di fattori causali alter-nativi. Al di sopra delle parti, ad avviso del sottoscritto,il perito deve completare il suo giudizio tecnico in ordi-ne al nesso causale, distinguendo casi in cui l’esistenza difattori eziologici alternativi è reale, concreta, da quelli incui è solo teorica e collocabile negli oceanici possibilismidelle scienze biologiche: ad evitare quanto paventatoproprio dalla sovra-richiamata sentenza della SupremaCorte, e cioè ad evitare che si debba rinunciare sempreall’accertamento della responsabilità medica, come giàdecenni or sono ricordato dal Cattaneo (5).È da ritenere sacrosanto, in altre parole, il principio del-l’accertamento di responsabilità “al di là di ogni ragione-vole dubbio”: purché il dubbio, appunto, sia “ragionevo-le”.Così (unicamente per esemplificare e senza pretesa diprecisione nella citazione di valori percentuali) in unapersona colpita da rottura dell’aorta toracica ascendentepossono dedursi, dalla letteratura, coefficienti di soprav-

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OPINIONI•RESPONSABILITA’ MEDICA

Nota:

(5) G. Cattaneo, La Responsabilità del professionista, Milano, 1958, 325.

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OPINIONI•RESPONSABILITA’ MEDICA

vivenza medio-alti per corretto trattamento cardio-chi-rurgico in urgenza: ma possono sussistere fattori eziologi-ci alternativi (quali età avanzata, preesistenti patologie,tempistica del ricovero, carenza di strutture specialisti-che nosocomiali, eccetera) tali da indurre il Giudice a ri-tenere non provato il nesso causale; e, viceversa, tali daritenere lo stesso dimostrato per assenza dei fattori me-desimi.Puntualizzazioni del consulente tecnico di Ufficio, a pro-posito di interferenza di fattori causali alternativi nelsenso anzidetto, saranno anche maggiormente prezioseove si consideri che da più parti si auspica l’applicazione

di una diversa unità di misura nel processo civile: nonquella della probabilità elevata ma del “più probabileche no” (6).Applicazione che permetterebbe la soluzione anche dinon pochi casi di danno per colpa medica in ambito on-cologico che rischiano di rimanere privati di risarcimen-to pur a fronte di negligenze gravi e certe.

Nota:

(6) Così in F. Stella, loc. cit. sub.1, 382 - 383, che propone un interventolegislativo “che, sul terreno del processo civile, dia spazio alla regola dellaresponsabilità proporzionale”.

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1. La c.d. Legge PintoL’art. 2, primo comma, legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. leg-ge Pinto, dal nome del senatore primo firmatario del dise-gno) sancisce il diritto ad «un’equa riparazione» per «chiha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale pereffetto di violazione della Convenzione per la salvaguardiadei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali […] sottoil profilo del mancato rispetto del termine ragionevole dicui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione» (1).Quest’ultimo provvedimento, ratificato con legge 4 agosto1955, n. 848, riconosce il diritto di ogni persona «ad un’e-qua e pubblica udienza entro un termine ragionevole» eprevede un’«equa soddisfazione» (art. 41) per il caso di vio-lazione degli impegni assunti con la Convenzione, purchénon esistano altri strumenti idonei al raggiungimento dellostesso scopo nella legislazione interna dello Stato (art. 35).Fino al 2001, in applicazione di tali disposizioni, la CorteEuropea di Strasburgo aveva condannato più volte l’Italiaper la lunghezza dei suoi processi (2) e il rimedio ex lege Pin-to è stato introdotto proprio per attribuire la competenza inmateria agli organi giurisdizionali interni (3).A cinque anni dalla sua entrata in vigore, però, non sembrache questo risultato possa dirsi davvero raggiunto: perquanto la Corte europea (4), nel settembre 2001, avesse di-chiarato la generale irricevibilità dei ricorsi provenientidall’Italia che non avessero previamente utilizzato il rime-dio ex lege Pinto, ben presto lo stesso giudice europeo (5) hariconosciuto la possibilità per il ricorrente italiano di otte-nere a Strasburgo una pronuncia correttiva quando abbiasubito un trattamento qualitativamente o quantitativa-mente inferiore a quello che gli sarebbe stato assicuratoqualora avesse presentato domanda direttamente al giudiceeuropeo.Quest’ultima decisione ha modificato radicalmente l’ap-proccio giurisprudenziale al rimedio: mentre nei primi treanni dalla sua entrata in vigore la giurisprudenza aveva ela-borato soluzioni significativamente divergenti rispetto almodello di riferimento di Strasburgo, a partire dal gennaio2004, cioè da quando anche le Sezioni Unite sono statechiamate ad intervenire in materia, i giudici si sono preoc-

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Danno per irragionevole durata del processoa cura di ALBERTO VENTURELLI

del processo (legge 24 marzo 2001, n. 89), in Riv. dir. proc., 2001, 1068 ss.;G. Tarzia, Sul procedimento di equa riparazione per violazione del termine ra-gionevole del processo, in Giur. it., 2001, 2430 ss.; L. Stilo, Genesi storica epolitica della legge n. 89 del 24 marzo 2001, in Il nuovo dir., 2001, 555 ss.; A.Saccucci, Riparazione per irragionevole durata dei processi tra diritto interno eConvenzione europea, in Dir. pen. proc., 2001, 893 ss.; M. Bertuzzi, Viola-zione del principio della ragionevole durata del processo e diritto all’equa ripara-zione, in Giur. merito, 2001, 1153 ss.; A. Didone, L’equa riparazione per ir-ragionevole durata del processo, in Quest. giust., 2001, 513 ss.; S. Corongiu,L’equa riparazione dei danni derivati dalla durata irragionevole del processo:prime riflessioni, in Studium iuris, 2001, 1007 ss.; M. Scalabrino, L’irragio-nevole durata dei processi italiani e la legge 24 marzo 2001, n. 89: un «com-modus discessus», in Riv. int. dir. uomo, 2001, 397 ss.; G. Arnoaldi Veli,La legge Pinto sull’equa riparazione dei danni per la non ragionevole durata delprocesso: problemi applicativi e interpretativi, in Rass. forense, 2002, 21 ss.; D.Amadei, Note critiche sul procedimento per l’equa riparazione dei danni da du-rata irragionevole del processo, in Giust. civ., 2002, II, 29 ss.; G. Cricenti,Massime non consolidate sulla responsabilità da irragionevole durata del pro-cesso, in questa Rivista, 2002, 694 ss.

(2) Cfr. G. Gaja, Valanghe di condanne per la durata dei processi: quali rime-di?, in Riv. dir. int., 1994, 328 ss.; L.P. Comoglio, Diritti fondamentali e ga-ranzie processuali comuni nella prospettiva dell’Unione Europea, in Foro it.,1994, V, 153 ss.; V. Starace, Durata ragionevole del processo e impegni inter-nazionali dell’Italia, ivi, 1995, IV, 264 ss.

(3) Cfr. E. Dalmotto, Diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata delprocesso, in Misure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole durata deiprocessi. Commento alla legge 24 marzo 2001, n. 89, a cura di S. Chiarloni,Torino, 2002, 68 ss.; G. Romano, D.A. Parrotta ed E. Lizza, Il diritto ad ungiusto processo tra Corte internazionale e Corti nazionali. L’equa riparazionedopo la legge Pinto, Milano, 2002, 1 ss.; A. Didone, Equa riparazione e ra-gionevole durata del giusto processo, Milano, 2002, 19 ss.; Id., La Cassazione,la legge Pinto e la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir. proc.civ., 2004, 193 ss.; F. Petrolati, I tempi del processo e l’equa riparazione per ladurata non ragionevole (la c.d. «legge Pinto»), Milano, 2005, 6 ss.

(4) Cfr. Corte europea diritti dell’uomo, 6 settembre 2001, in Guida aldir., n. 38/2001, 13 ss., con note di I. Tricomi, Cala il sipario sui risarcimen-ti a Strasburgo: per la lunghezza dei processi si decide in Italia; e di M. Scala-brino, Con la competenza diretta delle Corti d’Appello il cittadino perde un’op-portunità contro lo Stato; e di E. Sacchettini, Non si può giustificare con la ca-renza di strutture il ritardo nell’amministrazione della giustizia; e in Dir. &Giust., n. 36/2001, 46 ss. La decisione è ampiamente commentata ancheda G. Russo, La legge Pinto: effettività ed efficacia del rimedio, in Arch. civ.,2002, 19 ss.; I. Tamietti, La legge Pinto riceve un primo avallo da parte dellaCorte Europea: il rimedio da essa introdotto è accessibile ed efficace, in Cass.pen., 2002, 803 ss.

(5) Cfr. Corte europea diritti uomo 27 marzo 2003, in Foro it., 2003, IV,361 ss.; e in Guida al dir., n. 27/2003, 104 ss., con nota di G. Buonomo,La ristrettezza dei parametri risarcitori può compromettere l’operatività dellalegge Pinto. La decisione è ampiamente commentata anche da V. Esposi-to, Il non ragionevole contrasto del giudice italiano con quello di Strasburgosulla ragionevole durata del processo, in Corr. giur., 2004, 363 ss.; O. Por-chia, La ragionevole liquidazione del danno per irragionevole durata dei proce-dimenti tra conformità alla giurisprudenza europea e margine di autonomia delgiudice interno, in Contr. impr. Europa, 2004, 538 ss.; L. Marigo, La Cassa-zione italiana ad una svolta dopo il caso Scordino?, in Nuova giur. civ. comm.,2004, II, 221 ss.; E. Falletti, Si ricompone il contrasto tra la Corte di Stra-sburgo e la giurisprudenza italiana sull’effettività del rimedio interno previstodalla legge Pinto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 209 ss.

Note:

(1) Cfr., fra i primi commentatori della legge, G. Ponzanelli, «Equa ripa-razione» per i processi troppo lenti, in questa Rivista, 2001, 569 ss.; C. Con-solo, Disciplina “municipale” della violazione del termine di ragionevole duratadel processo: strategie e profili critici, in Corr. giur., 2001, 569 ss.; R. Marti-no, Sul diritto all’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole

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cupati di garantire un trattamento sempre più modellatosulle statuizioni europee, fino ad ammettere soluzioni con-trastanti con la stessa formulazione letterale della legge 24marzo 2001, n. 89 (6).Ciò appare particolarmente evidente riguardo alla prova ealle caratteristiche del danno non patrimoniale; si registra,invece, una sostanziale continuità di vedute in ordine al-l’individuazione dei criteri di accertamento dell’irragione-vole durata del processo e all’identificazione dei limiti di ri-sarcibilità del danno patrimoniale.Descrivere i più recenti orientamenti giurisprudenziali inordine all’applicazione del rimedio ex lege Pinto, come sicercherà di fare in questo “itinerario”, sembra dunque uncompito di cui occorre farsi carico se si vuole provare a ve-rificare se il trattamento da essi determinato sia effettiva-mente omogeneo rispetto a quello che potrebbe essere assi-curato dal ricorso alla Corte di Strasburgo.

2. L’«irragionevole» durata del procedimentoPer l’art. 2, secondo comma, legge 24 marzo 2001, n. 89, ladurata irragionevole del procedimento deve essere accerta-ta valutando «la complessità del caso e, in relazione alla stes-sa, il comportamento delle parti e del giudice del procedi-mento, nonché di quello di ogni altra autorità chiamata aconcorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione».Mentre non si registrano significative divergenze rispetto almodello di riferimento europeo in ordine all’interpretazio-ne dei primi due parametri (7), più problematico sembral’accertamento della nozione di «procedimento» sulla qua-le valutare la condotta del giudice e delle altre autorità.In termini generali, esso dovrebbe identificarsi solo con lacontroversia instaurata avanti ad un’autorità giudiziaria econclusa con un provvedimento di carattere definitivo.Ciò sembrerebbe confermato dalla formulazione letteraledell’art. 4 legge 24 marzo 2001, n. 89, che legittima la pro-posizione del ricorso «durante la pendenza del procedimen-to nel cui ambito la violazione si assume verificata», ovve-ro «entro sei mesi dal momento in cui la decisione che con-clude il medesimo procedimento è divenuta definitiva»,con ciò lasciando intendere che eventuali fasi del procedi-mento successive all’emanazione della sentenza non po-trebbero essere valutate ai fini dell’accertamento del carat-tere irragionevole della durata (8).Dal momento che la causa si instaura solo a partire dalla da-ta di presentazione della domanda, i termini per la delimi-tazione cronologica del procedimento sembrerebbero iden-tificarsi, rispettivamente, con le date della notificazionedella citazione (o del deposito del ricorso) e della pubblica-zione della sentenza che chiude il grado di giudizio (9), fer-ma restando la possibilità di ritenere compreso nella durataanche l’eventuale procedimento di correzione ex art. 287c.p.c. (10) e l’incidente di costituzionalità (11).Occorre, però, considerare che l’utente del servizio giudi-ziario ha interesse non solo alla celere definizione del pro-cesso, ma anche e soprattutto all’ottenimento di una tuteladi carattere sostanziale, cioè all’effettiva concretizzazionedella decisione a lui favorevole.

In questa prospettiva, una limitazione del diritto all’equa ri-

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(6) Cfr. C. Asprella, Equa riparazione del danno per irragionevole durata delprocesso, in Giur. merito, 2005, 1861 s.; R. Giordano, Procedure fallimenta-ri e legge c.d. Pinto: contrasti nella determinazione degli indennizzi per l’irragio-nevole durata del processo, in Corr. merito, 2005, 763 s.

(7) Cfr. I. Iai, La durata ragionevole del procedimento nella giurisprudenza del-la Corte Europea sino al 31 ottobre 1998, in Riv. dir. proc., 1999, 549 ss.; A.Cittarello, La durata ragionevole del processo: criteri di valutazione della «ra-gionevolezza» elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ed ordinamen-to italiano, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2003, 145 ss. In giurisprudenza cfr.App. Brescia 29 giugno 2001, in questa Rivista, 2001, 959 ss., con nota diG. Ponzanelli, Prime applicazioni della legge Pinto; e in Guida al dir., n.38/2001, 21 ss.; e in Il nuovo dir., 2001, 927 ss., con nota di L. Stilo, LeggePinto e ricorso a Strasburgo: due strumenti solo in apparenza reciprocamentesostituibili; e in Foro it., 2002, I, 236 ss., con nota di M.G. Civinini, Primeapplicazioni della c.d. legge Pinto sul diritto alla ragionevole durata del processo;App. Roma 10 luglio 2001, in questa Rivista, 2001, 957, con nota di G.Ponzanelli, op. ult. cit.; e in Resp. civ. prev., 2001, 987 ss.; e in Corr. giur.,2001, 1183 ss., con nota di S. Corongiu, Prime dialettiche pronunce risarci-torie di applicazione della Legge Pinto: nascita di un faticoso “tariffario”; App.Catanzaro 30 luglio 2001, in Foro it., 2002, I, 249 ss., con nota di M.G.Civinini, op. cit.; App. Brescia 30 agosto 2001, in Guida al dir., n.43/2001, 58; App. Brescia 18 luglio 2002, ivi, n. 41/2002, 48; App. Geno-va 29 novembre 2001, in Giur. it., 2003, 275 ss., con nota di F. Longo,L’art. 2 della Legge Pinto: indennizzo o risarcimento?; e in Giur. merito, 2003,18 ss., con nota di F. Longo, Violazione della durata ragionevole del processo:natura della riparazione e danno risarcibile; Cass. 23 luglio 2003, n. 11424, inNuova giur. civ. comm., 2004, I, 291 ss., con nota di P. Comoglio, Sullacompetenza per territorio e sui criteri di valutazione dell’eccessiva durata del giu-dizio: due recenti pronunce della Corte di Cassazione in tema di equa riparazio-ne; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3783, in Foro it. Mass., 2006, 512; Cass. 11maggio 2006, n. 10894, ivi, 887.

(8) Lo rileva con chiarezza, da ultimo, Cass. 2 marzo 2005, n. 4451, in Fo-ro it., Rep. 2005, voce Diritti politici e civili, n. 227, secondo la quale «il dan-no patrimoniale indennizzabile è esclusivamente quello arrecato dal pro-lungarsi della causa oltre il termine ragionevole, non anche il danno subi-to dalla parte vittoriosa a cagione del perdurare del fatto lesivo della partesoccombente, che non è casualmente ricollegabile alla durata del proces-so e rinviene piena tutela nel rapporto tra dette parti, mediante domandache può essere fatta valere nello stesso processo o in separata sede».

(9) Cfr. Cass. 20 gennaio 2006, n. 1184, in Foro it. Mass., 2006, 487; Cass.30 maggio 2006, n. 12858, inedita, secondo la quale il concetto di «deci-sione definitiva» di cui all’art. 4 legge 24 marzo 2001, n. 89 «non può es-sere inteso come equivalente a quello di sentenza passata in giudicato, cheidentifica soltanto una species del genus della “definitività”, ma abbraccia,al contrario, qualsiasi provvedimento giurisdizionale, ancorché a conte-nuto meramente processuale, che si presenti comunque idoneo - ex se, ov-vero a seguito dell’inutile decorso dei termini per l’espletamento dei ri-medi prefigurati dall’ordinamento al fine di rimuoverlo - a porre formal-mente termine al processo, così da impedire che quest’ultimo possa con-siderarsi ancora pendente». Controversa appare invece la possibilità diincludere nella determinazione della lunghezza irragionevole anche il de-corso del termine lungo per impugnare previsto dall’art. 327 c.p.c. Favo-revole a tale inclusione si mostra Cass. 18 marzo 2005, n. 5991, in Giust.civ., 2006, I, 167 ss., con nota di F. Morozzo della Rocca, L’art. 327 c.p.c.e la ragionevole durata del processo: una singolare applicazione dell’art. 2 l. n.89 del 2001, la quale nega rilievo a tale termine solo quando sia possibileaccertare un «intento dilatorio» o una «negligente inerzia» nella parteche lo ha lasciato trascorrere. Decisamente contraria, tuttavia, Cass. 9 lu-glio 2005, n. 14477, ivi, 557 ss., con nota di F. Morozzo della Rocca, Sulladetraibilità del termine lungo per impugnare dalla (non) ragionevole durata delprocesso.

(10) Cfr. Cass. 10 gennaio 2005, n. 297, in Giur. it., 2005, 1883 ss., connota di G. Scotti, In tema di indennizzabilità del danno derivante dalla viola-zione del diritto alla ragionevole durata del processo.

(11) Cfr. Cass. 17 gennaio 2006, n. 789, in Foro it. Mass., 2006, 58.

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parazione ai soli procedimenti cognitivi non potrebbe assi-curare un’effettiva tutela delle posizioni del cittadino e,proprio per questo, un costante orientamento della Cortedi Strasburgo (12) ha esteso il diritto alla ragionevole dura-ta del processo alla fase esecutiva.La giurisprudenza italiana si è uniformata a questa soluzio-ne, riconoscendo l’applicazione del rimedio ex lege Pinto al-le procedure esecutive e di sfratto (13), nonostante non siconcludano con un provvedimento avente carattere deci-sorio, nonché alle indagini preliminari del processo penale,ancorché non sfocianti in una vera e propria fase dibatti-mentale (14).Si è isolatamente ammesso che anche l’attività delle auto-rità amministrative può essere valutata ai fini dell’accerta-mento del carattere irragionevole della durata del proces-so quando il ricorso ad esse si rivela indispensabile per l’in-staurazione o la prosecuzione delle cause avanti all’autoritàgiudiziaria (15): in particolare, si è così stabilito che l’inef-ficienza delle Conservatorie dei Registri immobiliari puòassumere importanza ai fini della determinazione del ca-rattere irragionevole della lunghezza del procedimento(16).Muovendosi in questa direzione, la sentenza del Giudice dipace di Napoli 18 gennaio 2006 (17) ha riconosciuto a fa-vore di un avvocato partenopeo un risarcimento di 500 Eu-ro per il «danno esistenziale conseguente allo stress» deri-vato dalla lunghezza irragionevole dei tempi necessari perottenere il rilascio di copie di una sentenza, quantificabiliin un anno o 6 mesi, a seconda che venissero corrisposti idiritti di urgenza.La motivazione della sentenza si limita ad osservare che l’i-nefficienza della Cancelleria è così nota a tutti da non ri-chiedere una particolare dimostrazione e che, in ogni caso,«negare il diritto dell’attore all’ottenimento del risarcimen-to del danno da stress vanificherebbe, parzialmente, glisforzi del legislatore che con la legge n. 89/2001 ha intesogarantire il diritto dei cittadini alla ragionevole durata deiprocessi».Il giudice, però, non si preoccupa di valutare se l’inefficien-za degli uffici di Cancelleria ha inciso sulla durata del pro-cesso, determinando un allungamento dei tempi necessariper la sua instaurazione o la sua prosecuzione.Per questo, la conclusione suscita perplessità, specie consi-derando che il processo risultava già concluso all’atto dellarichiesta della copia della sentenza e, comunque, l’ordina-mento prevede strumenti alternativi (come il termine an-nuale per la formazione del giudicato) che non rendono in-dispensabile l’ottenimento in tempi rapidi della copia.L’unico modo per attribuire al decisum un qualche significa-to è, quindi, quello di ipotizzare che esso intendesse tutela-

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(13) Cfr. Cass. 26 luglio 2002, n. 11046, in questa Rivista, 2002, 1114ss., con nota di G. Ponzanelli, L’«equa riparazione» del danno secondo lalegge Pinto: l’intervento della Cassazione e della Corte d’Appello di Milanosulla vicenda Saevecke; e in Guida al dir., n. 33/2002, 54 ss.; e in Giust.civ., 2003, I, 695 ss., con nota di F. Morozzo Della Rocca, L’equa ripara-zione per irragionevole durata del processo nelle prime decisioni della Cassa-zione; Cass. 20 settembre 2002, n. 13768, in Giust. civ., 2002, I, 3063ss.; e in Arch. civ., 2003, 990 ss.; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14885, in Fo-ro it., 2003, I, 837 ss., con nota di P. Gallo, Il danno da irragionevole du-rata del processo tra diritto interno e giurisprudenza europea; Cass. 5 di-cembre 2002, n. 17261, in Gius, 2003, 695 ss.; e in Arch. civ., 2003,1102 ss.; Cass. 3 settembre 2003, n. 12807, ivi, 2004, 974 ss.; e in Gius,2004, 641 ss.; Cass. 1 aprile 2004, n. 6359, in Guida al dir., n. 20/2004,68; Cass. 6 aprile 2004, n. 6775, ivi, 69 ss. Contra, limitatamente ai pro-cedimenti di sfratto, App. Perugia 16 luglio 2001, in Arch. loc., 2002,53 ss. In dottrina, cfr. E. Dalmotto, op. cit., 136 ss.; G. Tarzia, Il giustoprocesso di esecuzione, in Riv. dir. proc., 2002, 349 s.; A. Didone, La Cas-sazione, la legge Pinto e la Corte Europea dei diritti dell’uomo, cit., 207 ss.;G. La Rocca, Equa riparazione per durata irragionevole dei processi, dirittodel condominio e dei singoli condomini al risarcimento del danno, in Arch.loc., 2005, 257 ss.

(14) Cfr. Cass. 30 gennaio 2003, n. 1405, in Foro it., Rep. 2003, voce Di-ritti civili e politici, n. 151; Cass. 15 settembre 2005, n. 18266, in Resp. e ri-sarcimento, n. 9/2005, 52 ss., con nota di Della Monica, sintetizzata ancheda P. D’Ascola, in La resp. civ., 2005, 867, secondo le quali «la nozione dicausa, o di processo […] cui ha riguardo l’art. 2, primo comma, della leg-ge 24 marzo 2001, n. 89, si identifica con qualsiasi procedimento si svol-ga dinanzi agli organi pubblici di giustizia per l’affermazione o la negazio-ne di una posizione giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chiil processo promuova o subisca. Fa parte del processo pertanto anche la fa-se delle indagini che precedono il vero e proprio esercizio dell’azione pe-nale, le quali perciò, ove irragionevolmente si siano protratte nel tempo,ben possono assumere rilievo ai fini dell’equa riparazione». Similmente,per la giurisprudenza europea, Corte europea diritti dell’uomo 29 luglio2003, in Giur. it., 2004, 487 ss., con nota di A. Didone, Il nuovo processosocietario di cognizione e la Corte europea dei diritti dell’uomo. Il medesimoprincipio, però, non vale per i ricorsi amministrativi che costituisconocondizioni di procedibilità per l’inizio della controversia giudiziaria. Se-condo Cass. 7 febbraio 2006, n. 2619, in Foro it. Mass., 2006, 501, infat-ti, «nel computo della durata del processo non va considerato il terminepredeterminato dalla legge, al cui decorso il silenzio serbato dalla p.a., afronte di un’istanza del privato, è equiparato ad un provvedimento di ri-getto dell’istanza medesima, avverso il quale all’interessato è dato ricorre-re al giudice». Il principio è riaffermato da Cass. 21 febbraio 2006, n.3782, ivi, 714; Cass. 29 marzo 2006, n. 7118, ivi, 733; Cass. 28 aprile 2006,n. 9853, ivi, 829.

(15) Lo stesso, però, non avviene per le controversie di natura tributariache continuano ad essere escluse dal campo di operatività della legge Pin-to: cfr., da ultime, Cass. 27 agosto 2004, n. 17139, in Fisco, 2004, 6404 s.;Cass. 17 settembre 2004, n. 18739, in Guida al dir., n. 39/2004, 56 ss.; en-trambe le sentenze sono altresì pubblicate in Dir. & Giust., n. 36/2004, 26ss., con nota di Triassi e massimate in Resp. civ. prev., 2005, 118 ss., connota di M. Poto, La legge Pinto e le «zone franche»: quando la ragionevolez-za cede il passo alla potestà pubblica.

(16) Cfr. Cass. 4 aprile 2003, n. 5265, in Giust. civ., 2003, I, 892 ss. In sen-so contrario, però, App. Milano 29 giugno 2001, in questa Rivista, 2001,963 ss., con nota di G. Ponzanelli, Prime applicazioni della legge Pinto, cit.;e in Corr. giur., 2001, 1190 ss., con nota di S. Corongiu, Prime dialettichepronunce risarcitorie di applicazione della Legge Pinto: nascita di un faticoso“tariffario”, cit.; e in Guida al dir., n. 29/2001, 30; e in Giur. it., 2002, 2084ss., con nota di A. Ronco, Due profili della legge 24 marzo 2001, n. 89: lasomma algebrica tra lentezza e rapidità di fasi distinte dello stesso processo e l’in-dennizzabilità dei ritardi degli organi non appartenenti all’amministrazione dellagiustizia, la quale ha negato il risarcimento per il ritardo nell’iscrizione diun’ipoteca giudiziale connesso all’inefficienza dell’ufficio delle Conserva-torie, osservando che essi non rientrano «tra le “autorità” considerate dal-la legge, non essendo un organo amministrativo chiamato a “concorrereo contribuire”, né istituzionalmente, né nel caso specifico, alla definizio-ne del procedimento d’esecuzione».

(17) Inedita.

Note:

(12) Cfr. ex plurimis Corte europea diritti dell’uomo 28 settembre 1995, inForo it., 1996, IV, 113 ss., con nota di D. Piombo; e in Giust. civ., 1996, I,3 ss., con nota di N. Izzo, L’esecuzione degli sfratti e la violazione dei Diritti del-l’uomo; Corte Europea diritti dell’uomo 28 luglio 1999, in Corr. giur.,1999, 1347.

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re il diritto non alla ragionevole durata del processo, ma,piuttosto, all’efficiente amministrazione della giustizia, at-traverso un procedimento analogico, in forza del quale,muovendo dalla legge n. 89/2001, è stato riconosciuto il di-ritto alla riparazione per l’inefficienza di ogni attività am-ministrativa che, pur non assumendo rilievo ai fini delladeterminazione della durata del processo, possa essere co-munque considerata giudizialmente rilevante.Un siffatto esito interpretativo, però, avrebbe meritato unapiù approfondita valutazione, specie in ordine alla legitti-mazione attiva dell’avvocato: particolarmente discutibile,infatti, è il richiamo al carattere «esistenziale» del danno daquesti lamentato, dal momento che tale nozione viene uti-lizzata da parte della dottrina (18) e della giurisprudenza(19) per identificare il pregiudizio, diverso dal danno mora-le soggettivo, «che la parte ha subito per la diminuzionedella qualità della sua vita dovuta alle incertezze e ai pate-mi d’animo che è stata costretta irragionevolmente a sop-portare prima che il suo torto o la sua ragione venisse defi-nitivamente accertato» (20).Anche ammettendo la validità teorico-concettuale di sif-fatta voce di danno (21), essa sembrerebbe difficilmenteadattabile alla fattispecie, perché ricollega lo stress alla du-rata irragionevole della controversia e, proprio per questo,presuppone l’esistenza di un interesse della parte danneg-giata alla sua celere definizione, sicché tutt’al più dovrebbeessere il cliente, in quanto interessato ad una rapida con-cretizzazione della pronuncia a lui favorevole, a lamentarsidell’inefficienza della Cancelleria.

3. Il danno patrimonialeAnche con riferimento alla tipologia del danno patrimo-niale si registra una sostanziale continuità tra la giurispru-denza italiana e quella europea, le quali ammettono il risar-cimento solo in presenza di un pregiudizio causalmente ri-conducibile alla durata della controversia e non identifica-bile con la causa petendi della controversia stessa (22).La giurisprudenza ha mostrato particolare rigidità in meritoal problema della risarcibilità delle spese processuali dellecause iniziate, prima dell’entrata in vigore della legge Pin-to, davanti alla Corte di Strasburgo.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061064

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

nota di P. Ziviz, Legge Pinto e danno esistenziale, cit.; e in Giur. it., 2003, 21ss., con nota di A. Didone, Danno da irragionevole durata di processo penaleper reato prescritto; Cass. 14 gennaio 2003, n. 362, in questa Rivista, 2003,601 ss., con nota di A. Venturelli, La Cassazione di nuovo sulla legge Pinto:un’occasione perduta; e in Corr. giur., 2003, 331 ss., con nota di A. Dido-ne, Il danno “esistenziale” da irragionevole durata del processo tra Cassazionee Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., la quale, però, non utilizza mai que-sta espressione, pur ammettendo il risarcimento del danno «derivantedalla situazione soggettiva di disagio»; App. L’Aquila 28 ottobre 2003,massimata in Giur. merito, 2004, 60.

(20) Così A. Didone, op. ult. cit., 335. Una definizione simile, ancorchécon riferimento al danno da demansionamento professionale, è stata for-nita, recentemente, da Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, in questaRivista, 2006, 852 ss., con nota di F. Malzani, Il danno da demansionamentoprofessionale e le Sezioni Unite; e in Dir. & Giust., n. 17/2006, 12 ss., con no-te di M. Cimaglia e G. Meucci; e in Corr. giur., 2006, 787 ss., con nota diP.G. Monateri, Sezioni Unite: le nuove regole in tema di danno esistenziale e ilfuturo della responsabilità civile; e in Resp. civ. prev., 2006, 1041 ss., con notedi M. Bertoncini, Demansionamento ed onere della prova dei danni conse-guenti; e di F. Bilotta, Attraverso il danno esistenziale, oltre il danno esistenzia-le; e in corso di pubblicazione in Foro it., 2006, I, con nota di G. Ponzanel-li, La prova del danno non patrimoniale e i confini tra danno esistenziale e dan-no non patrimoniale, secondo la quale «per danno esistenziale si intendeogni pregiudizio che l’illecito datoriale provoca sul fare areddituale del sog-getto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli eranopropri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per laespressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno».

(21) Giova infatti ricordare che la figura del danno esistenziale è stata ela-borata per superare la rigida delimitazione posta dall’art. 2059 c.c., che, seinterpretato letteralmente, impedirebbe di reputare risarcibili i danni con-nessi alla diminuzione della qualità della vita, quando non accompagnatidalla commissione di un reato, mentre risulta del tutto inutile in un sistema(come quello in esame) che già ammette illimitatamente il risarcimento ditutti i pregiudizi a-reddituali connessi allo svolgimento dell’attività giudizia-ria. Di ciò sembra essersi accorta anche la giurisprudenza più recente: cfr.Cass. 4 ottobre 2005, n. 19354, in Dir. & Giust., n. 46/2005, 21 ss., con no-ta di G. Di Marzio; e in Fam. dir., 2006, 167 ss., con nota di A. Negro, L’ec-cessiva durata del procedimento di divorzio: quale danno?, la quale riconosceespressamente che, nel sistema ex lege Pinto, «il pregiudizio esistenziale co-stituisce una voce del danno non patrimoniale, non un autonomo titolo didanno»; nonché, da ultime, Trib. Venezia 11 luglio 2005,in questa Rivista,2006, 1005 ss., con nota di G. Pedrazzi, Il “nuovo” danno biologico allo spec-chio del “vecchio” danno esistenziale; Cass. 12 giugno 2006, n. 13546, ivi 843ss., con nota di G. Ponzanelli, Il danno esistenziale e la Corte di Cassazione,che riconduce il danno esistenziale alla categoria del danno non patrimo-niale. In dottrina cfr. G. Ponzanelli, Una voce contraria alla risarcibilità deldanno esistenziale, in questa Rivista, 2002, 341; Id., Prova del danno non patri-moniale ed irrilevanza del danno esistenziale, cit., 272; Id., La «forza» del siste-ma bipolare, in Critica del danno esistenziale, a cura di G. Ponzanelli, Padova,2003, 13; G. Pedrazzi, Il danno esistenziale, in La responsabilità civile. Tredicivariazioni sul tema, a cura di G. Ponzanelli, Padova, 2002, 58 s.; Id., La nuo-va stagione del danno non patrimoniale oltre le duplicazioni risarcitorie, in questaRivista, 2002, 998 s.; Id., «Lifting the veil»: il disvelamento del danno esistenzia-le, in Critica del danno esistenziale, cit., 58 s.; C. Comai, Processo legislativo egiurisprudenza europea, ivi, 108 s.; V. Barela, Il diritto ad un giusto processo: re-sponsabilità e profili riparatori, in Nuova giur. civ. comm., 2003, II, 153 s.

(22) Cfr. App. Potenza 15 ottobre 2001, in Foro it., 2002, I, 232 ss., connota di M.G. Civinini, op. cit.; e in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 416 ss., connota di D. Amadei, Ambiguità e prospettive nell’applicazione della legge 24marzo 2001, n. 89 sull’equa riparazione per la durata irragionevole del proces-so; Cass. 9 gennaio 2004, n. 119, in Foro it., Rep. 2004, voce Diritti politicie civili, n. 3; nonché, da ultimo, Cass. 26 aprile 2005, n. 8603, ivi, 2005,voce Diritti politici e civili, n. 155, secondo la quale «nel novero del dannopatrimoniale da violazione del termine di durata ragionevole del processonon rientrano le poste che costituiscono oggetto del giudizio, pendente oconcluso, protrattosi eccessivamente. Infatti il danno patrimoniale puòessere ricollegato al ritardo nella definizione del processo solo se sia l’ef-fetto immediato di tale ritardo e a condizione che vi si riconnetta sulla ba-se di una normale sequenza causale, restando a carico della parte che agi-sce per il suo riconoscimento l’onere di dimostrare rigorosamente il pre-giudizio (patrimoniale) lamentato».

Note:

(18) Cfr. S. Chiarloni, Danno esistenziale e attività giudiziaria, in Riv. trim.dir. proc. civ., 2001, 759 ss.; P. Ziviz, I «nuovi danni» verso la Cassazione, inResp. civ. prev., 2001, 1207; Id., Legge Pinto e danno esistenziale, in Resp.civ. prev., 2003, 87 ss.; A. Didone, Equa riparazione e ragionevole durata delgiusto processo, cit., 59; Id., Il danno “esistenziale” da irragionevole durata delprocesso tra Cassazione e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corr. giur.,2003, 333 ss.; E. Dalmotto, op. cit., 87 ss.; G. Colonna, La liquidazione deldanno nella legge Pinto, in Giur. it., 2003, 200 s.; F. Longo, L’art. 2 della leg-ge Pinto: indennizzo o risarcimento?, cit., 277.

(19) Cfr. App. L’Aquila 23 luglio 2001, in Giur. merito, 2001, 974; e inCorr. giur., 2001, 1185 ss., con nota di S. Corongiu, op. ult. cit.; e in Giu-st. civ., 2001, I, 2781 ss.; App. Firenze 25 gennaio 2002, ivi, 2002, I, 2284ss.; Cass. 5 novembre 2002, n. 15449, in questa Rivista, 2003, 266 ss., connota di G. Ponzanelli, Prova del danno non patrimoniale ed irrilevanza deldanno esistenziale; e in Dir. & Giust., n. 41/2002, 22; e in Guida al dir., n.45/2002, 56; e in Il Fisco, 2003, 96; e in Resp. civ. prev., 2003, 81 ss., con

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A tale proposito, giova ricordare che l’art. 6 legge 24 marzo2001, n. 89 consente a coloro che, prima dell’entrata in vi-gore della legge stessa, abbiano presentato domanda di ri-parazione alla Corte europea di sospendere il relativo giudi-zio, riassumendolo davanti al giudice italiano, «qualoranon sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità da par-te della predetta Corte europea».Dal momento che l’accoglimento del ricorso presentato algiudice di Strasburgo comportava la condanna dello Statoitaliano al pagamento delle relative spese processuali, si èposto il problema di verificare se esse potessero essere con-siderate danno patrimoniale risarcibile ex lege Pinto.Sul punto, è intervenuta, da ultima, Cass., sez. un., 23 di-cembre 2005, n. 28508 (23), la quale, conformandosi alcostante orientamento giurisprudenziale (24), ritiene che«in mancanza di un’espressa previsione di diritto inter-temporale che disciplini le spese di un ricorso divenuto ir-ricevibile per effetto della sopravvenuta introduzione diun mezzo di tutela dinanzi al giudice nazionale, l’esigenzadi assicurare un’effettiva protezione alla parte pregiudicatada un processo di eccessiva durata non costituisce ragionesufficiente per estendere l’equo indennizzo dei danni patri-moniali sino a comprendere in tale categoria anche gliesborsi sostenuti per il ricorso dinanzi alla Corte di Stra-sburgo».La soluzione è motivata dal fatto che il danno patrimonia-le ex lege Pinto è solo quello causalmente connesso all’irra-gionevole durata del processo e non può comprendere altripregiudizi determinati dall’attivazione dei mezzi di tutela ri-conosciuti dall’ordinamento.La conclusione non sarebbe smentita neppure consideran-do che la tutela giurisdizionale assicurata in Italia deve es-sere identica a quella riconosciuta a Strasburgo: tale princi-pio, infatti, opererebbe solo con riferimento all’indennizzoottenibile per la lesione del diritto alla ragionevole duratadel processo e non potrebbe essere invocato allorché, comenel caso di specie, le spese da rimborsare trovino la loro uni-ca causa nel concorso di rimedi giurisdizionali invocati dalricorrente e, segnatamente, nella sua decisione di procede-re, una volta presentata domanda avanti al giudice euro-peo, all’attivazione del rimedio interno.Le ragioni che hanno determinato la scelta del ricorrenteinducono, però, ad avanzare alcune perplessità in ordine al-l’esattezza della soluzione giurisprudenziale.Le Sezioni Unite, infatti, non considerano con la dovutaattenzione che la parte è stata indotta ad abbandonare lacausa già instaurata a Strasburgo dal timore che, in virtùdella sopravvenuta entrata in vigore della legge Pinto, il ri-corso fosse dichiarato inammissibile perché presentato sen-za aver esaurito le vie di tutela riconosciute dall’ordina-mento interno: siffatto timore era, del resto, ampiamentegiustificato dalla stessa evoluzione giurisprudenziale euro-pea (25), che, secondo quanto già osservato, contravve-nendo al principio generale secondo cui tempus regit actum,ha affermato che i ricorsi provenienti dall’Italia possono es-sere dichiarati ricevibili solo se sia stata presentata doman-da ex lege Pinto, a nulla rilevando che il procedimento da-

vanti al giudice europeo sia stato instaurato prima dell’en-trata in vigore della normativa nazionale.Il diritto concesso al ricorrente dal citato art. 6 ha così as-sunto i contorni di un vero e proprio onere, il cui adempi-mento rappresenta condizione necessaria per assicurarsiuna tutela effettiva (26).In questa prospettiva, l’indennizzo delle spese processualideterminate dal procedimento europeo potrebbe essere ot-tenuto richiamando soltanto il principio della soccomben-za che, nell’ordinamento interno, individua il soggetto ob-bligato all’esborso in colui che, dal punto di vista sostanzia-le, ha perso la causa, prescindendo dall’accertamento del-l’illiceità della sua condotta.Non occorrerebbe, in altri termini, identificare tale pregiu-dizio con il danno patrimoniale connesso all’irragionevoledurata del processo, ma sembrerebbe sufficiente riconside-rare le spese processuali in un’ottica unitaria, comprensivaanche di quelle sostenute nella prima fase della procedura enon liquidate dal giudice europeo in virtù della sopravve-nuta entrata in vigore della disciplina interna.Le Sezioni Unite rifiutano tale soluzione sottolineando ladifferente natura dei due procedimenti, per i quali valgonodiverse norme, tanto che solo davanti alle Corti d’appelloitaliane l’assistenza legale è obbligatoria, mentre il ricorsopresentato a Strasburgo può anche essere redatto personal-mente dalla parte e spedito per posta.L’osservazione, senza dubbio esatta, sembrerebbe, però, ido-nea solo ad escludere, ai fini della determinazione del rim-borso, tutte quelle spese solitamente sostenute avanti ad ungiudice italiano, ma assenti nella fattispecie esaminata: ladifferente natura dei procedimenti confermerebbe soltantoche il rimborso in esame comprende voci diverse da quelleordinariamente valutate da un giudice italiano (27).

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1065

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(23) In questa Rivista, 2006, 747 ss., con nota di A. Venturelli, Le SezioniUnite e l’equa riparazione per la lunghezza dei processi.

(24) Cfr. Cass. 20 dicembre 2002, n. 18139, in Arch. civ., 2003, 1372;Cass. 3 gennaio 2003, n. 4, ivi, 1260; e in Giur. Boll. legisl. tecnica, 2003,479; Cass. 17 aprile 2003, n. 6163, in Guida al dir., n. 26/2003, 51; e inGius, 2003, 1970; e in Arch. civ., 2004, 286; Cass. 9 gennaio 2004, n. 123,in Guida al dir., n. 8/2004, 55; e in Arch. civ., 2004, 1348; e in Gius, 2004,2362; Cass. 5 marzo 2004, n. 4508, in Giur. it., Rep. 2004, voce Danni inmateria civile e penale, n. 24; Cass. 5 marzo 2004, n. 4512, ivi, n. 25; Cass.11 giugno 2004, n. 11086, in Guida al dir., n. 29/2004, 66; Cass. 9 luglio2004, n. 12664, ivi, n. 39/2004, 65; Cass. 5 agosto 2004, n. 15106, in Ar-ch. loc., 2005, 42; Cass. 21 gennaio 2005, n. 1334, in Guida al dir., n.7/2005, 49.

(25) Cfr. Corte europea diritti dell’uomo 6 settembre 2001, cit.

(26) Cfr. C. Consolo, op. cit., 570; R. Martino, op. cit., 1090, testo e note58 e 59; A. Didone, Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo,cit., 64 s.; D. Amadei, Note critiche sul procedimento per l’equa riparazione deidanni da durata irragionevole del processo, cit., 42; G. Romano, D.A. Parrot-ta ed E. Lizza, op. cit., 20 s.; P.L. Nela, L’art. 6 della legge Pinto: una normaprovvisoria preposta al definitivo coordinamento fra tutela sopranazionale e tute-la nazionale, in Misure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole duratadei processi, cit., 384 s.; M. Giorgetti, L’equa riparazione per la durata irragio-nevole del processo, Bergamo, 2003, 63 ss.; F. Petrolati, op. cit., 176.

(27) Sottolineano la criticabile diversità delle spese processuali tra i dueprocedimenti R. Martino, op. cit., 1083; D. Amadei, op. ult. cit., 35 s.

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Quanto, invece, alla diversità di organi giurisdizionali, laseparazione strutturale prospettata dal Supremo Collegiomal si concilia con le caratteristiche del giudizio ex art. 6,nel quale la tempestiva attivazione del procedimento in-nanzi al giudice europeo costituisce una condizione di pro-cedibilità, un presupposto processuale necessario per la cor-retta instaurazione della causa interna (28).A tale proposito, le Sezioni Unite si limitano a sottolinea-re che «la domanda di indennizzo proposta dinanzi al giu-dice nazionale non è strutturata come una prosecuzione diquella pendente dinanzi alla Corte di Strasburgo, ma costi-tuisce l’atto iniziale di un giudizio il cui esaurimento costi-tuisce condizione di ricevibilità della domanda che potràessere proposta alla Corte di Strasburgo nel caso in cui laparte non abbia ricevuto un indennizzo adeguato» (29).In realtà, il ricorso già presentato alla Corte europea svolgeun ruolo del tutto prioritario perché la validità dell’atto ini-ziale del procedimento instaurato in Italia è subordinataproprio all’indicazione della data di presentazione di tale ri-corso, la quale incide anche sui relativi termini di proposi-zione (30).La soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, inoltre, deter-mina un trattamento ingiustamente diverso rispetto a quel-lo assicurato a tutti gli altri ricorrenti ex lege Pinto, i qualipossono ricevere un integrale rimborso delle spese proces-suali; la piena applicazione del principio della soccomben-za sarebbe preclusa solo a coloro che sono stati costretti, acausa di un elemento imprevedibile nel momento in cuihanno attivato la procedura innanzi al giudice europeo, adadire anche quello italiano.Del rischio di una siffatta disparità di trattamento si accor-gono, peraltro, le stesse Sezioni Unite, le quali auspicanol’intervento di una «espressa previsione di diritto intertem-porale che disciplini le spese di un ricorso divenuto irrice-vibile per effetto della sopravvenuta introduzione di unmezzo di tutela dinanzi al giudice nazionale» (31).Forse una più ragionata applicazione della regola proces-suale della soccombenza avrebbe consentito alla Cassazio-ne di escludere la necessità di tale intervento.

4. La prova del danno non patrimonialeCon riferimento al pregiudizio non patrimoniale, invece,l’esigenza di garantire l’allineamento alla posizione europeaha determinato un articolato contrasto giurisprudenziale,che lascia a tutt’oggi aperte molteplici questioni problema-tiche (32).In particolare, subito dopo l’entrata in vigore della leggePinto, proprio richiamando le pronunce della Corte diStrasburgo (33), parte della giurisprudenza di merito (34) edella dottrina (35) aveva aderito alla tesi del c.d. dannonon patrimoniale in re ipsa, identificando, di fatto, tale for-ma di danno nella stessa violazione del diritto alla ragione-vole durata e, pertanto, non richiedendo una sua allegazio-ne o prova, ma ritenendolo risarcibile sempre e comunqueuna volta accertato l’irragionevole allungamento dei tempiprocessuali.Fino alla fine del 2003, però, la prima sezione della Cassa-

zione (36) aveva sempre rigettato tale prospettazione, os-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061066

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Note:

(28) Cfr. C. De Rose, Equa riparazione per i processi troppo lunghi: la legge 24marzo 2001, n. 89 e la sua derivazione europea, in Cons. Stato, 2001, II, 463.

(29) Così Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28508, cit.

(30) In questo caso, infatti, non opera la regola generale disposta dall’art.4 legge 24 marzo 2001, n. 89, ai sensi del quale il ricorso deve essere pre-sentato entro sei mesi dalla data in cui è divenuta definitiva la decisionesul procedimento avente durata irragionevole, ma la domanda deve esse-re formulata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge Pin-to, termine peraltro prorogato al 18 aprile 2002 dal decreto legge 12 otto-bre 2001, n. 370, convertito nella legge 14 dicembre 2001, n. 432.

(31) Così Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28508, cit.

(32) Per una sintesi del problema sia consentito il rinvio ad A. Venturel-li, Danno non patrimoniale per irragionevole durata del processo, in Il “nuovo”danno non patrimoniale, a cura di G. Ponzanelli, Padova, 2004, 244 ss.

(33) Cfr. ex plurimis Corte Europea diritti uomo 26 ottobre 1988, in Foroit., 1989, IV, 380 ss.; Corte Europea diritti uomo 24 maggio 1991, in Riv.it. dir. lav., 1991, II, 714; Corte Europea diritti uomo 28 settembre 1995,cit.; Corte Europea diritti uomo 23 aprile 1998, in Foro it., 1999, IV, 1 ss.;Corte europea diritti uomo, 12 febbraio 2002, inedita; Corte europea di-ritti uomo 28 marzo 2002, inedita; Corte europea diritti uomo 31 luglio2003, inedita; per un orientamento generale in merito al problema cfr. M.Gestri, Risarcimento del danno per violazioni della convenzione europea nellagiurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo, in Foro it., 1987, IV, 1 ss.; M.Macchiaroli, Danni morali e persone giuridiche: orientamenti della Corte eu-ropea dei diritti dell’uomo, in Doc. giust., 2000, 224 ss.; C. De Rose, op. cit.,455 s.

(34) Cfr. App. Torino 25 giugno 2001, in Guida al dir., n. 41/2001, 19;App. Roma 26 giugno 2001, inedito; App. L’Aquila 23 luglio 2001, cit.;App. Catania, 10 agosto 2001, in Guida al dir., n. 41/2001, 35; App. Ge-nova 28 agosto 2001, ivi, n. 47/2001, 64; App. Roma 21 settembre 2001,inedito; App. Genova 13 novembre 2001, in Nuova giur. ligure, 2002, 9ss.; e in Giur. merito, 2002, 342; App. Genova 29 novembre 2001, cit.;App. Milano 9 gennaio 2002, inedito; App. Firenze 25 gennaio 2002, inGiust. civ., 2002, I, 2284 ss.

(35) Cfr. F. Plotino, Quando le incertezze normative fanno oscillare i criteri in-terpretativi, in Guida al dir., n. 41/2001, 18; S. De Paola, Ingiustificato il ri-chiamo della legge alle regole sul risarcimento del danno, ivi, 33; F. Sorrentino,Alcune riflessioni sul diritto all’equa riparazione per il mancato rispetto del ter-mine ragionevole del processo, in Il Fisco, 2001, 11322; I. Peila, Brevi note inmerito alla legge 24 marzo 2001, n. 89 in tema di equa riparazione in caso diviolazione del termine ragionevole del processo, in Resp. civ. prev., 2001, 1069;E. Dalmotto, op. cit., 197; S. Izar, Prime applicazioni giurisprudenziali dellalegge n. 89/2001 (c.d. legge Pinto) sulla responsabilità dello Stato per violazio-ne del termine ragionevole del processo, in Resp. civ. prev., 2002, 974 s.; A.Didone, Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo, cit., 59; M.Poto, Prime pronunce della Corte di Cassazione sulla violazione del principiodella ragionevole durata del processo, in Resp. civ. prev., 2003, 358; U. Vin-centi, L’equa riparazione del danno non patrimoniale per l’eccessiva durata diun processo, in Dir. reg., 2004, 289 ss.

(36) Cfr. Cass. 2 agosto 2002, n. 11592, in Guida al dir., n. 38/2002, 46;Cass. 2 agosto 2002, n. 11600, in Foro it., 2003, I, 851 ss., con nota di P.Gallo, op. cit.; Cass. 8 agosto 2002, n. 11987, ivi, 848; e in Giur. it., 2002,2039 ss., con nota di A. Didone, La Cassazione e l’equa riparazione per irra-gionevole durata del processo; e in Giust. civ., 2002, I, 2393; e in Riv. dir. int.,2002, 1105; e in Dir. & Giust., n. 32/2002, 18; e in Resp. civ. prev., 2003,355; e in Riv. dir. proc., 2004, 625 ss., con nota di E. Benigni, Il diritto al-l’equa riparazione nel «giusto» processo italiano; Cass. 13 settembre 2002, n.13422, in Foro it., Rep. 2002, voce Diritti politici e civili, n. 172; Cass. 5 no-vembre 2002, n. 15443, in Giust. civ. Mass., 2002, 1095; Cass. 5 novem-bre 2002, n. 15449, cit.; Cass. 7 novembre 2002, n. 15607, in Giust. civ.,2003, I, 1270 s.; Cass. 28 novembre 2002, n. 16879, in Giust. civ. Mass.,2002, 1100; Cass. 3 gennaio 2003, n. 10, in Nuova giur. civ. comm., 2003,I, 605 ss., con nota di D. Chindemi, La prova del danno non patrimoniale da

(segue)

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servando che il danno non patrimoniale deve essere valu-tato come un elemento ulteriore e distinto rispetto a tale vio-lazione e, analogamente a quello patrimoniale, deve forma-re oggetto di rigorosa allegazione e prova.Essa aveva riconosciuto soltanto che, in considerazionedell’oggettiva difficoltà dell’assolvimento di siffatto onere,era consentito il ricorso a presunzioni, a massime d’espe-rienza e, in generale, a ragionamenti inferenziali fondatisulla conoscenza degli effetti che la pendenza di un proces-so provoca nell’uomo medio.Sul punto, però, intervennero quattro pronunce della Cas-sazione a sezioni unite (Cass., sez. un., 26 gennaio 2004,nn. 1338-1341 (37)) che, proprio muovendo dalla rile-vanza costituzionale del diritto alla ragionevole durata delprocesso (38) e, soprattutto, dalla necessità di garantire unapiena uniformità delle decisioni alla giurisprudenza euro-pea, stabilirono che il danno non patrimoniale ex lege Pin-to sussiste ogni volta che, accertata la durata irragionevoledel procedimento, non ricorrano nel caso concreto circo-stanze particolari che facciano escludere che tale danno siastato subito dal ricorrente.Conseguentemente, esso non deve formare specifico ogget-to di prova, ma basterà dimostrare l’irragionevole duratadel processo per ottenerne il risarcimento, salvo che nonsia accertato il conseguimento di un vantaggio per effettodel prolungamento della controversia.La soluzione, pacificamente reiterata dalla produzione giu-risprudenziale successiva (39), assume un connotato deci-samente compromissorio, perché pretende di superare sia laposizione precedentemente espressa dalla prima sezionedella Cassazione, sia la tesi del c.d. danno in re ipsa, dal mo-mento che ritiene possibile, sia pure in casi eccezionali, ne-gare il risarcimento del danno non patrimoniale, quando ilprolungamento irragionevole dei tempi processuali arrechiun vantaggio alla parte ricorrente.Le Sezioni Unite, a tale proposito, richiamano il caso di unlocatario che, durante il giudizio, continui a detenere l’im-mobile locato, beneficiando delle relative utilità, ma l’e-sempio non appare pienamente convincente, dal momen-to che potrebbe indurre a confondere il piano dell’equa ri-parazione con quello della sussistenza, nel merito, del dirit-to fatto valere nel procedimento a quo. Si potrebbe, piutto-sto, pensare al caso in cui, nelle more del procedimento, in-tervenga la prescrizione del reato (40), ovvero entri in vi-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1067

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

(37) In questa Rivista, 2004, 499 ss., con nota di A. Venturelli, Legge Pin-to: per le Sezioni Unite la prova del danno non patrimoniale è in re ipsa; e inForo it., 2004, I, 693 ss., con nota di P. Gallo; e in Giur. it., 2004, 944 ss.,con note di A. Didone, La Cassazione, la legge Pinto e la Corte europea deidiritti dell’uomo: sepolti i contrasti; e di M. Fasciglione, Verso un allineamen-to della Suprema Corte alle posizioni della Corte di Strasburgo in tema di dura-ta ragionevole del processo, ivi, 1147 ss.; e in Corr. giur., 2004, 609 ss., connota di R. Conti, CEDU e diritto interno: le Sezioni Unite si avvicinano aStrasburgo sull’irragionevole durata dei processi; e in Giust. civ., 2004, I, 910ss., con nota di F. Morozzo della Rocca, Durata irragionevole del processo epresunzione di danno non patrimoniale; e in Guida al dir., n. 6/2004, 16 ss.,con nota di E. Sacchettini, Un’attività di difficile realizzazione pratica chemette a repentaglio le casse dello Stato; e in Dir. & Giust., n. 15/2004, 12 ss.,con nota di G. De Stefano, È finita la guerra delle Corti: la Cassazione si ade-gua alla CEDU.

(38) Cfr. Corte cost. 11 dicembre 1998, n. 399, in Giur. cost., 1998, 3454;e in Giur. it., 1999, 1021; e in Giust. pen., 1999, I, 133; Corte Cost. 22 ot-tobre 1999, n. 388, in Foro it., 2000, I, 1072 s.; e in Giust. civ., 2000, I, 12;e in Giur. it., 2000, 1127; Corte cost. 25 luglio 2001, n. 305, in Giust. civ.,2001, I, 2603 ss.; Corte cost. 21 marzo 2002, n. 78, ivi, 2002, I, 1165; e inForo it., 2002, I, 1611; e in Giur. cost., 2002, 720; e in Giur. it., 2002,2034, tutte richiamate da Cass. sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1338, cit.;nonché, in dottrina, A. Didone, Appunti sulla ragionevole durata del pro-cesso, in Giur. it., 2000, 871; Id., Equa riparazione e ragionevole durata delgiusto processo, cit., 20; C. De Rose, op. cit., 457; R. Martino, op. cit., 1077,testo e nota 22; G. Mammone, La legge sull’equa riparazione per violazionedel diritto alla ragionevole durata del processo, in Giust. civ., 2002, II, 396; S.Izar, op. cit., 968; D. Amadei, op. ult. cit., 30; V. Barela, op. cit., 139. Piùin generale, sui rapporti fra giusto processo e legge Pinto cfr. G. Verde,Giustizia e garanzie nella giurisdizione civile, in Riv. dir. proc., 2000, 312; S.Chiarloni, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo civile, ivi, 1032 ss.; A. ProtoPisani, Il nuovo art. 111 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it., 2000, V,241 ss.; U. Olivieri, La «ragionevole durata» del processo di cognizione (qual-che considerazione sull’art. 111, secondo comma, Cost.), ivi, 251 ss.; G. Tar-zia, L’art. 111 Cost. e le garanzie europee del processo civile, in Riv. dir. proc.,2001, 1 ss.; Id., Il giusto processo di esecuzione, cit., 348 s.; N. Trocker, Il nuo-vo art. 111 Cost. e il «giusto processo» in materia civile: profili generali, in Riv.trim. dir. proc. civ., 2001, 381 ss.; L.P. Comoglio, Le garanzie fondamentalidel «giusto processo», in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, 28 ss.; R.G. Aloi-sio, Dell’irragionevole durata del processo ovvero dell’astuzia del legislatore, inRiv. dir. priv., 2002, 477 s.; M. Chiavario, Giustizia penale, Carta dei dirittie Corte europea dei diritti umani, in Riv. dir. proc., 2002, 21 ss.; F. Cipriani,I problemi del processo di cognizione tra passato e presente, in Riv. dir. civ.,2003, I, 64 s.; G. Scarselli, La ragionevole durata del processo civile, in Foroit., 2003, V, 126 ss.; A. Dondi, Spunti di raffronto comparatistico in tema diabuso del processo (a margine della legge 24 marzo 2001, n. 89), in Nuovagiur. civ. comm., 2003, II, 62 ss.; G. Vignera, Le garanzie costituzionali delprocesso civile alla luce del «nuovo» art. 111 Cost., in Riv. trim. dir. proc. civ.,2003, 1224 ss.

(39) Cfr. Cass. 11 maggio 2004, n. 8896, in Guida al dir., n. 21/2004, 84ss., con nota di R. Filoia, Il patema d’animo è una conseguenza normale del-la durata irragionevole del processo; App. Bari 9 luglio 2004, in Foro it.,2005, I, 200 ss.; Cass. 18 marzo 2005, n. 5991, cit.; Cass. 30 marzo 2005,n. 6714, in Giur. it., 2005, 1721 ss.; e in Dir. e giust., n. 17/2005, 21 ss., connota di A. Didone; e in Giust. civ., 2006, I, 908, con nota di F. Morozzodella Rocca, Violazione del termine ragionevole del processo: il danno non pa-trimoniale e gli oneri di allegazione della parte; Cass. 5 aprile 2005, n. 7088, inForo it., Rep. 2005, voce Diritti politici e civili, n. 258; Cass. 23 aprile 2005,n. 8568, in Giust. civ., 2006, I, 906 ss., con nota di F. Morozzo della Roc-ca, op. ult. cit.; Cass. 3 ottobre 2005, n. 19288, ivi, n. 257; Cass. 28 otto-bre 2005, n. 21094, ivi, n. 269; Cass. 11 novembre 2005, n. 21857, ivi, n.257; Cass. 9 febbraio 2006, n. 2876, in Foro it. Mass., 2006, 502; Cass. 11marzo 2006, n. 5386, ivi, 724; Cass. 16 marzo 2006, n. 5820, ivi, 727; Cass.28 marzo 2006, nn. 6998 e 6999, ivi, 731 s.; Cass. 21 aprile 2006, n. 9411,ivi, 811; Cass. 30 maggio 2006, n. 12858, cit.

(40) A tale proposito, la giurisprudenza (cfr. Cass. 5 novembre 2002, n.15443, cit.; Cass. 5 novembre 2002, n. 15449, cit.; Cass. 21 marzo 2003,n. 4138, in Foro it., Rep. 2003, voce Diritti politici e civili, n. 246; Cass. 24ottobre 2003, n. 16039, ivi, n. 250, e, con specifico riferimento al giudizioamministrativo, Cass. 7 marzo 2003, n. 3410, in Giust. civ., 2003, I, 905

(segue)

Note:

(segue nota 36)

irragionevole durata del processo; Cass. 13 febbraio 2003, n. 2130, in Foro it.,2003, I, 2400 ss.; Cass. 19 febbraio 2003, n. 2478, in Giust. civ., 2003, I,898 s.; Cass. 6 marzo 2003, n. 3153, ivi, 897 s.; Cass. 3 aprile 2003, n.5110, ivi, 893; Cass. 3 aprile 2003, n. 5131, in Foro it., Rep. 2003, voce Di-ritti politici e civili, n. 203; Cass. 17 aprile 2003, n. 6168, in Giust. civ., 2003,I, 2369 ss.; Cass. 19 giugno 2003, n. 9812, in Foro it., Rep. 2003, voce Di-ritti politici e civili, n. 172; Cass. 17 luglio 2003, n. 11721, inedita; Cass. 5settembre 2003, n. 12935, in Giur. it., 2004, 1853 ss., con nota di F. Vi-telli, La prova del danno non patrimoniale da violazione del termine di durataragionevole del processo; Cass. 10 settembre 2003, n. 13211, in Foro it., Rep.2003, voce Diritti politici e civili, n. 215; Cass. 5 novembre 2003, n. 16600,ivi, n. 285.

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gore una legge più favorevole alla parte ricorrente (41), ocomunque questa, nella piena consapevolezza dell’infonda-tezza del suo diritto, non si opponga all’allungamento deitempi processuali, pure determinato dal concorso di altrecause.Proprio di quest’ultima ipotesi si è occupata, da ultimo,Cass. 13 aprile 2006, n. 8716 (42), la quale ha negato ilrisarcimento del danno non patrimoniale per la durata irra-gionevole di un processo avente ad oggetto la divisione diun immobile in comproprietà iniziato nel 1990 e concluso-si nel 2001 a seguito di un accordo transattivo stragiudizia-le.Correggendo la sentenza di merito, che aveva negato il ri-sarcimento per l’assenza di un provvedimento decisorio diconclusione del procedimento, il giudice di legittimità haprecisato che la durata irragionevole del processo può esse-re accertata indipendentemente dalla sua conclusione conun provvedimento decisorio e quindi anche quando le par-ti hanno concluso un accordo transattivo stragiudiziale(43). In questo caso, però, occorrerà valutare se la loro in-tenzione di avviare trattative non abbia favorito l’allunga-mento dei tempi processuali così da arrecare loro un van-taggio. Proprio per questo, la presentazione, ad opera delleparti, di molteplici richieste di rinvio per facilitare lo svol-gimento delle trattative è stata considerata sufficiente perindurre il giudice di legittimità a «ritenere che si fosse al co-spetto di una vicenda “completamente gestita in ambitostragiudiziale”: ergo, di una sostanziale carenza di interessedel ricorrente alla celere definizione del giudizio in cui eraconvenuto, essendo il suo interesse quello - opposto - allastasi del procedimento, per coltivare la prospettiva, poi ineffetti concretizzatasi, della definizione stragiudiziale» (44).La conclusione merita senz’altro accoglimento, anche seavrebbe forse potuto essere meglio argomentata conside-rando che, nel caso esaminato, si sarebbe potuto discutere,prima ancora della sussistenza del danno non patrimoniale,della stessa irragionevolezza della durata del procedimento,dal momento che, a norma dell’art. 2, secondo comma, leg-ge 24 marzo 2001, n. 89, essa deve essere valutata tenendoin debita considerazione proprio il comportamento delleparti durante lo svolgimento della causa.Più in generale, la configurazione di una prova in re ipsa deldanno non patrimoniale si espone a taluni profili critici chela giurisprudenza più recente, impegnata nella mera ripro-posizione tralatizia delle massime degli interventi delle Se-zioni Unite, non ha saputo superare.La netta diversificazione fra danno patrimoniale e non pa-trimoniale, imposta dal nuovo principio di diritto, è in-compatibile con le precise indicazioni letterali riscontrabi-li nel testo dell’art. 2, legge 24 marzo 2001, n. 89, che, alprimo comma, dispone l’equa riparazione solo per «chi hasubito un danno patrimoniale o non patrimoniale per ef-fetto della violazione» del diritto alla ragionevole duratadel processo, precisando, al terzo comma, che «rileva solo ildanno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevo-le».Tali elementi confermano la precisa intenzione del legisla-

tore di parificare il danno non patrimoniale a quello patri-moniale sotto ogni profilo, ivi compreso quello attinentealla prova (45).L’esigenza equitativa di garantire comunque un ristoro eco-nomico alla parte che ha dovuto sopportare una cattivaamministrazione della giustizia potrebbe, quindi, essere per-seguita attraverso il “correttivo” probatorio, già riconosciu-to dalla prima sezione della Cassazione, del ricorso a pre-sunzioni o massime di esperienza, senza bisogno di distin-guere nettamente fra le due figure di danno (46).La giurisprudenza successiva al 2004 ha cercato di replicarea tale assunto attribuendo al richiamo della ConvenzioneEuropea operato dal medesimo art. 2, primo comma, un

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(segue nota 40)

ss.; e in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 613 ss., con nota di A. Rampello,Due precisazioni sull’equa riparazione: è applicabile anche al processo ammini-strativo e non risente dell’esito del giudizio presupposto) ha precisato che la so-praggiunta prescrizione del reato a causa dell’eccessiva durata del proce-dimento non è di per sé idonea ad eliminare qualunque danno dell’impu-tato ricorrente, a meno che non sia possibile accertare l’adozione, da par-te dell’imputato stesso, di tattiche dilatorie ed abusi del diritto di difesa.Similmente, secondo Cass. 18 gennaio 2006, n. 868, in Foro it. Mass.,2006, 486, «la circostanza che, all’esito del giudizio affetto da irragione-vole ritardo, la parte attrice si sia vista riconoscere una somma pari agli in-teressi e alla rivalutazione monetaria frattanto maturati significa solo chequella causa - che proprio su tale pretesa verteva - si è conclusa per la me-desima parte attrice in modo soddisfacente; ma nulla è lecito inferirne inordine al pregiudizio soggettivo sofferto per avere dovuto attendere trop-po tempo prima di potere conseguire la risposta giudiziaria dovuta».

(41) Un caso simile è stato deciso da Cass. 17 ottobre 2003, n. 15573, ine-dita, in cui non è stato riconosciuto alla ricorrente il diritto al risarcimen-to, nonostante l’accertata durata irragionevole del procedimento, dal mo-mento che, nelle more della controversia, il giudice aveva evitato allaparte l’instaurazione di un lungo e costoso giudizio amministrativo, tra-sformando la durata del procedimento in un concreto vantaggio.

(42) Inedita nella motivazione, ma massimata in Foro it. Mass., 2006,698.

(43) Sul punto la giurisprudenza è concorde: cfr., per tutte, Cass. 24 gen-naio 2003, n. 1069, in Foro it., Rep. 2003, voce Diritti politici e civili, n.,240; Cass. 19 febbraio 2003, n. 2478, cit.; Cass. 11 marzo 2005, n. 5398,in Foro it., Rep. 2005, voce Diritti politici e civili, n. 170.

(44) Così Cass. 13 aprile 2006, n. 8716, cit.

(45) La conclusione era già sottolineata dai primi commentatori dellalegge. Cfr., per tutti, C. De Rose, op. cit., 458; G. Cricenti, op. cit., 696.

(46) Non è un caso che al medesimo esito siano giunte, con riferimentoal danno «esistenziale» da demansionamento, Cass., sez. un., 24 marzo2006, n. 6572, cit., le quali osservano che «mentre il danno biologico nonpuò prescindere dall’accertamento medico legale, quello esistenziale puòinvece essere verificato mediante la prova testimoniale, documentale opresuntiva, che dimostri nel processo “i concreti” cambiamenti che l’ille-cito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneg-giato. Ed infatti - se è vero che la stessa categoria del “danno esistenziale”si fonda sulla natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettiva-mente accertabile, del pregiudizio esistenziale: non meri dolori e sofferen-ze, ma scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non sifosse verificato l’evento dannoso - all’onere probatorio può assolversi at-traverso tutti i mezzi che l’ordinamento processuale pone a disposizione:dal deposito di documentazione alla prova testimoniale su tali circostan-te di congiunti e colleghi di lavoro. Considerato che il pregiudizio attienead un bene immateriale, precipuo rilievo assume rispetto a questo tipo didanno la prova per presunzioni […] cui il giudice può far ricorso anche invia esclusiva».

