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Sigmund Freud Das Unheimliche 1919 Sigmund Freud Il perturbante 1919 AVVERTENZA EDITORIALE Da una lettera a Ferenczi del 12 maggio 1919 sappiamo che Freud, il quale era allora impegnato a comporre Al di là del principio di piacere, aveva deciso di rimandare alle vacanze estive il completamento del testo definitivo di tale opera, e aveva intanto ripreso in esame un vecchio manoscritto riguardante un argomento cui è fatto un rapido cenno in una nota di Totem e tabù (1912-13) p. 92. Freud riscrisse l’articolo riesumato e lo intitolò Das Unheimliche. È difficile stabilire quanto nel testo definitivo corrisponda a quello originario e quanto invece costituisca una novità. Comunque, i riferimenti alla «coazione a ripetere» contenuti a p. 99 furono senz’altro introdotti nel 1919, giacché tale concetto fu sviluppato soltanto in Al di là del principio di piacere che Freud stava allora scrivendo. Anche i riferimenti al problema del “doppio” sono probabilmente successivi all’epoca di Totem e tabù (1912- 13), in quanto si richiamano allo scritto di O. Rank, Der Doppelganger, che fu pubblicato su “Imago” alla fine del 1914. Come Freud stesso dice a p. 83, l’aggettivo tedesco unheimlich non ha una parola che gli corrisponda perfettamente nella lingua italiana (come del resto in altre lingue). Si potrebbero usare volta a volta espressioni diverse, come inquietante, pauroso, sinistro, lugubre, sospetto eccetera. Si è qui preferito il termine perturbante. Das Unheimliche è stato pubblicato su “Imago”, voI. 5(5-6), 297-324 (1919). È stato poi riprodotto in SammIung kleiner Schriften zur Neurosenlehre, voI. 5 (Vienna 1922) pp. 229- 73, in Gesammelte Schriften, voI. 10 (1924) pp. 369-408, in Psychoanalytische Studien an Werken der Dichtung und Kunst (Vienna 1924) pp. 99-138, e in Gesammelte Werke, voI. 12 (1947) pp. 229-68. La presente traduzione riproduce con alcune modifiche la traduzione di Silvano Daniele già apparsa in S. Freud, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio (Boringhieri, Torino 1969) voI. 1, pp. 269-307.

Sigmund Freud Das Unheimliche Il perturbante

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Page 1: Sigmund Freud Das Unheimliche Il perturbante

Sigmund Freud

Das Unheimliche 1919

Sigmund Freud

Il perturbante1919

AvvertenzA editoriAle

Da una lettera a Ferenczi del 12 maggio 1919 sappiamo che Freud, il quale era allora impegnato a comporre Al di là del principio di piacere, aveva deciso di rimandare alle vacanze estive il completamento del testo definitivo di tale opera, e aveva intanto ripreso in esame un vecchio manoscritto riguardante un argomento cui è fatto un rapido cenno in una nota di Totem e tabù (1912-13) p. 92. Freud riscrisse l’articolo riesumato e lo intitolò Das Unheimliche. È difficile stabilire quanto nel testo definitivo corrisponda a quello originario e quanto invece costituisca una novità. Comunque, i riferimenti alla «coazione a ripetere» contenuti a p. 99 furono senz’altro introdotti nel 1919, giacché tale concetto fu sviluppato soltanto in Al di là del principio di piacere che Freud stava allora scrivendo. Anche i riferimenti al problema del “doppio” sono probabilmente successivi all’epoca di Totem e tabù (1912-13), in quanto si richiamano allo scritto di O. Rank, Der Doppelganger, che fu pubblicato su “Imago” alla fine del 1914.

Come Freud stesso dice a p. 83, l’aggettivo tedesco unheimlich non ha una parola che gli corrisponda perfettamente nella lingua italiana (come del resto in altre lingue). Si potrebbero usare volta a volta espressioni diverse, come inquietante, pauroso, sinistro, lugubre, sospetto eccetera. Si è qui preferito il termine perturbante.

Das Unheimliche è stato pubblicato su “Imago”, voI. 5(5-6), 297-324 (1919). È stato poi riprodotto in SammIung kleiner Schriften zur Neurosenlehre, voI. 5 (Vienna 1922) pp. 229-73, in Gesammelte Schriften, voI. 10 (1924) pp. 369-408, in Psychoanalytische Studien an Werken der Dichtung und Kunst (Vienna 1924) pp. 99-138, e in Gesammelte Werke, voI. 12 (1947) pp. 229-68.

La presente traduzione riproduce con alcune modifiche la traduzione di Silvano Daniele già apparsa in S. Freud, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio (Boringhieri, Torino 1969) voI. 1, pp. 269-307.

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I

Der Psychoanalytiker verspürt nur selten den Antrieb zu ästhetischen Unter-suchungen, auch dann nicht, wenn man die Ästhetik nicht auf die Lehre vom Schönen einengt, sondern sie als Lehre von den Qualitäten unseres Fühlens beschreibt. Er arbeitet in anderen Schichten des Seelenlebens und hat mit den zielgehemmten, gedämpften, von so vielen begleitenden Konstellationen abhän-gigen Gefühlsregungen, die zumeist der Stoff der Ästhetik sind, wenig zu tun. Hie und da trifft es sich doch, daß er sich für ein bestimmtes Gebiet der Ästhetik interessieren muß, und dann ist dies gewöhnlich ein abseits liegendes, von der ästhetischen Fachliteratur vernachlässigtes.

Ein solches ist das »Unheimliche«. Kein Zweifel, daß es zum Schreckhaften, Angst- und Grauenerregenden gehört, und ebenso sicher ist es, daß dies Wort nicht immer in einem scharf zu bestimmenden Sinne gebraucht wird, so daß es eben meist mit dem Angsterregenden überhaupt zusammenfällt. Aber man darf doch erwarten, daß ein besonderer Kern vorhanden ist, der die Verwendung eines besonderen Begriffswortes rechtfertigt. Man möchte wissen, was dieser gemein-same Kern ist, der etwa gestattet, innerhalb des Ängstlichen ein »Unheimliches« zu unterscheiden.

Darüber findet man nun so viel wie nichts in den ausführlichen Darstellungen der Ästhetik, die sich überhaupt lieber mit den schönen, großartigen, anziehen-den, also mit den positiven Gefühlsarten, ihren Bedingungen und den Gegenstän-den, die sie hervorrufen, als mit den gegensätzlichen, abstoßenden, peinlichen beschäftigen. Von Seiten der ärztlich-psychologischen Literatur kenne ich nur die eine, inhaltsreiche, aber nicht erschöpfende Abhandlung von E. Jentsch1. Aller-dings muß ich gestehen, daß aus leicht zu erratenden, in der Zeit liegenden Grün-den die Literatur zu diesem kleinen Beitrag, insbesondere die fremdsprachige, nicht gründlich herausgesucht wurde, weshalb er denn auch ohne jeden Anspruch auf Priorität vor den Leser tritt.

Als Schwierigkeit beim Studium des Unheimlichen betont Jentsch mit vollem Recht, daß die Empfindlichkeit für diese Gefühlsqualität bei verschiedenen Men-schen so sehr verschieden angetroffen wird. Ja, der Autor dieser neuen Unterneh-mung muß sich einer besonderen Stumpfheit in dieser Sache anklagen, wo große Feinfühligkeit eher am Platze wäre. Er hat schon lange nichts erlebt oder kennen-

l

È raro che lo psicoanalista si senta spinto verso ricerche estetiche, an-che quando non si riduca l’estetica alla teoria del bello per descriverIa, invece, come la teoria delle qualità del nostro sentire. Egli lavora su altri strati della vita psichica e ha ben poco a che fare con quei moti dell’animo – inibiti nella meta, sfumati e dipendenti da numerosissime costellazioni concomitanti – che costituiscono perlopiù la materia d’in-dagine propria dell’estetica. Può capitare tuttavia ch’egli debba interes-sarsi di tanto in tanto di una determinata sfera dell’estetica, e si tratta allora quasi sempre di alcunché di periferico, negletto dalla letteratura specialistica.

Un caso del genere è rappresentato dal “perturbante”.* Non c’è dub-bio che esso appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che ingenera angoscia e orrore, ed è altrettanto certo che questo termine non viene sempre usato in un senso nettamente definibile, tanto che quasi sem-pre coincide con ciò che è genericamente angoscioso. È lecito tuttavia aspettarsi che esista un nucleo particolare e tale da legittimare l’impiego di una particolare terminologia concettuale. Saremmo lieti di conoscere in cosa consista questo nucleo comune che consente appunto di sceve-rare, nell’ambito dell’angoscioso, un che di “perturbante”.

A questo proposito, nulla praticamente è rintracciabile nelle esau-rienti esposizioni offerte dalI’estetica, che preferisce occuparsi del bello, del sublime, dell’attraente – ossia dei moti dell’animo positivi e delle condizioni e degli oggetti che ad essi danno vita – piuttosto che dei sen-timenti contrari a questi, repellenti e penosi. Nel quadro della bibliografia medico-psicologica non conosco altro che il saggio, succoso ma non esaustivo, di Jentsch.1 Devo peraltro confessare che, per motivi facil-mente immaginabili e attinenti ai tempi attuali,** non ho indagato a fondo nella bibliografia, specialmente in quella di lingua straniera, relativa al tema di questo mio piccolo contributo, il quale, pertanto, si presenta al lettore senza alcuna pretesa di priorità.

La difficoltà che emerge nello studio del perturbante, come sottolinea Jentsch a buon diritto, è che la sensibilità verso questa qualità del sen-tire è sollecitata in maniera diversissima da individuo a individuo. Anzi, l’autore del presente saggio deve accusare una sua particolare sordità in proposito, laddove occorrerebbe invece una ricettività particolarmente acuta. Da parecchio tempo non ha vissuto direttamente e non è venuto a

* [Vedi oltre la nota a p. 83.] ** [La prima guerra mondiale era appena terminata.]

1 E. Jentsch, Zur Psychologie des Unheimlichen, Psychiat.-neurol. Wschr., voI. 8, 195 (1906).

1 Zur Psychologie des Unheimlichen, Psychiatr.-neurolog. Wochenschrift 1906 Nr. 22 u. 23.

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gelernt, was ihm den Eindruck des Unheimlichen gemacht hätte, muß sich erst in das Gefühl hineinversetzen, die Möglichkeit desselben in sich wachrufen. Indes sind Schwierigkeiten dieser Art auch auf vielen anderen Gebieten der Ästhetik mächtig; man braucht darum die Erwartung nicht aufzugeben, daß sich die Fälle werden herausheben lassen, in denen der fragliche Charakter von den meisten widerspruchslos anerkannt wird.

Man kann nun zwei Wege einschlagen: nachsuchen, welche Bedeutung die Sprachentwicklung in dem Worte »unheimlich« niedergelegt hat, oder zusam-mentragen, was an Personen und Dingen, Sinneseindrücken, Erlebnissen und Situationen das Gefühl des Unheimlichen in uns wachruft, und den verhüllten Charakter des Unheimlichen aus einem allen Fällen Gemeinsamen erschließen. Ich will gleich verraten, daß beide Wege zum nämlichen Ergebnis führen, das Unheimliche sei jene Art des Schreckhaften, welche auf das Altbekannte, Längst-vertraute zurückgeht. Wie das möglich ist, unter welchen Bedingungen das Ver-traute unheimlich, schreckhaft werden kann, das wird aus dem Weiteren ersicht-lich werden. Ich bemerke noch, daß diese Untersuchung in Wirklichkeit den Weg über eine Sammlung von Einzelfällen genommen und erst später die Bestätigung durch die Aussage des Sprachgebrauches gefunden hat. In dieser Darstellung werde ich aber den umgekehrten Weg gehen.

Das deutsche Wort »unheimlich« ist offenbar der Gegensatz zu heimlich, hei-

misch, vertraut, und der Schluß liegt nahe, es sei etwas eben darum schreckhaft, weil es nicht bekannt und vertraut ist. Natürlich ist aber nicht alles schreckhaft, was neu und nicht vertraut ist; die Beziehung ist nicht umkehrbar. Man kann nur sagen, was neuartig ist, wird leicht schreckhaft und unheimlich; einiges Neuartige ist schreckhaft, durchaus nicht alles. Zum Neuen und Nichtvertrauten muß erst etwas hinzukommen, was es zum Unheimlichen macht.

Jentsch ist im ganzen bei dieser Beziehung des Unheimlichen zum Neuarti-gen, Nichtvertrauten, stehengeblieben. Er findet die wesentliche Bedingung für das Zustandekommen des unheimlichen Gefühls in der intellektuellen Unsicher-heit. Das Unheimliche wäre eigentlich immer etwas, worin man sich sozusagen nicht auskennt. Je besser ein Mensch in der Umwelt orientiert ist, desto weniger leicht wird er von den Dingen oder Vorfällen in ihr den Eindruck der Unheimlichkeit empfangen.

Wir haben es leicht zu urteilen, daß diese Kennzeichnung nicht erschöpfend ist, und versuchen darum, über die Gleichung unheimlich = nicht vertraut hinaus-zugehen. Wir wenden uns zunächst an andere Sprachen. Aber die Wörterbücher, in denen wir nachschlagen, sagen uns nichts Neues, vielleicht nur darum nicht, weil wir selbst Fremdsprachige sind. Ja, wir gewinnen den Eindruck, daß vielen Sprachen ein Wort für diese besondere Nuance des Schreckhaften abgeht2.

conoscenza di nulla che potesse suscitare in lui l’impressione del pertur-bante, e perciò deve anzitutto trasporsi in questo sentimento evocandone in sé la possibilità. Comunque, difficoltà di questo tipo si fanno sentire potentemente anche in molti altri ambiti dell’estetica: e quindi non dobbia-mo rinunciare alla speranza di trovare dei casi in cui tale carattere viene riconosciuto dalla maggioranza della gente in maniera inequivocabile.

Le strade che possiamo imboccare sono due: esplorare il significato che l’evoluzione della lingua ha sedimentato nel termine “perturbante”, oppure collazionare ciò che, riferito a persone e a cose, a impressioni sensoriali, a esperienze e situazioni, evoca in noi il senso del pertur-bante, per dedurre poi il carattere nascosto del perturbante da qualcosa che accomuni tutti questi casi. Voglio anticipare subito che entrambe le strade portano allo stesso risultato: il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare. Come questo sia possibile, in quali circostanze ciò che ci è consueto e familiare possa diventare perturbante, spaventoso, apparirà chiaro da quanto segue. Voglio far notare ancora che questa ricerca in realtà ha preso le mosse da una serie di casi singoli, e soltanto in se-guito è stata convalidata dalle testimonianze dell’uso linguistico. La mia esposizione seguirà però il cammino inverso.

La parola tedesca unheimlich [perturbante] è evidentemente l’antite-si di heimlich [confortevole, tranquillo, da Heim, casa], heimisch [patrio, nativo], e quindi familiare, abituale, ed è ovvio dedurre che se qualcosa suscita. spavento è proprio perché non è noto e familiare.

Naturalmente, però, non tutto ciò che è n’uovo e inconsueto è spa-ventoso, la relazione non è reversibile; si può dire soltanto che ciò che è nuovo diventa facilmente spaventoso e perturbante; alcune cose nuove sono spaventose, ma certo non tutte. Bisogna aggiungere qual ... cosa al nuovo e all’inconsueto perché diventi perturbante.

Jentsch tutto sommato si è fermato a questa relazione tra il pertur-bante e il nuovo, l’inconsueto. La condizione, essenziale perché abbia luogo il senso del perturbante egli l’individua nell’incertezza intellettuale. Il perturbante sarebbe propriamente sempre qualcosa in cui per cOSI dire non ci si raccapezza. Quanto piu un uomo si orienta nel mondo che lo circonda, tanto meno facilmente riceverà un’impressione di tur-bamento [Unheimlichkeit] da cose o eventi.

È facile rendersi conto che questo contrassegno non è esauriente, e cercheremo quindi di andar oltre l’equazione: perturbante = inconsueto. Esaminiamo in primo luogo alcune lingue straniere. Ma i dizionari che andiamo sfogliando non ci dicono niente di nuovo, forse semplicemente perché noi stessi parliamo un’altra lingua. Anzi, l’impressione che rica-viamo è che in molte lingue manchi un termine che definisca questa particolare sfumatura dello spaventoso2.

2 Für die nachstehenden Auszüge bin ich Herrn Dr. Th. Reik zu Dank verpflichtet. 2 Devo alla cortesia del dottor Theodor Reik gli estratti seguenti.

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Lateinisch (nach K. E. GeoRGes, Kl. Deutschlatein. Wörterbuch 1898): ein unheimlicher Ort –; locus suspectus; in unheimlicher Nachtzeit –; intempesta nocte.

GRiechisch (Wörterbücher von Rost und von schenkL): ξένος; –; also fremd, fremdartig.enGLisch (aus den Wörterbüchern von Lucas, BeLLows, FLüGeL, MuRet-sandeRs): uncom-

fortable, uneasy, gloomy, dismal, uncanny, ghastly, von einem Hause: haunted, von einem Menschen: a repulsive fellow.

FRanzösisch (sachs-ViLLatte): inquiétant, sinistre, lugubre, mal à son aise.spanisch (toLLhausen 1889): sospechoso, de mal aguëro, lúgubre, siniestro.

Das Italienische und Portugiesische scheinen sich mit Worten zu begnügen, die wir als Umschreibungen bezeichnen würden. Im Arabischen und Hebräischen fällt unheimlich mit dämonisch, schaurig zusammen.

Kehren wir darum zur deutschen Sprache zurück.In Daniel Sanders’ Wörterbuch der Deutschen Sprache 1860 finden sich fol-

gende Angaben zum Worte heimlich, die ich hier ungekürzt abschreiben und aus denen ich die eine und die andere Stelle durch Unterstreichung hervorheben will (Bd. 1, S. 729):

Heimlich, a. (-keit, f. -en): 1. auch Heimelich, heimelig, zum Hause gehörig, nicht fremd,

vertraut, zahm, traut und traulich, anheimelnd etc. ( a) (veralt.) zum Haus, zur Familie ge-hörig oder: wie dazu gehörig betrachtet, vgl. lat. familiaris, vertraut: Die Heimlichen, die Hausgenossen; Der heimliche Rath. 1. Mos. 41, 45; 2. Sam. 23, 23. 1 Chr. 12, 25. Weish. 8, 4., wofür jetzt: Geheimer (s. d 1.) Rath üblich ist, s. Heimlicher –; ( b) von Thieren zahm, sich den Menschen traulich anschließend. Ggstz. wild, z. B.: Thier, die weder wild noch heimlich sind, etc. Eppendorf. 88; Wilde Thier . . . so man sie h. und gewohnsam um die Leute aufzeucht. 92. So diese Thierle von Jugend bei den Menschen erzogen, werden sie ganz h., freundlich etc., Stumpf 608 a etc. –; So noch: So h. ist’s (das Lamm) und frißt aus meiner Hand. Hölty; Ein schöner, heimelicher (s. c) Vogel bleibt der Storch immerhin. Linck, Schi. 146. s. Häuslich 1. etc. –; ( c) traut, traulich anheimelnd; das Wohlgefühl stiller Befrie-digung etc., behaglicher Ruhe u. sichern Schutzes, wie das umschlossne, wohnliche Haus erregend (vgl. Geheuer): Ist dir’s h. noch im Lande, wo die Fremden deine Wälder roden? Alexis H. 1, 1, 289; Es war ihr nicht allzu h. bei ihm. Brentano Wehm. 92; Auf einem hohen h-en Schattenpfade . . ., längs dem rieselnden rauschenden und plätschernden Waldbach. Forster B. 1, 417. Die H-keit der Heimath zerstören. Gervinus Lit. 5, 375. So vertraulich und h. habe ich nicht leicht ein Plätzchen gefunden. G[oethe], 14, 14; Wir dachten es uns so bequem, so artig, so gemüthlich und h. 15, 9; In stiller H-keit, umzielt von engen Schranken. Haller; Einer sorglichen Hausfrau, die mit dem Wenigsten eine vergnügliche H-keit (Häus-

Latino (dizionario di K. E. Georges, 1898): un luogo «unheimlich», locus su-spectus; in un’ora “unheimlich Il della notte, intempesta Docte.