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ruolo creativo del diritto, tale da imporre al giudice italianodi rispettare non solo la formulazione letterale del Trattato,ma anche l’interpretazione di questo operata dalla Corte diStrasburgo, sicché «tale regola di conformazione, inerendoai rapporti tra la citata legge e la Convenzione ed essendoespressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di in-terpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possi-bile, conformemente alla Convenzione e alla giurispruden-za di Strasburgo, ha natura giuridica, onde il mancato ri-spetto di essa da parte del giudice del merito concretizza ilvizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Cortedi cassazione» (47).La soluzione è stata, da ultimo, riaffermata dalle stesse Se-zioni Unite (48), le quali, intervenendo sul problema dellatrasmissibilità iure hereditario del diritto all’equa riparazione,hanno osservato che l’entrata in vigore della legge Pinto haassunto soltanto una valenza processuale, determinando ilmutamento dell’organo giudiziario competente per le rela-tive controversie, ma non ha inciso sulle caratteristichedella tutela riconosciuta prima del 2001.La conclusione, tuttavia, non appare pienamente condivi-sibile.Le sentenze della Corte europea non hanno un’immediataefficacia vincolante per i giudici interni, dal momento cheoperano sulla base di un Trattato internazionale che obbli-ga soltanto gli Stati contraenti e non crea situazioni giuri-diche soggettive direttamente invocabili - a livello interno- dai cittadini di questi stessi Stati (49).A tal stregua, fino all’entrata in vigore della legge Pintomancava ogni forma di tutela interna per il diritto alla ra-gionevole durata del processo, che poteva essere fatto vale-re solo nelle forme e nei modi previsti dalla Convenzione.Il richiamo di questo testo operato dall’art. 2, legge 24 mar-zo 2001, n. 89, quindi, non può determinare, di per sé, unaderoga alle comuni regole del diritto internazionale, ma,più semplicemente, identifica la fonte normativa attributi-va della situazione giuridica soggettiva la cui lesione vienesanzionata dalla normativa in esame.In questa prospettiva, la differente evoluzione giurispru-denziale europea non comporta, per ciò solo, l’obbligo delgiudice italiano di uniformarsi ad essa, ma impone di valu-tare se le caratteristiche strutturali del rimedio ex lege Pintopossano effettivamente giustificare soluzioni conformi aquelle già elaborate a Strasburgo.La risposta non può che essere negativa, perché la parifi-cazione tra danno patrimoniale e non patrimoniale impo-sta dalla formulazione letterale della disposizione normati-va e la necessità di accertare la violazione di una situazio-ne giuridica soggettiva quale il diritto alla ragionevole du-rata del processo dimostrano la natura risarcitoria del ri-medio, fondato su un’ipotesi di responsabilità oggettivadello Stato (50) ed impediscono un’agevole riconduzionedello stesso al modello europeo, che, invece, si è sempreispirato a parametri indennitari, riconoscendo la riparazio-ne del pregiudizio non patrimoniale in modo sostanzial-mente automatico.La conclusione non è smentita dal costante orientamento

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(47) Così Cass. 21 settembre 2005, n. 18589, in Foro it., Rep. 2005, voceDiritti politici e civili, n. 184; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1630, in Foro it.Mass., 2006, 120. Similmente, App. Torino, 14 aprile 2004, in Foro it.,2005, I, 202 ss.; Cass. 15 settembre 2005, n. 18249, in Foro it., Rep. 2005,voce Diritti politici e civili, n. 150; Cass. 10 marzo 2006, n. 5292, in Foro it.Mass., 2006, 723, secondo le quali «il giudice nazionale deve, per quantopossibile, conformarsi ai parametri elaborati dalla giurisprudenza dellaCorte europea dei diritti dell’uomo, con l’effetto che deve ritenersi vizia-ta la pronuncia del giudice di merito che, nel negare la violazione, si siavistosamente discostata dagli stessi, senza indicare, con riferimento al ca-so concreto, alcuna circostanza giustificativa della deroga»; nonché Cass.6 ottobre 2005, n. 19503, in Giust. civ., 2006, I, 282 ss., con nota di F. Mo-rozzo della Rocca, Irragionevole durata del processo: l’allineamento della giu-risprudenza nazionale agli standard Cedu, secondo la quale, pur dovendosiescludere che le decisioni di Strasburgo assumano efficacia di giudicatonei confronti del giudice italiano, «le sentenze rese dalla Cedu su casiidentici, invocate dalla parte che affermi di aver patito analogo pregiudi-zio, devono essere prese in esame dal giudice per definire la controversiasulla base dell’interpretazione della Convenzione per la salvaguardia deidiritti dell’uomo da quelle accolte, adeguando le sue valutazioni ai para-metri che ne risultano o motivatamente discostandosene: infatti, mentreuna diversa ricostruzione della volontà espressa dalla norma convenzio-nale, richiamata dall’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, integra il vi-zio di violazione di legge, l’omissione dell’enunciazione delle ragioni del-lo scostamento, nel caso concreto, dai parametri della Cedu integra il di-fetto di motivazione».

(48) Cfr. Cass. sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28507, in questa Rivista,2006, 745 ss., con nota di A. Venturelli, Le Sezioni Unite e l’equa riparazio-ne per la lunghezza dei processi, cit.; e in Corr. giur., 2006, 833 ss., con notadi R. Conti, Le Sezioni Unite ancora sulla legge Pinto: una sentenza storicasulla via della piena attuazione della Cedu; e in La resp. civ., 2006, 699 ss.,con nota di L. D’Alessandro, La legittimazione ad agire iure hereditatis perla riparazione del pregiudizio conseguente alla irragionevole durata del processo.

(49) Cfr. G. Cricenti, op. cit., 694 s.; A. Converso, Il fatto generatore deldanno nella legge 24 marzo 2001, n. 89, in Rass. dir. civ., 2003, 1073 s. Si-milmente, E. Benigni, op. cit., 644, la quale precisa che «dal testo dellaConvenzione non è desumibile un obbligo per il giudice interno di ri-spettare le decisioni della Corte quando si trovi a dover decidere una que-stione interna concernente l’interpretazione della Convenzione. In se-condo luogo, […] la Corte di Strasburgo non è un tribunale sovraordina-to, in senso tecnico, rispetto alle Corti nazionali, per cui i tribunali nazio-nali sono indipendenti ed autonomi rispetto ad essa. Quindi, se la Con-venzione europea comporta certamente l’obbligo per gli Stati firmatari digarantire la compatibilità della propria legislazione con essa, questo nonsignifica per i tribunali nazionali il dovere di conformarsi alle decisionidella Corte». In giurisprudenza cfr. Cass. 12 gennaio 1999, n. 254, in Giu-st. civ., 1999, I, 2363, la quale, con riferimento all’art. 5 Cedu, osserva che«la suddetta disposizione non ha portata precettiva e non si presta adun’applicazione immediata ed assume soltanto il valore di un impegnodegli Stati contraenti a darvi attuazione, attraverso strumenti apprestatidal diritto interno». Contra, invece, A. Ronco, Disposizioni finali, in Mi-sure acceleratorie e riparatorie contro l’irragionevole durata dei processi, cit.,394 s.; R. Martino, op. cit., 1073 s.

(50) Cfr. G. Ponzanelli, «Equa riparazione» per i processi troppo lenti, cit.,570; Id., Prime applicazioni della legge Pinto, cit., 968; Id., Prova del danno nonpatrimoniale ed irrilevanza del danno esistenziale, cit., 271; R. Martino, op. cit.,1077; G. Mammone, op. cit., 397 s.; F. Longo, L’art. 2 della legge Pinto: in-dennizzo o risarcimento?, cit., 276 s.; V. Barela, op. cit., 150; F. Morozzo Del-la Rocca, L’equa riparazione per irragionevole durata del processo nelle prime de-cisioni della Cassazione, cit., 705; C. Carbonaro, I danni da irragionevole du-rata del processo, in I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida al-la liquidazione, a cura di E. Navarretta, Milano, 2004, 286 s. Più articolatala posizione di P. Perlingieri, La responsabilità civile tra indennizzo e risarci-mento, in Rass. dir. civ., 2004, 1075 s., secondo il quale si tratterebbe diun’ipotesi indennitaria «comunque rientrante nella responsabilità civile».In giurisprudenza, sembrano ricondurre alla responsabilità aquiliana il ri-medio App. Roma 10 luglio 2001, cit.; App. Torino 5 settembre 2001, inGuida al diritto, n. 41/2001, 18 ss.; e in Foro it., 2002, I, 233 ss. con nota diM.G. Civinini, op. cit.; App. Potenza 15 ottobre 2001, cit.

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giurisprudenziale (51) che identifica nell’art. 1173 c.c. lafonte dell’obbligo di ristorare il pregiudizio connesso alladurata irragionevole.Se infatti la reale natura della riparazione fosse indennita-ria, non si riesce a capire perché la concessione dell’inden-nizzo non sia prevista automaticamente ogni volta che siaverificato il carattere irragionevole della durata della con-troversia, ma possa essere esclusa laddove non sia fornitaprova del danno patrimoniale ovvero, sia pure in casi ecce-zionali, siano presenti circostanze idonee a far escludere lasussistenza di un pregiudizio a-redittuale.In realtà, poiché l’affermazione di una difformità del rime-dio interno con quello europeo determinerebbe la sostan-ziale vanificazione degli scopi per i quali la legge Pinto èstata emanata, la Cassazione tenta, per così dire, di conci-liare l’inconciliabile, ossia di permettere ad un rimedio chestrutturalmente si presenta diverso da quello europeo di ga-rantire un trattamento identico a quello che sarebbe rico-nosciuto a Strasburgo.In tal guisa però si finisce con l’introdurre surrettiziamenteuna regola di vincolatività del precedente riferita ad un or-gano giurisdizionale esterno rispetto a quello italiano. L’esi-genza di garantire l’identità di trattamento è infatti fatal-mente destinata a determinare l’applicabilità di qualunquesoluzione europea, indipendentemente dagli effetti che es-sa è idonea a produrre nell’ordinamento interno.

5. Segue: il caso delle persone giuridicheIl rischio appena prospettato è particolarmente evidente sesi fa caso al problema della legittimazione delle persone giu-ridiche all’esercizio del rimedio ex lege Pinto.La giurisprudenza tuttora maggioritaria (52), superato uniniziale orientamento contrario alla legittimazione dellepersone giuridiche (53), ha riconosciuto anche a queste ul-time la possibilità di essere risarcite ex lege Pinto sotto ilprofilo del danno non patrimoniale, quando l’eccessivoprolungamento della controversia abbia determinato la le-sione di diritti della personalità compatibili con l’assenzadella fisicità, come, ad esempio, il diritto all’identità, al-l’immagine, alla reputazione.Ne è derivata una completa parificazione, sotto questo pro-filo, del giudizio ex lege Pinto all’ordinaria azione ex art.2043 c.c., che è esercitabile dalla persona giuridica soloquando sia possibile dimostrare l’esistenza di un pregiudizioa quei diritti riconosciuti indipendentemente dalla qualifi-cazione in senso fisico o giuridico della sua personalità (54).L’intervento del gennaio 2004 non sembrava, almeno ini-zialmente, aver scalfito siffatta conclusione: Cass. 2 luglio2004, n. 13504 (55), intervenendo con specifico riferi-mento al danno non patrimoniale lamentato da una so-cietà a responsabilità limitata per la durata irragionevole diun processo amministrativo, protrattosi per più di cinqueanni senza che fosse stata fissata un’udienza, ha osservatoche «considerato il tema del ricorso al TAR, relativo a que-stione specificamente patrimoniale, […] la società ricor-rente doveva dedurre in che misura la lunghezza del pro-cesso amministrativo avesse prodotto danni ulteriori e di-

versi da quelli indicati, chiarendo, in rapporto all’oggettodella causa, come l’eccessiva durata di essa avesse incisosull’esistenza o sull’immagine, ovvero sulle altre posizionipersonali od esistenziali dell’ente».La diversa natura del danno non patrimoniale subito dallapersona giuridica, quindi, inciderebbe anche sull’estensio-ne dell’onere della prova, imponendole di dimostrare chel’allungamento dei tempi processuali, in considerazione

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(51) Cfr. App. Milano 29 giugno 2001, cit.; App. Brescia 29 giugno 2001,cit.; App. Brescia 30 agosto 2001, cit.; Cass. 26 luglio 2002, n. 11046, cit.;Cass. 2 agosto 2002, n. 11600, cit.; Cass. 8 agosto 2002, n. 11987, cit.;Cass. 20 settembre 2002, n. 13768, cit.; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14885,cit.; Cass. 7 novembre 2002, n. 15611, in Giust. civ., 2003, I, 1269 ss.;nonché, in dottrina, C. De Rose, op. cit., 459; S. Izar, op. cit., 971; A. Di-done, Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo, cit., 36 ss.; G.Colonna, op. cit., 198.

(52) Cfr. App. Trento 31 luglio 2001, in Guida al dir., n. n. 38/2001, 31;Cass. 2 agosto 2002, n. 11573, in Giust. civ., 2002, I, 3063 ss.; e in Giur.it., 2003, 25 ss., con nota di A. Didone, Il danno non patrimoniale da irra-gionevole durata del processo per le persone giuridiche; Cass. 2 agosto 2002, n.11592, cit.; Cass. 2 agosto 2002, n. 11600, cit.; Cass. 29 ottobre 2002, n.15233, in Giust. civ. Mass., 2002, 1090; Cass. 19 novembre 2002, n.16262, in Foro it., Rep. 2002, voce Diritti politici e civili, n. 202; Cass. 13febbraio 2003, n. 2130, cit.; Cass. 10 aprile 2003, n. 5664, in Foro it.,2005, I, 198 ss. In dottrina, cfr. E. Dalmotto, op. cit., 194 s.; G. Colonna,op. cit., 202 s.; A. Didone, La Cassazione, la legge Pinto e la Corte europeadei diritti dell’uomo, cit., 203 s.

(53) Cfr. App. Brescia 23 luglio 2001; App. Brescia 6 ottobre 2001, en-trambe in Guida al dir., n. 38/2001, 29 s.; App. Roma 9 ottobre 2001, ine-dito.

(54) Cfr. Cass. 10 luglio 1991, n. 7642, in Giust. civ., 1991, I, 1955 ss.;Cass. 5 dicembre 1992, n. 12951, ivi, 1993, I, 2156; e in Dir. inf., 1993,373 ss.; e in Corr. giur., 1993, 584 s., con nota di V. Zeno Zencovich, Lalesione della reputazione di uno Stato straniero; e in Foro it., 1994, I, 561 ss.,con nota di F. Salerno, La legittimazione processuale dell’agente diplomaticostraniero ad agire in giudizio per la tutela dell’onore del proprio Stato; Corte deiConti 24 marzo 1994, n. 31, in Giust. civ., 1994, I, 1733 ss., con nota diM.V. Morelli, Delitti di corruzione e risarcibilità del “danno morale” inferto al-la p.a.: dalla “Lockheed” a “Tangentopoli”; Cass. 15 aprile 1998, n. 3807, inResp. civ. prev., 1998, 992 ss., con nota di G.F. Basini, La Cassazione riba-disce la configurabilità di un danno non patrimoniale anche in capo alle personegiuridiche; Cass. 3 marzo 2000, n. 2367, in questa Rivista, 2000, 490 ss., connota di V. Carbone, Il pregiudizio all’immagine e alla credibilità di una s.p.a.costituisce danno non patrimoniale e non danno morale; in dottrina, cfr., pertutti, M. Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario al codice civile Scialoja -Branca, diretto da F. Galgano, Bologna - Roma, 1993, 1204 s.; C. Marto-rana, La “risarcibilità” dei danni non patrimoniali allo Stato (a proposito del-l’affaire Lockheed), in Resp. civ. prev., 1993, 468 ss.; G.F. Basini, I soggettilegittimati in ordine alla riparazione del danno non patrimoniale, in Resp. civ.prev., 1998, 942 ss.; A. Zoppini, I diritti della personalità delle persone giuridi-che, in Riv. dir. civ., 2002, I, 872 ss.; G. Basile, Le persone giuridiche, in Trat-tato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2003, 146 ss.; E.Palmerini, I diritti della personalità e i danni agli enti collettivi, in I danni nonpatrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, cit., 253 ss.

(55) In questa Rivista, 2005, 977 ss., con nota di A. Venturelli, Legge Pin-to: per le persone giuridiche la prova del danno non patrimoniale non è in reipsa; e in La Resp. civ., 2005, 624 ss. (ma ivi erroneamente datata 10 mar-zo 2004), con nota di V. Giorgianni, Il risarcimento del danno non patrimo-niale alle persone giuridiche. Similmente, cfr. Cass. 30 settembre 2004, n.19467, in Giust. civ., 2005, I, 59 ss., con nota di R. Giordano, Ancora con-trasti tra la giurisprudenza interna e quella della Corte di Strasburgo sull’equa ri-parazione dei danni per irragionevole durata del processo: il problema dei pre-giudizi non patrimoniali subiti dagli enti, che ha esteso il principio alle societàdi persone e agli enti privi di personalità giuridica; Cass. 8 giugno 2005, n.12015, in Foro it., Rep. 2005, voce Diritti politici e civili, n. 270.

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della natura della controversia, abbia determinato una le-sione ad un diritto della personalità ascrivibile all’ente.Siffatta conclusione, secondo la sentenza appena richiama-ta, non sarebbe smentita dal revirement giurisprudenzialedel gennaio 2004, che, avendo ad oggetto una fattispecierelativa ad una persona fisica, non avrebbe fornito alcunaindicazione utile per la questione in esame.In realtà, la conclusione appare semplicistica, dal momen-to che confonde l’esito cui sono pervenute le Sezioni Uni-te con il suo presupposto giustificativo, che, se coerente-mente sviluppato, sarebbe senz’altro idoneo a consentireuna nuova configurazione anche della fattispecie in esame.L’intervento del gennaio 2004, infatti, trova la sua giustifi-cazione nella necessità di garantire l’effettività della tutelaapprestata dal rimedio interno, assicurando al danneggiatoun trattamento identico a quello riconosciutogli avanti algiudice europeo.Tale necessità, però, può essere pienamente soddisfatta so-lo attraverso un radicale mutamento metodologico nell’ac-certamento della responsabilità ex lege Pinto, che, superatoil limitato profilo della prova del danno non patrimonialesubito dalla persona fisica, si allarghi a considerare tutti gliaspetti problematici della vicenda.L’interprete chiamato ad operare con la legge 24 marzo2001, n. 89, in altri termini, non dovrà più limitarsi a con-siderare l’applicazione interna della normativa, ma dovràcercare una soluzione uniforme alle risultanze desumibilidalla giurisprudenza della Corte europea (56).E proprio questa (57) ha consentito ad una società com-merciale portoghese di ottenere il risarcimento, per viola-zione del diritto alla ragionevole durata del processo, anchedel danno morale subito dai rappresentanti legali della so-cietà, per l’ansia e la preoccupazione concernenti l’allunga-mento dei tempi processuali di una controversia di recupe-ro crediti.Tale conclusione viene giustificata osservando che il dan-no morale delle persone giuridiche per la durata irragione-vole del processo si compone di elementi soggettivi ed og-gettivi, che non si esauriscono nella semplice violazionedel diritto all’immagine o alla reputazione dell’ente, mache coinvolgono anche l’incertezza connessa all’esito delprocedimento sulla sua gestione economica e le ansie e ipatemi subiti a causa di questo dai suoi rappresentanti le-gali (58).Uniformandosi espressamente a questa pronuncia, Cass.30 agosto 2005, n. 17500 (59), ha riconosciuto la possi-bilità di risarcire alle persone giuridiche anche il «dannoconsistente nel patema d’animo e nei turbamenti psichicicausati dall’irragionevole durata del processo […], in quan-to le situazioni imputate alle persone giuridiche, per la loronatura di soggetti meramente transitori e strumentali, sonocomunque destinate a riferirsi alle persone fisiche che lecompongono».La conclusione è già stata ampiamente criticata dai primicommentatori della pronuncia, i quali hanno evidenziatoche essa si pone in contrasto con la ricostruzione tradizio-nale dell’autonomia della persona giuridica, «liquidando

sbrigativamente l’assunto radicato e diffuso secondo cui lasocietà, anche di persone, non per costruzione dogmatica,ma per le regole codicistiche che attengono alla sua strut-tura e al suo regime normativo è un soggetto nuovo, distin-to dalle persone e dai patrimoni delle persone fisiche che sene servono» (60).L’obiezione è senz’altro condivisibile, anche se non sembraidonea, di per sé, ad impedire il consolidarsi dell’orienta-mento in esame, specie laddove auspichi la riaffermazionedella posizione giurisprudenziale maggioritaria (61).Questa, infatti, ha finora impedito di far valere, ai fini del-l’accertamento del danno non patrimoniale, l’incidenzadell’allungamento dei tempi processuali sull’organizzazioneeconomico-gestionale dell’ente.Al contrario, la soluzione prospettata dalla Corte di Stra-sburgo vuole proprio consentire all’ente collettivo di otte-nere il risarcimento di un danno non patrimoniale anchequando non riesca a dimostrare che l’oggetto della contro-versia protrattasi irragionevolmente ha determinato la le-sione di un suo diritto della personalità, ma risulti comun-que accertato che esso appariva idoneo a provocare un ge-nerale stato di incertezza, sia per la gestione economico-contabile dell’ente, sia per le persone fisiche che, in variamisura, contribuiscono a questa stessa gestione.L’esigenza di garantire l’uniformità dell’applicazione del ri-medio, quindi, non può fare altro che imporre un allarga-

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(56) Cfr. A. Didone, La Cassazione, la legge Pinto e la Corte europea dei di-ritti dell’uomo: sepolti i contrasti, cit., 955; O. Porchia, op. cit., 529; M. Fa-sciglione, op. cit., 1149.

(57) Cfr. Corte Europea diritti uomo 6 aprile 2000, in Corr. giur., 2000,1246 s.

(58) Secondo Corte europea diritti dell’uomo 6 aprile 2000, cit., «il dan-no morale può in effetti comportare per una società degli elementi più omeno “obiettivi” e “soggettivi”. Basti pensare alla reputazione dell’azien-da così come all’incertezza nella programmazione, alle possibili perturba-zioni nella gestione societaria, le cui conseguenze sono difficilmentequantificabili e, infine, sebbene in misura ridotta, alle noie subite daimembri degli organi dirigenziali».

(59) In questa Rivista, 2006, 153 ss., con nota di M.V. De Giorgi, Risarci-mento del danno morale ex legge Pinto alle persone giuridiche per le sofferenzepatite dai componenti; e in Resp. civ. prev., 2006, 281 ss., con nota di C. Pa-squinelli, Legge Pinto ed irragionevole durata del processo: la Cassazione am-mette il danno morale per gli enti collettivi. Nello stesso senso cfr. inoltre Cass.16 luglio 2004, n. 13163, in Giust. civ., 2005, I, 1579 ss., con nota di F.Morozzo Della Rocca, Legge 24 marzo 2001, n. 89: anche alle persone giuri-diche spetta la pecunia doloris; Cass. 21 luglio 2004, n. 13504, in Dir. prat.soc., 24/2004, 60 ss., con nota di S. Pizzirusso; Cass. 15 giugno 2005, n.12854, in Guida al dir., n. 34/2005, 60 ss.; Cass. 29 marzo 2006, n. 7145,in Foro it. Mass., 2006, 735.

(60) Così M.V. De Giorgi, op. cit., 156. Similmente, C. Pasquinelli, op.cit., 288.

(61) Questo sembra l’esito ultimo cui perviene C. Pasquinelli, op. cit., 289s. Più articolata la posizione di M.V. De Giorgi, op. cit., 158 s., la quale,pur auspicando il superamento di questa posizione giurisprudenziale, ritie-ne possibile garantire un innalzamento della tutela offerta alla personagiuridica per l’irragionevole durata del processo attraverso una più ampiaconfigurazione del danno non patrimoniale, che si allarghi a comprende-re anche voci (esistenziali) diverse da quelle solitamente ricondotte aldanno morale soggettivo.

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mento della tutela risarcitoria finora assicurata all’ente col-lettivo.Ciò peraltro non comporta necessariamente l’obbligo delgiudice italiano di uniformarsi in toto alle statuizioni prove-nienti da Strasburgo: più precisamente, l’uniformità idoneaa sventare il pericolo di nuove condanne per l’Italia dovràriguardare soltanto gli esiti applicativi del rimedio, cioè lamisura della riparazione ottenibile.I giudici italiani, in altri termini, dovranno garantire un ri-storo identico a quello riconosciuto a Strasburgo, ma con-tinueranno ad essere liberi di utilizzare le argomentazionigiuridiche che riterranno migliori per l’ottenimento di que-sto risultato, senza necessariamente essere costretti a ripro-porre pedissequamente le soluzioni europee.In questa prospettiva, non sembra necessario ignorare latradizionale ricostruzione dell’autonomia della persona giu-ridica per garantire una soluzione equitativamente più cor-retta: basterà semplicemente valutare con la dovuta atten-zione se il diritto al risarcimento per l’irragionevole duratadel processo possa spettare all’ente collettivo nella stessamisura in cui è riconosciuto a favore del cittadino personafisica e cioè indipendentemente dall’accertamento dell’i-doneità del processo di durata irragionevole a ledere parti-colari ed ulteriori situazioni giuridiche soggettive.Nel caso della persona fisica, infatti, l’allungamento deitempi processuali legittima al risarcimento perché compor-

ta la lesione del diritto alla ragionevole durata del processoe il ricorrente non ha alcun bisogno di dimostrare la lesio-ne di una qualunque situazione giuridica soggettiva ulterio-re rispetto a quest’ultima.Altrettanto potrebbe valere per la persona giuridica, che inquesto modo sarebbe ammessa ad ottenere il risarcimentodel danno non patrimoniale connesso all’incertezza circa lapropria situazione economica provocata dalla natura dellacontroversia durata irragionevolmente.Quanto invece alle voci che solitamente compongono ilc.d. danno morale soggettivo, esse potrebbero essere risarci-te direttamente a favore dei rappresentanti legali dell’ente,che sono i soli ad averle realmente subite e che potrebberoconcorrere nell’azione risarcitoria insieme all’ente stesso.Il problema perderebbe, peraltro, gran parte della sua im-portanza qualora anche per le persone giuridiche dovesseaffermarsi la c.d. prova in re ipsa del danno non patrimonia-le perché, salvo casi eccezionali, ciò comporterebbe la pres-soché automatica liquidazione del danno; anche ammet-tendo, però, la riaffermazione della posizione favorevole aduna più rigorosa allegazione del danno non patrimoniale, icorrettivi probatori già elaborati fino alla fine del 2003 dal-la prima sezione della Cassazione potrebbero essere suffi-cienti a consentire un più ampio risarcimento a favore del-le persone giuridiche, scongiurando così il pericolo di ricor-si al giudice europeo.

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

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I. Danno alla persona: la rivitalizzazione del danno patrimonialeIn questi ultimi anni, se non decenni, giuristi, magistrati,avvocati e medici legali si sono impegnati a fondo sul ver-sante del risarcimento dei danni non patrimoniali (dannobiologico in primis, danno morale, danno esistenziale,ecc.). Le contrapposizioni su queste voci sono state inveronumerose, ma da ultimo, come si trae anche dalla decisio-ne del 2006 delle Sezioni Unite della Cassazione (1), il si-stema risarcitorio del danno non patrimoniale, nonostan-te l’indubbia necessità di ulteriori affinamenti, sembra or-mai essersi definitivamente assestato e consolidato sullaseguente tripartizione: a) danno biologico; b) danno mora-le (la “sofferenza contingente”); c) il danno non patrimo-niale da lesione di interessi garantiti dalla Costituzione odalla legge (categoria entro cui si colloca anche il dannoesistenziale).Ciò succintamente premesso, il dibattito sui danni nonpatrimoniali e la concentrazione degli sforzi sia degli inter-preti e sia degli operatori su questo versante ha notevol-mente ridimensionato, in primis nel contenzioso di tutti igiorni, l’interesse per il danno patrimoniale, prima al cen-tro del sistema risarcitorio (2), poi spesso relegato ai mar-gini. In particolare, alla base i consulenti tecnici, cioè imedici legali, hanno spesso mostrato di dedicare più at-tenzione ai risvolti biologici delle lesioni che ai riflessi del-le stesse non solo sulle capacità e attitudini a produrre red-dito, ma anche sulla possibilità dei danneggiati di attende-re ad altre attività non propriamente lucrative, ma co-munque fonte di risparmio se gestite in seno alla famiglia oeffettuate in proprio nel caso dei single (attività domesti-che, bricolage, giardinaggio, lavori di manutenzione, ecc.).Parimenti i consulenti tecnici hanno dedicato scarsa at-tenzione alle prospettive di spese mediche e di assistenzasanitaria. A loro volta gli avvocati delle vittime, certo nonstimolati dalle relazioni tecniche né a loro volta di parti-colare stimolo verso i propri consulenti, hanno finito conil dedicare più sforzi alla prova e quantificazione dei danninon patrimoniali che di quelle patrimoniali, non adegua-tamente supportati a livello probatorio, con allegazionidocumentali limitate e capitolazioni insufficienti e caren-ti. A conferma di quanto si va qui affermando basti sfo-gliare gli elaborati dei periti di parte e dei consulenti d’uf-ficio: tutto danno biologico, scarsa attenzione per il dannopatrimoniale, strettamente limitato a quanto “documenta-to”. La conseguenza è stata quindi quella di una sostanzia-le svalutazione del risarcimento dei pregiudizi patrimonia-

li, malgrado la loro notevole incidenza sul patrimonio del-le vittime, soprattutto - ma non solo - nei casi di macrole-sioni. Il riferimento è ovviamente ai tradizionali danni daperdita e/o riduzione della capacità di produrre reddito,collegati al concetto di inabilità lavorativa specifica, non-ché alle spese mediche, ma vi sono anche tutta un’altra se-rie di voci passate in secondo piano se non del tutto tra-scurate: il danno da perdita o da riduzione delle capacitàconcorrenziali sul mercato del lavoro, il danno da perditao riduzione della capacità di svolgere attività domestiche edi utilità per la famiglia, il danno derivante dalla necessitàdi affrontare spese di viaggio (ad esempio, per recarsi a vi-site mediche, oppure, mutate le condizioni fisiche, per re-carsi sul posto di lavoro), il danno per l’abbattimento dibarriere architettoniche, ecc.La giurisprudenza di merito, infine, ha a sua volta frappostoal risarcimento integrale del danno patrimoniale una visio-ne particolarmente ristretta delle conseguenze pecuniariedelle lesioni dell’integrità psicofisica, associando a questatendenziale miopia una concezione della prova di questipregiudizi schiacciata su prove strettamente documentali(fatture, ricevute, scontrini, dichiarazioni fiscali) e poco in-cline al ricorso alle prove presuntive, di estremo rilievo peri soggetti non percettori di reddito, per il calcolo del dannopatrimoniale futuro, per il risarcimento degli altri pregiudi-zi pecuniari slegati dal parametro del reddito. In altri termi-ni, soprattutto talune corti di merito hanno sviluppato unavisione marcatamente “contabile” della prova del dannopatrimoniale, fortunatamente criticata, come si vedrà oltre,dalla Suprema corte (nello specifico con riferimento allespese mediche).L’esperienza giurisprudenziale degli ultimi anni denota in-vero un significativo mutamento di rotta, una nuova sensi-bilità per le potenzialità del danno patrimoniale nell’attua-zione del principio della riparazione integrale del danno(3).

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Quantum del danno patrimoniale e liquidazione equitativa a cura di MARCO BONA

Note:

(1) Cass., sez. un. civ., 24 marzo 2006, n. 6572, in www.altalex.com, non-ché in Resp. civ. pre., 2006, 138, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2006, 661.Per dei primi commenti alla decisione delle Sezioni Unite cfr. Bertonici-ni, Demansionamento ed onere della prova dei danni conseguenti, e Bilotta,Attraverso il danno esistenziale, oltre il danno esistenziale, in Resp. civ. prev.,2006, 1040 e ss. e 1050 e ss.

(2) Rileva questo profilo Chindemi, Il «nuovo» danno patrimoniale, in Re-sp. civ. prev., 2006, 379.

(3) Cfr. Chindemi, Il «nuovo» danno patrimoniale, cit., 378 e ss.

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II. Danno alla persona: perdita/riduzione della capacità lavorativa e delle capacità concorrenzialisul mercato del lavoroIn merito ai riflessi delle lesioni psicofisiche sulla capacitàdel soggetto di produrre reddito pare opportuno premet-tere che spesso l’under-compensation di questi profili, so-prattutto per quanto riguarda i risvolti sulla vita lavorati-va futura della vittima, ha trovato le sue ragioni in una vi-sione della riparazione del danno patrimoniale circoscrit-ta ad una figura - quella del “danno da incapacità lavora-tiva specifica” - decisamente più ristretta rispetto al nove-ro di pregiudizi pecuniari che possono manifestarsi inconseguenza delle limitazioni alla capacità di produrrereddito. A forza di demandare ai consulenti di esprimersispecificatamente sull’incidenza delle lesioni sulla capacitàlavorativa specifica si è pervenuti a sacrificare tutta una se-rie di pregiudizi degni di rilievo, come ad esempio il dan-no da perdita o da riduzione delle capacità concorrenziali sulmercato del lavoro, cioè quel danno che discende dalla per-dita o riduzione della capacità di inserirsi nuovamente oconcorrere sul mercato del lavoro, da considerarsi in rela-zione alle particolarità che caratterizzano la situazione oc-cupazionale nell’azienda e nel territorio in cui vive il dan-neggiato. Si pensi alla vittima che riporta l’amputazionedi un arto: questa avrà ridotta la sua capacità lavorativaspecifica (magari finirà seduto dietro una scrivania, condemansionamento e perdita di indennità o altri incenti-vi), ma vi è un danno ulteriore consistente nella perdita oriduzione delle sue capacità di concorrere sul mercato dellavoro, di trovarsi un’altra occupazione, soprattutto sesoggetto giovane, agli inizi della carriera o ancora nella fa-se degli studi. Vi sono pure dei casi in cui il primo tipo didanno è assente oppure minimo, mentre il secondo assu-me notevole rilievo. Inoltre, il danno da perdita/riduzionedella lavorativa è sovente stato esaminato con riferimen-to esclusivo all’attività concretamente svolta dalla vitti-ma prima del sinistro e, dunque, si sono persi per strada iriflessi della lesione sulla capacità del danneggiato di svol-gere attività lavorative di altro tipo, decisamente alla suaportata in base all’istruzione scolastica raggiunta oppureall’esperienza lavorativa maturata, senza contare l’inci-denza delle lesioni sulle prospettive della vittima di avan-zamento di carriera. Spesso questi pregiudizi, in quantonon oggetto di specifici quesiti e non riconducibili secon-do almeno parte della dottrina medico legale nell’incapa-cità lavorativa specifica, hanno finito o per non essere ri-conosciuti o per essere svalutati tramite una loro colloca-zione in figure di danno sfuggenti quali il danno da mag-giore usura (cui spesso non corrispondono liquidazioni al-cune) oppure il danno alla capacità lavorativa generica, pro-filo semplicisticamente ricondotto in seno al danno bio-logico, categoria quest’ultima che in realtà non è idoneaad ospitare pregiudizi in tutto e per tutto a carattere red-dituale/patrimoniale (spesso, ancora una volta, con man-cata concreta liquidazione degli stessi). A questi rilievi sipuò poi aggiungere come altra ragione della svalutazionedel danno patrimoniale in questione sia da rinvenirsi in

automatismi creatisi tra la percentuale di invalidità indi-viduati per il danno biologico e l’incidenza di siffatta in-validità sull’abilità alla produzione di reddito.Come si osservava, la giurisprudenza ha mostrato in questianni di avere intrapreso un nuovo itinerario per ovviare aquesti modi di concepire la tutela risarcitoria di chi abbiasubito la lesione della capacità reddituale.In primo luogo, si è spezzato l’automatismo tra, da un lato,entità del danno biologico e, dall’altro lato, ravvisabilitàdel pregiudizio pecuniario: tale automatismo, a ben osser-vare e come ha frequentemente insegnato la pratica, spessoha costituito non già una porta aperta a risarcimenti deldanno patrimoniale anche laddove non sussistente, bensì,in senso opposto, si è posto quale ostacolo alla riparazionedel danno da perdita/riduzione della capacità reddituale neicasi in cui il danno biologico risultava di modesta o mediaentità. La Suprema corte, in questa direzione e rivedendo sueposizioni più rigide (4), ha sì affermato che i postumi per-manenti di modesta entità (cosiddetta “micropermanen-te”, correlata al mancato superamento del 10 per cento),di norma e salva diversa prova contraria (il cui onere in-combe sul danneggiato), non incidono sulla capacità la-vorativa specifica e rimangono valutabili soltanto comedanno biologico (e, perciò, di tipo non patrimoniale),ma ha altresì rilevato che, mentre è agevole presumere -con riguardo a quanti svolgono un’attività essenzialmen-te intellettiva - che i loro guadagni futuri rimarranno so-stanzialmente invariati, venendo l’accertata lesione aprodurre un pregiudizio esclusivamente nell’ambito delc.d. danno biologico, diversamente deve ritenersi nell’i-potesi del danneggiato che esplichi attività manuali, spe-cie se particolarmente faticose e usuranti (5). In questosolco giurisprudenziale si segnala la sentenza Cass. n.21497/2005, in cui si è affermato che il grado di invali-dità di una persona determinato dai postumi permanentidi una lesione all’integrità psicofisica dalla medesima su-bita non si riflette automaticamente né tanto meno nel-la stessa misura sulla riduzione percentuale della capacitàlavorativa specifica e quindi di guadagno della stessa (6):ciò che conta è la prova della sussistenza di un danno pa-trimoniale apprezzabile in termini di perdita/riduzionedella capacità lavorativa, a prescindere che l’invaliditàbiologica sia stata valutata in termini percentuali eleva-ti, medi o modesti. Quanto al versante della nozione di danno patrimoniale daperdita/riduzione della capacità lavorativa la Suprema corteha denotato di intendere tale categoria in senso ben più lato

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(4) Cfr., ad esempio, Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2004, n. 23293, inMass. giur. it., 2004, in CED Cassazione, 2004.

(5) Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20317, in CED Cassazione,2005, in Arch. giur. circolaz., 2006, 2, 136. Cfr. altresì App. Bari, 7 aprile2005, in Infoutet.

(6) Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21497, in Mass. giur. it., 2005,in CED Cassazione, 2005.

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rispetto alla concezione tradizionale (7). Ciò emerge bene daquelle sentenze che si sono occupate dei soggetti non percet-tori di reddito al momento del fatto illecito. Ad esempio, igiudici di legittimità hanno ribadito come un danno patri-moniale da riduzione della capacità di guadagno possa esserericonosciuto anche a favore di persona che, subita una lesio-ne, si trovi al momento del sinistro senza occupazione lavo-rativa e, quindi, senza alcun reddito: per la Cassazione, infat-ti, la mancanza di un reddito all’epoca dell’infortunio nonpuò escludere il danno futuro collegato alla invalidità per-manente che, proiettandosi nel tempo, andrà ad incidere sul-la capacità di guadagno della vittima, al momento in cuiquesta inizierà un’attività remunerata (8). Fra i tanti esempidella giurisprudenza di merito si cita qui un precedente dellaCorte d’appello di Torino 11 maggio 2005, n. 781 (9), in cui,nel caso di lesione di media entità subita da un giovane cheal tempo del sinistro faceva l’apprendista palchettista, si è da-to ampio risalto, unitamente al risarcimento da riduzionedella capacità lavorativa specifica, anche alla diminuzionedella capacità concorrenziale sul mercato del lavoro, pregiu-dizio indubbiamente di natura patrimoniale e di certo non ri-ducibile ad una mera componente del danno biologico. Quale prova deve essere fornita per la liquidazione dei pre-giudizi pecuniari qui in questione? Anche sul punto la Cas-sazione ha fornito importanti indicazioni, che denotano uncerto qual favor per il ricorso a schemi di tipo presuntivo.Ad esempio, la Suprema corte ha rilevato che nei casi incui l’elevata percentuale di invalidità permanente (nellaspecie, 25%) rende altamente probabile, se non addiritturacerta, la menomazione della capacità lavorativa specificaed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudi-ce può procedere all’accertamento presuntivo della predet-ta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce didanno con criteri equitativi (10). Già in precedenza, del re-sto si era affermato che il danno patrimoniale futuro va ri-sarcito non solo nelle ipotesi in cui tale danno si produrràcon assoluta certezza, ma anche quando possa ritenersi ac-cadere secondo “ragionevole previsione” (11). Il ricorso al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c. è statoperorato anche dalla giurisprudenza di merito, la quale, adesempio, ha affermato che, una volta dimostrata la riduzio-ne o la perdita della capacità lavorativa, deve ritenersi pro-vato anche il relativo danno in termini di impossibilità o dilimitate possibilità per il soggetto leso di svolgere la propriaattività lavorativa o di iniziare in futuro un’attività lavorati-va; tale prova può essere data anche in via presuntiva, pur-ché sia dimostrata la perdita di capacità lavorativa specifica.Il fatto che il danneggiato non svolgesse alcuna attività al-l’epoca dei fatti, incide sui criteri di determinazione del dan-no da invalidità permanente, per cui si dovrà fare riferimen-to, in mancanza di un reddito, al triplo della pensione socia-le, con riferimento all’epoca del sinistro (12).

III. Lesioni personali e perdita/riduzione delle capacità di attendere a attività diverse da quelle produttrici di redditoLa giurisprudenza già da tempo (13) ha messo compiuta-

mente a fuoco come senza dubbio la casalinga svolga unavera e propria attività lavorativa apprezzabile anche ai finidel risarcimento, in via autonoma dal danno biologico, deldanno patrimoniale, nonostante a tale impegno assoltonell’ambito domestico non si accompagni un reddito. InM. c. Assitalia S.p.A. (2000) (14) la Suprema corte ha ri-cordato che «il fondamento del diritto al risarcimento del dan-no inerente al lavoro della casalinga (specie quando è la compo-nente di un nucleo familiare legittimo, e persino quando è lacomponente di un nucleo di convivenza stabile) è pur sempre dinatura costituzionale: esso riposa sull’art. 4 della Costituzioneche tutela qualsiasi forma di lavoro (e la scelta di lavorare per ilproprio nucleo familiare concorre al consolidamento della fami-glia e dunque al progresso materiale e spirituale della società …);ancora: l’art. 37 della Costituzione, nella seconda parte del pri-mo comma, prevede che anche la donna lavoratrice debba averespazi di libertà per l’adempimento della sua essenziale funzionefamiliare». Tra l’altro la Cassazione, nel precedente M. e al-tri c. Cattolica Ass. coop. a.r.l. e altri (1997) (15), ha affer-mato il seguente inequivocabile principio: «il danno subitodalla casalinga per la perdita e la riduzione della capacità lavora-tiva è risarcibile anche se essa non svolga faccende domestiche,in considerazione dell’opera di direzione e di governo della casa».Evidentemente, per la Suprema corte il ruolo della casalin-ga va apprezzato non solo in relazione allo svolgimento diattività materiali funzionali alla conduzione della casa (adesempio, pulizia dell’abitazione, effettuazione della spesa,ecc.), ma innanzitutto con riferimento al ruolo che la casa-

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(7) Cfr. già ex plurimis Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2003, n. 18945, inArch. giur. circolaz., 2004, 1203; Cass. civ., sez. III, 7 agosto 2001, n.10905, in Zacchia, 2002, 256, in cui si coglie il principio per cui “la man-canza di un reddito al momento dell’infortunio per non avere il soggetto leso an-cora raggiunto l’età lavorativa, ovvero per essere disoccupato, non giustifica diper se stessa la mancanza di un danno da lucro cessante legato all’invalidità per-manente, che, proiettandosi per il futuro, verrà ad incidere sulla capacità di gua-dagno della vittima, al momento in cui questa svolgerà un’attività remunerata”;Cass. civ., sez. III, 18 maggio 1999, n. 4801, in Assicuraz., 2000, II-2, 48.

(8) Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2005, n. 26081, in Resp. civ., 2006,278.

(9) App. Torino, sez. III, 11 maggio 2005, n. 781, ined.

(10) Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21497, in Mass. giur. it., 2005,in CED Cassazione, 2005. Nella specie, relativa a giovane minorenne pri-vo di reddito, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nel respingerela domanda con l’applicazione dei principi elaborati in materia di lesionimicropermanenti e traendo argomento anche dalla difficoltà di presun-zione sulla futura attività lavorativa del ragazzo, aveva ignorato il dispostodell’art. 1226 c.c. in tema di liquidazione equitativa.

(11) Trib. Como 12 ottobre 2001, in Gius., 2002, 1086. Cfr. altresì Cass.,sez. III, 27 luglio 2001, n. 10291, in Zacchia, 2002, 254

(12) App. Catania sez. II, 19 settembre 2005, in Giur. aetnea, 2005, 3, 10.

(13) In questo senso cfr. Cass., sez. III, 22 novembre 1991, n. 12546, inMonateri e Bona, Il danno alla persona, Padova, 1998, 238, in Giur. it.,1992, I,1, 1036.

(14) Cass., sez. III, 11 dicembre 2000, n. 15580, in Danno e responsabilità,2001, 587, con nota di Maninetti.

(15) Cass., sez. III, 6 novembre 1997, n. 10923, in Danno e responsabilità,1998, 230, con nota di Violante, in Resp. civ. prev., 1998, 71, con nota diZiviz.

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linga svolge all’interno del focolaio domestico, ruolo «cer-tamente non paragonabile» al «lavoro espletato dalla collabora-trice famigliare», attesa la «maggiore estensione ed intensità»dell’apporto della «madre di famiglia», cui «di norma» si ac-compagna «un senso di responsabilità ineguagliabile» (16).Anzi, com’è dato evincere dalla citata sentenza in M. e al-tri c. Cattolica Ass. coop. a.r.l. e altri, il risarcimento deldanno qui in esame può prescindere dallo svolgimento inconcreto di attività manuali di conduzione dell’ambientedomestico, essendo sufficiente che il soggetto assolva a ruo-li di direzione e di governo della casa.I giudici di legittimità, dunque, non solo hanno ampia-mente riconosciuto, tra l’altro con ampio ricorso alla pro-va presuntiva (in primis, l’id quod plerumque accidit) (17), larisarcibilità del danno patrimoniale in capo alla casalinga,ma hanno altresì delineato criteri piuttosto precisi in ordi-ne alla sua liquidazione. In particolare, giacché casalinga edomestica non possono essere poste sullo stesso piano, es-sendo l’ambito “lavorativo” della prima di gran lunga piùesteso e complesso, a partire dalle responsabilità e dalcoinvolgimento nell’ambito famigliare, la Cassazione hain più occasioni ritenuto corretta l’impostazione in base al-la quale, per stabilire il reddito figurato della casalinga, simuove dal reddito medio di una collaboratrice domestica, an-dando poi ad incrementare in via equitativa (in una misu-ra generalmente collocata intorno al 20%) siffatto para-metro di base alla luce delle maggiori funzioni alle quali lacasalinga assolve rispetto alla colf. In altri termini, perorientamento ormai consolidato della Suprema corte «nonè affatto improprio il riferimento al reddito percepito da una colfdi prima categoria quale parametro di valutazione del dannoreale inferto alla donna infortunata» (18), ma purché ciò av-venga «con gli adattamenti suggeriti dalla maggiore ampiezza dicompiti» (19). La Cassazione ha altresì riconosciuto la le-gittimità del ricorso, in via equitativa, al criterio offerto dalparametro del triplo della pensione sociale (20), ferma re-stando, comunque, la possibilità di assumere a riferimentoil parametro costituito dalla retribuzione media di una do-mestica.Larga parte della giurisprudenza di merito si è venuta a por-re nello stesso solco tracciato dalla Suprema Corte (21),sperimentando essenzialmente due parametri per la liqui-dazione del danno in questione, tra i quali, in via preferen-ziale, quello offerto dalla retribuzione di una domestica e, invia sussidiaria, il parametro minimo costituito dal triplodella pensione sociale. In D. e altri C. G. e altri, ad esempio, il Tribunale di Trevi-so (22) ha stabilito che al risarcimento del danno alla ca-pacità lavorativa della casalinga occorre procedere con li-quidazione tabellare, considerando il reddito figurativoannuo dell’infortunata (nella specie calcolato dal giudi-cante sulla base di lire 1.800.000 mensili, valore ritenutocongruo per quanto notorio in ordine al valore attuale,economico e sociale dell’attività di casalinga cui inerisceanche il governo direzionale della casa e l’organizzazionedella vita familiare), l’età del soggetto leso al tempo del si-nistro ed il relativo coefficiente di capitalizzazione tratto

dalle tabelle relative al censimento del 1981 pubblicate inQuaderni del C.S.M. detratto lo scarto tra vita fisica e vitalavorativa. A sua volta la Corte d’Appello di Napoli in S. c. Soc. Nuo-va Maa assicur. (23), ribadendo che i postumi permanentiche incidono, rendendolo più difficoltoso, sullo svolgimen-to della attività di una casalinga, costituiscono causa di undanno patrimoniale, ha affermato come siffatto pregiudiziovada «preferibilmente liquidato sulla base del reddito di una col-laboratrice domestica», lasciando tuttavia aperta, in assenzadella prova della entità di tale reddito, la strada del para-metro offerto dal triplo della pensione sociale.Sempre la giurisprudenza ha poi ritenuto che il principiodella risarcibilità del danno patrimoniale alla casalinga ed icriteri di valutazione appena delineati possono trovare ap-plicazione anche con riferimento al periodo di invaliditàtemporanea. In particolare, a questo riguardo si richiama quila sentenza del Tribunale di Venezia in N. c. P. e altri (24),che, in un caso di gravidanza non programmata, ha ritenu-to risarcibile in capo alla casalinga, con riferimento al pe-riodo di cd. astensione obbligatoria dal lavoro, anche ildanno patrimoniale da lucro cessante, costituito dal mag-giore affaticamento e dalla maggiore attenzione al lavorodomestico, in esso compresi l’esclusione dei lavori più pe-santi, prima del parto, ed un necessario minore impegno indetti lavori, dopo il parto, stante l’evidente e necessariotempo da dedicare al neonato, con sottrazione alle altre in-combenze domestiche. Secondo questo indirizzo, dunque,non è strettamente necessaria, al fine del risarcimento deldanno in questione, la dimostrazione di un danno emer-gente derivante dai costi di una collaboratrice domesticaimpiegata in qualità di sostituita durante il periodo di con-valescenza.Si rileva, infine, come la giurisprudenza abbia altresì affer-mato come i famigliari della casalinga deceduta possano agi-re per la perdita dell’apporto economico derivante dall’at-

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ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(16) Le espressione sono state tratte da Cass., sez. III, 22 novembre 1991,n. 12546, cit.

(17) È dato evincere dalla giurisprudenza come di fatto il risarcimento deldanno in questione abbia luogo a fronte della dimostrazione dello status dicasalinga, con variazioni del quantum debeatur in considerazione dellacomposizione del nucleo famigliare. Rimane ad ogni modo chiara l’im-portanza per l’attore di allegare ogni circostanza utile a meglio personaliz-zare il suo danno.

(18) Così Cass., 22 novembre 1991, n. 12546, cit.

(19) Cass., sez. III, 6 novembre 1997, n. 10923, cit.

(20) Cfr., ad esempio, F. e altri C. Soc. Unipol assicur. e altri, Cass. civ., sez.III, 10 settembre 1998, n. 8970, in Mass. giur. it., 1998.

(21) Cfr., ad esempio, App. Milano 26 febbraio 2002, in Giur. milan.,2002, 388.

(22) Trib. Treviso, 6 aprile 2000, in Arch. giur. circolaz., 2001, 43. Cfr. al-tresì Trib. Treviso 11 aprile 1996, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1996, 1002.

(23) App. Napoli 22 settembre 1998, in Riv. Giur. circolaz. e trasp., 2000,337.

(24) Trib. Venezia 10 settembre 2002, in Giur. di merito, 2002, f. 6.

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tività domestica svolta dalla vittima (25). In particolare,nel precedente C. e altri c. Soc. Uniass assicur. e altri (26) laSuprema Corte si è così espressa: «è noto che il diritto al ri-sarcimento del danno patrimoniale che spetta ai congiunti dipersona deceduta a causa di altrui fatto illecito, richiede l’accer-tamento che i medesimi siano stati privati di utilità economichedi cui già beneficiavano e di cui presumibilmente avrebbero con-tinuato a fruire in futuro. Costituisce, ora, danno patrimonia-le risarcibile a norma dell’art. 2043 c.c. quello subito dal mari-to e dal figlio minore per il decesso del congiunto (rispettiva-mente moglie e madre) a seguito di altrui fatto illecito anche nelcaso in cui quest’ultimo fosse stato privo di un effettivo redditopersonale. Tale danno, infatti, si concreta nella perdita, da par-te dei familiari, di una serie di prestazioni attinenti alla cura, al-l’educazione ed alla assistenza cui il marito ed il figlio avevanoed hanno diritto nei confronti della rispettiva moglie e madrenell’ambito del rapporto familiare stesso, prestazioni che sonoeconomicamente valutabili come qualsiasi altra attività corri-spondente al lavoro della donna casalinga, lavoro, peraltro, ca-ratterizzato da un ineguagliabile senso di responsabilità, nonchéda spirito di generoso adempimento dei doveri e di moglie e dimadre che le competono nella gestione della comunità familia-re. Va, di poi, considerato che il legislatore ha disatteso il con-cetto che per la liquidazione del danno patrimoniale debba farsinecessariamente riferimento ad un lavoro retribuito e ne è pro-va quanto statuito dall’art. 4 della L. 39-77 che ha codificatoun criterio minimo per la liquidazione del danno nel caso in cuiil reddito della persona non sia comprovabile con la documenta-zione di cui al comma I del predetto articolo. Tale norma, orbe-ne, può trovare certamente applicazione a favore di una donnache esplichi mansioni domestiche non retribuite materialmente,trattandosi di attività il cui reddito definito "figurativo" non èappunto comprovabile nei modi e termini di cui alla prima par-te della norma citata».Ciò ricordato, indubbiamente tra gli sviluppi più importan-ti della giurisprudenza più recente vi è da segnalare, in lineacon i precedenti sopra richiamati, la considerazione attri-buita alle attività di carattere domestico. Non solo la Cassa-zione ha ribadito la risarcibilità del danno patrimoniale incapo alla casalinga rilevando nuovamente che il diritto alrisarcimento di siffatto danno riposa sui principi di cui agliartt. 4 e 37 della Costituzione (che tutelano, rispettiva-mente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro, ed i diritti del-la donna lavoratrice) (27) e che tale danno sussiste anchenel caso in cui la casalinga sia solita affidare la parte mate-riale del proprio lavoro a persone estranee (28), ma, ha al-tresì asserito - questo il dato innovativo (29) - che qualun-que soggetto che perda in tutto od in parte la propria capa-cità di svolgere lavori domestici (nella specie, il single), inprecedenza effettivamente svolti in proprio favore, ha dirit-to al risarcimento del conseguente danno patrimoniale dicui dia prova, nelle forme del danno emergente ed, even-tualmente, del lucro cessante (30). Pare, dunque, doversitrarre da siffatta giurisprudenza come, laddove vi sia ade-guata prova, sia risarcibile anche il danno conseguente incapo al soggetto, che, vittima di lesioni personali e pur nonessendo un casalingo, non sia più in grado di svolgere atti-

vità rientranti nella sua vita domestica, come ad esempioassistere il proprio partner nella spesa, oppure nella condu-zione della casa, o in altre attività funzionali, come il giar-dinaggio o lavori di manutenzione e riparazione, ivi com-preso il bricolage (attività queste ultime che costituisconoun evidente risparmio economicamente apprezzabile peruna famiglia). Si pensi altresì al caso dello studente, che vi-ve fuori casa, oppure al single, che s’arrangia nella condu-zione della casa, affaticandosi tra attività lavorativa e in-combenze domestiche. In merito alla liquidazione del danno patrimoniale in capoalla casalinga la Cassazione, nei suoi precedenti più recen-ti, ha continuato a ritenere validi entrambi i criteri sopra ri-cordati. Infatti, ha ritenuto possibile il riferimento al crite-rio del triplo della pensione sociale di determinazione dellamisura del reddito previsto dall’art. 4 della legge 26 febbraio1977, n. 39 (oggi art. 137 Cod. ass. (31)), pur essendo ap-plicabile esclusivamente nei confronti dell’assicuratore del-la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei vei-coli e dei natanti: per i giudici di legittimità, infatti, siffattocriterio può essere utilizzato dal giudice, nell’esercizio delsuo potere di liquidazione equitativa del danno patrimo-niale conseguente all’invalidità quale generico parametrodi riferimento per la valutazione del reddito figurativo del-la casalinga (32). Parimenti, la Cassazione ha altresì avval-lato il secondo criterio, rilevando che, consistendo il dan-no in questione nella perdita di una situazione di vantaggioe non rimanendo esso escluso neanche dalla mancata sop-portazione di spese sostitutive, legittimo risulta il riferimen-to, nel relativo procedimento di liquidazione, al reddito diuna collaboratrice familiare, con gli opportuni adattamen-ti dettati dalla maggiore ampiezza dei compiti espletati dal-la casalinga (33).

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1077

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(25) Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1998, n. 8970, cit.; Cass., sez. III, 3novembre 1995, n. 11453, in Resp. civ. e prev., 1996, 957, con nota diMiotto. Cfr. altresì Trib. Milano 1 aprile 1993, in Corr. giur., 1993, 1219,con nota di Polotti di Zumaglia; Trib. Milano 16 luglio 1992, in Resp. civ.e prev., 1993, 348, con nota di Comandè.

(26) Cass., sez. III, 3 novembre 1995, n. 11453, cit.

(27) Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2005, n. 20324, in Arch. giur. circolaz.,2005, 1189; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2005, n. 2639, in Arch. giur. cir-colaz., 2005, 963, in Zacchia, 2005, 384; Cass. civ., sez. III, 13 gennaio2005, n. 572, in Danno e resp., 2005, 5, 564.

(28) Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2005, n. 572, cit.

(29) Rilevato anche da Chindemi, Il «nuovo» danno patrimoniale, cit.,385.

(30) Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2005, n. 4657, in Resp. civ. on line, 2005,in Arch. giur. circolaz., 2005, 576, in Foro it., 2005, 1, 2756, in Giur. it.,2005, 2054, in Arch. giur. circolaz., 2006, 2, 192.

(31) Sull’art. 137 del Codice delle Assicurazioni si rinvia a Bona, Il dannoalla persona nel Codice delle assicurazioni e nel nuovo processo civile, Milano,2006, 22 e ss.

(32) Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15823, in Mass. giur. it., 2005, inCED Cassazione, 2005.

(33) Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2005, n. 572, cit.

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IV. Danni patrimoniali da uccisioneSul punto la Suprema Corte ha confermato che in caso dimorte di un figlio in giovane età, ai fini del risarcimento deldanno patrimoniale ai genitori, si deve tenere in considera-zione l’apporto che la vittima avrebbe dato all’attività eco-nomica del padre, allorché tale apporto non si fondi susemplici speranze o su ipotetiche eventualità, ma su una ra-gionevole previsione, affidata ad un criterio di ponderataprobabilità, alla stregua di una valutazione che faccia ricor-so anche alle presunzioni e ai dati ricavabili dalla comuneesperienza, con riguardo a tutte le circostanze del caso con-creto (34).

V. Spese medicheSul tema, per semplificare, si distinguerà tra spese già af-frontate al momento dell’instaurazione del giudizio e spesefuture, cioè che si prospettano dopo la decisione del caso.In merito alla prova delle prime va debitamente segnalatala sentenza n. 8827/2003 (35), che ha affermato che nel ca-so di liquidazione delle spese affrontate in diciotto anni daigenitori del minore cerebroleso per la necessaria, pressochécostante, assistenza dello stesso, incapace di svolgere anchele più elementari funzioni, è in re ipsa l’impossibilità ovverola grande difficoltà (sufficiente ad integrare i presupposti dicui all’art. 1226 c.c.) di provare nel loro preciso ammonta-re l’entità delle spese affrontate. Per i giudici di legittimitàappartiene invero alle nozioni di comune esperienza che inipotesi siffatte si impongano esborsi straordinari per soddi-sfare le più variegate esigenze, spaziandosi dai necessariadattamenti della casa di abitazione ai presidi sanitari, dagliaccorgimenti particolari per l’alimentazione e l’igiene per-sonale alla vigilanza (costante) ed alle cure, con inevitabi-le pervasione di ogni aspetto dell’esistenza di chi si occupidel soggetto, anche sotto il profilo strettamente economi-co; sicché la predisposizione delle “prove” delle spese di tra-durrebbe nell’impossibile (o gravemente difficoltosa) con-tabilizzazione della vita stessa, inesigibile soprattutto daparte di chi abbia preoccupazioni ben più incombenti diquella costituita dalla imputazione di ogni singola erogazio-ne di denaro, tra l’altro non sempre documentabile e nonsempre univocamente collegabile alla situazione che la ab-bia provocata (36). In merito ai danni futuri la Cassazione ha ribadito la pienarisarcibilità del danno patrimoniale futuro corrispondenteai costi che il danneggiato dovrà sostenere per sottoporsiad un intervento chirurgico necessario per migliorare lafunzionalità di un arto danneggiato a seguito di un illecitoposto in essere da un terzo (37). Il risarcimento di siffattevoci di danno è ovviamente determinato dalla prova for-nita. Nei casi di macrolesioni non è tuttavia difficile di-mostrare la sussistenza di spese ragionevolmente prevedi-bili in futuro. In realtà il problema, che ad oggi non anno-vera precedenti della Suprema corte, è in quale misura sidebba tenere conto delle prestazioni che possono essere re-se dal S.S.N. e se la disponibilità del servizio pubblico pos-sa condurre a ridurre se non escludere del tutto, come tal-volta è sostenuto negli elaborati di taluni medici legali, la

configurabilità del danno in questione. Al riguardo, do-vrebbe ritenersi iniquo non assegnare al danneggiato un’a-deguata copertura economica, che gli permetta in futurodi affrontare con serenità, completezza e senza lunghe at-tese e trafile burocratiche i costi necessari alla sua cura eassistenza. Del resto, la circostanza che alcune spese possa-no essere passate dal S.S.N. non dovrebbe costituire undato determinante e dirimente, a partire dal fatto che la si-tuazione economica attuale e gli indirizzi in materia di as-sistenza sanitaria ed infermieristica domiciliare denotanocome alcuna certezza sia garantita su questo versante. No-tori sono altresì i lunghi tempi di attesa che i macrolesi sitrovano a fronteggiare per ricevere i benefici del S.S.N.,peraltro sempre di più limitati anche a livello di qualità (sipensi, ad esempio, alle protesi oppure alle carrozzine, che ilS.S.N. mette a disposizione dei danneggiati: si tratta nellamaggior parte dei casi di modelli basilari e privi di confor-ti anche essenziali; anzi, talvolta le attrezzature e le protesidel S.S.N. risultano addirittura vetuste, di gran lunga infe-riori di qualità rispetto a quelle che la vittima, disponendodi adeguate risorse economiche, può procurarsi privata-mente).

VI. Danni alla persona e da uccisione: la giurisprudenza della Corte di StrasburgoDi notevole interesse sul versante dei danni patrimonialida lesioni personali e da uccisione risultano alcune pro-nunce rese dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ri-cordandosi qui incidentalmente l’obbligo delle corti italia-ne di conformarsi alla giurisprudenza di Strasburgo (38). LaCorte in questione denota un approccio piuttosto flessibilequanto alle prove richieste per il riconoscimento dei dannipatrimoniali. Ad esempio, come emerge dal precedente Ö.v. Turkey (2002), le spese funeratizie sono ritenute risarci-bili anche in assenza di una prova specifica, cioè di provadocumentale, ciò su una “equitable basis”. Il principio dellavalutazione in via equitativa, con conseguente attenuazio-ne del carico probatorio gravante sui ricorrenti, trova altre-sì applicazione costante con riferimento alla perdita delsupporto economico subito dalle vittime secondarie nei ca-si di danni da uccisione (“loss of support”, “loss of earnings”,“loss of income” o “loss of potential financial support”), adesempio laddove la vittima primaria sia un disoccupato o,comunque, non sia possibile offrire adeguata prova dell’en-tità del reddito percepito. Al riguardo si segnala in partico-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061078

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(34) Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005, n. 8002, in Resp. civ. on line, 2005,660.

(35) Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827, in Giur. it., 2004, 1129, inDanno e resp., 2003, 8-9, 819.

(36) Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827, cit. Cfr. inoltre Cass. 1dicembre 1999, n. 13358, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2000, 723

(37) Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2005, n. 16225, in Resp. civ., 2005, 12,1042.

(38) Su questo specifico profilo si rinvia amplius a Bona, Il danno alla per-sona nel Codice delle assicurazioni e nel nuovo processo civile, cit., 375 e ss.

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lare il precedente V. v. Bulgaria (2000) (39), che prendevale mosse dal decesso di uno zingaro, marito e padre di tre fi-gli. La ricorrente aveva allegato come il marito fosse il prin-cipale sostegno economico della famiglia, rilevando tutta-via di non essere in grado di fornire alcuna prova docu-mentale attestante il supporto fornito dal de cuius, attesoche questi prestava i suoi servizi in cambio direttamente dibeni o di alimenti e, quindi, il profilo reddituale della suaattività non poteva essere in alcun modo documentato, co-me del resto per la maggior parte degli zingari residenti inBulgaria, costretti ad accettare lavori in nero. Nello specifi-co la ricorrente aveva posto in luce che, se in casi come ilsuo si fosse richiesta, quale requisito imprescindibile, unaprova documentale, non sarebbe stato allora mai possibileprocedere ad alcun risarcimento a favore di vittime rom oaltre consimili tipologie di vittime. La Corte, convinta cheeffettivamente la ricorrente si trovasse a sostenere un pre-giudizio economico (cioè che questa “must have suffered pe-cuniary damage in the form of loss of income”) ha gestito la so-luzione del caso “on an equitable basis”: “the Court notes thatthe applicant’s claim is based on the fact that she was living withMr T. and that, as alleged by her, he was providing for the fa-mily, and would have continued to do so if he were alive”.

VII. Il danno da perdita di chanceLa giurisprudenza degli ultimi anni ha altresì confermato larisarcibilità del danno da perdita di chance economicamen-te apprezzabili, senza aggiungere nulla di nuovo ai principigià affermati. La Suprema corte ha così ricordato che il cre-ditore che voglia ottenere, oltre al rimborso delle spese so-stenute, anche i danni derivanti dalla perdita di «chances»- che, come concreta ed effettiva occasione favorevole diconseguire un determinato bene, non è una mera aspettati-va di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridica-mente ed economicamente suscettibile di autonoma valu-tazione - ha l’onere di provare, pur se solo in modo presun-tivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione inconcreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento delrisultato sperato e impedito dalla condotta illecita dellaquale il danno risarcibile deve essere conseguenza imme-diata e diretta (40). In altri termini, per la Cassazione ai fi-ni della risarcibilità del pregiudizio in questione è necessa-rio che sia dimostrata la sussistenza di una probabilità nontrascurabile di conseguire il risultato utile anche secondo uncalcolo di probabilità o per presunzioni, ma pur sempre al-legando specifiche circostanze di fatto (41).

VIII. Pregiudizi pecuniari e equo indennizzo ex art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89Capitolo a parte è costituito dal danno patrimoniale risar-cibile ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89/2001, tema al qua-le la Cassazione ha dedicato più pronunce negli ultimi an-ni. In particolare, i giudici di legittimità hanno tenuto a ri-marcare come il danno patrimoniale risarcibile in applica-zione di tale norma sia soltanto quello configurabile qualeconseguenza della violazione del diritto della parte alla ra-gionevole durata del processo, cioè quello arrecato dal pro-

lungarsi della causa oltre il termine ragionevole, che costi-tuisce l’effetto immediato e diretto di tale ritardo al qualedeve ricollegarsi sulla base di una normale sequenza causa-le (restando a carico della parte che agisce per il suo rico-noscimento l’onere di dimostrare rigorosamente il pregiu-dizio patrimoniale lamentato), mentre non è da conside-rarsi tale il danno subito dalla parte vittoriosa a cagione delperdurare del fatto lesivo della parte soccombente, né quel-lo - da inadempimento o da illecito extracontrattuale - dicui si controverte nella causa antecedente, il cui soddisfaci-mento dipende unicamente dall’esito della causa e il cui ri-tardo pregiudizievole può essere fatto valere nella causasuddetta, né quello costituito dalle spese e dagli oneri soste-nuti in detto procedimento per far valere il proprio dirittoleso, ma unicamente lo specifico pregiudizio che sia deriva-to alla parte dal fatto che la controversia si è eccessivamen-te protratta nel tempo e che la sua soluzione è stata ottenu-ta con ingiustificato ritardo ovvero non è stata ancora con-seguita pur essendo trascorso un lasso di tempo ritenutodalla legge irragionevole (42). La Cassazione ha altresì affermato il danno patrimoniale ri-sarcibile per l’eccessiva durata dei processi, pur essendo cir-coscritto esclusivamente alle conseguenze negative sul pa-trimonio della parte derivanti, in via immediata e diretta,dal prolungarsi della causa oltre il suo termine ragionevole,comprende anche il pregiudizio subito per perdita di “chan-ces”, se l’interessato dimostra, pur se solo in modo presunti-vo o secondo un calcolo di probabilità, che la indebita pro-trazione del processo ha impedito il verificarsi di concreteed effettive occasioni suscettibili di procurargli risultatieconomici (43).

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1079

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(39) Cfr. altresì Ö. and Others v. Turkey, 2004.

(40) Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1752, in Guida al Diritto, 2005,9, 91, in Zacchia, 2005, 385, in Arch. giur. circolaz., 2005, 827.

(41) Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2005, n. 711, in Guida al Diritto, 2005,16, 53, con nota di Madeo. Cfr. altresì App. Roma 15 febbraio 2005, inResp. civ., 2005, 569.

(42) Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2005, n. 1094, in Mass. giur. it., 2005 (inapplicazione di tale principio, la S.C. ha cassato il decreto impugnato che,con riferimento alla ritenuta violazione del termine di durata ragionevo-le di una controversia di lavoro avente ad oggetto l’impugnativa di un li-cenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro, senza considerare lanatura risarcitoria dell’obbligo gravante sul datore di lavoro, qualora ven-ga accertata la illegittimità del licenziamento, e senza valutare, ai fini del-la quantificazione del danno, l’esito del giudizio irragionevolmente pro-trattosi, aveva riconosciuto al datore di lavoro, a titolo di danno patrimo-niale, l’importo delle indennità corrisposte al lavoratore, "ex" art. 18 del-la legge 20 maggio 1970, n. 300, per l’accertato periodo di irragionevoledurata del processo, attribuendo in tal modo al giudizio di equa riparazio-ne la funzione di un mezzo attraverso il quale replicare il merito della pre-cedente controversia); Cass. civ., sez. I, 2 marzo 2005, n. 4451, in Mass.giur. it., 2005 (nella specie, il ricorrente, nel lamentare l’eccessiva duratadi un giudizio di reintegrazione nel possesso, aveva chiesto il risarcimentodel danno consistente nel lucro cessante derivante dalla indisponibilitàdell’immobile per tutto il corso della causa); Cass. civ., sez. I, 16 febbraio2005, n. 3118, in CED Cassazione, 2005; Cass. civ., sez. I, 26 aprile 2005,n. 8603, in CED Cassazione, 2005.

(43) Cass. civ., sez. I, 28 settembre 2005, n. 18953, in Impresa, 2005,1568, con nota di Pezzi.

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In merito alla risarcibilità del danno da perdita di chancesda durata eccessiva del processo va segnalato peraltro, an-corché risalente, un precedente della Corte di Strasburgo,che ha per l’appunto accolto la categoria del danno da per-dita di chance, “loss of opportunity” nell’accezione inglese. Ilriferimento è in particolare al caso M. M. v. Portugal (44).Nel caso di specie, il ricorrente, che aveva riportato dellegravi lesioni personali in un sinistro stradale, aveva adito, aisensi dell’art. 6 (1), la Corte per l’eccessiva durata dei pro-cedimenti (il primo grado era stato instaurato nel 1977; ladecisione finale della Corte suprema era intervenuta nel1987, dieci anni dopo). Il ricorrente lamentava, tra le varievoci di danno, di non essere stato in grado di conseguire inconcreto il risarcimento che gli sarebbe spettato in base al-la sentenza definitiva della Suprema corte, poiché al mo-mento dell’esecuzione della decisione era emerso che lacompagnia assicuratrice ormai da tempo era stata messa inliquidazione e, infine, nel 1988 era stata dichiarata insol-vente. Questa situazione aveva costretto il ricorrente acontrarre degli ingenti prestiti per le sue cure mediche, conla conseguenza di trovarsi esposto a sostenere gli interessiconnessi. La Corte, pur ritenendo che non sussistesse alcu-na certezza che una minore durata delle diverse fasi di giu-dizio sarebbe stata tale da permettere al ricorrente di otte-nere il risarcimento accordatogli, ha comunque conclusocome il medesimo fosse stato privato della possibilità di evi-tare la contrazione di prestiti, riconoscendo dunque comerisarcibile il danno, di natura pecuniaria, da “loss of opportu-nities”.