GReco (dizionari di Rost e di SchenkI): ξένος, ossia straniero, estraneo. inGLese (dizionari di Lucas, Bellow, FIngeI, Muret-Sanders): uncomfortable,

uneasy, gloomy, dismal, uncanny, ghastly; detto di una casa, haunted; detto di un uomo, a repulsive fellow.

FRancese (Sachs-Villatte): inquiétant, sinistre, lugubre, mal à son alse. spaGnoLo (Tollhausen, 1.889): suspechoso, de mal aguero, lugubre, sinie-

stro.

L’italiano e il portoghese sembrano accontentarsi di parole che defi-niremmo piuttosto come circonlocuzioni.* Nell’arabo e nell’ebraico per-turbante coincide con demoniaco, orrendo.

Torniamo quindi alla lingua tedesca. Nel vocabolario della lingua te-desca di Daniel Sanders troviamo alla parola “heimlich” ** le indicazioni seguenti, che trascrivo qui integralmente e nelle quali metterò in rilievo questo o quel passo ponendolo in carattere corsivo:***

Heimlich, aggettivo (sostantivo Heimlichkeit, plur. Heimlichkeiten): l. Anche heimelich, heimelig, che appartiene alla casa, non straniero, familiare, domesti-co, fidato e intimo, che rammenta il focolare ecc.

a) (Antiquato) appartenente alla casa, alla famiglia, oppure considerato come appartenentevi (cfr. lat. familiaris): Die Heimlichen, coloro che vivono nella stessa casa; Der heimliche Rat (Genesi,. 41.45; .2~amuele, 23.23; l Cronache, 12.25; Sapienza, 8.4), per il quale r espressione consueta è Geheimer Rat [consigliere segreto].

b) Di animali: domestico, che si accosta fiducioso agli uomini, contrario di selvatico, per esempio: “Animali né selvatici né heimlich” ecc. “Animali selvatici ... benché li si allevi heimlich e avvezzandoli alla gente.” “Questi animaletti” allevati fin da cuccioli tra gli uomini diventano com ... pletamente heimlich, amichevoli” ecc. – E ancora: “CosI heimlich è (l’agnello), che prende il cibo dalla mia mano.” “La cicogna resta pur sempre un bell’uccello heimelich.”

c) Fidato, intimo, che rammenta il focolare; il grato senso di quieto appaga-mento ecc., senso di agio, di tranquillità e di sicura protezione, come, quello che suscita la casa confortevole, raccolta nel suo recinto. “Ti senti ancora heimlich nel paese in cui gli stranieri dissodano i tuoi boschi?” “Essa non si sentiva troppo heimlich con lui.” “Per un alto sentiero heimlich, ombroso ... lungo il ruscello che mormorava, frusciava e gorgogliava nel bosco.” “Distruggere la Heimlichkeit del paese natio.” “Non ho trovato facilmente un posticino così appartato e heimlich.” “Ce lo immaginavamo così comodo, cosi grazioso, cosi gradevole e heimlich.” “In quieta Heimlichkeit, circondato da angusti limiti.” “Una donna di casa avveduta,

* [In effetti traducendo con “perturbante” l’aggettivo tedesco “unheimlich” ci rendiamo conto che il termine italiano non corrisponde perfettamente a quello tedesco, in larga mi .. sura intraducibile nella nostra lingua. “Unheimlich n potrebbe esser reso volta a ·volta con “inquietante”, “lugubre”, “sinistro”, “non confortevole”, “sospetto”, t·ambiguo”, “infido”, e designa comunque una sensazione di insicurezza, inquietudine, turbamento o disagio, suscitata da cose, eventi, situazioni o persone.]

** [Grammaticalmente il contrario di “unheimlich”.] *** D. sandeRs, Worterbuch der Deutschen Sprache (Lipsia 1860) voI. 1, p. 729.

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lichkeit) zu schaffen versteht. Hartmann Unst. 1, 188; Desto h-er kam ihm jetzt der ihm erst kurz noch so fremde Mann vor. Kerner 540; Die protestantischen Besitzer fühlen sich . . . nicht h. unter ihren katholischen Unterthanen. Kohl. Irl. 1, 172; Wenns h. wird und leise / die Abendstille nur an deiner Zelle lauscht. Tiedge 2, 39; Still und lieb und h., als sie sich / zum Ruhen einen Platz nur wünschen möchten. W[ieland], 11, 144; Es war ihm garnicht h. dabei 27. 170, etc. –; Auch: Der Platz war so still, so einsam, so schatten-h. Scherr Pilg. 1, 170; Die ab- und zuströmenden Fluthwellen, träumend und wiegenlied-h. Körner, Sch. 3, 320, etc. –; Vgl. namentl. Un-h. –; Namentl. bei schwäb., schwzr. Schriftst. oft dreisilbig: Wie ‘heimelich’ war es dann Ivo Abends wieder, als er zu Hause lag. Auerbach, D. 1, 249; In dem Haus ist mir’s so heimelig gewesen. 4. 307; Die warme Stube, der heimelige Nachmittag. Gotthelf, Sch. 127, 148; Das ist das wahre Heimelig, wenn der Mensch so von Herzen fühlt, wie wenig er ist, wie groß der Herr ist. 147; Wurde man nach und nach recht gemüthlich und heimelig mit einander. U. 1, 297; Die trauliche Heimeligkeit. 380, 2, 86; Heimelicher wird es mir wohl nirgends werden als hier. 327; Pestalozzi 4, 240; Was von ferne herkommt . . . lebt gw. nicht ganz heimelig (heimatlich, freundnachbarlich) mit den Leuten. 325; Die Hütte, wo / er sonst so heimelig, so froh / . . . im Kreis der Seinen oft gesessen. Reithard 20; Da klingt das Horn des Wächters so heimelig vom Thurm / da ladet seine Stimme so gastlich. 49; Es schläft sich da so lind und warm / so wunderheim’lig ein. 23, etc. –; Diese Weise verdiente al lgemein zu werden, um das gute Wort vor dem Veral ten wegen nahe l iegender Verwechslung mit 2 zu bewahren, vgl . : ‘Die Zecks sind al le h. (2) ’ H.? . . Was verstehen sie unter h.? . . –; ‘Nun . . . es kommt mir mit ihnen vor, wie mit e inem zugegrabenen Brunnen oder einem ausgetrock -neten Teich. Man kann nicht darüber gehen, ohne daß es Einem immer ist , a ls könnte da wieder einmal Wasser zum Vorschein kommen. ’ Wir nennen das un-h. ; Sie nennen’s h. Worin f inden Sie denn, daß diese Famil ie etwas Verstecktes und Unzuver lässiges hat? etc. Gutzkow R. 2, 613. –; ( d) (s. c) namentl. schles.: fröhlich, heiter, auch vom Wetter, s. Adelung und Weinhold.

2. versteckt, verborgen gehalten, so daß man Andre nicht davon oder darum wissen lassen, es ihnen verbergen will, vgl. Geheim ( 2.), von welchem erst nhd. Ew. es doch zumal in der älteren Sprache, z. B. in der Bibel, wie Hiob 11, 6; 15, 8; Weish. 2, 22; 1. Kor. 2, 7 etc., und so auch H-keit statt Geheimnis. Matth. 13, 35 etc., nicht immer genau geschieden wird: H. (hinter Jemandes Rücken) Etwas thun, treiben; Sich h. davon schleichen; H-e Zu-sammenkünfte, Verabredungen; Mit h-er Schadenfreude zusehen; H. seufzen, weinen; H. thun, als ob man etwas zu verbergen hätte; H-e Liebschaft, Liebe, Sünde; H-e Orte (die der Wohlstand zu verhüllen gebietet). 1. Sam. 5, 6; Das h-e Gemach (Abtritt). 2. Kön. 10, 27; W[ieland], 5, 256 etc., auch: Der h-e Stuhl. Zinkgräf 1, 249; In Graben, in H-keiten werfen. 3, 75; Rollenhagen Fr. 83 etc. –; Führte h. vor Laomedon / die Stuten vor. B[ürger], 161 b etc. –; Ebenso versteckt, h., hinterlistig und boshaft gegen grausame Herren . . . wie offen, frei, theilnehmend und dienstwillig gegen den leidenden Freund. Burmeister gB 2, 157; Du sollst mein h. Heiligstes noch wissen. Chamisso 4, 56; Die h-e Kunst (der Zauberei). 3, 224; Wo die öffentliche Ventilation aufhören muß, fängt die h-e Machination an. Forster, Br. 2, 135; Freiheit ist die leise Parole h. Verschworener, das laute Feldgeschrei der öffentlich Umwälzenden. G[oethe], 4, 222; Ein heilig, h. Wirken. 15; Ich habe Wurzeln / die sind gar h., / im tiefen Boden / bin ich gegründet. 2, 109; Meine h-e Tücke (vgl. Heimtücke). 30, 344;

che con pochissimo sa creare una piacevole Heimlichkeit (intimità domestica).” “Tanto piu heimlich gli riusciva ora l’uomo che poco prima gli era così estraneo.” “I possidenti protestanti non si sentono ... heimlich tra i loro sudditi cattolici.” “Al-lorché ogni cosa diventa heimIich e sommessa, e soltanto la quiete serale spia alla tua cella.” “Quieto e ridente e heimlich, non potevano desiderare posto mi-gliore per riposare.” “Non si sentiva affatto heimlich. ‘” – Anche [nei composti]: “Il posto era così tranquillo, cosi solitario, cosi schattenheimlich [confortevolmente ombreggiato].” “Le onde che fluivano e rifinivano, sognanti e wiegenlied-heimlich [fidenti come una ninnananna].” Confronta segnatamente Unheimlich [vedi oltre]. – Specialmente nella grafia sveva o svizzera, spesso trisillabico: “Come tornava a sentirsi heimelich Ivo alla sera, quando giaceva a casa sua.” “Nella casa mi ha colto un tale senso heimelig.” “La calda stanza, il meriggio heimelig.” “Questo è il vero heimelig, quando l’uomo sente col cuore quanto egli è poca cosa, e quanto grande è il Signore.” “Via via si diventò sempre piu intimi e heimelig runo con ral-tro.” “La cordiale Heimeligkeit.” “In nessun luogo mi troverò piu heimelich di qui.” “Chi viene da lontano ... non vive del tutto beimelig (a casa sua, in buon vicinato) tra la gente.” “La capanna dove un tempo era stato spesso seduto cosi heimel’ig, in piena gioia, nella cerchia dei suoi.” “Là il corno della guardia echeggia cosi hei-melig dalla torre, là la sua voce .invita con tono così ospitale.” “Ci si addormenta là cosi soavemente nel tepore, cosi miracolosamente heim’lig.” – Quest ’ac-cezione avrebbe meri tato di d iventare generale, per evi tare che i l signi f icato migl iore del termine cadesse in disuso per v ia del faci le scambio con 2 [vedi sot to] . Confronta: “Gl i Zeck [nome di una fa -migl ia] sono tut t i heiml ich’ ( [sornioni ] nel senso 2). – ‘Heiml ich? . . . Che cosa intendete con heiml ich?’ – ‘Ebbene . . . mi destano la stessa sensazione che provo di f ronte a una fonte interrata o a uno stagno prosciugato. Non si può passarvi accanto senza aver sempre l ’ impressione che potrebbe tornare a comparire l ’acqua. ’ – ‘Noi lo chiamiamo unheiml ich; Lei lo chiama ‘heiml ich’ [vedi sot to] . Dove trova Lei che questa famigl ia abbia un qualcosa di nascosto~ che non ispira f iducia?’” (Gutzkow)3.

d) Specialmente nella Slesia: allegro, sereno, detto anche del tempo. 2. Nascosto, tenuto celato, in modo da nòn farlo sapere ad altri o da non far

sapere la ragione per cui lo si intende celare. Fare qualcosa heimlich (dietro le spalle di qualcuno); svignarsela heimlich [di nascosto]; convegni, appuntamen-ti heimlich; guardare con gioia maligna heimlich; sospirare, piangere heimlich; agire heimlich, come se si avesse qualcosa da nascondere; amore, amorazzo, peccato heimIich; parti heimlich (che la decenza impone di tener coperte). (l Sa-muele, 5.6); lo stanzino heirnlich (latrina) (2 Re, 10.27), anche: il seggio heimlich [la seggetta]; gettare in fosse, in Heimlichkeiten. – “Condusse heimlich [furtiva-mente] da Laomedonte le cavalle.” – “Tanto chiuso, heimlich [sornione], insidioso e maligno verso signori crudeli ... quanto aperto, libero, partecipe e servizievole verso l’amico sofferente.” “Devi ancora sapere ciò che per me è piu santo heim-lich [in segreto].” “L’arte heimlich” (la magia). “Là dove non è ammesso di ventila-re le cose in pubblico, inizia la macchinazione heimlich.” “Libertà è la parola sus-surrata heimlich dai cospiratori, il grido di guerra urlato dai sovvertitori dichiarati. .... “Un’influenza santa, heimlich.” “Ho radici che sono heimlich, sono piantato profondamente nella terra.” “La mia malizia heimlich.” “Se non lo accetta aperta-

3 Sperrdruck (auch im folgenden) vom Referenten. 3 Lo spaziato (anche nel seguito) è nell’originale.

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10 11DAS UNHEIMLICHE IL PERTURBANTE, I

Empfängt er es nicht offenbar und gewissenhaft, so mag er es h. und gewissenlos ergreifen. 39, 33; Ließ h. und geheimnisvoll achromatische Fernröhre zusammensetzen. 375; Von nun an, will ich, sei nichts H-es / mehr unter uns. Sch[iller], 369 b. –; Jemandes H-keiten entdek-ken, offenbaren, verrathen; H-keiten hinter meinem Rücken zu brauen. Alexis. H. 2, 3, 168; Zu meiner Zeit / befliß man sich der H-keit. Hagedorn 3, 92; Die H-keit und das Gepuschele unter der Hand. Immermann, M. 3, 289; Der H-keit (des verborgnen Golds) unmächtigen Bann / kann nur die Hand der Einsicht lösen. Novalis. 1, 69; / Sag’ an, wo du sie . . . verbirgst, in welches Ortes verschwiegener H. Sch[iller], 495 b; Ihr Bienen, die ihr knetet / der H-keiten Schloß (Wachs zum Siegeln). Tieck, Cymb. 3, 2; Erfahren in seltnen H-keiten (Zauberkün-sten). Schlegel Sh. 6, 102 etc., vgl. Geheimnis L[essing], 10: 291 ff.

Zsstzg. s. 1c, so auch nam. der Ggstz.: Un-: unbehagliches, banges Grauen erregend: Der schier ihm un-h., gespenstisch erschien. Chamisso 3, 238; Der Nacht un-h., bange Stunden. 4, 148; Mir war schon lang’ un-h., ja graulich zu Muthe. 242; Nun fängts mir an, un-h. zu werden. G[oethe], 6, 330; . . . Empfindet ein u-es Grauen. Heine, Verm. 1, 51; Un-h. und starr wie ein Steinbild. Reis, 1, 10; Den u-en Nebel, Haarrauch geheißen. Immermann M., 3, 299; Diese blassen Jungen sind un-h. und brauen Gott weiß was Schlimmes. Laube, Band. 1, 119; Un-h. nennt man Al les, was im Geheimnis, im Verborgnen.. . b le iben sol l te und hervorgetreten ist . Schel l ing, 2, 2, 649 etc. –; Das Göttliche zu verhüllen, mit einer gewissen U-keit zu umgeben 658, etc. –; Unüblich als Ggstz. von (2), wie es Campe ohne Beleg anführt.

Aus diesem langen Zitat ist für uns am interessantesten, daß das Wörtchen

heimlich unter den mehrfachen Nuancen seiner Bedeutung auch eine zeigt, in der es mit seinem Gegensatz unheimlich zusammenfällt. Das Heimliche wird dann zum Unheimlichen; vgl. das Beispiel von Gutzkow: »Wir nennen das unheimlich, Sie nennen›s heimlich.« Wir werden überhaupt daran gemahnt, daß dies Wort heimlich nicht eindeutig ist, sondern zwei Vorstellungskreisen zugehört, die, ohne gegensätzlich zu sein, einander doch recht fremd sind, dem des Vertrauten, Be-haglichen und dem des Versteckten, Verborgengehaltenen. Unheimlich sei nur als Gegensatz zur ersten Bedeutung; nicht auch zur zweiten gebräuchlich. Wir erfahren bei Sanders nichts darüber, ob nicht doch eine genetische Beziehung zwischen diesen zwei Bedeutungen anzunehmen ist. Hingegen werden wir auf eine Bemerkung von Schelling aufmerksam, die vom Inhalt des Begriffes Unheim-lich etwas ganz Neues aussagt, auf das unsere Erwartung gewiß nicht eingestellt war. Unheimlich sei alles, was ein Geheimnis, im Verborgenen bleiben sollte und hervorgetreten ist.

Ein Teil der so angeregten Zweifel wird durch die Angaben in Jacob und Wil-helm Grimm: Deutsches Wörterbuch, Leipzig 1877 (Bd. 4, 2. Teil, 873 ff.) geklärt:

Heimlich; adj. und adv. vernaculus, occultus; mhd. heimelich, heimlich.S. 874: In etwas anderem sinne: es ist mir heimlich, wohl, frei von furcht . . .[3] b) heimlich ist auch der von gespensterhaften freie ort . . .S. 875: β) vertraut; freundlich, zutraulich.4. aus dem heimat l ichen, häusl ichen entwickel t s ich wei ter der begr i ff

des f remden augen entzogenen, verborgenen, geheimen, eben auch in mehrfacher beziehung ausgebi ldet . . .

mente e in coscienza, p:uò afferrarlo heimlich e senza saperlo.” “Fece montare heimlich e in segreto telescopi acromatici.” “D’ora in avanti, voglio che non ci sia piu niente di heimlich tra noi.” – Scoprire, palesare, tradire le Heimlichkeiten di qualcuno. “Ordire Heimlichkeiten dietro alle mie spalle.” “Ai miei tempi avevamo il senso delle Heirnlichkeiten.” “La Heimlichkeit e i bisbigli coperti dalla mano ..... “Solo la mano del discernimento può sciogliere l’incantesimo impotente della Heimlichkeit (dell’ oro nascosto).” “Di’ dove la nascondi ... in quale luogo di taciuta Heimlichkeit.” “Voi api che impastate il chiavistello delle Hei.mlichkeiten” (la cera da sigillo). “Esperto in rare Heimlichkeiten” (arti magiche).

Per i composti vedi sopra 1 c, e così anche soprattutto per il contrario, “un”: disagevole, che suscita trepidante orrore. “Gli apparve unheimlich come un fan-tasma.” “Le ore unheimlich, trepidanti della notte.” “Da tempo mi dava una sensa-zione unheimlich, anzi orripilante.” “Ora comincio a sentirmi unheimlich.” “Prova un orrore unheimlich.” “Unheimlich e rigido come una figura di pietra.” “La nebbia unheimlich chiamata fumo di capelli. “ “Questi pallidi giovani sono unheimlich e ordiscono Dio sa che nefandezze.” “È detto unheiml ich tut to c iò che dovrebbe restare . . . segreto, nascosto, e che è invece aff iora-to” (Schel l ing). – “Velare il divino, circondarlo con una certa Unheimlichkeit.” Unheimlich è inconsueto come contrario del significato 2.

In questa lunga citazione, la cosa piu interessante per noi è che la parolina beimlich, tra le molteplici sfumature del suo significato, ne mo-stra anche una in cui coincide col suo contrario, unheimlich. Ciò che è heimlich diventa allora unheimlich; confronta l’esempio di Gutzkow: “Noi lo chiamiamo unheimlich; Lei lo chiama heimlich.” Comunque, siamo avvertiti che questo termine heimlich non è univoco, ma appartiene a due cerchie di rappresentazioni che, senza essere antitetiche, sono tut-tavia parecchio estranee l’una all’altra: quella della famìliarità, dell’agio, e quella del nascondere, del tener celato. Nell’uso corrente, unheimlich è il contrario del primo significato, e non del secondo. Sanders non ci dice se non si ‘debba tuttavia ipotizzare una relazione genetica tra questi due significati. La nostra attenzione, per contro, è attirata da un’osserva-zione di Schelling, che contiene un’affermazione completamente nuova sul contenuto del concetto di U nheimlich, una novità che va certamente oltre la nostra aspettativa. U nheimlich, dice Schelling, è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che’ è invece affiorato.