IX. Danno patrimoniale e compensatio lucri cum damnoSul tema la giurisprudenza ha ribadito i principi già conso-

lidati, e cioè che, perché possa applicarsi il principio dellacompensatio lucri cum damno, è necessario che il vantaggioeconomico sia arrecato direttamente dal medesimo fattoconcreto che ha prodotto il danno. Dunque, la Cassazioneè tornata ad affermare che dall’importo liquidato a titolodi risarcimento del danno alla persona (patrimoniale obiologico) non può essere detratto quanto già percepitodal danneggiato a titolo di pensione d’inabilità o di rever-sibilità, oppure a titolo di assegni, di equo indennizzo, o diqualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o al-l’invalidità: per i giudici di legittimità, infatti, tali eroga-zioni si fondano su un titolo diverso rispetto all’atto illeci-to, e non hanno finalità risarcitorie (45). Sulla scorta del-lo stesso principio la Cassazione ha affermato che, qualorala cosa danneggiata per effetto di riparazione acquisti mag-gior valore o, trattandosi di cosa produttiva, diminuiscanole spese di gestione, il relativo vantaggio - determinabiledal giudice in via equitativa - va detratto dal risarcimento,non rilevando che l’intervento eseguito (nella specie: rifa-cimento integrale di vasche ed argini di una salina in luo-go del restauro delle strutture danneggiate) fosse l’unicopraticabile, nonché economicamente meno dispendiosodi altri rimedi (46).

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061080

ITINERARI DELLA GIURISPRUDENZA

Note:

(44) (1988) 13 E.H.R.R. 517.

(45) Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2005, n. 17764, in Guida al Diritto,2005, 40, 62.

(46) Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2005, n. 13401, in CED Cassazione,2005.

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Svolgimento del processo... Omissis...

Motivi della decisioneI ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza,sono riuniti (art. 335 c.p.c.).Con l’unico mezzo di doglianza - deducendo la violazio-ne e la falsa applicazione delle norme di cui agli artt.2048 e 2697 c.c. - i ricorrenti principali criticano l’impu-gnata sentenza perché il giudice di secondo grado nonavrebbe tenuto conto del fatto che, potendo la responsa-bilità di cui all’art. 2048 c.c. essere esclusa dalla dimo-strazione di non avere potuto impedire il fatto, nella spe-cie detta prova non era stata fornita, sicché si sarebbedovuta affermare la presunzione di colpa per inosservan-za dell’obbligo di sorveglianza in quanto l’infortunio siera verificato nel tempo in cui la minore era affidata allascuola.Il motivo non può essere accolto.In tema di danno cagionato dall’alunno a se stesso, le Se-zioni Unite di questa Corte, intervenute a dirimere uncontrasto giurisprudenziale sulla questione, con la sen-tenza n. 9346/2002 hanno stabilito che la responsabilitàdell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha naturaextracontrattuale, bensì contrattuale, atteso, quanto al-l’istituto scolastico, che l’accoglimento della domanda diiscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievoalla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo ne-goziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazio-

ne di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievonel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolasti-ca in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare chel’allievo procuri danno a se stesso; e che - quanto al pre-cettore dipendente dell’istituto scolastico - tra insegnan-te ed allievo si instaura, per contatto sociale, un rappor-to giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume,nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educa-re, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza,onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno al-la persona.Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risar-cimento del danno da cd autolesione nei confronti del-l’istituto scolastico e dell’insegnante è applicabile il regi-me probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicché,mentre l’attore deve provare che il danno si è verificatonel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parteincombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso èstato determinato da causa non imputabile né alla scuo-la, né all’insegnante.Tanto premesso - pur dovendo questo giudice di legitti-mità, facendo uso dei poteri correttivi consentitigli dallanorma di cui all’art. 384, secondo comma c.p.c., precisa-re che nella specie si sarebbe dovuto fare applicazionenon della norma di cui all’art. 2048 c.c., ma dei principiin materia di responsabilità contrattuale per stabiliredella fondatezza o meno della pretesa risarcitoria avanza-ta dai ricorrenti principali - osserva questa Corte che,anche rispetto alla diversa qualificazione giuridica che

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1081

GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

Art. 2048 c.c.

La responsabilità per il danno da autolesioneCASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 18 novembre 2005, n. 24456Pres. Giuliano - Rel. Trifone - P.M. Gambardella (conf.) - N. R. ed altri c. Ministero dell’istruzione e dell’u-niversità ed altri

Responsabilità civile - Danno cagionato dall’allievo a se stesso - Responsabilità dell’istituto - Natura - Fattispecie.

(c.c. artt. 1218, 2048)

Nelle ipotesi di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità della scuola e dell’inse-gnante non ha natura extracontrattuale. Nei rapporti tra l’istituto scolastico e l’alunno, infatti, si in-staura un vincolo negoziale in seguito all’accoglimento della domanda d’iscrizione, mentre la partico-larità del ruolo assunto dal precettore fa sorgere a suo carico, per ‘contatto sociale’, un obbligo non so-lo di istruire ma anche di proteggere e vigilare sui minori. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da cd. autolesione è appli-cabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve provare che ildanno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di di-mostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola, né all’in-segnante.

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occorre dare all’azione esperita, la decisione di rigettonon è censurabile, in quanto risulta acquisita agli atti dicausa, secondo l’espresso accertamento compiuto dalgiudice del merito, la prova che nessun addebito di culpain vigilando o di altra omissione di doverose cautele disorveglianza può essere rivolto alla condotta dell’inse-gnante, cui al momento l’alunno era affidato, data la re-pentinità con cui l’incidente ebbe a verificarsi.La Corte territoriale, infatti, ha giudicato imprevedibilee, perciò, non prevenibile la improvvisa caduta dalla se-dia della piccola M. G., in ciò ravvisando la situazione ti-pica di esclusione di responsabilità consistente nel casofortuito, che, anche secondo i precedenti arresti di que-sto giudice di legittimità (Cass. n. 5668/2001; Cass. n.1683/97), si realizza qualora vi sia la dimostrazione che lavigilanza è stata svolta nella misura dovuta; che non èstata omessa l’adozione, in via preventiva, di misure or-ganizzative e disciplinari idonee ad evitare una situazio-ne di pericolo; che l’azione dannosa è stata in concretoimprevedibile e repentina.La decisione sul punto è conforme a legge ed è sorrettada adeguata e logica motivazione, rispetto alla quale i ri-correnti non evidenziano vizi logici, ma sostanzialmenterichiedono in questa sede l’inammissibile riesame delmateriale probatorio per farne derivare una conclusionediversa da quella cui è pervenuta la Corte napoletana.Il ricorso principale, pertanto, è rigettato e in tale pro-nuncia resta assorbito il ricorso incidentale della societàA. S.p.A., il cui esame la parte istante aveva espressa-mente condizionato all’accoglimento dell’impugnazioneprincipale.Con il primo motivo dell’impugnazione incidentale -deducendo la violazione delle norme di cui agli art. 112e 100 c.p.c. e 61, secondo comma della legge n. 312 del1980 - la ricorrente incidentale P. S. lamenta che il giu-dice di secondo grado, pure avendo riconosciuto l’appli-cabilità a suo favore del suddetto art. 61, non ha dichia-rato anche la sua carenza di legittimazione passiva in re-lazione alla domanda di accertamento della sua respon-sabilità.Il motivo non è fondato, poiché non sussiste l’interessedella ricorrente incidentale ad impugnare la sentenzadella Corte napoletana.La quale, infatti, nella lettura che occorre farne nel col-legamento tra motivazione e dispositivo, mentre in mo-tivazione ha espressamente precisato che nei confrontidi P. S. non era stata proposta alcuna istanza risarcitoriae che, comunque, se detta domanda fosse stata proposta,si sarebbe reso necessario, in applicazione della norma dicui all’art. 61, secondo comma della legge 11 luglio1980, n. 312, negare la sua legittimazione a contraddire;in dispositivo, poi, indicando che veniva accolto l’appel-lo del Ministero, avente ad oggetto proprio l’accerta-mento dell’assenza di colpa dell’insegnante, ha logica-mente ed implicitamente ribadito, ancorché con formu-lazione letterale non del tutto perspicua, che anche l’ap-pello incidentale della S., esso pure avente ad oggetto

l’accertamento negativo di ogni sua culpa in vigilando,veniva accolto.Del resto, la pronuncia accessoria sulle spese dell’interogiudizio, che ha riguardato anche la posizione della S.,non sarebbe altrimenti giustificata ove il giudice d’ap-pello avesse veramente omesso di provvedere sul suo ap-pello incidentale.Con il secondo motivo dell’impugnazione incidentale -deducendo la violazione della norma di cui all’art. 91c.p.c. - la stessa ricorrente incidentale denuncia che, inconseguenza della carente sua legittimazione passiva, ilgiudice del merito avrebbe dovuto condannare gli attoriin prime cure alle spese a suo favore di entrambi i gradidel giudizio.Anche questa censura, la quale investe la decisione ditotale compensazione delle spese dell’intero giudizio,non può essere accolta.La pronuncia di totale compensazione è stata adottatanella ritenuta sussistenza dei giusti motivi (art. 92, se-condo comma c.p.c.), dei quali l’impugnazione non as-sume l’insussistenza né denuncia l’inconsistenza o l’evi-dente erroneità.È giurisprudenza costante, infatti, che in tema di speseprocessuali la valutazione dell’opportunità della com-pensazione totale o parziale delle stesse rientra nei pote-ri discrezionali del giudice di merito; non richiede speci-fica motivazione; quale espressione di un potere discre-zionale, attribuito dalla legge, è incensurabile in sede dilegittimità, salvo che non risulti violato il principio se-condo cui le spese non possono essere poste a carico del-la parte totalmente vittoriosa ovvero che la decisionedel giudice di merito sulla sussistenza dei giusti motivi siaaccompagnata dall’indicazione di ragioni palesementeillogiche, tali da inficiare lo stesso processo formativodella volontà decisionale espressa sul punto.Anche il ricorso incidentale di P. S. è, quindi, rigettato.... Omissis...

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GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

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Nella sentenza in esame i giudici riconducono la re-sponsabilità dell’istituto scolastico, e del precetto-re, nell’ambito della responsabilità contrattuale - enon più della responsabilità extracontrattuale - conla conseguente applicazione di un diverso onereprobatorio. L’orientamento è giustificabile per l’at-tenuazione dell’onere probatorio in capo al danneg-giato, ma rischia di determinare regimi giuridicidifferenti (e relativi oneri probatori) per fattispe-cie simili.

La decisione in epigrafe si conforma all’orientamentogiurisprudenziale a tenore del quale la responsabilità dell’i-stituzione scolastica e dell’insegnante, in caso di danno ca-gionato dall’allievo a se stesso, ha natura contrattuale (daultimo, Cass. 11 novembre 2003, n. 16947, in Foro it.,2004, I, 426, con nota di F. Di Ciommo).

La qualificazione della responsabilità dell’istitutoscolastico (e del precettore) sottende profili giuridici af-fatto delicati, che hanno visto l’avvicendarsi di interpre-tazioni giurisprudenziali contrastanti. I termini della que-stione risalgono ad un precedente del 1958, quando i giu-dici della Suprema Corte si trovarono di fronte all’ine-splorato (per allora) dilemma inerente all’applicazionedell’art. 2048 c.c. al caso di danno cagionato dall’allievo ase stesso (Cass. 10 luglio 1958, n. 2485, in Foro it., Rep.1958, voce Responsabilità civile, n. 211): nella decisione ci-tata i giudici, con semplicità disarmante, considerarono lanorma applicabile al solo caso di danno ingiusto causatodall’allievo ad un terzo (in dottrina sulla responsabilità exart. 2048, ex multis: M. Comporti, Fatti illeciti: le responsa-bilità presunte (art. 2044-2048), Milano, 2002, XII-336; L.Bigliazzi Geri - F. D. Busnelli - U. Breccia - U. Natoli, Di-ritto civile, vol. III, Obbligazioni e contratti, Torino, 2002,747; M. Comporti, Nuovi orientamenti giurisprudenziali sul-la responsabilità di genitori ex art. 2048 c.c., in questa Rivi-sta, 2002, 353; R. Settesoldi, La responsabilità civile dei pre-cettori e dei maestri d’arte: i consolidati orientamenti giuri-sprudenziali e quelli in via di emersione, in Resp. civ., 1999,959; G. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile,Padova, 1999, 657; M. Franzoni, Dei fatti illeciti, in Com-mentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 351). Trale recenti pronunce che hanno privilegiato un’interpreta-zione restrittiva dell’art. 2048 si segnala Cass. 13 maggio1995, n. 5268, in Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 135, amente della quale la norma trova applicazione esclusiva-mente ai casi in cui l’incapace cagioni ad altri un dannoingiusto, non anche nell’ipotesi in cui l’incapace si procu-ri una lesione, tenuto conto, altresì, che la prova liberato-ria, prevista dal comma 3, va opposta al terzo danneggia-

to, non già all’incapace che si sia autoprocurato un pre-giudizio.

A fronte di tale filone giurisprudenziale si era poi deli-neato un orientamento meno rigoroso, che ha ritenuto ap-plicabile l’art. 2048 anche all’ipotesi dell’allievo che si pro-cura un danno: Cass., sez. un., 3 febbraio 1972, n. 260, inForo it., 1972, I, 3522; Cass. 1° agosto 1995, n. 8290, ivi,Rep. 1995, voce cit., n. 110; Cass. 7 agosto 1997, 7454, ivi,Rep. 1997, voce Istruzione pubblica, n. 493.

Nemmeno a dirlo, la portata dei diversi orientamentigiurisprudenziali ha inevitabili ricadute sul piano della ri-partizione dell’onere della prova: aderendo al primo, la par-te che chiede il risarcimento dovrà dimostrare tutti gli ele-menti costitutivi del fatto illecito secondo le disposizionidall’art. 2043 c.c.; alla stregua del secondo, invece, la partepotrà beneficiare della presunzione di colpa di cui all’art.2048. Invero, una delle ragioni che hanno indotto partedella giurisprudenza a privilegiare l’orientamento meno re-strittivo è rappresentata da istanze garantistiche, volte asollevare il genitore dall’onere di dover dimostrare la colpa(F. Di Ciommo, Danno allo scolaro e responsabilità quasi og-gettiva della scuola, ivi, 1999, I, 1575).

A dirimere l’annosa questione è intervenuta, da ulti-mo, Cass., sez. un., 27 giugno 2002, n. 9346, ivi, 2002, I,2636, con nota di F. Di Ciommo, La responsabilità contrat-tuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procu-ra da sé: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c.; in temav. pure P. Morozzo della Rocca, Le sezioni unite sul danno ca-gionato al minore da se stesso, in Corr. giur., 2002, 1293, non-ché G. Facci, Minore autolesionista, responsabilità del precet-tore, e contatto sociale, in Resp. civ., 2002, 1022. Suggestiva,a tacer d’altro, la soluzione adottata dai giudici. Dopo aversgombrato il campo da qualsiasi dubbio sulla inapplicabilitàdell’art. 2048 c.c. all’ipotesi di danno autoinflitto dal mino-re, la Corte ha stabilito che la responsabilità dell’ente sco-lastico ha natura contrattuale: con la presentazione delladomanda di iscrizione a scuola - e la conseguente ammis-sione dell’allievo - s’instaura un vincolo di natura negozia-le che fa nascere l’obbligo dell’istituto di vigilare sull’inco-lumità e integrità dell’allievo durante le ore in cui fruiscedella prestazione scolastica. I giudici specificano, inoltre,che anche tra insegnante - dipendente dell’istituto scolasti-co - ed allievo sorge, per contatto sociale, un rapporto giu-ridico in virtù del quale l’insegnante assume non solo l’ob-bligo di istruire l’allievo, bensì anche quello ulteriore diprotezione e di vigilanza. L’esito è lo spostamento della re-sponsabilità dell’istituzione scolastica e dell’insegnante perdanno cagionato dal minore a se stesso dal piano extracon-trattuale a quello contrattuale, con conseguente applicazio-ne del regime probatorio previsto dall’art. 1218 c.c.

I principi sopra enunciati sono stati seguiti, alla lette-ra, nella sentenza in epigrafe. I giudici, facendo uso dei po-

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GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

DANNO AUTOPROCURATOSI DALL’ALLIEVO E RESPONSABILITA’DELL’ISTITUTO SCOLASTICO

di Valentina V. Cuocci

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teri correttivi conferiti ex art. 384 c.p.c., precisano che nel-la specie non doveva farsi applicazione dell’art. 2048, madei dettami in materia di responsabilità contrattuale perstabilire la fondatezza della pretesa risarcitoria. In ogni ca-so, la diversa qualificazione giuridica fornita dalla Corte dilegittimità non osta al rigetto della domanda di risarcimen-to: sulla base di accertamenti di fatto espletati nella fase dimerito, non sussistono, comunque, gli estremi della culpa invigilando dell’insegnante poiché l’azione dannosa è stata inconcreto repentina e non prevedibile (nella specie, cadutadalla sedia dell’allieva). Sul punto, la S.C. ha richiamatoun principio consolidato in giurisprudenza a tenore delquale deve essere esclusa la responsabilità - ravvisando gliestremi del caso fortuito - tutte le volte in cui il danno si èverificato in conseguenza di un’azione non prevedibile e re-pentina, nonostante il dovere di vigilanza sia stato assoltonella misura dovuta e siano state adottate tutte le misureorganizzative idonee ad evitare eventuali situazioni di peri-colo (in tal senso Cass. 18 aprile 2001, n. 5668, in Foro it.,2001, I, 3099, con nota di F. Di Ciommo; Cass. 24 febbraio

1997, n. 1683, ivi, Rep. 1997, voce Responsabilità civile, n.152).

L’orientamento seguito dalla S.C. è giustificabile, nonfoss’altro per l’attenuazione dell’onere probatorio in capo aldanneggiato, ma che rischia di determinare regimi giuridi-ci differenti (e relativi oneri probatori) per fattispecie pros-sime: se l’alunno cagiona a se stesso un danno, la responsa-bilità del precettore ha natura contrattuale; se, nel medesi-mo contesto, subisce un danno ad opera di un terzo, la re-sponsabilità del precettore ha natura extracontrattuale (sulpunto v. le osservazioni formulate da Facci, Minore autole-sionista, cit., 1033).

Va segnalata, da ultimo, Cass. 30 marzo 2005, n. 6723(in questa Rivista, 2005, 1171, con nota di V. Gaffuri, Re-sponsabilità degli insegnanti per culpa in vigilando e difetto dilegittimazione passiva), che ribadisce il difetto di legittima-zione passiva dell’insegnante (dipendente dell’istituto sco-lastico), ai sensi della legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 61,comma 2, in caso di danno subito dall’allievo sotto la sua(mancata) vigilanza.

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GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

IL DEBOLE CONFINE TRA LA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALEE LA RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE: IL “CONTATTO SOCIALE”

IN AMBITO SCOLASTICOdi Teresa Perna

Per classificare quale contrattuale o extracontrat-tuale la responsabilità a carico della scuola è neces-sario analizzare la relazione intercorrente tra que-st’ultima e l’alunno, non sembrando soddisfacentepreferire l’una o l’altra qualificazione solo in funzio-ne del tipo di danno (a terzi o a se stesso) su cui sicontroverte. Se si ammette, in coerenza con la più recente giuri-sprudenza, che tra istituto scolastico e alunno si in-staura ad origine un vincolo negoziale, anche nel ca-so in cui il soggetto passivo della condotta lesivanon sia lo stesso agente ma un altro studente, nonpotrà negarsi che tra le future parti in causa sussi-sta comunque un rapporto di natura contrattuale.Ci si domanda, quindi, entro quali limiti potrà an-cora ritenersi operante l’art. 2048, secondo commac.c.

Il fattoI genitori di un’alunna di scuola elementare citano in

giudizio il Ministero della pubblica istruzione e l’insegnan-te, a cui era stata affidata la minore, al fine di ottenere il ri-sarcimento per i danni a questa occorsi durante una lezio-ne.

Più precisamente, la bambina aveva riportato la frat-tura dei due denti incisivi superiori in seguito ad una cadu-ta dal banco scolastico, infortunio che, secondo gli attori,poteva essere evitato se solo la maestra, presente al mo-mento del fatto, non fosse venuta meno ai suoi doveri di vi-gilanza.

Il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva la tesi diparte attrice e attribuiva, così, la responsabilità dell’accadu-to alla docente per culpa in vigilando, con conseguente con-danna del Ministero convenuto al pagamento di quindicimilioni di lire, oltre interessi, rivalutazione e spese proces-suali.

La sentenza del giudice di prime cure veniva successi-vamente riformata dalla Corte d’appello di Napoli, in virtùdell’esimente di cui all’art. 2048, secondo comma c.c. inforza della quale i precettori «sono liberati dalla responsa-bilità soltanto se provano di non aver potuto impedire ilfatto».

Secondo tale prospettazione, la caduta e la frattura sa-rebbero stati conseguenze inevitabili di un movimento re-pentino e imprevedibile dell’alunna, la quale non aveva, si-no ad allora, tenuto alcuna condotta così vivace da doverfar presumere all’insegnante la probabilità che un taleinfortunio le potesse occorrere.

Sicché, il giudice sulla base del materiale probatorioraccolto ha ritenuto che il fatto non poteva essere in alcunmodo previsto e ancor meno impedito.

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La Cassazione aderisce a questa conclusione, anche seritiene necessario correggere, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., lamotivazione addotta dal giudice partenopeo.

In particolare, essa riconduce la fattispecie alla re-sponsabilità contrattuale, richiamando il principio enun-ciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9346 del 2002(1), in base al quale nelle ipotesi di danno autoprovocatodall’allievo, la responsabilità dell’istituto scolastico e deldocente trova il suo fondamento direttamente nell’art.1218 c.c., anziché nell’art. 2048, secondo comma c.c., de-stinato ad essere applicato solo quando l’alunno cagioni undanno a terze persone e non a se stesso.

Nonostante la riqualificazione giuridica operata, quin-di, i giudici di legittimità non censurano la decisione di ri-getto del giudice napoletano, dichiarando comunqueinammissibile la richiesta dei ricorrenti volta, in buona so-stanza, ad ottenere una nuova analisi del merito della que-stione.

Il rapporto intercorrente tra l’alunno e l’istituto scolastico

Ancora una pronuncia della Suprema Corte che aval-la l’ormai pacifico orientamento giurisprudenziale volto adefinire la responsabilità dei docenti nelle ipotesi in cui l’al-lievo cagioni un danno a se stesso.

Sono già trascorsi più di tre anni dall’approdo delleSezioni Unite con cui fu sancita la natura contrattuale del-la medesima e, sebbene non si sia mai tendenzialmente di-scostata dalla via battuta nel 2002, ancora una volta la Cas-sazione è dovuta intervenire per “correggere” in tale sensola motivazione in diritto del giudizio di merito.

Sia in primo sia in secondo grado i giudici avevano,infatti, percorso la via indicata dalle parti, le quali avevanopreferito ricondurre la presunta responsabilità di P. alle ipo-tesi di culpa in vigilando ex art. 2048 c.c..

Ciò su cui vorremmo soffermare la nostra attenzione,prende spunto, in particolar modo, da ciò che la sentenza inesame non dice.

Nonostante le numerose critiche a cui è stato sottopo-sto l’orientamento sposato dalla Cassazione nel 2002 (2), igiudici, nella pronuncia in oggetto, non sentono il bisognodi aggiungere alcunché a quanto addotto in precedenza,nemmeno per fini chiarificatori, ma si limitano a ricordareche le Sezioni Unite hanno già stabilito che «la responsa-bilità dell’istituto scolastico e dell’insegnate non ha naturaextracontrattuale, bensì contrattuale […] e che - quanto alprecettore dipendente dell’istituto scolastico - tra inse-gnante ed allievo si instaura, per contatto sociale, un rap-porto giuridico».

Nell’iter motivazionale della pronuncia i giudici han-no solo convertito l’inquadramento sistematico cui riferirela vicenda senza ulteriori riflessioni sulle ragioni alla base ditale assunto, sebbene siano stati avanzati molti dubbi inmateria.

Ecco i termini della questione.Per giungere alla medesima conclusione della Cassa-

zione è necessario, innanzitutto, accertare la natura con-

trattuale del rapporto, da cui emergerà una responsabilitànegoziale della scuola, pubblica o privata che sia, ex art.1228 c.c. per inadempimento cagionato da fatto del dipen-dente; in secondo luogo, si dovrà provare la sussistenza diun obbligo specifico, gravante sulla scuola e, quindi, sugliinsegnanti, di vigilare sull’integrità non solo dei terzi, maanche degli alunni stessi.

Ciò che, pertanto, qui viene in discussione è l’effetti-va sussistenza delle premesse di cui supra, dal momento chenel caso di specie nessuna pretesa risarcitoria è stata diret-tamente avanzata nei confronti del precettore, con la con-seguenza di rendere inutile l’applicazione della categoriadel “contatto sociale”.

Essa potrebbe trovare nuova linfa solo nel caso in cuiuna delle nostre premesse venisse a mancare, per cui il vin-colo contrattuale della Pubblica Amministrazione sorge-rebbe in seguito alla situazione di fatto instauratasi tra l’al-lievo e l’insegnante.

Appare superfluo, ai fini della seguente trattazione,soffermarci sull’annosa vicenda giurisprudenziale che hacondotto la Corte a ritenere inadeguata la disciplina ex art.2048 c.c. nelle ipotesi in cui il minore arrechi un danno ase stesso; numerosi ed autorevoli sono, infatti, i contributidottrinali sull’argomento ai quali si rinvia (3).

Ci si ripropone, piuttosto, di verificare ciò che in sen-tenza è ritenuto a tal punto pacifico da non essere oggettodi alcuna ulteriore precisazione, nonostante le voci discor-danti in dottrina e giurisprudenza.

Sappiamo che la via prescelta dalla Cassazione è il ri-

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GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

Note:

(1) Cass., sez. un., 27 giugno 2002, n. 9346, in Foro it., 2002, I, 2635, connota di Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) peril danno che il minore si procura da sé: verso il ridimensionamento dell’art. 2048cod. civ; in Corr. giur., 2002, 1287, con nota di Morozzo della Rocca, LeSezioni Unite sul danno cagionato al minore da se stesso; in Resp. civ. e prev.,2002, 1012; con nota di Facci, Minore autolesionista, responsabilità del pre-cettore e contatto sociale; in questa Rivista, 2003, 46, con nota di Lanotte,Condotta autolesiva dell’allievo: non risponde l’insegnante; in Nuova giur. civ.comm., 2003, I, 264, con nota di Barbanera, In tema di responsabilità degliinsegnanti statali; in Giust. civ., 2002, I, 2414; in Guida al dir., n. 28/2002,60; in Arch. civ., 2002, 1173; in Dir. e giust., n. 33/2002, 19; in Foro it.,Rep. 2002, voce Responsabilità civile, n. 257.

(2) Almeno per quanto concerne l’ambito scolastico. La prima applica-zione risale, invece, a qualche anno prima e investiva le fattispecie di re-sponsabilità medica: Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro it., 1999, I,3332, con note di Lanotte e Di Ciommo, nonché in Danno e resp., 1999,294, con nota di Carbone, La responsabilità del medico ospedaliero come re-sponsabilità da contatto; in Corr. giur., 1999, 44, con nota di Di Majo; in Re-sp. civ., 1999, 661, con contributo di Forziati; in Giust. civ., 1999, I, 1003,con nota di Giancalone; infine in Contratti, 1999, 999, con commento diGuerinoni.

(3) Ex multis: Di Ciommo, Danno "allo" scolaro e responsabilità "quasi og-gettiva" della scuola, in Foro it., 1999, I, 1558; Id., La responsabilità contrat-tuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura da sé: verso ilridimensionamento dell’art 2048 cod. civ., cit., 2635 ss.; Masala, Sull’applica-bilità dell’art. 2048 cod. civ., nel caso in cui l’allievo procuri un danno a se stes-so, in Riv. giur. sarda, 2002, 349 ss.; Pandolfini, Sulla responsabilità dei pre-cettori e dell’ente scolastico peri li danno cagionato dall’allievo a se medesimo, inGiur. it., 2000, 507; più recenti: Lanotte, Condotta autolesiva dell’allievo:non risponde l’insegnante, in Danno e resp., 2003, 46; Venturelli, Sulla re-sponsabilità del precettore ex art. 2048, secondo comma, c.c., ivi, 2004, 94.

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sultato del condivisibile tentativo di contemperare l’esi-genza di fornire una tutela quanto mai omogenea per le fat-tispecie in oggetto con l’imprescindibile rispetto per il det-tato normativo, nonché con l’attenzione, non meno im-portante, rivolta alla natura che stanno assumendo le rela-zioni tra i privati e la Pubblica Amministrazione.

In assenza di un percorso motivazionale suggerito dal-la stessa Corte di legittimità, in questa sede ci si riproponedi fornire un spunto di riflessione che, speriamo, possa rive-larsi utile al raggiungimento di una maggiore chiarezza si-stematica.

Innanzitutto, prendiamo in considerazione la naturadel rapporto tra istituto scolastico e alunni.

È noto che le Sezioni Unite del 2002 hanno ricondot-to tale relazione nell’alveo della disciplina contrattuale inbase all’osservazione per cui la presentazione della doman-da di iscrizione e il successivo suo accoglimento, con con-seguente ammissione dell’alunno nell’istituto, altro nonrappresentano che naturali fasi della stipulazione di uncontratto.

Eppure, fino ad allora in dottrina e in giurisprudenza siriteneva che l’iscrizione scolastica fosse da considerarsi unmero atto amministrativo; difatti, una volta accertata la sus-sistenza in capo all’alunno dei requisiti richiesti dalla leggeper la sua ammissione, la P.A. semplicemente concede al pri-vato di usufruire di un servizio, nello specifico il godimentodel diritto di accedere all’insegnamento pubblico (4).

D’altra parte, è evidente come le parti non abbiano al-cuna possibilità di determinare né il contenuto né gli effet-ti di un atto vincolante quale quello in esame e che, quin-di, si tratterebbe di un negozio giuridico privo dei suoi ele-menti essenziali.

In realtà, anche precedentemente, si riscontravanovoci discordanti che negavano la natura provvedimentaledell’accertamento costitutivo ai fini dell’iscrizione scolasti-ca (5) e la Corte ora, in buona sostanza, segue proprio lascia tracciata da tale orientamento e che recentemente hasuscitato nuovo interesse soprattutto in seguito ad un gene-rale ripensamento dei rapporti tra privato e P.A.

Ci si riferisce alle ben note ipotesi del paziente cheusufruisce dei servizi offerti da un ente sanitario (6), non-ché all’utente dell’autostrada nei suoi rapporti con la so-cietà di gestione (7).

Non sembra satisfattivo criticare la nuova qualifica-zione operata dalla Corte solo argomentando che l’ammis-sione dell’alunno è sempre stata considerata un mero ac-certamento costitutivo, soprattutto in vista della prevedibi-le espansione che avrebbe avuto (e che sta effettivamenteavendo) la complessiva riconsiderazione dei suddetti rap-porti.

Né può rinunciarsi ad apportare la migliore tutela allefattispecie di danno autoprovocato dall’alunno, quale pro-babilmente è quella contrattuale. Sarebbe, infatti, piutto-sto criticabile che la posizione processuale del minore chearrechi un danno a sé stesso sia così più gravosa a causa del-l’applicazione della disciplina ex art. 2043, nonostante sitratti comunque di soggetti affidati alla sorveglianza del

personale scolastico, che, pertanto, dovrebbe rispondere aldi là di ogni imputazione per colpa (salvo le ipotesi di casofortuito) (8).

Le perplessità più rilevanti possono, semmai, riguarda-re la coerenza interna al nostro ordinamento vista l’anoma-la concorrenza di una responsabilità contrattuale della P.A.(ove l’alunno si autocagioni un danno) con una responsa-bilità aquiliana della medesima (per danni arrecati dall’a-lunno a terzi).

Ebbene, da più parti ci si è interrogati sul perché «l’ob-bligazione ex contractu non sia idonea a tutelare i terzi cheentrano in contatto con l’alunno, posto che la loro posizio-ne non può essere valutata differentemente, nell’ottica del-l’interesse alla protezione, da quella che fa capo al discepo-lo» (9), considerando anche che «spesso non è facile di-stinguere tra danno autoprocuratosi dal minore e danno ca-gionato al minore da altro minore. In entrambi i casi pro-spettati, l’affidamento nella capacità e nella professionalitàdel precettore è identico» (10).

Appare, in effetti, paradossale e francamente illogicoche la natura contrattuale o extracontrattuale della respon-sabilità dipenda dalle modalità concrete con cui è stato ca-gionato il danno, piuttosto che dal rapporto instauratosi trale parti. Più chiaramente: se tra alunno e istituto scolastico

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061086

GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

Note:

(4) In dottrina: De Francesco, L’ammissione della classificazione degli attiamministrativi, Milano, 1926; Galateria - Stipo, Manuale di diritto ammini-strativo, Torino, 1998, 384; Corpaci, Ammissioni, in Dig. pubbl., vol. I, To-rino, 1987, 253; Italia - Landi - Potenza, Manuale di diritto amministrativo,Milano, 2002, 159; Lanotte, Condotta autolesiva dell’allievo: non rispondel’insegnante, cit., 54; Perini, Osservazioni sull’accertamento costitutivo nel di-ritto amministrativo, Padova, 1953; Resta, Ammissione, in Nuoviss. Dig.,Torino, 1974, 576; Vignocchi, Gli accertamenti costitutivi nel diritto ammi-nistrativo, Milano, 1950; Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Na-poli, 1989, 608; Virga, Diritto amministrativo, II, Atti e ricorsi, Milano,1999, 20; Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1952, 210; Zot-ta, Gli accertamenti costitutivi nel quadro degli atti amministrativi, in Riv. dir.pubbl., 1040, I, 135. In giurisprudenza fra tutte: Cass., sez. un., 9 aprile1973, n. 997, in Resp. civ. e prev., 1973, 262.

(5) Giannini, Accertamento (dir. cost. e amm.), in Enc. dir., 1958, I, 219;Greco, Provvedimenti amministrativi costitutivi di rapporti giuridici fra privati,Milano, 1977, 75.

(6) Autorevolmente: Cass., sez. un., 7 agosto 2001, n. 10893, in Giur. it.,2002, 1065.

(7) Cass. 13 gennaio 2003, n. 298, in Corr. giur., 2003, 1165, con note diPietrobon, Custodia delle autostrade e responsabilità del gestore, e Di Vito,Natura del pedaggio autostradale e responsabilità del concessionario nei con-fronti degli utenti.

(8) Per chiarimenti sulla rilevanza dell’imprevedibilità dell’eventus damni:Cass. 13 maggio 1995, n. 5268, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, 239,con nota di Zaccaria, Sulla responsabilità civile del personale scolastico per idanni sofferti dal minore; Cass. 24 febbraio 1997, n. 1683, in questa Rivista,1997, 451, con nota di Franzoni, Illecito dello scolaro e responsabilità del mae-stro elementare. Più recentemente vedi: Trib. Catania 3 maggio 2006, n.1478, inedita.

(9) Lanotte, Condotta autolesiva dell’allievo: non risponde l’insegnante, cit.,57.

(10) Faillace, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, 64;conformemente: Facci, Minore autolesionista, responsabilità del precettore econtatto sociale, in Resp. civ. e prev., 2002, 4.

Page 39: SOMMARIO - unipa.it · (il c.d. “codice dell’ambiente”), ha invece avuto biso-gno di 18 articoli (e svariati allegati) per disciplinare il nuovo “danno ambientale”, la cui

c’è un rapporto contrattuale, questo permane sia che lo stu-dente si autocagioni un danno sia che il danno sia a lui pro-vocato da un compagno di classe.

La disciplina originariamente predisposta e voluta dallegislatore del 1942 presupponeva una relazione non con-trattuale tra le parti; di conseguenza potevano semmai per-manere dubbi sull’applicabilità dell’art. 2043 o dell’art.2048, ma sempre nell’ambito della responsabilità extracon-trattuale. È altrettanto vero che tale relazione attualmenteha subito notevoli cambiamenti rispetto alla situazione vi-gente nel 1942 e non sembra affatto azzardato o fuori luogoil tentativo di dotare di nuova linfa un impianto codicisti-co oggettivamente datato. Purché, comunque, si rispetti ilvalore delle norme ancora in vigore.

Oltre a suggerire una rivisitazione del sistema, de iurecondendo, per una maggiore coerenza interna del medesi-mo, al momento non possiamo che dare atto della situazio-ne presente osservando che, ad ogni modo, tra le due fatti-specie in esame permane, comunque, una differenza di nonpoco conto. Si fa riferimento all’illiceità della condotta: ti-pica nel caso di responsabilità aquiliana per danno cagio-nato a terzi, assente nel caso di danno autoprovocato dal-l’alunno a se stesso e coerente con una relazione di tipocontrattuale tra le parti.

Ad oggi, bisogna, pertanto, rispondere alla seguentidomande: se tra la scuola e l’alunno sussiste un vincolocontrattuale, a quale fatto illecito si riferisce oggi l’art.2048, secondo comma c.c.? E, quindi, quale ambito di ope-ratività permane a questa fattispecie di responsabilità ex-tracontrattuale?

Non sembra peregrino affermare che l’art. 2048 c.c.potrebbe mantenere, ad ogni modo, una sua indipendenzafunzionale in relazione a quelle ipotesi in cui la condottadello studente arrechi un danno ad un terzo inteso qualesoggetto non sottoposto a tutela. Così facendo, si garanti-rebbe una tutela appropriata alla fattispecie in oggetto e sipreserverebbe il dettato normativo da presunte abrogazioniimplicite o, peggio, da incongruenze interne.

Pur aderendo alla teoria favorevole all’instaurazionedi un vincolo contrattuale tra le parti e la P.A., resta, quin-di, da acclarare se tra gli obblighi assunti dalla scuola possaannoverarsi anche quello di vigilare sull’allievo nei terminisu esposti (11).

È opinione dei giudici di legittimità che dal vincolonegoziale sorga «a carico dell’istituto l’obbligazione di vigi-lare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo incui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sueespressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri undanno a se stesso».

Anche qui bisogna dare atto degli indirizzi discordan-ti volti a definire la natura del suddetto dovere.

Coerentemente a quanto sostenuto dalla recente sen-tenza della Cassazione, parte della giurisprudenza ha affer-mato che la responsabilità della scuola si estende dal mo-mento dell’ingresso degli studenti nell’istituto scolastico si-no a quello della loro uscita e concerne anche la tutela del-la loro integrità, oltre che quella dei terzi (12).

Sappiamo, invero, che dovere principale è l’espleta-mento di funzioni didattiche nonché educative, le quali,secondo giurisprudenza consolidata, non si spingerebberofino a comprendere illimitatamente anche i doveri di sor-veglianza (13). Per ritenere operante anche tale obbligo sidovrà piuttosto valutare l’età, il carattere, l’educazione e ilgrado di maturazione del minore (14). Una volta acclaratala sussistenza delle suddette circostanze, è evidente comepermanga a carico della scuola un accessorio obbligo diprotezione che consente all’allievo di mantenere il favore-vole onere probatorio scaturente dalla disciplina contrat-tuale.

Non sembra, infine, di particolare incidenza il timoreche la disciplina prevista dall’art. 1218 c.c. possa apporta-re un giovamento solo apparente al danneggiato, soprat-tutto a causa della limitazione del risarcimento ivi applica-bile ex art. 1225 c.c. (15). Difficilmente, si preferirà attiva-re un’azione di tipo extracontrattuale in ragione della pre-sunta non prevedibilità del danno da parte della scuola, inconsiderazione del fatto che quest’ultima ha, al contrario,più di una buona ragione per prevedere che un suo ina-dempimento all’obbligo di vigilanza possa essere causa digravi danni all’incolumità dei minori che le sono stati affi-dati.

Il “contatto sociale” nel rapporto tra alunno e insegnante

Alla luce degli ultimi approdi giurisprudenziali dellaCorte di legittimità, si rivela sostanzialmente vano l’ulte-riore sforzo di riqualificare anche la posizione diretta del-l’insegnante.

Se, infatti, dal punto di vista dogmatico assume certa-mente rilievo definire i limiti della responsabilità di ognisoggetto coinvolto nella vicenda, dal punto di vista proces-suale è evidente come la responsabilità ex contractu dell’i-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1087

GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

Note:

(11) Comporti, Fatti illeciti: le responsabilità presunte, in Il codice civile.Commentario, fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da F. D.Busnelli, Milano, 2002, 257; Rossi Carleo, La responsabilità dei genitori exart. 2048 cod. civ., in Riv. dir. civ., 1979, II, 12.

(12) Cass. 6 febbraio 1970, n. 263, in Foro it., 1970, I, 2135; Cass. 28 lu-glio 1972, n. 2590, ivi, Rep. 1972, voce cit., n. 127; Cass. 7 giugno 1977,n. 2342, ivi, Rep. 1978, voce cit., n. 49; Cass. 30 marzo 1999, n. 3074, inDir. ed econ. ass., 2000, 632, con nota di De Strobel; nonché la celebre eautorevole Cass., sez. un., 27 giugno 2002, n. 9346, cit.

(13) Corsaro, voce Responsabilità civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991,XXVI, 19-2; Cass. 13 maggio 1995, n. 5268, in Nuova giur. civ. comm.,1996, I, 239, con nota di Zaccaria, Sulla responsabilità civile del personalescolastico per i danni sofferti dal minore.

(14) Cass. 11 agosto 1997, n. 7459, in Foro it., Rep. 1997, voce Responsa-bilità civile, n. 148; Cass. 10 dicembre 1998, n. 12424, ivi, Rep. 1998, vocecit., n. 180; Cass. 9 giugno 1994, n. 5619, ivi, Rep. 1994, voce cit., n. 93;Trib. Genova 29 aprile 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, 555, con nota di Pi-nori, Sulla responsabilità dei genitori per culpa in educando ed in vigilando;App. Cagliari 10 settembre 1993, in Foro it., Rep. 1995, voce Responsabi-lità civile, n. 103; Trib. Napoli 12 maggio 1993, in Riv. dir. sport, 1994, 434.

(15) In base al quale: «Se l’inadempimento o il ritardo non dipende dadolo del debitore, il risarcimento è limitato ad danno che poteva preve-dersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione».

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stituto scolastico sortirà l’effetto di catalizzare su di sé le do-glianze della parte lesa, vista la sua maggiore solvibilità ri-spetto al solo docente.

In ogni caso, per cercare di comprendere l’iter logicoche ha condotto i giudici ad abbracciare con siffatta con-vinzione (sebbene in assenza di un seppur necessario ap-profondimento teorico) il nuovo istituto del ‘contattosociale’, anche nel caso di specie, si rende necessario unbreve riepilogo della problematica concernente la gene-rale ammissibilità di tale ipotesi di responsabilità con-trattuale.

Da non pochi anni, ormai, dottrina e giurisprudenza siscontrano nel tentativo di “incasellare” sistematicamentela responsabilità scaturente dalle fattispecie cosiddette bor-derline, poste, cioè, nell’area di confine tra il contratto e iltorto (16).

Sino ad oggi, i giuristi hanno preso in considerazione,oltre all’ipotesi che qui più ci interessa, anche quelle con-cernenti l’affidamento riposto nella correttezza dell’azionedella Pubblica Amministrazione, gli obblighi del professio-nista verso coloro che usufruiscono della sua opera senza unformale vincolo, la diffusione di informazioni false o in-complete da parte degli intermediari finanziari ai piccoliinvestitori.

È ben noto che l’obbligazione non può essere conside-rata come un rapporto elementare, ma anzi alla responsabi-lità per violazione dell’obbligazione principale viene sem-pre più spesso affiancata anche la responsabilità per viola-zione di altrettanto importanti obblighi accessori qualiquello d’informazione, di sorveglianza, custodia, nonchédel più generale dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica(17) (ex artt. 1175 e 1375 c.c.).

Chiaramente l’ambito in cui trovano più frequenteapplicazione sarà quello in cui il creditore sia titolare diun’esigenza di protezione, con la conseguente contrattua-lizzazione dei danni alla persona derivanti dalla violazionedi relativi doveri.

Secondo la dottrina ormai minoritaria, invece, ovemanchi una espressa disposizione legislativa in tal senso(18), dovrebbe configurarsi una responsabilità aquiliana o,al più, una concorrente responsabilità contrattuale ed ex-tracontrattuale (19).

Sul nostro ordinamento ha avuto un’influenza decisi-va il diritto tedesco, presso cui già verso la metà dell’800 laresponsabilità precontrattuale era stata ricondotta sottol’alveo di quella contrattuale (20), oltre a trovare ricono-scimento, pochi anni dopo, la teoria degli obblighi di pro-tezione (21) e, quindi il “contatto sociale” (22). Basti quisapere che nella recentissima riforma del BGB, entrata invigore il 1° gennaio 2002, ha fatto ingresso una concezionedel rapporto obbligatorio inteso sia come rapporto com-plesso (secondo quanto su inteso), sia come comprensivodei doveri di comportamento finalizzati alla salvaguardiadella sfera giuridica di un soggetto con cui si instauri sem-plicemente un “contatto sociale” per assenza di una prece-dente obbligazione.

Prendendo spunto dall’esperienza tedesca anche in

Italia è stata avanzata l’ipotesi che gli obblighi di prestazio-ne potessero far nascere una responsabilità contrattuale purin assenza di una prestazione principale. Anche in Italia siinaugurava questa nuova stagione a partire dalla propostadi intendere come contrattuale la natura della responsabi-lità precontrattuale (23): nel concetto di buona fede ogget-tiva trova tutela l’affidamento sostanziale che il comporta-mento di una parte ingenera nell’altra (24).

Poco dopo, come in Germania, la dottrina italianacerca di individuare altre ipotesi in cui l’affidamento pos-sa essere fonte di obbligazione senza un primario obbligodi prestazione, ma solo per il verificarsi di un “contatto so-ciale”.

Innanzitutto, bisognava individuare un ulteriore ele-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061088

GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

Note:

(16) Alpa, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1991, 17; Busnelli, Versoun possibile riavvicinamento tra responsabilità contrattuale ed extracontrattua-le, in Resp. civ. e prev., 1977, 748; Castronovo, L’obbligazione senza presta-zione. Ai confini contratto e torto, già in Le ragioni del diritto. Scritti in onoredi Luigi Mengoni, I, Milano, 1995, 148, ora in La nuova responsabilità civile,Milano, 1997, 190; Id., La responsabilità civile in Italia al passaggio del mil-lennio, in Eur. e dir. priv., 2003, 159; Id., Le due specie della responsabilità ci-vile e il problema del concorso, ivi, 2004, 93; Giardina, Responsabilità contrat-tuale ed extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale,Milano, 1993, 82; Prosser, The border land of tort and contract, Ann Arbor,1953; Rossello, Responsabilità contrattuale e aquiliana, il punto della giuri-sprudenza, in La responsabilità civile, a cura di Alpa - Bessone, in Giur. sist.dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, 1987, I, 326, e in Responsabilitàcontrattuale ed aquiliana: il punto sulla giurisprudenza, in Contr. e impr.,1996, 641; Sbisà, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: realtà con-trapposte o convergenza di presupposti e di scopi?, in Resp. civ. e prev., 1977,723; Visintini, voce Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Enc.giur. Treccani, XXVI, Roma 1990, 1.

(17) Visintini. In Francia: Mazeaud - Mazeaud, Traitè thèorique et pratiquede la responsabilitè civile, Paris, 1931, I, 141. Nei Paesi di common law: Chu-torian, Tort remedies for beach of contract: the expansion of tortuous breach ofthe implied covenant of good faith and fair dealing into the commercial realm, inCol. L. Rev., 1986, 377; Gilmore, The death of contract, Columbus (Ohio),1974.

(18) Ad es. art. 2087 c.c.: «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’eser-cizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’espe-rienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la persona-lità morale dei prestatori di lavoro».

(19) Rossello, Responsabilità contrattuale e aquiliana, il punto della giurispru-denza, cit., 138-139.

(20) Von Jhering, Culpa in contraendo oder Schadensersatz bei nichtigen odernicht zur Perfection gelangten Verträgen, in Jhering’s Jahrb, 1861, ristampatoa cura di Schmidt, Bad Homburg-Berlin-Zürich, 1969.

(21) Articolati in Leistungspflichten (obblighi di prestazione) e Verhalten-spflichten (comportamenti accessori all’obbligazione principale).

(22) Dölle, Aussergesetzliche Schuldpflichten, in Zeitschr. f.d. gesam Staatwis-sen, 1943.

(23) Fra tanti: Benatti, Culpa in contraendo, in Contr. e impr., 1987, 303;Galgano, Diritto civile e commerciale, II, I, 1990, 466; Grisi, L’obbligo pre-contrattuale d’informazione, Napoli, 1990, 74; Messineo, Il contratto in ge-nere, I, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1973, 365; Mengoni,Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II,370; Scongnamiglio, voce Responsabilità contrattuale e extracontrattuale, inNoviss. Dig. it., XV, Torino, 1968, 674; Turco, Interesse negativo e respon-sabilità precontrattuale, Milano, 1990, 425.

(24) Sacco, voce Affidamento, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 661; SantoroPassarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 147.

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mento, da affiancare all’affidamento, che consentisse di su-perare i confini della responsabilità aquiliana; questo ulte-riore elemento venne identificato nella professionalità dideterminati soggetti svolgenti attività protette.

Solo tale status potrà giustificare, da parte dei medesi-mi, l’assunzione della posizione di garanzia e un legittimoaffidamento da parte di altri.

L’aggancio normativo, sia per la responsabilità pre-contrattuale sia per le obbligazioni senza prestazione, è,quindi, l’art 1173 c.c. lì dove prevede il cosiddetto tertiumgenus quale fonte delle obbligazioni.

Com’è noto, la prima applicazione giurisprudenzialedel principio del “contatto sociale” è avvenuto con la sen-tenza della Cassazione del 22 gennaio 1999, n. 598 (25) econcerne la responsabilità del medico dipendente di un en-te ospedaliero pubblico per un danno cagionato in seguitoad una errata diagnosi.

Ciò che però qui ci interessa è, appunto, verificare sele conclusioni raggiunte in ambito medico-sanitario posso-no trovare identica applicazione anche nei rapporti tra l’in-segnante e l’alunno (26).

La Cassazione ha avallato l’orientamento che predi-lige la riconduzione in schemi contrattualistici della rela-zione tra medico e paziente, così come quella tra il pa-ziente e l’ente ospedaliero; mentre, però, in quest’ultimocaso tra le parti sussiste un vero e proprio contratto, a ca-rico del dipendente ci sarebbe una responsabilità di na-tura contrattuale ma in funzione di un diverso fonda-mento.

È vero che tra il sanitario e il danneggiato non ricorrealcun contratto, ma è altrettanto vero che il medico nonpuò essere considerato sottoposto al solo principio del ne-minem laedere quale un qualunque quisque de populo vista laparticolare opera che è chiamato a prestare.

La Corte ha, pertanto, sentito la necessità di avvici-nare la realtà giuridica alla realtà sociale, invocando la sus-sistenza tra le parti di un “contatto sociale” assoggettabilealla disciplina ex art. 1218 c.c.

Invero, diversamente da quanto sostenuto dalla Su-prema Corte, appare maggiormente condivisibile la teoriache tenta di ricostruire tra il medico e il paziente un rap-porto autenticamente contrattuale, senza ricorre al tertiumgenus (27).

Ciò che, prima facie, sembra escludere la formazione diun contratto è l’assenza della scelta delle parti contraenti;eppure il medico può rifiutarsi di dare vita al rapporto conun paziente, così come il paziente può recarsi in una deter-mina struttura ospedaliera per avvalersi dell’opera di un de-terminato medico ivi operante. Inoltre, attraverso l’eserci-zio del consenso informato il paziente può addirittura ac-cordarsi sulla cura a cui sottoporsi; senza poi considerare icasi sempre più frequenti di obbligazioni di risultato in cuiil consenso del paziente è volto all’ottenimento di un effet-to ben preciso.

Sembrerebbe, pertanto, configurarsi una fattispeciecontrattuale a struttura complessa per il collegamento deitre rapporti che lo caratterizzano: tra sanitario e struttura

ospedaliera, tra questi e paziente, tra il paziente ed il medi-co. D’altra parte, più volte si è riconosciuta la validità deicontratti automatici o standard, in cui il consenso o l’accor-do sono di difficile individuazione (28).

Nel caso dei rapporti scolastici, invece, la posizionedelle parti è ben distinta; infatti, la volontà dell’alunnoha scarso valore in merito all’insegnamento che il do-cente deve impartire, quindi nei loro rapporti si riscon-trerebbe sì un dovere di vigilanza a carico dell’insegnan-te, ma solo come obbligazione ulteriore rispetto alla pre-stazione principale, che mantiene una natura del tuttodifferente.

Questo carattere di forte accessorietà dell’obbligo diprotezione rispetto alla professionalità del docente finaliz-zata sostanzialmente ad impartire l’insegnamento, difficil-mente consente di superare i confini della responsabilitàaquiliana.

Come detto, infatti, l’elemento chiave che consentedi invocare il “contatto sociale” è la professionalità che, nelcaso di specie, non attribuisce al docente il dovere princi-pale di tutelare la salute dell’allievo. Certo, sarebbe preferi-bile che la Corte non affrontasse tali questioni attraversodei semplicistici, quanto insoddisfacenti, obiter dictum, so-prattutto al fine di evitare che sentenze quale quella incommento si “accontentino” a loro volta di basare la loromotivazione su un principio nato in assenza di impiantogiustificatore adeguato.

ConclusioniÈ prevedibile che gli attori tenderanno ad agire ex art.

1218 c.c. nei confronti dell’istituto scolastico, ma, in unottica de jure condito, non ha ragion d’essere il timore didover presto constatare un’abrogazione implicita della fat-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1089

GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

Note:

(25) Commentata da: Carbone, La responsabilità del medico ospedaliero co-me responsabilità da contatto, in Danno e resp., 1999, 294; De Rosa, Re-sponsabilità del medico dipendente del servizio sanitario: una nuova tipologia diobbligazioni?, in Giur. merito, 1999, 1152; Di Ciommo, Note critiche sui re-centi orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospeda-liero, in Foro it., 1999, I, 3332; Di Majo, L’obbligazione senza prestazione ap-proda in Cassazione, in Corr. giur., 1999, 446; Forziati, La responsabilità con-trattuale del medico dipendente: il contatto sociale conquista la cassazione, inResp. civ. e prev., 1999, 679; Fracchia,Osservazioni in tema di responsabilitàdel dipendente pubblico e attività contrattuale, in Foro it., 1999, I, 1194; Gia-calone, La responsabilità del medico dipendente del servizio sanitario naziona-le: contrattuale, extracontrattuale o transtipica?, in Giust. civ., 1999, I, 1003;Pizzetti, La responsabilità del medico dipendente come responsabilità contrat-tuale da “contatto sociale”, in Giur. it., 2000, 740; Thiene, La Cassazioneammette la configurabilità di un rapporto obbligatorio senza obbligo primario diprestazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, 334.

(26) Pur dando atto dei recenti sviluppi che hanno visto confermareorientamenti contrari: App. Venezia 16 giugno 2005, in Danno e resp.,2006, 293, con nota di Guerra, Obbligazione da “contatto sociale” nell’atti-vità del chirurgo subordinato: una prima smentita.

(27) Faillace, La responsabilità da contatto sociale, cit. Contra, Paradiso, Laresponsabilità medica dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, 337.

(28) Fra tutti: Roppo, Contratti standard, Milano, 1989; Mazzoni, Contrat-ti di massa e controlli nel diritto privato, Milano, 1975; Bessone, I contrattistandard nel diritto interno e comunitario, Torino, 1991; Patti - Patti, Re-sponsabilità precontrattuale e contratti standard, Milano, 1993.

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tispecie extracontrattuale (29) disciplinata all’art. 2048,secondo comma c.c., essendo possibile imboccare una viaalternativa.

Come anzidetto, per invocare una responsabilità con-trattuale o aquiliana è d’obbligo guardare alla relazione in-tercorrente tra le parti e non alla causa del danno subitodalla parte lesa. Se, quindi, si condivide l’assunto per cui trale parti intercorre un rapporto del primo tipo non resta cheindagare in quali ipotesi l’allievo potrà commettere un fat-to illecito nei confronti di un soggetto che non sia a suavolta parte di rapporto contrattuale con la scuola. Ed eccoche da qui in poi, potrà considerarsi terzo (ex art. 2048, se-condo comma c.c.) nel significato pieno del termine, quelsoggetto che presenta le caratteristiche ora esplicate.

Infine, ciò che distingue l’istituto scolastico dagli inse-

gnanti è sostanzialmente l’oggetto del contratto stipulatoda essi con l’alunno. Pur ammettendo, con i dubbi su espo-sti, che anche i docenti siano soggetti alla disciplina ex art.1218 c.c. per ‘contatto sociale’resta il fatto che a carico diessi permane sostanzialmente un mero dovere di insegna-mento, mentre sarà difficile negare che nell’oggetto delcontratto stipulato dalla scuola non rientri anche l’obbligo,seppur accessorio, di approntare quanto necessario per latutela degli allievi.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061090

GIURISPRUDENZA•MAESTRI E PRECETTORI

Nota:

(29) Venturelli, Sulla responsabilità del precettore ex art. 2048, secondo com-ma, c.c., in questa Rivista, 2004, 94.

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Svolgimento del processo... Omissis...

Motivi della decisioneSuperato il primo motivo di ricorso attinente alla giuri-sdizione, sul quale si sono pronunciate le Sezioni Unitecivili dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario,vanno in questa sede esaminati i motivi successivi.Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: “Art.360, comma 1, n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazionedel principi generali inerenti l’autonomia legislativa eamministrativa regionale e l’autonomia degli enti localinell’esercizio delle funzioni conferite. Art. 360, comma1, n. 5 c.p.c. Motivazione inesistente”.Ritiene che la sentenza impugnata sia lesiva, sia dell’au-tonomia legislativa ed amministrativa della Regione, siadell’autonomia delle Province nell’esercizio delle funzio-ni amministrative che la legge regionale - in esecuzionedella normativa statale - le ha conferito.Il Giudice di pace - secondo la tesi della ricorrente - haritenuto, da un lato, la Regione comunque responsabiledei danni “da fauna selvatica” in quanto titolare delle“attività di gestione di detta fauna”, con ciò omettendodi considerare che - al contrario - la Regione Liguria hainteramente delegato i compiti di gestione e controlloconcreto della fauna selvatica alle Province, legiferandoin attuazione dei principi generali della materia di cui al-la legge n. 157 del 1992.Dall’altro, ha ritenuto egualmente responsabile la pro-vincia di Savona dei danni in esame, poiché “proprieta-ria della strada su cui è avvenuto il sinistro”, in quanto“quale ultimo anello della catena sia talmente vincolatadalla normativa statale e regionale da non poter autono-mamente disporre salvo uscire dai limiti impostile”.Ciò erroneamente, poiché tanto la legge statale, quantoquella regionale - che hanno individuato i diversi poteri

e compiti del vari enti coinvolti a vario titolo nella ge-stione e tutela della fauna selvatica - debbono trovareapplicazione nel rispetto dei principi di autonomia deglienti pubblici chiamati ad esercitare quelle determinate ediversificate funzioni.A tal fine richiama l’art. 1, commi 1 e 2 della legge 11febbraio 1992 n. 157 recante “Norme per la protezionedella fauna selvatica omeoterma e per il prelievo vena-torio” e la legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 emanatadalla Regione Liguria che ha stabilito le diverse compe-tenze degli enti pubblici che operano nel settore fauni-stico venatorio affidando, in particolare alla provinciacosì come disposto dalla legge 157/1992 - “le funzioniamministrative in materia di caccia, protezione e con-trollo della fauna selvatica” (art. 2, comma 4) e preve-dendo altresì che “le Province...provvedono al controllodella fauna selvatica, esercitato selettivamente” (art. 36,comma 2).Successivamente, la Regione Liguria ha dettato i propri“Indirizzi regionali per la Pianificazione Faunistica-vena-toria provinciale” contenuti nelle deliberazioni dellagiunta regionale n. 602 del 24 febbraio 1995 e n. 287 del1° marzo 2000.Dal quadro così delineato emerge che la Regione Liguriaha compiutamente adempiuto al dettato degli artt. 117 e118 della Costituzione esercitando la propria potestànormativa e regolamentare con una disciplina completadella materia, e, nell’ambito di tale disciplina, ha incari-cato le Province di controllare e gestire la fauna selvati-ca.La sentenza impugnata non tiene conto di tali circo-stanze, imputando in capo alla sola Regione Liguria laresponsabilità per il controllo e la gestione della faunaselvatica, ritenendo che le Province godano, comunque,di una “sostanziale impunità” per il non corretto eserci-zio dei compiti loro delegati.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1091

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ CIVILE

Danni cagionati da animali

Animali selvatici e responsabilità allo stato brado CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 25 novembre 2005, n. 24895Pres. Fiduccia - Rel. Vivaldi - P.M. Iannelli (conf.) - Regione Liguria c. S. ed altri

Responsabilità civile - Proprietà di animali - Danni cagionati dalla fauna selvatica - Risarcibilità da parte della P.A.

(c.c. artt. 2043, 2051, 2052; Legge 11 febbraio 1992, n. 157; l.r. Liguria 1° luglio 1994, n. 29)

Alle Regioni compete l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selva-tici arrechino danni a persone o cose e, pertanto, nell’ipotesi di danno provocato dalla fauna selvaticaed il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme, la Regione può essere chiamata a risponde-re in forza della disposizione generale dell’art. 2043 c.c.

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Di qui la violazione - secondo la ricorrente - dei principiche regolano la potestà normativa ed amministrativadelle Regioni, nonché l’autonomia degli enti locali e,nel caso di specie, delle Province, “ed altrettanto paleserisulta la insussistenza delle motivazioni che hanno con-dotto - sotto tale profilo - alla condanna degli enti con-venuti”.Il motivo non è fondato.L’art. 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 contenentenorme per la protezione della fauna selvatica, disponeche la fauna selvatica è patrimonio indisponibile delloStato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazio-nale ed internazionale (primo comma); che le Regioni astatuto ordinario provvedono ad emanare norme relati-ve alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fau-na selvatica (terzo comma).Si deve aggiungere: che le Regioni esercitano le funzioniamministrative di programmazione e di coordinamentoai fini della pianificazione faunistico-venatoria di cui al-l’articolo 10 della legge prima richiamata e svolgono icompiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previ-sti dalla stessa legge e dagli statuti regionali. Alle Pro-vince spettano le funzioni amministrative in materia dicaccia e di protezione della fauna secondo quanto previ-sto dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, che esercitano nelrispetto della legge (art. 9); che, per far fronte ai danninon altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agrico-la e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pasco-lo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta,e dall’attività venatoria, è costituito a cura di ogni Re-gione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarci-menti, al quale affluisce anche una percentuale dei pro-venti di cui all’articolo 23 (art. 26).Alle Regioni, quindi, compete l’obbligo di predisporretutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvati-ci arrechino danni a persone o a cose e, pertanto, nell’i-potesi (corrispondente al caso in esame) di danno pro-vocato dalla fauna selvatica ed il cui risarcimento nonsia previsto da apposite norme, la Regione può esserechiamata a rispondere in forza della disposizione genera-le contenuta nell’art. 2043 c.c. (Cass. 1° agosto 1991, n.8470; 13 dicembre 1999, n. 13956; 14 febbraio 2000, n.1638; 24 settembre 2002, n. 13907).La sentenza impugnata si è attenuta a questi criteri e,quindi, si sottrae alla censura che si sta esaminando.Il richiamo, contenuto nel ricorso, a norme successiveche avrebbero immutato il sistema di imputazione dellaresponsabilità per danni cagionati da animali selvatici,non è rilevante, posto che con tale normativa sono statedelegati alle Province, soltanto compiti amministrativi.Con il terzo motivo denuncia: “Art. 360, comma 1, n. 3c.p.c. Violazione e falsa applicazione del principi genera-li in materia di responsabilità personale ed imputabilitàdel fatto illecito. Art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Motiva-zione inesistente”.A tal fine rileva che la sentenza di merito non tiene innessun conto i principi in materia di imputabilità del fat-

to dannoso al soggetto chiamato a risponderne, seppure- eventualmente - a titolo di responsabilità oggettiva,condannando la Regione sull’erroneo presupposto chela stessa sia responsabile per la tutela e la gestione con-creta della fauna selvatica (determinando con ciò anchel’inesistenza di una effettiva motivazione).Alla Regione, viceversa, non può essere imputato al-cun comportamento doloso o colposo in relazione al-l’evento che ha causato il danno, ossia in relazione al-l’attraversamento della strada da parte del capriolo cheha “investito” l’autovettura dell’attore. Ciò, né sullabase dell’art. 2043 c.c. perché - anche in un giudizio re-so secondo equità - non può prescindersi dall’imputabi-lità di quel determinato fatto al suo autore o, comun-que dall’imputabilità di quel determinato fatto al sog-getto che l’ordinamento ha individuato come colui cheè chiamato a risponderne; né sulla base dell’art. 2052c.c. secondo il quale i danni cagionati dall’animale sot-to custodia sono imputabili ex lege esclusivamente alproprietario o a chi se ne serve per il tempo in cui l’hain uso, tranne che tali soggetti non provino il caso for-tuito. E la Regione non è né proprietaria della faunaselvatica, né il soggetto incaricato di custodirla concre-tamente.Il giudice del merito, condannando la Regione Liguria alrisarcimento dei danni, in via solidale con gli altri enticoinvolti, sulla base dell’erroneo presupposto che conti-nui a gravare sulla stessa il controllo e la gestione dellafauna selvatica ha, comunque, violato i principi genera-li del nostro ordinamento giuridico in materia di impu-tabilità e responsabilità per fatto illecito.Il motivo non è fondato.La sentenza impugnata ha accettato, con ragionamentocorretto e completo, il fatto che la Regione e la Provin-cia non avevano adottato adeguate e sufficienti misureatte ad evitare che la fauna selvatica non provocassedanni alle persone e cose.In particolare ha ritenuto la responsabilità della Regioneper le ragioni più sopra dette, e quella, della Provincia ri-levando che “la responsabilità di quest’ultimo ente (laProvincia) non vada ricercata nel dispositivo di cui al-l’art. 2052 c.c., perché non può essere considerata néproprietaria né custode dell’animale, ma in base ai prin-cipi generali di cui al precedente art. 2043 quale proprie-taria della strada sulla quale è avvenuto il sia pur mode-sto sinistro”.Infatti, in tema di responsabilità extracontrattuale, ildanno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibilein base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 c.c., inap-plicabile per la natura stessa degli animali selvatici, masoltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art.2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò ri-chiede l’individuazione di un concreto comportamentocolposo ascrivibile all’ente pubblico (Cass. 24 giugno2003, n. 10008).Comportamento colposo che il giudice del merito ha ri-tenuto di individuare, rilevando che: “Su detta strada

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GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ CIVILE

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(quella sulla quale è avvenuto il sinistro), che attraversauna zona densamente popolata di animali selvatici nonè stato installato alcun avvertimento segnalante il peri-colo; è stato sostenuto che detta segnaletica non sarebbedi per sé idonea ad evitare possibili incidenti e su ciò nonsi ritiene di interloquire; tuttavia sarebbe sufficiente adinvitare l’utente a prestare la massima attenzione ed aprocedere con la massima prudenza”.Trattasi di accertamento compiuto dal giudice del meri-to, non sindacabile in sede di legittimità.Con il quarto motivo denuncia: “Art. 360, comma 1, n.3 e/o n. 5 c.p.c. Violazione, di principi costituzionali egenerali. Difetto di motivazione”.Deduce la violazione degli artt. 111 Cost. e 118 disp. att.c.p.c. che stabiliscono, il primo che tutti i provvedimen-ti giurisdizionali debbono essere motivati ed il secondoche anche nelle sentenze rese dal giudice di pace secon-do equità debbono essere esposte le ragioni di equità sul-le quali è fondata la decisione.Nel caso di specie la sentenza con la quale il giudice dipace ha condannato la Regione Liguria, in solido con glialtri enti convenuti, ai danni subiti dall’autovettura delS., per ciò che concerne particolarmente la Regione Li-

guria, non solo viola il principio costituzionale dell’ob-bligo di motivazione di ogni provvedimento giurisdizio-nale, ma anche le norme di natura processuale che im-pongono al giudice di adottare una motivazione suffi-ciente, adeguata e coerente.Tale violazione è più evidente considerato che le Regio-ne è stata condannata in quanto “responsabile della ge-stione della fauna selvatica” e, quindi, sulla base di un er-roneo presupposto.La sentenza, seppure resa secondo equità, “nel momentoin cui pone a base della condanna pronunciata nei con-fronti della regione convenuta la "responsabilità di ge-stione della fauna selvatica” non si limita semplicemen-te a creare ex novo una norma giuridica che non ha alcuneffettivo riscontro nel nostro ordinamento, ma addirit-tura fonda la decisione su un erroneo convincimento dibase che attiene ad un punto decisivo della controversia.Il motivo sostanzialmente ripropone le censure eviden-ziate nell’esame dei precedenti ai quali, pertanto, si ri-manda sottolineando la correttezza e congruità delle mo-tivazioni adottate.Conclusivamente il ricorso va rigettato.... Omissis...

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GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ CIVILE

IL COMMENTOdi Roberto Foffa

La Cassazione non cambia idea: l’art. 2052 c.c. nonsi applica ai danni provocati dagli animali selvatici.Dall’esame della più recente giurisprudenza, tutta-via, emergono seri dubbi in ordine alla reale naturadella responsabilità dell’amministrazione.

Per l’ennesima volta la Cassazione torna a pronun-ciarsi in materia di danni provocati ad un’automobilista daun animale selvatico. A dire la verità, i danni, come spessoaccade in questi casi, interessano soprattutto lo sfortunatocapriolo finito arrotato. L’automobile riporta solo qualchemodesto danno, quantificato in mille euro, di cui il pro-prietario chiede il risarcimento allo Stato Italiano, alla Re-gione (nel caso concreto, la Liguria) titolare dell’obbligo diprotezione e controllo sulla fauna selvatica, nonché allaProvincia (di Savona) proprietaria della strada. Il Giudicedi Pace ritiene corresponsabili questi tre enti, condannan-doli al pagamento della complessiva somma di euro 516,00,nella misura di un terzo ciascuno, nonché al 50% delle spe-se del giudizio.

La Regione, probabilmente sgomenta per l’ingentecondanna ricevuta, suscettibile di mettere a repentaglio ildisegno di contenimento della spesa pubblica, propone unricorso per Cassazione articolato in quattro motivi. Il primo

motivo è la consueta questione di giurisdizione, sistemati-camente sollevata dalle Pubbliche Amministrazioni, checomporta l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite. Ri-chiamandosi alla più recente linea interpretativa (1), chericonosce un vero e proprio un diritto soggettivo a conse-guire il risarcimento del danno, le Sezioni Unite rigettanoil primo motivo, affermando la giurisdizione del giudice or-dinario. La questione passa, quindi, al vaglio della Terza Se-zione, per l’esame dei restanti motivi.

La legge sulla caccia e la normativa regionaleLa difesa dei ricorrenti si fonda sul rapporto tra la leg-

ge sulla caccia n. 157/92 e la legge regionale ligure n. 29/94,che le ha dato puntuale attuazione. Ai sensi dell’art. 2 del-la citata legge regionale, «Le province esercitano le funzio-ni amministrative in materia di caccia, protezione e con-trollo della fauna selvatica ai sensi dell’art. 14 legge 142/90,nel rispetto di quanto previsto dalla presente legge», men-tre il successivo art. 36 delega alle Province i compiti dicontrollo della fauna selvatica.

Successivi regolamenti regionali hanno perfezionatol’attribuzione di compiti alle Province: pertanto, la Regio-ne nel proprio ricorso nega la propria qualità di legittimatapassiva, avendo legislativamente attribuito tutte le funzio-ni di gestione e controllo della fauna alle amministrazioniprovinciali. La tesi, però, viene facilmente smontata dalla

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Suprema Corte, sulla base del disposto della legge n.157/92. Le Regioni a statuto ordinario, si legge nell’art. 1della legge, provvedono ad emanare norme relative alla ge-stione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica“in conformità alla presente legge”, e sono, inoltre, titolaridella funzione di pianificazione faunistico-venatoria (art.10), coordinando le funzioni delle Amministrazioni pro-vinciali. Alle Province, in sostanza, spettano solamente lefunzioni amministrative ed esecutive in materia di caccia edi protezione della fauna; ma le funzioni essenziali di pro-grammazione e coordinamento rimangono in capo alle Re-gioni. È compito delle Regioni, non delle Province, istitui-re, ex art. 26 legge n. 157/92, lo speciale fondo destinato al-la prevenzione e ai risarcimenti dei danni non altrimenti ri-sarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere ap-prontate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvati-ca, in particolare da quella protetta.

Pertanto tocca alle Regioni, non alle Province la sco-moda funzione di «predisporre tutte le misure idonee perevitare che gli animali selvatici arrechino danni»: lo po-tranno fare mediante le Amministrazioni provinciali, dele-gando loro i compiti amministrativi (come nel caso dellalegge regionale ligure), ma la responsabilità rimane intera-mente a loro carico.

Pertanto, sotto questo primo profilo, la pronuncia inesame individua senza alcuna incertezza il soggetto cui ildanneggiato può rivolgere le proprie domande risarcitorie:la Regione, titolare della funzione di gestione e, potremmodire, custodia della fauna selvatica. Nel caso in esame, è de-lineata anche una responsabilità della Provincia: ma soloin quanto ente proprietario della strada, per aver colposa-mente omesso di evidenziare, mediante apposita segnaleti-ca verticale, la situazione di pericolo.

Responsabilità oggettiva o 2043 (2)?Entrambi gli Enti vengono ritenuti responsabili ex art.

2043 c.c. La Provincia, per la colposa omissione appena de-scritta: una colpa talmente evidente da non rendere nep-pure necessario il ricorso all’art. 2051 c.c., norma di riferi-mento per la responsabilità degli enti proprietari delle stra-de. Sul punto, la motivazione è ampia e dettagliata.

Non altrettanto appagante il passaggio sulla responsa-bilità della Regione. Questa, nel proprio ricorso, aveva la-mentato come la sentenza di merito non avesse considera-to «i principi in materia di imputabilità del fatto dannoso alsoggetto chiamato a risponderne, condannando la Regionesull’erroneo presupposto che la stessa sia responsabile per latutela e la gestione concreta della fauna selvatica». Conimmagine suggestiva ma indubbiamente efficace, avevasottolineato che non poteva esserle imputato alcun com-portamento doloso o colposo in relazione all’attraversa-mento della strada da parte del capriolo. E tutti i torti, for-se, non li aveva. La Cassazione si limita a ribadire che allaRegione spetta l’obbligo di predisporre tutte le misure ido-nee ad evitare che gli animali provochino danni: nei casi incui la fauna provoca un danno il cui risarcimento non èprevisto da apposite norme, la Regione ne può essere chia-

mata a rispondere ex art. 2043 c.c. Escluso, invece, qualun-que margine per l’operatività dell’art. 2052 c.c., «inapplica-bile per la natura stessa degli animali selvatici» (3).

Da questa sbrigativa motivazione non è dato indivi-duare la condotta ritenuta rilevante ex art. 2043 c.c., men-tre l’inutilizzabilità dell’art. 2052 c.c. viene data per sconta-ta. Una motivazione di questo tipo pare sintomatica dellastagnazione dell’annoso dibattito sulla natura della respon-sabilità delle Pubblica Amministrazione. Un dibattito ini-ziato quando la legge 27 dicembre 1977, n. 968 stabilì (art.1) che «la fauna selvatica italiana costituisce patrimonioindisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse dellacomunità nazionale». Da res nullius (4), gli animali selvati-ci divenivano a tutti gli effetti di proprietà dello Stato, en-trando a far parte del suo patrimonio e rendendo, per la pri-ma volta, risarcibili i danni provocati dalla fauna selvatica.La citata “legge sulla caccia” ha, poi, precisamente indivi-duato l’Amministrazione responsabile in quella regionale:come si è visto, l’attribuzione di funzioni di controllo, ge-stione e tutela degli animali selvatici comporta un obbligopositivo di vigilanza degli animali, atto ad evitare che conil loro comportamento arrechino danni a terzi.

Qual è, però, la norma applicabile alla Regione? Se-condo alcuni autori (ma anche secondo la giurisprudenzacostante della Suprema Corte e la Corte Costituzionale(5)), si tratta di responsabilità aquiliana “pura”, da valutaresecondo i principi generali dell’art. 2043 c.c. (6). Certa-mente l’applicazione dell’art. 2052 c.c., ad una prima anali-si, potrebbe forse apparire più logica. Tuttavia la Cassazio-

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GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ CIVILE

Note:

(1) Da ultimo, Cass., sez. un., 17 marzo 2004, n. 5417, in questa Rivista,2005, 290; Cass., sez. un., 30 dicembre 1998, n. 12901, in Riv. giur. am-biente, 1999, 504.

(2) Tra i numerosi contributi dottrinali si segnalano: Guarda, Automobili-sti danneggiati dalla fauna selvatica: regole di responsabilità e piani di indenniz-zo no-fault, in questa Rivista, 2004, 1181; Bitetto, Danni provocati da ani-mali selvatici: chi ne risponde e perché?, in Danno e resp., 2003, 273; Mare-sca, Gli uccelli e l’uva: le sezioni unite tornano sugli animali famelici, in questaRivista, 1999, 1096; Caputi, commento a Cass. 27 ottobre 1995, n. 11173,in Foro it., 1996, I, 564; Centofanti, commento a Cass. 12 agosto 1991, inForo it., 1992, I, 1795; Franzoni, La responsabilità oggettiva, vol. II, Padova,1988; Di Giovine, La RC per i danni causati da animali, in La ResponsabilitàCivile, a cura di Cendon, vol. XI, Torino, 1998; Palmieri, Ripopolamento dicinghiali e danni alle colture, in Dir. giur. agr., 1980, 227; Ventrella, Dannocagionato da animali: fondamento della responsabilità ed individuazione dei sog-getti responsabili, in Giust. civ., 1978, 741; Cendon, Commento alla legge 27dicembre 1977, in Nuove leggi civili, 1979, 462.

(3) La Cassazione cita testualmente la sentenza 24 giugno 2003, n. 10008,in Giust. civ. Mass., 2003, fasc. 6.

(4) Ai sensi del r.d. n. 1016 del 1939, art. 2, comma 1.

(5) Corte cost., ordinanze n. 4 del 4 gennaio 2001 e nn. 581 e 579 del 29dicembre 2000, tutte in Foro it., 2001, I, 377: secondo la Consulta il dan-no da fauna selvatica rappresenta un’eclatante eccezione al principio ubicommoda, ibi incommoda, giustificata dal fatto che lo Stato non divente-rebbe proprietario degli animali selvatici per utilizzarli o usufruirne in unqualunque modo (e quindi per trarne i commoda), ma unicamente perproteggerli e tutelarli, nell’interesse comune ed a spese della collettività.

(6) Garri, La responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, Torino,2000, 432 ss.

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ne, in numerose sentenze (7) certo meglio argomentate diquella in esame, ha tracciato un quadro interpretativo chenon si presta facilmente ad obiezioni. Secondo la SupremaCorte, infatti, l’art. 2052 c.c. è utilizzabile solo per danniprovocati da animali domestici o in cattività. Questo sullabase di numerose ragioni; fondamentalmente, per l’assenzain capo al soggetto caricato di tale responsabilità di specifi-ci poteri giuridici e fattuali di uso, governo e controllo del-l’animale, capaci di limitare la potenzialità dannosa, e nel-la stessa ratio dell’art. 2052 c.c., che lo renderebbe inappli-cabile al caso in esame.

Parte della dottrina concorda con questa visione, rite-nendo che l’applicazione dell’art. 2052 c.c. sia da escludersi,laddove non risulti una vera e propria situazione di custodia,ossia di disponibilità giuridica e di fatto, con relativo pote-re/dovere di controllo e vigilanza sull’animale. La fauna sel-vatica, in mancanza di un simile potere in capo allo Stato,deve ritenersi al di fuori del campo di applicazione della nor-ma (8). L’interesse pubblico alla tutela della fauna comporta,infatti, il rispetto della libertà della fauna: l’animale selvaticoè per definizione ingovernabile e l’unico modo di sorvegliar-lo continuativamente sarebbe ridurlo in cattività (9). LoStato, pertanto, sarebbe un proprietario sui generis, molto di-verso dal responsabile civile individuato dall’art. 2052. Lapresunzione di responsabilità prevista da questa norma, se-condo la Cassazione e la dottrina citata, si connetterebbe ne-cessariamente con la presenza di concreti poteri di sorve-glianza e controllo; per tutte queste ragioni, la norma non ri-sulta utilizzabile per i danni causati da animali selvatici.

Secondo altra parte della dottrina (10) e la maggio-ranza della giurisprudenza di merito (11), invece, la respon-sabilità dell’Amministrazione si colloca nell’alveo dell’art.2052 c.c.: lo Stato, in quanto proprietario della fauna, deverispondere dei danni da essa provocati, in base al comuneprincipio ubi commoda, ibi incommoda. Anche alcuni autori(12) si sono dimostrati favorevoli a questa soluzione, ancheper evitare che, come nel caso dell’art. 2051 c.c. rispetto al-la responsabilità dell’ente proprietario della strada, l’inap-plicabilità della norma si traduca in un ingiustificato privi-legio di cui gode la P.A., unico proprietario a non risponde-re dei danni provocati dall’animale secondo il criterio diimputazione dell’art. 2052 c.c. (13).

Le dispute teoriche non devono, però, far perdere divista la reale materia del contendere, emergente con estre-ma chiarezza dalla sentenza in commento: la reale applica-bilità, o, meglio, la reale applicazione dell’art. 2043 c.c. aglienti pubblici. Consideriamo la situazione di fatto: il poverocapriolo attraversa la strada e viene falciato. Il primo e piùovvio responsabile è il proprietario della strada, in questocaso la Provincia: la sua responsabilità viene connessa, an-ziché all’art. 2051 c.c., all’art. 2043 c.c. e sul punto, come siè visto, la sentenza è ben argomentata e pienamente con-divisibile. Va detto, però, che in questo caso il ricorrente haavuto la “fortuna” di trovarsi di fronte ad una colpa eviden-te. In passato non sono mancate pronunce in cui si è fattoriferimento, per affermare la responsabilità dello Stato, aldovere della P.A. di curarsi che il bene non presenti per l’u-

tente una situazione di pericolo occulto (insidia o traboc-chetto), quale può certamente considerarsi la presenza sul-la rete stradale di un capriolo o un cinghiale (14).

Tuttavia, nel caso in esame, è stata affermata anche laresponsabilità della Regione per non aver adottato misuresufficienti ad evitare danni cagionati dalla fauna. Non è peramore di polemica che si vuole contestare l’applicazione

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Note:

(7) Cass. 14 febbraio 2000, n. 1638, in Danno e resp., 2000, 397; Cass. 13dicembre 1999, n. 13956, in Giur. it., 2000, 1594; Cass. 15 marzo 1996,n. 2192, in Foro it., 1996, I, 1216, con osservazioni di M. Caputi, e in que-sta Rivista, 1996, 591. Si riportano anche alcune pronunce di merito sul-la medesima linea: Giud. di pace di Torino 8 marzo 2001, in Giur. it.,2001, 1634; Giud. di pace di Asti 10 luglio 1999, in Dir. e giur. agr. e amb.,2001, 61, con nota di Carmignani, Fauna: danno e responsabilità; Trib. Fi-renze 13 maggio 1994, in Foro it., Rep. 1995, voce Responsabilità civile, n.184.

(8) Il primo ad escludere la responsabilità dello Stato fu Cendon, Prote-zione e tutela della fauna e disciplina della caccia. L. 27 dicembre 1977 n. 968,in Nuove leggi civ., 1979, 462. Sulla stessa linea Gazzoni, Manuale di dirittoprivato, Napoli, 2000, 691; Alpa - Bessone - Zeno-Zencovich, I fatti illeci-ti, in Trattato di diritto privato, a cura di Rescigno, Torino, 1995, 357; Jan-narelli, La responsabilità civile, in Istituzioni di diritto privato, a cura di Besso-ne, Torino, 1995, 935.

(9) In questo senso Cendon, Protezione e tutela della fauna e disciplina dellacaccia, cit., 462; Comporti, Presunzioni di responsabilità e pubblica ammini-strazione: verso l’eliminazione di privilegi ingiustificati, cit., 846; Bitetto, Dan-ni provocati da animali selvatici: chi ne risponde e perché? cit., 276; Agnino,commento a Cass. 29 settembre 2000, in Foro it., 2001, I, 1651.

(10) Franzoni, cit., 547; Ronco, Il cinghiale e l’automobile, in Giur. it., 2001,1634; Maresca, cit., 1100; Bitetto, cit., 279; Ventrella, cit., 744.

(11) Giud. di pace di Perugia 27 aprile 1999, in Rass. giur. umbra, 1999,788; Trib. Perugia 28 giugno 1996, ivi, 1997, 27; Trib. Perugia 11 dicem-bre 1995, in Foro it., 1997, I, 315; Trib. Firenze 13 maggio 1994, in Arch.giur. circol. e sinistri, 1995, 46; Giud. di pace di Città di Castello 30 di-cembre 1998, in Foro it., Rep. 2000, voce Responsabilità civile, n. 349; Trib.Perugia 11 dicembre 1995, in Foro it., 1997, I, 315; Pret. Ceva 22 marzo1988, ivi, Rep. 1989, voce cit., n. 150, ed anche, per esteso, in Giur. agr.it., 1989, 110, con nota adesiva di Masini, Sulla responsabilità civile delloStato per i danni cagionati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole, ai sen-si dell’art. 2052 c.c.; Pret. Cosenza 5 luglio 1988, ivi, 1988, I, 3629.

(12) Tra i più critici: Castagnaro, Osservazioni sul criterio di imputazione del-la responsabilità per i danni prodotti dalla fauna selvatica, in Giur. it., 2000,1594; Di Ciommo, Il cinghiale carica, nessuno risponde: brevi appunti sulla(ir)risarcibilità dei danni causati da animali selvatici, in Danno e resp, 2000,397; Resta, La p.a. e i danni cagionati dalla fauna selvatica, ivi, 1996, 592;Franzoni, La responsabilità oggettiva, I, cit., 547; Comporti, Presunzioni diresponsabilità e pubblica amministrazione: verso l’eliminazione di privilegi in-giustificati, in Foro it., 1985, I, 1497; Bitetto, commento a Cass. 24 settem-bre 2002, n. 13907, ivi, 2003, I, 157 (con relativi richiami).

(13) Lapidario Maresca, Gli uccelli e l’uva: le sezioni unite tornano sugli ani-mali famelici, cit., 1100: «Se la necessità di lasciare libera la fauna selvati-ca di crescere e riprodursi è certamente espressione di civiltà, non assu-mersi il peso dell’intera reintegrazione per i danni provocati dagli anima-li selvatici è sintomo d’irresponsabilità, che si traduce in un ingiustificatoprivilegio». Si segnala anche l’isolata posizione dell’autore del presentecommento in ordine alla possibile applicabilità dell’art. 2051 c.c., poten-dosi configurare in capo alla P.A. una vera e propria responsabilità da co-se in custodia: Foffa, Cinghiali e conflitti di giurisdizione, in Danno e resp,2005, 290.

(14) Cass. 22 aprile 1999, n. 3991, in Foro it., Rep. 1999, voce Responsa-bilità civile, n. 289; Cass. 4 dicembre 1998, n. 12314, in Danno e resp, 1999,874, con nota di Laghezza, Trabocchetto e responsabilità della p.a.: Corte co-stituzionale e Cassazione a confronto.

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dell’art. 2043 c.c., visto che è stata riconosciuta possibile,una volta tanto. Normalmente, infatti, il cittadino che in-voca questo tipo di tutela risarcitoria si trova di fronte a dif-ficoltà probatorie insormontabili (15), con conseguentefrustrazione, quasi sistematica, delle pretese risarcitorie. So-no veramente poche le ipotesi in cui si può rintracciare incapo alla P.A. una condotta dolosa o colposa consistentenel non aver adottato tutte le misure idonee ad evitare ildanno: rarissime, poi, quelle in cui una condotta di questotipo può rintracciarsi addirittura in capo a due Ammini-strazioni. Nel suo piccolo, forse, la sentenza in esame rap-presenta un unicum (16).

Ad ogni modo, la sollecitudine con cui l’estensore si èaffrettato a statuire la responsabilità ex art. 2043 c.c. dellaregione lascia perplessi. Non viene chiarito, tra l’altro, qua-le sarebbe la condotta contrassegnata da dolo o colpa tenu-ta dalla Regione (quando, invece, viene più volte sottoli-neata quella della Provincia), o quali cautele avrebbeomesso di adottare per evitare il danno. Non viene nem-meno stabilito, in verità, un preciso nesso causale tra lacondotta della regione ed il danno subito dal cittadino. Indefinitiva, cosa avrebbe dovuto fare la Regione? Monitora-re ogni singolo capriolo, facendo in modo che non si avvi-cinasse alla strada? Recintare tutta la zona abitata dagli ani-mali selvatici? Chiedere alla provincia la chiusura dellastrada, dichiarando di non essere in grado di garantire al100% che gli animali selvatici non avrebbero creato pro-blemi alla circolazione? Non si possono realisticamente esi-gere misure simili, soprattutto se si nega che la P.A. dispon-ga di quei poteri di vigilanza e di controllo da cui discendel’applicazione dell’art. 2052 c.c.

Si può ipotizzare che l’estensore abbia sposato la lineainterpretativa ben espressa dalla sentenza 13907/02 (17), se-condo la quale la responsabilità della regione va connessa algenerale precetto del neminem laedere e la responsabilità peri danni cagionati dalla fauna selvatica va attribuita al sog-getto pubblico che di tale fauna abbia in qualche modo lacura e la custodia, se non sorveglia le manifestazioni di in-temperanza della stessa, omettendo di adempiere al propriodovere di vigilanza. La sentenza ribalta, in concreto, l’onereprobatorio del danneggiato, creando un meccanismo di pre-sunzione della colpa in capo all’Amministrazione.

La strada seguita da questa sentenza sembra simile. L’e-stensore ha posto l’accento sul fatto che alle Regioni compe-te l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare i dan-ni; se questi si verificano ed il risarcimento non è previstoda apposite norme, scatta il 2043 c.c. Chiara l’inversionedell’onere probatorio. Tocca, infatti, alla Regione dimo-strare la propria diligente condotta, anche se non è benchiaro in che modo possa farlo. Se il danno si è verificato,come potrà la regione dimostrare che le misure adottateerano idonee ad evitarlo? Si è prodotto, quindi le misureerano inidonee: un sillogismo con poche vie d’uscita. Ri-marrebbe soltanto la prova che l’evento era assolutamenteimprevedibile ed inevitabile, oppure che è derivato da unfatto del danneggiato o da fattori esterni ed incontrollabili:in sostanza, la prova del caso fortuito.

A questo punto, ci si può seriamente domandare se, aldi là delle enunciazioni, la Cassazione stia realmente appli-cando il 2043 c.c. o non abbia, in realtà, creato una regolaresponsabilità oggettiva. Perché quella che si viene deli-neando è una vera e propria presunzione di responsabilità,non di colpa, costruita sulla scorta della previsione legisla-tiva che impone alla Regione obblighi di custodia. Unapresunzione relativa, suscettibile di prova contraria: unprova, tuttavia, piuttosto articolata, visto che la Regionedovrebbe dimostrare non solo di aver predisposto tutte lemisure del caso, ma anche che l’accaduto esorbita da quan-to si potrebbe ragionevolmente esigere da parte sua. Unaprova liberatoria, come si può vedere, del tutto analoga aquella che la P.A. proprietaria della strada è tenuta a forni-re in materia di responsabilità da cosa in custodia (18).

Affermare che la Cassazione ponga in essere una na-scosta, quasi inconfessabile applicazione dell’art. 2052 c.c.non è, però, così semplice. In primo luogo, perché è la stes-sa Corte, sulla scorta di una giurisprudenza di legittimità as-solutamente pacifica, a negare, esplicitamente, l’applicabi-lità della norma. Inoltre, rimangono valide le già esamina-te obiezioni della Suprema Corte: il 2052 c.c. comporta latitolarità di poteri capaci di limitare la potenzialità danno-sa degli animali selvatici, e la ratio legis appare profonda-mente incompatibile con la fauna selvatica. Quanto al pri-mo punto, come già detto in altra occasione (19), negare inassoluto la titolarità di poteri di controllo in capo alla P.A.appare assurdo: significherebbe sacrificare alla tutela dellafauna l’interesse dei cittadini che da questa sono danneg-giati, riconoscendo un più alto livello di tutela alle bestieselvatiche che ai cittadini. Sarebbe, tuttavia, anche antie-conomico, perché la mancanza di prevenzione comporte-rebbe un numero molto alto di risarcimenti. L’oggettiva dif-ficoltà nel controllare gli animali selvatici non può certogiustificare la mancata predisposizione di opportune misurepreventive; piuttosto, dovrebbe servire per stabilire i confi-ni dell’obbligo del proprietario, delimitando il caso fortuito.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061096

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ CIVILE

Note:

(15) Argutamente sottolineati da Bitetto, Danni provocati da animali sel-vatici: chi ne risponde e perché?, cit., 276 e Maresca, Gli uccelli e l’uva: le se-zioni unite tornano sugli animali famelici, cit., 1098.

(16) Si veda, quale indizio di una possibile inversione di tendenza, la re-cente sentenza del Giudice di pace di Pontedecimo 11 novembre 2004, inForo it., 2005, I, 1970 (la cui argomentazione non appare del tutto con-vincente sotto il profilo dell’applicazione del 2043). Tra i rari precedenti,l’inedita Conc. Boiano 18 aprile 1995, confermata da Cass. 13956/99 cit.,e Giud. di pace di Novafeltria 11 settembre 1999, in Giud. di pace, 2000,106.

(17) Cass. 24 settembre 2002, n. 13907, in Foro it., 2003, I, 157, con no-ta di Bitetto: «La Regione ha l’obbligo di predisporre tutte le misure ido-nee atte ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o acose; quindi, nell’ipotesi di danno provocato dalla fauna selvatica ed il cuirisarcimento non sia previsto da apposite norme, la Regione può esserechiamata a rispondere in forza della disposizione generale del neminemlaedere».

(18) Per tutti Cass. 23 luglio 2003, n. 11446, in Foro it., 2004, I, 511. Con-tra, Cass. 15 gennaio 2003, n. 488, in Danno e resp, 2003, 735.

(19) Foffa, Cinghiali e conflitti di giurisdizione, cit., 297.

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Rimane, però, un dato di fatto: l’art. 2052 c.c. riguar-da gli animali domestici o comunque ammansiti, rispetto aiquali sussiste un rapporto immediato e rispetto ai quali si di-spone di concreti ed immediati poteri d’intervento. Il 2052c.c. è stato creato per i casi in cui un animale costantemen-te sotto controllo causa danni a cose o persone, mentre leAmministrazioni competenti hanno piuttosto il compitodi tutelare al massimo la libertà degli animali ed evitare, perconverso, che siano le persone a causare loro danni. Si ri-badisce, pertanto, la sensazione già espressa in altra sede: lanorma più appropriata a queste situazioni, per evitare sia si-tuazioni di privilegio per la P.A., sia situazioni - come que-sta - di responsabilità oggettiva contrabbandata per appli-cazione del 2043 c.c., sembra essere il 2051 c.c. Ed infatti,sembra proprio questa la norma realmente applicata dallaCassazione nel caso in esame, al di là del formale richiamoal 2043 c.c.

La funzione attribuita alle Regioni dalla legge sullacaccia è, a tutti gli effetti, un obbligo di custodia. Se “cu-stode” è il soggetto che, a qualsiasi titolo, dispone sulla co-sa di un potere non solo giuridico, ma anche fattuale, valea dire di un’effettiva signoria, un reale controllo (20), su cuigrava l’obbligo di controllo e di protezione per evitare chela cosa crei situazioni di rischio per terzi (21), la cui respon-sabilità viene meno soltanto quando si dimostra che l’e-

stensione o comunque le caratteristiche della cosa sono ta-li da rendere impossibile un controllo continuativo…lafunzione di «predisporre tutte le misure idonee per evitareche gli animali selvatici arrechino danni» sembra cucita sumisura. La Regione non sarà proprietario delle bestie selva-tiche: ma, a tutti gli effetti, ne è il custode, con la relativaresponsabilità.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1097

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ CIVILE

Note:

(20) Si segnala, in proposito, la pragmatica ricostruzione di Di Giovine,La r.c. per i danni cagionati da cose, in Cendon (a cura di), La responsabilitàcivile, vol. XI, Torino, 1998, 307 ss., con i cospicui richiami giurispruden-ziali.

(21) Efficacemente, Cass. 23 gennaio 1985, n. 288, in Dir. e prat. ass.,1989, 952: «La responsabilità sancita dall’art. 2051 c.c. - fondandosi sullarelazione diretta tra la cosa e l’evento dannoso nonché sulla esistenza diun effettivo potere fisico del soggetto sulla cosa - sorge per effetto dellaviolazione dell’obbligo di vigilare e di mantenere sotto controllo la cosamedesima, in modo da impedire il verificarsi di qualsiasi pregiudizio per iterzi. Conseguentemente, a carico del soggetto titolare di quel potere sus-siste una presunzione iuris tantum di colpa, che può essere vinta unica-mente dalla prova che l’evento dannoso sia derivato da caso fortuito, in-teso nel senso più ampio, comprensivo cioè anche del fatto del terzo e delfatto del danneggiato». In dottrina, a puro titolo esemplificativo, appog-giano quest’interpretazione Alpa, Responsabilità civile e danno, Bologna,1991, 88; Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Milano,1965, 182; Bianca, Diritto civile, vol. V - La responsabilità civile, Milano,1994, 716.

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Svolgimento del processo... Omissis...

Motivi della decisione... Omissis...Con il primo motivo del ricorso principale le ricorrentidenunciano la “Violazione di legge ai sensi dell’art. 360c.p.c., n. 3, sull’obbligo della banca di procedere al fra-zionamento. Violazione del d.lgs. n. 385 del 1993, art.39, comma 6, in relazione al d.lgs. n. 385 del 1993, art.161, comma 6, in relazione al d.lgs. n. 385 del 1993, art.161, comma 6, e, d.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5”.Rilevano che la Corte di merito ha respinto le domandeproposte dalle attuali ricorrenti nei confronti della Me-diovenezie Banca S.p.A. di cancellazione dell’ipotecagravante sui rispettivi immobili e di condanna al risarci-mento del danno sul presupposto che, in base alla nor-mativa disciplinante il contratto di mutuo in esame(d.P.R. n. 7 del 1976), non sussisteva un diritto al frazio-namento dell’ipoteca, introdotto solo con il d.lgs. n. 385del 1993, art. 39, comma 6.In mancanza di un tal diritto, non sussiste - secondo lasentenza impugnata - un obbligo dell’istituto mutuante

al frazionamento derivante da un dovere di correttezzae buona fede operante solo in materia contrattuale e lacui violazione al di fuori di un rapporto contrattuale èfonte di responsabilità solo in quanto concreti la viola-zione dell’altrui diritto, non rinvenibile nel caso di spe-cie.Ritengono che in base al d.lgs. n. 385 del 1993, art. 161,comma 6, restano regolati dalle norme anteriori, oraabrogate, solo “i contratti già conclusi e i procedimentiesecutivi in corso alla data di entrata in vigore del TestoUnico”.Da tale disposizione si evince che non sussiste limitazio-ne al diritto al frazionamento in capo al terzo acquiren-te.Non sussiste, infatti, fra quest’ultimo e la banca alcunrapporto contrattuale, con la conseguenza che, non es-sendo la fattispecie riconducibile a quella dei “contrattigià conclusi”, la stessa esula dall’applicazione del d.lgs. n.385 del 1993, art. 161, comma 6.Anche vigente il d.P.R. n. 7 del 1976, il frazionamentodoveva ritenersi un atto dovuto da parte della banca, inquanto la normativa speciale sul credito fondiario indi-viduava già all’epoca una diversa disciplina rispetto al

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1099

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

Visure ipotecarie

La diligenza professionale del notaio: obblighi di visura e informazione CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 11 gennaio 2006, n. 264Pres. Duva - Rel. Vivaldi - P.M. Fuzio (conf.) - B. ed altri c. Mediovenezie Banca S.p.A. ed altri

Acquisto di immobile con pagamento del prezzo mediante accollo di quota di mutuo - Mancati frazionamento ecancellazione dell’ipoteca - Responsabilità civile della banca - Insussistenza - Responsabilità professionale del notaio -Sussistenza.

(c.c. artt. 1175, 1176, 1239, 1324, 1375, 1421, 2697, 2809, 2826, 2841, 2858; d.lgs. 1° settembre 1993, n.385, artt. 39, 161; d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, artt. 2, 3)

Il mancato adempimento dell’obbligo di informazione da parte del notaio integra un elemento essen-ziale della sua prestazione professionale, ed il suo inadempimento costituisce violazione delle obbli-gazioni derivanti dal contratto di prestazione d’opera professionale. Infatti, per il notaio richiesto del-la preparazione e stesura di un atto di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà edisponibilità del bene e, più in generale, dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce,salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall’incarico conferitoglidal cliente e, quindi, fa parte dell’oggetto della prestazione d’opera professionale, poiché l’opera di cuiè richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende aquelle attività, preparatorie e successive, necessarie perché siano assicurate la serietà e la certezzadell’atto giuridico da rogarsi e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento delloscopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti.

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generale principio di indivisibilità ipotecaria di cui al-l’art. 2809 c.c.Ed anche il d.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5, (poilegge n. 175 del 1991, art. 5, comma 5) prevedeva la pos-sibilità di suddivisione del mutuo in quote e, correlativa-mente il frazionamento dell’ipoteca sulle varie unità im-mobiliari che compongono il complesso condominiale.Inoltre, deve aggiungersi che la disciplina del creditofondiario prevede espressamente l’ipotesi che la venditagiudiziaria si effettui per lotti (d.P.R. n. 7 del 1976, orad.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, art. 41, comma 5), insintonia con gli artt. 576, 577 e 578 c.p.c.Questo tipo di vendita comporta la suddivisione del mu-tuo ed il frazionamento dell’ipoteca con i criteri della di-visione (cioè identità e proporzionalità delle quote conla consistenza dei lotti).Il giudice dell’esecuzione, una volta avviata la proceduraesecutiva da parte della banca, deve stabilire con l’ordi-nanza di vendita o di assegnazione il prezzo che l’aggiu-dicatario o l’assegnatario debbono versare alla banca inbase al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, art. 141; ciò cheappare oltremodo difficile in assenza di un frazionamen-to dell’ipoteca.Conclusivamente sul punto sussistono elementi logico-interpretativi che inducono a considerare il fraziona-mento un atto dovuto dalla banca a richiesta anche delterzo acquirente.Con il terzo motivo del ricorso incidentale i ricorrentiincidentali denunciano la “Violazione del d.lgs. 1° set-tembre 1993, n. 385, art. 3, comma 6 e d.lgs. 1° settem-bre 1993, n. 385, art. 161, comma 1 e 6, - Violazione delgiudicato interno - Motivazione contraddittoria - art.360 c.p.c., n. 3, 4 e 5”.Rilevano l’erroneità della sentenza di merito che ha rite-nuto che al rapporto ipotecario intercorrente tra l’Istitu-to di credito e le ricorrenti principali (terze acquirenti) siapplichi la riserva della legislazione previgente di cui ald.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, art. 161, comma 6, trat-tandosi di contratto concluso prima del 1° gennaio1994. Quindi al rapporto ipotecario poteva applicarsisoltanto il d.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, e non la nuovanormativa.Rilevano i ricorrenti incidentali che in tal modo il giu-dice di merito ha violato il disposto d.lgs. 1° settembre1993, n. 385, art. 161, comma 6, ed anche il giudicatointerno che aveva affermato l’inesistenza di un rapportocontrattuale fra le ricorrenti principali e l’Istituto di cre-dito.Infatti, solo i contratti, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385,ex art. 161, comma 6, restano soggetti alla precedente re-golamentazione normativa; non gli altri rapporti che le-gano i proprietari degli immobili ipotecari all’Istituto dicredito fondiario.Se, quindi, il rapporto ipotecario era avulso dal contrat-to di mutuo, perché i terzi acquirenti dell’immobile gra-vato non ne erano parti e non erano vincolati, il rappor-to non poteva non essere soggetto alla nuova normativa

che sanciva l’obbligo dell’istituto di procedere al frazio-namento.La sentenza è anche contraddittoria non potendosi adun tempo affermare l’esistenza e la vincolatività del con-tratto di mutuo nei confronti delle ricorrenti principalied, al contempo, negare tutte le conseguenze che da talevincolatività derivano, in particolare sotto il profilo del-l’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto.I due motivi, relativi al ricorso principale ed incidentale,riguardando le medesime censure, vanno esaminati con-giuntamente.I motivi sono infondati.In proposito deve osservarsi che - come correttamentestatuito dalla Corte d’appello - ai sensi del combinato di-sposto del d.lgs. n. 385 del 1993, art. 39, comma 6, e art.161, comma 6, del d.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, comma 5,il diritto alla suddivisione in quote del finanziamentoconcesso al debitore originario e della relativa garanziaipotecaria riconosciuto ai terzi acquirenti può affermarsisolo con riferimento ai contratti stipulati dopo il 1° gen-naio 1994 data di entrata in vigore della c.d. nuova leg-ge bancaria.Viceversa per quelli conclusi, come nella fattispecie inesame, anteriormente a tale data vige il disposto d.P.R. n.7 del 1976, art. 3, per il quale il frazionamento configurauna rinuncia facoltativa del creditore ipotecario all’indi-visibilità dell’ipoteca (Cass. 12 febbraio 2003, n. 2073).Infatti, il frazionamento è solo formalmente un contrat-to con il mutuatario perché esso, consistendo in una ri-nuncia all’indivisibilità dell’ipoteca, costituisce un dirit-to del creditore ipotecario, diritto al quale solo quest’ul-timo può rinunciare.Quindi, il contratto di finanziamento in realtà consacratale rinuncia unilaterale dell’istituto di credito all’indivi-sibilità; rinuncia in ordine alla quale il terzo acquirentedell’immobile, già ipotecato, non può avere alcun dirit-to contrario e prevalente, non potendo influire sulla ri-nuncia stessa (Cass. 14 dicembre 1990, n. 11916).Né può dirsi che al terzo acquirente appartenga un talediritto sul presupposto che non è parte del contrattoconcluso con l’ente mutuante, per le ragioni più sopraevidenziate.Con il secondo motivo del ricorso principale denuncia-no la “Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.3: sull’obbligo della banca di mantenimento del rappor-to tra la somma mutuata e valore cauzionale. Violazionedel d.P.R. n. 7 del 1976, art. 2, lett. a)”.Rilevano l’erroneità della decisione di merito che ha ri-tenuto non sussistere in capo all’Istituto di credito l’ob-bligo del mantenimento del rapporto tra somma mutua-ta e valore cauzionale.In proposito si deve tenere conto che già il d.P.R. n. 7 del1976 prevedeva che la concessione del mutuo potevaavvenire per una percentuale pari, come importo massi-mo, al 50% del valore cauzionale (art. 2 decreto citato,lett. a).E le stesse percentuali fissate dalla legge per la concessio-

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061100

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

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ne del mutuo devono essere necessariamente rispettatenel procedere al frazionamento dell’ipoteca, assoluta-mente indispensabile nel caso di ipoteca costituita sucomplesso condominiale al fine di determinare la quotadi mutuo gravante su ogni singolo immobile.Nel caso di specie, pertanto, nel procedere al fraziona-mento dell’ipoteca, la banca avrebbe dovuto imputare aciascun immobile una quota di mutuo pari al 41,17% delvalore del bene.Con il terzo motivo del ricorso principale denunciano la“Violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: sul-l’applicabilità al caso di specie del principi di correttezzae buona fede”.Contestano la decisione del giudice di merito che haescluso l’applicabilità, al caso di specie, dei principi dicorrettezza e buona fede (quali fonti dell’obbligo di pro-cedere a frazionamento) sul presupposto che tra il credi-tore ipotecario (la Mediovenezie) ed i terzi acquirentidegli immobili non vi sarebbe alcun rapporto contrat-tuale.Infatti, se è vero che tra i terzi acquirenti e la banca nonè intercorso alcun rapporto contrattuale, tuttavia al ter-zo acquirente è espressamente riconosciuta dall’art. 2858c.c. la facoltà di pagare il creditore ipotecario al fine diottenere la liberazione del bene dall’ipoteca.Tale facoltà riconosciuta al terzo acquirente è un vero eproprio diritto potestativo. Ne consegue che in capo al-l’istituto di credito vi è l’obbligo di cooperare al fine diconsentire il pagamento da parte del terzo acquirente edil mancato rispetto in tal senso dei principi di correttez-za e buona fede, integra il diritto al risarcimento del dan-no.Errata è anche l’interpretazione del giudice di merito cheha ritenuto non applicabile alla fattispecie concreta ilprincipio del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., inquanto non sussiste alcun diritto al frazionamento che èstato violato.Anche, nell’ipotesi, infatti, che non sussista un vero eproprio diritto in capo ai terzi acquirenti degli immobili,il diritto, a fronte del quale s’impone alla banca di rispet-tare il principio del neminem laedere, è il diritto a poterepagare il creditore iscritto riconosciuto dall’art. 2858 c.c.agli stessi.Con il quarto motivo del ricorso principale denuncianola “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazionesu un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art.360 c.p.c., n. 5: sulla mala gestio dell’istituto di credito”.Rilevano che la pronuncia di merito appare priva di mo-tivazione con riguardo alla contestazione di mala gestioavanzata nei confronti della banca.Il giudice di merito si è, infatti, limitato ad affermare che“Né ancora, può affermarsi la ipotizzata mala gestio dell’i-stituto che, se riferita al preteso obbligo di conservare ilrapporto con il valore cauzionale, è privo di ogni conte-nuto...”.L’argomentazione del giudice di merito che non sussiste-va l’obbligo di conservare il rapporto con il deposito cau-

zionale - con la conseguenza della insussistenza della ma-la gestio - risulta inidonea a rivelare la ratio decidendi.Infatti, anche ammettendo che non vi sia l’obbligo dimantenimento del rapporto tra valore cauzionale e debi-to, il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede im-ponevano alla banca di non svincolare la quasi totalitàdegli immobili facenti parte del complesso condominia-le e di mantenere un’adeguata garanzia al fine di evitareche a garanzia di un credito di entità rilevante rimanes-sero solo tre immobili, con evidente pregiudizio per iproprietari degli stessi.Con il quinto motivo del ricorso incidentale i ricorrentiincidentali denunciano la “Violazione dell’obbligo dicomportarsi secondo buona fede e degli artt. 117, 1375,1324 e 2043 c.c. - art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”.Rilevano che erroneamente la Corte di merito avevaescluso un comportamento contrario ai doveri di corret-tezza e buona fede da parte dell’Istituto di credito rite-nendo che: “Né, escluso per il terzo acquirente, alla stre-gua della legislazione operante nella specie, il diritto alfrazionamento, può ragionevolmente ascriversi all’Isti-tuto mutuante un non meglio precisato dovere di buonafede, che imporrebbe di consentire comunque al frazio-namento, non solo perché trattasi di principio operantein materia contrattuale (nessun rapporto negoziale è maisorto tra la Mediovenezie rimasta estranea al negozio dicompravendita e gli appellanti incidentali, neanche peri pagamenti da costoro effettuati, riconducibili all’adem-pimento del terzo), ma anche, e soprattutto, perché laviolazione di siffatto dovere (per quanto, ma è dubbio ri-conducibile al più generale obbligo del neminem laedere)in tanto può essere fonte di responsabilità in quantoconcreti la violazione dell’altrui diritto, nel caso che oc-cupa non rinvenibile”.Né sarebbe ipotizzabile una mala gestio dell’Istituto pernon avere conservato il rapporto con il valore cauziona-le, mentre non si potrebbe invocare l’art. 2866 c.c., com-ma 2, perché questa disposizione opera solo quando “ilterzo sia chiamato a rispondere dell’intero debito del suodante causa”, mentre tale norma opererebbe esclusiva-mente nei rapporti tra debitore originario e creditore edogni profilo risarcitorio potrebbe essere fatto valere dalterzo acquirente solo nei confronti di tali soggetti.Tali affermazioni - secondo la tesi dei ricorrenti inciden-tali - contengono errori di diritto rilevanti ex art. 360c.p.c., n. 3.In primo luogo, l’obbligo di correttezza e buona fede de-ve improntare tutti i comportamenti giuridici, tragganogli stessi titolo da rapporti di natura contrattuale, da rap-porti in cui ad uno dei soggetti viene attribuita una posi-zione di preminenza, da diritti potestativi, o anche inipotesi di rapporti non nati da un contratto.Tali doveri di correttezza e buona fede sono richiamati inmoltissime disposizioni del codice civile e, soprattutto,negli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono rispettiva-mente a creditore e debitore di comportarsi secondo cor-rettezza e di eseguire i contratti secondo buona fede.

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Tali norme si applicano, per il richiamo di cui all’art.1324 c.c., anche agli atti unilaterali tra vivi aventi con-tenuto patrimoniale e comunque ad ogni rapporto ob-bligatorio; e, quindi, anche ai diritti ed ai poteri che alterzo creditore spettano in forza dell’ipoteca nei con-fronti del terzo acquirente.Anche la relazione tra creditore ipotecario e terzo acqui-rente dell’immobile gravato da ipoteca va pur semprequalificato come rapporto obbligatorio, sebbene non na-sca da un contratto concluso dai suoi due soggetti, con laconseguente applicazione dei principi sopraenunciati, diportata generale.“Al creditore ipotecario, come ad ogni titolare di diritti,e così fatto obbligo di conservare le posizioni giuridichedelle persone che sono nei suoi confronti legate, almenonella misura in cui questo non incida sulle proprie posi-zioni giuridiche”.Ne consegue che l’affermazione della Corte di merito se-condo cui le norme sull’esecuzione dei contratti non sa-rebbero applicabili alla fattispecie concreta è errata ed inviolazione degli artt. 1175 e 1324 c.c.Ad eguale risultato deve pervenirsi anche in ordine al-l’affermazione, contenuta nella sentenza di merito, se-condo la quale neppure il principio del neminem laederee l’art. 2043 c.c. sarebbe stato violato, poiché le ricor-renti principali non potrebbero lamentare “la violazio-ne dell’altrui diritto, nel caso che occupa non rinveni-bile”.In altri termini, il comportamento della MediovenezieBanca non avrebbe causato danno ingiusto, per difettodi lesione di una posizione soggettiva dei terzi acquiren-ti qualificabile come diritto soggettivo perfetto.Erronea - secondo i ricorrenti incidentali - è tale affer-mazione, posto che le ricorrenti principali erano titolaridel diritto di proprietà su beni ipotecati, diritto di pro-prietà violato dal comportamento contrario ai doveri dicorrettezza e buona fede.Egualmente per ciò che concerne la violazione dell’ob-bligo “dell’ente mutuante di conservare, sino all’estin-zione del mutuo, e dunque con riferimento anche adeventuali terzi acquirenti, quel rapporto (50%) indero-gabilmente previsto dal d.P.R. n. 7 del 1976, art. 2, tral’ammontare del mutuo ed il valore cauzionale dell’im-mobile”.Secondo la Corte di merito tale obbligo “deve ritenersisussistente, atteso il chiaro tenore della disposizione delcitato art. 2, solo all’atto dell’erogazione, e cioè dell’ori-ginaria stipulazione; contrariamente opinando si perver-rebbe, per altra strada, al diritto al frazionamento, supe-rando così il disposto del successivo art. 3, comma 5, de-creto citato”.Ad avviso dei ricorrenti incidentali, “anche a dare perammesso che l’obbligo del rapporto tra importo dato amutuo e valore cauzionale cessi al momento della con-clusione del contratto, esso è pur sempre indice di un do-vere, dell’Istituto di Credito fondiario, di operare concriteri di trasparenza e di tranquillità”.

Eguali considerazioni valgono per ciò che concerne l’ap-plicabilità dell’art. 2866 c.c., comma 2.La sentenza di merito afferma che non è ipotizzabile unamala gestio dell’Istituto, tenendo presente “il diritto delterzo acquirente, che ha soddisfatto la quota relativa alproprio immobile, di subingresso ex art. 2866 c.c., com-ma 2, nelle ipoteche iscritte sugli altri beni del debitoreinadempiente”. Tale disposizione opera solo “quando ilterzo sia chiamato a rispondere dell’intero debito del suodante causa” ed “esclusivamente nei rapporti tra questidue soggetti”.Anche in tal caso il giudice di merito ha ignorato l’ob-bligo di buona fede e di conservazione delle posizionidell’obbligato che gli artt. 1375 e 1175 c.c. impongonoanche nel rapporto tra creditore ipotecario e terzo acqui-rente.Il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principaleed il quinto motivo del ricorso incidentale riguardano lemedesime censure e possono essere esaminati congiun-tamente.I motivi sono infondati.In ordine all’erroneità della decisione di merito che haritenuto non sussistere in capo all’Istituto di credito l’ob-bligo del mantenimento del rapporto tra somma mutua-ta e valore cauzionale deve rilevarsi che il giudice delmerito non è incorso in alcuna violazione delle normecitate.Infatti, ai sensi del d.P.R. n. 7 del 1976, art. 2, tale obbli-go sussiste soltanto all’atto della erogazione, vale a diredell’originaria stipulazione (Cass. 1° settembre 1995, n.9219).Correttamente, quindi, il giudice del merito ha ritenutonon sussistere un obbligo per l’ente mutuante di conser-vare, fino all’estinzione del mutuo - e quindi con riferi-mento agli eventuali terzi acquisenti -, quel rapporto in-derogabilmente previsto dall’art. 2 citato.Quanto alla violazione dei principi di correttezza e buo-na fede, deve rilevarsi che la buona fede nell’esecuzionedel contratto si sostanzia in un generale obbligo di soli-darietà che impone a ciascuna delle parti di agire in mo-do da preservare gli interessi dell’altra a prescindere tan-to da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovereextracontrattuale del neminem laedere, trovando tale im-pegno solidaristico il suo limite precipuo unicamentenell’interesse proprio del soggetto, tenuto, pertanto, alcompimento di tutti gli atti giuridici e o materiali che sirendano necessari alla salvaguardia dell’interesse dellacontroparte nella misura in cui essi non comportino unapprezzabile sacrificio a suo carico (Cass. 30 luglio 2004,n. 14605).Nel caso di specie, di fronte all’insussistenza di un obbli-go dell’istituto mutuante di procedere al frazionamentonei confronti del terzo acquirente, correttamente il giu-dice del merito ha ritenuto che “Né, escluso per il terzoacquirente, alla stregua della legislazione operante nellaspecie, il diritto al frazionamento, può ragionevolmenteascriversi all’istituto mutuante un non meglio precisato

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dovere di buona fede, che imporrebbe di consentire co-munque al frazionamento, non solo perché trattasi diprincipio operante in materia contrattuale, ma anche, esoprattutto, perché la violazione di un siffatto dovere intanto può essere fonte di responsabilità in quanto con-creti la violazione dell’altrui diritto, nel caso che occupanon rinvenibile”.Trattasi di motivazione puntuale e corretta, resa inconformità ai principi sopra richiamati.Quanto, poi, alla ipotizzata mala gestio deve rilevarsi chedi fronte alla insussistenza dell’obbligo di mantenere ilrapporto tra valore cauzionale e debito, per le ragioni piùsopra evidenziate, correttamente il giudice del merito haritenuto che l’istituto di credito non è venuto meno adalcun dovere di correttezza e buona fede, difettando, per-tanto, la configurabilità, nella fattispecie concreta, diun’ipotesi di mala gestio.Con il quinto motivo del ricorso principale denuncianola “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazionesu un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art.360 c.p.c., n. 5: sulla pretesa assenza di attualità del dan-no”.Preliminarmente deve rilevarsi che in ordine a tale mo-tivo i ricorrenti incidentali ne assumono l’inammissibi-lità, in quanto la copia notificata del ricorso principalenon contiene la pag. 20 in cui il motivo è trattato.Il rilievo è infondato.Ai fini del riscontro degli atti processuali deve aversi ri-guardo agli originali e non alle copie, per cui l’eventualemancanza di una pagina dell’atto notificato può assume-re rilievo soltanto se lesiva del diritto di difesa. Ciò cheva in ogni caso escluso quando la pagina omessa risultiirrilevante ai fine di comprendere il tenore della difesaavversaria e quando l’atto di costituzione della partecontenga una puntuale replica alle deduzioni contenutenell’atto notificato, comprese quelle contenute nella pa-gina mancante (Cass. 15 aprile 2004, n. 7200; Cass. 28aprile 1998, n. 4334).Nel caso di specie il motivo è trattato da pag. 17 a pag.21 del ricorso principale ed i ricorrenti incidentali si so-no puntualmente difesi sulle questioni nel motivo trat-tate. Nessun diritto di difesa è stato, pertanto, violato.Nel merito le ricorrenti principali rilevano che la sen-tenza è sprovvista di adeguata motivazione con riguardoal capo in cui statuisce che non sussiste, nel caso di spe-cie, l’attualità del danno.Errata è la tesi affermata, a sostegno della inattualità deldanno, in base alla quale la B., avendo ceduto alla Sat.Com. s.n.c. l’immobile, non ha sofferto alcun nocumen-to dalla permanenza dell’iscrizione ipotecaria.La B., infatti, assieme al marito B. D. è socia della Sat.Com. s.n.c. e la cessione del bene è stata dettata da ra-gioni di natura esclusivamente fiscale.Tale circostanza, pertanto, non giustifica la pretesa inat-tualità di pregiudizi economici in capo alla ricorrente,atteso che l’iscrizione ipotecaria, sia per la B., sia per lealtre ricorrenti, ha certamente reso il bene non commer-

ciabile ed è stata fonte di una vicenda giudiziaria non an-cora conclusa, con forti ripercussioni sul piano persona-le.Neppure corrisponde al vero quanto afferma il giudice dimerito secondo cui l’esecuzione da parte della banca nonrisulta essere mai stata minacciata, posto che la ricorren-te ha documentato che in ben due occasioni la banca hanotificato al proprietari precetti per circa £2.500.000.000.Errata è anche l’affermazione che non sussiste il dannolamentato anche perché la banca non ha ancora avvia-to la procedura esecutiva per cui non potrebbe pronun-ciarsi né sentenza di condanna generica (per la quale sirichiede specifica domanda che qui non è stata propo-sta), né sentenza di condanna condizionata (la quale ri-chiede che l’evento futuro e incerto dal quale dipende ildanno non debba essere soggetto al controllo di altri ac-certamenti di merito in un ulteriore giudizio di cognizio-ne).Con riguardo all’attualità del danno la Corte di Cassa-zione ha osservato che in tali casi il danno “è connessoall’esistenza stessa dell’ipoteca e discende dalla eventua-le espropriazione che l’acquirente subisca, con la conse-guente perdita del bene, ovvero, anche in mancanza diespropriazione, dall’impossibilità di conseguire talunivantaggi, quali quelli derivanti da una vendita vantag-giosa o alla fine, quanto meno, dalla necessità della pur-gazione dell’ipoteca, a norma degli artt. 2889 c.c. e ss.”(Cass. 3 gennaio 1994, n. 6).Inoltre, anche ammettendo che il danno non possa con-siderarsi attuale, il giudice del merito ben poteva pro-nunciare una condanna condizionale.La Corte di Cassazione ha avuto, infatti, occasione diesaminare la fattispecie, affermando che il terzo acqui-rente ha diritto di ottenere il risarcimento dei danniconsistenti in tutte le somme eccedenti la quota del mu-tuo accollata che si sarebbe visto costretto a corrispon-dere all’istituto di credito.In tali ipotesi il giudice del merito deve accogliere la do-manda e pronunciare sentenza di condanna condiziona-le al verificarsi dell’evento del pagamento delle predettesomme superiori alla quota di mutuo accollata (Cass. 14dicembre 1990, n. 11916).Il motivo non è fondato.Agli effetti dell’azione di risarcimento dei danni, il terzoacquirente di immobili ipotecati - cui l’art. 2858 c.c. at-tribuisce il diritto potestativo di pagare i creditori iscrittiovvero di rilasciare i beni ovvero di liberarli dalle ipote-che - deve dimostrare di avere effettivamente tenutouna di tali condotte, dovendosi distinguere, in mancan-za di prova di un effettivo pregiudizio, tra pericolo didanno e pericolo che determina un danno attuale comenel caso di impossibilità o di ritardo nel rivendere il be-ne a terzi (Cass. 12 maggio 2000, n. 6123; Cass. 30 giu-gno 2005, n. 13957).Nel caso di specie, il giudice del merito ha ritenuto cheuna serie di elementi puntualmente indicati, quali il

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pieno godimento dell’immobile da parte dei signori S. eP. e la cessione, da parte della B. alla Sat s.n.c. - esclu-dessero la sussistenza di un danno attuale, quale presup-posto del risarcimento richiesto, concludendo sul puntoche “ne consegue dunque, come dedotto dagli appel-lanti, la non attualità del danno, che gli appellanti inci-dentali individuano proprio nel pericolo di esecuzioneda parte del creditore ipotecario e, sia pure senza la do-vuta chiarezza, nella permanenza del vincolo, vincoloche agendo, peraltro, sulla commerciabilità del benenecessiterebbe della prova - non fornita né offerta - del-la mancata vendita o delle difficoltà che ha frappostoalla vendita”.Trattasi di motivazione corretta e puntuale, non smenti-ta dalle censure sopra indicate, avanzate dalle ricorrentiche, oltre a non fornire - come rilevato dal giudice delmerito - prove in ordine alle difficoltà nella commercia-bilità del bene, per il permanere del vincolo, non hannoneppure indicato nel ricorso per Cassazione in quali attisiano contenute le contestazioni in ordine alla non veri-dicità della circostanza affermata dal giudice di meritosecondo cui l’esecuzione da parte della banca non risultaessere mai stata minacciata, “posto che la ricorrente hadocumentato che in ben due occasioni la banca ha noti-ficato ai proprietari precetti per circa £ 2.500.000.000” enon ne hanno riportato neppure il contenuto, con ciòviolando il principio di autosufficienza.Neppure fondata è la censura secondo la quale, ancheammettendo che il danno non possa considerarsi attua-le, il giudice del merito avrebbe potuto pronunciale unacondanna condizionale.Nell’ordinamento processuale vigente sono ammessesentenze di condanna condizionate, quanto alla loro ef-ficacia, al verificarsi di un determinato evento futuro edincerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad unacontroprestazione specifica, sempre che la circostanzatenuta presente sia tale per cui il suo verificarsi non ri-chieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi inun nuovo giudizio di cognizione (Cass. 1° ottobre 2004,n. 19657; Cass. 25 agosto 2003, n. 12444).Nel caso di specie il giudice del merito ha correttamenteritenuto l’insussistenza del presupposti per la pronunciadi un sentenza di condanna condizionata rilevando che“se anche la condanna nella specie potrebbe astratta-mente ricondursi all’espropriazione del bene e dunqueall’esecuzione eventualmente promossa dal creditoreipotecario, è del tutto evidente che, verificatosi l’evento,la quantificazione del danno abbisognerebbe - necessa-riamente - di un nuovo giudizio di merito”.Trattasi di valutazione di merito resa con motivazionepuntuale, in linea con i principi sopra espressi.Con il sesto motivo del ricorso principale denunciano la“Omessa pronuncia su un punto della controversia: sulladomante di accertamento dell’importo ancora dovutoalla banca in forza dell’ipoteca iscritta sugli immobili esulla domanda di manleva. Violazione di legge ai sensidell’art. 360 c.p.c, n. 3: sul diritto potestativo del terzo

acquirente di pagare il creditore iscritto. Violazione del-l’art. 285 c.c.”.Rilevano che il giudice di appello è caduto in un evi-dente error in procedendo avendo omesso di pronunciarsisu di una specifica domanda proposta, seppure in via su-bordinata, dagli attuali ricorrenti, cioè di “determinarequanto ancora dovuto alla Mediovenezie con riferimen-to al mutuo fondiario di cui agli atti 28 gennaio 1977, n.31.551 e 4 dicembre 1979, n. 36123 di rep. del notaio LaR. di Padova, gravante sugli immobili dei deducentie...condannarlo a manlevare i deducenti, nonché...al ri-sarcimento dei danni effettivamente patiti e patiendi da-gli stessi nella misura che sarà ritenuta di giustizia”.“Alla luce di tale domanda avanzata sin dall’atto di cita-zione introduttivo del giudizio di primo grado con riferi-mento alla quale era stata richiesta l’ammissione di ap-posita consulenza tecnica, è evidentemente del tuttofuori di luogo la tesi sostenuta dal giudice di appello, se-condo cui l’accertamento del danno nel caso in esamenecessiterebbe d’instaurare un ulteriore giudizio di co-gnizione”.Il motivo non è fondato.Infatti, agli effetti dell’azione di risarcimento dei danni,il terzo acquirente di immobili ipotecati - cui l’art. 2858c.c. attribuisce il diritto potestativo di pagare i creditoriiscritti ovvero di rilasciare i beni ovvero di liberarli dalleipoteche - deve dimostrare di avere effettivamente tenu-to una di tali condotte, dovendosi distinguere, in man-canza di prova di un effettivo pregiudizio, tra pericolo didanno e pericolo che determina un danno attuale comenel caso di impossibilità o di ritardo nel rivendere il be-ne a terzi (Cass. 12 maggio 2000, n. 6123; Cass. 30 giu-gno 2005, n. 13957).In mancanza di una prova siffatta il giudice del merito haimplicitamente rigettato la domanda.D’altra parte il vizio di omessa pronuncia è configurabilesolo con riguardo alla mancanza di una decisione da par-te del giudice in ordine ad una domanda che richiedauna pronuncia di accoglimento o di rigetto e va esclusoove ricorrano gli estremi di una pronuncia implicita o diun suo assorbimento in altre statuizioni (Cass. 8 marzo2001, n. 3435).Nel caso di specie sussistevano gli estremi della decisio-ne implicita e dell’assorbimento della domanda, unavolta che la decisione sulla domanda di manleva era sta-ta superata dall’affermazione correttamente resa dal giu-dice del merito in ordine all’inattualità del danno.Con il settimo motivo del ricorso principale denuncianola “Omessa pronuncia su un punto decisivo della con-troversia: sull’accertamento della responsabilità profes-sionale del notaio”.Rilevano, a tal fine, che il giudice di appello, pur enun-ciando nella parte motiva della sentenza, di ritenere cor-retta la decisione di primo grado in ordine alla responsa-bilità professionale del notaio, nella parte dispositivadella sentenza così statuisce: “...b) in parziale riformadella sentenza 20 aprile - 1° giugno 2000 del Tribunale di

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Venezia, che nel resto conferma, respinge la domandaproposta da B. R. e dai consorti S. P. nei confronti di L.A. e, quindi, dei suoi eredi come in epigrafe indicati...”.Nella sentenza, pertanto - seppure la portata della deci-sione non va desunta soltanto dalla formula conclusivaadottata, ma va ricavata dalla motivazione - non è preci-sato che la domanda rigettata e solo quella relativa al ri-sarcimento del danno da parte del notaio e non quella diaccertamento della responsabilità professionale dellostesso.In tal senso i ricorrenti evidenziano l’omissione in cui èincorso il giudice di appello “per l’eventualità che la stes-sa possa determinare un’omessa pronuncia su un puntodecisivo della controversia”.Il motivo è infondato.Invero, è principio pacifico che la portata precettiva diuna sentenza va individuata con riferimento non solo aldispositivo, ma anche alla motivazione e trova applica-zione tutte le volte che il giudice abbia pronunciato unasentenza di merito (di accertamento o di condanna) ilcui dispositivo, in conseguenza della indeterminatezza oincompletezza del suo contenuto precettivo, si presti aduna integrazione (Cass. 11 gennaio 2005, n. 360).D’altra parte, poiché il dispositivo ha la funzione diesprimere in forma riassuntiva la decisione, l’incertezzainterpretativa emergente per la mancata riproduzionenel dispositivo di una parte della decisione non può cheessere sciolta nel senso della prevalenza della motivazio-ne (Cass. 4 marzo 2005, n. 4741).Con l’ottavo motivo del ricorso principale denuncianola “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazionesu un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art.360 c.p.c., n. 5; sulla cancellazione delle pretese frasi in-giuriose contenute nella comparsa conclusionale dellericorrenti nel giudizio di appello”.Rilevano a tal fine che la decisione impugnata è priva dimotivazione con riguardo al capo con il quale è stata di-sposta la cancellazione di frasi ingiuriose contenute nel-la comparsa conclusionale dei deducenti.Si legge nella sentenza: “La natura offensiva di taliespressioni (i deducenti sono stati convinti dal vendito-re, con la complicità del notaio...risulta in modo incon-futabile che egli abbia preso parte ai raggiri “atteggia-mento compiacente del notaio nei confronti del vendi-tore”) e la gratuità delle stesse sono fuor di dubbio”.I ricorrenti deducono di avere offerto di provare per te-stimoni le circostanze in base alle quali hanno ritenutodi desumere la complicità del notaio ed il suo atteggia-mento compiacente nei confronti del venditore.Il motivo è inammissibile.Infatti, la valutazione, da parte del giudice di merito, sulcarattere sconveniente o offensivo di espressioni conte-nute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all’og-getto della lite, nonché l’emanazione o meno dell’ordinedi cancellazione delle medesime a norma dell’art. 89c.p.c. integrano esercizio di potere discrezionale, noncensurabile in sede di legittimità, e l’istanza volta alla

cancellazione costituisce una mera sollecitazione perl’applicazione dell’anzidetto potere discrezionale (Cass.7 luglio 2004, n. 12479).Con il nono motivo denunciano la “Omessa, Insuffi-ciente e contraddittoria motivazione su un punto decisi-vo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: sul-la compensazione delle spese tra gli appellanti principalie gli appellanti incidentali”.Rilevano la illogicità e la contraddittorietà della senten-za di merito nella parte in cui compensa le spese tra gliappellanti principali (gli eredi del notaio e la legataria L.F.) e gli attuali ricorrenti.Assume il giudice di merito che “motivi di giustizia con-sigliano l’integrale compensazione tra gli appellantiprincipali e gli appellati-appellanti incidentali per en-trambi i gradi di giudizio”.Con riguardo all’appellante principale L. F., intervenutanel giudizio a seguito del decesso del notaio, la Corted’appello ha dichiarato inammissibile tale intervento sulpresupposto che l’interveniente non è erede, bensì lega-taria del notaio.L’applicazione del principio della soccombenza imponeva,pertanto, al giudicante di condannare L. F. alla rifusionedelle spese in favore degli attuali ricorrenti principali.Con riguardo agli altri appellanti la Corte ha conferma-to la responsabilità degli stessi, quali eredi del notaio, peri danni derivanti agli appellati appellanti incidentali daigravi inadempimenti commessi dal loro dante causa nel-l’esercizio della propria attività professionale, seppure ri-tenendo di non potere accogliere alla stato la conse-guente domanda di risarcimento del danno e/o manlevaper presunta non attualità del danno.Il motivo è infondato.Va, infatti, rilevato che la valutazione dell’opportunitàdella compensazione, totale o parziale, delle spese pro-cessuali, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia inquella della ricorrenza di giusti motivi, rientra nei poteridiscrezionali del giudice di merito e non richiede specifi-ca motivazione, restando perciò incensurabile in sede dilegittimità, salvo che risulti violato il principio secondocui le spese non possono essere poste a carico della partetotalmente vittoriosa ovvero che, a fondamento delladecisione del giudice di merito di compensare le spese,siano addotte ragioni palesemente illogiche e tali da in-ficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lostesso processo formativo della volontà decisionale(Cass. 4 maggio 2005, n. 9260; Cass. 1° settembre 2003,n. 12744).Ciò che, nella fattispecie concreta, non sussiste.Con il primo motivo del ricorso incidentale i ricorrentidenunciano la “Violazione e falsa applicazione dell’art.345 c.p.c. - art. 360 c.p.c., n. 3 e 4”.Rilevano che la Corte di merito ha ritenuto inammissi-bili, costituendo domande nuove, i primi tre motivi diappello proposti dal notaio L. e dai suoi eredi con cui erastata censurata la sentenza del giudice di primo gradonella parte in cui aveva respinto la domanda degli origi-

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GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

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nari attori, oggi ricorrenti principali. In tal modo gliesponenti avevano fatto proprie le domande propostedai consorti S. - B. contro la Mediovenezie Banca S.p.A.Si tratterebbe di domanda nuova, posto che a tale do-manda delle ricorrenti principali gli attuali ricorrenti in-cidentali mai avrebbero aderito in primo grado.Il motivo è in primo luogo inammissibile, ma ancheinfondato.Sotto il primo profilo deve sottolinearsi che il motivo,come proposto, viola il principio di autosufficienza, nonessendo riportati in ricorso i primi tre motivi di appelloproposti dal notaio L.; il che non consente neppure allaCorte di esaminare il motivo sotto il denunciato aspettodella novità della domanda.Peraltro, deve ritenersi anche infondato se - come è da-to intuire - riguarda i profili di responsabilità evidenziatidagli attuali ricorrenti principali nei confronti della Me-diovenezie Banca S.p.A., posto che, come più sopra rile-vato nell’esaminare i motivi del ricorso principale, glistessi sul punto sono stati ritenuti infondati.Con il secondo motivo denunciano la “Violazione del-l’art. 1421 c.c., art. 1239 c.c., n. 7, artt. 2826, 2841 e 280c.c. - art. 360 c.p.c., n. 3 e 4”.Rilevano di avere sollevato, sia pure solo nella comparsaconclusionale d’appello il rilievo che “i beni oggetto del-la rinnovazione sono stati identificati con il richiamo alcomune di ubicazione (ed alle vie ove sono situati) non-ché alle schede planimetriche e non già, invece, con ri-ferimento, come imporrebbe l’art. 2826 c.c. al n. ...... difoglio e di mappa; detta - insufficiente - descrizione delbene gravato dal vincolo comporterebbe, a norma delsuccessivo art. 2841 c.c. l’invalidità dell’iscrizione, essen-do incerta l’identità dei singoli beni, invalidità che,comportando la caducazione del vincolo, escluderebbeogni ragione di danno per gli acquirenti degli immobili”.Erroneamente, quindi, il giudice del merito ha ritenutoche “all’inesattezza della nota di trascrizione non conse-gue la nullità dell’iscrizione ipotecaria, in quanto tale ri-levabile anche d’ufficio, ma piuttosto la sua inopponibi-lità al titolare del bene sul quale grava; in altri termini lairregolarità riscontrate - quand’anche sussistenti - opere-rebbero sul piano dell’efficacia e non già della validità,con la conseguenza che la relativa eccezione (in sensostretto) si palesa irrimediabilmente tardiva”.Contestano a tal fine la qualificazione della loro eccezio-ne.Infatti - secondo la giurisprudenza della Corte di Cassa-zione - le incertezze rilevanti ex artt. 2839, 2826 e 2841c.c. comportano l’invalidità dell’iscrizione; “il che èquanto dire la sua nullità. Naturalmente, da questa nul-lità deriva anche l’inopponibilità ai terzi; ma ciò non to-glie che il vizio primigenio sia quello della nullità”.Ne consegue che il giudice di merito aveva l’onere, aisensi dell’art. 1421 c.c., di controllare d’ufficio la validitàdella rinnovazione dell’iscrizione ipotecaria, con la con-seguenza che, se fosse stata accertata la nullità, nessunaulteriore pronunzia avrebbe potuto essere resa, in parti-

colare sui rapporti tra le ricorrenti principali e gli attualiricorrenti incidentali.Il motivo è infondato.I principi in tema di trascrizione sono finalizzati, in viaprincipale, a dirimere il possibile conflitto fra più acqui-renti dello stesso bene immobile o mobile registrato.Ne consegue che all’eventuale inesattezza della nota ditrascrizione - oggetto di un apprezzamento di fatto insin-dacabile in sede di legittimità - consegue soltanto l’inop-ponibilità nei confronti del terzo in buona fede, essendola trascrizione, a tal fine, invalida (Cass. 22 aprile 1997,n. 3477).Correttamente, quindi, il giudice di merito ha ritenutol’eccezione, sollevata soltanto nella comparsa conclusio-nale d’appello, tardiva.Con il quarto motivo denunciano l’“Omesso esame diun punto decisivo - Violazione dell’art. 112 c.p.c. - art.360 c.p.c., n. 3, 4 e 5”.Rilevano che la Corte di merito non ha esaminato laquestione, sollevata dagli attuali ricorrenti incidentali,relativa al frazionamento dell’ipoteca che, ai sensi deld.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, può essere oggetto di rinunciadel creditore ipotecario al diritto all’indivisibilità dell’i-poteca e perciò riconducibile ad un atto unilaterale.Ed il frazionamento del mutuo e - conseguentementedell’ipoteca - sia pure solo in via amministrativa altronon era che quell’atto unilaterale in cui giuridicamenteconsiste.La questione è decisiva soprattutto nell’ipotesi di appli-cazione alla fattispecie del disposto del solo d.P.R. n. 7del 1976, art. 3, comma 5.Infatti “se il frazionamento in via amministrativa è ilconsenso unilaterale previsto da tale norma, ogni pro-blema circa la sussistenza dell’ipoteca sugli immobili del-le ricorrenti è risolto in radice; ed in senso che, essendopacifico che la quota frazionata di mutuo era stata paga-ta, anche l’ipoteca doveva ritenersi estinta”.Il motivo è infondato.Come già rilevato, il diritto al frazionamento può essereaffermato soltanto con riferimento ai contratti conclusidopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 385 del 1993, men-tre per quelli conclusi in epoca anteriore è applicabile lanorma del d.P.R. n. 7 del 1976, art. 3, che prevede la me-ra facoltà dell’istituto mutuante di consentire il fraziona-mento, facoltà che nel caso di specie l’istituto di creditoha ritenuto, legittimamente, di non esercitare.Con il sesto motivo denunciano la “Violazione e falsaapplicazione dell’art. 2697 c.c. e delle regole sulla ripar-tizione dell’onere della prova - Omesso esame di puntodecisivo - Motivazione errata e contraddittoria sul pun-to decisivo art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5”.Deducono che la Corte di merito è incorsa nella viola-zione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nell’omette-re l’esame di un punto decisivo della controversia e chela decisione non è adeguatamente motivata in ordine al-la affermazione della responsabilità professionale del no-taio.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061106

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Sostengono a tal fine che incombeva alle attuali ricor-renti principali provare - ciò che non è stato - la respon-sabilità del notaio, poiché l’obbligo di informazione cuiera tenuto il notaio costituiva un obbligo accessorio.Il motivo è infondato.Correttamente, invece, il giudice del merito ha ritenutoche il mancato adempimento all’obbligo di informazio-ne da parte del notaio integrasse un elemento essenzialedella sua prestazione professionale ed il suo inadempi-mento costituisse violazione delle obbligazioni derivantidal contratto di prestazione d’opera professionale, con laconseguenza che era onere dello stesso notaio dimostra-re il corretto adempimento delle obbligazioni sullo stes-so gravanti. Di ciò ha dato atto nella decisione impu-gnata rilevando che il notaio si era limitato a sosteneredi avere “oralmente spiegato ai clienti gli effetti (nonmeglio precisati) della stipulazione mai negando però diaverli dissuasi dalla stipulazione”.Infatti, per il notaio richiesto della preparazione e stesu-ra di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, lapreventiva verifica della libertà e disponibilità del benee, più in generale, dei registri immobiliari attraverso laloro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per con-corde volontà delle parti, obbligo derivante dall’incaricoconferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell’oggettodella prestazione d’opera professionale, poiché l’opera dicui è richiesto non si riduce al mero compito di accerta-mento della volontà delle parti, ma si estende a quelleattività preparatorie e successive necessaria perché siaassicurata la serietà e certezza dell’atto giuridico da ro-garsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare ilconseguimento dello scopo tipico di esso e del risultatopratico voluto dalle parti dell’atto (Cass. 13 giugno2002, n. 8470).