Parte dei dubbi cosi suscitati è chiarita dalle indicazioni contenute nel vocabolario tedesco di Jacob e Wilhelm Grimm (Deutsches Worter-buch, voI. 4 [Lipsia 1877] pt. 2, pp. 873 sgg.):

Heimlich, aggettivo e avverbio: vernaculus, occultus; medio-alto-tedesco, heimellch, heimllch.

(Pagina 874) In senso parzialmente diverso: “mi è heimlich, mi sta bene, non mi suscita timore” ...

[3] b) Heimlich è anche il luogo libero dagli influssi dei fantasmi. (Pagina 875: ß) Familiare, amichevole, fidente.

4. Dal signi f icato di “natale”, “domest ico”, s i svi luppa inol t re i l concetto di: sottrat to a occhi estranei , celato, segreto; concetto che ‘s i è venuto formando in moltepl ic i re lazioni . . . :

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12 13DAS UNHEIMLICHE IL PERTURBANTE, I

S. 876:»links am see liegt eine matte heimlich im gehölz.«

Schiller, Tell I, 4.. . . frei und für den modernen Sprachgebrauch ungewöhnlich . . . heimlich ist zu ei-

nem verbum des verbergens gestellt: er verbirgt mich heimlich in seinem gezelt. ps. 27, 5. (. . . heimliche orte am menschlichen Körper, pudenda . . . welche leute nicht stürben, die wurden geschlagen an heimlichen orten. 1 Samuel 5, 12 . . .)

c) beamtete, die wichtige und geheim zu haltende ratschlage in Staatssachen ertheilen, heiszen heimliche räthe, das adjektiv nach heutigem Sprachgebrauch durch geheim (s. d.) ersetzt: . . . (Pharao) nennet ihn (Joseph) den heimlichen rath. 1. Mos. 41, 45;

S. 878: 6. heimlich für die erkenntnis, mystisch, allegorisch: heimliche bedeutung, my-sticus, divinus, occultus, figuratus.

S. 878: anders ist heimlich im folgenden, der erkenntnis entzogen, unbewuszt: . . .dann aber ist heimlich auch verschlossen, undurchdringlich in bezug auf erfor-

schung: . . .»merkst du wohl? sie trauen uns nicht, fürchten des Friedländers heimlich

gesicht.« Wallensteins lager, 2. aufz. [Szene]9. d ie bedeutung des versteckten, gefähr l ichen, die in der vor igen num -

mer hervortr i t t , entwickel t s ich noch weiter, so dasz heiml ich den sinn emp-fängt, den sonst unheiml ich (gebildet nach heimlich, 3 b, sp. 874) hat: »mir ist zu Zeiten wie dem menschen der in nacht wandelt und an gespenster glaubt, jeder winkel ist ihm heimlich und schauerhaft.« Klinger, theater, 3, 298.

Also heimlich ist ein Wort, das seine Bedeutung nach einer Ambivalenz hin

entwickelt, bis es endlich mit seinem Gegensatz unheimlich zusammenfällt. Un-heimlich ist irgendwie eine Art von heimlich. Halten wir dies noch nicht recht ge-klärte Ergebnis mit der Definition des Unheimlichen von Schelling zusammen. Die Einzeluntersuchung der Fälle des Unheimlichen wird uns diese Andeutungen verständlich machen.

(Pagina 876) l’a sinistra del lago (.n) nel cuore (heimlich) del bosco c’è un prato” (Schiller, Wilhelm Tell, atto l, scena 4) ... licenza poetica, significato incon-sueto nell’uso linguistico moderno... Heimlich è accostato a un verbo che indica l’azione del nascondere: l’egli mi occulterà nel nascondimento (heimlich) del suo padiglione” (Salmi, 27.5) ... Luoghi heimlich nel corpo umano, ·pudenda... Il gli uomini che non morivano erano percossi sulle. parti segrete (heimlich)” (1 Sa-muele, 5.12) ...

c) Funzionari che impartiscono consigli importanti e da tener segreti in affari di Stato si chiamano consiglieri heimlich, ma l’aggettivo nell’uso odierno è sostitu-ito da geheim (segreti) ... “Faraone pose nome a Giuseppe ‘colui cui sono rivelati i segreti’ (consigliere heimlich)” (Genesi, 41.45).

(Pagina 878) 6. Heimlich quanto alla conoscenza: mistico, allegorico; un si-gnificato “heimlich”, mysticus, divinus, occultus, figuratus (Pagina 878) Heimlich ha diverso significato nell’accezione seguente: sottratto alla conoscenza, incon-scio ... Heimlich vale anche: chiuso, impenetrabile alla ricerca ... “ Anche tu l’hai notato. Non si fidano di noi; temono il volto heimlich del duca di Friedland” (Schil-ler, L’accampamento di Wallenstein, scena 2).

9. I l s igni f icato di I l nascosto”, “per icoloso” , che aff iora nel numero precedente, s i svi luppa ul ter iormente, s icché “heiml ich” assume i l s igni-beato abi tualmente propr io a “unheiml ich”: “a volte mi sento come un uomo che vaga nella notte e crede agli spettri; per lui ogni angolo è sinistro (heimlich) e dà i brividi” (Klinger, Theater, 3.298).

Heimlich è quindi un termine che sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere in conclusione col suo contrario: unheim-lich. Unheimlich è in certo modo una variante di heimlich. Paragoniamo questo risultato, non ancora completamente chiarito, con la definizione dell’Unheimlich data da Schelling. L’analisi singola dei casi in cui appare il “perturbante” ci renderà comprensibili questi accenni.

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14 15DAS UNHEIMLICHE IL PERTURBANTE, II

II

Wenn wir jetzt an die Musterung der Personen und Dinge, Eindrücke, Vorgän-ge und Situationen herangehen, die das Gefühl des Unheimlichen in besonde-rer Stärke und Deutlichkeit in uns zu erwecken vermögen, so ist die Wahl eines glücklichen ersten Beispiels offenbar das nächste Erfordernis. E. Jentsch hat als ausgezeichneten Fall den »Zweifel an der Beseelung eines anscheinend leben-digen Wesens und umgekehrt darüber, ob ein lebloser Gegenstand nicht etwa beseelt sei« hervorgehoben und sich dabei auf den Eindruck von Wachsfiguren, kunstvollen Puppen und Automaten berufen. Er reiht dem das Unheimliche des epileptischen Anfalls und der Äußerungen des Wahnsinnes an, weil durch sie in dem Zuschauer Ahnungen von automatischen –; mechanischen –; Prozessen ge-weckt werden, die hinter dem gewohnten Bilde der Beseelung verborgen sein mögen. Ohne nun von dieser Ausführung des Autors voll überzeugt zu sein, wol-len wir unsere eigene Untersuchung an ihn anknüpfen, weil er uns im weiteren an einen Dichter mahnt, dem die Erzeugung unheimlicher Wirkungen so gut wie keinem anderen gelungen ist.

»Einer der sichersten Kunstgriffe, leicht unheimliche Wirkungen durch Erzäh-

lungen hervorzurufen«, schreibt Jentsch, »beruht nun darauf, daß man den Leser im Ungewissen darüber läßt, ob er in einer bestimmten Figur eine Person oder etwa einen Automaten vor sich habe, und zwar so, daß diese Unsicherheit nicht direkt in den Brennpunkt seiner Aufmerksamkeit tritt, damit er nicht veranlaßt wer-de, die Sache sofort zu untersuchen und klarzustellen, da hiedurch, wie gesagt, die besondere Gefühlswirkung leicht schwindet. E. T. A. Hoffmann hat in seinen Phantasiestücken dieses psychologische Manöver wiederholt mit Erfolg zur Gel-tung gebracht.«

Diese gewiß richtige Bemerkung zielt vor allem auf die Erzählung ›Der Sand-mann‹ in den Nachtstücken (dritter Band der Grisebachschen Ausgabe von Hoff-manns sämtlichen Werken), aus welcher die Figur der Puppe Olimpia in den er-sten Akt der Offenbachschen Oper Hoffmanns Erzählungen gelangt ist. Ich muß aber sagen –; und ich hoffe, die meisten Leser der Geschichte werden mir bei-stimmen, –; daß das Motiv der belebt scheinenden Puppe Olimpia keineswegs das einzige ist, welches für die unvergleichlich unheimliche Wirkung der Erzäh-

lI

Se ora passiamo in rassegna le persone e le cose, le impressioni, gli eventi e le situazioni capaci di destare in noi con particolare forza e nitidezza il senso del perturbante, la prima cosa da fare è scegliere un esempio calzante. Jentsch ha rilevato come caso particolarmente adat-to il Il dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero e, viceversa, il dubbio che un oggetto privo di vita non sia per caso animato”, e si è richiamato all’impressione provocata da figure di cera, da pupazzi e da automi. Egli annovera in questa categoria il senso per-turbante destato dagli attacchi epilettici e dalle manifestazioni di pazzia, in quanto fenomeni che suscitano nello spettatore il sospetto che pro-cessi automatici, meccanici, possano celarsi dietro rimmagine consueta degli esseri viventi. Ora, pur senza essere convinti del tutto di questa opinione di Jentsch, vogliamo tuttavia ricollegarci ad essa per la nostra ricerca personale, perché, nel brano che segue, egli richiama la nostra attenzione su un poeta che è riuscito come nessun altro a produrre ef-fetti perturbanti.

“Uno degli espedienti piu sicuri per provocare senza difficoltà effetti perturbanti mediante il racconto”, scrive Jentsch, “consiste nel tenere il lettore in uno stato d’incertezza sul fatto che una determinata figura sia una persona o un automa, facendo in modo, però, che questa incertez-za non focalizzi l’attenzione del lettore, affinché costui non venga indotto ad analizzare subito la situazione e a chiarirla, perché in tal caso, come abbiamo detto, questo particolare effetto emotivo svanirebbe facilmen-te. E. T. A. Hoffmann ha effettuato a piu riprese con successo questa manovra psicologica nei suoi racconti fantastici.”

Questa osservazione, senza dubbio esatta, si riferisce soprattutto al racconto Il mago sabbiolino,* che fa parte della raccolta dei Notturni, e dal quale la figura della bambola Olimpia è passata nel primo atto dell’opera di Offenbach I racconti di Hoffmann. Devo dire però – e spero che la maggior parte dei lettori di questo racconto condividano il mio parere – che il motivo della bambola dotata di vita apparente, cioè di Olimpia, non è affatto il solo al quale si debba attribuire l’effetto incom-

* [Der Sandmann (1816). È una narrazione fantastica, in cui l’autore ci trasporta in un’I-talia affatto immaginaria, dove la novella si svolge. Il titolo deriva dal fatto che il personaggio centrale della novella, il sensitivo e visionario Nathaniel, crebbe, nella sua desolata e cupa infanzia, sotto l’incubo di una fiaba narrata gli dalla governante, secondo la quale un essere fantastico, il Sandrnann, versa sabbia negli occbi dei bambini fino a quando gli occhi stessi, sanguinanti, balzano fuori dalle vuote occhiaie. Singolari circostanze spingono il bambino a identificare con il malefico essere un collaboratore di suo padre negli esperimenti di alchimia, Coppelius, il quale, a piu riprese e in sempre nuovi aspetti, compare in seguito nella sua vita, in momenti eccezionali e sempre come nemico. In questa cornice è inserita l’azione centrale della novella: la strana storia d’amore di Nathaniel diventato studente all’università.

Nella piccola città universitaria vive il grande scienziato italiano Lazzaro Spallanzani, il quale però compare qui in veste di mago della scienza, inventore e costruttore di una bambola, Olimpia, simile a persona umana, cui egli dà movimento e parola; l’inesperto Nathaniel se ne innamora come di persona viva e finisce, attraverso varie e fantastiche vicende, col perdere tragicamente la ragione. Ed è ancora Coppelius che provoca la sua fine: mentre un giorno Nathaniel, liberatosi finalmente dal malefico fascino di Olimpia, contempla dall’alto di una torre la città sottQstante, insieme con Clara, la tenera e idillica fidanzata della sua adolescen-za, Coppelius lo ammalia con lo sguardo e lo spinge a precipitarsi nel vuoto. (Dal Dizionario letterario Bompiani, voI. 4, pp. 501 sg.]

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lung verantwortlich gemacht werden muß, ja nicht einmal dasjenige, dem diese Wirkung in erster Linie zuzuschreiben wäre. Es kommt dieser Wirkung auch nicht zustatten, daß die Olimpia-Episode vom Dichter selbst eine leise Wendung ins Satirische erfährt und von ihm zum Spott auf die Liebesüberschätzung von seiten des jungen Mannes gebraucht wird. Im Mittelpunkt der Erzählung steht vielmehr ein anderes Moment, nach dem sie auch den Namen trägt und das an den ent-scheidenden Stellen immer wieder hervorgekehrt wird: das Motiv des Sandman-nes, der den Kindern die Augen ausreißt.

Der Student Nathaniel, mit dessen Kindheitserinnerungen die phantastische Erzählung anhebt, kann trotz seines Glückes in der Gegenwart die Erinnerungen nicht bannen, die sich ihm an den rätselhaft erschreckenden Tod des geliebten Vaters knüpfen. An gewissen Abenden pflegte die Mutter die Kinder mit der Mah-nung zeitig zu Bette zu schicken: Der Sandmann kommt, und wirklich hört das Kind dann jedesmal den schweren Schritt eines Besuchers, der den Vater für die-sen Abend in Anspruch nimmt. Die Mutter, nach dem Sandmann befragt, leugnet dann zwar, daß ein solcher anders denn als Redensart existiert, aber eine Kin-derfrau weiß greifbarere Auskunft zu geben: »Das ist ein böser Mann, der kommt zu den Kindern, wenn sie nicht zu Bette gehen wollen, und wirft ihnen Hände voll Sand in die Augen, daß sie blutig zum Kopfe herausspringen, die wirft er dann in den Sack und trägt sie in den Halbmond zur Atzung für seine Kinderchen, die sitzen dort im Nest und haben krumme Schnäbel wie die Eulen, damit picken sie der unartigen Menschenkindlein Augen auf.«

Obwohl der kleine Nathaniel alt und verständig genug war, um so schauer-liche Zutaten zur Figur des Sandmannes abzuweisen, so setzte sich doch die Angst vor diesem selbst in ihm fest. Er beschloß zu erkunden, wie der Sandmann aussehe, und verbarg sich eines Abends, als er wieder erwartet wurde, im Ar-beitszimmer des Vaters. In dem Besucher erkennt er dann den Advokaten Coppe-lius, eine abstoßende Persönlichkeit, vor der sich die Kinder zu scheuen pflegten, wenn er gelegentlich als Mittagsgast erschien, und identifiziert nun diesen Cop-pelius mit dem gefürchteten Sandmann. Für den weiteren Fortgang dieser Szene macht es der Dichter bereits zweifelhaft, ob wir es mit einem ersten Delirium des angstbesessenen Knaben oder mit einem Bericht zu tun haben, der als real in der Darstellungswelt der Erzählung aufzufassen ist. Vater und Gast machen sich an einem Herd mit flammender Glut zu schaffen. Der kleine Lauscher hört Coppe-lius rufen: »Augen her, Augen her«, verrät sich durch seinen Aufschrei und wird von Coppelius gepackt, der ihm glutrote Körner aus der Flamme in die Augen streuen will, um sie dann auf den Herd zu werfen. Der Vater bittet die Augen des Kindes frei. Eine tiefe Ohnmacht und lange Krankheit beenden das Erlebnis. Wer sich für die rationalistische Deutung des Sandmannes entscheidet, wird in dieser Phantasie des Kindes den fortwirkenden Einfluß jener Erzählung der Kinderfrau nicht verkennen. Anstatt der Sandkörner sind es glutrote Flammenkörner, die dem Kinde in die Augen gestreut werden sollen, in beiden Fällen, damit die Augen her-ausspringen. Bei einem weiteren Besuche des Sandmannes ein Jahr später wird

parabilmente perturbante del racconto, e neppure quello a cui far risalire principalmente tale effetto. Non giova neppure, a questo effetto pertur-bante, che il narratore stesso volga leggermente al satirico l’episodio di Olimpia e lo usi per schernire la sopravvalutazione amorosa cui soggia-ce il giovane protagonista. Al centro del racconto si trova piuttosto un altro elemento, che è poi quello che dà il titolo al racconto e che viene costantemente richiamato nei passi decisivi: il motivo del “mago sabbio-lino” che strappa gli occhi ai bambini.

Nonostante la sua felicità presente, lo studente Nathaniel (dai cui ricordi d’infanzia prende le mosse il racconto fantastico) non può libe-rarsi dai ricordi legati alla morte misteriosa e spaventevole dell’amato padre. Certe sere la madre aveva l’abitudine di spedire i bimbi a letto dibuon”oracon l’ammonimento: “Arriva il mago sabbio1ino”; e il bambino udiva davvero ogni volta il passo pesante di un visitatore che, per quella sera, si accaparrava il padre. Interpellata sul mago sabbiolino, la madre ne negava l’esistenza: “Non è che un modo di dire”, affermava. Ma c’era una bambinaia in grado di dare notizie piu precise: “È un uomo cattivo che ~iene dai bambini quando non vogliono andare a letto e getta loro negli occhi manciate di sabbia, tanto che gli occhi sanguinanti balzano fuori dalla testa. Allora li getta nel sacco e li porta nella mezzal una e li dà da beccare ai suoi piccoli, che stanno nel nido e hanno il becco ri-curvo come le civette, col quale squarciano gli occhi dei bambini cattivi.”

Sebbene il piccolo Nathaniel fosse abbastanza grande e intelligente per respingere questi particolari orripilanti attribuiti alla figura del mago sabbiolino, tuttavia la paura di quest’ultimo si radicò profondamente in lui. Stabili di appurare che aspetto avesse costui, e una sera in cui il “mago” era atteso si nascose nello studio del padre. Allora riconobbe nel visitatore l’avvocato Coppelius, una personalità repellen~e che i bambi-ni cercavano di evitare quando, di tanto in tanto, era ospite a pranzo, e identificò· questo Coppelius con il temuto mago sabbiolino. Ai fini degli sviluppi ulteriori di questa scena, il poeta insinua già un dubbio: siamo di fronte a un primo delirio del bambino in preda all’angoscia o a un resoconto che, nel mondo ave si svolge il racconto, dobbiamo consi-derare reale? Il padre e l’ospite si danno da fare intorno a· un bracie~e fiammeggiante. Il piccolo, che sta spiando, quando ode Coppelius chia-mare: “Occhi, qui! occhi, qui!”, si tradisce con un grido ed è afferrato da Coppelius, che vorrebbe, con granelli incandescenti tratti dalla fiamma, cospargere, i suoi occhi per poi gettarli nel braciere. Il padre implora che gli occhi del figlio siano risparmiati. Un profondo svenimento e una lunga malattia concludono l’episodio. Coloro che hanno deciso di dare un’interpretazione razionalistica della figura del mago sabbiolino non mancheranno di riconoscere ·in questa fantasia del bambino l’influenza persistente del racconto fatto dalla bambinaia. Anziché granelli di sab-bia, sono granelli incandescenti che debbono venir gettati negli occhi del fanciullo: in tutti e due i casi, lo scopo è’ di far balzar fuori gli occhì. Durante una visita successiva del “mago”, un anno dopo, il padre è uc-

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der Vater durch eine Explosion im Arbeitszimmer getötet; der Advokat Coppelius verschwindet vom Orte, ohne eine Spur zu hinterlassen.

Diese Schreckgestalt seiner Kinderjahre glaubt nun der Student Nathaniel in einem herumziehenden italienischen Optiker Giuseppe Coppola zu erkennen, der ihm in der Universitätsstadt Wettergläser zum Kauf anbietet und nach sei-ner Ablehnung hinzusetzt: »Ei, nix Wetterglas, nix Wetterglas! –; hab auch sköne Oke –; sköne Oke.« Das Entsetzen des Studenten wird beschwichtigt, da sich die angebotenen Augen als harmlose Brillen herausstellen; er kauft dem Coppola ein Taschenperspektiv ab und späht mit dessen Hilfe in die gegenüberliegende Wohnung des Professors Spalanzani, wo er dessen schöne, aber rätselhaft wort-karge und unbewegte Tochter Olimpia erblickt. In diese verliebt er sich bald so heftig, daß er seine kluge und nüchterne Braut über sie vergißt. Aber Olimpia ist ein Automat, an dem Spalanzani das Räderwerk gemacht und dem Coppola –; der Sandmann –; die Augen eingesetzt hat. Der Student kommt hinzu, wie die beiden Meister sich um ihr Werk streiten; Der Optiker hat die hölzerne, augenlose Puppe davongetragen, und der Mechaniker, Spalanzani, wirft Nathaniel die auf dem Boden liegenden blutigen Augen Olimpias an die Brust, von denen er sagt, daß Coppola sie dem Nathaniel gestohlen. Dieser wird von einem neuerlichen Wahnsinnsanfall ergriffen, in dessen Delirium sich die Reminiszenz an den Tod des Vaters mit dem frischen Eindruck verbindet: »Hui –; hui –; hui! –; Feuerkreis –; Feuerkreis! Dreh’ dich, Feuerkreis –; lustig –; lustig! Holzpüppchen hui, schön Holzpüppchen dreh’ dich –;.« Damit wirft er sich auf den Professor, den angebli-chen Vater Olimpias, und will ihn erwürgen.