Con il settimo motivo denunciano la “Violazione delprincipi in tema di responsabilità del notaio - Motiva-zione insufficiente e contraddittoria - art. 360 n. 3 e 5”.Rilevano che la motivazione della sentenza impugna-ta è insufficiente e contraddittoria nella parte in cui ri-conosce la responsabilità del notaio nel non avere dis-suaso i compratori dall’acquistare, poiché il notaio haun rapporto professionale sia con gli acquirenti, siacon i venditori, con la conseguenza che una diversacondotta avrebbe potuto sollevare le rimostranze deivenditori.Il motivo è infondato.Va a tal fine sottolineato che, nell’adempimento delleobbligazioni inerenti all’esercizio dell’attività di notaio,il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur ri-vestendo i caratteri dell’obbligazione di mezzi e non di ri-sultato non può ritenersi circoscritta al compito di meroaccertamento della volontà delle parti ed alla direzionedella compilazione dell’atto, estendendosi, per converso,a tutte quelle ulteriori attività preparatorie e successive,funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogitoed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conse-guimento dello scopo tipico del negozio voluto dalle par-ti, con la conseguenza che l’inosservanza di tali obblighiaccessori dà luogo a responsabilità ex contractu per ina-dempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera in-tellettuale, a nulla rilevando che la legge professionalenon contenga alcun esplicito riferimento a tale peculia-re forma di responsabilità (Cass. 28 gennaio 2003, n.1228).La Corte di merito ha fatto corretto uso di tali principiponendoli alla base della propria decisione.Conclusivamente entrambi i ricorsi vanno rigettati.... Omissis...

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IL COMMENTOdi Gianluca Guerreschi

Nonostante nessuna norma di legge specifica lo im-ponga, è pacifica la sussistenza, per il notaio incari-cato della stesura di un atto di trasferimento immo-biliare, dell’obbligo di procedere, preventivamente,alle c.d. visure ipotecarie. In quale norma trova fon-damento, quindi, l’esistenza di tale obbligazione? Ecome deve operare, il notaio, perché, nel concreto,possa dirsi adempiente?

I coniugi S. A. e S. P., ed il signor R. B., acquistano unnegozio, facente parte di un complesso immobiliare grava-to da ipoteca, e convengono che, al pagamento del prezzo,si provveda mediante accollo di una quota del mutuo con-

tratto dal venditore. Nonostante il pagamento dell’interoprezzo, tuttavia, la banca rifiuta il frazionamento di mutuoed ipoteca e, conseguentemente, la cancellazione della me-desima dai registri immobiliari (1). Di qui, le domande altribunale di Venezia, volte al risarcimento dei danni, neiconfronti del mutuante, del notaio rogante e, in subordine,per quanto eventualmente ancora dovuto alla banca, alla

Nota:

(1) La banca motiva la sua scelta alla luce del combinato disposto tra l’art.2809 c.c., che sancisce il principio di indivisibilità dell’ipoteca, e l’art. 3d.P.R. 7/1976, per il quale il frazionamento configura una rinuncia facol-tativa del creditore ipotecario al principio suddetto. Avendo già provve-duto ad alcuni frazionamenti e relativi svincoli, l’istituto di credito ha,evidentemente, ritenuto opportuno non indebolire ulteriormente la pro-pria garanzia reale.

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condanna del notaio a manlevare gli attori. Il giudice re-spinge le richieste nei confronti della banca, ma accogliequelle verso il notaio (2), che propone appello, sostenendo,fondamentalmente, che la situazione di fatto (ossia l’esi-stenza dell’ipoteca, con le relative conseguenze) fosse bennota alle parti, dato che egli le aveva opportunamente reseedotte al riguardo. Gli appellati, dal canto loro, propongo-no appello incidentale, lamentando l’esiguità del danno li-quidato.

La Corte d’appello di Venezia conferma le decisioni diprimo grado, riformando la sentenza solo parzialmente (3).

Gli acquirenti del bene ipotecato ricorrono, allora, inCassazione, sulla base di ben nove motivi; resistono, concontroricorso, la banca e gli eredi del notaio (nel frattempodefunto), questi ultimi proponendo ricorso incidentale affi-dandosi a sette motivi. I ricorrenti principali vi resistonocon controricorso.

La Suprema Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. In parti-colare, per quanto attiene ai profili di responsabilità del no-taio, la Cassazione ritiene incensurabile la decisione delgiudice di merito, allorché ha ritenuto che il mancatoadempimento all’obbligo di informazione, da parte del pro-fessionista, integrasse gli estremi di un elemento essenziale,e non secondario, della sua prestazione; perciò, tale ina-dempimento costituisce violazione delle obbligazioni deri-vanti dal contratto di prestazione d’opera professionale, e,conseguentemente, è onere dello stesso notaio dimostrareil corretto adempimento delle proprie obbligazioni. Difatti,come il giudice di legittimità ha modo di ricordare, la pre-ventiva verifica della libertà e disponibilità del bene immo-bile, attraverso la consultazione dei registri immobiliari, co-stituisce per il notaio un obbligo derivante dall’incaricoconferitogli dai clienti (a meno di un’espressa e concorderinuncia di questi ultimi in tal senso); pertanto, essa è par-te integrante della sua prestazione professionale, la qualenon può certo ridursi al compito di mero accertamento del-la volontà delle parti, ma deve estendersi a quelle attivitàpreparatorie (e successive) necessarie per assicurare, da unlato, la serietà e certezza dell’atto giuridico, dall’altro, la suaattitudine a conseguire il suo scopo tipico e quello ricerca-to, concretamente, dalle parti.

L’obbligo di procedere alle visure ipotecarie...Non esiste una specifica disposizione di legge che ob-

blighi il notaio alle c.d. visure ipotecarie. Occorre, quindi,preliminarmente, chiedersi la fonte di tale dovere.

Si ritiene che per il notaio, incaricato di redigere unatto di trasferimento immobiliare, l’obbligo di verificare lalibertà e disponibilità del bene, attraverso le c.d. visure ipo-tecarie, riposi nel contratto d’opera professionale che lo le-ga ai clienti. Infatti, la prevalente giurisprudenza (di cui lasentenza qui annotata è un significativo esempio) ravvisa lafonte di tale dovere nella diligenza tecnica, richiesta al de-bitore dalla clausola generale contenuta nell’art. 1176, se-condo comma c.c. (4).

Effettivamente, chi vuole acquistare un bene mira al-la realizzazione di un acquisto valido e pienamente efficace,

e l’intervento del notaio, quale professionista, si inserisceproprio in questa direzione: per questo motivo egli dovràverificare la libertà del bene, allo scopo, cioè, di offrire alleparti il ragionevole affidamento di una consacrazione fede-le ed efficace della loro volontà. In sintesi, secondo questaricostruzione, la responsabilità del notaio deriva dal suo ob-bligo, qualificato come obbligazione di mezzi e non di risul-tato, e che trova, fondamentalmente, la sua fonte giuridicanell’art. 1176, secondo comma c.c. (5). Pertanto, il notaio

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061108

GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

Note:

(2) In ordine all’irresponsabilità della banca, il tribunale di Venezia ricor-da come l’esistenza di un vero e proprio diritto al frazionamento dell’ipo-teca relativa al mutuo concesso al debitore originario possa affermarsi so-lo per i contratti stipulati dopo l’1 gennaio 1994, data di entrata in vigo-re della nuova legge bancaria (d.lgs. n. 385/1993), che espressamente loprevede. Per ogni contratto concluso anteriormente a tale data, la nor-mativa applicabile è, e resta, quella posta dal d.P.R. 7/1976, che al riguar-do prevede una semplice facoltà della banca. Viceversa, in capo al notaio,è ravvisata la sussistenza di responsabilità professionale, per il non avercorrettamente adempiuto alle proprie obbligazioni, con l’informare com-piutamente le parti in ordine alle conseguenze giuridiche inerenti al vin-colo ipotecario gravante sui beni compravenduti.

(3) Fondamentalmente, oltre a respingere le richieste degli appellantiprincipali, la Corte d’appello di Venezia rigetta anche la domanda propo-sta dagli appellanti incidentali, ordina la cancellazione di frasi ritenute in-giuriose dell’onorabilità del notaio, contenute nella loro comparsa con-clusionale e, infine, li condanna alla rifusione, in favore della banca, del-le spese del giudizio di secondo grado.

(4) Questa posizione giurisprudenziale è, in realtà, il risultato di un lungopercorso evolutivo, che ha abbracciato, per così dire, anche soluzioniestreme: infatti, da un’iniziale opinione che vedeva la sussistenza di taleobbligo solo in presenza di un espresso incarico delle parti (id est, contrat-to di mandato; cfr. le assai risalenti Cass. Napoli 20 marzo 1903, in Giorn.not., 1903, 199; Cass. Regno 6 maggio 1933, n. 1608, in Rolandino, 1933,375 ss.), si è passati a fondare tale obbligo nella stessa funzione pubblicadel notaio, attraverso il raccordo tra art. 2913 c.c. e art. 28, primo comma,l.n.: ossia, ricevere un atto di trasferimento relativo ad un bene, poniamo,pignorato, realizzava una violazione del precetto contenuto dalla leggenotarile, che proibisce di rogare atti vietati dall’ordinamento o contrariall’ordine pubblico (cfr., per tutte, Cass. 1° agosto 1959, n. 2444, in Foroit., 1960, I, 100); il notaio, non effettuando le visure, si esponeva al rischiodi porre in essere un atto inefficace verso i creditori pignoratizi, ed in ciòera vista la violazione dell’art. 28 l.n. (con le gravi conseguenze, anche di-sciplinari, che ciò comporta per il notaio). Si trattava, ad ogni modo, diuna posizione contraddittoria, dato che da un lato, argomentando ex art28 l.n., pareva affermare un’assoluta ineluttabilità della visura ipotecaria(in quanto collegata all’esercizio di pubbliche funzioni da parte del no-taio), dall’altro ammetteva, comunque, la possibilità, per le parti, di di-spensare il notaio dal procedervi: il che equivaleva a rendere disponibileper i privati la regolamentazione di un impegno pubblicistico (cfr., al ri-guardo, Consiglio Nazionale del Notariato, Intorno al divieto per il notaio diricevere atti contrari alla legge, in Studi su argomenti di interesse notarile, II,Roma, 1969, 135 ss.).

(5) È questa la posizione, oramai consolidata, tenuta dalla giurisprudenzaal riguardo. Tra le sentenze più significative, così Cass. 2 aprile 1975, n.1185, in Giust. civ., 1975, I, 459: «il notaio, pur essendo tenuto ad un’ob-bligazione di mezzi e non di risultato, deve tuttavia predisporre ed impe-gnare i mezzi di cui dispone, in vista del conseguimento del risultato vo-luto dalle parti con la diligenza media di un professionista sufficiente-mente preparato ed avveduto, onde la sua opera non può ridursi a quelladi un passivo registratore delle dichiarazioni altrui, ma deve estendersi adun’attività preparatoria adeguata. Pertanto il notaio, quando sia richiestodella preparazione e della stesura di un atto pubblico di trasferimento im-mobiliare, ha l’obbligo di procedere previamente alla verifica della libertàdel bene, senza la necessità di uno specifico incarico delle parti; obbligo

(segue)

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è tenuto ad effettuare le visure ipotecarie, pena la responsa-bilità per danni; resta fermo, in ogni caso, che se si tratta diresponsabilità ex contractu (6), allora le parti sono padronedi esonerare il notaio da tale adempimento, purché ciò ri-sulti in modo esplicito (7), e sempre nei limiti del generaleprincipio dell’art. 1229 c.c.

In dottrina si è, però, recentemente fatta strada unadiversa ipotesi ricostruttiva: la diligenza, infatti, non po-trebbe essere considerata come fonte dell’obbligazione, masolo come criterio di valutazione del modo in cui vieneadempiuta un’obbligazione già sorta; la diligenza, insomma,presuppone un’obbligazione già esistente e non può porsi,essa stessa, quale fonte dell’obbligazione (8). Per queste ra-gioni, si è ritenuto di rinvenire la fonte del dovere de quo inaltra norma, e, precisamente, negli usi negoziali ex art. 1340c.c.: per effetto di tale norma, il contratto d’opera professio-nale tra notaio e cliente resta caratterizzato, ed in parte in-tegrato, per quanto attiene agli impegni del notaio, allaprassi notarile invalsa, per la quale il notaio si preoccupa dieffettuare le visure ipotecarie allo scopo di assicurare al pro-prio atto il massimo dell’efficacia (9). Insomma, la prassigeneralizzata di affidare al notaio l’indagine sui registri im-mobiliari costituisce un uso negoziale integrativo del con-tenuto del contratto d’opera professionale e, come tale, de-terminativo di un’obbligazione del notaio, a prescindere dauna volontà, espressa o tacita, manifestata in proposito(10).

La riconduzione ad una fattispecie piuttosto che adun’altra non è affatto priva di conseguenze. Come è noto,infatti, gli usi negoziali hanno funzione di chiarimento edintegrazione della volontà delle parti, e l’indagine sul lorocontenuto è rimessa al discrezionale apprezzamento del giu-dice del merito, essendo, quindi, incensurabile in sede di le-gittimità (11); essi, inoltre, devono avere il requisito dellaspontaneità, la cui sussistenza deve risultare a posteriori, os-sia dall’apprezzamento globale della prassi già consolidata,senza che possa aversi riguardo all’atteggiamento psicologi-co tenuto dalle parti (12); la loro esistenza, infine, va pro-vata dall’attore che vi si richiama (13). È evidente, quindi,che se si propende per una ricostruzione ex art. 1176, se-condo comma c.c., la responsabilità del notaio sorge auto-matica, a meno che lo stesso professionista non provi che leparti l’hanno esonerato; viceversa, in un’ipotesi ex art.1340 c.c., saranno proprio le parti a dovere provare l’esi-stenza dell’uso negoziale, se unicamente questo risulta esse-re la fonte dell’obbligo di visura. E, si badi, questa prova vadata per ogni lite, e spetterà al singolo giudice di merito va-lutarne l’esistenza, sulla base delle prove offerte dalle parti(14).

...e il correlato obbligo di informazione alle parti

Come detto, il dovere di procedere alle visure ipoteca-rie ha natura contrattuale, ed è configurabile come conte-nuto tipico dell’obbligazione di prestazione d’opera profes-sionale dovuta dal notaio ai propri clienti: la prova sta nelfatto che, senza un’espressa (e concorde) rinuncia a tale

prestazione da parte dei creditori, il notaio-debitore vi èsenz’altro tenuto. Ora, appare ovvio che naturale portato diun tale dovere sia, sicuramente, la necessità che il notaio ri-ferisca, agli interessati, circa l’esito dell’attività ispettivacondotta presso l’ufficio dei registri immobiliari. Tuttavia,v’è di più: nell’ipotesi in cui il notaio riscontri una trascri-zione o, come nel caso qui annotato, un’iscrizione sfavore-voli, egli sarà tenuto ad un vero e proprio obbligo di infor-mazione, soprattutto (ma non solo) nei confronti dell’ac-quirente, circa le particolari conseguenze (negative) chel’acquisto del bene in questione dovrà, necessariamente,sopportare. Per la giurisprudenza, infatti, non si tratta di unobbligo ulteriore, e meramente accessorio, ma (come si leg-ge in sentenza) di «un elemento essenziale della...prestazio-ne professionale» del notaio, direttamente impostogli dallapeculiare diligenza richiesta per l’esercizio di una delicata

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GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

Note:

(segue nota 5)

dal quale il notaio può essere esonerato, per motivi di urgenza o per altreragioni, solo per concorde ed espressa dispensa delle parti». Per un excur-sus sull’evoluzione giurisprudenziale sul punto, doveroso è il riferimentoad Angeloni, La responsabilità civile del notaio, in I grandi orientamenti dellagiurisprudenza civile e commerciale, Padova, 1990, 181 ss.

(6) Nell’ipotesi, infatti, che i danneggiati dall’omessa/cattiva operazionedi visura del notaio siano dei terzi, la responsabilità non potrà che essereextracontrattuale, venendosi, infatti, ad integrare gli estremi di un illeci-to diverso: se, infatti, nei confronti dei clienti, il notaio avrà violato unpreciso obbligo di natura contrattuale, rispetto ai terzi, egli si porrà qualesoggetto che, in conseguenza di un comportamento illecito, viene menoal generico dovere del neminem laedere; cfr., su questo punto, Baldassari -Baldassari, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1993, 438 ss.

(7) In questo modo, la giurisprudenza abbandona definitivamente la tesidella derivazione di tale obbligo dall’art. 28 legge n., tesi che non riuscivaa spiegare in maniera convincente la possibilità, per le parti, di esonerareil notaio dall’obbligo di visura (vedi retro, nota 4).

(8) Cfr., per tutti, Rodotà, voce Diligenza, in Enc. dir., XII, Milano, 1964,544.

(9) Cfr. Candian, La responsabilità civile del notaio nella fase preparatoria del-l’atto di trasferimento immobiliare, in Resp. civ. e prev., 1984, 263 ss.; Consi-glio Nazionale del Notariato, Obbligo del notaio di procedere a preliminari in-dagini (c.d. visure) catastali ed ipotecarie sulla concreta situazione giuridica deibeni, in Studi su argomenti di interesse notarile, IX, 1973, 103 ss.; Angeloni,La responsabilità civile, cit., 162 ss.; Petrelli, Visure ipotecarie. Responsabilitàcivile del notaio. Limiti del danno risarcibile, Milano, 1994, 124 ss.; Trapani,I limiti dell’obbligo di eseguire visure ipocatastali e la clausola di dispensa, in No-tariato, 1197, 256 ss.

(10) Così Petrelli, Visure ipotecarie, cit., 32 e 33; in termini analoghi, Tra-pani, I limiti dell’obbligo, cit., 256.

(11) Cfr., in proposito, Cass. 2 giugno 1990, n. 5180, in Giur. agr. it.,1991, II, 415 ss.

(12) Così Cass. 30 marzo 1994, n. 3134, in Foro it., 1994, I, 2114 (e inGiust. civ., 1995, I, 223, con nota di Mammome, Nota a Cassazione 30marzo 1994, n. 3134).

(13) Cfr. Cass. 8 gennaio 1979, n. 90, in Giust. civ., Rep. 1979, voceAgenzia, n. 31.

(14) Così Casu, Trasferimenti immobiliari e obbligo notarile di visure ipocata-stali, nota a Cass. 15 giugno 1999, n. 5946, in Riv. not., 2000, I, 144; pro-segue l’Autore: «si intuisce, pertanto, come la giurisprudenza, allo scopodi una semplificazione del giudizio e soprattutto per non costringere leparti a fornire dimostrazioni di un uso negoziale di difficile accertamento,abbia accolto la prima soluzione».

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funzione quale quella notarile: tale obbligo contribuisce inmaniera determinante, insomma, a configurare la presta-zione dedotta in obbligazione e la circostanza che le parti,col non rinunciarvi, hanno voluto ricomprendesse anchel’attività di visura ipotecaria.

Questa riflessione, quindi, porta ad una importanteconsiderazione: non è affatto detto che, effettuate le vi-sure presso la competente conservatoria, il notaio siasenz’altro adempiente. E altrettanto dicasi per l’ipotesi incui, espletata detta attività, egli si limiti a comunicare al-le parti la mera esistenza di un’ipoteca. Ciò si potrà affer-mare soltanto nel caso in cui il notaio, o non riscontri al-cuna formalità pregiudizievole, e lo comunichi agli inte-ressati, o, riscontratene, informi adeguatamente i clienti,anche, e soprattutto, in ordine alle conseguenze giuridi-che che tali formalità comportino in ordine alla circola-zione dei beni. Questo è il portato, concreto, della clau-sola ex art. 1176, secondo comma c.c. Infatti, come laCassazione ha modo di ricordare anche nella sentenzaqui annotata (15), l’effetto di tale norma sull’obbligazio-ne del notaio è tale per cui l’opera a lui richiesta non pos-sa ridursi ad un’attività di mero accertamento della vo-lontà delle parti, ma si spinga a ricomprendere tutte quel-le attività (preparatorie o successive che siano) necessa-rie al raggiungimento di un risultato che, su di un pianoastratto, è quello tipico di un determinato negozio giuri-dico, e, su di un piano concreto, è quello voluto dalle par-ti (16).

In questo senso, l’esistenza di un dovere di informa-zione da parte del notaio diviene, quindi, decisiva e con-tribuisce, in maniera determinante, alla definizione delcontenuto obbligatorio della prestazione d’opera del pro-fessionista. Non stupisce, perciò, che la Cassazione (17)abbia ritenuto, in passato, che il notaio ben si possa con-siderare adempiente anche laddove, rilevato un vincolodi indisponibilità del bene e portatolo (con le modalitàche si sono precisate) a conoscenza delle parti, procedaegualmente, su sollecitazione delle stesse, alla stesura del-l’atto di trasferimento (18). Con tutta evidenza, invece,nel caso qui annotato, questo non è avvenuto e, coeren-temente, la Cassazione ha, quindi, ritenuto il notaio re-sponsabile (19).

In conclusione, si vuole sottolineare un ultimo aspet-to: si è detto che il dovere di informazione è parte inte-grante della prestazione, che non è un dovere accessorio, eche discende dalla clausola generale ex art. 1176, secondocomma c.c. Ci si chiede: non si potrebbe affermare che ildovere di informazione debba essere considerato parte in-tegrante della prestazione, che non sia un dovere accessorioe che discenda dalla clausola generale ex art. 1175 c.c.? Co-me è noto, anche la regola della correttezza informa i rap-porti giuridici e li arricchisce, per così dire, di obblighi ulte-riori (20): i c.d. “doveri integrativi”. Questi ultimi, si ritie-ne, sono tutt’altro che accessori; hanno rilievo autonomo esono, perciò, autonomamente azionabili; discendono dallanormativa di buona fede oggettiva e sono, pertanto, appli-cabili sia al debitore che al creditore (21): fra di essi spicca

il cosiddetto dovere di “avviso/informazione”, corollario deldovere di buona fede di “protezione dell’altrui sfera giuridica”(22). L’obbligo, per il notaio, di informare la parte interes-sata all’acquisto del bene ipotecato non potrebbe trovareproprio qui la sua fonte?

Prima facie, non parrebbero porsi ostacoli ad una talericostruzione, ma, occorre ricordare, la funzione dellabuona fede oggettiva, che è, appunto, integrativa: ossia,va a riempire lacune del rapporto giuridico, laddove ve nesia la necessità. Ora, per quanto detto sopra, la sussistenzadi un dovere di informazione pare essere parte integrantedella prestazione del notaio. Da questo punto di vista,non sembra avvertirsi la necessità di integrare il rapportogiuridico. Inoltre, piuttosto che logico corollario di un do-

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GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

Note:

(15) Sul punto, vi sono precedenti significativi: su tutti, Cass. 2 aprile1975 n. 1185, cit., supra nota 5.

(16) Si tratta della c.d. “funzione notarile di adeguamento”, tipica di questaprofessione, consistente, appunto, nell’attività volta a raggiungere unacongrua aderenza dell’intento empirico manifestato dalle parti ai paradig-mi offerti dall’ordinamento giuridico; inutile sottolineare come, nel casoqui preso in esame, la volontà dell’acquirente fosse quella di ottenere, concertezza, che l’ipoteca gravante sull’immobile acquistato sarebbe statacancellata, una volta estinto il relativo debito. In ordine alla funzione d’a-deguamento, cfr., per tutti, D’Orazi Flavoni, La responsabilità civile nell’e-sercizio del notariato, in Scritti giuridici (Consiglio notarile di Roma), II, Roma,1965, 965 ss.

(17) Significativa è, in tal senso, Cass. 7 settembre 1977, n. 3893, in Fo-ro it., 1978, I, 134, ove si legge che, se è vero che il notaio, richiesto dellastesura di un atto di trasferimento immobiliare, ha l’obbligo di verificarepreventivamente se il bene è libero da vincoli pregiudizievoli (a meno diun’espressa, concorde dispensa delle parti), «...è altresì vero che, una vol-ta portati a conoscenza delle parti i vincoli gravanti sull’immobile, eglinon può rifiutarsi di rogare l’atto».

(18) Si badi che, a fronte della richiesta delle parti, sussiste un vero e pro-prio obbligo di legge, per il notaio, di rogare l’atto, sancito dall’art. 26 l.n.

(19) Come si legge in sentenza, infatti, nel giudizio di merito il notaio nonha assolto, sul punto, l’onus probandi gravante su di lui, limitandosi a «so-stenere di avere oralmente spiegato ai clienti gli effetti (non meglio pre-cisati) della stipulazione, mai negando però di averli dissuasi dalla stipula-zione». È un’evidente applicazione pratica del principio enunciato supra,nel testo: l’obbligo ha natura contrattuale, ergo il notaio doveva provaredi aver informato i clienti e, come detto, il notaio non l’ha fatto: non hafornito, cioè, i mezzi necessari per verificare se aveva informato i clienti«come avrebbe dovuto» (id est, come la diligenza ex art. 1176, secondocomma c.c. richiede): avrebbe, cioè, dovuto dimostrare di aver reso le par-ti chiaramente edotte in ordine agli effetti giuridici generati dall’iscrizio-ne ipotecaria e alla circolazione del bene ipotecato. Solo con tali precisa-zioni il notaio avrebbe potuto mettere il giudice in condizione di valutarela sussistenza di un esatto adempimento, e non certo, invece, con un ge-nerico richiamo al colloquio avuto coi clienti e ai «non meglio precisati»effetti giuridici che avrebbe loro prospettati.

(20) Si tratta della c.d. “funzione integrativa” del rapporto svolta dalla clau-sola generale di buona fede, per la quale si rimanda, fondamentalmente, aBetti, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1953, I, 65 ss.; Benatti, Os-servazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960,1342 ss.; Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudi-ca e Zatti, Milano, 1991.

(21) Per un quadro sintetico, cfr. D’Angelo, La tipizzazione giurispruden-ziale della buona fede contrattuale, in Contr. e impr., 1990, 702 ss.

(22) Sull’argomento, cfr. Castronovo, Obblighi di protezione e tutela del ter-zo, in Jus, 1976, 122 ss.

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vere di protezione della controparte contrattuale, pare,nel caso del notaio, più ragionevole ritenere che il doveredi informazione sia elemento tipico della prestazione d’o-pera professionale dedotta in obbligazione. I doveri inte-grativi ex fide bona, infatti, non sono accessori, come det-to, ma possono assumere un rilievo del tutto autonomo,anche rispetto alla prestazione dedotta, tipicamente, nelsingolo rapporto (23): nel nostro caso, però, il dovere diinformare i clienti è, per quanto sopra argomentato...laprestazione stessa (24).

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GIURISPRUDENZA•RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE

Note:

(23) Cfr., infatti, Larenz, Lehrbuch des Schuldrechts, I, Monaco di Baviera,1987, 138-141; e, ancora, Breccia, Le obbligazioni, cit., 370.

(24) È in questo senso che si muove la Cassazione, nella sentenza qui an-notata, allorché nega la natura di obbligo accessorio al dovere de quo: nona caso, conclude sul punto sottolineando come l’obbligo d’informazioneintegri «un elemento essenziale della... prestazione professionale ed il suoinadempimento [costituisca] violazione delle obbligazioni derivanti dalcontratto di prestazione d’opera professionale». Semplicemente, non sivede la necessità di ricorrere alla normativa ex fide bona ai fini della giu-stificazione di un obbligo (quello di informare i clienti) che è già ricom-preso nel novero delle obbligazioni del professionista.

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GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI RISPARMIATORI

Intermediazione mobiliare

Intermediazione mobiliare e apparenza del diritto CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229Pres. Losavio - Est. Rordorf - P.M. Destro (conf.) - ING Group Società sviluppo Investimenti Sim S.p.a. c. M.V.

Obbligazioni in genere - Apparenza del diritto - Intermediazione mobiliare - Intermediario finanziario - Responsabilità perl’attività svolta dall’apparente promotore - Configurabilità - Condizioni e limiti - Sindacato della Corte di cassazione sullaritenuta ravvisabilità, nel caso, di una situazione di apparenza del diritto - Ambito - Principio espresso in fattispecie dipromotore dimissionario.

(legge 2 gennaio 1991, n. 1; c.c. art. 1396; c.p.c. art. 360)

In base ai principi dell’apparenza del diritto, l’intermediario finanziario può essere chiamato a rispon-dere di un illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essere un suo promotore, ed in tale appa-rente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole e allafalsa rappresentazione della realtà abbia invece concorso un comportamento colpevole (ancorché soloomissivo) dell’intermediario medesimo, fermo restando che la ravvisabilità, nel singolo caso, di una si-tuazione di apparenza del diritto dipende da circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazio-ne sono riservati alla competenza esclusiva del giudice di merito e, come tali, possono essere sindaca-ti in cassazione solo per eventuali difetti logici o giuridici della motivazione. (Enunciando il principiodi cui in massima, la Corte ha confermato la decisione di merito, la quale - in una fattispecie di pro-motore dimissionario, cui la società di intermediazione aveva richiesto, invano, di restituire i moduliin suo possesso e di restituire il tesserino alla competente Commissione regionale per l’albo dei pro-motori - aveva ravvisato la situazione di apparenza colpevole, soprattutto facendo leva sul fatto che lasocietà di intermediazione non aveva comunicato la cessazione del proprio rapporto con il promotoreal cliente, il quale aveva avuto nel tempo una serie di ripetuti contatti contrattuali con detta societàper il tramite di quel promotore ed era perciò logicamente incline ad identificare in costui un promo-tore di quella società di intermediazione. Nel ritenere giuridicamente e logicamente corretto il ragio-namento del giudice di merito, la Corte ha precisato che, se non può pretendersi che l’intermediarioinformi della cessazione del rapporto di preposizione tutti coloro che in passato siano entrati in qual-che modo con lui in contatto per il tramite del promotore cessato, un tale dovere di informazione, con-nesso al dovere di protezione dell’altro contraente, è invece configurabile nei confronti di coloro i qua-li, essendosi sempre e ripetutamente avvalsi del promotore poi dimissionario, hanno intrattenuto rap-porti con la società di intermediazione in un arco di tempo che ragionevolmente può far supporre la lo-ro attitudine ad effettuare ulteriori investimenti per il tramite di quel medesimo promotore).

Contratti di borsa - In genere - Attività di intermediazione mobiliare - Responsabilità solidale dell’intermediario - Ambito -Consegna da parte del cliente al promotore di somme di danaro con modalità difformi da quelle prescritte - Indebitaappropriazione di tali somme da parte del promotore - Interruzione del nesso di causalità - Concorso del fatto colposodell’investitore - Configurabilità - Esclusione - Fattispecie.

(c.c. artt. 1223 e 1227; legge 2 gennaio 1991, n. 1, art. 5)

In tema di intermediazione mobiliare, in ordine alla quale l’art. 5, quarto comma, della legge 2 gen-naio 1991, n. 1 pone a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per gli eventuali danni ar-recati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, anche se tali dannisiano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale, la mera allegazione del fatto che il clien-te abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità (nella specie, con asse-gni bancari al portatore) difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe legittimato a riceverle, nonvale, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere ilnesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del promotore finanziario e la consuma-

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GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI RISPARMIATORI

Motivi della decisione...Omissis...2. Non è in discussione il fatto che il denaro affidato dalcliente al promotore della Sviluppo Investimenti Sim peressere investito in certificati di deposito bancario fu inve-ce distratto a proprio favore dal promotore medesimo. Èun fatto accertato in causa e, comunque, pacifico. Altret-tanto certo è che un tal fatto sia idoneo a generare il di-ritto del cliente al risarcimento del danno subito e che lapretesa risarcitoria, ove ricorrano le condizioni previste(allora vigente) dalla L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 4,possa esser fatta valere anche nei confronti della societàd’intermediazione per la quale il promotore operava.Già nel corso del giudizio di merito è stata però prospet-tata dall’odierna ricorrente la configurabilità di una col-pa esclusiva - o quanto meno concorrente - del cliente;colpa che la ricorrente ricollega al fatto che il sig. M. ese-guì i versamenti consegnando al promotore assegni ban-cari al portatore, quantunque le schede di prenotazionepredisposte dalla società Sviluppo Investimenti Sim esottoposte alla sottoscrizione del cliente prevedesseroespressamente che i pagamenti avrebbero dovuto esserfatti mediante assegni bancari o circolari intestati allasocietà.Entrambi i giudici di merito hanno negato che tale cir-costanza potesse sia escludere il diritto al risarcimento diun danno che il creditore avrebbe potuto evitare usandol’ordinaria diligenza (art. 1227 c.c., comma 2), sia ridur-re l’ammontare del risarcimento per avere il fatto colpo-so del danneggiato concorso a cagionare il danno (art.cit., comma 1).A tal riguardo, in particolare, la corte d’appello ha osser-vato che sarebbe dubbia la sussistenza della pattuizioneconcernente le suindicate modalità di pagamento, es-sendo essa riportata su moduli predisposti per l’investi-mento in fondi diversi, ma non anche sugli specifici mo-duli relativi ai certificati di deposito di cui si discute nel-la presenta causa; ed ha aggiunto che sarebbe comunquedecisivo il rilievo per cui, già in diverse precedenti occa-sioni, lo stesso cliente, nell’effettuare investimenti tra-mite il medesimo promotore, aveva consegnato a costuiassegni al portatore che erano stati accettati ed incassatidalla società d’intermediazione senza formulare alcunaobiezione né nei confronti del cliente né nei confrontidel promotore medesimo, ad onta del fatto che il regola-mento emanato dalla Consob espressamente vietasseuna simile prassi e la sanzionasse addirittura con la radia-zione del promotore dall’albo.2.1. La ricorrente censura tali affermazioni, ravvisandoin esse violazioni di diritto (con riferimento agli artt.1227, 2697 e 2702 c.c., nonché artt. 115 e 116 c.p.c.) edifetti di motivazione.

In particolare essa riferisce di aver prodotto in giudizio,in data 30 settembre 1999, cinque assegni bancali emes-si dal sig. M. nel 1991 in relazione ad operazioni d’inve-stimento mobiliare eseguite per il tramite del promotoresig. D., non intestati alla Sviluppo Investimenti Sim eposti all’incasso non da quest’ultima, bensì dallo stessosig. D. o da terze persone. Di tali documenti non v’è cen-no nella motivazione dell’impugnata sentenza, ma da es-si invece - a parere della ricorrente - si sarebbe dovutotrarre la prova del fatto che, contrariamente a quanto ri-tenuto dalla corte d’appello, la Sviluppo InvestimentiSim non aveva avuto alcuna contezza della prassi già inprecedenza scorrettamente seguita dal proprio promoto-re con l’accettazione di assegni non intestati alla societàd’intermediazione.Erano state altresì prodotte - osserva ancora la ricorren-te - le schede di prenotazione dei certificati di depositobancali, sottoscritte dal sig. M., nelle quali risultavaespressamente indicato che il pagamento doveva averluogo a mezzo di assegni intestati alla società d’interme-diazione, onde non sarebbe comprensibile il dubbioespresso dalla corte d’appello in ordine all’effettiva vi-genza di una siffatta pattuizione, non rispettata però dalcliente. Il quale, inoltre, aveva omesso di rilevare tem-pestivamente il mancato invio, ad opera della società,delle lettere di conferma degli investimenti relativi aglianni 1991 e 1992: ciò che avrebbe dovuto metterlo sul-l’avviso ed indurlo a compiere immediate verifiche, an-ziché attendere oltre un anno per accorgersi dell’accadu-to, giacché simili lettere di conferma gli erano semprestate recapitate in occasione degli investimenti da lui ef-fettuati negli anni precedenti.Avrebbe dunque errato la corte d’appello nel ritenereinapplicabile nel caso di specie la citata disposizione del-l’art. 1227 c.c., comma 2, o almeno quella del comma 1del medesimo articolo.3. Non ritiene il collegio che tali censure siano merite-voli di accoglimento.Vi osta infatti un rilievo di carattere preliminare cheporta ad escludere l’applicabilità, in un caso come quel-lo in esame, delle disposizioni dettate da entrambi i com-mi del citato art. 1227 c.c..3,1. Occorre muovere dalla considerazione che la L. n. 1del 1991, art. 5, comma 4 (poi sostituito dal D.Lgs. n.415 del 1996, art. 23 e quindi dal D.Lgs. n. 58 del 1998,art. 31, comma 3, ma ancora applicabile ratione temporisai fatti di causa) pone a carico dell’intermediario la re-sponsabilità solidale per gli “eventuali danni arrecati aterzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai pro-motori finanziari anche se tali danni siano conseguenti aresponsabilità accertata in sede penale”.Non interessa in questa sede soffermarsi a discutere se

zione dell’illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità di invocare la responsabilità solidale del-l’intermediario preponente. Né un tal fatto può essere addotto dall’intermediario come concausa deldanno subito dall’investitore, in conseguenza dell’illecito consumato dal promotore, al fine di ridurrel’ammontare del risarcimento dovuto.

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quella così configurata sia o meno una forma di respon-sabilità oggettiva, né quali siano i suoi rapporti sistema-tici con la responsabilità contemplata, in via generale,dall’art. 2049 c.c. a carico dei padroni e dei committentiper i fatti illeciti imputabili ai domestici ed ai commessi.Conviene invece sottolineare come la suindicata respon-sabilità dell’intermediario preponente, la quale pur sem-pre presuppone che il fatto illecito del promotore sia le-gato da un nesso di occasionalità necessaria all’eserciziodelle incombenze a lui facenti capo (cfr. Cass. n. 20588del 2004 e Cass. 10580 del 2002), trova la sua ragion d’es-sere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore èuno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvalenell’organizzazione della propria impresa, traendone be-nefici cui è ragionevole far corrispondere i rischi; per al-tro verso, ed in termini più specifici, nell’esigenza di offri-re una più adeguata garanzia ai destinatari delle offertefuori sede loro rivolte dall’intermediario per il tramite delpromotore, giacché appunto per le caratteristiche di que-sto genere di offerte più facilmente la buona fede deiclienti può essere sorpresa. E tale garanzia il legislatore hainteso rafforzare, tra l’altro, anche e proprio attraverso unmeccanismo normativo volto a responsabilizzare l’inter-mediario nei riguardi dei comportamenti di soggetti -quali sono i promotori - che l’intermediario medesimosceglie, nel cui interesse imprenditoriale essi operano esui quali nessuno meglio dell’intermediario è concreta-mente in grado di esercitare efficaci forme di controllo.In questo quadro si collocano, ovviamente, anche le di-sposizioni regolamentari che la Consob è stata chiamataa dettare, in base al disposto della citata L. n. 1 del 1991,art. 5, comma 8, ed in particolare quelle menzionate nel-la lettera f) di detto comma, ossia le regole che i promo-tori debbono osservare “nei rapporti con la clientela alfine di tutelare l’interesse dei risparmiatori”. Tra esse ri-leva qui, specificamente, l’art. 14, comma 9, del regola-mento emanato dalla Consob con Delib. n. 5388 del 2luglio 1991 (vigente all’epoca dei fatti di causa), che faobbligo al promotore di ricevere dal cliente esclusiva-mente: “1) titoli di credito che assolvono la funzione dimezzi di pagamento, purché siano muniti di clausola dinon trasferibilità e siano intestati al soggetto indicatonel prospetto informativo o nel documento contrattualeove il prospetto non sia prescritto; 2) titoli di credito no-minativi intestati al cliente e girati a favore di chi prestail servizio di intermediazione mobiliare offerto tramite ilpromotore”.Ora, è pacifico che nel caso in esame, come s’è detto, ta-le disposizione non fu osservata dal promotore, il qualeebbe a ricevere assegni emessi dal sig. M. al portatore.Ma quella regola - come pure già si è sottolineato - è uni-camente diretta a porre un obbligo di comportamento incapo al promotore e trae la propria fonte da una prescri-zione di legge (la citata L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 8,lett. f) espressamente volta alla tutela degli interessi delrisparmiatore. Non è perciò logicamente postulatole cheessa, viceversa, si traduca in un onere di diligenza posto

a carico di quest’ultimo, tale per cui l’eventuale violazio-ne di detta prescrizione ad opera del promotore si risolvain un addebito di colpa (concorrente, se non addiritturaesclusiva) a carico del cliente danneggiato dall’altrui at-to illecito....Omissis...Non s’intende con ciò negare, in assoluto, che possa tro-vare spazio l’applicazione dell’art. 1227 c.c. (comma 1 o2, a seconda dei casi), qualora l’intermediario provi chevi sia stata, se non addirittura collusione, quanto menouna consapevole e fattiva acquiescenza del cliente allaviolazione, da parte del promotore, di regole di condottasu quest’ultimo gravanti. Al dovere di tutela reciprocadei contraenti, insito nel principio generale di buona fe-de, anche il cliente dell’intermediario è certamente te-nuto. Per le ragioni dianzi chiarite, deve però escludersiche la mera allegazione del fatto che il cliente abbia con-segnato al promotore finanziario somme di denaro conmodalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbestato legittimato a riceverle valga, in caso d’indebita ap-propriazione di dette somme da parte del promotore, adinterrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgi-mento dell’attività del promotore finanziario medesimoe la consumazione dell’illecito, e quindi precluda la pos-sibilità d’invocare la responsabilità solidale dell’interme-diario preponente; e deve parimenti escludersi che un talfatto possa essere addotto dall’intermediario come con-causa del danno subito dall’investitore in conseguenzadell’illecito consumato dal promotore al fine di ridurrel’ammontare del risarcimento dovuto....Omissis...3.2. Neppure può esser dato peso in questa sede all’asse-rita tardività con la quale il cliente avrebbe reagito all’il-lecito del promotore, non accorgendosi del fatto che lasocietà d’intermediazione non gli aveva inviato le con-suete lettere di conferma degli investimenti da lui dispo-sti e non segnalando perciò subito la cosa alla medesimasocietà. Di una tal questione non si fa cenno nell’impu-gnata sentenza, e la ricorrente non indica se ed in qualeatto difensivo del giudizio di merito essa l’avesse invecesollevata, limitandosi ad un generico richiamo alle risul-tanze documentali e ad un documento prodotto da par-te avversa, ma senza fornire elementi idonei a dimostra-re l’effettiva incidenza causale che il lamentato ritardo direazione del cliente avrebbe avuto sulla produzione deldanno.4. Il secondo motivo di ricorso investe il tema della re-sponsabilità della società d’intermediazione per la secon-da delle due indebite appropriazioni di denaro del clien-te, compiuta dal sig. D. nel settembre del 1992, quandoda ormai circa un mese e mezzo egli aveva cessato di es-sere promotore della Sviluppo Investimenti Sim.La Corte d’appello, richiamando i principi della cosid-detta apparenza del diritto, ha ravvisato la sussistenzadella responsabilità dell’intermediario preponente inconsiderazione essenzialmente di ciò: che il sig. M., puressendo da tempo cliente della Sviluppo Investimenti

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Sim per il tramite del promotore sig. D., non era statoinformato dalla società della cessazione di ogni rapportotra questa ed il predetto sig. D.; che quest’ultimo era sta-to lasciato in possesso del materiale a suo tempo fornito-gli dalla Sviluppo Investimenti Sim per l’espletamentodell’attività di promotore ed aveva perciò potuto conti-nuare ad utilizzare i moduli intestati alla società; che laSviluppo Investimenti Sim non si era neppure attivataper assicurarsi che il sig. D. fosse privato del tesserino dipromotore, onde costui aveva potuto esibirlo traendo ininganno il cliente in occasione dell’operazione di cui sitratta.4.1. La ricorrente lamenta anche a tale proposito sia vio-lazioni di legge (con riferimento agli artt. 1398, 2697 e2702 c.c., artt. 115 e 166 c.p.c.) sia vizi di motivazionedella sentenza impugnata.Essa sostiene: che il sig. M., pur avendo effettivamenteavuto rapporti in precedenza con la Sviluppo Investi-menti Sim, non poteva più dirsi cliente di quest’ultimanel luglio del 1992 (quando il sig. D. aveva dato le pro-prie dimissioni da promotore), onde nessuna specificainformazione gli era in proposito dovuta; che nessun ad-debito di colpa potrebbe comunque esser mosso alla ri-corrente, la quale aveva tempestivamente chiesto giànel luglio 1992 al promotore dimissionario di restituire imoduli in suo possesso e di riconsegnare il tesserino allacompetente Commissione regionale per l’albo dei pro-motori; che altrettanto tempestivamente, appena venu-ta a conoscenza nel settembre del 1993 degli illeciticompiuti dal sig. D., essa ne aveva informato gli organipreposti alla vigilanza ed aveva sporto denuncia alla ma-gistratura competente. Circostanze tutte alla stregua del-le quali la conclusione cui è prevenuta la corte territo-riale risulterebbe priva di basi logiche e giuridiche.5. Nemmeno questo motivo di ricorso è accoglibile.5.1. Nessun errore di diritto è rilevabile in quanto statui-to sul punto dalla corte d’appello.Non sembra infatti dubbio - e neppure la ricorrente inrealtà lo pone in dubbio - che in un caso come quello dicui qui si tratta possano trovare applicazione i principidell’apparenza del diritto, elaborati dalla giurisprudenzasoprattutto nella materia della rappresentanza negoziale;e che, quindi, un intermediario finanziario possa esserchiamato a rispondere di un illecito compiuto in dannodi terzi da chi appaia essere un suo promotore, ed in taleapparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual vol-ta l’affidamento del terzo risulti incolpevole ed alla falsarappresentazione della realtà abbia invece concorso uncomportamento colpevole (ancorché magari solo omis-sivo) dell’intermediario medesimo.A questo principio si è attenuta la sentenza impugnata,che per questa ragione non può dunque essere censurata,essendo per il resto evidente che la ravvisabilità nei sin-goli casi di una situazione di apparenza del diritto, neitermini sopra indicati, dipende da circostanze di fatto ilcui accertamento e la cui valutazione sono riservati allacompetenza esclusiva del giudice del merito e, come ta-

li, possono essere sindacati in cassazione solo per even-tuali difetti logici o giuridici della motivazione.5.2. Si tratta perciò di stabilire se, nel presente caso, ilgiudice del merito abbia motivato in modo giuridica-mente e logicamente corretto il proprio ragionamento.Ed è in rapporto a ciò che viene in evidenza soprattuttoil tema della colpa addebitata dalla corte territoriale allasocietà d’intermediazione, sulla base degli elementi giàdianzi ricordati, il cui fondamento la ricorrente peròcontesta....Omissis...Non sembra invece possibile dubitare del fatto - da soloinvero decisivo - che la Sviluppo Investimenti Sim do-vesse diligentemente comunicare la cessazione del pro-prio rapporto con il promotore a chi, come il sig. M.,aveva avuto nel tempo una serie di ripetuti contatti con-trattuali con detta società per il tramite di quel promo-tore ed era perciò logicamente incline ad identificare incostui appunto un promotore di quella società d’inter-mediazione.La circostanza che i promotori possano svolgere la loroopera nell’interesse di una sola società d’intermediazione(cd. obbligo di monomandato, già posto dall’allora cita-ta L. n. 1 del 1991, art. 5, comma 3) e la naturale conse-guente identificazione da parte dei terzi del promotorecome inserito nella struttura organizzativa di detta so-cietà, per effetto di un atto di preposizione da questa pro-veniente, rende evidente il rischio che i terzi - ed in spe-cie i clienti adusi ad avere rapporti con la società trami-te quello specifico promotore - possano continuare adidentificare in costui un referente della medesima so-cietà pur quando in realtà il rapporto di preposizione siainvece venuto meno. Emerge perciò anche in questocampo quell’esigenza d’informazione tempestiva del ter-zo alla quale, sia pure con una norma non di per sé ap-plicabile alla presente fattispecie, il legislatore si è mo-strato ben sensibile dettando l’art. 1396 c.c.....Omissis...Ora, in punto di fatto, la corte d’appello ha accertato cheil sig. M. aveva compiuto investimenti con l’intermedia-zione dell’anzidetta società fino a quattro mesi prima diquando il sig. D. presentò le proprie dimissioni da pro-motore. Questo accertamento, appunto perché attienead una circostanza di fatto, non può evidentemente esserrimesso in discussione in sede di legittimità e, sulla basedi esso, tenuto anche conto dei doveri di diligenza, cor-rettezza e professionalità nella cura dell’interesse delcliente che già l’art. 6, comma 1, lett. a), dell’allora vi-gente L. n. 1 del 1991 poneva a carico dell’intermedia-rio, non può dubitarsi che fosse dovuta un’informazionecome quella di cui si discute, perché inerente ad un fat-to nuovo idoneo a dispiegare effetti sul modo in cui finoad allora si erano svolti i rapporti tra intermediario ecliente; rapporti non necessariamente continuativi, macomunque frequenti e reiterati, dei quali, per ciò stesso,sarebbe stato logico attendersi ulteriori sviluppi.Sotto questo profilo la motivazione che ha indotto la cor-

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te territoriale a ravvisare una colpa della ricorrente nel-l’affidamento incolpevolmente riposto dal cliente nell’e-sistenza del rapporto di preposizione si appalesa correttaed adeguata a sorreggere l’anzidetta conclusione.6. Privo di fondamento, infine, è anche l’ultimo motivodi ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 1248c.c., oltre che difetti di motivazione dell’impugnata sen-tenza.L’assunto della ricorrente, secondo la quale la condannaal risarcimento dei danni in favore del sig. M. avrebbedovuto esser circoscritta nel quantum all’importo dellesomme da quest’ultimo versate e poi distratte dal pro-motore, maggiorate dei soli interessi legali e non di inte-ressi al tasso annuo del 14&percnt, in difetto di pattui-zione scritta in tal senso, è palesemente infondato.Non è qui in questione, infatti, la corresponsione di in-teressi dovuti in forza di una specifica pattuizione tra il

debitore ed il creditore, è questione invece del risarci-mento del danno sofferto in conseguenza della violazio-ne, da parte di un soggetto cui una determinata sommaera stata affidata, dell’obbligo di investirla conforme-mente alle disposizioni ricevute. E poiché, in punto difatto, la sentenza impugnata indica (e la stessa ricorren-te nella premessa del ricorso conferma) che quella som-ma avrebbe dovuto essere investita in certificati di depo-sito bancari dei quali era prevista la restituzione a sca-denza con aggiunta di interessi annui al tasso del14%, risulta conforme a diritto e congruamentemotivata la statuizione con cui la Corte di merito hacondannato i convenuti ad un risarcimento compren-dente anche la misura degli interessi che il cliente avreb-be percepito qualora le somme da lui affidate al promo-tore fossero state impiegate come dovevano....Omissis...

IL COMMENTOdi Luca Frumento

L’Autore, dopo aver inquadrato la responsabilità del-l’intermediario finanziario per fatto illecito del pro-motore finanziario ex art. 31 T.u.f., commenta favo-revolmente la sentenza nel suo duplice aspetto dimaggior interesse: l’insussistenza del concorso dicolpa del risparmiatore per violazione delle normesui mezzi di pagamento e, ricorrendone le condizio-ni in termini di “apparenza del diritto”, la respon-sabilità dell’intermediario per danno compiuto dalproprio ex promotore finanziario.

Il Signor M. aveva consegnato, in due riprese, assegnibancari al promotore finanziario D. della Sviluppo Investi-menti Sim S.p.a.: il quale non aveva dato corso agli investi-menti concordati (certificati di deposito bancari al tasso del14% annuo), non avendo trasmesso tali assegni alla propriaSim ed anzi essendosene indebitamente appropriato.

Il risparmiatore citava in giudizio il promotore e laSim al fine di ottenere il risarcimento del danno, in misurapari all’importo complessivo degli assegni maggiorati degliinteressi di cui avrebbe beneficiato se gli investimenti aves-sero avuto buon fine.

Si costituiva in giudizio la Sim, che domandava il ri-getto della domanda di M., al quale doveva essere imputa-ta l’esclusiva responsabilità per avere effettuato i versamen-ti a mani del promotore a mezzo di assegni bancari al porta-tore e, quindi, in violazione delle clausole contrattuali, che- invece - avrebbero imposto l’impiego di assegni diretta-mente intestati alla società. Evidenziava poi che talune ap-

propriazioni erano avvenute allorquando il promotore D.aveva cessato il rapporto di agenzia con la Sim, essendosioltretutto la società attivata per recuperare la modulisticaed ogni altro materiale in possesso del promotore. In subor-dine chiedeva l’accertamento del concorso colposo dell’at-tore per avere concorso nel fatto causativo del danno e for-mulava rivalsa nei confronti di D. per quanto eventual-mente essa fosse condannata a risarcire all’attore.

Il Tribunale di Monza, con sentenza 14 marzo 2000,accoglieva la domanda di M. condannando in solido la Sime D, peraltro con la rivalsa a carico del secondo. Tale deci-sione veniva integralmente confermata dalla Corte di Ap-pello di Milano, con sentenza 19 febbraio 2002. Nella spe-cie la Corte riteneva che non potesse imputarsi al clientealcuna colpa, esclusiva o concorrente, per non aver conse-gnato al promotore assegni intestati direttamente alla Sim,in quanto tale previsione non figurava in modo chiaro ne-gli ordini di investimento (schede di prenotazione dei cer-tificati di deposito) e, soprattutto, in quanto già in prece-denza M. aveva emesso assegni non intestati alla Sim, laquale tuttavia aveva accettato i pagamenti senza sollevareeccezioni.

Quanto poi alla circostanza della consegna a D. del se-condo gruppo di assegni quando questi non era più promo-tore della Sim, la Corte osservava che, nondimeno, egli erarimasto in possesso della documentazione dell’intermedia-rio di cui il promotore si era servito: dunque l’incolpevoleaffidamento dell’investitore, convinto della permanenzadel rapporto di agenzia di D., era imputabile alla Società,che non aveva neppure provveduto ad informare il clientedell’avvenuta cessazione del rapporto.

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Avverso tale sentenza la Sim ha proposto ricorso percassazione, formulando tre motivi di gravame. Tali motiviinvestono rispettivamente, le tre principali questioni sullaquali si era pronunciata la Corte d’Appello. Nella specie: 1)se sussistano, nel caso in esame, gli estremi di una colpaesclusiva o concorrente del cliente danneggiato dall’illegit-timo comportamento del promotore finanziario, del cui il-lecito la Sim è stata chiamata a rispondere; 2) se sussistauna situazione di apparenza del diritto imputabile alla Sim,tale per cui quest’ultima debba essere ritenuta responsabileanche della condotta illecito del promotore successiva alloscioglimento del rapporto di agenzia; 3) se sia attribuibile alcliente, a titolo di risarcimento del danno, una sommacomprensiva degli interessi convenzionali che lo stessocliente avrebbe percepito ove l’investimento avesse avutoregolare esecuzione.

La S.C., con la sentenza in commento, che si segnalaper importanza e per chiarezza espositiva, ha respinto tutti imotivi di gravame ed ha confermato la pronuncia di meri-to, assumendo però un nuovo iter decisionale.

PremessaLa disciplina applicabile alla fattispecie era quella pre-

vista dall’allora vigente legge n. 1 del 1991 (c.d. legge Sim),sub art. 5. Il quadro normativo di riferimento relativo allaresponsabilità dell’intermediario finanziario per fatto illeci-to del promotore finanziario non è da allora molto mutato,nonostante l’emanazione del d.lgs. n. 415/1996 (c.d. De-creto Eurosim) e, successivamente, del d.lgs. n. 58/1998(Testo unico finanza).

L’art. 31, comma 3, T.u.f. stabilisce infatti che “Il sog-getto abilitato che conferisce l’incarico è responsabile in solido deidanni arrecati a terzi dal promotore finanziario, anche se talidanni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede pena-le” (1). La previsione è quindi simile a quella già contenutanell’art. 5 della legge n. 1/1991, anche se con compare piùil riferimento ai danni causati dal promotore finanziarionello svolgimento delle incombenze affidate (2) e vieneespressamente sancita la responsabilità solidale del sogget-to abilitato che conferisce l’incarico.

La previsione si colloca nell’ambito della generale pre-visione contenuta nell’art. 2049 c.c., di cui costituisceespressione particolare, e di tale norma riprende la conno-tazione di responsabilità oggettiva, non consentendosi al-l’intermediario finanziario prova liberatoria circa la propriaassenza di colpa della causazione del fatto dannoso al ri-sparmiatore (3), almeno secondo la giurisprudenza di granlunga prevalente (4).

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Sul previgente art. 5 l. n. 1/991 si vedano Annunuziata, Regole di compor-tamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, 381;Carbonetti, I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, 68; Col-tro Campi, La nuova disciplina dell’intermediazione e dei mercati mobiliari,Torino, 1991, 85; Santorsola, La S.I.M. nell’evoluzione del mercato finan-ziario, Milano 1992.Sul previgente art. 23 decreto Eurosim si vedano AA.VV., L’Eurosim, a cu-ra di Campobasso, Milano, 1997; Zitiello, Decreto Eurosim: la disciplina de-gli intermediari e delle attività, in Le Società, 1996, 1009; Pinori, Decreto Eu-rosim: la responsabilità degli intermediari finanziari in Danno e resp., 1997, 292.Sulla responsabilità dell’intermediario per fatto illecito del promotorenella vigente normativa cfr. Lobuono, La responsabilità degli intermediari fi-nanziari, Napoli, 1999; Bochicchio, Illeciti dei promotori finanziarti nei con-fronti dei risparmiatori e responsabilità oggettiva dell’intermediario: articolazio-ne del principio di responsabilità nell’ambito delle dinamiche di impresa, in Giur.comm., 1997, 4, 466; Carbone; La responsabilità dei promotori e delle societàfinanziarie in Danno e resp., 1999, 615; Poltronieri, I limiti della responsabi-lità della società di intermediazione mobiliare per l’operato dei promotori di ser-vizi finanziari, in Banca, borsa tit. cred., 1999, 1, 2; Maniaci, La responsabi-lità della sim per fatto illecito del promotore in Contratti, 1999, 497; Santo-suosso, La buona fede del consumatore e dell’intermediario nel sistema della re-sponsabilità oggettiva, in Banca, borsa e tit. cred., 1999, I, 33; Petrone-Ri-stuccia; La responsabilità dell’intermediario per l’illecito del promotore in giuri-sprudenza in AA.VV., Banche, promotori e internet, a cura di Parrella-Tofa-nelli, Milano, 2000, 163; Tucci, Illecito del promotore finanziario e responsa-bilità solidale della società di intermediazione mobiliare in Banca, Borsa, tit.cred., 2002, II, 767; Id., Responsabilità dell’intermediario per fatto illecito delpromotore finanziario e concorso di colpa dell’investitore, ivi, 2005; ChieppaMaggi, Sulla responsabilità indiretta della Sim, ivi, 424; Galletti, La responsa-bilità dell’intermediario per l’illecito del dipendente o del promotore finanziario,in Giur. comm., 2004, 7, 1212; Liace, Note minime in tema di responsabilitàsolidale tra la sim e li promotore finanziario in Dir. fall., 2003; 237; Id., Re-sponsabilità oggettiva della Sim per illecito del promotore finanziario, in Dannoresp., 2004, 297; Frumento, Responsabilità (ex art. 2049 c.c.) dell’interme-diario finanziario per l’illecito del promotore-agente, ivi, 2006, 141

(2) Il venir meno del riferimento all’’esercizio delle incombenze nell’art.31 cit. è stato dai più giudicato non significativo in ragione del carattereimmanente del requisito (cfr. la maggioranza degli A. citati nella notaprecedente). Resta però il fatto che il significato letterale della norma èora più esteso, potendosi quindi ritenere che il legislatore abbia inteso in-trodurre un regime di responsabilità per l’intermediario più severo rispet-to al precedente.

(3) In tale senso cfr. Roppo, cit., 336; Lobuono, cit., 244; per una diversaaccezione Santosuosso, cit. 32, che fa discendere la responsabilità dell’in-termediario da esigenze di contemperamento di interessi contrappostiquali l’affidamento incolpevole degli investitori danneggiati e degli inter-mediari adempimenti alla normativa. In giurisprudenza cfr., Cass. 29 set-tembre 2005 n. 19166 in Danno e resp., 2006, 141, nota Frumento, Cass.22 ottobre 2004 n. 20588 in Giust. civ. Mass., 2004, f. 10 e, per esteso, nelrepertorio web Iurisdata; Trib. Mantova, 13 ottobre 2003, in Danno e re-sp., 2004, 297 nota Liace, che ha ritenuto che la sim risponde a titolo og-gettivo del fatto illecito del promotore finanziario consistente nella di-strazione di somme affidate dal risparmiatore, con l’unica possibilità di li-berarsi provando che il risparmiatore ha deliberatamente affidatoteli som-me per investimenti estranei al campo di azione della sim; Trib. Sanremo13 gennaio 2003 in Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, 154 che tiene fermala natura di responsabilità oggettiva della sim ove il fatto illecito del pro-motore sia di natura dolosa; Trib. Milano 17 maggio 2003, ivi, 2004, II,154, che riconduce la responsabilità oggettiva dell’intermediario alla ca-tegoria del rischio di impresa. Analogamente Trib. Roma 23 marzo 2005,in Iurisdata: “La responsabilità dell’intermediario per il fatto del promotore hacarattere essenzialmente oggettivo imputandosi alla società intermediata, nel-l’interesse della quale l’attività viene svolta dal promotore, il costo del rischio del-l’attività medesima e quindi l’illecito del promotore. Il rischio infatti non può ca-dere sull’inerme risparmiatore ma deve cadere su chi sceglie il collaboratore, sene avvale, lo organizza, lo controlla e può tradurre il rischio stesso in costo”.

(4) Sostengono la natura colposa della responsabilità in questione Trib.Milano, 11 giugno 1998, in Contratti, 1999, 487, nota Maniaci: “I presup-posti necessari per la configurazione della responsabilità solidale della sim per idanni cagionati a terzi dai promotori di servizi finanziari …sono il rapporto di

(segue)

Note:

(1) Sul vigente art. 31 T.u.f. si vedano, in generale, i commenti di Roppoin AA.VV., Commentario al Testo unico finanza, a cura di Alpa-Capriglio-ne, Milano, 1998, 331 ss; Rabitti Bedogni, in AA.VV., Il Testo unico dellaintermediazione finanziaria, Milano, 1999, 260 ss.; Chieppa Maggi, inAA.VV., Testo unico della Finanza, a cura di Campobasso, Torino, 2000,274; Bochicchio, La nuova disciplina del promotore finanziario, in Giur.comm., 1998, I, 887; Costi-Enriques, Il mercato mobiliare, in Trattato di di-ritto commerciale, diretto da Cottino, VIII, Torino, 2004, 181 ss..

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La ratio della norma va ricercata nell’esigenza di tute-la dell’investitore quale parte debole del rapporto contrat-tuale di investimento: il danno illecito (anche penalmenterilevante) del promotore finanziario costituisce dunque unrischio d’impresa che l’intermediario che ha in carico ilpromotore è tenuto ad accollarsi.

La disposizione si coniuga e si interseca con altre di-sposizioni contenute nella normativa di settore: in primoluogo, la previsione che, nell’offerta fuori sede, il soggettoabilitato debba avvalersi di promotori finanziari (art. 31comma 1, T.u.f.), che essi debbano essere legati all’inter-mediario tassativamente a mezzo di rapporto di lavoro su-bordinato, di agenzia e di mandato e - soprattutto - che pos-sano operare nell’interesse di un solo intermediario (com-ma 2, art. cit.).

Tale ultima previsione (c.d. ‘monomandato’) vieneconsiderata di particolare importanza in relazione al temadella responsabilità solidale dell’intermediario, potendosifare discendere la natura oggettiva di tale responsabilità an-che dal riconoscimento del promotore finanziario qualeoperatore che opera in via esclusiva per quell’intermediario(5).

Area di responsabilità dell’intermediario:esercizio delle incombenze del promotorefinanziario e rapporto di “occasionalitànecessaria”

La natura oggettiva della responsabilità dell’interme-diario per fatto illecito del promotore (come verificato, digran lunga prevalente in giurisprudenza e in dottrina) de-termina importanti conseguenze nell’ambito dell’onereprobatorio, avuto riguardo anche alla norma di inversionedell’onere, contenuta nell’ultimo comma dell’art. 23 T.u.f.,tale per cui “Nei giudizi di risarcimento dei danni cagiona-ti al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento edi quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere dellaprova di aver agito con la specifica diligenza richiesta” (6).

Dunque l’investitore dovrà unicamente provare: a) laqualità del promotore finanziario che lo ha danneggiato; b)l’esistenza dell’incarico di lavoro, agenzia o mandato (cfr.,ancora, art. 31 cit.) attribuitogli dall’intermediario, oppure,come ha evidenziato la sentenza de quo, una equivalente si-tuazione di apparenza colpevolmente imputabile alla so-cietà (su tale aspetto cfr. par. IV infra nel testo); c) la colpadel promotore, posto che la premessa del criterio di impu-tazione della responsabilità è costituita dalla condotta ille-cita di questi.

L’onere sub c) implica molto spesso la dimostrazioneche il promotore ha violato le regole di diligenza e di cor-rettezza della propria attività professionale, contenute nelT.u.f. e nella normativa attuativa regolamentare della Con-sob (Reg. n. 11522/1998 e successivi emendamenti), sullacui osservanza vigila la stessa Commissione, quale Organodi controllo.

Anche la sentenza in commento richiama ed eviden-zia tale apparato normativo e regolamentare, evidenziandoche esso è “…volto a responsabilizzare l’intermediario nei

riguardi dei comportamenti di soggetti - quali sono i pro-motori - che l’intermediario medesimo sceglie, nel cui inte-resse imprenditoriale essi operano e sui quali nessuno me-glio dell’intermediario è concretamente in grado di eserci-tare efficaci forme di controllo”.

Viceversa deve escludersi che l’intermediario possa di-mostrare, quale prova liberatoria, la propria diligenza nellascelta del promotore, nel suo controllo, etc., potendo tut-talpiù cercare di provare che l’illecito è accaduto al di fuoridelle incombenze affidate al promotore finanziario, analo-gamente a quanto accade nelle ipotesi di applicazione del-l’art. 2049 c.c. ove si richiede un rapporto di ‘occasionalitànecessaria’tra fatto illecito e incarico affidato.

In termini del tutto analoghi si esprime la sentenza,che sottolinea “…come la suindicata responsabilità dell’in-termediario preponente, la quale pur sempre presupponeche il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso dioccasionalità necessaria all’esercizio delle incombenze a luifacenti capo, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nelfatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti deiquali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della pro-pria impresa, traendone benefici cui è ragionevole far corri-spondere i rischi; per altro verso ed in termini più specifici,nell’esigenza di offrire una più adeguata garanzia ai destina-tari delle offerte fuori sede loro rivolte dall’intermediarioper il tramite del promotore, giacché appunto per le carat-teristiche di questo genere di offerte più facilmente la buo-na fede dei clienti può essere sorpresa” (7).

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GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI RISPARMIATORI

Note:

(segue nota 4)

preposizione, il fatto illecito del preposto e la connessione tra l’esercizio delle in-combenze e il danno, con la conseguenza che la sim è esonerata da tale respon-sabilità soltanto quando fornisca la prova rigorosa e puntuale dell’assenza di unapropria ‘culpa in vigilando’sull’attività del promotore” e idem 23 gennaio2003, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, 154. Peraltro è stato evidenziatoche, in tali fattispecie, è stato fatto un “…uso meramente ‘declamatorio’delrequisito della culpa in vigilando del preponente, in conformità con un orienta-mento tralatizio della giurisprudenza, che talora afferma - in via del tutto inci-dentale - che la responsabilità dei padroni e dei committenti ex art. 2049 c.c. sibasa su una presunzione assoluta di culpa in eligendo vel in vigilando, chenon ammette prova contraria” (Tucci, Responsabilità dell’intermediario, cit.,148).

(5) Analogamente è stato sostenuto che “Questa previsione di responsabi-lità indiretta e solidale, disposta evidentemente a tutela dell’investitore, si ricolle-ga all’obbligo di esclusiva ed alle altre disposizioni che vincolano il promotore fi-nanziario al rispetto delle norme legislative e regolamentari che disciplinano l’at-tività dell’intermediario nonché delle ulteriori norme interne elaborate dallo stes-so intermediario ovvero dalla categoria di appartenenza di quest’ultimo” (Ra-bitti Bedogni, cit., 262).

(6) Sull’argomento cfr. Topini, L’onere della prova nei giudizi di responsabi-lità per danni cagionati nello svolgimento dei servizi di investimento, in Giur.comm., 1999, I, 701; Lobuono, cit., 219; Maniaci, cit., 297; Galletti, cit.,1214, Liace, Responsabilità oggettiva, cit., 300. Per quanto attiene all’in-versione dell’onere probatorio nel regime della l. n. 1/1991, cfr. Annun-ziata, cit., 381; Carbonetti, cit., 68; Coltro Campi, cit., 85.

(7) Al riguardo la sentenza richiama due precedenti: Cass. 22 ottobre2004 n. 20588 (in Banca, borsa e tit. credito, 2005, con nota di Tucci), lacui massima recita “Ai fini della sussistenza della responsabilità della società diintermediazione mobiliare per i danni arrecati a terzi dai promotori finanziari

(segue)

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Allo stesso modo, potrà dall’intermediario essere for-nita la dimostrazione, idonea ad esimere da responsabilitàin quanto recide il nesso causale, dell’intento collusivo delpromotore e dell’investitore finalizzato alla frode verso l’in-termediario. Ancora una volta soccorre la sentenza, cheesclude la responsabilità della società, qualora essa “…pro-vi che vi sia stata, se non addirittura collusione, quanto me-no una consapevole e fattiva acquiescenza del cliente allaviolazione, da parte del promotore alle regole di condottasu quest’ultimo gravanti” (8).

Risponde l’investitore di concorso di colpa perviolazione delle regole su mezzi di pagamento?

Si viene dunque alla prima delle questioni sollevatedalla sentenza: se cioè nel comportamento dell’investitoresussistano gli estremi di colpa esclusiva o concorrente (art.1227, primo e secondo comma, c.c.).

Come cennato, tale colpa è stata prospettata dalla di-fesa della Sim e ricollegata al fatto che M. aveva eseguito iversamenti consegnando al promotore assegni al portatore,nonostante le schede di prenotazione dei certificati di de-posito, predisposte dalla Sim e sottoposte alla sottoscrizio-ne del cliente, prevedessero espressamente che i pagamen-ti avrebbero dovuto essere effettuati unicamente medianteassegni bancari o circolari intestati alla società.

I Giudici di merito hanno escluso che tale circostanzapossa dare luogo all’applicazione dell’art. 1227 c.c., conconseguente esclusione o riduzione del danno. L’argomen-to adotto dalla Corte è duplice ed esclusivamente orienta-to in fatto. In primo luogo si è ritenuta dubbia la circostan-za che la suindicata modalità di pagamento sarebbe statacontenuta nelle schede di prenotazione dei certificati di de-posito, figurando essa in altra modulistica (ordini di acqui-sto di fondi) non rilevante ai fini della causa. In secondoluogo - ed il rilievo è stato ritenuto decisivo dalla Corte diAppello - era emerso che già in precedenti occasioni M.,nell’effettuare investimenti tramite il promotore D., gliaveva consegnato assegni al portatore, i quali erano statiaccettati ed incassati dalla Sim, senza obiezione alcuna.

La Sim, con il motivo di gravame in questione, recan-te asseriti vizio di motivazione e violazione di legge, haobiettato: sulla prima questione, che, contrariamente aquanto sostenuto dal Giudice di merito, nelle schede diprenotazione era espressamente indicato che il pagamentodoveva avere luogo a mezzo di assegni intestati alla Sim;sulla seconda, che gli assegni in passato consegnati a D. era-no stati da questi, o da terzi, incassati, e non già dalla Sim.A ciò la ricorrente ha aggiunto che il mancato invio dellaconferma d’ordine, da parte della società, avrebbe dovutomettere M. sull’avviso ed indurlo a compere immediate ve-rifiche, anziché attendere oltre un anno, come era poi ac-caduto.

La S.C., per respingere il mezzo di gravame, prende lemosse dalle disposizioni regolamentari Consob in materiadi mezzi di pagamento a promotori finanziari, evidenzian-done la palese violazione nella specie. La pronuncia richia-ma l’art. 14, comma 9, del Reg. n. 5388 del 2 luglio 1991 in

quanto vigente all’epoca dei fatti di causa. La norma rego-lamentare di riferimento è oggi costituita dall’omologo art.96, comma 6, del Reg. n. 11522 del 1° luglio 1998 e suc-cessivi emendamenti, a tenore del quale “Il promotore puòricevere dall’investitore, per la conseguente immediata tra-smissione, esclusivamente: a) assegni bancari o assegni cir-colari intestati o girati al soggetto abilitato per conto delquale opera ovvero al soggetto i cui servizi, strumenti fi-nanziari o prodotti sono offerti, muniti di clausola di nontrasferibilità; b) ordini di bonifico e documenti similari cheabbiano quale beneficiario uno dei soggetti indicati nellalettera precedente; c) strumenti finanziari nominativi o al-l’ordine, intestati o girati a favore del soggetto che presta ilservizio oggetto di offerta”.

Ebbene, secondo la S.C., la consegna al promotore dimezzi di pagamento non consentiti non implica assunzionedi responsabilità in capo all’investitore che tale consegnaabbia effettuato. Il concorso di colpa viene infatti esclusosulla base del rilievo che le norme regolamentari Consobsono rivolte esclusivamente al promotore e non già all’in-vestitore, nel cui interesse esse sono dettate: la disposizioneregolamentate Consob sui mezzi di pagamento “…è unica-mente diretta a porre un obbligo di comportamento in ca-po al promotore e trae la propria fonte da una prescrizionedi legge (…) espressamente volta alla tutela degli interessidel risparmiatore”. Ne consegue che non è logicamente so-stenibile “…che essa, viceversa, si traduca in un onere didiligenza posto a carico di quest’ultimo, tale per cui l’even-tuale violazione di detta prescrizione ad opera del promoto-re si risolva in un addebito di colpa (concorrente se nonesclusiva) a carico del cliente danneggiato dall’altrui attoillecito”.

La S.C. ricorre poi ad un efficace argomento per absur-dum: “Ove si ammettesse la possibilità per l’intermediariodi scaricare in tutto o in parte sull’investitore il rischio del-la violazione di regole di comportamento gravanti sui pro-motori, si finirebbe evidentemente per vanificare lo scopo

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1119

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI RISPARMIATORI

Note:

(segue nota 7)

nello svolgimento delle incombenze loro affidate è sufficiente un rapporto di “ne-cessaria occasionalità” tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioniaffidategli, a nulla rilevando che il comportamento del promotore abbia esorbi-tato il limite fissato dalla società, come si desume dall’art. 2049 c.c., la cui por-tata è stata estesa dall’art. 5, comma 4, della legge n. 1 del 1991” e Cass. 19luglio 2002 n. 10580 (in Giust. civ. Mass., 2002, 1290 e, per esteso, in Iu-risdata), secondo cui “La società di intermediazione mobiliare è responsabile deidanni arrecati a terzi dal proprio promotore finanziario, in tutte le ipotesi in cuiil comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all’e-sercizio delle incombenze di cui è investito”. Cfr., sul punto, anche i prece-denti sub nota n. 17.

(8) “La violazione delle norme sui mezzi di pagamento e, più in generale, even-tuali anomalie nella conclusione del contratto tra l’investitore e il promotore, indefinitiva, potranno esonerare da responsabilità l’intermediario convenuto sol-tanto ove questi sia in grado di provare una collusione tra promotore e investito-re, che abbia l’effetto di rendere del tutto estranea l’attività del primo all’incari-co ricevuto, in quanto tra l’esercizio delle incombenze e danno dell’investitore siè frapposta la scelta consapevole di quest’ultimo di accettare le modalità di inve-stimento ‘devianti’suggerite dal promotore”: così Tucci, Illecito del promotore fi-nanziario, cit., 770.

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della normativa che (…) mira incede proprio a responsabi-lizzare l’intermediario per siffatti comportamenti del pro-motore”.

Che, poi, tali norme regolamentari Consob sui mezzidi pagamento siano state nella specie trasfuse nel testo con-trattuale (anche se non è chiaro se gli ordini di prenotazio-ne dei certificati di deposito sottoscritti da M. effettiva-mente recassero disposizioni sui mezzi di pagamento) vieneritenuto dalla S.C. del tutto irrilevante, non potendo lastessa norma, a seconda che sia o non sia richiamata nelcontratto, mutare sostanza e, in particolare trasformarsi daobbligo di comportamento del promotore in vista della tu-tela dell’investitore, in un onere gravante su quest’ultimo.

La pronuncia si colloca nella scia di un filone giuri-sprudenziale già nutrito (9). Non mancano però preceden-ti di merito, anche recenti, di segno diverso. Si è, ad esem-pio, ravvisato, un concorso di colpa dell’investitore (conconseguente riduzione del risarcimento del danno del50%) per avere questi girato assegni circolari al promotorefinanziario e per non essersi insospettito per le anomalemodalità di pagamento dei frutti del preteso investimento(10).

È interessante notare che anche tali precedenti, chetendono ad ammettere il concorso di colpa, si richiamano,al pari della sentenza in commento, alla ratio della norma-tiva di settore, salvo giungere ad esiti del tutto discordanti.È stato, ad esempio, affermato che le norme regolamentariConsob sui mezzi di pagamento sono certamente poste atutela dell’investitore, quale contraente debole, ma che -tuttavia - esse “…configurano a suo carico un onere di col-laborazione destinato ad evitare il rischio di appropriazioneindebita da parte del promotore finanziario in danno del-l’investitore”, per modo che l’inosservanza di questo onerecondurrebbe ad una riduzione del risarcimento dovuto, inapplicazione dell’art. 1227 c.c., “per avere il danneggiatodato causa al pregiudizio che egli lamenta” (11).

Altre volte la giurisprudenza di legittimità ha assuntoun non chiara linea intermedia, “possibilista” sul concorsodi colpa: in un caso ha, ad esempio, ritenuto il difetto dimotivazione della pronuncia di merito, nella parte in cui haaccertato un concorso colposo del risparmiatore, ritenuto“modesto” (e che ha dato luogo ad un riduzione del risarci-mento del 10%) (12). In altra fattispecie si è limitata ad af-fermare che i mezzi di pagamento costituiscono “elementisecondari della fattispecie”, la cui violazione di per sé non èidonea ad “interrompere il nesso di occasionalità necessariae la configurazione della responsabilità solidale” (13).

La dottrina è scettica sul concorso colposo dell’inve-stitore per l’illecito del promotore finanziario: viene infattievidenziato, al pari della sentenza in commento, che lenorme del T.u.f. e regolamentari Consob (ad esempio, legià richiamate norme sui mezzi di pagamento) contengonoprecetti rivolti al promotore finanziario e non già al rispar-miatore, nel cui interesse esse sono state formulate (14).

È stato inoltre osservato che tali norme assicuranouna tutela uniforme dell’investitore, non distinguendo aseconda del suo grado di competenza e di preparazione, do-

vendosi quindi approntare tutela anche al risparmiatoresprovveduto, tra l’altro in ragione della ‘copertura’costitu-zionale del risparmio nella sua connotazione oggettiva.(15). Ed ancora, è stata evidenziata l’intrinseca debolezzalogica del concorso colposo del risparmiatore, dovendosialtrimenti ammettere che il meccanismo di responsabilitàsolidale dell’intermediario per fatto illecito del promotoresia destinato a trovare rara applicazione, come nelle situa-zioni di versamenti conformi alle prescrizioni normative(16).

Viene naturalmente eccettuata la situazione in cui lanegligenza dell’investitore sulle c.d. regole di presentazionedel promotore sia di “cosciente” negligenza, se non di col-lusione con il promotore. È la situazione del cliente il qua-le sia pienamente consapevole, magari per averlo appresosuccessivamente rispetto al primo conferimento, che il pro-motore finanziario procura investimenti al di fuori di quan-to offerto dalla propria mandante, magari ottenendo perfor-mances più interessanti (e violando il monomandato lega-

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GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI RISPARMIATORI

Note:

(9) Cfr. Cass. 17 maggio 2001 n. 6756, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I,365; Trib. Milano 2 maggio 1996, in Resp. civ. prev.,1997, 1237 (nota An-nunziata); Trib. Milano 24 giugno 1996, in Giur. comm., 1997, II, 466(nota Bochicchio); Trib. Trani 9 luglio 2001, in Le Corti Bari, Lecce e Po-tenza, 2002, I, 14 (nota Lo buono); Trib. Brescia 23 dicembre 2002, in Fo-ro it., 2003, I, 1264; Trib. Mantova, 13 ottobre 2003, in Danno e resp.,2004, 297 (nota Liace); Trib. Lecce 28 giugno 2004, in I Contratti, 2005,584. Originale l’impostazione di Trib. Verona 1° marzo 2001, in Banca,borsa, tit. cred., 2002, II, 753 (nota Tucci) ove leggesi che il concorso dicolpa non è configurabile “allorché si sia in presenza di responsabilità connes-sa ad un fatto doloso e non colposo dell’autore dell’illecito”.

(10) Trib. Roma 14 ottobre 2004 in Banca, borsa, tit. cred., 2005, con no-ta di Tucci. Si vedano, anche, Trib. Monza 4 luglio 2000, in Resp. civ.prev., 2000, 229 (nota Romeo); Trib. Milano 11 giugno 1998, in Contrat-ti, 1999, 487 (nota Maniaci); idem, 11 febbraio 2002, in Banca, borsa, tit.cred., 2002, II, 153.

(11) Trib. Milano 11 giugno 1998, cit.

(12) Cass. 29 settembre 2005, n. 19166, cit.

(13) Cass. 20 ottobre 2004, n. 20588, cit.

(14) Cfr. Lobuono, cit., 251; Tucci, Illecito del promotore finanziario, cit.,767, il quale osserva che “Le norme sui mezzi di pagamento costituiscono al-trettanti obblighi a carico del promotore, della cui violazione non può che ri-spondere ..il soggetto abilitato che ha conferito l’incarico”. Originale l’impo-stazione di Bochicchio, Illeciti dei promotori finanziari, cit., 466, secondo cuiil concorso di colpa ricorre solo allorché la colpa del danneggiato sia fron-teggiata da colpa del danneggiante “…e non anche allorché sia fronteggiata,come nella maggior parte di illeciti dei promotori, che volontariamente si appro-priano delle disponibilità loro affidate dai clienti, senza investirle come di con-verso pattuito, da dolo del danneggiante stesso: non ha infatti senso che la colpadel danneggiato vada a tutela di chi ha teso coscientemente a danneggiarne il pa-trimonio e comunque a lederne fondamentali diritti. A mò di sillogismo, se delricorso al concorso di colpa non può beneficiare il promotore - danneggiante, del-lo stesso non può beneficiare nemmeno la preponente-responsabile oggettiva-mente, in quanto la responsabilità oggettiva è caratterizzata, per antonomasia,dall’impossibilità di proporre eccezioni non proponibili dal danneggiante-respon-sabile diretto”. Trattasi peraltro di impostazione che - come riconosce lostesso A. - è avversata dalla giurisprudenza, che non esclude il concorso dicolpa neppure nel caso in cui il danneggiante versi in situazione di dolo eciò sulla base del principio de “l’equivalenza delle cause”.

(15) Galletti, cit., 1216.

(16) Sia consentito il richiamo a Frumento, cit., 150.

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le) e che i mezzi di pagamento irregolari costruiscono unamodalità necessaria per conseguire tali risultati.

Di tale limite, del resto, la sentenza in commento sirende ben conto, escludendo, come già rimarcato, il c.d.,nesso di occasionalità necessaria ove l’intermediario proviche vi sia stata collusione o, quantomeno, la ‘consapevolee fattiva acquiescenza’dell’investitore alla violazione delleregole da parte del promotore finanziario. In questa situa-zione può ritenersi venuta meno la responsabilità dell’in-termediario per difetto di nesso causale tra la commissionedell’illecito e l’ambito di attività del promotore (17).

Risponde l’intermediario del danno subìtodall’investitore per comportamento illecito del proprio ex promotore?

Il secondo motivo di gravame ha riguardo alle appro-priazioni compiute da D. quanto questi aveva cessato, dacirca un mese e mezzo, di essere promotore finanziario del-la Sim.

Il Giudice di merito, richiamando i principi di appa-renza del diritto aveva ritenuto la responsabilità della so-cietà, in ragione delle seguenti circostanze: - che M., pur es-sendo da tempo cliente della Sim, non era stato informatoda quest’ultima nel venir meno del rapporto di agenzia colproprio promotore; - che questi era stato lasciato nel pos-sesso di modulistica contrattuale, la quale, infatti, era statafraudolentemente impiegata; - che la Sim non si era nep-pure attivata per ottenere la restituzione del tesserino di D.,per modo che questi aveva potuto esibirlo traendo in in-ganno l’investitore.

Avverso tale statuizione è insorto l’intermediario ilquale, con gravame evidenziante preteso vizio di motiva-zione e violazione di norma di legge:

– ha negato che M., all’epoca dei fatti, fosse ancoraproprio cliente, quindi negando che gli fosse dovuta alcunainformativa;

– che, effettivamente, la società aveva, senza esiti,chiesto la restituzione della modulistica (a sé medesima) edel tesserino (alla Commissione regionale per l’Albo);

– che la stessa società, non appena venuta a cono-scenza degli illeciti compiuti da D., aveva informato gli or-gani di vigilanza e sporto denuncia alla magistratura.

Anche tale motivo è stato respinto dalla S.C., che haritenuto sussistere nella specie i principi di apparenza di di-ritto nella rappresentanza negoziale. In particolare si è rite-nuto che l’intermediario può essere chiamato a risponderedi illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essereun suo promotore, ed in tale apparente veste abbia com-messo l’illecito, “…ogni qual volta l’affidamento del terzorisulti incolpevole ed alla falsa rappresentazione della realtàabbia invece concorso un comportamento colpevole (an-corché magari solo omissivo) dell’intermediario medesi-mo”.

Effettivamente costituisce insegnamento consolidatodella giurisprudenza di legittimità che il principio dell’ap-parenza del diritto, riconducibile a quello più generale del-l’affidamento incolpevole, può essere invocato con riguar-

do alla rappresentanza, allorché si riscontri: a) la buona fe-de del terzo che abbia concluso atti con il falso rappresen-tante (atteggiamento psicologico di chi invoca la situazio-ne di apparente); b) un comportamento colposo del rap-presentato tale da ingenerare nel terzo la ragionevole con-vinzione che il potere di rappresentanza/preposizione siastato effettivamente e validamente conferito al rappresen-tante/preponente apparente.

In altri termini, perché possa invocarsi utilmente ilprincipio dell’apparenza del diritto occorre che coesistanodue elementi: uno relativo al soggetto, il terzo, che ha fattoaffidamento su tale apparenza (lett. a) e l’altro relativo alsoggetto, il rappresentato apparente, che gli effetti di taleapparenza subisce (lett. b) (18).

Del resto la giurisprudenza ha, fino ad oggi, fatto usodiscretamente frequente del principio di apparenza del di-ritto - beninteso, in presenza dei denunciati requisiti - al fi-ne di ritenere la responsabilità dell’intermediario in quelle

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GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI RISPARMIATORI

Note:

(17) Cfr. Trib. Brescia 22 dicembre 2002, cit., secondo cui la responsabi-lità solidale della Sim non è esclusa dall’irregolare forma di pagamentoadottata dal risparmiatore danneggiato, in difformità dalle indicazioni for-nite dalla società preponente e dalla normativa Consob, “…se non nel ca-so in cui si evidenzi una colpa esclusiva del risparmiatore, per imprudenza nonscusabile, tale da rivestire un’incidenza causale determinante ed unica nellacreazione del danno”; Trib. Verona 1° marzo 2001, cit., che esonera la simda responsabilità ove questa dimostri “…che l’investimento è avvenuto, perespresso patto tra le parti, al di fuori dell’incarico conferito, per avere il clienteconsapevolmente richiesto investimenti finanziari del tutto estranei all’attivitàsvolta dalla Sim”; Trib. Mantova 13 ottobre 2003, cit., che analogamenterichiede”…la prova della consapevole collusione tra risparmiatore e promotorefinanziario è idonea ad escludere questa responsabilità”. In dottrina cfr. Bo-chicchio, cit., 881, il quale ritiene che il comportamento dell’investitoreassume rilievo giustappunto nella sola ipotesi di vera e propria collusionetra cliente e promotore. Per modo che l’apparente ‘grave imprudenza’del-l’investitore costituirebbe indizio e sintomo di accordo fraudolento con ilpromotore; Analogamente Tucci, nota n. 8 e Responsabilità dell’inter-mediario, cit., 133: “La violazione delle norme in materia …se da sola non èsufficiente a configurare un concorso di colpa del cliente, può tuttavia essere va-lutata come eventuale indizio di una collusione tra l’investitore e il promotore adanno dell’intermediario o, quanto meno, della consapevolezza circa l’estra-neità della condotta del promotore alla sfera di attività dell’intermediario che haconferito l’incarico”.

(18) Cfr., avuto riguardo ad una controversia di settore, Cass. 18 febbraio1998 n. 1720 (in Giust. civ. Mass., 1998, 366 e, per esteso, in Iuritalia), atenore della quale “Il principio dell’apparenza del diritto, riconducibile a quel-lo più generale della tutela dell’affidamento incolpevole, può essere invocato conriguardo alla rappresentanza, allorché, indipendentemente dalla richiesta di giu-stificazione dei poteri del rappresentante a norma dell’art. 1393, non solo vi siala buona fede del terzo che abbia concluso atti con il falso rappresentante, ma visia anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nelterzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effetti-vamente e validamente conferito al rappresentante apparente”. Nel caso di spe-cie la S.C. ha ritenuto che una Sim non avesse assolto l’obbligo di infor-mativa che aveva nei confronti delle mandanti, avendo trasmesso leinformative mensili e quelle sulle operazioni non alle stesse direttamentema a soggetto qualificato falsamente come rappresentante. Cfr. anche, trale più recenti e in prospettiva più generale, Cass. 13 agosto 2004 n. 15743,in Foro it., 2004, I, 3318; Cass. 23 luglio 2004 n. 13829, in Giust. civ.Mass., 2004, 7-8; Cass. 10 gennaio 2003 n. 204, ivi, 2003, 52. La teoriadella “apparenza colposa” trova il suo leading case, in Cass. 14 dicembre1957 n. 4703, in Foro it., 1958, I, 390, con nota critica di Torrente. In dot-trina Cfr., per tutti, Sacco, Apparenza, in Digesto IV, Disc. Priv., Sez. civ.,I, Torino, 1987, 353.

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situazioni in cui non è dato riscontrate la sussistenza di rap-porto di agenzia o lavoro tra lo stesso intermediario e il pro-motore autore dell’illecito dannoso (19).

L’onere della prova relativamente alla situazione diapparenza grava sull’investitore che promuova il giudizio ri-sarcitorio: onere che, evidentemente, non sussiste ove ilpromotore convenuto fosse effettivamente legato ad unrapporto di preposizione all’epoca dei fatti (20). La valuta-zione sulla sussistenza o meno dei requisiti di cui sopra è ri-servata al giudice di merito, dipendendo esclusivamentedalle circostanze di fatto della fattispecie, e può essere sin-dacata solo in presenza di difetti logici o giuridici della mo-tivazione.

La S.C. ha ritenuto logicamente e giuridicamente cor-retto il ragionamento condotto dalla Corte di Appello:non tanto avuto riguardo all’inerzia che la Sim avrebbe ser-bato nel richiedere la restituzione di modulistica e di tesse-rino (posto “…che può effettivamente dubitarsi che unasocietà di intermediazione disponga in concreto dei mezzinecessari per conseguire con certezza la restituzione”),quanto con riferimento alla mancata comunicazione alcliente M dell’intervenuto scioglimento del rapporto diagenzia con D.

Dunque la società avrebbe dovuto diligentemente co-municare la cessazione del proprio rapporto con il promo-tore, specie con chi, come M., “…aveva avuto nel tempouna serie di ripetuti contratti contrattuali con detta societàper il tramite di quel promotore ed era perciò logicamenteincline ad identificare in costui appunto un promotore diquella società d’intermediazione”.

L’esigenza, concretamente disattesa, di informazionetempestiva al cliente è inoltre amplificata e resa insoppri-mibile, secondo la S.C., da due circostanze, una generale el’altra attinente alla concreta fattispecie.

Quanto alla prima, viene evidenziato che, in ragionedel noto vincolo di monomandato, i promotori possonoesercitare attività solo per un solo intermediario, conse-guendone il rischio che gli investitori “…possano conti-nuare ad identificare costui un referente della società purquando in realtà il rapporto di preposizione sia invece ve-nuto meno”.

Quanto alla seconda, posto che tale dovere di infor-mazione non ha riguardo a chiunque nel tempo sia venutoin qualche modo in contatto con il promotore, ma è rivol-to a coloro che hanno intrattenuto rapporti con la Sim inun arco di tempo che possa far supporre, secondo ragione-volezza, “la loro attitudine ad effettuare ulteriori investi-menti per il tramite di quel medesimo promotore”, tale si-tuazione si presenta nella specie, posto che è emerso che M.aveva compiuto investimento fino a quattro mesi prima ildimissionamento di D.

Sul risarcimento dovuto all’investitoreCon ultimo motivo di gravame, la Sim ha lamentato

che la condanna a proprio carico avrebbe dovuto essere cir-coscritta alle somme versate da M., e poi distratte da D.,maggiorate dei soli interessi legali e non già del tasso al 14%

annuo, posto che difetta qualsiasi pattuizione scritta in talsenso.

Sennonché la S.C., rigettando anche tale motivo, hachiarito l’equivoco in cui è caduta la difesa della società:non si è trattato infatti di corrispondere interessi conven-zionali ex art. 1284, u.c., c.c., ma di riconoscere il risarci-mento del danno patito da M in conseguenza del mancatoinvestimento della somma che aveva affidato a D.

E posto che la somma in questione avrebbe dovuto es-sere investita in certificati di deposito bancario per i qualiera prevista, alla scadenza annuale, l’aggiunta di interessi altasso del 14%, “…risulta conforme a diritto e congruamen-te motivata la statuizione con cui la Corte di merito hacondannato i convenuti ad un risarcimento comprendenteanche la misura degli interessi che il cliente avrebbe perce-pito qualora le somme da lui affidate al promotore fosserostate impiegate come dovevano”.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061122

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI RISPARMIATORI

Note:

(19) Cfr., oltre a Cass. 18 febbraio 1998 n. 1720, cit., Cass. 9 luglio 1998n. 6691, in Danno e Resp., 1999, 48, nota Laghezza. Richiami alla giuri-sprudenza di merito in Carbone, cit., 615; Petrone e Ristuccia, cit., 163ss.; Chieppa Maggi, cit., 426 il quale osserva che “La giurisprudenza ha fat-to spesso ricorso al principio di apparenza del diritto, per giungere ad affermarela responsabilità della Sim, in particolar modo in mancanza di un effettivo rap-porto di preposizione tra società di intermediazione mobiliare e soggetto respon-sabile dell’illecito. Il principio trova, però, applicazione a condizione che sussi-stano oggettivi riscontri e giustificazione dell’apparenza: uso di credenziali, diprospetti intestati, di depliants e altro”. In senso negativo Trib. Verona 6 mar-zo 2001, in Società, 2001, 963, che esclude che la responsabilità dell’in-termediario possa essere costruita sulla base del principio di apparenzaperché così procedendo si svuoterebbe di significato il principio di re-sponsabilità solidale ex art. 31 T.u.f.. Originale l’impostazione di Cass. 29settembre 2005 n. 19166, cit., secondo cui “Con riguardo alle attività illeci-te poste in essere dal promotore finanziario prima della entrata in vigore della leg-ge n. 1 del 1991, sussiste la responsabilità della società di intermediazione fi-nanziaria, ai sensi dell’art. 2049 c.c., ancorché l’agente sia privo del potere dirappresentanza, qualora - come nella specie - quest’ultimo abbia non solo ilcompito di promuovere, per conto del preponente, la conclusione di contratti diinvestimento finanziario, ma anche quelli di fare sottoscrivere dai risparmiatoriil contratto di investimento e di procedere alla riscossione delle somme versate daquesti ultimi, ancorché con determinate cautele”.

(20) Cfr. Trib. Verona 1° marzo 2001, cit., secondo cui “La Sim rispondenei confronti del risparmiatore della dolosa distrazione di fondi da parte di un suopromotore finanziario, ancorché la sottoscrizione dei prodotti finanziari non siaavvenuta mediante assegni intestati alla società e muniti di clausola di trasferibi-lità. Tale responsabilità sussiste anche se il promotore non abbia il potere di rap-presentanza nella Sim, ed a prescindere dal fatto che il promotore stesso sia omeno rappresentante apparente della Sim”. Sembra invece richiede il requi-sito della colpevole apparenza anche nel caso di promotore regolarmenteincardinato presso l’intermediario Trib. Milano 1° febbraio 2001, cit.: “Laresponsabilità solidale della Sim per i danni arrecati dal promotore finanziarioderiva direttamente dall’art. 23 d.lgs. n. 415 del 1996 e costituisce un’ipotesirafforzata rispetto agli istituti previsti dal codice civile. Detta responsabilità nonrichiede infatti la violazione di un comportamento di controllo o scelta del pro-motore, e non viene meno neppure nell’ipotesi di responsabilità penale. Ne con-segue che il rapporto con il promotore finisce per diventare rapporto con la Sim,che è tenuta a far fronte agli obblighi assunti in suo nome anche da un promoto-re privo di rappresentanza e ciò per avere ingenerato nei terzi, mediante un com-portamento di tolleranza, la convinzione non colposa della sussistenza di un rap-porto di rappresentanza, in applicazione del principio di tutela dell’affidamento”.

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1123

GIURISPRUDENZA•CIRCOLAZIONE STRADALE

Azione diretta del danneggiato

Il litisconsorzio nell’azione direttaverso l’assicurazione r.c.a.CASSAZIONE CIVILE, Sez. un., 5 maggio 2006, n. 10311Pres. Carbone - Rel. Lo Piano - P.M. Maccarone (conf.) - C. c. S. e altro

Impugnazioni civili - Cause scindibili e inscindibili - Notificazione dell’impugnazione - Causa di risarcimento danniderivanti dalla circolazione di veicoli - Assicurazione obbligatoria della R.c.a. - Azione diretta nei confronti delassicuratore - Impugnazione proposta dall’assicuratore del danneggiante nei confronti del solo danneggiato - Impedimentodel passaggio in giudicato della sentenza nei confronti delle altre parti litisconsorti - Sussistenza - Fondamento.

(c.c., art. 2909; c.p.c., art. 102, 324, 331, 334; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18, 23)

In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veico-li a motore o dei natanti, qualora il danneggiato, esercitando l’azione diretta nei confronti dell’assi-curatore, evochi in giudizio quest’ultimo ed il responsabile assicurato e, chiedendo un risarcimento ec-cedente i limiti del massimale di assicurazione, proponga, oltre alla domanda nei confronti dell’assi-curatore, anche domanda contro l’assicurato, le domande medesime si trovano in rapporto di connes-sione e reciproca dipendenza, trovando presupposti comuni nell’accertamento della responsabilità ri-sarcitoria dell’assicurato e dell’entità del danno risarcibile, con la conseguenza che l’impugnazionedella sentenza per un capo attinente a detti presupposti comuni, da qualunque parte ed in confrontodi qualsiasi parte proposta, impedisce il passaggio in giudicato dell’intera pronuncia con riguardo atutte le parti.

Assicurazione - Veicoli (circolazione-assicurazione obbligatoria) - Risarcimento del danno - Azione diretta nei confrontidell’assicuratore - Litisconsorti necessari - Proprietario del veicolo e responsabile del danno - Inclusione - Fondamento -Dichiarazioni confessorie rese dal responsabile del danno contenute nel modulo di constatazione amichevole di incidente -Efficacia probatoria di piena prova solo nei confronti del confitente - Esclusione - Libero apprezzamento di dettedichiarazioni da parte del giudice nei confronti di tutti i litisconsorti - Necessità.

(c.c., art. 1917, 2733; c.p.c., art. 102, 116, 331; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18, 23; d.l. 23 dicembre1976, n. 857, convertito con modificazioni in l. 26 febbraio 1977, n. 39, art. 5)

Nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della r.c.a., il responsabile deldanno, che deve essere chiamato nel giudizio sin dall’inizio, assume la veste di litisconsorte necessa-rio, poiché la controversia deve svolgersi in maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto processua-le (danneggiato, assicuratore e responsabile del danno) e coinvolge inscindibilmente sia il rapportodi danno, originato dal fatto illecito dell’assicurato, sia il rapporto assicurativo. Di conseguenza, il giu-dizio deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano. Avuto ri-guardo alle dichiarazioni confessorie rese dal responsabile del danno, pertanto, deve escludersi che,sia nel giudizio in cui sia stata proposta soltanto l’azione diretta sia in quello in cui sia stata avanza-ta anche la domanda di condanna nei confronti del responsabile del danno, si possa pervenire ad undifferenziato giudizio di responsabilità in base alle suddette dichiarazioni, in ordine ai rapporti tra re-sponsabile e danneggiato da un lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro. Conseguentemente, varitenuto che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sini-stro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e litiscon-sorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve es-sere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733,comma 3, c.c., secondo cui, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltantodei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice.

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...Omissis...

Svolgimento del processo...Omissis...

Motivi della decisioneCon il primo motivo del ricorso si denuncia: Violazionedegli artt. 112, 339, 342 c.p.c., in relazione all’art. 360c.p.c., n. 3.Si deduce che la sentenza di primo grado, che aveva pro-nunciato la condanna in solido del S. e della s.p.a LloydAdriatico, era stata impugnata solo da quest’ultima, cheaveva chiesto la reiezione della domanda contro di leiproposta dal C.; nessuna impugnazione era stata inveceproposta da S.S., con la conseguenza che il giudice d’ap-pello non avrebbe potuto rigettare la domanda, avanza-ta nei confronti del predetto dal C. e già accolta, sia pu-re parzialmente, dal giudice di primo grado.Con il secondo motivo si denuncia: Violazione e falsaapplicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2054, 2697 e2735 c.c., nonché del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, com-mi 1 e 2, convertito nella L. n. 39 del 1977 in relazioneall’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.La censura svolge le seguenti argomentazioni:– il Tribunale ha immotivatamente disatteso le risultan-ze del modulo CID, che con riferimento al S. aveva va-lore di confessione stragiudiziale, nel quale erano conprecisione indicati l’ora ed il luogo del fatto, i mezzi coin-volti, il teste presente, le modalità del sinistro, la dichia-razione del S. di avere costretto con la sua manovra il C.a “stringere a sinistra”, nonché il punto di contatto tra idue mezzi;– v’era la prova della collisione tra i due veicoli e la di-namica del sinistro era stata confermata dal teste indica-to nel modulo CID ed aveva trovato riscontro nell’in-terrogatorio libero e in quello formale del C.;– la prova del sinistro e delle sue modalità era stata datadal C. a mezzo di prove documentali ed orali e tale pro-va non poteva essere superata dalla consulenza basata sumere deduzioni, tra l’altro, erronee e contraddittorie;– la prova del nesso causale tra i danni ed il sinistro erastata fornita e del resto la sentenza del giudice di pace sulpunto non era stata impugnata;– il Tribunale ha erroneamente ritenuto che il D.L. n.857 del 1976, art. 5 trovi applicazione soltanto nel casodi “scontro” tra i veicoli inteso nel senso di contatto ma-teriale tra gli stessi idoneo a cagionare danno ad entram-bi, mentre è da considerare “scontro” “qualsiasi contattotra i mezzi cha causalmente provochi, di per sé ovvero inconseguenza di manovre illegittime e colpose, un sini-stro”;– il modulo CID era pienamente probante nei confron-ti della compagnia assicuratrice, perché gli elementi inesso indicati avevano trovato riscontro negli altri ele-menti di prova acquisiti al processo;– la valenza probatoria del modulo CID non poteva es-sere inficiata dal rilevato ritardo con cui, secondo il Tri-

bunale, esso era stata trasmesso alla compagnia assicura-trice; ciò perché: nessun termine era previsto dalla leggeper l’invio del modulo; nessuna eccezione era stata solle-vata in proposito dalla compagnia di assicurazione; ilmodulo era stato consegnato tempestivamente dal C. al-la propria compagnia assicuratrice;– il Tribunale ha immotivamente ritenuto che la com-pagnia assicuratrice avesse fornito la prova contraria, sudi essa incombente, ai sensi del D.L. n. 857 del 1976, art.5, comma 2. Con riferimento ai detti motivi, la terza se-zione civile di questa Corte, ha rilevato che gli stessipongono una questione di massima di particolare impor-tanza (artt. 374 e 376 c.p.c.) e, pertanto, ha rimesso gliatti al Primo Presidente, che ha disposto la trattazionedella causa da parte di queste sezioni unite. L’ordinanza,richiamata la giurisprudenza di questa Corte, osserva chein essa sono rinvenibili due principi:– uno, secondo cui il litisconsorzio previsto dalla L. n.990 del 1969, art. 23, che impone al danneggiato cheesercita l’azione diretta (art. 18) nei confronti dell’assi-curatore di chiamare in giudizio il responsabile del dan-no, “soddisfa l’esigenza che sulla responsabilità dell’assi-curato e dell’assicuratore si statuisca in un unico conte-sto, in modo uniforme”, cosicché l’impugnazione propo-sta dal solo assicuratore impedisce che sulla responsabi-lità del danneggiante, chiamato in giudizio, si formi ilgiudicato - l’altro, secondo cui “il modulo di constatazio-ne amichevole di sinistro stradale redatto ai sensi delD.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito con modifi-cazioni in L. n. 39 del 1977 (quando è sottoscritto daiconducenti coinvolti e completo in ogni sua parte, com-presa la data), ha valore probatorio di confessione esclu-sivamente nei riguardi del suo autore, mentre genera sol-tanto una presunzione iuris tantum nei confronti dell’as-sicuratore, come tale superabile con prova contraria”,con la possibilità, quindi, che la responsabilità dell’assi-curato venga affermata in base alla sua confessione,mentre l’azione diretta nei confronti dell’assicuratorevenga respinta ove egli fornisca la prova contraria. Conriferimento al caso in esame l’ordinanza osserva che ilTribunale ha respinto la domanda proposta nei confron-ti del responsabile del danno che, con la sottoscrizionedel modulo, aveva ammesso fatti per sé sfavorevoli; conciò il Tribunale aveva fatto applicazione del primo prin-cipio, secondo cui la decisione deve essere unitaria, siaper l’assicurato, sia per l’assicuratore, ma aveva disattesoil secondo principio, secondo cui la dichiarazione di fat-ti sfavorevoli al responsabile del danno, contenuta nelmodulo da lui sottoscritto, ha valore di confessione stra-giudiziale.Il Tribunale osserva ancora che se il Tribunale avesse af-fermato la responsabilità dell’assicurato, in base alla suaconfessione, e rigettato la domanda nei confronti del-l’assicuratore, ritenendo che questi avesse offerto la pro-va contraria rispetto a quanto dichiarato dall’assicuratonel modulo CID, avrebbe rispettato il secondo princi-pio, ma avrebbe disatteso il primo.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061124

GIURISPRUDENZA•CIRCOLAZIONE STRADALE

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L’ordinanza, a questo punto, prospetta, sia pure in via du-bitativa, le seguenti possibili soluzioni:– un’applicazione dell’art. 2733 c.c. in linea col primoprincipio, nel senso che la confessione di uno soltantodei litisconsorti necessari sia bensì liberamente apprezza-bile dal giudice, ma in modo conforme per tutti i liti-sconsorti, come affermato da Cass., 14 gennaio 1987, n.198; ma a ciò, secondo l’ordinanza, sembra ostare la let-tera e la ratio del D.L. n. 857 del 1976, art. 5, comma 3,che ha anche funzione dissuasiva di tentativi di frode indanno dell’assicuratore;– ritenersi che l’impossibilità di un apprezzamento (e diconseguenze) difforme per il confitente e per il litiscon-sorte non confitente sia da riservarsi ai soli casi di liti-sconsorzio sostanziale in cui sia dedotto un unico rap-porto, con la conseguente possibilità di valutare diversa-mente la confessione dell’assicurato nei casi di cui alla L.24 dicembre 1969, n. 990, art. 23: ammettendosi, cioè,che la sua confessione (tramite il modulo di constatazio-ne amichevole) non abbia effetto solo per l’assicuratoreche abbia offerto la prova contraria ai sensi del D.L. n.857 del 1976, art. 5, comma 3; ciò, però, secondo l’ordi-nanza, comporterebbe lo scostamento dal primo princi-pio, dovendo allora riconoscersi la possibilità che lo stes-so fatto sia ritenuto vero per l’assicurato e non vero perl’assicuratore, quantomeno nei casi in cui sia il solo assi-curatore del responsabile (e non anche il solo assicurato)a dover essere mandato indenne dalla pretesa risarcitoriadel danneggiato.Sembra a queste sezioni unite che, al fine di dare una ri-sposta ai quesiti posti con l’ordinanza di cui sopra - chetrovano fondamento nelle questioni poste con i motividel ricorso - occorra partire dall’analisi della strutturadell’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’as-sicuratore, disciplinata dalla legge n. 990 del 1969, art.18, e dall’accertamento delle ragioni del litisconsorzioche il successivo art. 23 impone di realizzare nei con-fronti del responsabile del danno.In particolare occorre verificare se il procedimento liti-sconsortile disciplinato dai suddetti articoli tolleri che sipossa giungere ad una decisione che non sia unica pertutte le parti che vi devono necessariamente partecipa-re.Tale accertamento appare necessario perché, se ben siosserva, più o meno consapevolmente, la tesi prevalentenella giurisprudenza, che, pure riconoscendo nella fatti-specie considerata la ricorrenza di un litisconsorzio ne-cessario previsto dalla legge, afferma che la confessionedel danneggiante assicurato fa piena prova nel rapportotra questi ed il danneggiato, mentre può essere libera-mente apprezzata dal giudice nel diverso rapporto tra as-sicurato ed assicuratore, si fonda sulla tesi che non in tut-ti i casi in cui è necessaria la partecipazione al giudizio diuna pluralità di parti sussiste anche la necessità che lasentenza sia unica per tutte, donde il diverso senso da at-tribuire all’espressione litisconsorzio necessario, che nel-l’art. 102 c.p.c., esprime solo l’esigenza che al giudizio

partecipino più soggetti, mentre nell’art. 2733 c.c., com-ma 3, si riferisce non a tutti i casi di litisconsorzio ma so-lo a quelli in cui la decisione deve essere uguale per tut-te le parti in causa. Ai sensi dell’art. 1917 c.c., che disci-plina l’assicurazione della responsabilità civile, di cuil’assicurazione obbligatoria per la responsabilità derivan-te dalla circolazione dei veicoli costituisce una specie,l’assicuratore è tenuto a tenere indenne l’assicurato diquanto questi, in conseguenza del fatto accaduto duran-te il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, indipendenza della responsabilità dedotta nel contratto.È giurisprudenza costante di questa Corte che l’assicura-zione della responsabilità civile non può essere inqua-drata tra i contratti a favore dei terzi giacché per effettodella stipulazione non sorge alcun rapporto giuridico di-retto ed immediato tra il danneggiato e l’assicuratore,ma l’obbligazione dell’assicuratore relativa al pagamentodell’indennizzo all’assicurato è distinta ed autonoma ri-spetto all’obbligazione di risarcimento cui l’assicurato ètenuto nei confronti del danneggiato, talché quest’ulti-mo non ha azione diretta contro l’assicuratore (v. in talsenso Cass. n. 8382/93 e successivamente, Cass. n.2678/96; Cass. 4364/97; Cass. 4364/00; Cass. 10418/02;nonché Cass. 8650/96, la quale ha precisato che il prin-cipio opera anche quando l’indennità sia stata pagata di-rettamente al terzo danneggiato, ai sensi dell’art. 1917c.c., comma 2).In deroga a questa disciplina, la legge n. 990 del 1969,art. 18, dispone che il danneggiato per sinistro causatodalla circolazione di un veicolo o di un natante, per iquali a norma della medesima legge vi è obbligo di assi-curazione, ha azione diretta per il risarcimento del dan-no nei confronti dell’assicuratore, entro i limiti dellesomme per le quali è stata stipulata l’assicurazione. Conil comma 2, la suddetta norma inoltre dispone che finoalle somme minime per cui è obbligatoria l’assicurazione,indicate nella tabella A allegata alla legge, l’assicuratorenon può opporre al danneggiato, che agisce direttamen-te nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto,né clausole che prevedano l’eventuale contributo del-l’assicurato al risarcimento del danno, ed altresì stabili-sce che l’assicuratore ha tuttavia diritto di rivalsa versol’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrat-tualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria presta-zione.Fin da Cass. Sez. un. nn. 5218 e 5219/83 la giurispru-denza di questa Corte è costante nel ritenere che la L. n.990 del 1969, prevedendo l’azione diretta del danneg-giato contro l’assicuratore, ha creato - accanto al rappor-to, sorto dal fatto illecito, tra il danneggiante e l’assicu-rato ed al rapporto contrattuale fra il responsabile e l’as-sicuratore - un terzo rapporto che, sul presupposto delprimo ed in attuazione del secondo, obbliga ex lege l’assi-curatore verso il danneggiato; in sostanza l’assicuratorenon resta più estraneo al rapporto tra il suo assicurato edil terzo danneggiato, ma viene inserito quale parte e pro-tagonista attivo nel rapporto risarcitorio dipendente dal-

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l’illecito di cui l’assicurato è responsabile, con la conse-guenza che la richiesta del danneggiato lo rende con-traddittore diretto e primario per l’accertamento e laquantificazione dell’obbligazione risarcitoria dell’assicu-rato e lo costituisce debitore verso lo stesso terzo della re-lativa prestazione. Secondo lo schema delineato dallalegge n. 990 del 1969, il danneggiato, allorquando, tra-scorso inutilmente il termine di cui all’art. 22, agisce neiconfronti dell’assicuratore per essere risarcito del danno,non chiede che l’assicuratore sia condannato ad adem-piere in suo favore l’obbligo che il predetto ha nei con-fronti dell’assicurato in base al contratto, ma fa valere undiritto suo proprio nei confronti del predetto assicurato-re. Ciò è sufficientemente provato dal fatto che, secon-do la legge, l’assicuratore non può opporre al danneggia-to, che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioniderivanti dal contratto, né clausole che prevedono l’e-ventuale contributo dell’assicurato al risarcimento deldanno. L’accoglimento della domanda del danneggiatopresuppone che siano accertate:– l’esistenza di un contratto di assicurazione tra l’assicu-ratore convenuto e colui che è indicato come responsa-bile del danno;– l’esistenza di una danno e la responsabilità del sogget-to assicurato.Tali accertamenti, anche se non esplicitamente formula-ti, costituiscono oggetto della domanda che il danneg-giato propone nei confronti dell’assicuratore, la quale haquindi il seguente contenuto:a) si accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caioha subito a seguito di incidente stradale;b) si accerti che Tizio è assicurato per la responsabilità ci-vile con la società X;c) si condanni la società X, obbligata ai sensi della leggen. 990 del 1969, art. 18, al risarcimento dei danni subitida Caio. L’accertamento negativo in ordine ad una soladelle indicate circostanze importa che la domanda pro-posta nei confronti dell’assicuratore ai sensi della leggen. 990 del 1969, art. 18 debba essere respinta.Infatti, in assenza di un contratto di assicurazione nonsorge alcun obbligo di indennizzo a carico dell’assicura-tore convenuto e, del resto, una volta accertata l’esisten-za del rapporto assicurativo l’obbligo di indennizzo diret-to da parte dell’assicuratore non sussiste se non sussisteanche la responsabilità dell’assicurato in ordine al fattodannoso, o perché questo non si è verificato, o perchépur essendosi verificato non è connotato dalle caratteri-stiche attribuitegli, ovvero ancora perché, pur essendoconnotato da quelle caratteristiche, non comporta alcunobbligo risarcitorio.L’art. 18 propone una situazione di questo tipo. Vi è daun lato un soggetto che assume di essere rimasto dan-neggiato da un sinistro stradale, il quale agisce in giudi-zio e dall’altro l’assicuratore che la legge costituisce comeobbligato al risarcimento del danno cagionato dal pro-prio assicurato. Si hanno pertanto due soggetti danneg-giato ed assicuratore legittimati rispettivamente ad agire

e resistere nel giudizio in forza di un rapporto sostanzialeche prevede un’obbligazione del secondo direttamentenei confronti del primo.Senonché, come si è visto, l’accertamento dell’esistenzadel contratto di assicurazione e quello relativo alla re-sponsabilità dell’assicurato, i quali costituiscono oggettodella domanda proposta dal danneggiato nei confrontidell’assicuratore, riguardano rapporti rispetto ai quali latitolarità è del responsabile del danno. È, infatti, l’assicu-rato che ha, con la stipulazione del contratto, costituitoil rapporto assicurativo che, sebbene non perda la sua ca-ratteristica di contratto finalizzato a tenerlo indenne dalrischio del risarcimento dovuto a causa di una sua re-sponsabilità civile, rende, tuttavia, l’assicuratore diretta-mente responsabile nei confronti del danneggiato estra-neo al rapporto contrattuale; è d’altra parte il danneg-giante l’autore dell’illecito che fa sorgere il diritto al ri-sarcimento da parte del danneggiato nei confronti del-l’assicuratore.In una situazione di questo genere la legge n. 990 del1969, art. 23 ha previsto che nel giudizio promosso daldanneggiato nei confronti dell’assicuratore deve esserechiamato il responsabile del danno. Si tratta di un liti-sconsorzio che è necessario non solo perché è previstodalla legge, ma anche perché l’accertamento dei due rap-porti in cui è coinvolto il responsabile del danno non co-stituisce un mero presupposto per l’accoglimento delladomanda proposta dall’assicurato nei confronti dell’assi-curatore, ma costituisce invece uno degli oggetti delladomanda. Tale accertamento non può che essere unicoe uniforme per tutti e tre i soggetti coinvolti nel proces-so, non potendosi nel medesimo giudizio affermare, conriferimento alla domanda proposta dal danneggiato neiconfronti dell’assicuratore, che il rapporto assicurativo ela responsabilità dell’assicurato esistano nel rapporto tradue delle parti e non per l’altra, e ciò non soltanto in ba-se al principio di non contraddizione, ma soprattutto inbase alla struttura dell’azione così come disciplinata dal-la L. n. 990 del 1969, artt. 18 e 23, se si ha presente chel’obbligazione dell’assicuratore di pagare direttamentel’indennità al danneggiato, non nasce se non esiste ilrapporto assicurativo e se non è accertata la responsabi-lità dell’assicurato.Né è sostenibile che l’univoco accertamento che il giu-dice compie in ordine all’azione promossa dal danneg-giato nei confronti dell’assicuratore vale solo con riferi-mento al rapporto diretto che la legge istituisce tra i due.Si consideri come nessuno abbia mai dubitato che l’ac-certamento della esistenza del contratto di assicurazionee della responsabilità dell’assicurato, compiuto nel giudi-zio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicura-tore, valga anche nel rapporto tra assicuratore e respon-sabile del danno.Nessuno ha mai sostenuto, infatti, che l’assicuratorecondannato a risarcire il danno, il quale, in separato giu-dizio svolga l’azione di rivalsa nei confronti dell’assicura-to, assumendo di aver indennizzato il danneggiato pur

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avendo avuto contrattualmente il diritto di rifiutare o ri-durre la propria prestazione, possa vedersi opporre dal-l’assicurato che egli non era responsabile del danno eche il contratto di assicurazione non esisteva, quandoquesti fatti siano stati accertati nel giudizio promosso daldanneggiato ai sensi dell’art. 18, al quale abbia parteci-pato anche l’assicurato. Allo stesso modo l’assicuratoche faccia valere la responsabilità dell’assicuratore per-ché questi con il suo comportamento omissivo ha fattolievitare il danno oltre i limiti del massimale e, quindi,chiede di essere tenuto indenne dall’assicuratore, in baseal rapporto di assicurazione tra i due esistente, di quantoabbia dovuto pagare al danneggiato, non può vedersi op-porre dell’assicuratore che il rapporto accertato nel giu-dizio intercorso tra il danneggiato e l’assicuratore e la re-sponsabilità accertata nello stesso giudizio non esistono.Se ciò è vero nei rapporti tra assicurato ed assicuratore,deve essere pure vero nei rapporti tra danneggiato e assi-curato, con riferimento all’accertata responsabilità deldanno. Questa responsabilità una volta accertata o ne-gata nel giudizio promosso dal danneggiato nei confron-ti dell’assicuratore, in contraddittorio con l’assicurato, èaccertata o negata anche nei rapporti tra danneggiato eassicurato.Ma, come si è detto prima, nel giudizio tra danneggiatoed assicuratore l’esistenza del rapporto di assicurazione ela responsabilità dell’assicurato non possono essere con-temporaneamente affermate e negate. O esistono e ladomanda va accolta o non esistono ed allora la doman-da va respinta, aspetto questo ben colto da Cass. n.10693/98 laddove afferma, richiamando Cass. n.5793/82, che la controversia si svolge in maniera unita-ria tra i tre soggetti del rapporto processuale ed abbracciainscindibilmente sia il rapporto di danno, originato dalfatto illecito dell’assicurato, sia il rapporto assicurativo.La situazione non muta se il danneggiato, nel giudiziopromosso contro l’assicuratore ai sensi della legge n. 990del 1969, art. 18, oltre a chiedere la condanna dell’assi-curatore chiede anche la condanna del responsabile deldanno; in tale caso la domanda nei confronti di quest’ul-timo si articola nei seguenti punti:a) si accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caioha subito a seguito di incidente stradale;b) si condanni Tizio al risarcimento del danno subito daCaio. Ma la domanda sub a) proposta dal danneggiatonei confronti del responsabile del danno è la stessa do-manda sub a) proposta dal danneggiato nei confrontidell’assicuratore, attiene ad un medesimo fatto, imponel’accertamento delle medesime circostanze e delle mede-sime conseguenze giuridiche; ciò che la differenzia dal-l’altra è che alla domanda di accertamento della respon-sabilità si aggiunge quella di condanna del responsabileal risarcimento del danno. Ora, se come si è sopra chia-rito, l’accertamento della responsabilità dell’assicurato,nell’azione diretta promossa dal danneggiato nei con-fronti dell’assicuratore deve avvenire in modo unitarionei rapporti di tutte e tre le parti che partecipano al giu-

dizio, e tale accertamento vale anche nei rapporti tradanneggiato e responsabile, ne consegue che nell’azionepromossa dal danneggiato nei confronti del responsabileper ottenere da costui il risarcimento del danno, tale ac-certamento non può differire da quello svolto in sede diazione diretta.La suddetta ricostruzione dell’azione diretta e della sussi-stenza in essa di un litisconsorzio necessario che imponeoltre alla partecipazione al giudizio del responsabile deldanno anche una decisione unitaria nei confronti deisoggetti partecipanti allo stesso, giustifica come nell’ipo-tesi di azione proposta dal danneggiato nei confronti delsolo responsabile del danno non sia prevista la necessa-ria partecipazione al giudizio dell’assicuratore quale liti-sconsorte. Invero in quest’ultima ipotesi il rapporto so-stanziale dedotto in giudizio intercorre tra le parti cheformalmente vi partecipano e la situazione accertata inquel giudizio solo indirettamente influisce sul rapportoassicurativo, il quale potrebbe essere solo eventualmenteintrodotto mediante una chiamata in garanzia, ovveroessere introdotto con altro giudizio, ovvero ancora nonessere mai evocato.Se quanto sin qui detto è esatto ne discende:a) che va ribadita la giurisprudenza di questa Corte, risa-lente a Cass., sez. un., 20 luglio 1983, n. 5220, secondocui in tema di assicurazione obbligatoria della responsa-bilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a mo-tore o dei natanti, qualora il danneggiato, esercitandol’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, evochi ingiudizio quest’ultimo ed il responsabile assicurato (legge24 dicembre 1969, n. 990, artt. 18 e 23), e, chiedendo unrisarcimento eccedente i limiti del massimale di assicu-razione, proponga, oltre alla domanda nei confronti del-lo assicuratore, anche domanda contro l’assicurato, ledomande medesime si trovano in rapporto di connessio-ne e reciproca dipendenza, trovando presupposti comu-ni nell’accertamento della responsabilità risarcitoria del-l’assicurato e dell’entità del danno risarcibile, con la con-seguenza che l’impugnazione della sentenza per un capoattinente a detti presupposti comuni, da qualunque par-te ed in confronto di qualunque parte proposta, impedi-sce il passaggio in giudicato dell’intera pronuncia con ri-guardo a tutte le parti (v. di recente: Cass. n. 15039/04;Cass. n. 10125/03; Cass. n. 5877/99; Cass. n. 255/99;Cass. n. 9919/98);b) che, in materia di dichiarazioni rese dal responsabiledel danno, va respinta qualsiasi tesi che porti a conclu-dere che, nel giudizio instaurato ai sensi della legge n.990 del 1969, art. 18, e nel caso in cui sia stata propostasoltanto l’azione diretta e nel caso in cui sia stata propo-sta anche la domanda di condanna nei confronti del re-sponsabile del danno, in base a dette dichiarazioni si pos-sa pervenire ad un differenziato giudizio di responsabi-lità, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiatoda un lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro.È bene che questo punto sia affrontato e chiarito, a pre-scindere dal fatto se la dichiarazione del responsabile del

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danno sia contenuta o meno nel cosiddetto CID, con laprecisazione che quando si parla di dichiarazioni confes-sorie si fa riferimento a quelle dichiarazioni in cui sianoammessi fatti che, valutati alla stregua delle regole inmateria, possano portare alle affermazione della respon-sabilità del soggetto che le ha rese, e non quindi alle di-chiarazioni che consistano in mera assunzione di respon-sabilità o di colpa. Questo secondo punto deve, inoltre,essere affrontato in relazione all’ipotesi in cui la dichia-razione, ritenuta avente valore confessorio, sia resa dalresponsabile del danno che sia anche litisconsorte ne-cessario nel giudizio promosso dal danneggiato control’assicuratore, e cioè dal proprietario del veicolo assicura-to, secondo quella che è la quasi unanime giurispruden-za di questa Corte. Questa ipotesi si realizza prevalente-mente nel caso, ricorrente nella specie, in cui il condu-cente del mezzo si identifica con il proprietario del vei-colo.Sono estranee al presente giudizio invece le questioniche attengono alla confessione resa dal conducente delveicolo, il quale non sia anche proprietario del mezzo.Orbene una volta chiarito che nel giudizio promosso daldanneggiato nei confronti dell’assicuratore il responsabi-le del danno, che deve essere chiamato nel giudizio sindall’inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, eduna volta affermato che la decisione deve essere unifor-me per tutti e tre i soggetti ed è, inoltre, idonea a regola-re i rapporti tra gli stessi (non quindi solo il rapporto tradanneggiato ed assicuratore, ma anche quello tra que-st’ultimo ed il responsabile del danno, in ordine alla sus-sistenza del rapporto assicurativo, e tra il predetto re-sponsabile ed il danneggiato in ordine alla responsabilitàdel sinistro), appare consequenziale che dalla valutazio-ne delle dichiarazioni di colui che secondo il danneggia-to è il responsabile del danno, non possono derivareconclusioni differenziate in ordine ai rapporti sopra indi-viduati.La norma attraverso la quale si realizza questo effetto èquella di cui al terzo comma dell’art. 2733 c.c., secondola quale in caso di litisconsorzio necessario la confessio-ne resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamenteapprezzata dal giudice; questa norma costituisce una de-roga a ciò che dispone il secondo comma, secondo cui laconfessione fa piena prova contro chi l’ha fatta; infattiviene esclusa la funzione di piena prova della confessio-ne, la quale assume soltanto la natura di elemento che ilgiudice apprezza liberamente, e ciò non solo nei con-fronti di chi ha reso la dichiarazione ma anche nei con-fronti degli altri litisconsorti. La norma è applicabile allafattispecie in esame, poiché si verte in tema di accerta-mento di fatti, da effettuarsi in modo unitario, i quali,come si è in precedenza affermato, hanno efficacia e ri-levanza comuni per tutte e tre le parti che la legge indi-ca come litisconsorti necessari del giudizio promosso daldanneggiato ai sensi della legge n. 990 del 1969, art. 18.In applicazione dei suddetti principi perde rilievo la que-stione sollevata nel secondo motivo del ricorso relativa

al valore confessorio o meno da attribuire alle dichiara-zioni rese della parti nel modello CID.Non hanno rilievo neppure le questioni sollevate, sem-pre con il secondo motivo, con riferimento alle afferma-zioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui ilD.L. n. 857 del 1976, art. 5 non troverebbe applicazionenella specie essendo mancato uno “scontro” tra i dueveicoli e perché il modello CID sarebbe stato inviatocon ritardo all’assicuratore.Infatti, il Tribunale, nonostante abbia affermato che, perle suddette ragioni, il modulo CID non potesse avere va-lore di “presunzione legale” nei confronti dell’assicurato-re, ha finito poi per prendere in esame la ricostruzionedei fatti contenuta nel predetto modulo e con ampia edargomentata motivazione, basata su dati obiettivi e sulleosservazioni del consulente tecnico, ha, in accordo conquesti, concluso che i danni riscontrati sull’auto del C.non erano compatibili con la dinamica del sinistro cosìcome descritta dalle parti e che, ammesso che il sinistrosi fosse effettivamente verificato, lo stesso era comunqueavvenuto con modalità diverse da quelle descritte.Ora se si considera che, come da costante giurispruden-za di questa Corte di Cassazione, il modulo CID quandoè sottoscritto dai conducenti coinvolti e completo inogni sua parte, compresa la data, genera una presunzioneiuris tantum valevole nei confronti dell’assicuratore, e co-me tale superabile con prova contraria e che tale provapuò emergere non soltanto da un’altra presunzione, chefaccia ritenere che il fatto non si è verificato o si è verifi-cato con modalità diverse da quelle dichiarate, ma an-che da altre risultanze di causa, ad esempio da una con-sulenza tecnica d’ufficio, ne consegue che la sentenzaimpugnata si sottrae alle censure in diritto svolte dal ri-corrente, perché, nonostante le richiamate contrarie af-fermazioni, essa ha finito per applicare di fatto corretta-mente la norma che si assume violata.Le censure che, invece, si richiamano alla violazionedell’art. 360 c.p.c., n. 5 sono inammissibili, atteso che es-se si risolvono nella pretesa di una diversa valutazionedegli elementi di prova esaminati dal Tribunale, il cuiconvincimento è sostenuto da argomentazioni immunida vizi logici e, come rilevato nel paragrafo che precede,anche da vizi giuridici.Il ricorso è rigettato. Nulla per le spese in assenza di svol-gimento di attività difensiva delle parti intimate....Omissis...

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Dopo aver ripercorso i tratti salienti della motivazio-ne, la nota di commento precisa l’ambito di applica-zione e sviluppa le conseguenze applicative dellacondivisibile pronuncia in epigrafe, con cui le SezioniUnite sono intervenute su una questione di rilevanteinteresse sia teorico sia pratico, nella materia dell’a-zione diretta del danneggiato in un sinistro stradalenei confronti dell’impresa di assicurazione della r.c.a.

Il casoL’apprezzabile pronuncia in commento si impone al-

l’attenzione del lettore non soltanto perché interviene inun tema di notevolissima rilevanza pratica, ma anche (e -sembra doversi aggiungere - soprattutto) poiché affrontauna questione particolarmente delicata che si inserisce inun contesto assai più vasto e problematico.

La lunga, complessa ed articolata sentenza in com-mento trae origine da una fattispecie - al contrario - estre-mamente semplice, per non dire banale.

C. e S., entrambi sia proprietari sia conducenti deiveicoli coinvolti in un incidente stradale, compilano e sot-toscrivono il modulo di constatazione amichevole del sini-stro (c.d. “CID”), ricostruendone così la dinamica: mentreC. in un tratto di strada rettilineo sta sorpassando S., questiinizia una manovra di sorpasso del veicolo che lo precede,intersecando così la traiettoria del veicolo di C.

Approfittando della facoltà riconosciutagli dalla leggein materia di assicurazione obbligatoria della r.c.a., C. agi-sce direttamente in giudizio nei confronti oltre che di S.anche della sua compagnia assicuratrice, chiedendo la lorocondanna in via solidale all’integrale risarcimento dei dan-ni subiti.

Nonostante la ricordata ricostruzione dei fatti conte-nuta nel CID e pur nella contumacia di S., la domanda di C.è accolta soltanto in parte dal giudice di primo grado (che ri-tiene sussistere un concorso di colpa tra C. ed S., specifica-mente e rispettivamente, nella misura del 20 e dell’80%) edè integralmente rigettata - in accoglimento dell’impugna-zione proposta dalla compagnia assicurativa - da quello diappello. Questi, in particolare, rilevato che il modulo CIDnon può costituire prova nei confronti della compagnia as-sicuratrice, valutato comunque che la ricostruzione conte-nuta nel CID si pone in insanabile contrasto sia con la do-cumentazione fotografica acquisita sia con le risultanze del-la c.t.u. basata sulla circostanza che l’auto di S. non presen-ta tracce di collisione, conclude che il sinistro si è svolto di-versamente da quanto dichiarato da C. e S. nel CID e daquanto affermato da C. nella sua domanda giudiziale, sicchérigetta la domanda di C. per non aver assolto l’onere dellaprova del nesso di causalità tra i danni subiti ed il sinistro.

Avverso questa decisione C. propone ricorso per cas-

sazione lamentando diversi vizi, tra i quali - con estremasintesi - possono segnalarsi le violazioni, strettamente lega-te tra loro: a) dell’art. 112 c.p.c., per aver il giudice d’appel-lo in mancanza dell’impugnazione di S. rigettato la doman-da (sia pure soltanto parzialmente) già accolta dal giudicedi primo grado nei confronti di questi; b) dell’art. 2735 c.c.,per essere stata disattesa l’efficacia di piena prova della con-fessione stragiudiziale resa da S. attraverso la sottoscrizionedel modulo CID, dal quale risultava che si era verificata lacollisione tra i due veicoli.

Il concorso dei principi di unicità dell’accertamento del sinistro e di efficacia diversificata del modulo CID

La causa, inizialmente assegnata ad una sezionesemplice della S.C., è poi rimessa alle Sezioni Unite, dalmomento che i motivi sopra succintamente riepilogatipongono “una questione di massima di particolare im-portanza”.

In via preliminare, vale anticipare che i termini dellaquestione si presentano immutati anche in seguito al recen-te “tsunami legislativo” (1) che si è abbattuto sull’intero or-dinamento giuridico italiano senza risparmiare neppurequesta specifica materia. Ratione temporis, infatti, sono appli-cabili le norme di cui agli art. 18 e 23 della l. 24 dicembre1969, n. 990, come modificati dal d.l. 23 dicembre 1976, n.857, convertito con modificazioni in l. 26 febbraio 1977, n.39, nonché dall’art. 5 del d.l. ult. cit., le quali risultano orariprodotte con formulazioni sostanzialmente identiche, ri-spettivamente, negli art. 144 e 143, d.lgs. 7 settembre 2005,n. 209, codice delle assicurazioni private (2). Irrilevanti,inoltre, per la risoluzione della particolare questione affron-tata dalla sentenza in commento sono le innovazioni appor-tate dalla legge 21 febbraio 2006, n. 102, Disposizioni in ma-teria di conseguenze derivanti da incidenti stradali (3).

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IL COMMENTOdi Giuseppe Finocchiaro

Note:

(1) Per questa efficace espressione, cfr., Costantino, Considerazioni impoli-tiche sulla giustizia civile, in Questione Giustizia, 2005, 1167 e ss.; Id., Rasse-gna di legislazione (1° giugno-30 settembre 2005), in Riv. dir. proc., 2005,1282.

(2) In materia, in dottrina si segnalano: Gentile, Assicurazione obbligatoriadei veicoli e dei natanti, Milano, 1973; Castellano-Cottino-De Cupis-Fa-nelli-Partesotti-Scalfi-Vocino, L’assicurazione dei veicoli a motore, a cura diGenovese, Padova, 1977; Giannini e Pogliani, L’assicurazione obbligatoriadei veicoli e dei natanti, Milano, 1994.A margine del recente d.lgs. cit. nel testo, si segnalano: Bin, Codice delleassicurazioni, Milano, 2006; Amorosino e Desiderio, Il nuovo codice delleassicurazioni, Milano, 2006; AA.VV. (a cura di Bin), Commentario al codi-ce delle assicurazioni, Padova, 2006.

(3) Per un primo commento a queste norme, specie alle novità di caratte-re processuale e alla controversa previsione dell’applicabilità delle normedel rito del lavoro alle “cause relative al risarcimento dei danni per morteo lesioni, conseguenti ad incidenti stradali”, ed alla problematica applica-

(segue)

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Con specifico riferimento al merito della questionedecisa, come ricordato in motivazione, la giurisprudenza dilegittimità ha da tempo elaborato in materia due principitra loro concorrenti, secondo cui:

1) da un lato, poiché la legge espressamente stabilisceche nel giudizio in cui è esercitata l’azione diretta nei con-fronti della compagnia assicuratrice della r.c.a. “deve esserechiamato nel processo anche il responsabile del danno” (art. 23,legge n. 990 del 1969; di tenore assai simile è ora l’art. 144,comma 3, codice delle assicurazioni private), sussiste un’i-potesi di litisconsorzio necessario, sicché l’impugnazionedella sentenza per un capo attinente alla sussistenza dellaresponsabilità risarcitoria e alla quantificazione dell’entitàdel danno risarcibile, da qualunque parte ed in confrontodi qualunque parte proposta, impedisce il passaggio in giu-dicato dell’intera pronunzia con riguardo a tutte le parti(4);

2) dall’altro lato, poiché la legge precisamente preve-de che “Quando il modulo sia firmato congiuntamente daentrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, sal-vo prova contraria da parte dell’assicuratore, che il sinistro sisia verificato nelle circostanze, con le modalità e con leconseguenze risultanti dal modulo stesso” (art. 5, d.l. n. 857del 1976; di tenore pressoché identico è il nuovo art. 143,comma 2, codice delle assicurazioni private), il CID sotto-scritto da entrambe le persone coinvolte nel sinistro spiegaun’efficacia probatoria diversificata nei confronti di questee della compagnia assicurativa, rispettivamente, di pienaprova ex art. 2735 c.c., quale confessione stragiudiziale, e dipresunzione semplice fino a prova contraria (5).

I due ricordati principi, se ordinariamente possonoconvivere, nella fattispecie in esame, invece, finiscono conil collidere e con l’escludersi reciprocamente. In particola-re, vale rilevare che l’applicazione del primo, in forza delquale l’accertamento dei fatti relativi alla dinamica dell’in-cidente deve essere identico sia per il responsabile del sini-stro sia per la compagnia di assicurazione (oltre che per ildanneggiato) contraddice il secondo che prevede che ilmedesimo mezzo di prova possa avere efficacia differentetra le diverse parti del processo.