Aus langer, schwerer Krankheit erwacht, scheint Nathaniel endlich genesen. Er gedenkt, seine wiedergefundene Braut zu heiraten. Sie ziehen beide eines Tages durch die Stadt, auf deren Markt der hohe Ratsturm seinen Riesenschat-ten wirft. Das Mädchen schlägt ihrem Bräutigam vor, auf den Turm zu steigen, während der das Paar begleitende Bruder der Braut unten verbleibt. Oben zieht eine merkwürdige Erscheinung von etwas, was sich auf der Straße heranbewegt, die Aufmerksamkeit Claras auf sich. Nathaniel betrachtet dasselbe Ding durch Coppolas Perspektiv, das er in seiner Tasche findet, wird neuerlich vom Wahnsinn ergriffen, und mit den Worten: Holzpüppchen, dreh’ dich, will er das Mädchen in die Tiefe schleudern. Der durch ihr Geschrei herbeigeholte Bruder rettet sie und eilt mit ihr herab. Oben läuft der Rasende mit dem Ausruf herum: Feuerkreis, dreh’ dich, dessen Herkunft wir ja verstehen. Unter den Menschen, die sich unten an-sammeln, ragt der Advokat Coppelius hervor, der plötzlich wieder erschienen ist. Wir dürfen annehmen, daß es der Anblick seiner Annäherung war, der den Wahn-sinn bei Nathaniel zum Ausbruch brachte. Man will hinauf, um sich des Rasenden zu bemächtigen, aber Coppelius lacht: »Wartet nur, der kommt schon herunter von selbst.« Nathaniel bleibt plötzlich stehen, wird den Coppelius gewahr und wirft sich mit dem gellenden Schrei: »Ja! Sköne Oke –; Sköne Oke« über das Geländer herab. Sowie er mit zerschmettertem Kopf auf dem Straßenpflaster liegt, ist der Sandmann im Gewühl verschwunden.

Diese kurze Nacherzählung wird wohl keinen Zweifel darüber bestehen las-sen, daß das Gefühl des Unheimlichen direkt an der Gestalt des Sandmannes,

ciso da un’ esplosione che ha luogo nello studio. L’avvocato Coppelius scompare senza lasciar traccia.

Divenuto ormai studente, Nathaniel crede di riconoscere la figura spaventevole della sua infanzia in un ottico ambulante italiano, Giusep-pe Coppola, che nella città universitaria gli offre in vendita degli occhiali da sole e, al suo rifiuto, ribatte: “Ah,niente occhiali! niente occhiali! ... ho anche begli occhi, begli occhi!” Il raccapriccio dello studente si placa al-lorché gli “occhi” che l’ottico gli offre si rivelano innocui occhiali da vista. Egli compra da Coppola un cannocchiale tascabile e con questo comin-cia a scrutare nella casa di fronte, dove abita il professor Spallanzani e in cui scorge la bella figlia di costui, Olimpia, misteriosamente laconica e immobile. Ben presto se ne innamora cosi ardentemente da dimenticare la sua saggia e prosaica fidanzata. Ma Olimpia è· ~n. automa nel quale· Spallanzani ha inserito il meccanismo e Coppola – il mago sabbiolino – gli occhi. Lo studente arriva mentre i due stanno litigando per la loro opera. L’ottico è riuscito a impossessarsi della bambola di legno priva degli occhi, e il meccanico, Spallanzani, getta sul petto. di Nathaniel gli occhi sanguinanti di Olimpia che giacevano al suolo1 e dice che Coppo-la li ha rubati a lui, Nathaniel. Costui viene colto da un nuovo attacco di follia nel cui delirio la reminiscenza della morte del padre si congiunge con la recente impressione: “Oh-oh-oh! Cerchio di fuoco, cerchio di fuo-co! gira, cerchio di fuoco; allegro, allegro! Bambolina di legno, ehi, bella bambolina, gira!” CosI dicendo, egli si getta sul professore, il presunto padre di Olimpia, con l’intenzione di strangolarlo.

Risollevatosi da una lunga, grave malattia, Nathaniel sembra finalmen-te guarito. Ha intenzione di sposare la sua fidanzata, che ha ritrovata. Un giorno attraversano la città: l’alta torre del palazzo comunaIe getta un’om-bra gigantesca sulla piazza del mercato. La ragazza propone al fidanzato di· salire sulla torre, mentre il fratello di lei, che accompagna la coppia, resta in strada. Giunti in cima alla torre; l’attenzione di Clara è attratta da qualcosa di strano che si muove sulla strada. Nathaniel osserva la stessa scena col cannocchiale di Coppola, che s’è ritrovato in tasca, è preso di nuovo dalla sua follia e, gridando: “Bambolina di legno, gira!”, vuoI gettare la ragazza nel vuoto. Richiamato dalle grida della fanciulla, il fratello la salva e si affretta a riportarla giu. In cima, intanto, l’invasato corre qua e là continuando a gridare: “Cerchio di fuoco, gira!”, frase di cui conosciamo l’origine. Tra le persone che si affollano in basso spicca l’avvocato Cop-pelius, riapparso improvvisamente. Possiamo ammettere che sia stata la vista del suo, approssimarsi a provocare lo scoppio di follia di Nathaniel. I presenti vogliono salire sulla torre per impadronirsi dell’invasato, ma Cop-pelius4 ride: “Aspettate, aspettate, verrà gin da solo!” D’improvviso Na-thaniel si arresta, si avvede di Coppelius e si getta dalla ringhiera con un grido acutissimo: “Begli occhi, begli occhi!” Quando giace sul lastrico della strada con la testa squarciata, il mago sabbiolino è scomparso nella folla.

Questo breve riassunto non lascia certo sussistere alcun dubbio sul fatto che il senso del perturbante sia legato direttamente alla figura del

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also an der Vorstellung, der Augen beraubt zu werden, haftet und daß eine in-tellektuelle Unsicherheit im Sinne von Jentsch mit dieser Wirkung nichts zu tun hat. Der Zweifel an der Beseeltheit, den wir bei der Puppe Olimpia gelten lassen mußten, kommt bei diesem stärkeren Beispiel des Unheimlichen überhaupt nicht in Betracht. Der Dichter erzeugt zwar in uns anfänglich eine Art von Unsicherheit, indem er uns, gewiß nicht ohne Absicht, zunächst nicht erraten läßt, ob er uns in die reale Welt oder in eine ihm beliebige phantastische Welt einführen wird. Er hat ja bekanntlich das Recht, das eine oder das andere zu tun, und wenn er z. B. eine Welt, in der Geister, Dämonen und Gespenster agieren, zum Schauplatz seiner Darstellungen gewählt hat, wie Shakespeare im Hamlet, Macbeth und in anderem Sinne im Sturm und im Sommernachtstraum, so müssen wir ihm darin nachgeben und diese Welt seiner Voraussetzung für die Dauer unserer Hingegebenheit wie eine Realität behandeln. Aber im Verlaufe der Hoffmannschen Erzählung schwin-det dieser Zweifel, wir merken, daß der Dichter uns selbst durch die Brille oder das Perspektiv des dämonischen Optikers schauen lassen will, ja daß er vielleicht in höchsteigener Person durch solch ein Instrument geguckt hat. Der Schluß der Erzählung macht es ja klar, daß der Optiker Coppola wirklich der Advokat Coppe-lius4 und also auch der Sandmann ist.

Eine »intellektuelle Unsicherheit« kommt hier nicht mehr in Frage: wir wissen jetzt, daß uns nicht die Phantasiegebilde eines Wahnsinnigen vorgeführt werden sollen, hinter denen wir in rationalistischer Überlegenheit den nüchternen Sach-verhalt erkennen mögen, und –; der Eindruck des Unheimlichen hat sich durch diese Aufklärung nicht im mindesten verringert. Eine intellektuelle Unsicherheit leistet uns also nichts für das Verständnis dieser unheimlichen Wirkung.

Hingegen mahnt uns die psychoanalytische Erfahrung daran, daß es eine schreckliche Kinderangst ist, die Augen zu beschädigen oder zu verlieren. Vielen Erwachsenen ist diese Ängstlichkeit verblieben, und sie fürchten keine andere Or-ganverletzung so sehr wie die des Auges. Ist man doch auch gewohnt zu sagen, daß man etwas behüten werde wie seinen Augapfel. Das Studium der Träume, der Phantasien und Mythen hat uns dann gelehrt, daß die Angst um die Augen, die Angst zu erblinden, häufig genug ein Ersatz für die Kastrationsangst ist. Auch die Selbstblendung des mythischen Verbrechers Ödipus ist nur eine Ermäßigung für die Strafe der Kastration, die ihm nach der Regel der Talion allein angemessen wäre. Man mag es versuchen, in rationalistischer Denkweise die Zurückführung der Augenangst auf die Kastrationsangst abzulehnen; man findet es begreiflich,

mago sabbioIino, ossia all’idea di vedersi sottratti· gli occhi, e che un’in-certezza intellettuale, come Jentsch la intende, non abbia niente a che vedere con questo effetto. Il dubbio concernente l’animazione, pur vaIl-do nel caso di Olimpia, la bambola, non entra minimamente in campo in quest’altro aspetto, pit’t intenso, del perturbante. È vero, il narratore inizialmente desta in noi una sorta di incertezza impedendoci in un primo tempo, e certamente non senza intenzione, di· indovinare se ci introdur-rà nel mondo reale o in un mondo fantastico di sua invenzione. Egli ha il diritto incontestabile di fare o l’una o l’altra cosa, e se ha deciso per esempio di inscenare l’azione in un mondo popolato di spiriti, dèmoni e spettri, come ha fatto Shakespeare nelI’ Amleto, nel Macbeth e, in un altro senso, nella Tempesta e nel Sogno d’una notte d’estate, dobbiamo arrenderci alle sue intenzioni e considerare reale il mondo da lui ideato per tutto il tempo in cui gli dedicheremo la nostra attenzione. Ma, nel cor-so del racconto hoffrnanniano, questo dubbio scompare; ci accorgiamo che il narratore vuole far si che noi stessi guardiamo attraverso gli oc-chiali o il cannocchiale delI’ ottico demo~ niaco, e che anzi, forse, il nar-ratore stesso in prima persona ha guardato attraverso tale strumento. La conclusione della storia chiarisce definitivamente che l’ottico Coppola è realmente l’avvocato Coppelius4 e quindi anche il mago sabbiolino.

Non è piu questione, qui, di “incertezza intellettuale”. ·Sappiamo ora che ciò che ci si vuole rappresentare non sono le fantasie di un folle dietro le quali ci sia dato di riconoscere, nella nostra razionalistica su-periorità, le cose come stanno; e comunque l’impressione perturbante non è minimamente diminuita da questa chiarificazione. Una “incertezza intellettuale” non contribuisce quindi per nulla alla comprensione di que-sto effetto perturbante.

L’esperienza psicoanalitica ci avverte, invece, che siamo di fronte a una tremenda’ angoscia infantile, causata dalla prospettiva di un danno agli occhi o della loro perdita. Questa apprensione sussiste in molti adulti, i quali non temono alcuna lesione organica quanto quella che può colpire gli occhi. Del resto, non si usa forse dire che si custodirà qualcosa come la pupilla dei propri occhi? Lo studio dei sogni, delle fantasie e dei miti ci ha inoltre insegnato che la paura per gli occhi, l’an-goscia di perdere la vista, è abbastanza spesso un sostituto della paura dell’evirazione. Anche l’autoaccecarsi di quel mitico criminale che fu Edipo non è altro che una forma mitigata della pena dell’evirazione, la sola che – secondo la legge del taglione – sarebbe stata adegua-ta al suo caso.* Si può cercare di rifiutare, in base a una mentalità razionalistica, questa derivazione del timore per gli occhi dalla paura

4 Zur Ableitung des Namens: Coppella = Probiertiegel (die chemischen Operationen, bei denen der Vater verunglückt); coppo = Augenhöhle (nach einer Bemerkung von Frau Dr. Rank).

* [Vedi anche Totem e tabú (1912-13) p. 134, dove Freud parla dell’accecamento come di un sostituto dell’evirazione.]

4 Sulla derivazione del nome, la signora Rank osserva che in italiano coppella equivale a crogiuolo (le operazioni chimiche nel corso delle quali il padre di Nathaniel subisce l’inci-dente), e coppo alla cavità dell’occhio.

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daß ein so kostbares Organ wie das Auge von einer entsprechend großen Angst bewacht wird, ja man kann weitergehend behaupten, daß kein tieferes Geheimnis und keine andere Bedeutung sich hinter der Kastrationsangst verberge. Aber man wird damit doch nicht der Ersatzbeziehung gerecht, die sich in Traum, Phanta-sie und Mythus zwischen Auge und männlichem Glied kundgibt, und kann dem Eindruck nicht widersprechen, daß ein besonders starkes und dunkles Gefühl sich gerade gegen die Drohung, das Geschlechtsglied einzubüßen erhebt, und daß dieses Gefühl erst der Vorstellung vom Verlust anderer Organe den Nachhall verleiht. Jeder weitere Zweifel schwindet dann, wenn man aus den Analysen an Neurotikern die Details des »Kastrationskomplexes« erfahren und dessen groß-artige Rolle in ihrem Seelenleben zur Kenntnis genommen hat.

Auch würde ich keinem Gegner der psychoanalytischen Auffassung raten, sich für die Behauptung, die Augenangst sei etwas vom Kastrationskomplex Un-abhängiges, gerade auf die Hoffmannsche Erzählung vom ›Sandmann‹ zu be-rufen. Denn warum ist die Augenangst hier mit dem Tode des Vaters in innigste Beziehung gebracht? Warum tritt der Sandmann jedesmal als Störer der Liebe auf? Er entzweit den unglücklichen Studenten mit seiner Braut und ihrem Bruder, der sein bester Freund ist, er vernichtet sein zweites Liebesobjekt, die schöne Puppe Olimpia, und zwingt ihn selbst zum Selbstmord, wie er unmittelbar vor der beglückenden Vereinigung mit seiner wiedergewonnenen Clara steht. Diese sowie viele andere Züge der Erzählung erscheinen willkürlich und bedeutungslos, wenn man die Beziehung der Augenangst zur Kastration ablehnt, und werden sinnreich, sowie man für den Sandmann den gefürchteten Vater einsetzt, von dem man die Kastration erwartet5.

dell’evirazione, e trovare comprensibile che un organo prezioso come r occhio sia protetto da un grandissimo timore; addirittura – facendo un altro passo avanti – si può affermare che dietro la paura dell’evirazione non si nasconde nessun segreto particolarmente profondo e nessun altro significato. Ma, COSI facendo, non si viene comunque, a capo della relazione sostitutiva che pur si manifesta nel sogno, nella fantasia e nel mito tra occhio e membro virile, né si riesce a contrastare l’im-pressione che un sentimento particolarmente intenso e oscuro sorga proprio contro la minaccia di esser privati dell’ attributo sessuale, e che solo questo sentimento conferisce risonanza all’idea della perdita di altri organi. Ogni dubbio ulteriore scompare poi quando si vengono a conoscere, dalle· analisi compiute su nevIotici, le particolarità del “com-plesso di evirazione” e quando ci si rende· conto che esso ha una parte straordinaria nella loro vita psichica.

Non consiglierei comunque a nessun avversario della concezione psicoanalitica di richiamarsi proprio al racconto hoffmanniano del Mago sabbiolino per sostenere che la paura per gli occhi è qualcosa di indi-pendente dal complesso di evirazione. Perché infatti, qui, questa paura viene posta in relazione strettissima con la morte del padre? Perché il mago sabbiolino compare ogni volta in veste di disturbatore dell’amore? È lui che divide· l’infelice studente dalla fidanzata e dall’amico piu caro, il fratello di lei, è lui che annienta il secondo oggetto del suo amore, la bella bambola di nome Olimpia, e, proprio quando il giovane sta per riunirsi felicemente con la sua Clara, che ha riconquistato, è lui che lo costringe al suicidio. Questi e molti altri tratti del racconto appaiono ar-bitrari e privi di un significato p~eciso se si respinge la relazione· tra il timore per i propri occhi e l’evirazione, mentre diventano estremamente significativi se al mago sabbiolino si sostituisce il padre temuto, dal qua-le ci si aspetta l’evirazione.5

5 In effetti l’elaborazione fantastica dell’artista non ha sconvolto gli elementi del racconto in maniera coSI radicale che non si possa ricostruirne l’ordinamento originario. Nella storia infantile il padre e Coppelius rappresentano l’imago paterna che si è scissa, a causa dell’am-bivalenza del bambino, in due personaggi opposti; uno minaccia l’accecamento (evirazione), l’altro, il padre buono, supplica che si risparmino gli occhi del figlio. L’elemento del complesso colpito piu intensamente dalla rimozione, ossia il desiderio di morte contro il padre cattivo, trova la sua raffigurazione nella morte del padre buono, che viene addossata a· Coppelius. A questa coppia di padri corrispondono nella biografia successiva dello studente il professar Spallanzani e l’ottico Coppola, dove il professore è di per sé una figura che appartiene alla serie paterna, mentre Coppola si identifica con l’avvocato Coppelius. Come prima i due ave-vano lavorato insieme al misterioso braciere, così ora hanno portato a compimento insieme la bambola Olimpia; il professore viene detto anche il padre di Olimpia. Attraverso questa duplice comunanza essi tradiscono la loro natura di scissioni dell’imago patema, ossia tanto iI meccanico quanto l’ottico sono il padre sia di Olimpia che di Nathaniel. Nella spaventevole scena dell’infanzia, Coppelius, dopo aver rinunciato ad accecare il piccolo, gli aveva svitato per prova braccia e gambe, ossia aveva agito come un meccanico con una bambola. Que-sto passaggio singolare, che esorbita completamente dalla cornice entro cui viene ritratto il mago sabbiolino, introduce nel giuoco un nuovo equivalente dell’evirazione; ma rimanda anche all’identità interiore di Coppelius col suo futuro antagonista, il meccanico Spallanza-

5 In der Tat hat die Phantasiebearbeitung des Dichters die Elemente des Stoffes nicht so wild herumgewirbelt, daß man ihre ursprüngliche Anordnung nicht wiederherstellen könnte. In der Kindergeschichte stellen der Vater und Coppelius die durch Ambivalenz in zwei Gegensätze zerlegte Vaterimago dar; der eine droht mit der Blendung (Kastration), der andere, der gute Vater, bittet die Augen des Kindes frei. Das von der Verdrängung am stärksten betroffene Stück des Komplexes, der Todeswunsch gegen den bösen Vater, findet seine Darstellung in dem Tod des guten Vaters, der dem Coppelius zur Last gelegt wird. Diesem Väterpaar entsprechen in der späteren Lebensgeschichte des Studenten der Professor Spalanzani und der Optiker Coppola, der Professor an sich eine Figur der Vaterreihe, Coppola als identisch mit dem Advokaten Coppelius erkannt. Wie sie damals zusammen am geheimnisvollen Herd arbeiteten, so haben sie nun gemeinsam die Puppe Olimpia verfertigt; der Professor heißt auch der Vater Olimpias. Durch diese zweimalige Gemeinsamkeit verraten sie sich als Spaltungen der Vaterimago, d. h. sowohl der Mechaniker als auch der Optiker sind der Vater der Olimpia wie des Nathaniel. In der Schreckensszene der Kinderzeit hatte Coppelius, nachdem er auf die Blendung des Kleinen verzichtet, ihm probeweise Arme und Beine abgeschraubt, also wie ein Mechaniker an einer Puppe mit ihm gearbeitet. Dieser sonderbare Zug, der ganz aus dem Rahmen der Sandmannvorstellung heraustritt, bringt ein neues Äquivalent der Kastration ins Spiel; er weist aber auch auf die innere Identität des Coppelius mit seinem späteren Widerpart, dem Mechaniker Spalanzani hin, und bereitet uns für die

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Wir würden es also wagen, das Unheimliche des Sandmannes auf die Angst des kindlichen Kastrationskomplexes zurückzuführen. Sowie aber die Idee auf-taucht, ein solches infantiles Moment für die Entstehung des unheimlichen Ge-fühls in Anspruch zu nehmen, werden wir auch zum Versuch getrieben, dieselbe Ableitung für andere Beispiele des Unheimlichen in Betracht zu ziehen. Im Sand-mann findet sich noch das Motiv der belebt scheinenden Puppe, das Jentsch hervorgehoben hat. Nach diesem Autor ist es eine besonders günstige Bedingung für die Erzeugung unheimlicher Gefühle, wenn eine intellektuelle Unsicherheit ge-weckt wird, ob etwas belebt oder leblos sei, und wenn das Leblose die Ähnlichkeit mit dem Lebenden zu weit treibt. Natürlich sind wir aber gerade mit den Puppen vom Kindlichen nicht weit entfernt. Wir erinnern uns, daß das Kind im frühen Al-ter des Spielens überhaupt nicht scharf zwischen Belebtem und Leblosem un-terscheidet und daß es besonders gern seine Puppe wie ein lebendes Wesen behandelt. Ja, man hört gelegentlich von einer Patientin erzählen, sie habe noch im Alter von acht Jahren die Überzeugung gehabt, wenn sie ihre Puppen auf eine gewisse Art, möglichst eindringlich, anschauen würde, müßten diese lebendig werden. Das infantile Moment ist also auch hier leicht nachzuweisen; aber merk-würdig, im Falle des Sandmannes handelte es sich um die Erweckung einer alten Kinderangst, bei der lebenden Puppe ist von Angst keine Rede, das Kind hat sich vor dem Beleben seiner Puppen nicht gefürchtet, vielleicht es sogar gewünscht. Die Quelle des unheimlichen Gefühls wäre also hier nicht eine Kinderangst, son-dern ein Kinderwunsch oder auch nur ein Kinderglaube. Das scheint ein Wider-spruch; möglicherweise ist es nur eine Mannigfaltigkeit, die späterhin unserem Verständnis förderlich werden kann.