Il superamento del principio dell’efficaciaprobatoria diversificata del modulo CID

Con l’articolata pronuncia in commento le SezioniUnite hanno risolto la “questione di massima di particola-re importanza”, superando il riferito principio che ricono-sceva un’efficacia probatoria diversificata al modulo CIDsottoscritto da entrambi i conducenti coinvolti e conte-stualmente confermando il principio che impone la neces-sità che l’accertamento sia unico sia per il responsabile delsinistro, sia per la compagnia di assicurazione. Anzi, esami-nando la motivazione, deve segnalarsi come la stessa siapressoché interamente dedicata ad attestare l’esattezza diquesto, dal quale viene fatta discendere in modo automati-co la dimostrazione di quello.

Prima di considerare con specifica attenzione la porta-ta nonché le conseguenze della soluzione cui è pervenuta la

S.C., vale cercare di ripercorrere - ancorché in estrema sin-tesi - le motivazioni adottate. Queste, in termini assoluta-mente schematici, possono essere esposte come segue:

1. chi abbia subito un danno in un incidente derivan-te dalla circolazione di veicoli o natanti è titolare: 1.a. sia diun diritto al risarcimento del danno per fatto illecito neiconfronti del responsabile del sinistro; 1.b. sia di un dirittoa conseguire direttamente l’indennità derivante dalla ob-bligatoria stipulazione del contratto di assicurazione per lar.c.a. nei confronti della compagnia assicurativa;

2. i due indicati diritti soggettivi possono essere tenutidistinti - come già accennato - sia per la fonte, sia per la mi-sura, sia per il soggetto passivo, sia per i fatti costitutivi. Inparticolare: 2.a. il diritto extracontrattuale (ex art. 2043 e2054 c.c.) al risarcimento integrale del danno cagionatonei confronti del responsabile del sinistro si fonda sui se-guenti fatti costitutivi: I. sinistro stradale, II. danno, III.nesso di causalità; 2.b. diversamente, il diritto (ex art. 18,legge n. 990 del 1969, ed ora 144, comma 1, Codice delleassicurazioni private), di origine contrattuale, a conseguire

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Note:

(segue nota 3)

bilità ai processi pendenti sia consentito rinviare, rispettivamente, ai mieiIncidenti stradali: rito del lavoro per velocizzare gli indennizzi. - Nasce l’ennesi-mo processo speciale, in Guida dir., 2006, f. 13, 35 e ss. e Liti pendenti per le-sioni da incidenti stradali: a Milano non passa la conversione del rito. Un’inter-pretazione in piena armonia con il principio del giusto processo, ivi, f. 16, 119.

(4) A partire dalla ormai risalente Cass., sez. un., 29 luglio 1983, n. 5220(richiamata in motivazione, ed edita in Riv. giur. circol. trasp., 1984, 60,nonché in Assicurazioni, 1983, II, 238, con nota di Geri, Una parola defi-nitiva in tema di massimale, svalutazione e mora dell’assicuratore: chiusura deicontrasti?), la giurisprudenza di legittimità è assolutamente pacifica: tra lepronunce più recenti, cfr.: Cass. 29 novembre 2005, n. 26041; Cass. 27 lu-glio 2005, n. 15675; Cass. 5 agosto 2004, n. 15039; Cass. 25 giugno 2003,n. 10125; Cass. 14 giugno 1999, n. 5877; Cass. 12 gennaio 1999, n. 255,ove l’ulteriore precisazione che tale impugnazione, inoltre, legittima leparti formalmente estranee all’impugnazione, ma contraddittori necessa-ri anche nel nuovo giudizio, ad impugnare a loro volta la sentenza mede-sima nei confronti di qualunque altra parte, a tutela dei propri collegatiinteressi, nelle forme e con gli effetti dell’impugnazione incidentale tardi-va; Cass. 7 ottobre 1998, n. 9919 (in Foro it., 1998, I, 3512).In termini analoghi, inoltre, cfr. Cass. 27 ottobre 1998, n. 10693 (ricor-data in motivazione ed edita in Riv. giur. circol. trasp., 1999, 327, nonchéin Assicurazioni, 1999, II, 2, 55, ed in Arch. giur. circol. e sinistri, 1998,1117), che ha deciso che nei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento deidanni causato dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, quan-do il danneggiato proponga azione diretta nei confronti dell’assicuratore,si instaura un rapporto processuale trilatero ed inscindibile a danneggiato,assicurato ed assicuratore, con la conseguenza che la sentenza la quale de-cide sull’appello proposto dall’assicuratore della r.c.a. spiega i propri effet-ti anche nei confronti dell’assicurato, sebbene quest’ultimo non abbiaproposto appello incidentale.

(5) Nel senso di cui nel testo appare orientata la prevalente giurispruden-za della S.C.: Cass. 1° luglio 2002, n. 9548; Cass. 3 aprile 1998, n. 3462,in Arch. giur. circol. e sinistri, 1998, 873; Cass. 12 febbraio 1998, n. 1471,ivi, 333; Cass. 16 aprile 1997, n. 3276, in Giur. it., 1998, 222.In senso conforme, ancorché con riferimento anziché al modulo CID aqualsiasi dichiarazione confessoria resa dal responsabile del danno nei giu-dizi risarcitori con esercizio dell’azione diretta nei confronti della compa-gnia assicurativa, cfr.: Cass. 23 febbraio 2004, n. 3544, in Assicurazioni,2004, II, 164, con nota su altra parte di Mancuso, Assicurazione cumulati-va e coassicurazione: criteri discretivi e profili applicativi; Cass. 14 febbraio2003, n. 2222; Cass. 23 aprile 2001, n. 5973.

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direttamente dalla compagnia assicurativa l’indennità neilimiti del massimale consensualmente convenuto tra assi-curato e compagnia assicurativa (6), ha come fatti costitu-tivi: I. la sussistenza del diritto extracontrattuale nei con-fronti del responsabile del sinistro; II. la conclusione delcontratto di assicurazione per la r.c.a. del veicolo o natantecoinvolto nel sinistro;

3. sebbene diversi, questi due diritti soggettivi, peral-tro, devono essere necessariamente accertati in modo uni-voco a ragione - come evidenziato nella sentenza in com-mento - della circostanza che il diritto al risarcimento deldanno costituisce “presupposto” (o più correttamente co-me si è appena cercato di spiegare, a propria volta, “fattocostitutivo”) del diritto all’indennità.

Immediati corollari di questa conclusione sono i dueprincipi di diritto enunciati nella pronuncia, secondo cui:

– da un lato, l’impugnazione proposta dalla compa-gnia assicurativa impedisce il passaggio in giudicato dellasentenza anche nei confronti del responsabile del sinistro;

– dall’altro, le risultanze del CID, anche se aventi con-tenuto confessorio, sono sempre liberamente valutabili dalgiudice in quanto rese da un litisconsorte necessario (7).

Delimitazione dell’ambito applicativo dei principi enunciati dalla sentenza

Volendo valutare la motivazione sopra riassunta, puòosservarsi che la medesima è rivolta ad individuare la ratiodell’esplicita previsione della legge in materia di assicura-zione della R.c.a. del litisconsorzio necessario tra danneg-giato, responsabile del sinistro e compagnia assicurativa,nel caso di azione diretta del primo nei confronti di que-st’ultima.

In sostanza, l’argomento adottato secondo cui la sussi-stenza del diritto del risarcimento del danno costituisce“presupposto” (o, rectius, “fatto costitutivo”) del diritto al-l’indennità sembra poter essere riportato nell’alveo di quel-le indicazioni dottrinali secondo cui, pur in difetto di un’e-spressa previsione legislativa, ricorre un’ipotesi di litiscon-sorzio necessario ove sussista un rapporto di pregiudizialità trale situazioni giuridiche aventi titolari differenti (8).

Vale sottolineare che la fattispecie in esame, invece,sebbene presenti indubbi elementi di somiglianza, non de-ve essere confusa con l’altra ipotesi in cui la dottrina (9) ri-tiene applicabili le norme in materia di litisconsorzio ne-cessario e cioè per essere in presenza di un caso di legitti-mazione straordinaria, come nel caso paradigmatico dell’a-zione surrogatoria ex art. 2900 c.c. A questo specifico ri-guardo, infatti, deve rilevarsi che il danneggiato non si so-stituisce esattamente nella medesima situazione giuridicadi cui è titolare il responsabile del sinistro nei confronti del-l’impresa assicurativa. Quest’ultima, in particolare, comeespressamente stabilito sia dall’art. 18, comma 2, legge n.990 del 1969, sia dall’art. 144, comma 2, codice delle assi-curazioni private, “Per l’intero massimale di polizza … nonpuò opporre al danneggiato … eccezioni derivanti dal con-tratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributodell’assicurato al risarcimento del danno … ha tuttavia di-

ritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbeavuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la pro-pria prestazione” (10).

Conseguenza pratica di grande rilievo di quanto pre-cede, ad esempio, si ha, come ha avuto modo di decidere inpiù occasioni la S.C., nell’ipotesi di sinistro cagionato condolo: il contratto di assicurazione della responsabilità civi-le, ex art. 1917, comma 1, c.c., non copre i danni provoca-ti con dolo, ciò non di meno, la compagnia assicuratricedella r.c.a. convenuta in giudizio direttamente dal danneg-giato non può ammissibilmente eccepirgli tale circostanza,potendo, invece, soltanto eventualmente agire in via di ri-valsa nei confronti dell’assicurato (11).

La compiuta precisazione, secondo cui attraverso la

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GIURISPRUDENZA•CIRCOLAZIONE STRADALE

Note:

(6) A questo specifico riguardo, peraltro, la S.C. ha avuto modo di chia-rire che l’assicuratore per la responsabilità civile obbligatoria derivantedalla circolazione dei veicoli a motore che voglia contenere l’obbligazio-ne di risarcimento nei limiti del massimale di polizza ha l’onere di indica-re quali siano detti limiti e fornire la prova di ciò a mezzo della relativa po-lizza (Cass. 5 dicembre 2003, n. 18656, in Giust. civ., 2004, I, 2054).

(7) Nello stesso senso, peraltro, si era già recentemente espressa Cass. 18maggio 2005, n. 10385 (in Arch. giur. circol. e sinistri, 2006, 157); nonchéin precedenza Cass. 14 gennaio 1987, n. 198 (in Arch. giur. circol. e sini-stri, 1987, 289, nonché in Assicurazioni, 1987, II, 2, 57); Cass. 24 novem-bre 1981, n. 6248 (in Arch. civ., 1982, 242, nonché in Arch. giur. circol. esinistri, 1982, 184).

(8) Così, in generale, cfr.: Luiso, Principio del contraddittorio ed efficacia del-la sentenza verso terzi, Milano 1981, 62 e ss.; Frasca, Note sui presupposti dellitisconsorzio necessario, in Riv. dir. proc., 1999, 758.In termini simili, peraltro, con specifico riferimento alla previsione di li-tisconsorzio stabilito positivamente dall’art. 23, l. n. 990 del 1969, si ri-cordano Tarzia, Aspetti processuali dell’assicurazione obbligatoria della respon-sabilità civile automobilistica, in Riv. dir. proc., 1974, 35 e ss. (secondo cui intale fattispecie le due cause sono legate tra loro da un nesso di pregiudi-zialità-dipendenza); Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio ne-cessario, Napoli, 1979, 439-440; Id., Litisconsorzio (dir. proc. civ.), in Enc.Giur., vol. XIX, Roma, 1990, 9-10.

(9) Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, in Commentario del codice di pro-cedura civile, diretto da Allorio, I, 2, Torino 1973, sub art. 102, 1111; To-mei, Alcuni rilievi in tema di litisconsorzio necessario, in Riv. dir. proc., 1980,671; Costantino, op. ult. cit., 10; Zanuttigh, Litisconsorzio, in Dig. IV, disc.priv., sez. civ., vol. XI, Torino 1994, 50; Frasca, op. cit., 753 e ss.

(10) In materia, cfr., Criscuolo, Le eccezioni dell’assicuratore in materia diR.C. Auto, in questa Rivista, 1997, 404; Id., Rivalse, regressi, surroghe emanleve in materia di R.C. Auto, ivi, 1998, 972; Rossetti, Le azioni di surro-gazione e di rivalsa dell’assicuratore, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 11; deStrobel, Identificazione dell’assicurato, soggetto passivo dell’azione di rivalsadell’assicuratore ex art. 18 della l. n. 990/1969, in Dir. econ. ass., 1999, 251.

(11) Così Cass. 21 giugno 2004, n. 11471; Cass. 18 febbraio 1997, n.1502, in Foro it., 1997, I, 2144, nonché in Giur. it., 1998, 655, in Arch.giur. circol. e sinistri, 1997, 500, ed in Resp. civ. e prev., 1998, 140, con no-ta di Colaiacomo, Il problema del dolo nell’assicurazione obbligatoria R.C.A. e l’eterointegrazione normativa del contratto, ed ivi, 1082, con nota di Ric-ciardello, L’assicurazione del fatto doloso; Cass. 15 maggio 1982 n. 3038, inGiust. civ., 1982, I, 2341, nonché in Foro it., 1982, I, 2196, in Resp. civ. eprev., 1982, 571, ed ivi, 591, con nota di Rigolino Barberis, Sinistro automo-bilistico doloso e assicurazione, ed in Assicurazioni, 1983, II, 113, con nota diDe Marco, La garanzia per i “fatti dolosi” nell’assicurazione della R.C. auto.Nello stesso senso, inoltre, ancorché in relazione alla domanda propostanei confronti del Fondo di garanzia per le vittime della strada, cfr.: Cass.17 maggio 1999 n. 4798, in Danno e resp., 1999, 1001, con nota di Sica,Danno derivante da fatto doloso e risarcibilità a carico del fondo di garanzia.

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c.d. azione diretta il danneggiato fa valere nei confrontidell’impresa di assicurazioni una situazione giuridica diver-sa da quella di cui l’assicurato potrebbe chiedere tutela inun separato giudizio per essere tenuto indenne delle con-seguenze sfavorevoli derivanti da un’eventuale condanna,sembra imporre la conclusione che le norme in materia dilitisconsorzio risultano applicabili esclusivamente in pre-senza di una domanda in tal senso del danneggiato. Diconseguenza, non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio neces-sario:

– né ove il danneggiato abbia agito in giudizio soltan-to nei confronti del responsabile del sinistro chiedendo ilrisarcimento del danno (12),

– né qualora, secondo quanto previsto dall’art. 1917,comma 4, c.p.c., l’assicurato, convenuto in giudizio daldanneggiato, chiami successivamente in causa l’impresa diassicurazioni (salva, peraltro, la possibilità che, in seguitoalla chiamata in garanzia ex art. 106 e 269 c.p.c., il danneg-giato espressamente e tempestivamente formuli domandadi c.d. “azione diretta”).

Se il danneggiato non si avvale della facoltà ricono-sciutagli dalla legge di rivolgersi direttamente nei confron-ti dell’impresa assicurativa per ottenere tutela, dunque, èpossibile che si svolgano due distinti processi tra danneg-giato e danneggiante e tra questi e compagnia assicuratrice,che possono concludersi con accertamenti contrastanti traloro, senza che ciò susciti nessuno scandalo a ragione dei li-miti soggettivi del giudicato sostanziale imposti dall’art.2909 c.c.

Vale precisare, peraltro, che ove venga esercitata la“azione diretta”, il litisconsorzio necessario sussiste esclusi-vamente in relazione all’accertamento degli indicati fatticostitutivi dei due diversi diritti di cui il danneggiato è tito-lare nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicura-trice. Qualora quest’ultima - ancorché nel medesimo pro-cesso - eccepisca fatti in forza dei quali contrattualmenteavrebbe “diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”,i medesimi non debbono essere accertati nel contradditto-rio con il danneggiato, potendo, pertanto, il giudice, ex art.279, n. 5, c.p.c., perfino, pronunciare sentenza in ordine al-le domande proposte dal danneggiato e disporre la separa-zione della causa relativa all’azione di rivalsa tra danneg-giante e compagnia assicurativa.

Da ultimo, vale segnalare che espressamente esclusodall’esame dalla decisione in commento delle Sezioni Uni-te è l’ipotesi in cui il conducente e il proprietario del veico-lo che ha cagionato i danni non coincidano, ma siano duepersone distinte. Come ben noto, in relazione a questa ipo-tesi, il danneggiato, oltre che esercitare l’azione diretta neiconfronti della compagnia assicuratrice, può chiedere il ri-sarcimento del danno sia al conducente sia al proprietariodel veicolo (o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirentecon riservato dominio), il quale, ex art. 2054, comma 3,c.c., è responsabile in solido, salva la prova che la circola-zione sia avvenuta contro la sua volontà.

In questo caso, secondo la consolidata e pressochéuniforme giurisprudenza della S.C., litisconsorte necessario

è soltanto il proprietario del veicolo e non anche il condu-cente (13).

Tale orientamento giurisprudenziale, assai criticatodalla maggioritaria dottrina(14), peraltro, continua ad esse-re compatibile con l’orientamento espresso nella decisionein commento, atteso che trova il proprio fondamento nel-la considerazione che la chiamata in causa del “responsabi-le del danno” integra una deroga al principio della facolta-tività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali,giustificata dall’esigenza di rafforzare la posizione processua-le dell’assicuratore al fine dell’opponibilità all’assicuratodell’accertamento della responsabilità, e che tale deroga, indifetto di espressa previsione, non può essere estesa ad altrieventuali responsabili, quale il conducente, la cui parteci-pazione al giudizio potrebbe perseguire solo scopi di naturaprobatoria, estranei all’istituto del litisconsorzio necessario.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061132

GIURISPRUDENZA•CIRCOLAZIONE STRADALE

Note:

(12) Nello stesso senso, in giurisprudenza, cfr., da ultimo, Cass. 29 aprile2005, n. 8991; Cass. 1° agosto 2000, n. 10042; Cass. 25 luglio 2000, n.9744.

(13) Cfr.: da ultimo, Cass. 27 luglio 2005, n. 15675; Cass. 27 febbraio2002, n. 2911; Cass. 23 febbraio 2000, n. 2047, in Resp. civ. e prev., 2001,140, con nota di De Berardinis, Le perplessità su di una consolidata interpre-tazione giurisprudenziale: gli artt. 18 e 23 legge n. 990/69; Cass. 25 settembre1998, n. 9592, in Arch. giur. circol. e sinistri, 1998, 1128; Cass. 24 febbraio1998, n. 1976, in Foro it., 1998, I, 3512, nonché in Arch. giur. circol. e si-nistri, 1998, 571; Cass. 6 novembre 1996, n. 9647, in Giur. it., 1997, I, 1,882, con nota di Ronco, nonché in Resp. civ. e prev., 1997, 405, con notadi De Berardinis, Il “responsabile del danno” nell’azione diretta contro l’assi-curatore della r.c.a.: profili applicativi, ed in Arch. giur. circol. e sinistri, 1997,244; Cass. 17 aprile 1994, n. 3629, in Assicurazioni, 1997, II, 2, 17, in Ar-ch. giur. circol. e sinistri, 1996, 623, ed in Riv. giur. circ. trasp., 1996, 321;Cass. 20 marzo 1995, n. 3215, in Giust. civ., 1995, I, 2432, nonché inGiur. it., 1995, I, 1, 1406, in Arch. giur. circol. e sinistri, 1995, 701; Cass.,sez. un., 11 luglio 1984, n. 4055, in Giust. civ., 1985, I, 825, con nota diSassani, Il responsabile del danno nel procedimento contro l’assicuratore dellaresponsabilità civile nella circolazione dei veicoli, nonché in Giur. it., 1985, I,1, 140, con nota di Viale, Azione diretta contro l’assicuratore e “responsabiledel danno”, in Foro it., 1984, I, 2466, in Riv. giur. circ. trasp., 1985, 47, inArch. civ., 1985, 1141, in Resp. civ. prev., 1984, 647, ed in Assicurazioni,1985, II, 2, 31, con note di Geri, Un litisconsorzio necessario controverso etormentato (art. 23, legge 24 dicembre 1969, n. 990), ed ivi, 165, con notadi Ippolito, Il responsabile del danno tra ermetismo giuridico e processo kafkia-no (artt. 18 e 23, legge 990/69).Contra, a quanto consta, si rinviene unicamente Cass. 10 giugno 1992, n.7130, in Giur. it., 1993, I, 1, 1991, con nota di Caprio, Art. 23 legge 24 di-cembre 1969, n. 990: una inversione di tendenza, nonché in Arch. giur. cir-col. e sinistri, 1992, 815, in Assicurazioni, 1993, II, 2, 98, ed in Resp. civ. eprev., 1993, 94, con nota di Grisenti Bruna, Ancora sull’individuazione delresponsabile del danno quale litisconsorte necessario dell’assicuratore obbligato-rio della r.c. auto.

(14) Tra gli altri, cfr.: Sassani, op. ult. cit.; Geri, op. cit., Grisenti Bruna, op.cit.; De Berardinis, op. cit.; nonché Rossetti, Le azioni di surrogazione e di ri-valsa dell’assicuratore, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 19; Giannini e Poglia-ni, op. cit., 214; Franco, Infortunistica stradale, Milano, 1996, 504.

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1133

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI

Antitrust

Tutela antitrust del consumatore finale CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, sez. I civ., 9 febbraio 2006, n. 374Pres. Marena - Est. Iacobellis - N. c. Compagnia assicuratrice Unipol S.p.a.

Concorrenza - Intesa - Azione risarcitoria - Consumatore finale - Danno - Nesso causale - Prova.

(legge 10 ottobre 1990, n. 287, Disciplina della concorrenza e del mercato, artt. 2 e 33, comma 2)

Il comportamento anticoncorrenziale accertato e sanzionato dall’Autorità garante della concorrenza edel mercato con il provvedimento n. 8546 del 2000 non comporta ex se l’affermazione di responsabi-lità delle compagnie di assicurazione in ordine al lamentato incremento dei premi di polizza, doven-dosi accertare l’incidenza causale del comportamento medesimo nella produzione del danno.

Svolgimento del processo...Omissis...

Motivi della decisioneVa preliminarmente osservato che le azioni di nullità edi risarcimento di cui all’art. 33, 2° co. della legge 10 ot-tobre 1990, n. 287, costituiscono mezzi di tutela autono-mi e concorrenti rispetto al procedimento amministrati-vo davanti all’Autorità Garante, procedimento aventecarattere eventuale e che si conclude con provvedimen-to soggetto al controllo giurisdizionale del giudice ammi-nistrativo (art. 33, I c., legge cit.). L’autonomia di cui so-pra comporta che l’accertamento - da parte dell’AGCM- circa l’esistenza di una intesa restrittiva non è pregiudi-ziale all’azione di cui all’art. 33, 2° comma legge 287/90,e, con riferimento all’art. 2935 c.c., non costituisce im-pedimento di diritto all’esercizio dell’azione risarcitoria.La stretta connessione tra l’azione di nullità dell’intesa el’azione risarcitoria di cui all’art. 33, 2° co. legge cit., poi,non esclude che tale seconda domanda vada esaminataalla luce degli artt. 2043 e 2697 c.c., con conseguenteonere per l’attore, in ogni caso, di comprovare l’attivitàlesiva dell’altrui diritto, il danno ed il nesso di causalitàfra la condotta antigiuridica e l’evento.Nel merito l’Autorità Garante della Concorrenza e delMercato, con il provvedimento del 28 luglio 2000, n.8546, ha accertato e sanzionato la complessa ed articola-ta intesa orizzontale posta in essere dalla società conve-nuta, unitamente ad altre imprese concorrenti, nel pe-riodo 1994-1997, nella forma di una pratica concordataconsistente nello scambio sistematico di informazionicommerciali sensibili. L’impugnativa avverso tali statui-zioni, relativamente alla società convenuta, è stata riget-tata dal giudice amministrativo (Tar Lazio - sent. 6139del 5 luglio 2001 - e Consiglio di Stato - sent. 2199 del26 febbraio-23 aprile 2002).

Il comportamento così accertato e sanzionato non com-porta ex se l’affermazione di responsabilità della societàassicuratrice in ordine alla pretesa attorea, dovendo ac-certarsi l’incidenza causale del comportamento medesi-mo nella produzione del danno assunto: il danno infattinon si pone, infatti, quale conseguenza automatica diogni comportamento illegittimo.Orbene l’istruttoria compiuta dall’AGCM ha riguardatoil verificare se lo scambio di informazioni tra imprese di assi-curazione, in ragione della natura e della attualità delle infor-mazioni, della immediata identificabilità delle imprese, non-ché della struttura del mercato, unitamente alla realizzazionedi incontri sistematici tra le parti, potesse essere suscettibile dideterminare una violazione dell’articolo 2 della legge n.287/90 (49); e tale violazione è stata affermata a seguitodell’accertamento dello scambio di informazioni tra im-prese di assicurazione, realizzato attraverso la società diconsulenza RC Log, senza alcun accertamento in ordineagli effetti dell’intesa.Ciò risulta ancorpiù evidenziato dal Consiglio di Statoladdove afferma che: la fattispecie sanzionata è costituita dalsolo scambio di informazioni, ritenuto di per sé restrittivo del-la concorrenza (7.2.1.); che la intesa è stata sanzionata peril solo oggetto anticoncorrenziale e non anche per gli effetticoncreti, risultando quindi del tutto irrilevanti i riflessi dellapratica sulle tariffe applicate (7.2.5); che l’Autorità non hain alcun modo esteso la sua indagine agli effetti concreti dellapratica contestata, ma si è limitata a ritenere la sussistenza dieffetti potenzialmente dannosi per la concorrenza. L’Autoritàha quindi dimostrato non la concreta utilizzazione dei dati daparte di tutte le imprese, ma la utilizzabilità dei dati scambiatia prescindere dall’effettivo uso (7.4.3).Va altresì rilevato che l’ISVAP, nel corso del procedi-mento amministrativo, abbia segnalato all’AGCM chel’elevato aumento dei premi si sia accompagnato ad unaumento dei costi particolarmente sostenuto; che la

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stessa AGCM afferma come le imprese non sono state ingrado di controllare neppure i propri costi di produzione. Ciòappare con tutta evidenza nel caso degli oneri di acquisizionee incasso, nonché delle spese di amministrazione (77); e chela voce di costo che, come evidenziato anche dall’ISVAP, haregistrato i maggiori aumenti in Italia è quella relativa al ri-sarcimento dei sinistri con danno alle cose, rappresentati pre-valentemente dai costi delle riparazioni delle autovetture(78).La circostanza che poi l’intesa abbia riguardato solo al-cune imprese assicurative porta altresì ad escludere chela collusione “a monte” abbia determinato “per l’attoreuna contrattazione che non ammette alternative”, po-tendo il consumatore comunque stipulare altra polizza

per la R.C. auto con società diverse da quelle sanzionate.L’adesione del consumatore al premio proposto dalla so-cietà convenuta costituisce ulteriore elemento atto adescludere l’efficienza causale dell’intesa sanzionata neldeterminare l’assunto danno.Sulla sola base delle decisioni prodotte dall’attore a fon-damento della domanda non può pertanto ritenersi chela partecipazione della società convenuta all’intesa san-zionata sia stata causa immediata e diretta dell’incre-mento del premio assicurativo per la r.c. corrisposto dal-l’attore alla società convenuta dal 5 dicembre 1994 al 5dicembre 1997, con conseguente rigetto della domanda.Sussistono giusti motivi per dichiarare interamentecompensate tra le parti le spese del grado.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061134

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI

IL COMMENTOdi Stefano Bastianon

La sentenza della Corte di appello di Napoli in com-mento esclude che da un comportamento accertatoe sanzionato dall’Autorità garante a causa del suooggetto anticoncorrenziale possa farsi discendereautomaticamente il diritto dei consumatori finaliad ottenere il risarcimento dei danni in difetto diprova circa l’esistenza del nesso causale tra la con-dotta illecita a monte e i contratti a valle. Ad avvi-so dell’autore, tuttavia, la soluzione accolta, pur inlinea con altre pronunce di merito, sembra non co-gliere pienamente le peculiarità del caso di specienei termini illustrati dalla sentenza delle SezioniUnite n. 2207/2005.

1. In questi ultimi anni il tema del risarcimento deidanni antitrust, particolare espressione di quello che si è so-liti chiamare private enforcement del diritto della concorren-za, ha catalizzato l’attenzione generale della dottrina la qua-le, soprattutto negli ultimi anni, ha avuto la possibilità didialogare con la giurisprudenza, di merito e di legittimità,dando vita ad un dibattito, ancora agli inizi, ma già ricco edinteressante (1). Anche sul versante comunitario il temadelle azioni di risarcimento dei danni per violazione delladisciplina antitrust ha conosciuto in questi ultimi anni unapopolarità senza uguali, come dimostra sia l’attenzione ri-servata a tale argomento dal commissario Neelie Kroes edal suo predecessore Mario Monti (2), sia dalla pubblica-zione, alla fine del 2005, del Libro verde della Commissio-ne sulle azioni risarcitorie per violazione degli artt. 81 e 82del Trattato C.E. (3). Per tali ragioni, prima di passare adanalizzare la sentenza in rassegna appare opportuno dareconto, seppur sommariamente, dello stato dell’arte in ma-teria, sia a livello nazionale, sia a livello comunitario.

2. La giurisprudenza di legittimità in tema di risarci-mento dei danni antitrust può idealmente essere suddivisain tre distinte fasi.

Note:

(1) Vedi, tra i molti, C. Castronovo, Antitrust e abuso di responsabilità civi-le, in Danno e resp., 2004, 469; M. Libertini, Ancora sui rimedi civili conse-guenti a violazioni di norme antitrust, ion Danno e resp., 2004, 933; C. Ca-stronovo, Responsabilità civile antitrust: balocchi e profumi, in Danno e resp.,2004, 1165; M. Libertini, Ancora sui rimedi civili conseguenti ad illeciti anti-trust (II), in Danno e resp., 2005, 237; C. Lo Surdo, Il diritto della concor-renza tra vecchie e nuove nullità, in Banca, borsa, tit. cred., 2004; I, 175; G.Guizzi, Struttura concorrenziale del mercato e tutela dei consumatori. Una re-lazione ancora da esplorare, in Foro it., 2004; I, 479; R. Pardolesi, Cartello econtratti dei consumatori: da Leibniz a Sansone?, in Foro it., 2004; I, 469; G.Colangelo, Intese restrittive della concorrenza e legittimazione ad agire del con-sumatore, in Danno e resp., 2003, 1181; A. Palmieri, Intese restrittive dellaconcorrenza e azione risarcitoria del consumatore finale: argomentazioni «ex-travagantes» per un illecito inconsistente, in Foro it, 2002, I, 1121; E. Scodit-ti, Il consumatore e l’antitrust, in Foro it., 2002, I, 1132; A. Palmieri, R. Par-dolesi, L’antitrust e il benessere (e il risarcimento dei danni) dei consumatori, inForo it., 2005, I, 1015; E. Scoditti, L’antitrust dalla parte del consumatore, inForo it., 2005, I, 1018; U. Violante, Illecito antitrust e azione risarcitoria, inDanno e resp., 2005, 14; O. Pallotta, Illeciti antitrust, contratti a valle e pre-sunzione di danno, in Contratto e Impr. - Europa, 2006, n. 1, 177. Ci si per-mette di ricordare, inoltre, S. Bastianon, Nullità «a cascata»? Divieti anti-trust e tutela del consumatore, in Danno e resp., 2004, 1067, nonché Anti-trust e tutela civilistica: anno zero, in Danno e resp., 2003, 391.

(2) N. Kroes, Enhancing actions for damages for breach of competition rules inEurope, Dinner speech at the Harvard Club, New York, 22 September2005; N. Kroes, Damages Actions for Breaches of EU Competition Rules:Realities and Potentials, Opening speech at the conference “La reparationdu prejudice causé par une pratique anti-concurrentielle en France et àl’ètranger: bilan et perspectives”, Paris 17 October 2005; M. Monti, Pri-vate litigation as a key complement to public enforcement of competition rulesand the first conclusions on the implementation of the new Merger Regula-tion, IBA - 8th Annual Competition Conference, Fiesole, 17 settembre2004, consultabili sul sito www.europa.eu.int/ comm/competition/spee-ches.

(3) Libro verde - Azioni di risarcimento del danno per violazione dellenorme antitrust comunitarie, Bruxelles, 19 dicembre 2005, COM (2005)672.

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La prima fase (1999 - 2001) si caratterizza per un ap-proccio molto cauto al tema in esame, ma incline ad am-mettere, perlomeno in teoria, la possibilità di ravvisare uncollegamento tra l’intesa restrittiva a monte e i contratti avalle. In particolare, Cass. n. 827/99 aveva sottolineato chela nullità di un’intesa anticoncorrenziale non investe sol-tanto l’eventuale negozio originario postosi all’origine del-la successiva sequenza comportamentale, ma tutta la piùcomplessa situazione, anche successiva al negozio (4); ana-logamente, Cass. n. 887/2001 aveva riconosciuto la possi-bilità di far valere non solo la nullità delle Norme bancarieuniformi per contrasto con l’art. 2 della legge n. 287/90, maanche il carattere distorsivo dei comportamenti delle ban-che in sede di stipula dei singoli contratti con i clienti fina-li (5).

La seconda fase (2002 - 2003), al contrario, risulta ca-ratterizzata da un approccio diametralmente opposto, invirtù del quale il consumatore finale, pur essendo ricono-sciuto come soggetto del mercato, viene privato della pos-sibilità di avvalersi della tutela speciale prevista dall’art. 33,comma 2, della legge n. 287/1990. Nella pronuncia AxaAssicurazioni c. Isvap e Larato, infatti, la Corte di cassazione,sulla base di una lettura “imprenditorialmente orientata”della normativa antitrust italiana, ha escluso, da un lato, lalegittimazione dei consumatori finali ad agire in via risarci-toria ai sensi dell’art. 33, comma 2, della legge n. 287/1990e, dall’altro lato, la possibilità di ravvisare qualsiasi collega-mento negoziale tra l’accordo antitrust “a monte” e i con-tratti “a valle” in base al rilievo, peraltro non dimostrato,che questi ultimi costituirebbero «meri fenomeni che, purattenendo alla vita del mercato, si pongono solo a valle inquanto mediati dal concreto comportamento tenuto dallesingole imprese nella gestione dei singoli e specifici rappor-ti intessuti direttamente con i singoli consumatori, rappor-ti già presieduti in quanto tali dalla loro logica giuridica in-terna» (6). A distanza di soli sei mesi da tale pronuncia,nella sentenza Liquigas. c. G. la Corte di cassazione ha pre-cisato che, pur in presenza di un accordo antitrust dichiara-to nullo con provvedimento definitivo dell’Autorità garan-te, «i contratti scaturiti in dipendenza da tale accordo man-tengono la loro validità e possono dare luogo soltanto adun’azione [ordinaria] di risarcimento del danno» (7). Se-condo tale impostazione, pertanto, la nullità dell’intesa an-titrust “a monte” non si estende mai ai contratti “a valle”,mentre coloro che hanno stipulato un negozio giuridicocon un soggetto partecipante all’intesa anticoncorrenzialepossono contare soltanto sulla tutela ordinaria apprestatadal codice civile che, a seconda delle varie prospettazioniaccolte, si risolve nell’annullabilità del contratto ex art.1339 c.c., nell’azione risarcitoria ex art. 1440 c.c. (dolo in-cidente) nei confronti della controparte in malafede, ovve-ro nell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. (8).

Da ultimo, la terza fase, che coincide sostanzialmentecon la pronuncia Unipol c. R del 2005, risulta caratterizzatadall’intervento delle Sezioni Unite e dal riconoscimentoche, contrariamente a quanto affermato nel 2002, «la leggeantitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la

legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia in-teresse, processualmente rilevante, alla conservazione delsuo carattere competitivo al punto da poter allegare unospecifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla dimi-nuzione di tale carattere». Da tale fondamentale premessale Sezioni Unite hanno tratto due, altrettanto fondamen-tali, conseguenze: a) il contratto “a valle” costituisce losbocco dell’intesa, essenziale a realizzarne gli effetti, postoche la seconda si estrinseca e viene attuata tramite il primo;b) la previsione del risarcimento del danno sarebbe mera-mente retorica se si dovesse ignorare proprio lo strumentoattraverso il quale i partecipanti dell’intesa realizzano ilvantaggio che la legge intende vietare (9).

3. A livello comunitario, sino al 2001 il tema del ri-sarcimento dei danni per violazione della normativa anti-trust non ha ricevuto particolare attenzione. A parte, infat-ti, la pubblicazione nel 1966 di uno studio sul risarcimentodei danni per violazione degli (allora) artt. 85 e 86 del Trat-tato C.E. (10) e nel 1997 di uno studio sull’applicazione ditali norme da parte dei giudici nazionali (11), la dottrina,salvo alcune eccezioni (12), non ha mai mostrato un parti-colare interesse al tema in esame. Analogamente, la Cortedi giustizia ha sempre ribadito che spettava all’ordinamen-to giuridico interno di ciascuno Stato membro designare igiudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ri-corsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singo-

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GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI

Note:

(4) Cass. 1 febbraio 1999, n. 827, in Foro it., 1999, I, 831, con nota diLambo.

(5) Cass. 20 giugno 2001, n. 887, in Foro it., Rep. 2001, voce Concorren-za (disciplina), n. 141.

(6) Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro it., 2002, I, 1121, con notedi A. Palmieri, Intese restrittive della concorrenza e azione risarcitoria del con-sumatore finale: argomentazioni «extravagantes» per un illecito inconsistente edi E. Scoditi, Il consumatore e l’antitrust; in Danno e resp., 2003, 390, connota di S. Bastianon, Antitrust e tutela civilistica: anno zero; in Resp. civ.prev., 2003, 365, con nota di A. Guarneri, Il cartello degli assicuratori è fon-te di danno per gli assicurati?, nonché in Dir. ind., 2003, 172, con nota di G.Colangelo.

(7) Cass. 11 giugno 2003, n. 9384, in Danno e resp., 2004, 1067, con no-ta di S. Bastianon, Nullità «a cascata»? Divieti antitrust e tutela del consu-matore.

(8) Per un primo inquadramento v. M. Libertini, Il ruolo del giudice nel-l’applicazione delle norme antitrust, in Giur. comm., 1998, I, 649; G. Oppo,Costituzione e diritto privato nella tutela della concorrenza, in Riv. dir. civ.,1993, II, 549; M. Meli, Autonomia privata, sistema delle invalidità e discipli-na delle intese anticoncorrenziali, 2001; C. Lo Surdo, Il diritto della concor-renza tra vecchie e nuove nullità, cit.

(9) Cass. S.U., 4 febbraio 2005, n. 2207, in Foro it., 2005, I, 1014.

(10) Commissione CEE, Il risarcimento dei danni per violazione degli articoli85 e 86 del Trattato CEE, Serie Concorrenza, Bruxelles, 1966.

(11) Commissione CE, L’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato CEda parte delle giurisdizioni nazionali degli Stati membri, consultabile suwww.europa.eu.int/comm/competition/publications/art8586_it.pdf

(12) A Winterstein, A community right in damages for breach of EC compe-tition rules?, in E.C.L.R., 1995, 49; A. Toffoletto, Il risarcimento del dannonel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, Milano,1996, 114.

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li in forza dell’effetto diretto degli artt. 81 e 82 del TrattatoC.E., pur sottolineando che tali modalità non potevano es-sere meno favorevoli di quelle previste per i ricorsi analoghidi natura interna e non dovevano rendere praticamenteimpossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritticonferiti dall’ordinamento comunitario (13).

In tale contesto, la sentenza Courage c. C. del 2001ha segnato il classico punto di non ritorno. In tale pro-nuncia, infatti, la Corte di giustizia ha affermato che «lapiena efficacia dell’art. 81 del Trattato C.E. e, in particola-re, l’effetto utile del divieto sancito al n. 1 di detto artico-lo, sarebbero messi in discussione se chiunque non potessechiedere il risarcimento del danno causatogli da un con-tratto o da un comportamento che possono restringere ofalsare il gioco della concorrenza. In quest’ottica, le azionidi risarcimento dei danni dinanzi ai giudici nazionali pos-sono contribuire sostanzialmente al mantenimento diun’effettiva concorrenza nella Comunità» (14). Secondoil giudice comunitario, pertanto, sono le stesse norme an-titrust contenute nel Trattato C.E. a costituire il presuppo-sto per la concessione, in ambito nazionale, di un rimediogiurisdizionale a contenuto risarcitorio, anche a prescinde-re da quanto previsto dalle singole legislazioni nazionalisulla concorrenza.

Sebbene a distanza di cinque anni dalla sentenza Cou-rage c. C. la Corte di giustizia abbia avuto occasione di ri-tornare sul tema in esame soltanto una volta con la recen-te pronuncia M. (15), è indubitabile che a livello comuni-tario il problema del risarcimento dei danni antitrust e, piùin generale, del private enforcement, sia divenuto sempre piùattuale, tanto da spingere l’esecutivo comunitario a pubbli-care, alla fine del 2005, un Libro verde sulle azioni di risar-cimento dei danni antitrust. Si tratta di un documento nelquale la Commissione, preso atto che in Europa questo ti-po di azioni legali sono ancora molto rare, analizza i princi-pali ostacoli che ancor oggi impediscono al private enforce-ment di affermarsi su larga scala, prospettando una serie diopzioni e suggerimenti in ordine a possibili riforme da at-tuare all’interno dei singoli ordinamenti giuridici naziona-li, con specifico riferimento a temi quali l’accesso alle pro-ve, il requisito della colpa, la quantificazione dei danni, l’o-nere della prova, la legittimazione ad agire dei consumato-ri finali, i costi delle azioni legali, la giurisdizione e la leggeapplicabile (16).

4. È in tale contesto, caratterizzato sia a livello nazio-nale sia a livello comunitario da un’accentuata sensibilitàal problema del risarcimento dei danni antitrust, che deveessere letta la sentenza della Corte di appello di Napoli. Lafattispecie decisa dai giudici napoletani è estremamentesemplice, rappresentando il classico esempio di scuola: do-po la conferma, ad opera sia del Tar Lazio sia del Consigliodi Stato, del provvedimento n. 8546 con il quale l’Autoritàgarante aveva sanzionato per contrasto con l’art. 2 dellalegge n. 287/1990 la pratica di un gruppo di compagnie diassicurazioni consistente nello scambio di informazionisensibili relative alle polizze per la responsabilità civile de-

rivante dalla circolazione di autoveicoli (R.C. auto) (17),un assicurato aveva convenuto in giudizio la propria com-pagnia di assicurazione chiedendo il risarcimento dei dannisubiti per effetto dell’aumento del premio assicurativo con-seguente alla pratica anticoncorrenziale sanzionata dal-l’Autorità garante. Per quanto semplice, tale vicenda evi-denzia due dei principali problemi connessi ad ogni giudi-zio in materia di responsabilità civile per violazione dellanormativa antitrust: in primo luogo, l’individuazione delsoggetto legittimato ad agire ex art. 33, 2° comma, della leg-ge n. 287/90; in secondo luogo, i rapporti tra l’intesa restrit-tiva della concorrenza “a monte” e i contratti stipulati “avalle” dai soggetti partecipanti all’intesa con i consumatorifinali.

Per quanto riguarda il problema della legittimazionead agire, il fatto che nella sentenza tale tema non sia statoaffrontato ha un significato inequivoco: sia le parti, sia ilcollegio giudicante hanno ritenuto di conformarsi alla pro-nuncia delle Sezioni Unite n. 2207/2005, riconoscendoquindi la legittimazione del consumatore finale ad avvaler-si della tutela apprestata dall’art. 33, comma 2, della leggen. 287/1990. Nell’attuale contesto italiano, caratterizzato,come già accennato, da un lato, da un acceso dibattito dot-trinale e, dall’altro lato, dal numero ancora esiguo dellepronunce della giurisprudenza di merito su tale specificopunto, l’approccio seguito dalla Corte di appello di Napolimerita, quantomeno, di essere evidenziato.

Decisamente più complesso si presenta il discorso re-lativo alla fondatezza della domanda di risarcimento deidanni proposta dall’assicurato. Secondo i giudici napoleta-ni, infatti, ogni indagine deve muovere dalla natura auto-noma, seppur concorrente, delle azioni di nullità e di risar-cimento del danno ex art. 33, comma 2, della legge n.287/1990 rispetto ai procedimenti amministrativi davantiall’Autorità garante, e dalla conseguente necessità che l’at-

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Note:

(13) Corte giust. 12 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe/Landwirtschaft-skammer Saarland, in Raccolta, 1976, 1989; 7 luglio 1981, causa 158/80,Rewe/Hauptzollamt, in Raccolta, 1981, 1805. Più recentemente, Corte giu-st. 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani, in Raccolta, 1997, 4025.

(14) Corte giust. 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage c. Crehan,in Raccolta, 2001, I-6297 nonché in Foro it., 2002, IV, 75, con note di A.Palmieri-R. Pardolesi, Intesa illecita e risarcimento a favore di una parte: «chiè causa del suo mal … si lagni e chieda i danni»; E. Scoditti, Danni da intesaanticoncorrenziale per una delle parti dell’accordo: il punto di vista del giudiceitaliano; G. Rossi, «Take Courage»! La Corte di Giustizia apre nuove frontie-re per la risarcibilità del danno da illeciti antitrust; in Danno e resp., 2001,1151, con osservazioni di S. Bastianon, Intesa illecita e risarcimento del dan-no a favore della parte debole; in Resp. civ. prev., 2002, 668, con osservazio-ni di L. Tonelli, Intesa antitrust e risarcimento dei danni; in Corriere giur.,2002, 454, con nota di G. Colangelo, Intese «obtorto collo» e risarcibilità deldanno: le improbabili acrobazie dell’antitrust comunitario.

(15) Corte giust., 13 luglio 2006, cause riunite C-295/04 e C-298/04,Manfredi, in Guida al diritto, 2006, n. 30, 100, con nota di N. Buquicchio.

(16) Per un primo esame v. S. Bastianon, Il risarcimento del danno antitru-st tra esigenze di giustizia e problemi di efficienza. Prime riflessioni sul Libro ver-de della Commissione, in Mercato Concorrenza Regole, 2006, n. 2, 315.

(17) Autorità garante della concorrenza e del mercato, provvedimento28 luglio 2000, n. 8546, in Bollettino, n. 30/2000.

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tore, il quale domanda il risarcimento dei danni, fornisca laprova dell’altrui condotta illecita, del danno subito e delnesso causale tra la prima e il secondo. Sulla scorta di talepremessa, il ragionamento seguito dalla corte si sviluppanei seguenti passaggi: a) il provvedimento n. 8546 dell’Au-torità garante ha accertato e sanzionato, sub specie di prati-ca concordata, lo scambio di informazioni sensibili tracompagnie di assicurazione; b) tale pratica è stata sanziona-ta soltanto a causa del suo oggetto anticoncorrenziale, nonavendo l’Autorità garante esteso la propria indagine agli ef-fetti concreti della condotta delle compagnie di assicura-zione; c) dal provvedimento dell’Autorità garante non puòfarsi discendere automaticamente l’affermazione di una re-sponsabilità delle compagnie di assicurazione in ordine aldenunciato aumento indiscriminato dei premi di polizza,«dovendo accertarsi l’incidenza causale del comportamen-to medesimo nella produzione del danno assunto»; d) in as-senza di idonea prova sul punto, considerato altresì che l’in-tesa sanzionata dall’Autorità garante ha riguardato soltan-to alcune compagnie di assicurazione e che, quindi, il con-sumatore avrebbe potuto stipulare la propria polizza conun’altra compagnia di assicurazione, «non può ritenersi chela partecipazione della società convenuta all’intesa sanzio-nata sia stata causa immediata e diretta dell’incremento delpremio assicurativo corrisposto dall’attore».

La domanda risarcitoria del consumatore finale, dun-que, viene respinta unicamente per difetto di prova in or-dine al nesso causale tra la condotta illecita ed il danno su-bito.

A prima vista la pronuncia della Corte di appello diNapoli si presenta in linea con altre sentenze di merito(18). Nel caso di specie, infatti, il consumatore finale nonha fornito alcun indizio che il lamentato aumento del prez-zo del premio di polizza (dell’ordine del 20%) potesse esse-re causalmente ricondotto allo scambio di informazionisanzionato dall’Autorità garante; tale circostanza, inoltre,assume un particolare significato in un contesto quale quel-lo dell’assicurazione r.c. auto nel quale, per stessa ammissio-ne dell’Autorità garante (19) e dell’Isvap (20), una plura-lità di fattori eterogenei (limitato ingresso sul mercato ita-liano di nuovi operatori, relazione verticale di esclusiva traproduttori e distributori di polizze, ipervalutazione del dan-no biologico, incremento delle truffe a danno delle assicu-razioni, ecc.) hanno contribuito in misura significativa al-l’incremento dei premi di polizza. Per tale ragione - si è det-to - «il c.d. cartello assicurativo si pone soltanto come unodei plurimi, distinti ed autonomi antecedenti causali, tuttisimultanei e tutti teoricamente possibili cause di danno», sìche «spetterà al danneggiato fornire in modo rigoroso laprova della precisa imputabilità dell’evento, con la conse-guenza che, ove non sia assolto puntualmente un onere sif-fatto, la pretesa risarcitoria dovrà essere rigettata» (21). Lapronuncia in rassegna, pertanto, conferma i dubbi espressida quella parte della dottrina che, all’indomani degli inter-venti del giudice di legittimità, aveva sottolineato che il ri-conoscimento in capo ai consumatori finali della legittima-zione ad agire ex art. 33, comma 2, della legge n. 287/1990

non sarebbe stata di per sé sufficiente ad assicurare a questiultimi un’effettiva tutela (22).

Sennonché, proprio l’insistenza con la quale i giudicinapoletani hanno escluso la responsabilità della compa-gnia di assicurazione per difetto di prova circa il nesso cau-sale tra la condotta illecita ed il danno lamentato dall’assi-curato induce a qualche considerazione supplementare. Inprimo luogo, non del tutto convincente si rivela l’afferma-zione secondo cui, per aver l’intesa riguardato soltanto al-cune compagnie di assicurazione, il consumatore avrebbepotuto stipulare la propria polizza r.c. auto con una compa-gnia assicuratrice diversa da quelle sanzionate dall’Autoritàgarante, con la conseguenza che «l’adesione del consuma-tore al premio proposto dalla società convenuta costituisceulteriore elemento atto ad escludere l’efficienza causale del-l’intesa sanzionata nel determinare l’assunto danno». A ta-le riguardo, è agevole obiettare che, nel momento in cui ilconsumatore stipulava il contratto di assicurazione r.c. au-to, la partecipazione della propria compagnia all’intesa,successivamente scoperta e sanzionata dall’Autorità garan-te, non era certo evidente, come pure non si conoscevanoi nomi delle compagnie di assicurazione coinvolte; in se-condo luogo, l’affermazione della Corte di appello sembranon tenere nella giusta considerazione il c.d. umbrella effect,che spinge le imprese non partecipanti all’intesa ad allinea-re i propri prezzi a quelli praticati dalle imprese cartellizza-te. Da ultimo, si osserva che l’intesa sanzionata dall’Auto-rità garante aveva coinvolto diciannove delle prime venticompagnie operanti nel settore R.C. auto ed un numero diimprese rappresentanti oltre l’80% del mercato in questio-ne, per cui il riferimento alla possibilità per l’assicurato discegliere un’impresa di assicurazione estranea al cartello ap-pare poco realistica. Più in generale, peraltro, si osservache, se anche possono immaginarsi casi nei quali la provadel danno effettivamente subito dal consumatore finale e la

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Note:

(18) Giud. di Pace Milano 25 novembre 2003, in Giudice di Pace, 2004,124, con nota di A. Palmieri; Giud. di Pace Gioiosa Ionica, sentenza n.181/02, citata da U. Violante, Illecito antitrust e azione risarcitoria, cit., 18,nota 18.

(19) Autorità garante della concorrenza e del mercato, Provvedimento17 aprile 2003, n. 11891, in Bollettino, n. 16-17/2003.

(20) Parere ISVAP 14 luglio 2000 citato dall’Autorità garante nel prov-vedimento 28 luglio 2000, n. 8546, cit.

(21) U. Violante, Illecito antitrust e azione risarcitoria, cit., 20. Contra, I.Nasti, Tutela risarcitoria del consumatore per condotta anticoncorrenziale: unadecisione difficile, in Corriere giur., 2003, 344, secondo cui «l’estensione del-la tutela di cui all’art. 33 comporterebbe (...) la possibilità per il cittadinoassicurato di poter ottenere il risarcimento del danno senza dover sotto-stare alle limitazioni strutturali di un giudizio di accertamento della re-sponsabilità aquiliana sancito dall’art. 2043 c.c. Il consumatore si giove-rebbe, in altri termini, di una presunzione relativa di dannosità del con-tratto stipulato e potrebbe ottenere il risarcimento senza dover provarel’esistenza di un danno né di un nesso causale tra il comportamento vie-tato, cioè la pratica collusiva tra le compagnie di assicurazione e il dannolamentato».

(22) A. Palmieri, R. Pardolesi, L’antitrust e il benessere (e il risarcimento deidanni) dei consumatori, cit., 1018.

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sua ricollegabilità causale alla condotta anticoncorrenzialerisulta problematica e necessita di un accurato accertamen-to (si pensi, ad esempio, alle ipotesi caratterizzate da feno-meni di traslazione, integrale o parziale, del danno), nel ca-so di specie la situazione appare diversa. Lo scambio diinformazioni, infatti, viene sanzionato dal diritto antitrustin quanto mira a rendere il mercato più trasparente e a con-sentire alle imprese di sfruttare tale trasparenza per realizza-re profitti sopracompetitivi. Tali profitti, peraltro, non ven-gono concretamente realizzati per effetto del mero scambiodi informazioni, bensì tramite l’utilizzo delle informazionicosì scambiate in sede di conclusione dei singoli contratticon i consumatori finali. Se, quindi, il contratto a valle nonsi pone come qualcosa di diverso e di autonomo rispetto al-l’intesa a monte, ma rappresenta il momento attuativo diquest’ultima, per cui è la stessa illiceità della seconda che siriflette sul primo, appare quanto mai ingiusto ritenere che,in assenza di specifiche prove, l’incremento del premio del-le polizze assicurative non possa essere causalmente ricolle-gato allo scambio di informazioni sanzionato dall’antitrusta causa della presenza di altri fattori potenzialmente in gra-do di incidere sul prezzo dei premi. Sia chiaro: non si con-testa il fatto che, durante il periodo della condotta illecitasanzionata dall’Autorità garante, i premi possano essere lie-vitati anche a causa di fattori esterni; appare dubbia, inve-ce, la pretesa di escludere, in assenza di specifica prova, l’e-sistenza di qualsiasi legame causale tra lo scambio di infor-mazioni e i prezzi “gonfiati” delle polizze R.C. auto. Ciò, in-fatti, equivarrebbe a ritenere che le informazioni scambiatesiano state riposte in un cassetto e che quindi l’intesa san-zionata dall’Autorità garante non abbia mai avuto attua-zione pratica. Tale conclusione, oltre ad essere difficilmen-te conciliabile con elementari ragioni di logica e di buonsenso, risulta in contrasto con la stessa istruttoria condottadall’Autorità garante da cui è emerso, sulla scorta di nume-rose evidenze documentali, che le imprese di assicurazionesi avvalevano delle informazioni scambiate per determina-re i propri prezzi finali, che l’accelerazione dell’introduzionedi nuovi tariffari (in alcuni casi sino a quattro variazioni an-nuali) non aveva alcuna giustificazione tecnica e che gliaumenti dei premi per l’assicurazione R.C. auto erano su-periori alla media europea (23).

Va da sé, inoltre, che portando alle estreme conse-guenze il ragionamento della Corte di appello di Napoli, di-verrebbe quanto mai difficile comprendere perché il singo-lo contratto di assicurazione sia affetto da illiceità. In altreparole, se le informazioni scambiate non sono mai state uti-lizzate per “gonfiare” i premi assicurativi, non risulterebbechiaro perché il comportamento della compagnia di assicu-razione in sede di stipula del singolo contratto venga quali-ficato illegittimo e il risarcimento del danno escluso unica-mente a causa della mancanza di prova circa il nesso A benvedere, quindi, il problema non si pone in termini di esi-stenza/assenza del nesso causale tra la condotta a monte edil danno subito dal consumatore finale, bensì di riparto delnesso causale tra i vari fattori concorrenti nella causazionedell’evento dannoso (24). Anche in tale ipotesi, peraltro,

sul consumatore finale finirebbe per gravare un onere pro-batorio particolarmente difficile, se non addirittura impos-sibile, da assolvere, tanto da far ragionevolmente ritenereche sotto tale profilo l’esito della vicenda decisa dalla Cor-te di appello di Napoli non sarebbe stato diverso. Resta,pertanto, la convinzione che, una volta riconosciuta la le-gittimazione del consumatore finale ad esperire le azioni dinullità e di risarcimento del danno previste dall’art. 33,comma 2, della legge n. 287/1990, l’effettiva tutela del con-sumatore sotto il profilo concorrenziale non possa più esse-re rimessa all’operare delle ordinarie regole, sostanziali eprocessuali, che disciplinano la responsabilità civile in Ita-lia, dovendosi, al contrario, iniziare a valutare seriamentel’opportunità di introdurre forme di inversione dell’onereprobatorio, di tutela collettiva e di deroghe al principio«chi perde, paga» (anche al fine di non incorrere nel ri-schio che, per evitare in futuro soluzioni analoghe a quellain esame, il consumatore finale possa essere indotto ad av-valersi di perizie, consulenti tecnici e modelli matematicidi quantificazione dei danni il cui costo complessivo supe-ra di gran lunga il valore dei danni di cui si chiede il risarci-mento (nella specie, € 134,21). Ma questo, si sa, è un altrodiscorso.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061138

GIURISPRUDENZA•TUTELA DEI CONSUMATORI

Note:

(23) Autorità garante della concorrenza e del mercato, Provvedimento28 luglio 2000, n. 8546, cit., punti 167, 257, 258, 263. Interessante al ri-guardo si rivela il passo della pronuncia 4 febbraio 2005, n. 2207 delle Se-zioni Unite, cit., 1025, ove si afferma che «se un’intesa fosse ancora luo-go nelle intenzioni dei partecipi e non avesse dato ancora alcun effetto(...) non vi sarebbe interesse da parte di alcuno ad una dichiarazione dinullità ai sensi dell’art. 33 della legge n. 287/1990, la cui ratio è di toglierealla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura for-male di comportamenti “a valle”».

(24) U. Violante, Illecito antitrust e azione risarcitoria, cit., 20.

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061140

GIURISPRUDENZA•DANNO ESISTENZIALE

Svolgimento del processo... Omissis...

Motivi della decisioneNel merito, il ricorso è fondato e deve essere accolto.Deve dichiararsi cessata la materia del contendere quan-to al pagamento dell’indennità di maternità, essendo di-venuto pacifica la sua spettanza ed essendo stato effet-tuata la corresponsione della stessa da parte dell’Inpssenza riserva alcuna.Quanto alla domanda risarcitoria, deve preliminarmen-te rilevarsi che il comportamento dei convenuti è statogravemente inadempiente: il datore di lavoro non haadempiuto all’obbligo - previsto dalla legge - di anticipa-re l’indennità in questione richiesta dalla dipendente;l’Istituto non ha pagato - venendo meno alla propriafunzione istituzionale - la prestazione richiesta pur inpresenza dell’inadempimento datoriale - risultante uni-vocamente in tutti i vari giudizi intentati dalla lavoratri-ce e comunque facilmente accertabile - al detto obbligo.Ai sensi dell’inderogabile disciplina sancita dall’art. 1della legge 33/80, l’Inps è l’unico soggetto obbligato aderogare l’indennità di maternità (come pure di malat-tia), mentre il datore di lavoro è tenuto ad anticiparla,salvo conguaglio con i contributi e le altre somme dovu-te all’istituto (Cass. 6190/00, 6659/94, 7607/91, fra letante).È sempre stato pacifico del resto la spettanza del dirittodella ricorrente, essendo documentato ai convenuti an-che stragiudizialmente la gravidanza ed il parto della ri-

corrente ed il periodo di interdizione dal lavoro, comepure la sussistenza dei requisiti di copertura assicurativa;nessun convenuto ha mai contestato, in sede giudiziale,il diritto azionato, limitandosi l’Inps a far presente che ildatore di lavoro anticipa di norma la prestazione (senzaperò dimostrare che nel caso ciò fosse avvenuto, restan-do obbligato in proprio conseguentemente), e limitan-dosi il datore ad invocare la natura previdenziale dellaprestazione e la responsabilità dell’ente.La violazione dei detti obblighi è stata macroscopica eresa con la consapevolezza (maturata con i ricorsi caute-lare se non già stragiudizialmente) oltre che dell’esisten-za del diritto soggettivo perfetto alla prestazione, dellanatura previdenziale della stessa (essendo volta a soste-nere la donna proprio nel periodo di maggior delicatezzain relazione alla sua funzione familiare essenziale costitu-zionalmente riconosciuta e tutelata e nel momento delbisogno determinato dalla sospensione del rapporto dilavoro - e di percezione della retribuzione - obbligatoria-mente imposta dalla legge), nonché delle difficoltà eco-nomiche - gravi, eccezionali e sempre puntualmente do-cumentate - in cui versavano la ricorrente e la sua bam-bina.Mentre i convenuti eccepivano reciprocamente - e rei-teratamente in relazione a tute le varie istanze giudizialidella ricorrente - il proprio difetto di legittimazione pas-siva per sottrarsi agli obblighi patrimoniali inderogabiliprevisti dalla legge, la ricorrente accumulava debiti percercare di far fronte tra innumerevoli difficoltà (docu-mentate tutte in atti) alle esigenze quotidiane, e, a tace-

Mancato pagamento dell’indennità di maternità

La responsabilità dell’enteprevidenziale per danno esistenziale TRIBUNALE DI LECCE 18 aprile 2006 Giud. Buffa - R. c. Eos e INPS

Indennità di maternità - Inadempimento dell’obbligo di anticipazione da parte del datore di lavoro - Responsabilità -Mancata corresponsione da parte dell’INPS - Risarcimento del danno subito dal lavoratore - Danno esistenziale -Liquidazione.

(Legge n. 33/1980, art. 1; c.c., artt. 2043, 2059)

Il pagamento della indennità di maternità al lavoratore dipendente è oggetto di un obbligo che ha con-tenuto patrimoniale, ma il cui adempimento esatto ha una funzione anche non patrimoniale, in quan-to il lavoratore trae normalmente dalla detta indennità il mezzo di sostentamento per sé e per la pro-pria famiglia in via di ampliamento. Ne consegue che il mancato pagamento della indennità di maternità da parte dell’ente previdenzialee la mancata anticipazione da parte del datore di lavoro espongono tali soggetti al risarcimento deldanno esistenziale subito dalla lavoratrice per il grave peggioramento della qualità della vita a causadel detto inadempimento.

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re delle esigenze economiche della stessa ricorrente, la fi-glia intanto nasceva, cresceva, doveva mangiare, vestir-si, forse avere i primi giocattoli, andare all’asilo, avere leproprie esigenze, economicamente rilevantissime.Non vi è chi non veda che dall’immotivato inadempi-mento di entrambi i convenuti sia derivato alla ricorren-te un danno gravissimo, essendo stata violata la sua di-gnità di persona umana, oltre che i suoi diritti di donnae di madre in particolare.Il tipo di danno che la ricorrente ha subito è senza dub-bio non patrimoniale, e di tipo esistenziale.Il pagamento della indennità di maternità al lavoratoredipendente è oggetto sì di un obbligo che ha contenutopatrimoniale, ma il cui adempimento esatto ha una fun-zione anche non patrimoniale, in quanto il lavoratoretrae normalmente dalla detta indennità il mezzo di so-stentamento per sé e per la propria famiglia.Il danno esistenziale da mancato pagamento di emolu-menti economici può avere il suo referente costituziona-le oltre che negli artt. 36, che tutela la retribuzione in sé,37, che tutela la donna lavoratrice e prevede una prote-zione speciale nel periodo in cui è madre, nonché 38 chetutela forme assistenziali di chi non può lavorare, anchenell’art. 2, che tutela la qualità dignitosa della vita nelleformazioni sociali.Certo, si tratta di provare le privazioni “esistenziali” pa-tite per la mancata percezione di emolumenti garantitidalla legge, ma queste spesso sono facilmente immagina-bili: è la qualità scemata della vita con il telefono o gas oluce staccata perché non si è pagata la bolletta o con leminacce di sfratto del locatore per morosità o ancora perla rinuncia all’acquisto di beni voluttuari o infine la le-sione della dignità della persona che deve chiedere pre-stiti a parenti amici e conoscenti, o deve subire pignora-menti che avrebbe altrimenti evitato, situazioni questespesso, come nel caso, casualmente riconducibili al man-cato o ritardato pagamento di somme spettanti al lavo-ratore.Diviene dunque risarcibile nei detti casi il danno esi-stenziale, connesso con la lesione della dignità della per-sona del lavoratore e altresì con la diversa qualità dellavita del lavoratore in seguito a tutte le conseguenze chederivano dalla mancata percezione dei mezzi di sostenta-mento.Si tratta non solo dei danni diretti derivanti dall’ina-dempimento, ma anche dei danni indiretti e mediati,ma collegati da un nesso di regolarità causale con l’ina-dempimento. Al riguardo, occorre tenere in considera-zione l’interpretazione che la giurisprudenza ha dato del-l’art. 1223 c.c., norma che letteralmente sembra conte-nere il risarcimento ai danni che siano conseguenza im-mediata e diretta dell’inadempimento. Infatti, secondola giurisprudenza, il criterio in base al quale sono risarci-bili i danni conseguiti in via diretta ed immediata dall’i-nadempimento deve intendersi, ai fini della sussistenzadel nesso di causalità, in modo da ricomprendere nel ri-sarcimento i danni indiretti e mediati, che si presentino

come effetto normale dell’inadempimento, secondo ilprincipio di regolarità causale; in conseguenza, mentresono da escludere i danni verificatisi per l’intervento dicause e circostanze estranee al comportamento dell’ob-bligato, vi rientrano invece gli altri quanto, pur non pro-ducendo il fatto di per sé quel determinato evento, abbiatuttavia prodotto uno stato di cose tali che senza di essonon si sarebbe verificato (Cass. 18 luglio 1987, n. 6325;Cass. 20 maggio 1986, n. 3353; Cass. 19 maggio 1974,n. 1474; Cass. 9 dicembre 1974, n. 4135). Peraltro, ilprincipio della causalità regolare va inteso va intesonon già nel senso che il danno sia risarcibile solo quan-do sia proporzionato alla gravità del fatto che vi ha datoorigine, bensì nel senso che, se si tratta di danno media-to e indiretto, è risarcibile solo quando costituisce unanormale e naturale conseguenza del fatto stesso, e non èrisarcibile quando la sua gravità sia stata determinata,piuttosto che dal fatto, da altre ed eccezionali concause.Diventa in relazione a ciò fondamentale individuare ilnesso causale, ed in particolare il nesso di regolarità cau-sale, che va riguardato in relazione all’id quod plerumqueaccidit in casi omogenei: così, diverse saranno le conse-guenze normali dell’inadempimento ove la famiglia dellavoratore sia monoreddito e numerosa, da quella in cuivi sia altri redditi in famiglia; il lavoratore, dovrà quin-di, volta per volta, dimostrare la riconducibilità causaledel danno subito all’inadempimento e dunque, ove sitratta di danni indiretti, la impossibilità di prevenire glistessi in altro modo.Nel caso, tale prova risulta essere data con la documen-tazione in atti, dalla quale risultano pienamente le diffi-coltà incontrate dalla ricorrente a seguito del mancatopagamento dell’indennità di maternità e della sua man-cata anticipazione da parte del datore.Con riferimento al tipo di danno (non patrimoniale) edalla sua risarcibilità, come noto, due sentenze della Cor-te di Cassazione (Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827 e8828), ed una della Corte Costituzionale (Corte costitu-zionale 11 luglio 2003, n. 233) hanno rivoluzionato il si-stema della responsabilità civile in relazione al danno al-la persona, affermando la risarcibilità del danno esisten-ziale, inteso come danno alla persona, di carattere nonpatrimoniale e che attinge a beni ed interessi costituzio-nalmente tutelati, inerenti l’esistenza dei singoli e laqualità della vita o comportanti la lesione di vari beniimmateriali.Più in particolare, la giurisprudenza delle supreme magi-strature si è oggi orientata verso una nozione ampia, co-stituzionalmente orientata, del danno non patrimoniale,esorbitante non solo da una visione penalistica (del restoi casi di legge ormai riguardano in via maggioritaria fat-tispecie extrapenali), ma anche da una impostazione li-mitativa del risarcimento ai casi previsti dalla legge: nelperdurante vigore dell’art. 2059 c.c., si è ritenuto che, al-lorquando vengano in considerazione valori personali dirilievo costituzionale, deve escludersi che il risarcimentodel danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c.,

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GIURISPRUDENZA•DANNO ESISTENZIALE

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sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge (tan-to più se correlata all’art. 185 c.p.), e si è affermato checiò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, inriferimento all’art. 2059 c.c., è l’ingiusta lesione di un in-teresse alla persona, dal quale conseguano pregiudizi nonsuscettibili di valutazione economica, in quanto una let-tura della norma costituzionalmente orientata imponedi ritenere inoperante il detto limite, se la lesione ha ri-guardato valori della persona costituzionalmente garan-titi, come nel caso di specie il diritto al lavoro e al dignitàprofessionale ed umana della lavoratrice.Quanto alla liquidazione del danno, essa può avveniresoltanto in termini equitativi che debbono avere riguar-do alla natura, all’intensità e alla durata delle compro-missioni esistenziali derivate ed all’importanza del benegiuridicamente rilevante che è stato leso; peraltro, se èvero che il danno ha carattere non patrimoniale sicchéla sua liquidazione potrebbe assai meglio basarsi su para-metri diversi dalla retribuzione, in difetto della allegazio-ne di tali diversi parametri, non può che farsi riferimen-to al valore economico del lavoro della ricorrente e dun-que alla retribuzione della stessa (dagli atti si evince unaretribuzione mensile della ricorrente pari ad euro 840mensili nette) commisurando ad essa il risarcimento do-vuto dal lavoratore, in difetto della prova di danni di ti-

po o entità diversa, secondo una percentuale che tengaconto dei criteri sopra richiamati: quanto a tale percen-tuale della retribuzione, la gravità della situazione dellaricorrente consente di far riferimento alla misura del100% della retribuzione.Conseguentemente, con riferimento alla retribuzionespettante alla ricorrente ed alla durata della lesione, chenel caso è di cinque mensilità (che è la durata dell’in-dennità di maternità per astensione obbligatoria), si per-viene in applicazione della percentuale del 100% dellaretribuzione mensile alla somma complessiva di euro4.200.Tale somma deve essere aumentata di rivalutazione edinteressi dalla data in cui la prestazione avrebbe dovutoessere corrisposta e si è verificata la lesione dell’illecito alsoddisfo.Il danno non può invece superare la misura sopra indi-cata, non potendosi addebitare ai convenuti le difficoltàeconomiche e di vita della ricorrente che neppure la cor-responsione tempestiva della indennità di maternitàavrebbe potuto colmare.I convenuti rispondono in solido del danno, e delle spe-se di lite che seguono la soccombenza e che si liquidano,per la cautela ed il merito, come da dispositivo.... Omissis...

L’autore analizza e condivide l’assunto giurispruden-ziale secondo cui il mancato pagamento della in-dennità di maternità da parte dell’ente previdenzia-le e la mancata anticipazione da parte del datore dilavoro espongono il soggetto ad un danno esisten-ziale per obiettivo peggioramento della qualità del-la vita.

La pronuncia in commento si segnala per la sua origi-nalità nel panorama delle decisioni della giurisprudenza dimerito relative alla materia del danno esistenziale: si tratta-va, in particolare, di una lavoratrice alla quale il datore dilavoro non aveva corrisposto l’indennità di maternità e checonseguentemente si era rivolta, anche questa volta senzasuccesso, all’Inps per avere il pagamento diretto; dai reite-rati rifiuti del datore di lavoro e dell’Inps era poi nato uncontenzioso reiterato basato essenzialmente su istanze cau-telari della lavoratrice, con alterne vicende giudiziarie. Daultimo, la decisione in epigrafe ha ristabilisce il diritto del-la ricorrente e appronta soddisfacimento alla domanda del-la stessa di tutela giurisdizionale.

La decisione, in particolare, rileva che il pagamento

della indennità di maternità al lavoratore dipendente è og-getto di un obbligo che ha contenuto patrimoniale, ma -osserva il giudice - il cui adempimento esatto ha una fun-zione anche non patrimoniale, in quanto il lavoratore traenormalmente dalla detta indennità il mezzo di sostenta-mento per sé e per la propria famiglia in via di ampliamen-to.

Ne consegue, prosegue la decisione, che il mancatopagamento della indennità di maternità da parte dell’enteprevidenziale e la mancata anticipazione da parte del dato-re di lavoro espongono tali soggetti al risarcimento del dan-no esistenziale subito dalla lavoratrice per il grave peggiora-mento della qualità della vita a causa del detto inadempi-mento.

A quanto consta, si tratta del primo caso di giurispru-denza che condanna l’ente previdenziale al risarcimentodel danno esistenziale correlato all’inadempimento o all’i-nesatto adempimento di obblighi istituzionali dell’enteprevidenziale medesimo inerenti l’indennità di maternità.Peraltro, va rilevato che in altro settore previdenziale si re-gistrano pure pronunciamenti condannatori per l’ente pre-videnziale: così, ad esempio, in relazione al danno esisten-ziale cagionato da erronea informazione dell’ente previden-ziale che abbia causato le dimissioni del lavoratore sul pre-

IL COMMENTOdi Giuseppe Cassano

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supposto, indotto dalla erronea informazione resa dall’entee rivelatosi poi fallace a rapporto di lavoro irrimediabil-mente cessato, della sufficienza della contribuzione versataai fini della maturazione di prestazione pensionistica; ovve-ro, all’opposto, in relazione al caso in cui l’amministrazioneprevidenziale per errore abbia escluso il diritto del lavorato-re al collocamento a riposo pur in presenza dei relativi re-quisiti ed il privato abbia così continuato ad espletare laprestazione lavorativa pur potendo invece andare in pen-sione.

In particolare, in relazione alla prima fattispecie, Cass.n. 19340/03 ha riconosciuto il risarcimento del danno nelcaso di perdita del posto di lavoro lasciato a seguito del con-seguimento dall’ente previdenziale di informazioni in ordi-ne alla propria posizione contributiva (che viene erronea-mente dichiarata come idonea a consentire al lavoratore difruire dei benefici previdenziali).

Con riferimento alla seconda fattispecie, la Corted’appello di Genova, sez. IV, 27 aprile 2005, in questa Rivi-sta, 2006, 557, con nota di Palmerini (Il rinvio dell’agognatapensione e il danno non patrimoniale), ha ritenuto che il di-niego illegittimo alla richiesta di esercizio dei diritti previ-denziali ed il conseguente prolungato ritardo del pensiona-mento programmato ledono l’interesse a realizzare una per-sonale scelta di vita e sono fonte di pregiudizio non patri-moniale. In dottrina, per un esame delle fattispecie in di-scorso, sia consentito il rinvio a Buffa - Cassano, Il dannoesistenziale nel rapporto di lavoro, Torino, 2005, ed ivi ampirichiami bibliografi, ove diffusamente è analizzato il tema.

Il caso in commento evidenzia tuttavia non un meroerrore dell’ente previdenziale ma un inadempimento volu-to dell’obbligo previdenziale (pur sulla base di osservazionigiuridiche ritenute dal giudicante poi infondate).

La pronuncia bene sottolinea come nessun convenu-to nel caso concreto abbia sostanzialmente mai contestato,in sede giudiziale, il diritto azionato, limitandosi in partico-lare l’INPS a far presente che il datore di lavoro anticipa dinorma la prestazione (senza però dimostrare che nel casociò fosse avvenuto, restando obbligato in proprio conse-guentemente), e limitandosi il datore ad invocare la naturaprevidenziale della prestazione e la responsabilità dell’ente.

La violazione dei rispettivi obblighi, asserendo ciascunconvenuto dovuta la prestazione dall’altro, è stata posta inessere nella pacifica esistenza del diritto soggettivo perfettoalla prestazione, prestazione peraltro di natura previdenzia-le e dunque importantissima, essendo volta - come rimarcal’importante e condivisibile decisione - a sostenere la don-na proprio nel periodo di maggior delicatezza in relazionealla sua funzione familiare essenziale costituzionalmente ri-conosciuta e tutelata e nel momento del bisogno determi-nato dalla sospensione del rapporto di lavoro - e di perce-zione della retribuzione - obbligatoriamente imposta dallalegge.

Nella fattispecie, dunque, proprio dalla condotta del-l’ente previdenziale è derivato un danno consistente di ti-po non patrimoniale, ed in particolare, esistenziale.

Si tratta di un danno della cui risarcibilità ormai non

si dubita sostanzialmente in giurisprudenza, ora che anchela giurisprudenza delle supreme magistrature si è orientataverso una nozione ampia, costituzionalmente orientata, deldanno non patrimoniale, esorbitante non solo da una vi-sione penalistica, ma anche da una impostazione limitativadel risarcimento ai casi previsti dalla legge: nel perdurantevigore dell’art. 2059 c.c., si è ritenuto che, allorquandovengano in considerazione valori personali di rilievo costi-tuzionale, deve escludersi che il risarcimento del dannonon patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., sia soggetto allimite derivante dalla riserva di legge (tanto più se correla-ta all’art. 185 c.p.), e si è affermato che ciò che rileva, ai fi-ni dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’art.2059 c.c., è l’ingiusta lesione di un interesse alla persona,dal quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valuta-zione economica, in quanto una lettura della norma costi-tuzionalmente orientata impone di ritenere inoperante ildetto limite, se la lesione ha riguardato valori della personacostituzionalmente garantiti, come nel caso di specie il di-ritto al lavoro e al dignità professionale ed umana della la-voratrice.

Significativamente la decisione evidenzia come, men-tre i convenuti eccepivano reciprocamente - e reiterata-mente in relazione a tute le varie istanze giudiziali della ri-corrente - il proprio difetto di legittimazione passiva persottrarsi agli obblighi patrimoniali inderogabili previsti dal-la legge, la ricorrente accumulava debiti per cercare di farfronte tra innumerevoli difficoltà alle esigenze quotidianee, a tacere delle esigenze economiche della stessa ricorren-te, la figlia intanto nasceva, cresceva, doveva mangiare, ve-stirsi, forse avere i primi giocattoli, andare all’asilo, avere leproprie esigenze, economicamente rilevantissime.

Insomma, per concludere, va detto che il caso è em-blematico proprio perché evidenzia come, alla delicatezzadelle funzioni pubbliche commesse all’ente previdenziale eall’importanza - anche sociale - delle relative provvidenzefa da pendant l’entità dei pregiudizi - ed il tipo del danno(che attinge direttamente la sfera esistenziale della perso-na) - che il cittadino può subire dall’erroneo o mancatoesercizio di quelle importanti prerogative, risultando in talmodo l’azione amministrativa particolarmente delicata edimportante per i cittadini.

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GIURISPRUDENZA•DANNO ESISTENZIALE

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1145

GIURISPRUDENZA•SINTESI

COSE IN CUSTODIA

Cassazione civile, sez. III, 6 luglio 2006, n. 15383 - Pres.Nicastro - Est. Segreto - P.M. Abbritti (conf.) - B.A. c.Comune di Ancona

1) La responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni cagio-nati da cose in custodia, anche nell’ipotesi di beni de-maniali in effettiva custodia della P.A., ha carattere og-gettivo e, perché tale responsabilità possa configurarsiin concreto, è sufficiente che sussista il nesso causaletra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che ri-levi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza omeno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di re-sponsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore cheattiene non già ad un comportamento del responsabilebensì al profilo causale dell’evento, riconducibile nonalla cosa (che ne è fonte immediata) ma ad un elemen-to esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedi-bilità ed inevitabilità e che può essere costituito anchedal fatto del terzo o dello stesso danneggiante". 8.2."La presunzione di responsabilità per danni da cose incustodia, di cui all’art. 2051 c.c., non si applica agli en-ti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni dema-niali (nella fattispecie: del demanio stradale) ogni qualvolta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche,non sia possibile esercitare la custodia, intesa qualepotere di fatto sulla stessa. L’estensione del bene de-maniale e l’utilizzazione generale e diretta dello stessoda parte di terzi, sono solo figure sintomatiche dell’im-possibilità della custodia da parte della P.A. mentreelemento sintomatico della possibilità di custodia delbene del demanio stradale comunale è che la strada, dalcui difetto di manutenzione è stato causato un danno,si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stessoComune, pur dovendo dette circostanze, proprio perchésolo sintomatiche, essere sottoposte al vaglio in con-creto da parte del giudice di merito.2) La presunzione di responsabilità per danni da cosein custodia, di cui all’art. 2051 c.c., non si applica aglienti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni de-maniali (nella fattispecie: del demanio stradale) ogniqual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristi-che, non sia possibile esercitare la custodia, intesa qua-le potere di fatto sulla stessa. L’estensione del bene de-maniale e l’utilizzazione generale e diretta dello stessoda parte di terzi, sono solo figure sintomatiche dell’im-possibilità della custodia da parte della P.A. mentreelemento sintomatico della possibilità di custodia delbene del demanio stradale comunale è che la strada, dal

cui difetto di manutenzione è stato causato un danno,si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stessoComune, pur dovendo dette circostanze, proprio perchésolo sintomatiche, essere sottoposte al vaglio in con-creto da parte del giudice di merito.3) Ove non sia applicabile la disciplina della responsa-bilità ex art. 2051 c.c., per l’impossibilità in concretodell’effettiva custodia del bene demaniale, l’ente pub-blico risponde dei danni da detti beni, subiti dall’uten-te, secondo la regola generale dettata dall’art. 2043c.c., che non prevede alcuna limitazione della responsa-bilità della P.A. per comportamento colposo alle soleipotesi di insidia o trabocchetto. In questo caso graveràsul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia delbene demaniale (e segnatamente della strada), fatto diper sé idoneo - in linea di principio - a configurare ilcomportamento colposo della P.A. sulla quale ricadel’onere della prova dei fatti impeditivi (della propria re-sponsabilità, quali - nella teorica dell’insidia o traboc-chetto - la possibilità in cui l’utente si sia trovato dipercepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la sud-detta anomalia.4) Tanto in ipotesi di responsabilità oggettiva della P.A.ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilitàdella stessa ex art. 2043 c.c., il comportamento colpo-so del soggetto danneggiato nell’uso di bene demania-le (che sussiste anche quando egli abbia usato il benedemaniale senza la normale diligenza o con affidamen-to soggettivo anomalo) esclude la responsabilità dellaP.A., se tale comportamento è idoneo ad interrompereil nesso eziologico tra la causa del danno e il dannostesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa aisensi dell’art. 1227 c.c. comma 1, con conseguente di-minuzione della responsabilità del danneggiante inproporzione all’incidenza causale del comportamentodel danneggiato.

Il casoLa fattispecie nella quale si muove il provvedimento è co-stituita da un’ordinaria azione per il risarcimento del dannoproposta contro il comune da un automobilista, il quale la-menta che nel transitare a bordo della propria vettura lun-go una strada comunale era finito con la ruota posteriore inun tombino scoperto, non segnalato, il cui coperchio eraappoggiato in vicinanza dell’apertura. I giudici del meritorigettano la domanda, sostenendo che, trattandosi di beneappartenente al demanio stradale comunale, non era ipo-tizzabile una responsabilità del Comune a norma dell’art.2051 c.c., ma solo ai sensi dell’art. 2043 c.c., ove fosse stata

Osservatorio di legittimitàa cura di ANTONELLA BATÀ e ANGELO SPIRITO

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ravvisabile un’insidia stradale; che nella fattispecie l’attoreavrebbe potuto far valere la responsabilità da custodia neiconfronti dell’Azienda Municipalizzata Servizi (dotata dipropria soggettività giuridica), in quanto gli operai di taleazienda avevano sollevato il coperchio del tombino; che,nessuna colpa poteva ravvisarsi a carico del Comune, inquanto lo scoperchiamento del tombino costituiva un casofortuito posto in essere da un terzo, che escludeva il nesso dicausalità.

La soluzione della Corte di Cassazione e i collegamenti giurisprudenzialiLa sentenza in commento va segnalata in quanto la Cassa-zione, dopo una serie di tentennamenti in tema di respon-sabilità dell’ente proprietario della strada, fa finalmente ilpunto della situazione, ricucendo precedenti orientamentiin parte o in tutto contrastanti. Del provvedimento si rac-comanda l’integrale lettura, contenendo, peraltro, esso unaesaustiva e dotta ricostruzione della materia.Per giungere alla conclusione di cui alle massime sopra ri-portate, si prospetta l’esistenza di quattro precedenti orien-tamenti delineatisi finora nella giurisprudenza di legitti-mità:a) quello predominante, secondo cui la tutela in questioneè esclusivamente quella predisposta dall’art. 2043 c.c., inquanto la P.A. incontra nell’esercizio del suo potere discre-zionale, nonché nella vigilanza e nel controllo dei beni dinatura demaniale, limiti derivanti dalle norme di legge odi regolamento, nonché dalle norme tecniche e da quelledi comune prudenza e diligenza, ed in particolare dallanorma primaria e fondamentale del neminem laedere (art.2043 c.c.), in applicazione della quale essa è tenuta a far sìche il bene demaniale non presenti per l’utente una situa-zione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedi-bile, che dia luogo al cd. trabocchetto o insidia stradale.Sussiste l’insidia, fondamento della responsabilità risarci-toria ex art. 2043 c.c., della P.A. per danni riportati dall’u-tente stradale, allorché essa non sia visibile o almeno pre-vedibile (Cass. 26 maggio 2004, n. 10132; Cass. 22 aprile1999, n. 3991; Cass. 28 luglio 1997, n. 7062; Cass. 20 ago-sto 1997, n. 7742; Cass. 16 giugno 1998, n. 5989 e moltealtre);b) un orientamento minoritario, invece, riconduce la re-sponsabilità della P.A., proprietaria di una strada pubblica,per danni subiti dall’utente di detta strada, alla disciplina dicui all’art. 2051 c.c., assumendo che la P.A., quale custodedi detta strada, per escludere la responsabilità che su di essafa capo a norma dell’art. 2051 c.c., deve provare che il dan-no si è verificato per caso fortuito, non ravvisabile comeconseguenza della mancanza di prova da parte del danneg-giato dell’esistenza dell’insidia, che questi, invece, non de-ve provare, così come non ha l’onere di provare la condot-ta commissiva o omissiva del custode, essendo sufficienteche provi l’evento danno ed il nesso di causalità con la co-sa (Cass. 22 luglio 1998, n. 4070; Cass. 20 novembre 1998,n. 11749; Cass. 21 maggio 1996, n. 4673; Cass. 3 giugno1982 n. 3392, Cass. 27 gennaio 1988 n. 723);

c) un orientamento intermedio, che è andato sempre piùsviluppandosi negli ultimi tempi, ritiene che l’art. 2051c.c., in tema di presunzione di responsabilità per il dannocagionato dalle cose che si hanno in custodia - in realtà -trova applicazione nei confronti della pubblica ammini-strazione, con riguardo ai beni demaniali, esclusivamentequalora tali beni non siano oggetto di un uso generale e di-retto da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dall’ammini-strazione medesima in situazione tale da rendere possibileun concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedirel’insorgenza di cause di pericolo (Cass. 30 ottobre 1984 n.5567), ovvero, ancora, qualora trattisi di beni demaniali opatrimoniali che per la loro limitata estensione territorialeconsentano una adeguata attività di vigilanza sulle stesse(Cass. 5 agosto 2005, n. 16675; Cass. n. 11446 del 2003;Cass. 1 dicembre 2004, n. 22592; Cass. 15 gennaio 2003, n.488; Cass. 13 gennaio 2003, n. 298; Cass. 23 luglio 2003, n.11446);d) una recente sentenza (Cass. 20 febbraio 2006, n.3651), poi, ribadisce il principio che, poiché custode deibeni demaniali è la P.A., essa risponde dei danni provo-cati da detti beni a norma dell’art. 2051 c.c. La peculia-rità di questa sentenza è nell’escludere che la responsabi-lità del custode ex art. 2051 c.c. costituisca una responsa-bilità oggettiva, cioè “una responsabilità senza colpa”, poi-ché fondamento della responsabilità è la violazione deldovere di sorveglianza, gravante sul custode. Secondo ta-le arresto il caso fortuito, che esclude la responsabilità,non costituisce un elemento esterno che incide sul nessocausale, ritenendo, invece che la prova del fortuito (pro-va liberatoria) attiene alla prova che il danno si è verifi-cato in modo non prevedibile né superabile con l’ade-guata diligenza, per cui la prova del fortuito attiene alprofilo della mancanza di colpa da parte del custode,mentre l’estensione del bene demaniale e l’uso direttodella cosa da parte della collettività sono elementi sinto-matici per escludere tale presunzione di colpa a carico delcustode. Tale sentenza, quindi, non solo inquadra la re-sponsabilità della P.A. per danni da beni demaniali nel-l’ambito dell’art. 2051 c.c., ma soprattutto riporta la re-sponsabilità del custode nell’ambito della responsabilitàper colpa, nella specie presunta.In argomento bisogna anche dar conto di Corte cost. 10maggio 1999, n. 156, la quale ha ritenuto infondata la que-stione di legittimità costituzionale degli articoli 2043,2051 e 1227 c.c., comma 1, in rapporto agli artt. 3, 24 e 97Cost., sulla scorta dei rilievi che, come sottolineato in al-cune sentenze, “la notevole estensione del bene e l’uso genera-le e diretto da parte del terzi costituiscono meri indici dell’im-possibilità del concreto esercizio del potere di controllo e di vigi-lanza sul bene medesimo; la quale dunque potrebbe essere rite-nuta, non già in virtù di un puro e semplice riferimento alla na-tura demaniale del bene, ma solo a seguito di un’indagine con-dotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo cri-teri di normalità”. La Corte costituzionale, nel ritenere nonfondata la questione, richiamato il principio di autore-sponsabilità a carico degli utenti “gravati di un onere di par-

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ticolare attenzione nell’esercizio dell’uso ordinario diretto del be-ne demaniale per salvaguardare appunto la propria incolumità”,ha tra l’altro considerato la nozione di insidia “come unasorte di figura sintomatica di colpa, elaborata dalla esperienzagiurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudi-zio, in base ad una valutazione di normalità, con il preciso finedi meglio distribuire tra le parti l’onere probatorio, secondo uncriterio di semplificazione analitica della fattispecie generatricedella responsabilità in esame”.

RISARCIMENTO DANNI

Cassazione civile, sez. III, 7 luglio 2006, n. 15522 - Pres.Fiduccia - Est. Massera - P.M. Golia (diff.) - R.R. c. Mi-nistero Tesoro

La perdita di chance, consistente nella privazione dellapossibilità di sviluppi o progressioni nell’attività lavo-rativa, costituisce un danno patrimoniale risarcibile,qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nelsuo ammontare) consistente non in un lucro cessante,bensì nel danno emergente da perdita di una possibilitàattuale; ne consegue che la chance è anch’essa una en-tità patrimoniale giuridicamente ed economicamentevalutabile, la cui perdita produce un danno attuale e ri-sarcibile, qualora: a) si accerti, anche utilizzando ele-menti presuntivi, la ragionevole probabilità della esi-stenza di detta chance intesa come attitudine attuale;b) il creditore provi, pur se solo in modo presuntivo osecondo un calcolo di probabilità, la realizzazione inconcreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimen-to del risultato sperato e impedito dalla condotta ille-cita della quale il danno risarcibile deve essere conse-guenza immediata e diretta.

Il casoIl sig. R. cita in giudizio il Ministero del Tesoro per il risar-cimento dei danni conseguenti al mancato riconoscimentodella qualifica di orfano di guerra. Egli sostiene, infatti, diaver dovuto rinunciare ad un posto di lavoro per non averpotuto usufruire di quel titolo, che gli avrebbe consentitol’assegnazione di una sede meno distante dalla sua residen-za, e la perdita di chance con riferimento ad altro posto di la-voro.I giudici del merito rigettano la domanda, ritenendo insus-sistente il rapporto causale tra il fatto denunciato e glieventi lamentati. Il sig. R. propone, allora, ricorso per cas-sazione, assumendo che la Corte territoriale ha preteso diricostruire il danno come un lucro cessante, con riferimen-to al quale occorre una ragionevole certezza della prova del-la sua futura verificazione, anziché come perdita di chance(conseguente all’impossibilità di esibire la qualifica di orfa-no di guerra), danno che consiste nella perdita della possi-bilità di conseguire un risultato futuro favorevole, idoneoad incidere direttamente sul patrimonio del danneggiato, eche può essere provato anche secondo un calcolo di proba-

bilità o per presunzioni e liquidato facendo ricorso al crite-rio equitativo.

La soluzione della Corte di Cassazione e i collegamenti giurisprudenzialiLa S.C. rigetta il ricorso, ricordando - sulla stregua della suaprecedente giurisprudenza - che il danno extracontrattualedeve essere risarcito in tutte le sue componenti, tuttaviaevitando duplicazioni risarcitorie o estensioni che sfilacci-no l’indispensabile collegamento causale tra condotta edevento. In tale quadro si inserisce la cosiddetta perdita di chance,che (vedi Cass., sez. III, n. 9598 del 1998) costituisce un’i-potesi di danno patrimoniale futuro, come tale risarcibile acondizione che il danneggiato dimostri (anche in via pre-suntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fattocerte e puntualmente allegate) la sussistenza d’un validonesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità del-la verificazione futura del danno. Sicché, il creditore hal’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secon-do un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto dialcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultatosperato e impedito dalla condotta illecita della quale ildanno risarcibile deve essere conseguenza immediata e di-retta.Di qui la corrispondenza a questi principi della sentenza dimerito, la quale ha fatto leva proprio sulla inadeguatezza delquadro probatorio offerto dal sig. R. al fine di dimostrare,quanto al concorso bandito dal Ministero dei Monopoli diStato, la verosimiglianza della sua concreta assegnabilità aduna sede più vicina, di cui non ha fornito alcuna indicazio-ne, e alla conseguente accettazione da parte sua, e, quantoal concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzio-ne, la sua collocazione nella graduatoria di merito in posi-zione tale che la produzione del documento gli avrebbeconsentito di ottenere l’assunzione in una sede per lui ac-cettabile.In argomento, cfr. soprattutto Cass. 11 dicembre 2003, n.18945 (in Arch. giur. circ. 2004, 510, in Rass. dir. civ., 2005,528, con nota di Viti, in Resp. civ., 2004, 751, con nota diBastianon), la quale ha ritenuto non provata la perdita dichances lavorative subite da una infortunata in un sinistrostradale, la quale si era limitata ad allegare che, se non coin-volta nel sinistro, avrebbe potuto lavorare per le Poste pri-ma a tempo determinato e poi rientrare nella riserva dei po-sti a tempo indeterminato senza produrre al giudice di me-rito le proposte lavorative effettuatele da Poste Italiane esenza riportarne il contenuto. Così pure per Cass. 18 marzo2003, n. 3999 (in Riv. Corte Conti 2003, 283; Nuova giur.civ. comm., 2003, 871, con nota di Ponticelli, in Giur. it.2003, 1783), la quale ha confermato la sentenza impugna-ta che non aveva riconosciuto, in quanto non provato, ildanno derivante alla parte creditrice per la perdita delle as-serite “occasioni” che il mercato le avrebbe offerto per in-crementare il proprio patrimonio e non sfruttate a causadell’inadempimento dell’altra parte, ritenuta responsabiledi non aver adempiuto agli obblighi scaturenti da una tran-

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sazione avente ad oggetto la divisione giudiziale di beni ere-ditari.

RISARCIMENTO DANNI

Cassazione Civile, sez. I, 28 giugno 2006, n. 14977 -Pres. De Musis - Est. Giuliani - P.M. Ceniccola (diff.) -D.N. c. S.A.A.

Il protesto cambiario, conferendo pubblicità ipso factoall’insolvenza del debitore, non è destinato ad assume-re rilevanza soltanto in un’ottica commerciale-impren-ditoriale, ma si risolve in una più complessa vicenda, diindubitabile discredito, tanto personale quanto patri-moniale, così che, ove illegittimamente sollevato edove privo di una conseguente, efficace rettifica, essodeve ritenersi del tutto idoneo a provocare un dannopatrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell’o-nore e della reputazione del protestato come persona,al di là ed a prescindere dai suoi eventuali interessicommerciali, onde, qualora l’illegittimo protesto vengariconosciuto lesivo di diritti della persona, come quellisopraindicati, il danno, da ritenersi in re ipsa, andràsenz’altro risarcito, non incombendo sul danneggiatol’onere di fornire la prova della sua esistenza.

Il casoIl sig. N. cita in giudizio il sig. P., sostenendo di avergli rila-sciato alcune cambiali di favore, obbligandosi a risarcirgli idanni da mancato pagamento o da protesti che gli fosseroderivati dall’utilizzo delle cambiali medesime. L’attore chie-de, dunque, la condanna del convenuto al pagamento diuna somma di danaro a titolo di risarcimento del dannomateriale e del danno all’immagine derivatogli, per esserestate messe all’incasso quelle cambiali, con relativi protesti.I giudici del merito respingono la domanda, ritenendo, inprimo luogo, che dalla dichiarazione del convenuto, esibitadall’attore, non chiaramente trasparisse l’obbligo di tenereindenne la controparte dai danni derivanti dall’uso dellecambiali. In secondo luogo, affermano che altro motivo dirigetto della domanda sia da ravvisare nella genericità diquesta circa l’ammontare del danno, richiesto in £ 15 mi-lioni, atteso che, se il danno all’immagine non poteva esse-re liquidato se non in via equitativa, il danno materiale de-rivato dall’inadempimento contrattuale doveva esserequantificato o sulla base di una esplicita previsione conte-nuta nel documento o sulla base di una prova offerta in or-dine a quello in concreto subito.Il sig. N. propone ricorso per cassazione. La S.C. lo acco-glie, ritenendo, innanzitutto, che i giudici del merito nonabbiano interpretato secondo corretti canoni ermeneuticila dichiarazione di responsabilità rilasciata dal convenutoall’attore. Quanto, poi, alla seconda ragione del decidere(la necessità di liquidare il danno sulla base di una concre-ta prova offerta), la Corte di cassazione spiega che il giudi-ce avrebbe dovuto liquidare il danno all’immagine in via

equitativa, siccome il protesto cambiario illegittimamentesollevato e non rettificato è idoneo a provocare un dannopatrimoniale che è in re ipsa e che non deve essere, quindi,provato dal danneggiato.

La soluzione della Corte di Cassazione e i collegamenti giurisprudenzialiCon la sentenza in commento risulta ribadito il principiogià affermato da Cass. 5 novembre 1998, n. 11103 (in Ban-ca, borsa, 2000, 35, con nota di Martorano, in Corr. giur.,1999, 998, con nota di Sciso, in Giur. it. 1999, 770, con no-ta di Sanzo), in sede di annullamento di una sentenza concui il giudice di merito, in relazione ad una vicenda di pro-testo cambiario elevato nei confronti di un funzionario dibanca, nonostante la patente contraffazione della data discadenza del titolo di credito, pur avendo ritenuto tanto ilnotaio procedente che l’istituto bancario istante corre-sponsabili a titolo di colpa, aveva poi escluso ogni conse-quenziale risarcimento dei danni patrimoniali - non rite-nendo tali né il trasferimento del funzionario da Milano aRoma, né il rigetto di una successiva domanda di mutuo -nonché ogni lesione della reputazione commerciale delprotestato nel mondo imprenditoriale ed economico.

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DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1149

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LA SEMPLICE ISCRIZIONE ALL’ALBO DEGLIAVVOCATI DEL LUOGO IN CUI SI ESERCITAL’ATTIVITÀ DI GIUDICE DI PACE È CAUSA DIDECADENZA

T.a.r. Lazio, sez. Roma, 29 agosto 2006, n. 7719 - Pres.de Lise - Rel. Barone - G. C. c. Ministero della Giustizia,C.S.M.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del15 aprile 2004, ha deliberato di non confermare il ricorren-te nell’incarico di giudice di pace per la sede di Segni - cir-condario di Velletri, trovandosi lo stesso in una delle situa-zioni di incompatibilità previste dall’articolo 8 della leggen. 374/1991 e successive modificazioni. In particolare, ilprovvedimento è stato adottato in conseguenza dell’accer-tata sussistenza della causa di incompatibilità determinatadall’iscrizione del ricorrente nell’albo del Consiglio del-l’Ordine degli Avvocati di Velletri.Il ricorrente si è così opposto alla deliberazione per: a) vio-lazione di legge; b) eccesso di potere per carenza di istrutto-ria e per contraddittorietà.La deliberazione impugnata avrebbe illegittimamente pari-ficato l’iscrizione all’Albo degli Avvocati all’esercizio dellaprofessione forense, senza considerare che la mera iscrizio-ne non comporta automaticamente l’esercizio dell’attivitànell’ambito del territorio del Tribunale di Velletri.La deliberazione sarebbe in contrasto con la precedente de-libera del 15 settembre 2003, la quale, in risposta ad unquesito formulato dal ricorrente in ordine all’incompatibi-lità dell’esercizio delle funzioni di giudice di pace con l’i-scrizione all’Albo degli Avvocati, richiamando la circolareP-1436 del 21 gennaio 2000, aveva affermato che l’incom-patibilità sussiste ogni qualvolta il giudice di pace eserciti laprofessione forense nel medesimo circondario in modo sta-bile e continuativo.L’amministrazione intimata, infine, si sarebbe limitata adaccertare, sulla base di un esposto, la mera iscrizione all’al-bo senza, però, svolgere alcun accertamento sull’attività li-bero-professionale effettivamente svolta dal ricorrente.Sia nel cautelare che nel merito il ricorso è stato rigettato. L’articolo 6 della legge n. 468/1999 ha novellato l’articolo8 della legge n. 374/1991, introducendovi i commi 1-bis ed1-ter.Il comma 1 bis stabilisce che gli avvocati non possono eser-citare le funzioni di giudice di pace nel circondario del Tri-bunale nel quale esercitano la professione forense ovvero

nel quale esercitano la professione forense i loro associati distudio, il coniuge, i conviventi, i parenti fino al secondogrado o gli affini entro il primo grado. Il comma 1-ter dispone che gli avvocati che svolgono le fun-zioni di giudice di pace non possono esercitare la funzioneforense dinanzi all’ufficio del giudice di pace al quale appar-tengono e non possono rappresentare, assistere o difenderele parti di procedimenti svolti dinanzi al medesimo ufficio,nei successivi gradi di giudizio; il divieto si applica anche agliassociati di studio, al coniuge, ai conviventi, ai parenti entroil secondo grado e agli affini entro il primo grado. Il ricorrente, nella sostanza, ha sostenuto che l’incompati-bilità di cui alle norme citate vada guardata non in astrat-to, bensì in concreto, considerato che la legge professiona-le consente l’esercizio della professione in territorio diversoda quello del circondario di competenza del Tribunale pres-so il quale ha sede l’ordine forense.Di parere diverso il T.a.r. Lazio che, dopo aver richiamato lalegittimità delle circolari del C.S.M. (n. P-15880 del 1 ago-sto 2002 e n. P - 23482 del 23 dicembre 2002) nelle quali siè individuato nell’iscrizione all’albo professionale il dato ri-velatore dell’esercizio della professione forense e nella can-cellazione dall’albo la modalità di rimozione della causa diincompatibilità (sentenza n. 4476/2002 e n. 1001/2001),considera che l’incompatibilità discende dalla semplicepossibilità di esercizio della attività e non dal suo concretosvolgimento.Inoltre, secondo il Collegio, la sanzione della decadenzaespressamente prevista, dalla legge, a fronte di un precisodivieto impedisce alla Amministrazione l’esercizio di unapotestà discrezionale, una volta accertata la violazione deldivieto. giudizio tra le parti.

SUL DANNO DA PERDITA DI CHANCE

T.a.r. Calabria, sez. dist. Reggio Calabria, 28 agosto 2006,n. 1397 - Pres. Rel. Caruso - M. c. Regione Calabria

Il ricorrente ha impugnato la mancata inclusione nell’albodegli aspirante Direttori generali delle ASL della regioneCalabria, per difetto del requisito minimo temporale previ-sto dall’art 3 d.lgs. n 229/1999, consistente nella esperienzaalmeno quinquennale di direzione tecnica, amministrati-va, di enti, aziende, strutture pubbliche o private, in posi-zione dirigenziale con autonomia gestionale e diretta re-sponsabilità delle risorse umane, tecniche, finanziarie, svol-ta nei 10 anni precedenti la pubblicazione dell’avviso.

Osservatorio sulla giustiziaamministrativaa cura di GINA GIOIA

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Il mancato raggiungimento del requisito temporale dipen-deva dal Provvedimento con il quale il Presidente dellaGiunta regionale della Calabria aveva negato al ricorrentela conferma dell’incarico di Direttore generale della ASL n11 della Regione Calabria, risolvendone il contratto già sti-pulato.Tale provvedimento era stato annullato dal T.a.r. ed il ri-corrente è stato reintegrato nelle funzioni solo dopo treprovvedimenti cautelari al Consiglio di Stato, perdendocosì quel servizio utile ai fini della inclusione nell’appositoalbo.Il T.a.r., dopo aver rigettato la sospensione cautelare dell’ef-ficacia del provvedimento, ne accoglieva il ricorso ritenen-dolo fondato sotto il profilo risarcitoria.Osservano i giudici calabresi che il provvedimento di man-cata conferma è stato annullato con sentenza definitiva chelo ha dichiarato illegittimo. Se la prestazione del ricorrentenon fosse stata illegittimamente interrotta, questi avrebbematurato il requisito temporale di legge per l’inclusionenell’albo. Non è revocabile in dubbio pertanto che il prov-vedimento illegittimo è stato fonte di un danno ingiustoper il ricorrente che si è visto negare la possibilità di conse-guire la inclusione nell’albo. Trattasi di un danno da perdita di chance che viene quanti-ficato in via equitativa, senza considerare l’esatto ammon-tare della retribuzione non percepita. È evidente, infatti, e proprio per questo il danno è da chan-ce, che non vi è certezza circa la nomina a Direttore, unavolta ammesso all’albo, potendosi solo valutare la probabi-lità concreta che questo accada.

RESPONSABILITÀ CONTABILE DEL DIRETTOREDEI LAVORI

Corte dei Conti, sez. II, 20 luglio 2006, n. 270 - Pres. DePascalis - Rel. Casaccia - A. V. c. Comune di Como

Il Procuratore di prime cure aveva citato in giudizio il di-rettore dei lavori di un appalto di opera pubblica commit-tente il Comune di Como, per avere lo stesso svolto, le pro-prie incombenze con grave negligenzaIl P.M. aveva contestato al direttore dei lavori innanzituttol’omissione della tenuta del libretto delle misure ed il fattodi avere consentito all’appaltatore di redigere una falsacontabilità delle opere eseguite con un indebito arricchi-mento pari alla somma precitata.I fatti erano emersi dalle indagini del Nucleo della PoliziaTributaria di Como, indagini che poi erano state trasmessecon una perizia alla Procura della Repubblica presso il Tri-bunale di Como.Da questa perizia è risultato che l’Impresa non possedeva leapposite attrezzature ed il necessario know-how ed avevaquindi subappaltato i lavori per lo scavo e la posa in operadi pali di grande diametro alla Ditta Sandon & Co. s.a.s..Dal raffronto dei lavori fatturati dalla citata Ditta e quellicontabilizzati dal direttore dei lavori venne riscontrato chequesti ultimi erano superiori a quelli eseguiti dalla Ditta su-

bappaltatrice con una differenza pari alla somma sopra ci-tata. Ma soprattutto veniva contestata l’omessa istituzionedel libretto delle misure, presupposto indispensabile pertutte le altre scritture contabili, quali il registro di contabi-lità, lo stato di avanzamento dei lavori, i certificati per i pa-gamenti in conto.L’Ing. V. dal canto suo si difendeva affermando di essere sta-to vittima dei raggiri posti in essere dall’appaltatore Capri-le, ma soprattutto eccepiva la prescrizione dell’azione di re-sponsabilità e nel merito contestava ogni addebito.La Sezione di prime cure sul presupposto che si trattava diun danno dolosamente cagionato rispetto al quale il dies aquo del termine prescrizionale di cinque anni decorre dalmomento della scoperta dello stesso danno, faceva decor-rere, appunto, il termine di prescrizione dall’informativadel Nucleo Tributario di Como, datata 19 dicembre 1997.L’Ing. V. impugnava la sentenza ribadendo la violazionedella legge 14 gennaio 1994, n. 20, e la violazione e la falsaapplicazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 42 e 43,Regolamento dei lavori dello Stato eccependo, in via pre-liminare l’improcedibilità dell’azione per intervenuta pre-scrizione, e nel merito, l’insussistenza della responsabilitàper difetto della colpa grave, in quanto lo stesso direttoredei lavori avrebbe compiuto tutte le verifiche di rito men-tre la preordinazione truffaldina dell’Appaltatore avrebbeeluso ogni condotta diligente del direttore dei lavori.L’appello è stata rigettato dalla Corte che ha disatteso l’ec-cezione di prescrizione e confermato la sentenza di primecure.Come è ben noto ai sensi del comma 2 dell’art. 1 della leg-ge 14 gennaio 1994, n. 20, il diritto al risarcimento del dan-no si prescrive in cinque anni decorrenti dalla data in cui siè verificato il fatto dannoso, salvo il caso di occultamentodoloso del danno. In tale ultima evenienza la prescrizionedecorre dalla data della scoperta del pregiudizio ai dannidell’Erario.Tale norma non prevede chi debba essere l’autore dell’oc-cultamento doloso del danno, con la conseguenza che puòverificarsi anche il caso in cui tra l’autore dell’occultamen-to doloso del danno ed il responsabile del danno erarialenon vi sia una coincidenza. In altre parole, la norma giustifica l’inerzia dell’Ammini-strazione quando oggettivamente si è verificato comunqueun comportamento doloso che non ha consentito all’Am-ministrazione di far valere le proprie ragioni se non dal mo-mento stesso in cui il fatto dannoso è stato scoperto.Il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione nellafattispecie in giudizio è stato così fatto coincidere con ilmomento in cui il fatto dannoso è stato scoperto, ossia daquando la Polizia Tributaria di Como il 19 dicembre 1997ha rilevato la contabilizzazione di somme maggiori da partedell’Impresa appaltatrice rispetto ai lavori effettivamentesvolti. Nel merito, il Collegio ha osservato che lo stesso giudicepenale con la sentenza di assoluzione n. 1992/2000, che pe-raltro è stata invocata dall’Appellante, ha evidenziato cheil Direttore dei lavori, ha contribuito materialmente, me-

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diante la contabilizzazione dei pali per una lunghezza supe-riore a quella fatturata e dei corrispondenti quantitativi diferro, alla consumazione del delitto di truffa (reato cui è sta-to condannato l’Appaltatore).L’appaltatore, in altre parole, ha conseguito un ingiusto pro-fitto con pregiudizio per le finanze dell’Amministrazione aseguito di un esborso di denaro superiore a quello dovuto peruna contabilizzazione di maggiori quantitativi. E tutto que-sto è stato possibile proprio perché il Direttore dei lavori, hatenuto una condotta gravemente negligente consistente nelnon aver provveduto a tenere a regola d’arte il libretto dellemisure e con una superficialità delle stesse verifiche.L’impresa appaltatrice proprio di queste negligenze ha po-tuto avvantaggiarsi e conseguire l’ingiusto profitto, a dannodell’Amministrazione.A tal uopo i giudici hanno osservato che a responsabilitàdel direttore dei lavori è ben definita dall’art. 124 del d.P.R.

n. 554/1999, ovverosia lo stesso direttore ha la responsabi-lità di tutto l’ufficio dei lavori e dell’accettazione dei mate-riali sulla base dei controlli eseguiti. Anche in precedenzala responsabilità del direttore dei lavori era puntualmentedisciplinata dal R.D. n. 350 del 1895, e cioè a dire il diret-tore dei lavori deve assumere ogni iniziativa ed effettuareogni controllo affinché i lavori siano eseguiti a regola d’ar-te ed in conformità al progetto ed al contratto. Ancorché lapresenza del direttore dei lavori non sia necessariamentecontinua presso il cantiere, tuttavia l’insufficienza dei con-trolli e soprattutto la mancata istituzione del libretto dellemisure, che è stata rilevata anche nella sentenza penale diassoluzione, costituiscono elementi sufficienti alla sussi-stenza della colpa grave.Pertanto il Collegio ha ritenuto sussistessero tutti gli ele-menti soggettivi e oggettivi della responsabilità ammini-strativa del Direttore dei Lavori.

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GIURISPRUDENZA•SINTESI

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INTERVENTI•LAVORO

1. PremessaL’Inail non dispone di strumenti utili a impedire o repri-mere comportamenti potenzialmente dannosi o, perquello che qui interessa, comportamenti tendenzial-mente “mobbizzanti”. L’Ente svolge, invece, un’attivitàdi carattere preventivo che si sostanzia, soprattutto, inattività di carattere formativo e nell’attribuzione di in-centivi e vantaggi alle imprese che investono in sicurez-za o che riescono, comunque, a garantire un abbatti-mento degli infortuni e delle malattie professionali deipropri lavoratori; ma la sua funzione principale, oltre al-le pur rilevanti attività di cura e riabilitazione, rimanesoprattutto quella di indennizzare i lavoratori colpiti daeventi pregiudizievoli collegati all’attività lavorativasvolta, assicurando mezzi adeguati alle loro esigenze divita (v. art. 38, comma 2 Cost.).Presupposti essenziali ai fini della tutela degli infortuni edelle malattie professionali sono, da un lato, il verificar-si di quella che possiamo genericamente definire “lesio-ne”, dall’altro, la sussistenza di un nesso tra tale pregiudi-zio ed il lavoro. L’assenza del danno indennizzabile, chepuò consistere in una inabilità di carattere temporaneoe/o in postumi permanenti e/o anche nella morte del-l’assicurato, comporta dunque l’estraneità della fattispe-cie rispetto all’effettivo raggio di azione dell’assicurazio-ne pubblica.Orbene, considerato che «il mobbing non è una patolo-gia, ma è una situazione (…) non è un problema dell’in-dividuo, ma è un problema dell’ambiente di lavoro (…)non è depressione, ansia, insonnia, gastrite, stress, oquant’altro, ma è la spiegazione di questi disturbi (…)insomma non è l’effetto, ma è la causa!” (1), va subitosottolineato che l’Inail non si interessa del mobbing in sé,ma soltanto del pregiudizio alla salute che da tale situa-zione eventualmente derivi al lavoratore.In relazione poi al secondo presupposto della tutela, os-sia l’esistenza del collegamento tra il danno e l’attività

lavorativa, è forse opportuno ricordare che, specie nel-l’ultimo decennio, tale collegamento è stato interpreta-to in senso molto ampio, giungendo così ad una notevo-le estensione dell’ambito di intervento del sistema diprotezione sociale. Invero, secondo la vetusta teoria delcarattere assicurativo della tutela contro gli infortuni e lemalattie professionali, il pregiudizio subito dal lavorato-re sarebbe meritevole di protezione soltanto in presenzadel rischio specifico in rapporto al quale viene pagato ilpremio assicurativo. Questa concezione, però, nono-stante dottrina (2) e giurisprudenza continuino spesso afar riferimento al “rischio professionale”, sembra ormaisuperata nei fatti; basterà pensare alla protezione accor-data all’infortunio in itinere, evento assolutamente indi-pendente dal rischio in relazione al quale vengono corri-sposti i contributi, ed alla tutela di soggetti, come le ca-salinghe o gli studenti, che non possono neppure essereconsiderati lavoratori in senso stretto, per poter afferma-re che oggi, ai fini della garanzia previdenziale, si può se-renamente prescindere dalla professionalità del rischio(3). Ormai, perciò, la nozione di causa lavorativa è attaa ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni incui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale, ma anche lanocività riconducibile all’organizzazione delle attività la-vorative.Ecco, allora, che anche il pregiudizio derivante dalla cat-tiva organizzazione del lavoro - voluta e non - trova spa-zio nel sistema di protezione sociale.

Atti e comportamenti vessatori

L’Inail e la tutela previdenziale del danno da mobbingdi GUGLIELMO CORSALINI*

Il danno da mobbing rappresenta un’ipotesi particolare rispetto a quella più ampia del pregiudizio co-munque riconducibile all’eventuale nocività dell’organizzazione del lavoro. Nel sistema di sicurezza so-ciale, allora, ai fini della protezione previdenziale, conta soltanto la sussistenza di una patologia ri-conducibile all’attività lavorativa svolta dall’assicurato, per cui non rileva se essa sia stata o meno de-terminata da comportamenti volontariamente vessatori posti in essere nei confronti del lavoratore.Una volta riscontrata la tecnopatia, essa merita ogni tipo di intervento previsto dalla normativa a tu-tela degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.

Note:

* Avvocato - Professore a contratto presso l’Università di Macerata.

(1) V. H. Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, Milano, 2002,11.

(2) Cfr., tra gli altri, Pontrandolfi, Il mobbing e l’assicurazione contro gliinfortuni sul lavoro e le malattie professionali, in Riv. inf. e mal. prof., 2002, I,19 ss.

(3) Cfr. Corsalini, Gli infortuni sulle vie del lavoro, Padova, 2005, 10 s.

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2. Tutela previdenziale del danno da “costrittività organizzativa”In questo senso, si può affermare che il mobbing viene tu-telato quale espressione estrema di quel fenomeno piùgenerale che viene chiamato “disfunzione dell’organizza-zione di lavoro” o, anche, “costrittività organizzativa”(4). Più in particolare, il mobbing, secondo la definizionedella Corte Costituzionale, è quel «complesso fenomenoconsistente in una serie di atti o comportamenti vessato-ri, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di unlavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoroin cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un in-tento di persecuzione ed emarginazione, finalizzati all’o-biettivo primario di escludere la vittima dal gruppo»(sent. 19 dicembre 2003, n. 359) (5); si tratta quindi diuna situazione caratterizzata dalla sistematicità e durataconsiderevole delle azioni persecutorie e dalla loro desti-nazione alla distruzione psicologica, sociale e professio-nale della vittima.Se, quindi, nel mobbing la condotta dell’autore è propriovolta ad emarginare, umiliare, aggredire la vittima (percui si sostiene dai più che si sarebbe in presenza dell’ele-mento soggettivo qualificabile come “dolo specifico”),questo elemento soggettivo non appare presente ed in-dispensabile in tutte le situazioni di “costrittività orga-nizzativa” che determinano disagi e difficoltà al lavora-tore: può capitare, per esempio, che il datore di lavoroponga in essere una serie di atti (anche omissioni), chenel loro complesso finiscono per penalizzare o emargina-re il proprio dipendente, e ciò faccia solo per negligenzao scarsa attenzione; del resto, il lavoratore potrebbe tro-varsi a svolgere la sua opera in condizioni disagiate, nonperché qualcuno voglia pregiudicarlo, ma soltanto per-ché l’impresa ove lavora non dispone di strutture o at-trezzature idonee; in caso di pluralità di autori di com-portamenti vessatori, poi, ognuno di essi potrebbe agireanche senza la consapevolezza dell’attività concorrentedegli altri e, quindi, senza la coscienza del carattere lesi-vo del proprio gesto.Correttamente, allora, l’intervento del sistema di sicu-rezza sociale non solo nell’ipotesi del mobbing, ma in ognicaso in cui la cattiva organizzazione del lavoro abbia de-terminato un danno (indennizzabile) al lavoratore, erastato espressamente disciplinato dalla circolare n. 71 del17 dicembre 2003. Tale provvedimento, però, è stato ri-tenuto illegittimo dal T.a.r. del Lazio con sentenza del 4luglio 2005, n. 5454, fortemente criticata dalla dottrina(6) ed attualmente sottoposta a giudizio di impugnazio-ne.In ogni caso, tuttavia, com’è stato autorevolmente affer-mato, «l’impatto dell’annullamento della circolare del-l’Inail sarà probabilmente modesto» (7); infatti, anche aprescindere da detta circolare, la protezione previdenzia-le del danno da mobbing e, più in generale, del danno da“costrittività organizzativa” trova la sua fonte nella stes-sa disciplina della tutela degli infortuni e delle malattieprofessionali, almeno così come si è evoluta adeguando-

si ai principi costituzionali di ampia protezione del lavo-ratore.In sostanza il danno da “costrittività organizzativa” nonpuò avere un trattamento deteriore rispetto a quello ri-servato a qualunque altra malattia professionale non ta-bellata.

3. Danno da “costrittività organizzativa” come malattia professionaleSi tratta, in effetti, di malattia professionale, anche senon può escludersi a priori che in taluni casi il pregiudi-zio da cattiva organizzazione del lavoro possa configurar-si quale infortunio sul lavoro. L’infortunio, come noto, si

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INTERVENTI•LAVORO

Note:

(4) Una tipizzazione dei comportamenti vessatori e discriminatori sul la-voro era stata da tempo tracciata dalla dottrina e, più di recente, indicatadall’art. 2 della legge della Regione Lazio 11 luglio 2002, n. 16 (dichiara-ta incostituzionale dalla sentenza della Consulta n. 359/2003, cit.). Un’e-semplificazione di quelle che vengono designate come “disfunzioni del-l’organizzazione del lavoro”, o situazioni di “costrittività organizzativa”, èstata prevista dal decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche So-ciali del 27 aprile 2004 (pubblicato sulla G.U. 10 giugno 2004, n. 134),che sul punto ha sostanzialmente ricalcato la circolare INAIL - concer-nente proprio i “disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro”- del 17 dicembre 2003, n. 71. In base a tale d.m., il mobbing si può estrin-secare nelle seguenti condotte:– marginalizzazione dalla attività lavorativa, svuotamento delle mansioni,mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata, man-cata assegnazione degli strumenti di lavoro, ripetuti trasferimenti ingiusti-ficati;– prolungata attribuzione di compiti dequalificanti o con eccessiva fram-mentazione esecutiva, rispetto al profilo professionale posseduto;– prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi, anche in re-lazione ad eventuali condizioni di handicap psico-fisici;– impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie;– inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’or-dinaria attività di lavoro;– esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di ri-qualificazione e aggiornamento professionale;– esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo;– altre assimilabili.Non sembra possano invece essere ricondotti al mobbing, come precisatodall’INAIL nella circolare citata, quei fattori organizzativo-gestionali le-gati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione,trasferimento o legittimo licenziamento) e le situazioni indotte dalle di-namiche psicologiche-relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro chea quelli di vita, ossia quelle conflittualità interpersonali e difficoltà rela-zionali che fanno parte dei normali rapporti umani. Si ritiene allora con-divisibile, in tal senso, la decisione del giudice di merito, confermata dalSupremo Collegio (sent. 8 agosto 1997, n. 7380), con la quale è stataesclusa l’illiceità del comportamento del datore di lavoro che, nel corso diuna cena con la segretaria, le aveva dichiarato il suo d’amore e, dopo aver-le regalato un anello, aveva tentato di darle un bacio.

D’altra parte, lo stress e il disagio del lavoratore potrebbero anche dipen-dere da comportamenti legati esclusivamente alla sua personalità, al suocarattere, al suo spirito competitivo; l’ambizione, l’aspirazione alla ric-chezza ed al potere, purtroppo, fanno parte della fragilità della naturaumana, e, quando finiscono per rappresentare la ragione principale di ri-valità, frustrazione, sofferenza e malattia, non possono comportare il di-ritto alla tutela (“chi è causa del suo mal pianga sé stesso”).

(5) Cfr. anche, da ultimo, Cass. 6 marzo 2006, n. 4774.

(6) V. Giubboni, L’INAIL e il mobbing, in Riv. dir. sic. soc., 2005, n. 3, 561s.

(7) V. Giubboni, op. cit., 571.

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ha quando la lesione deriva da una causa violenta, con icaratteri della rapidità (massimo una giornata lavorati-va) e della estrinsecità, in occasione di lavoro.Orbene, quando un danno deriva da un singolo, magarigrave, comportamento di “costrittività organizzativa” omobbizzante (si pensi all’ipotesi del licenziamento intronco illegittimo, che produca un’eccezionale reazioneemotiva nel lavoratore, tale da provocare un ictus o uninfarto, oppure da indurlo al suicidio), almeno in questocaso l’evento dovrebbe più propriamente configurasi co-me infortunio. Del resto, un’apertura in tal senso si evin-ceva nella stessa circolare dell’Inail sopra ricordata, nelpunto in cui si precisava che le fattispecie che si caratte-rizzano in termini di «evento acuto (…) devono trovarenaturale collocazione nell’ambito dell’infortunio lavora-tivo». Normalmente, però, la fattispecie meglio si collo-ca nell’ambito delle malattie professionali in quanto, co-me si è già detto, le disfunzioni dell’organizzazione del la-voro consistono in situazioni di lunga durata, che posso-no progressivamente incidere sulla salute della vittima e,come noto, si parla proprio di tecnopatia quando la pa-tologia deriva da una causa lenta e sussiste un vero e pro-prio nesso eziologico (non di semplice occasionalità)con l’attività lavorativa svolta.La malattia conseguente a “costrittività organizzativa”,naturalmente, è da considerarsi ad origine multifattoria-le e, come tale, necessita di concreta e specifica dimo-strazione, quanto meno in via probabilistica, circa la sus-sistenza della sua connessione causale con il lavoro.

4. (Segue): tecnopatia a denuncia obbligatoriaex d.m. 27 aprile 2004A questo proposito va ancora sottolineato che tale tec-nopatia è stata ricompresa nell’elenco delle malattie al-legato al d.m. 27 aprile 2004, emanato in forza dell’art.10 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38. Pro-prio con questo art. 10 il legislatore ha recepito definiti-vamente il così detto sistema misto di tutela delle malat-tie professionali (introdotto nel nostro ordinamento dal-la famosa sentenza della Corte Costituzionale 18 feb-braio 1988, n. 179), in base al quale possono essere con-siderate tecnopatie, non solo quelle così dette ‘tabella-te’(elencate negli allegati dell’art. 3 e 211 del T.U.1124/65), ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata lacausa lavorativa. È vero che l’elenco allegato al d.m. del27 aprile 2004 riguarda le malattie per le quali è obbliga-toria la denuncia ai sensi dell’art. 139 T.U. (e non le ma-lattie tabellate in senso proprio), ma comunque questemalattie vanno tenute sotto osservazione anche ai finidella revisione delle tabelle di cui agli artt. 3 e 211 cita-ti.L’elenco è stato suddiviso in tre liste: I) malattie la cuiorigine lavorativa è di elevata probabilità; II) malattie lacui origine lavorativa è di limitata probabilità; III) ma-lattie la cui origine lavorativa è possibile.Le malattie psichiche e psicosomatiche derivanti da “co-strittività organizzativa” sono inserite nella lista II); con

questa collocazione assegnata a tali patologie, quantun-que l’assicurato non possa avvalersi della presunzione le-gale d’origine, di certo egli sarà agevolato nell’onere difornire la prova della sussistenza del nesso eziologico trale affezioni stesse, ritenute appunto di probabile originelavorativa, e le disfunzioni dell’organizzazione del lavoronelle quali sia stato eventualmente coinvolto. D’altraparte, una volta chiarito, come sopra si è tentato di fare,che il danno derivante da cattiva organizzazione del la-voro merita tutela a prescindere dalla configurabilitàdella fattispecie come mobbing, si dovrebbe giungere adun ulteriore alleggerimento dell’onere probatorio in ca-po al lavoratore; non appare, infatti, indispensabile la di-mostrazione particolarmente difficoltosa dell’elementosoggettivo del “dolo specifico”, ossia della volontarietàdelle vessazioni subite nell’ambiente lavorativo, essendosufficiente che il lavoratore provi che si sono verificatesituazioni di “costrittività organizzativa” con riflessi ne-gativi sulla sua salute, indipendentemente dalle inten-zioni del datore di lavoro o dai suoi preposti e collabora-tori (8).

5. Pregiudizio indennizzabileIl danno che può derivare dalla difettosa organizzazionedel lavoro può essere più o meno grave, in considerazio-ne delle specifiche situazioni e delle capacità di resisten-za e reazione di chi lo subisce; si può verificare l’insor-genza nel lavoratore di disturbi di vario tipo e, a volte, dipatologie psicotiche, complessivamente indicati comesindrome da stress post-traumatico; si può pervenire poi,nei casi più gravi, al compimento da parte della vittimadi atti di autolesionismo, fino al suicidio.L’assicurato può patire allora un danno patrimoniale, co-me pregiudizio alle capacità professionali o, comunque,alla vita professionale, consistente nella cessazione del-l’attività lavorativa o magari soltanto nella perdita dichances; inoltre, può anche subire un danno biologico,per le conseguenze psicosomatiche derivanti dalle an-gherie ricevute; può, infine, risentire un danno morale,tradizionalmente inteso come sofferenza psichica e pate-ma d’animo (9).Nella lista II, sopra richiamata, gruppo 7, vengono indi-cate come malattie psichiche e psicosomatiche da co-strittività organizzative soltanto: a) il disturbo dell’adat-tamento cronico (con ansia, depressione, reazione mista,alterazione della condotta e/o della emotività, disturbisomatiformi); b) il disturbo post-traumatico cronico dastress. Dovendo allora procedere alla valutazione deldanno biologico in ambito Inail (il cui indennizzo, come

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INTERVENTI•LAVORO

Note:

(8) Sull’onere della prova nelle cause di mobbing cfr., da ultimo, Cass. 25maggio 2006, n. 12445; Cass., sez. un., 24 marzo 2006 n. 6572, in questaRivista, 2006, 852 ss., con nota di Malzani, Il danno da demansionamentoprofessionale e le Sezioni Unite.

(9) Cfr., a proposito di un caso di dequalificazione professionale, Cass.,sez. lav., 26 maggio 2004, n. 10157, in Giust. civ. Mass., 2004, 5.

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noto, è stato introdotto ad opera dell’art. 13 del decreton. 38/2000), per tali patologie, tenendo conto della ta-bella delle menomazioni di cui al d.m. 12 luglio 2000,sembrerebbe consentito utilizzare esclusivamente le duevoci che attengono entrambe al solo disturbo post-trau-matico da stress cronico, di grado moderato (voce 180) edi grado severo (voce 181); stando così le cose, poichédette voci prevedono una quantificazione dei postumi,rispettivamente, fino al sei e fino al quindici per cento, sipotrebbe arrivare a riconoscere all’assicurato solamenteun indennizzo in capitale del danno e mai una rendita(che viene accordata per postumi pari o superiori al sedi-ci per cento).In realtà, le possibili conseguenze della cattiva organizza-zione dell’attività lavorativa non sono solo quelle indi-cate nella lista, ma, come già rilevato, potrebbero esseremolteplici, compreso, nei casi estremi, la stessa morte dellavoratore; la lista delle malattie di cui al d.m. del 27aprile 2004, allora, ad avviso di chi scrive, non può im-pedire il riconoscimento di altri eventuali danni chel’interessato dimostri essere derivati dalle angherie subi-te sul lavoro o, più in generale, dalle situazioni di costrit-tività, in quanto una tale preclusione sarebbe in contra-sto con i principi fondamentali di tutela del lavoratore.Da ciò discende che ogni prestazione di legge (indennitàdi temporanea, indennizzo del danno biologico in capi-tale ed in rendita, assegno funerario, rendita ai supersti-ti, ecc.) deve essere garantita all’assicurato.

6. Tutela previdenziale e tutela civilistica del dannoNaturalmente la protezione previdenziale dell’eventonon può pregiudicare il diritto del lavoratore ad ottene-re l’integrale ristoro del danno subito, come garantitodalla normativa civilistica (10). Difatti, le prestazionipreviste dal sistema di sicurezza sociale non hanno loscopo di risarcire il danno nell’esatta misura in cui si èprodotto, bensì assolvono ad una funzione sociale, es-sendo, come già detto, finalizzate a garantire mezzi ade-guati alle esigenze di vita del lavoratore (art. 38 Cost.) e,quindi, a liberare rapidamente il lavoratore dal bisognoconseguente all’infortunio o alla malattia, sulla base diuna logica transattiva (11). Se, di conseguenza, con l’in-troduzione della tutela previdenziale del danno biologi-co, si è pervenuti ad una più ampia tutela del lavoratoreinfortunato, permane, tuttavia, una sostanziale differen-za tra sistema indennitario e sistema risarcitorio; ciò, nonsolo perché risulta diversa la quantificazione del dannobiologico nei due ambiti di protezione, ma anche perchéla tutela civilistica garantisce il ristoro di pregiudizi nonindennizzati dall’assicurazione obbligatoria contro gliinfortuni, che sono rappresentati dalle menomazionipermanenti di grado inferiore al minimo indennizzabile(danno in franchigia), dal danno morale, dal danno bio-logico temporaneo, dal danno biologico da morte subitodai superstiti, dalle congrue spese mediche per le qualinon è previsto il rimborso da parte dell’Ente previden-

ziale, e, almeno parzialmente, dal pregiudizio alla capa-cità lavorativa specifica (12). Quindi, nel caso in cui ildatore di lavoro non possa avvalersi dell’esonero da re-sponsabilità (di cui all’art. 10, comma 1, T.U.1124/1965), come avviene normalmente in caso di dan-no provocato da cattiva organizzazione del lavoro e, an-cor più, da mobbing (13), al lavoratore infortunato nondeve essere preclusa la stessa integrale tutela spettante aqualsiasi altro cittadino, con il conseguente concorso traprotezione previdenziale e tutela civilistica dell’evento.

7. ConclusioniIn conclusione, sembra si possa sostenere che la tutelaprevidenziale del danno da “costrittività organizzativa”,almeno in via di principio, sia del tutto adeguata. Più ingenerale, nel nostro ordinamento appaiono già validi edefficaci gli strumenti di protezione del lavoratore da ogniipotesi, dolosa o colposa, di cattiva organizzazione del la-voro. Non si può tuttavia pretendere, richiamandoquanto sostenuto in altra occasione da chi scrive (14),che il sistema di tutela giuridico giunga a contrastareogni disagio e sofferenza comunque presenti nel mondodel lavoro; non si può chiedere allo Stato, come pure daqualcuno suggestivamente sostenuto (15), di garantirepersino il diritto alla felicità del lavoratore.Pur non volendo aderire al pessimismo cosmico del Poe-ta, che tanto si è occupato del desiderio di felicità del-l’uomo, secondo il quale dentro covile o cuna, / è funesto achi nasce il dì natale (16), si deve accettare l’idea che spes-so il dolore e la malattia sono situazioni estranee ad ognisistema giuridico di tutela; piaccia oppure no, si è co-stretti a riconoscere che il travaglio usato non può essereogni giorno e per tutti i lavoratori motivo di gioia.

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/20061156

INTERVENTI•LAVORO

Note:

(10) Cfr. Corsalini, La tutela del danno biologico da parte dell’INAIL tra no-vità e continuità, in Riv. inf. e mal. prof., 2002, I, 11 ss.

(11) V., tra le altre, Corte cost. 21 novembre 1997, n. 350, in questa Ri-vista, 1998, 141, con nota di D. Poletti, Nuovo invito della Consulta per lariforma dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le tecno-patie.

(12) Cfr. Corsalini, Gli infortuni sulle vie del lavoro, cit., 146 s.

(13) Cfr., ancora, Cass. 6 maggio 2006, n. 4774.

(14) Cfr. Corsalini, Il mobbing: tutela giuridica e protezione previdenziale, inDir. e giust., 2004, n. 33, 89 s.

(15) Cfr., tra gli altri, Mattiuzzo, Il diritto alla felicità sul posto di lavoro, inLav. giur., 2003, 722 ss.

(16) Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.

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INDICE DEGLI AUTORI

Batà AntonellaOsservatorio di legittimità............................................. 1145

Bastianon StefanoTutela antitrust del consumatore finale........................ 1134

Bona MarcoItinerari della giurisprudenza - Quantum del dannopatrimoniale e liquidazione equitativa ......................... 1073

Cassano GiuseppeLa responsabilità dell’ente previdenziale per dannoesistenziale ...................................................................... 1142

Corsalini GuglielmoL’Inail e la tutela previdenziale del danno da mobbing 1153

Cuocci Valentina V.La responsabilità per il danno da autolesione - Dannoautoprocuratosi dall’allievo e responsabilità dell’isti-tuto scolastico................................................................. 1083

Finocchiaro GiuseppeIl litisconsorzio nell’azione diretta verso l’assicurazio-ne r.c.a............................................................................. 1129

Foffa RobertoAnimali selvatici e responsabilità allo stato brado...... 1093

Frumento LucaIntermediazione mobiliare e apparenza del diritto ...... 1116

Gioia GinaOsservatorio sulla giustizia amministrativa.................. 1149

Guerreschi GianlucaLa diligenza professionale del notaio: obblighi di visu-ra e informazione............................................................ 1107

Perna TeresaLa responsabilità per il danno da autolesione - Il de-bole confine tra la responsabilità contrattuale e la re-sponsabilità extracontrattuale: il “contatto sociale” inambito scolastico............................................................ 1084

Prati LucaLe criticità del nuovo danno ambientale: il confusoapproccio del “Codice dell’Ambiente” ........................ 1049

Ronchi EnzoLa formazione del consulente tecnico.......................... 1056

Spirito AngeloOsservatorio di legittimità............................................. 1145

Venturelli AlbertoDanno per irragionevole durata del processo............... 1061

INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTIGiurisprudenza

Corte di cassazione

Civile18 novembre 2005, n. 24456, sez. III............................ 108125 novembre 2005, n. 24895, sez. III............................ 109111 gennaio 2006, n. 264, sez. III ................................... 10997 aprile 2006, n. 8229, sez. I .......................................... 11125 maggio 2006, n. 10311, sez. un. ................................. 112328 giugno 2006, n. 14977, sez. I.................................... 11486 luglio 2006, n. 15383, sez. III ..................................... 11457 luglio 2006, n. 15522, sez. III ..................................... 1147Corte d’appello9 febbraio 2006, n. 374, Napoli, sez. I .......................... 1133Tribunale 18 aprile 2006, Lecce..................................................... 1140Corte dei Conti20 luglio 2006, n. 270, sez. II......................................... 1150Tribunale amministrativo regionale28 agosto 2006, n. 1397, Calabria, sez. dist. ReggioCalabria........................................................................... 114929 agosto 2006, n. 7719, Lazio, sez. Roma ................... 1149

INDICE ANALITICOCircolazione stradaleIl litisconsorzio nell’azione diretta verso l’assicurazio-ne r.c.a. (Cassazione civile, sez. un., 5 maggio 2006, n.10311), con commento di Giuseppe Finocchiaro.......... 1123

Cose in custodiaNesso causale tra la cosa in custodia e il danno arre-cato (Cassazione civile, sez. III, 6 luglio 2006, n.15383), Osservatorio di legittimità............................... 1145

Danni cagionati da animaliAnimali selvatici e responsabilità allo stato brado(Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2005, n.24895), con commento di Roberto Foffa ...................... 1091

Danni non patrimonialiLe criticità del nuovo danno ambientale: il confusoapproccio del “Codice dell’Ambiente”, di Luca Prati... 1049

Danno esistenzialeLa responsabilità dell’ente previdenziale per dannoesistenziale (Tribunale di Lecce 18 aprile 2006), concommento di Giuseppe Cassano .................................... 1140

DANNO E RESPONSABILITÀ N. 11/2006 1157

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Page 106: SOMMARIO - unipa.it · (il c.d. “codice dell’ambiente”), ha invece avuto biso-gno di 18 articoli (e svariati allegati) per disciplinare il nuovo “danno ambientale”, la cui

Equa riparazioneQuantum del danno patrimoniale e liquidazione equi-tativa, a cura di Marco Bona.......................................... 1073Danno per irragionevole durata del processo, a cura di Alberto Venturelli......................................................... 1061

LavoroL’Inail e la tutela previdenziale del danno da mobbing, di Guglielmo Corsalini................................................... 1153

Responsabilità dei maestri e precettoriLa responsabilità per il danno da autolesione (Cassa-zione civile, sez. III, 18 novembre 2005, n. 24456), concommento di Valentina V. Cuocci e Teresa Perna ......... 1081

Responsabilità della P.A.La semplice iscrizione all’albo degli avvocati del luo-go in cui si esercita l’attività di giudice di pace è cau-sa di decadenza (T.a.r. Lazio, sez. Roma, 29 agosto2006, n. 7719), Osservatorio sulla giustizia ammini-strativa.............................................................................. 1149

Responsabilità del medicoLa formazione del consulente tecnico, di Enzo Ronchi 1056

Responsabilità professionaleLa diligenza professionale del notaio: obblighi di visu-

ra e informazione (Cassazione civile, sez. III, 11 gennaio2006, n. 264), con commento di Gianluca Guerreschi . 1099

Risarcimento del dannoPerdita di chance nell’attività lavorativa (Cassazionecivile, sez. III, 7 luglio 2006, n. 15522), Osservatorio dilegittimità ....................................................................... 1147Risarcimento del danno all’immagine derivante daprotesto cambiario (Cassazione civile, sez. I, 28 giugno2006, n. 14977), Osservatorio di legittimità ............. 1148Responsabilità contabile del direttore dei lavori (Cor-te dei Conti, sez. II, 20 luglio 2006, n. 270), Osservato-rio sulla giustizia amministrativa................................... 1150Sul danno da perdita di chance (T.a.r. Calabria, sez. di-st. Reggio Calabria, 28 agosto 2006, n. 1397), Osserva-torio sulla giustizia amministrativa ............................... 1149

Tutela dei consumatoriTutela antitrust del consumatore finale (Corte d’appel-lo di Napoli, sez. I civ., 9 febbraio 2006, n. 374), concommento di Stefano Bastianon..................................... 1133

Tutela dei risparmiatoriIntermediazione mobiliare e apparenza del diritto(Cassazione civile, sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229), concommento di Luca Frumento......................................... 1112

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