E. T. A. hoFFMann ist der unerreichte Meister des Unheimlichen in der Dich-

tung. Sein Roman Die Elixiere des Teufels weist ein ganzes Bündel von Motiven

Oseremmo dunque ricondurre l’elemento perturbante rappresentato dal mago sabbiolino all’angoscia propria del complesso di evirazione in-fantile. Ma non appena ci sfiora l’ideà che un simile fattore infantile stia all’origine del sentimento perturbante, ci viene naturale tentare di attribu-ire la stessa genesi anche ad altri aspetti del perturbante. Nel Mago sab-biolino si trova l’altro motivo della bambola che sembra viva, già rilevato da Jentsch. Secondo questo studioso, una condizione particolarmente favorevole al sorgere di sentimenti perturbanti si verifica quando si desta un’incertezza intellettuale se qualcosa sia o non sia vivente, o quando ciò che è privo di vità si rivela troppo simile a ciò che è vivo. Si vede subito, però, che con le bambole non ci allontaniamo di molto dal mondo infantile. Ricordiamo che i bambini, nell’età dei loro primi giuochi, non distinguono nettamente ciò che è vivo da ciò che non lo è, e in partico-lare trattano volentieri le loro bambole come esseri viventi. Anzi, a volte, sentiamo raccontare da certe pazienti di essere state, ancora all’età di otto anni, persuase che bastasse rivolgere alle loro bam bole uno sguar-do particolare, il piu possibile penetrante, perché quelle diventassero vive. Anche qui, dunque, è facile dimostrare il fattore infantile; ma, cosa singolare, nel caso del mago sabbiolino si trattava del ridestarsi di un’an-tica angoscia infantile, mentre nel caso della bambola vivente l’angoscia non c’entra, la bimba non s’era spaventata alla vista della bambola che diventava viva, anzi forse aveva desiderato che ciò accadesse. La fon-te del sentimento perturbante non sarebbe dunque in questo caso una paura infantile, bensl un desiderio infantile o anche semplicemente una credenza infantile. Sembra una contraddizione, ma è possibile che si tratti soltanto di una molteplicità, che potrebbe diventarci utile in seguito.

Hoffmann è un maestro ineguagliato del perturbante nell’ambito del-la letteratura. suo racconto Gli elisir del diavolo* rivela un complesso

ni, e ci prepara alrinterpretazione della figura di Olimpia. Questa bambola automatica non può essere altro che la materiaIizzazione dell’atteggiamento femmineo del piccolo Nathaniel verso il padre. I padri di Oljmpia - Spallanzani e Coppola - non sono che nuove edizioni, reincarnazioni dei due padri di Nathanie1. L’affermazione di Spallanzani, altrimenti incom-prensibile, secondo cui rottico avrebbe rubato gli occhi a Nathaniel (vedi sopra [p. 91]) per meUerli alla bambola acquista cosi un significato, giacché testimonia l’identità di Olimpia e Nathaniel. Olimpia è per cosi dire un complesso distaccatosi da Nathaniel che gli si fa incon-tro come persona; quanto egli sia dominato da questo complesso è espresso nell’insensato e ossessivo amore che egli nutre per Olimpia. Possiamo ben definirlo un amore narcisistico, e comprendiamo che colui che ne è preda si estranei dalrog· getto d’amore reale. Ma l’esat-tezza psicologica del fatto che il giovane fissato al padre dal complesso di evirazione diventa incapace di amare le donne è dimostrata da numerose analisi di malati, il cui contenuto è, si capisce, meno fantastico, ma poco meno triste della storia dello studente Nathaniel.

Hoffmann nacque da un matrimonio infelice. Quando aveva tre anni il padre si separò dalla famigliola e non tornò mai piu a vivere con loro. Secondo la documentazione portata da E. Grisebach nell’introduzione biografica alle Opere di Hoffmann, la relazione col padre fu sempre una delle componenti piu vulnerabili nella vita emotiva di questo scrittore.

Deutung der Olimpia vor. Diese automatische Puppe kann nichts anderes sein als die Materialisation von Nathaniels femininer Einstellung zu seinem Vater in früher Kindheit. Ihre Väter -- Spalanzani und Coppola -- sind ja nur neue Auflagen, Reinkarnationen, von Nathaniels Väterpaar; die sonst unverständliche Angabe des Spalanzani, daß der Optiker dem Nathaniel die Augen gestohlen (s. o.), um sie der Puppe einzusetzen; gewinnt so als Beweis für die Identität von Olimpia und Nathaniel ihre Bedeutung. Olimpia ist sozusagen ein von Nathaniel losgelöster Komplex, der ihm als Person entgegentritt; die Beherrschung durch diesen Komplex findet in der unsinnig zwanghaften Liebe zur Olimpia ihren Ausdruck. Wir haben das Recht, diese Liebe eine narzißtische zu heißen, und verstehen, daß der ihr Verfallene sich dem realen Liebesobjekt entfremdet. Wie psychologisch richtig es aber ist, daß der durch den Kastrationskomplex an den Vater fixierte Jüngling der Liebe zum Weibe unfähig wird, zeigen zahlreiche Krankenanalysen, deren Inhalt zwar weniger phantastisch, aber kaum minder traurig ist als die Geschichte des Studenten Nathaniel.

E. T. A. hoFFMann war das Kind einer unglücklichen Ehe. Als er drei Jahre war, trennte sich der Vater von seiner kleinen Familie und lebte nie wieder mit ihr vereint. Nach den Belegen, die E. GRiseBach in der biographischen Einleitung zu hoFFManns Werken beibringt, war die Beziehung zum Vater immer eine der wundesten Stellen in des Dichters Gefühlsleben.

* [In questo racconto (del 1816) al protagonista, Medardo, si accompagna a un certo punto un sosia, carico degli stessi delitti e rimorsi.]

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auf, denen man die unheimliche Wirkung der Geschichte zuschreiben möchte. Der Inhalt des Romans ist zu reichhaltig und verschlungen, als daß man einen Auszug daraus wagen könnte. Zu Ende des Buches, wenn die dem Leser bisher vorenthaltenen Voraussetzungen der Handlung nachgetragen werden, ist das Er-gebnis nicht die Aufklärung des Lesers, sondern eine volle Verwirrung desselben. Der Dichter hat zu viel Gleichartiges gehäuft; der Eindruck des Ganzen leidet nicht darunter, wohl aber das Verständnis. Man muß sich damit begnügen, die hervorstechendsten unter jenen unheimlich wirkenden Motiven herauszuheben, um zu untersuchen, ob auch für sie eine Ableitung aus infantilen Quellen zulässig ist. Es sind dies das Doppelgängertum in all seinen Abstufungen und Ausbildun-gen, also das Auftreten von Personen, die wegen ihrer gleichen Erscheinung für identisch gehalten werden müssen, die Steigerung dieses Verhältnisses durch Überspringen seelischer Vorgänge von einer dieser Personen auf die andere –; was wir Telepathie heißen würden –;, so daß der eine das Wissen, Fühlen und Erleben des anderen mitbesitzt, die Identifizierung mit einer anderen Person, so daß man an seinem Ich irre wird oder das fremde Ich an die Stelle des eigenen versetzt, also Ich-Verdopplung, Ich-Teilung, Ich-Vertauschung –; und endlich die beständige Wiederkehr des Gleichen, die Wiederholung der nämlichen Gesichts-züge, Charaktere, Schicksale, verbrecherischen Taten, ja der Namen durch meh-rere aufeinanderfolgende Generationen.

Das Motiv des Doppelgängers hat in einer gleichnamigen Arbeit von O. Rank eine eingehende Würdigung gefunden6. Dort werden die Beziehungen des Dop-pelgängers zum Spiegel- und Schattenbild, zum Schutzgeist, zur Seelenlehre und zur Todesfurcht untersucht, es fällt aber auch helles Licht auf die überraschende Entwicklungsgeschichte des Motivs. Denn der Doppelgänger war ursprünglich eine Versicherung gegen den Untergang des Ichs, eine »energische Dementie-rung der Macht des Todes« (O. Rank), und wahrscheinlich war die »unsterbliche« Seele der erste Doppelgänger des Leibes. Die Schöpfung einer solchen Verdopp-lung zur Abwehr gegen die Vernichtung hat ihr Gegenstück in einer Darstellung der Traumsprache, welche die Kastration durch Verdopplung oder Vervielfältigung des Genitalsymbols auszudrücken liebt; sie wird in der Kultur der alten Ägypter ein Antrieb für die Kunst, das Bild des Verstorbenen in dauerhaftem Stoff zu formen. Aber diese Vorstellungen sind auf dem Boden der uneingeschränkten Selbstliebe entstanden, des primären Narzißmus, welcher das Seelenleben des Kindes wie des Primitiven beherrscht, und mit der Überwindung dieser Phase ändert sich das Vorzeichen des Doppelgängers, aus einer Versicherung des Fortlebens wird er zum unheimlichen Vorboten des Todes.

Die Vorstellung des Doppelgängers braucht nicht mit diesem uranfänglichen Narzißmus unterzugehen; denn sie kann aus den späteren Entwicklungsstufen

garbuglio di motivi romanzeschi ai quali saremmo tentati di attribuire l’effetto perturbante che scaturisce dalla narrazione.· Il contenuto del racconto è troppo denso e intricato per tentare di darne un riassunto. Alla fine del racconto, quando al lettore vengono illustrate le premesse dell’azione che fino a quel momento erano state tenute celate, ciò che ne risulta per lui non è una dilucidazione bensi uno stato di completo smarrimento. Il narratore ha ammassato troppe cose simili tra loro, e benché l’impressione esercitata dall’insieme non ne soffra, ne soffre in-vece la comprensione.· BisQgna accontentarsi di estrarre, tra i motivi che esercitano un effetto perturb~nte, quelli di maggior rilievo, per inda-gare se anch’ essi possano esser ricondotti a fonti irifantili. Tali sono ·il motivo del «sosia» in tutte le sue gradazioni e configurazioni, ossia la comparsa di personaggi che, presentandosi con il medesimo aspetto, debbono venire considerati identici; l’accentuazione di questo rapporto mediante la trasmissione immediata di processi psichici dall’una all’altra di queste persone – fenomeno che noi chiameremmo telepatia – cosi che runa è compartecipe della conoscenza, dei sentimenti e – delle esperienze dell’altra; l’identificazione del soggetto con un’altra persona si che egli dubita del proprio lo o lo sostituisce con quello della persona estranea; un raddoppiamento dell’Io, quindi, una suddivisione dell’Io, una permuta dell’Io; un motivo del genere è infine il perpetuo ritorno dell’uguale, la ripetizione degli stessi tratti del volto, degli stessi carat-teri, degli stessi destini, delle stesse imprese delittuose, e perfino degli stessi nomi attraverso piu generazioni che si susseguono.

Il motivo del sosia è stato oggetto di un esame approfondito in un lavoro omonimo di Otto Rank.6 Si indagano colà le relazioni tra il sosia e l’immagine riprodotta dallo specchio, tra il sosia e l’ om bra, il genio tutelare, la credenza nell’anima e la paura della morte, ma anche si mette chiaramente in luce la sorprendente storia dell’evoluzione di que-sto, motivo. Il sosia rappresentava infatti, in origine, un baluardo contro la scomparsa dell’Io, una ti energica smentita del potere della morte” (Rank), e probabilmente il primo sosia del corpo fu l’anima Il immortale”. La creazione di un simile doppione, come difesa dall’annientamento, trova riscontro in quella raffigurazione del linguaggio onirico che ama esprimere l’evirazione mediante raddoppiamento o moltiplicazione del simbolo genitale: essa diventa, nella civiltà dell’antico Egitto, la spinta all’arte di modellare l’immagine del defunto in un materiale che duri nel tempo. Ma queste rappresentazioni sono sorte sul terreno dell’amore illimitato p’er sé stessi, del narcisismo primario che domina la vita psi-chica sia del bambino che dell’uomo primitivo, e, col superamento di questa fase, muta il segno del sosia, da assicurazione di sopravvivenza esso diventa un perturbante presentimento di morte.

La rappresentazione del sosia non scompare necessariamente in-sieme con questo narcisismo dei primordi; essa può acquisire ,infatti

6 O. Rank, Der DoppeIgänger, Imago, voI. 3, 97 (1914). 6 O. Rank, Der Doppelgänger, Imago III, 1914.

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des Ichs neuen Inhalt gewinnen. Im Ich bildet sich langsam eine besondere In-stanz heraus, welche sich dem übrigen Ich entgegenstellen kann, die der Selbst-beobachtung und Selbstkritik dient, die Arbeit der psychischen Zensur leistet und unserem Bewußtsein als »Gewissen« bekannt wird. Im pathologischen Falle des Beachtungswahnes wird sie isoliert, vom Ich abgespalten, dem Arzte bemerkbar. Die Tatsache, daß eine solche Instanz vorhanden ist, welche das übrige Ich wie ein Objekt behandeln kann, also daß der Mensch der Selbstbeobachtung fähig ist, macht es möglich, die alte Doppelgängervorstellung mit neuem Inhalt zu erfüllen und ihr mancherlei zuzuweisen, vor allem all das, was der Selbstkritik als zugehö-rig zum alten überwundenen Narzißmus der Urzeit erscheint7.

Aber nicht nur dieser der Ich-Kritik anstößige Inhalt kann dem Doppelgän-ger einverleibt werden, sondern ebenso alle unterbliebenen Möglichkeiten der Geschicksgestaltung, an denen die Phantasie noch festhalten will, und alle Ich-Strebungen, die sich infolge äußerer Ungunst nicht durchsetzen konnten, sowie alle die unterdrückten Willensentscheidungen, die die Illusion des freien Willens ergeben haben8.

Nachdem wir aber so die manifeste Motivierung der Doppelgängergestalt betrachtet haben, müssen wir uns sagen: Nichts von alledem macht uns den au-ßerordentlich hohen Grad von Unheimlichkeit, der ihr anhaftet, verständlich, und aus unserer Kenntnis der pathologischen Seelenvorgänge dürfen wir hinzuset-zen, nichts von diesem Inhalt könnte das Abwehrbestreben erklären, das ihn als etwas Fremdes aus dem Ich hinausprojiziert. Der Charakter des Unheimlichen kann doch nur daher rühren, daß der Doppelgänger eine den überwundenen see-lischen Urzeiten angehörige Bildung ist, die damals allerdings einen freundliche-ren Sinn hatte. Der Doppelgänger ist zum Schreckbild geworden, wie die Götter nach dem Sturz ihrer Religion zu Dämonen werden (Heine, Die Götter im Exil).

Die anderen bei Hoffmann verwendeten Ich-Störungen sind nach dem Mu-ster des Doppelgängermotivs leicht zu beurteilen. Es handelt sich bei ihnen um

:un conteriuto nuovo traendolo dalle fasi di sviluppo successive dell’Io. Nell’Io prende forma lentamente un’istanza particolare, capace di op-porsi al resto dell’Io, un’istanza che serve all’autosservazione e all’au-tocritica, che effettua il lavoro della censura psichica e che ,ci diventa nota come “coscienza morale”. Nel caso patologico del delirio di essere osservati questa istanza si isola, si scinde dall’Io, diventa osservabile da parte del medico. Il fatto che esista una istanza del genere, che può trat-tare il resto dell’Io come un oggetto, il fatto cioè che l’uomo sia capace di autosservazione, consente di conferire un nuovo contenuto alla vecchia rappresentazione del sosia e di assegnarle compiti diversi e disparati, in primo luogo tutto ciò che all’autocritica appare come appartenente all’antico e superato narcisismo dei tempi remoti.7

Comunque, nell’idea del sosia, accanto a questo contenuto che la critica dell’Io reputa sconveniente, possono essere incorporate ogni sor-ta di possibilità non realizzate che il destino potrebbe tenere in serbo e alle quali la fantasia vuole ancora aggrapparsi, e inoltre tutte le aspira-zioni dell’Io che per sfavorevoli circostanze esterne non hanno potuto realizzarsi, oltre a tutte le decisioni della volontà che sono state repres-se e che hanno prodotto l’illusione del libero arbitrio.8

Tuttavia, dopo aver considerato la motivazione manifesta della fi-gura del sosia, dobbiamo dirci che niente di tutto ciò ci rende compren-sibile il senso di straordinario· turbamento che, promana da tale figu-ra; inoltre, in base alla nostra conoscenza dei processi patologici della psiche, possiamo aggiungere che niente di questo contenuto potrebbe .spiegare la tendenza difensiva mediante la quale esso viene proiettato fuori dell’Io come un che di estraneo. Dunque, il carattere perturbante del sosia può trarre origine soltanto dal’ fatto che il sosia stesso è una formazione appartenente a tempi psichici remoti e ormai superati, nei quali tale formazione aveva comunque un significato piu’ amichevole. Il sosia è diventato uno spauracchio cosi come gli dèi, dopo la caduta del-la loro religione, si sono trasformati in dèmoni (Heine, Gli dèi in esilio).

Le altre forme di turbamento dell’Io a cui ricorre Hoffmann sono fa-cilmente classificabili in base al modello del motivo del sosia. Si tratta

7 lo credo che quando i poeti lamentano che il petto dell’uomo ospita due anime, e quando gli psicologi popolari parlano della scissione dell’Io nelruomo, essi intravedono que-sto dissidio che fa parte della psicologia dell’Io, tra l’istanza critica e il resto dell’Io, e non l’antitesi, scoperta dalla psicoanalisi, tra l’Io e ciò che è inconscio e rimosso. Tuttavia questa differenza è attenuata dal fatto che tra ciò che viene, respinto dalla critica dell’Io si trovano in primo luogo le propaggini del rimosso. [Di questa istanza critica e censoria Freud aveva parlato già diffusamente nell’Introduzione al narcisismo (1914) pp. 46, sgg.; il concetto ver-rà comunque ulteriormente ampliato nei due scritti Psicologia delle masse e analisi deIl’Io (1921) e L’Io e l’Es (1922.). Ivi, rispettivamente alle pp. 316 sgg. e 491 sgg., a tale istanza critica verrà dato il nome di “ideale dell’Io” e di “Super-io”.]

8 In Der Student von Prag di H. H. Ewers [1871-1943], donde prese le mosse lo studio di Rank sul sosia, il protagonista ha promesso alrinnamorata di non uccidere il suo rivale nel duello. Ma mentre si reca verso la località ptesce1ta per il duello incontra il suo sosia, che ha già ammazzato il rivale. [Vedi, sulrillusorietà del libero arbitrio, quel che Freud dice nella Psicopatologia della vita quotidiana (1901) pp. 275 sg.)

7 Ich glaube, wenn die Dichter klagen, daß zwei Seelen in des Menschen Brust wohnen, und wenn die Populärpsychologen von der Spaltung des Ichs im Menschen reden, so schwebt ihnen diese Entzweiung, der Ichpsychologie angehörig, zwischen der kritischen Instanz und dem Ich-Rest vor und nicht die von der Psychoanalyse aufgedeckte Gegensätzlichkeit zwischen dem Ich und dem unbewußten Verdrängten. Der Unterschied wird allerdings dadurch verwischt, daß sich unter dem von der Ichkritik Verworfenen zunächst die Abkömmlinge des Verdrängten befinden.

8 In der H. H. eweRsschen Dichtung »Der Student von Prag«, von welcher die Ranksche Studie über den Doppelgänger ausgegangen ist, hat der Held der Geliebten versprochen, seinen Duellgegner nicht zu töten. Auf dem Wege zum Duellplatz begegnet ihm aber der Doppelgänger, welcher den Nebenbuhler bereits erledigt hat.

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ein Rückgreifen auf einzelne Phasen in der Entwicklungsgeschichte des Ich-Ge-fühls, um eine Regression in Zeiten, da das Ich sich noch nicht scharf von der Außenwelt und vom anderen abgegrenzt hatte. Ich glaube, daß diese Motive den Eindruck des Unheimlichen mitverschulden, wenngleich es nicht leicht ist, ihren Anteil an diesem Eindruck isoliert herauszugreifen.

Das Moment der Wiederholung des Gleichartigen wird als Quelle des unheim-lichen Gefühls vielleicht nicht bei jedermann Anerkennung finden. Nach meinen Beobachtungen ruft es unter gewissen Bedingungen und in Kombination mit be-stimmten Umständen unzweifelhaft ein solches Gefühl hervor, das überdies an die Hilflosigkeit mancher Traumzustände mahnt. Als ich einst an einem heißen Sommernachmittag die mir unbekannten, menschenleeren Straßen einer italie-nischen Kleinstadt durchstreifte, geriet ich in eine Gegend, über deren Charakter ich nicht lange in Zweifel bleiben konnte. Es waren nur geschminkte Frauen an den Fenstern der kleinen Häuser zu sehen, und ich beeilte mich, die enge Straße durch die nächste Einbiegung zu verlassen. Aber nachdem ich eine Weile führer-los herumgewandert war, fand ich mich plötzlich in derselben Straße wieder, in der ich nun Aufsehen zu erregen begann, und meine eilige Entfernung hatte nur die Folge, daß ich auf einem neuen Umwege zum drittenmal dahingeriet. Dann aber erfaßte mich ein Gefühl, das ich nur als unheimlich bezeichnen kann, und ich war froh, als ich unter Verzicht auf weitere Entdeckungsreisen auf die kürzlich von mir verlassene Piazza zurückfand. Andere Situationen, die die unbeabsichtigte Wiederkehr mit der eben beschriebenen gemein haben und sich in den anderen Punkten gründlich von ihr unterscheiden, haben doch dasselbe Gefühl von Hilflo-sigkeit und Unheimlichkeit zur Folge. Zum Beispiel, wenn man sich im Hochwald, etwa vom Nebel überrascht, verirrt hat und nun trotz aller Bemühungen, einen markierten oder bekannten Weg zu finden, wiederholt zu der einen, durch eine bestimmte Formation gekennzeichneten Stelle zurückkommt. Oder wenn man im unbekannten, dunkeln Zimmer wandert, um die Tür oder den Lichtschalter aufzu-suchen und dabei zum xtenmal mit demselben Möbelstück zusammenstößt, eine Situation, die Mark Twain allerdings durch groteske Übertreibung in eine unwider-stehlich komische umgewandelt hat.

An einer anderen Reihe von Erfahrungen erkennen wir auch mühelos, daß es nur das Moment der unbeabsichtigten Wiederholung ist, welches das sonst Harmlose unheimlich macht und uns die Idee des Verhängnisvollen, Unentrinn-baren aufdrängt, wo wir sonst nur von »Zufall« gesprochen hätten. So ist es z. B. gewiß ein gleichgültiges Erlebnis, wenn man für seine in einer Garderobe abge-gebenen Kleider einen Schein mit einer gewissen Zahl –; sagen wir: 62 –; erhält oder wenn man findet, daß die zugewiesene Schiffskabine diese Nummer trägt. Aber dieser Eindruck ändert sich, wenn beide an sich indifferenten Begebenheiten nahe aneinanderrücken, so daß einem die Zahl 62 mehrmals an demselben Tage

di un recedere a determinate fasi che il sentimento dell’Io ha percorso durante la sua evoluzione, ,di una regressione a tempi in cui non erano ancora nettamente tracciati i confini tra l’Io e il mondo esterno e tra l’Io e gli altri. Credo che questi motivi concorrano a produrre il senso del perturbante, anche se non è facile’ definire con. precisione quale parte essi abbiano· in questo processo.

Non tutti forse riconosceranno in un altro fattore, la ripetizione di avvenimenti consimili, una fonte del sentimento perturbante. Stando alle mie osservazioni, in determinate condizioni e com binata con circo-stanze particolari, essa evoca indubbiamente un sentimento del genere, che inoltre ci ricorda l’impotenza di certi stati onirici. Una volta, mentre percorrevo in un assolato pomeriggio estivo le strade sconosciute e de-serte di una cittadina italiana, capitai in un quartiere sul cui carattere non potevano esserci dubbi. Alle finestre delle casette non si vedevano che donne imbellettate, e mi affrettai a svoltare appena possibile abban-donando la stradina. Ma, dopo aver vagato senza meta per un bel po’, improvvisamente mi ritrovai nella medesima strada, dove la mia presen-za incominciò ad atti ... rare l’attenzione, e la mia rapida ritirata ebbe un’unica conseguenza: dopo qualche altro giro vizioso mi ritrovai per la terza volta nel medesimo luogo. A questo punto mi colse un sentimento che non posso definire altro che perturbante, e fui contento quando – rinunciando ad altri giri esplorativi – mi ritrovai nella piazza che avevo lasciato poco prima. Altre situazioni che con quella ora descritta hanno in comune il ritorno non intenzionale, ma che per tutto il resto sono com-pletamente diverse, provocano cionondimeno questo stesso senso di impotenza e di turbamento. Ciò accade, per esempio, quando in una foresta montana ci si smarrisce magari perché sorpresi dalla nebbia, e, a dispetto di tutti gli sforzi per giungere a una strada segnata ò al-meno nota, si ritorna ogni volta nello stesso luogo, contraddistinto da una determinata conformazione. O quando si procede a tentoni in una stanza sconosciuta immersa nel buio cercando la porta o l’interruttore e, in questa ricerca, si torna a urtare per l’ennesima volta contro lo stes-so mobile; va detto però che Mark Twain, esagerando grottescamente questa situazione, l’ha trasformata in un evento di irresistibile comicità.*

Vi è poi un’altra serie di esperienze che ci permettono anch’esse di riconoscere senza fatica che soltanto il fattore della ripetizione involon-taria rende perturbante ciò che di per sé sarebbe innocuo, insinuandoci l’idea della fatalità. e dell’ineluttabilità laddove normalmente avremmo parlato soltanto di “caso”. Così, per esempio, nessuno presta particolare attenzione se, depositando il soprabito al guardaroba, si vede porgere una contromarca con un certo num’ero – mettiamo 62 – o se trova che la cabina che gli è stata assegnata sul battello porta questo numero. Ma l’impressione cambia se queste due circostanze, di per sé irrilevanti, si susseguono l’una all’altra e capita d’imbattersi nel numero 62 piu volte

* [MaRk twain, A Tramp Abroad (Londra 1880) voI. 1, p. 107.]

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entgegentritt, und wenn man dann etwa gar die Beobachtung machen sollte, daß alles, was eine Zahlenbezeichnung trägt, Adressen, Hotelzimmer, Eisenbahnwa-gen u. dgl. immer wieder die nämliche Zahl, wenigstens als Bestandteil, wieder-bringt. Man findet das »unheimlich«, und wer nicht stich- und hiebfest gegen die Versuchungen des Aberglaubens ist, wird sich geneigt finden, dieser hartnäckigen Wiederkehr der einen Zahl eine geheime Bedeutung zuzuschreiben, etwa einen Hinweis auf das ihm bestimmte Lebensalter darin zu sehen. Oder wenn man eben mit dem Studium der Schriften des großen Physiologen E. Hering beschäftigt ist und nun wenige Tage auseinander Briefe von zwei Personen dieses Namens aus verschiedenen Ländern empfängt, während man bis dahin niemals mit Leuten, die so heißen, in Beziehung getreten war. Ein geistvoller Naturforscher hat vor kurzem den Versuch unternommen, Vorkommnisse solcher Art gewissen Geset-zen unterzuordnen, wodurch der Eindruck des Unheimlichen aufgehoben werden müßte. Ich getraue mich nicht zu entscheiden, ob es ihm gelungen ist9.

Wie das Unheimliche der gleichartigen Wiederkehr aus dem infantilen See-lenleben abzuleiten ist, kann ich hier nur andeuten und muß dafür auf eine be-reitliegende ausführliche Darstellung in anderem Zusammenhange verweisen. Im seelisch Unbewußten läßt sich nämlich die Herrschaft eines von den Triebregun-gen ausgehenden Wiederholungszwanges erkennen, der wahrscheinlich von der innersten Natur der Triebe selbst abhängt, stark genug ist, sich über das Lust-prinzip hinauszusetzen, gewissen Seiten des Seelenlebens den dämonischen Charakter verleiht, sich in den Strebungen des kleinen Kindes noch sehr deutlich äußert und ein Stück vom Ablauf der Psychoanalyse des Neurotikers beherrscht. Wir sind durch alle vorstehenden Erörterungen darauf vorbereitet, daß dasjeni-ge als unheimlich verspürt werden wird, was an diesen inneren Wiederholungs-zwang mahnen kann.

Nun, denke ich aber, ist es Zeit, uns von diesen immerhin schwierig zu beur-

teilenden Verhältnissen abzuwenden und unzweifelhafte Fälle des Unheimlichen aufzusuchen, von deren Analyse wir die endgültige Entscheidung über die Gel-tung unserer Annahme erwarten dürfen.

nello stesso giorno; tanto pill poi se si dovesse addirittura osservare che in tutto ciò che reca l’indicazione di un numero -- indirizzi, camere d’albergo, posti in tren~ e cOSI via – il numero che compare è sempre il medesimo, in tutto o in parte. Una cosa del genere la troveremmo “perturbante” e chi non fosse solidamente corazzato contro le tentazioni della superstizione si sentirebbe incline ad attribuire a questo ostinato ritorno del medesimo numero un significato misterioso, a vedervi magari un segno dell’età che gli sarà consentito di raggiungere.* La stessa cosa ci capiterebbe se, proprio mentre siamo impegnati nello studio delle opere del grande fisiologo Ewald Hering, a pochi giorni di distanza l’una dall’altra, ricevessimo da paesi diversi due lettere firmate con questo stesso nome, mentre fino a quel ~omento non ci era mai successo di avere rapporti con altri che si chiamassero cosI. Uno scienziato d’inge-gno ha intrapreso poco tempo fa il tentativo di subordinare coincidenze di questo tipo a determinate leggi, il che dovrebbe cancellare la sensa-zione di turbamento che esse suscitano. Non oso dire se sia riuscito o meno nel suo intento.9

Qui mi limito ad accennare al modo in cui il turbamento causato dal ritorno di eventi analoghi può essere fatto risalire alla vita psichica. dell’infanzia, per il resto rinviando il lettore a una descrizione esauriente, già pronta, che ho inserito in un contesto diverso.** Intendo dire che nell’inconscio psichico è riconoscibile il predominio di una coazione a ripetere che procede dai moti pulsionali: questa coazione dipende pro-babilmente dalla natura piu intima delle pulsioni stesse, è abbastanza forte da imporsi a dispetto del principio di piacere, fornisce a determinati aspetti della vita psichica un carattere demoniaco, si esprime ancora assai chiaramente negli impulsi dei bambini in tenera età e domina una parte di, ciò che avviene durante il trattamento analitico dei nevrotici. L’insieme di queste considerazioni ci induce a supporre che sarà av-vertito come elemento perturbante tutto ciò che può ricordare questa profonda coazione a ripetere.

Ora però mi sembra che sia giunto il momento di abbandonare que-ste disquisizioni, sulle quali è comunque difficile esprimere un giudizio, per cercare invece qualche esempio che presenti inequivocabilmente un carattere perturbante e dalla cui analisi sia lecito attendersi una pa-rola definitiva sulla validità della nostra. ipotesi.

* [Allusione a un pensiero superstizioso che era stato di Freud stesso. Egli aveva com-piuto 62 anni nel 1918, cioè l’anno prima di questo scritto.]

** [Freud si riferisce allo scritto Al di là del principio di piacere (1920) dove nei §§ 2 e 3 (pp. 198-209) sono illustrate le diverse manifestazioni della “coazione a ripetere” (vedi sopra p. 79). Sotto il profilo clinico Freud si era comunque già occupato di questo fenomeno in Nuovi consigli sulla tecnica deIIa psicoanalisi (1913-14): 2. Ricordare, ripetere e rielaborare (1914), pp. 356 sgg.]

9 P. kaMMeReR, Das Gesetz der Serie (Vienna 1919). 9 P. kaMMeReR, Das Gesetz der Serie, Wien 1919.

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Im ›Ring des Polykrates‹ wendet sich der Gast mit Grausen, weil er merkt, daß jeder Wunsch des Freundes sofort in Erfüllung geht, jede seiner Sorgen vom Schicksal unverzüglich aufgehoben wird. Der Gastfreund ist ihm »unheimlich« geworden. Die Auskunft, die er selbst gibt, daß der allzu Glückliche den Neid der Götter zu fürchten habe, erscheint uns noch undurchsichtig, ihr Sinn ist mytholo-gisch verschleiert. Greifen wir darum ein anderes Beispiel aus weit schlichteren Verhältnissen heraus: In der Krankengeschichte eines Zwangsneurotikers10 habe ich erzählt, daß dieser Kranke einst einen Aufenthalt in einer Wasserheilanstalt genommen hatte, aus dem er sich eine große Besserung holte. Er war aber so klug, diesen Erfolg nicht der Heilkraft des Wassers, sondern der Lage seines Zim-mers zuzuschreiben, welches der Kammer einer liebenswürdigen Pflegerin unmit-telbar benachbart war. Als er dann zum zweitenmal in diese Anstalt kam, verlang-te er dasselbe Zimmer wieder, mußte aber hören, daß es bereits von einem alten Herrn besetzt sei, und gab seinem Unmut darüber in den Worten Ausdruck: Dafür soll ihn aber der Schlag treffen. Vierzehn Tage später erlitt der alte Herr wirklich einen Schlaganfall. Für meinen Patienten war dies ein »unheimliches« Erleb-nis. Der Eindruck des Unheimlichen wäre noch stärker gewesen, wenn eine viel kürzere Zeit zwischen jener Äußerung und dem Unfall gelegen wäre oder wenn der Patient über zahlreiche ganz ähnliche Erlebnisse hätte berichten können. In der Tat war er um solche Bestätigungen nicht verlegen, aber nicht er allein, alle Zwangsneurotiker, die ich studiert habe, wußten Analoges von sich zu erzählen. Sie waren gar nicht überrascht, regelmäßig der Person zu begegnen, an die sie eben –; vielleicht nach langer Pause –; gedacht hatten; sie pflegten regelmäßig am Morgen einen Brief von einem Freund zu bekommen, wenn sie am Abend vorher geäußert hatten: Von dem hat man aber jetzt lange nichts gehört, und besonders Unglücks- oder Todesfälle ereigneten sich nur selten, ohne eine Weile vorher durch ihre Gedanken gehuscht zu sein. Sie pflegten diesem Sachverhalt in der bescheidensten Weise Ausdruck zu geben, indem sie behaupteten, »Ahnun-gen« zu haben, die »meistens« eintreffen.

Eine der unheimlichsten und verbreitetsten Formen des Aberglaubens ist die Angst vor dem »bösen Blick«, welcher bei dem Hamburger Augenarzt S. seLiG-Mann11 eine gründliche Behandlung gefunden hat. Die Quelle, aus welcher diese Angst schöpft, scheint niemals verkannt worden zu sein. Wer etwas Kostbares und doch Hinfälliges besitzt, fürchtet sich vor dem Neid der anderen, indem er jenen Neid auf sie projiziert, den er im umgekehrten Falle empfunden hätte. Sol-che Regungen verrät man durch den Blick, auch wenn man ihnen den Ausdruck

Nell’Anello di Policrate* l’ospite si allontana inorridito perché nota che· ogni desiderio dell’amico si realizza immediatamente e ogni sua preoccupazione viene istantaneamente scacciata dal fato. Per r ospite l’amico è diventato “perturbante”, perché, come egli stesso ci informa, chi è troppo fortunato deve temere l’invidia degli dèi; ma è una spiega-zione, questa, che resta impenetrabile ai nostri occhi, essendo il suo significato velato dal linguaggio mitologico. Rifacciamoci perciò a un altro esempio tratto da situazioni molto meno eccezionali. Nel tracciare la storia clinica di un uomo affetto da nevrosi ossessiva, ho riferito che questo malato aveva trascorso una volta un certo periodo in un istituto idroterapico e che da questo soggiorno. aveva tratto un grande giova-mento.10 Egli fu tuttavia tanto intelligente da attribuire questo successo non alle virtu curative dell’acqua, bensl alla posizione della sua camera, attigua a quella di una compiacente infermiera. Quando tornò per la seconda volta nell’istituto chiese che gli venisse.assegnata la stessa camera, ma si senti rispondere che era già occupata da un vecchio signore, e alla notizia sfogò il proprio malumore con queste parole: “Che gli venga un colpo!” Due settimane dopo il vecchio signore ebbe effettivamente un colpo. Per il mio paziente questa fu un’ esperienza “perturbante”. Tale impressione di turbamento sarebbe stata ancora piu forte se tra quella esclamazione e l’infortunio fosse trascorso un pe-riodo di tempo assai piu breve, o se egli fosse stato in grado di riferire molte altre coincidenze simili. In effetti, portare queste conferme non gli creò il minimo imbarazzo; ma non lui soltanto, tutti i nevrotici ossessivi che ho studiato erano in grado di raccontare di sé cose analoghe. Essi non si sorprendevano affatto di incontrare regolarmente la persona alla quale avevano appena pensato, magari a distanza di un lungo periodo di tempo; era cosa consueta per loro ricevere al mattino una lettera da un amico quando, la sera prima, avevano detto: l’ìS da un po’ che non sento piu parlare del tale”; e, soprattutto, era raro che si verificassero ,incidenti o casi di morte senza che poco prima ciò fosse loro balenato in mente. Esprimevano abitualmente questo dato di fatto con la massima semplicità, affermando di avere dei “presentimenti” i quali, “perlopiu”, si rivelavano fondati.

Una delle forme piu perturbanti e più diffuse di superstizione è la paura del “malocchio”, di cui un oculista di Amburgo, Seligmann, ha fornito una trattazione approfondita.11 Sulla provenienza di questa paura non sembra vi siano mai stati dubbi. Chi possiede qualcosa di prezioso e al tempo stesso di perituro teme l’invidia del prossimo, in quanto pro-ietta sugli altri l’invidia che egli proverebbe se si trovasse al loro posto. Questi moti dell’animo si tradiscono con lo sguardo anche quando ci si

* [Ballata di Schiller, il cui argomento è tratto da Erodoto, lb. 3, 39 sgg.]

10 Freud, Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva. (Caso clinico dell’uomo dei topi.) (1909) [pp. 10 e 64 sg.].

11 S. seLiGMann, Der böse Blick und Verwandtes (2 volI., Berlino 1910 e 1911).

10 Bemerkungen über einen Fall von Zwangsneurose, Jahrb. f. Psychoanalyse, I, 1909 und Sammlung kl. Schriften, dritte Folge, 1913.

11 S. seLiGMann, Der böse Blick und Verwandtes, 2 Bände, Berlin 1910 u. 1911.

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in Worten versagt, und wenn jemand durch auffällige Kennzeichen, besonders unerwünschter Art, vor den anderen hervorsticht, traut man ihm zu, daß sein Neid eine besondere Stärke erreichen und dann auch diese Stärke in Wirkung umset-zen wird. Man fürchtet also eine geheime Absicht zu schaden, und auf gewisse Anzeichen hin nimmt man an, daß dieser Absicht auch die Kraft zu Gebote steht.

Die letzterwähnten Beispiele des Unheimlichen hängen von dem Prinzip ab, das ich, der Anregung eines Patienten folgend, die »Allmacht der Gedanken« benannt habe. Wir können nun nicht mehr verkennen, auf welchem Boden wir uns befinden. Die Analyse der Fälle des Unheimlichen hat uns zur alten Weltauf-fassung des Animismus zurückgeführt, die ausgezeichnet war durch die Erfüllung der Welt mit Menschengeistern, durch die narzißtische Überschätzung der eige-nen seelischen Vorgänge, die Allmacht der Gedanken und die darauf aufgebau-te Technik der Magie, die Zuteilung von sorgfältig abgestuften Zauberkräften an fremde Personen und Dinge (Mana), sowie durch alle die Schöpfungen, mit de-nen sich der uneingeschränkte Narzißmus jener Entwicklungsperiode gegen den unverkennbaren Einspruch der Realität zur Wehr setzte. Es scheint, daß wir alle in unserer individuellen Entwicklung eine diesem Animismus der Primitiven ent-sprechende Phase durchgemacht haben, daß sie bei keinem von uns abgelaufen ist, ohne noch äußerungsfähige Reste und Spuren zu hinterlassen, und daß alles, was uns heute als »unheimlich« erscheint, die Bedingung erfüllt, daß es an diese Reste animistischer Seelentätigkeit rührt und sie zur Äußerung anregt12.

Hier ist nun der Platz für zwei Bemerkungen, in denen ich den wesentlichen Inhalt dieser kleinen Untersuchung niederlegen möchte. Erstens, wenn die psy-choanalytische Theorie in der Behauptung recht hat, daß jeder Affekt einer Ge-fühlsregung, gleichgültig von welcher Art, durch die Verdrängung in Angst ver-wandelt wird, so muß es unter den Fällen des Ängstlichen eine Gruppe geben, in der sich zeigen läßt, daß dies Ängstliche etwas wiederkehrendes Verdrängtes ist. Diese Art des Ängstlichen wäre eben das Unheimliche, und dabei muß es gleich-gültig sein, ob es ursprünglich selbst ängstlich war oder von einem anderen Affekt getragen. Zweitens, wenn dies wirklich die geheime Natur des Unheimlichen ist, so verstehen wir, daß der Sprachgebrauch das Heimliche in seinen Gegensatz, das Unheimliche übergehen läßt (S. 250 f.), denn dies Unheimliche ist wirklich nichts Neues oder Fremdes, sondern etwas dem Seelenleben von alters her Ver-

vieta di esprimerli a parole, e, se vi è chi spicca tra gli altri per caratteri-stiche ben evidenti, specie se indesiderate, subito sorge il sospetto che la sua invidia raggiungerà un’ intensità particolare e che questa intensità verrà poi anche mandata ad effetto. Si teme perciò un’intenzione segre-ta di nuocere e si suppone, basandosi su determinati indizi, che questa intenzione disponga anche della forza per attuarsi.

Gli esempi di perturbante che ho citati per ultimi dipendono da un principio che, accogliendo un suggerimento di un paziente,* ho chiama-to la l’onnipotenza dei pensieri”. Ora non possiamo più dire di non sape-re su che terreno ci stiamo muovendo. L’analisi dei casi in cui compare l’elemento perturbante ci ha ricondotti all’antica concezione del mondo propria dell’animismo; tale concezione era caratterizzata dagli spiriti umani che popolavano il mondo, dalla sopravvalutazione narcisistica dei propri processi psichici, dalI’ onnipotenza dei pensieri e dalla tecni-ca della magia che su questa onnipotenza era costruita, dall’attribuzio-ne di poteri magici accuratamente graduati a persone e cose estranee (mana), nonché da tutte le creazioni con le quali il narcisismo illimitato di quella fase dell’evoluzione. si opponeva alle esigenze irrecusabili della realtà. Sembra che noi tutti, nella. nostra evoluzione individuale, abbiamo attraversato una fase corrispondente a questo animismo dei primitivi, che questa fase non sia stata superata ·da nessuno di noi sen-za lasciarsi dietro residui e tracce ancora suscettibili di manifestarsi, e che tutto ciò che oggi ci appare “perturbante” risponda alla condizione di sfiorare tali residui di attività psichica animistica e di spingerli a estrin-secarsi.12

E qui cadono opportune due osservazioni alle quali vorrei affidare il contenuto essenziale di questa piccola ricerca. Anzitutto, se la teoria psicoanalitica ha ragione di affermare che ogni affetto connesso con un’emozione, di qualunque tipo essa sia, viene trasformato in angoscia qualora abbia luogo una rimozione, ne segue che tra le cose angosciose dev’essercene un gruppo nel quale è possibile scorgere che l’elemento angoscioso è qualcosa di rimosso che ritorna. Questo tipo di cose ango-sciose costituirebbero appunto il perturbante, e non ha importanza sa-pere se ciò che ora· è perturbante era fonte di angoscia fin· dalle origini o era invece latore di un altro affetto. Secòndariamente, se questa è re-almente la natura segreta del perturbante, allora comprendiamo perché l’uso linguistico consente al Heimliche di trapassare nel suo contrario, l’Unheimliche (pp. 86 sg.): infatti questo elemento perturbante non è in realtà niente di nuovo o di estraneo, ma è invece un che di familiare alla

* [Si tratta ancora del nevrotico ossessivo noto come «Uomo dei topi».]

12 Vedi il terzo capitolo: “Animismo, magia e onnipotenza dei pensieri’’’, nel mio libro Totem e tabú (1912-13) ove si trova la seguente nota a piè di pagina 92 [dell’edizione ita-liana]: “Sembra che noi attribuiamo una qualità ‘perturbante’ alle impressioni che tendono a confermare l’onnipotenza dei pensieri e il modo di pensare animistico in generale, anche se nel nostro giudizio ci siamo già distolti da esse” [da tali credenze].

12 Vgl. hiezu den Abschnitt III Animismus, Magie und Allmacht der Gedanken in des Verf. Buch: Totem und Tabu. 1913. Dort auch die Bemerkung (S. 19 Note): »Es scheint, daß wir den Charakter des ›Unheimlichen‹ solchen Eindrücken verleihen, welche die Allmacht der Gedanken und die animistische Denkweise überhaupt bestätigen wollen, während wir uns bereits im Urteil von ihr abgewendet haben.«

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trautes, das ihm nur durch den Prozeß der Verdrängung entfremdet worden ist. Die Beziehung auf die Verdrängung erhellt uns jetzt auch die Schellingsche Defi-nition, das Unheimliche sei etwas, was im Verborgenen hätte bleiben sollen und hervorgetreten ist.

Es erübrigt uns nur noch, die Einsicht, die wir gewonnen haben, an der Erklä-rung einiger anderer Fälle des Unheimlichen zu erproben.

Im allerhöchsten Grade unheimlich erscheint vielen Menschen, was mit dem Tod, mit Leichen und mit der Wiederkehr der Toten, mit Geistern und Gespen-stern, zusammenhängt. Wir haben ja gehört, daß manche moderne Sprachen un-seren Ausdruck: ein unheimliches Haus gar nicht anders wiedergeben können als durch die Umschreibung: ein Haus, in dem es spukt. Wir hätten eigentlich unsere Untersuchung mit diesem, vielleicht stärksten Beispiel von Unheimlichkeit begin-nen können, aber wir taten es nicht, weil hier das Unheimliche zu sehr mit dem Grauenhaften vermengt und zum Teil von ihm gedeckt ist. Aber auf kaum einem anderen Gebiete hat sich unser Denken und Fühlen seit den Urzeiten so wenig verändert, ist das Alte unter dünner Decke so gut erhalten geblieben, wie in un-serer Beziehung zum Tode. Zwei Momente geben für diesen Stillstand gute Aus-kunft: Die Stärke unserer ursprünglichen Gefühlsreaktionen und die Unsicherheit unserer wissenschaftlichen Erkenntnis. Unsere Biologie hat es noch nicht ent-scheiden können, ob der Tod das notwendige Schicksal jedes Lebewesens oder nur ein regelmäßiger, vielleicht aber vermeidlicher Zufall innerhalb des Lebens ist. Der Satz: alle Menschen müssen sterben, paradiert zwar in den Lehrbüchern der Logik als Vorbild einer allgemeinen Behauptung, aber keinem Menschen leuch-tet er ein, und unser Unbewußtes hat jetzt sowenig Raum wie vormals für die Vorstellung der eigenen Sterblichkeit. Die Religionen bestreiten noch immer der unableugbaren Tatsache des individuellen Todes ihre Bedeutung und setzen die Existenz über das Lebensende hinaus fort; die staatlichen Gewalten meinen die moralische Ordnung unter den Lebenden nicht aufrechterhalten zu können, wenn man auf die Korrektur des Erdenlebens durch ein besseres Jenseits verzichten soll; auf den Anschlagsäulen unserer Großstädte werden Vorträge angekündigt, welche Belehrungen spenden wollen, wie man sich mit den Seelen der Verstor-benen in Verbindung setzen kann, und es ist unleugbar, daß mehrere der feinsten Köpfe und schärfsten Denker unter den Männern der Wissenschaft, zumal gegen das Ende ihrer eigenen Lebenszeit, geurteilt haben, daß es an Möglichkeiten für solchen Verkehr nicht fehle. Da fast alle von uns in diesem Punkt noch so denken wie die Wilden, ist es auch nicht zu verwundern, daß die primitive Angst vor dem Toten bei uns noch so mächtig ist und bereitliegt, sich zu äußern, sowie irgend

vita psichica fin dai. tempi antichissimi e ad essa estraniatosi soltanto a causa del processo di rimozione. Il rapporto con la rimozione ci chia-risce ora anche la definizione di Schelling [p. 86], secondo la quale il perturbante è qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e che è invece affiorato.

Non ci resta altro, ora, che mettere alla prova quanto abbiamo acqui-sito applicandolo alla spiegazione di altri casi di perturbante.

A molti uomini appare perturbante in sommo grado ciò che ha rap-porto con la morte, con i cadaveri e con il ritorno dei morti, con spiriti e spettri. Abbiamo visto [p. 83] che alcune lingue moderne non possono rendere le parole tedesche “una casa unheimlich” che con untespres-sion~ [“a haunted house”] che noi renderemmo con la seguente circon-locuzione: ti una casa abitata dagli spettri”. A dire il vero avremmo potuto iniziare la nostra ricerca con questo esempio di perturbante, che è forse di tutti il piu spiccato, ma non l’abbiamo fatto perché, in questo caso, il perturbante è troppo strettamente frammisto con l’orrido e coincide in parte con esso. Ma è raro trovare un ambito in cui il nostro modo di pensare e di ·sentire sÌa cambiato così poco dai tempi primordiali, in cui l’elemento antico si sia conservato cosi bene sotto una scorza sottile, come nella nostra relazione con la morte. Due fattori contribu-iscono a determinare questa situazione di stallo: la forza delle nostre reazioni emotive originarie e la scarsa certezza delle nostre conoscenze scientifiche. La biologia non è ancora riuscita a decidere se la morte sia il destino ineluttabile di ogni essere vivente o soltanto un caso che si verifica di norma, ma che forse potrebbe essere evitato.* La propo-sizione: “Tutti gli uomini sono mortali” fa infatti bella mostra di sé nei trattati di logica come modello di asserzione universale, ma nessuna la considera tale e ora come in passato è estranea al nostro inconscio l’idea della nostra stessa mortalità. Le religioni continuano a contestare l’importanza di un fatto irrecusabile,** la morte individuale, e postulano la prosecuzione dell’esistenza oltre il termine della vita; i poteri statali giudicano impossibile conservare l’ordine morale tra i viventi se si ri-nuncia a correggere la vita terrena con un aldilà migliore; sui tabelloni delle nostre metropoli i manifesti annunciano conferenze in cui gli oratori vogliono insegnarci come metterei in contatto con le anime dei defunti, ed è innegabile che parecchi dei cervelli piu fini e dei pensatori piu acuti tra gli uomini di scienza· hanno ritenuto, specie verso la fine della loro esistenza terrena, che tale rapporto sia possibile. Poiché quasi tutti noi su questo argomento abbiamo ancora la stessa mentalità dei selvaggi, non c’è neppure da stupirsi se il timore primitivo nei confronti dei morti è ancora cosi forte in noi e pronto a estrinsecarsi non appena qualcosa

* [È questo uno dei più importanti problemi trattati in Al di là del principio di piacere (1920) vedi oltre pp. 229 sgg.]

** [Sul modo di atteggiarsi degli uomini rispetto alla morte vedi lo scritto di Freud Consi-derazioni attuali suIIa guerra e la morte (1915) pp. 137-48.]

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etwas ihr entgegenkommt. Wahrscheinlich hat sie auch noch den alten Sinn, der Tote sei zum Feind des Überlebenden geworden und beabsichtige, ihn mit sich zu nehmen, als Genossen seiner neuen Existenz. Eher könnte man bei dieser Unveränderlichkeit der Einstellung zum Tode fragen, wo die Bedingung der Ver-drängung bleibt, die erfordert wird, damit das Primitive als etwas Unheimliches wiederkehren könne. Aber die besteht doch auch; offiziell glauben die sogenann-ten Gebildeten nicht mehr an das Sichtbarwerden der Verstorbenen als Seelen, haben deren Erscheinung an entlegene und selten verwirklichte Bedingungen ge-knüpft, und die ursprünglich höchst zweideutige, ambivalente Gefühlseinstellung zum Toten ist für die höheren Schichten des Seelenlebens zur eindeutigen der Pietät abgeschwächt worden13.

Es bedarf jetzt nur noch weniger Ergänzungen, denn mit dem Animismus, der Magie und Zauberei, der Allmacht der Gedanken, der Beziehung zum Tode, der unbeabsichtigten Wiederholung und dem Kastrationskomplex haben wir den Umfang der Momente, die das Ängstliche zum Unheimlichen machen, so ziemlich erschöpft.

Wir heißen auch einen lebenden Menschen unheimlich, und zwar dann, wenn wir ihm böse Absichten zutrauen. Aber das reicht nicht hin, wir müssen noch hinzutun, daß diese seine Absichten, uns zu schaden, sich mit Hilfe besonderer Kräfte verwirklichen werden. Der » Gettatore« ist ein gutes Beispiel hiefür, diese unheimliche Gestalt des romanischen Aberglaubens, die Albrecht Schaeffer in dem Buche Josef Montfort mit poetischer Intuition und tiefem psychoanalytischen Verständnis zu einer sympathischen Figur umgeschaffen hat. Aber mit diesen ge-heimen Kräften stehen wir bereits wieder auf dem Boden des Animismus. Die Ahnung solcher Geheimkräfte ist es, die dem frommen Gretchen den Mephisto so unheimlich werden läßt:

Sie fühlt, daß ich ganz sicher ein Genie, Vielleicht wohl gar der Teufel bin.

Das Unheimliche der Fallsucht, des Wahnsinns, hat denselben Ursprung. Der Laie sieht hier die Äußerung von Kräften vor sich, die er im Nebenmenschen nicht vermutet hat, deren Regung er aber in entlegenen Winkeln der eigenen Persön-lichkeit dunkel zu spüren vermag. Das Mittelalter hatte konsequenterweise und psychologisch beinahe korrekt alle diese Krankheitsäußerungen der Wirkung von Dämonen zugeschrieben. Ja, ich würde mich nicht verwundern zu hören, daß die Psychoanalyse, die sich mit der Aufdeckung dieser geheimen Kräfte beschäftigt, vielen Menschen darum selbst unheimlich geworden ist. In einem Falle, als mir die Herstellung eines seit vielen Jahren siechen Mädchens –; wenn auch nicht

lo faccia affiorare. Probabilmente questo timore ha ancora il significato ·antico secondo cui il morto è diventato nemico dei sopravvissuti e mira a prenderli con sé come compagni della sua nuova esistenza. Potrem-mo chiederci piuttosto, data questa immutabilità del nostro atteggiamen-to verso la morte, che ne è della rimozione, il prodursi della quale è una condizione necessaria affinché l’.elemento primitivo possa riemergere come alcunché di perturbante. Ma anche questa condizione sussiste: ufficialmente le persone cosiddette colte non credono pio alla possibi-lità che i defunti diventino visibili in forma di spiriti, ne hanno collegato l’eventuale apparizione a condizioni insolite e raramente realizzabiIi; e l’atteggiamento emotivo verso il morto, originariamente ambivalente e ambiguo al massimo grado, si è andato smorzando, per glì strati supe-riori della vita psichica, nell’atteggiamento univoco della pietà.13

A questo punto saranno sufficienti alcune integrazioni perché con l’animismo, la magia e l’incantesimo, l’onnipotenza dei pensieri, la re-lazione con la morte, la ripetizione involontaria e il complesso di evira-zione abbiamo piu o meno esaurito l’ambito dei fattori che trasformano l’angoscioso in perturbante.

Anche di un uomo vivo diciamo che è perturbante, e precisamente quando gli attribuiamo cattive intenzioni. Ma questo non basta, dobbia-mo ancora aggiungere che queste sue intenzioni di nuocerei si realizze-ranno con l’aiuto di particolari poteri. Lo “iettatore”* è un buon esempio di questa figura perturbante viva nella superstizione dei popoli neolatini, che Albrecht SchafIer – con poetica intuizione e profonda comprensio-ne psicoanalitica – ha trasformato in una figura simpatica nel suo libro Tosef Montfort [1918]. Ma questi poteri segreti ci riportano sul terreno proprio dell’animismo. È il presentimento di questi poteri misteriori che rende cosi perturbante Mefistofele agli occhi della pia Margherita:

Lei sente che io o di certo un genio sono, forse anche il Diavolo.** L’effettoperturbante del mal caduco e. della follia ha la stessa ori-

gine. Il profano vede qui l’estrinsecazione di forze che non aveva sup-posto di trovare nel suo prossimo, ma di cui è in grado di percepire oscuramente la presenza in angoli remoti della propria personalità. Con spirito consequenziale eo sostanzialmente corretto dal punto di vista psicologico, il Medioevo aveva attribuito o tutte queste manifestazioni morbose all’azione di dèmoni. E certo non mistupirei di sentir dire che la psicoanalisi, la quale mira a mettere in luce queste forze occulte, è diventata a cagione di ciò essa stessa perturbante per molte persone. In un caso in cui riuscii a far guarire una ragazza inferma da molti anni – eppure la guarigione non fu molto rapida – ho sentito dire io stesso

* [In italiano nel testo, nella forma “gettatore”.] ** [Goethe, Faust, parte prima, Il giardino di Marta. Trad. it. a cura di Franco Fortini

(Mondadori, Milano 1973) p. 317.]

13 Vedi Totem e tabù (1912-13) [p. 73]. 13 Vgl.: Das Tabu und die Ambivalenz in »Totem und Tabu«.

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sehr rasch –; gelungen war, habe ich’s von der Mutter der für lange Zeit Geheilten selbst gehört.

Abgetrennte Glieder, ein abgehauener Kopf, eine vom Arm gelöste Hand wie in einem Märchen von Hauff, Füße, die für sich allein tanzen wie in dem er-wähnten Buche von A. Schaeffer, haben etwas ungemein Unheimliches an sich, besonders wenn ihnen wie im letzten Beispiel noch eine selbständige Tätigkeit zugestanden wird. Wir wissen schon, daß diese Unheimlichkeit von der Annähe-rung an den Kastrationskomplex herrührt. Manche Menschen würden die Krone der Unheimlichkeit der Vorstellung zuweisen, scheintot begraben zu werden. Al-lein die Psychoanalyse hat uns gelehrt, daß diese schreckende Phantasie nur die Umwandlung einer anderen ist, die ursprünglich nichts Schreckhaftes war, sondern von einer gewissen Lüsternheit getragen wurde, nämlich der Phantasie vom Leben im Mutterleib.

Tragen wir noch etwas Allgemeines nach, was strenggenommen bereits in

unseren bisherigen Behauptungen über den Animismus und die überwundenen Arbeitsweisen des seelischen Apparats enthalten ist, aber doch einer besonderen Hervorhebung würdig scheint, daß es nämlich oft und leicht unheimlich wirkt, wenn die Grenze zwischen Phantasie und Wirklichkeit verwischt wird, wenn etwas real vor uns hintritt, was wir bisher für phantastisch gehalten haben, wenn ein Symbol die volle Leistung und Bedeutung des Symbolisierten übernimmt und dergleichen mehr. Hierauf beruht auch ein gutes Stück der Unheimlichkeit, die den magischen Praktiken anhaftet. Das Infantile daran, was auch das Seelenleben der Neurotiker beherrscht, ist die Überbetonung der psychischen Realität im Vergleich zur mate-riellen, ein Zug, welcher sich der Allmacht der Gedanken anschließt. Mitten in der Absperrung des Weltkrieges kam eine Nummer des englischen Magazins Strand in meine Hände, in der ich unter anderen ziemlich überflüssigen Produktionen eine Erzählung las, wie ein junges Paar eine möblierte Wohnung bezieht, in der sich ein seltsam geformter Tisch mit holzgeschnitzten Krokodilen befindet. Gegen Abend pflegt sich dann ein unerträglicher, charakteristischer Gestank in der Woh-nung zu verbreiten, man stolpert im Dunkeln über irgend etwas, man glaubt zu sehen, wie etwas Undefinierbares über die Treppe huscht, kurz, man soll erraten, daß infolge der Anwesenheit dieses Tisches gespenstische Krokodile im Hause spuken oder daß die hölzernen Scheusale im Dunkeln Leben bekommen oder etwas Ähnliches. Es war eine recht einfältige Geschichte, aber ihre unheimliche Wirkung verspürte man als ganz hervorragend.

Zum Schlusse dieser gewiß noch unvollständigen Beispielsammlung soll eine Erfahrung aus der psychoanalytischen Arbeit erwähnt werden, die, wenn sie nicht

una cosa del genere dalla madre della ragazza molto tempo dopo la guarigione della figlia.

Membra staccate dal corpo, una testa mozzata, una mano recisa dal braccio come in una fiaba di Hauff,* piedi che danzano da soli come nel libro citato di Schaffer, sono tutte cose che hanno un che di stra-ordinariamente perturbante, specie se ad esse si attribuisce, come in quest’ultimo esempio, anche un’attività indipendente. Sappiamo già che la sensazione di turbamento che queste cose suscitano deriva dalla loro prossimità al complesso di evirazione. Alcuni vorrebbero attribuire la palma del perturbante all’idea di venir seppelliti . in stato di morte apparente. Sennonché la psicoanalisi ci ha insegnato che questa fanta-sia terrificante non è che la trasformazione di un’altra fantasia, che non aveva in origine nulla di spaventevole, ma che era anzi il portato di una certa lascivia: mi riferisco alla fantasia della vita intrauterina.**

Aggiungiamo ancora qualche considerazione generale che, a rigo-re, è già contenuta nelle nostre precedenti affermazioni sull’animismo e sulle modalità di lavoro dell’apparato psichico già sorpassate, ma che sembra meritare una particolare o sottolineatura: e cioè che spesso e volentieri ci troviamo esposti a un effetto perturbante quando il confine tra fantasia e realtà si fa labile, quando appare realmente ai nostri oc-chi qualcosa che fino a quel momento avevamo considerato fantastico, quando un simbolo assume pienamente la funzione e il significato di ciò che è simboleggiato, e via di questo passo. Qui poggia anche buona parte del turbamento suscitato dalle pratiche magiche. L’elemento infan-tile, che domina anche la vita psichica dei nevrotici, è presente in questo caso come eccessiva accentuazione della realtà psichica rispetto alla realtà materiale, tratto questo che si ricollega alI’ onnipotenza dei pen-sieri. Durante la guerra mondiale, in pieno blocco, mi capitò nelle mani un numero della rivista inglese “Strand Magazine.”, nella quale, tra altri articoli abbastanza superflui, lessi il racconto seguente. Una giovane coppia va ad abitare in un appartamento ammobiliato in cui ·si trova un tavolo dalla forma strana, con coccodrilli intagliati nel legno. Ogni sera si diffonde nell’abitazione un puzzo insopportabile, caratteristico; nel buio i giovani inciampano contro qualcosa, credono di vedere un non so che di indefinibile che guizza sulla scala; per farla breve, sono portati a immaginare che, data la presenza del tavolo, la casa sia abitata da coc-codrilli fantasma o che nell’oscurità i mostri di legno si animino, o cose del genere. Era una storia parecchio scipita, ma l’effetto perturbante che provocava era davvero notevole.

A conclusione di questa serie certo incompleta di esempi, dobbiamo citare un’ esperienza che traiamo dal lavoro psicoanalitico e che, se non

* [Wilhelm Hauff (1802-27). La fiaba cui si allude reca il titolo Die Geschichte von der abgehauenen Hand (La storia della mano mozza).]

** [Vedi, di Freud, il caso clinico dell’uomo dei lupi (1914) p. 574.]

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auf einem zufälligen Zusammentreffen beruht, die schönste Bekräftigung unserer Auffassung des Unheimlichen mit sich bringt. Es kommt oft vor, daß neurotische Männer erklären, das weibliche Genitale sei ihnen etwas Unheimliches. Dieses Unheimliche ist aber der Eingang zur alten Heimat des Menschenkindes, zur Ört-lichkeit, in der jeder einmal und zuerst geweilt hat. »Liebe ist Heimweh«, behaup-tet ein Scherzwort, und wenn der Träumer von einer Örtlichkeit oder Landschaft noch im Traume denkt: Das ist mir bekannt, da war ich schon einmal, so darf die Deutung dafür das Genitale oder den Leib der Mutter einsetzen. Das Unheimliche ist also auch in diesem Falle das ehemals Heimische, Altvertraute. Die Vorsilbe »un« an diesem Worte ist aber die Marke der Verdrängung.

dipende da una coincidenza casuale, fornisce il piu valido supporto alla nostra concezione del perturbante. Succede spesso che individui nevro-tici dichiarino che l’apparato genitale femminile rappresenta per loro un che di perturbante. Questo perturbante (Unheimliche) è però l’accesso all’antica patria (Heimat) dell’uomo, al luogo in cui ognuno ha dimorato un tempo e che è anzi la sua prima dimora. “Amore è nostalgia”, dice un’espressione scherzosa, e quando colui che sogna una località o un paesaggio pensa, sempre sognando: “Questo luogo mi è noto, qui sono già stato” è lecita l’interPretazione che inserisce al posto del paesaggio l’organo genitale o il corpo della madre.* Anche in questo caso, quindi, unheimlich è ciò che un giorno fu heimisch [patrio], familiare. E il prefis-so negativo «un» è il contrassegno della rimozione.**

* [Vedi L’interpretazione dei sogni (1899), p. 366.] ** [Vedi lo scritto successivo di Freud La negazione (1925).]

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III

Schon während der Lektüre der vorstehenden Erörterungen werden sich beim Leser Zweifel geregt haben, denen jetzt gestattet werden soll, sich zu sammeln und laut zu werden.

Es mag zutreffen, daß das Unheimliche das Heimliche-Heimische ist, das eine Verdrängung erfahren hat und aus ihr wiedergekehrt ist, und daß alles Un-heimliche diese Bedingung erfüllt. Aber mit dieser Stoffwahl scheint das Rätsel des Unheimlichen nicht gelöst. Unser Satz verträgt offenbar keine Umkehrung. Nicht alles, was an verdrängte Wunschregungen und überwundene Denkweisen der individuellen Vorzeit und der Völkerurzeit mahnt, ist darum auch unheimlich.

Auch wollen wir es nicht verschweigen, daß sich fast zu jedem Beispiel, wel-ches unseren Satz erweisen sollte, ein analoges finden läßt, das ihm widerspricht. Die abgehauene Hand z. B. im Hauffschen Märchen ›Die Geschichte von der abgehauenen Hand‹ wirkt gewiß unheimlich, was wir auf den Kastrationskomplex zurückgeführt haben. Aber in der Erzählung des Herodot vom Schatz des Rhamp-senit läßt der Meisterdieb, den die Prinzessin bei der Hand festhalten will, ihr die abgehauene Hand seines Bruders zurück, und andere werden wahrscheinlich ebenso wie ich urteilen, daß dieser Zug keine unheimliche Wirkung hervorruft. Die prompte Wunscherfüllung im ›Ring des Polykrates‹ wirkt auf uns sicherlich eben-so unheimlich wie auf den König von Ägypten selbst. Aber in unseren Märchen wimmelt es von sofortigen Wunscherfüllungen, und das Unheimliche bleibt dabei aus. Im Märchen von den drei Wünschen läßt sich die Frau durch den Wohlgeruch einer Bratwurst verleiten zu sagen, daß sie auch so ein Würstchen haben möch-te. Sofort liegt es vor ihr auf dem Teller. Der Mann wünscht im Ärger, daß es der Vorwitzigen an der Nase hängen möge. Flugs baumelt es an ihrer Nase. Das ist sehr eindrucksvoll, aber nicht im geringsten unheimlich. Das Märchen stellt sich überhaupt ganz offen auf den animistischen Standpunkt der Allmacht von Gedan-ken und Wünschen, und ich wüßte doch kein echtes Märchen zu nennen, in dem irgendetwas Unheimliches vorkäme. Wir haben gehört, daß es in hohem Grade unheimlich wirkt, wenn leblose Dinge, Bilder, Puppen, sich beleben, aber in den Andersenschen Märchen leben die Hausgeräte, die Möbel, der Zinnsoldat, und nichts ist vielleicht vom Unheimlichen entfernter. Auch die Belebung der schönen Statue des Pygmalion wird man kaum als unheimlich empfinden.

Scheintod und Wiederbelebung von Toten haben wir als sehr unheimliche Vorstellungen kennengelernt. Dergleichen ist aber wiederum im Märchen sehr ge-wöhnlich; wer wagte es unheimlich zu nennen, wenn z. B. Schneewittchen die Au-gen wieder aufschlägt? Auch die Erweckung von Toten in den Wundergeschich-

III

Nel lettore che ha scorso ciò che abbiamo esposto finora saranno cer-tamente già emersi dei dubbi ai quali dobbiamo ora permettere di orga-nizzarsi e di esprimersi.

Può esser vero che l’Unheimliche sia lo Heimliche-Heimische che ha subito una rimozione e poi è ritornato, e che tutto ciò che è perturbante risponda a questa condizione. Ma, optando per questa soluzione, l’enig-ma del perturbante non sembra ancora risolto. Palesemente la nostra proposizione non è reversibile. Non tutto ciò . che ricorda moti di desi-derio rimossi e modi di pensare sorpassati dei primordi della storia indi-viduale, nonché di quella collettiva, è per ciò stesso anche perturbante.

Non vogliamo neppure sottacere che per quasi ogni esempio atto a dimostrare il nostro asserto, è possibile trovare un esempio analogo che lo contraddice. Per esempio, la mano troncata di cui si narra nella fiaba di HaufI La storia della mano mozza ha senza dubbio un effetto perturbante, che abbiamo fatto risalire al .complesso dievirazione ‘[vedi pp. 104 sg.]; ma nel racconto di Erodoto [lb. 2, 124] sul tesoro di Ram-psinito, illadrone che la principessa vuoI trattenere per un braccio le riconsegna la mano mozza del fratello, e non credo di essere il solo a ritenere che questo particolare non provoca alcun effetto perturbante. Nell’Anello di Policrate [vedi sopra p. 100] il pronto adempimento dei desideri (dell’amico] ha indubbiamente su di noi lo stesso effetto pertur-bante che ha sul re d’Egitto [l’ospite]; eppure le nostre fiabe brulicano di desideri subitaneamente appagati, senza che in ciò vi sia nulla di perturbante. Nella fiaba dei Tre desideri la donna, ingolosita dal profumo di una salsiccia arrostita, si lascia indurre a dire che anche lei vorrebbe una salsiccia cosi: e subito la salsiccia compare nel piatto. Il marito, adi-rato, esprime iI desiderio che la salsiccia possa appendersi al naso della sventata consorte: e hop! ecco che la salsiccia le ciondola dal naso. La scena è molto suggestiva, ma non ha nulla, di perturbante. Le fiabe si pongono comunque e schiettamente sul terreno animistico dell’onni-potenza dei pensieri e dei desideri, eppure non saprei citare una sola vera favola in cui ciò generi alcunché di perturbante. Abbiamo visto che si ottiene un effetto pio che mai perturbante quando cose, immagini e bambole senza vita si animano; ebbene, nelle favole di Andersen vivono gli oggetti di casa, i mobili, il soldatino di piombo, eppure non c’è niente, forse, di meno perturbante. Neppure possiamo sostenere che la bella statua di Pigmalione che prende vita eserciti un effetto perturbante.

Morte apparente e morti che risuscitano sono rappresentazioni for-temente perturbanti, a quanto abbiamo appreso. Eppure fatti di questo genere sono oltremodo consueti, ancora una volta, nelle fiabe: chi ose-rebbe per esempio definire perturbante Biancaneve quando riapre gli occhi? Anche il ridestarsi di morti, per esempio nelle storie miracolose

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ten, z. B. des Neuen Testaments, ruft Gefühle hervor, die nichts mit dem Unheim-lichen zu tun haben. Die unbeabsichtigte Wiederkehr des Gleichen, die uns so unzweifelhafte unheimliche Wirkungen ergeben hat, dient doch in einer Reihe von Fällen anderen, und zwar sehr verschiedenen Wirkungen. Wir haben schon einen Fall kennengelernt, in dem sie als Mittel zur Hervorrufung des komischen Gefühls gebraucht wird, und können Beispiele dieser Art häufen. Andere Male wirkt sie als Verstärkung u. dgl., ferner: woher rührt die Unheimlichkeit der Stille, des Allein-seins, der Dunkelheit? Deuten diese Momente nicht auf die Rolle der Gefahr bei der Entstehung des Unheimlichen, wenngleich es dieselben Bedingungen sind, unter denen wir die Kinder am häufigsten Angst äußern sehen? Und können wir wirklich das Moment der intellektuellen Unsicherheit ganz vernachlässigen, da wir doch seine Bedeutung für das Unheimliche des Todes zugegeben haben?

So müssen wir wohl bereit sein anzunehmen, daß für das Auftreten des un-heimlichen Gefühls noch andere als die von uns vorangestellten stofflichen Bedin-gungen maßgebend sind. Man könnte zwar sagen, mit jener ersten Feststellung sei das psychoanalytische Interesse am Problem des Unheimlichen erledigt, der Rest erfordere wahrscheinlich eine ästhetische Untersuchung. Aber damit würden wir dem Zweifel das Tor öffnen, welchen Wert unsere Einsicht in die Herkunft des Unheimlichen vom verdrängten Heimischen eigentlich beanspruchen darf.

Eine Beobachtung kann uns den Weg zur Lösung dieser Unsicherheiten weisen. Fast alle Beispiele, die unseren Erwartungen widersprechen, sind dem Bereich der Fiktion, der Dichtung, entnommen. Wir erhalten so einen Wink, einen Unterschied zu machen zwischen dem Unheimlichen, das man erlebt, und dem Unheimlichen, das man sich bloß vorstellt oder von dem man liest.

Das Unheimliche des Erlebens hat weit einfachere Bedingungen, umfaßt aber weniger zahlreiche Fälle. Ich glaube, es fügt sich ausnahmslos unserem Lösungs-versuch, läßt jedesmal die Zurückführung auf altvertrautes Verdrängtes zu. Doch ist auch hier eine wichtige und psychologisch bedeutsame Scheidung des Materi-als vorzunehmen, die wir am besten an geeigneten Beispielen erkennen werden.

Greifen wir das Unheimliche der Allmacht der Gedanken, der prompten Wun-scherfüllung, der geheimen schädigenden Kräfte, der Wiederkehr der Toten her-aus. Die Bedingung, unter der hier das Gefühl des Unheimlichen entsteht, ist nicht zu verkennen. Wir –; oder unsere primitiven Urahnen –; haben dereinst diese Möglichkeiten für Wirklichkeit gehalten, waren von der Realität dieser Vorgänge überzeugt. Heute glauben wir nicht mehr daran, wir haben diese Denkweisen überwunden, aber wir fühlen uns dieser neuen Überzeugungen nicht ganz si-cher, die alten leben noch in uns fort und lauern auf Bestätigung. Sowie sich nun etwas in unserem Leben ereignet, was diesen alten abgelegten Überzeugungen

nel Nuovo Testamento, evoca sensazioni che non hanno nulla a che fare col perturbante. Il ritorno non intenzionale delle stesse cose, che ci ha fornito effetti perturbanti davvero indubitabili, in tutta una serie di casi serve invece ad altri intenti e provoca effetti completamente diversi: abbiamo già visto [vedi p. 98] un caso in cui esso viene usato per provo-care una sensazione di comicità, ed esempi di questo genere potremmo portar ne a iosa; altre volte tale ritorno ha valore di rafforzamento e cOSI via. E poi: da che cosa deriva il senso di turbamento causato dal silen-zio, dalla solitudine, dall’oscurità? Non alludono forse questi elementi alla parte che ha il pericolo nella genesi del perturbante, sebbene siano proprio queste le Condizioni che determinano piu frequentemente nei bambini le manifestazioni di paura? E possiamo davvero trascurare del tutto l’el€mento dell’incertezza intellettuale, dal momento che abbiamo ammesso la sua importanza per quanto vi è di perturbante in ciò che attiene alla morte? [vedi pp. 102 sgg.].

Dobbiamo dunque essere pronti ad ammettere che altre condizioni, oltre a quelle menzionate prima, sono determinanti perché sorga il sen-timento perturbante. Si potrebbe dire, pertanto, che con la nostra prima messa a punto l’interesse psicoanalitico per il problema del perturbante è esaurito, e che quanto resta richiede probabilmente un’analisi. esteti-ca. Ma in tal caso spalancheremmo la porta al dubbio sul valore che può essere rivendicato dalla nostra concezione secondo cui il perturbante trae origine da qualcosa di fami-’ Iiare che è stato rimosso.

Un’osservazione può indicarci la strada per risolvere queste incer-tezze. Quasi tutti gli esempi che contraddicono alle nostre aspettative sono tratti dal regno della finzione, della poesia. È un avvertimento, questo, a tracciare una linea di demarcazione tra il perturbante che si sperimenta direttamente e il perturbante che ci si immagina soltanto, o del quale si sente parlare nei libri.

Il perturbante che noi sperimentiamo risponde a condizioni molto piu semplici ma comprende un numero minore di casi. lo credo che esso si adatti senza fallo ,al nostro tentativo di soluzione, che possa cioè esser fatto risalire ogni volta a un elemento rimosso ma che ci era da sem-pre familiare. Tuttavia dobbiamo operare anche qui una distinzione im-portante e psicologicamente significativa del materiale, distinzione che comprenderemo meglio rifacendoci ad esempi appropriati.

Consideriamo il perturbante che compare nell’onnipotenza dei pen-sieri, nel subitaneo appagamento dei desideri, nelle forze nefaste oc-culte, nel ritorno dei morti. Non si può disconoscere la condizione che determina in questi casi il senso del perturbante. Noi – o i nostri primitivi antenati – abbiamo ritenuto vere in passato tali pos ... sibilità,abbiamo creduto nella realtà di questi processi. Oggi non ci crediamo piu, abbiamo superato questo modo di pensare,- ma non ci sentiamo completamente sicuri di questi nuovi convincimenti, giacché le antiche credenze soprav-vivono ancora in noi e stanno li, in attesa di conferma. Ebbene, non ap-pena nella nostra esistenza si verifica qualcosa che sembra convalidare

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eine Bestätigung zuzuführen scheint, haben wir das Gefühl des Unheimlichen, zu dem man das Urteil ergänzen kann: Also ist es doch wahr, daß man einen anderen durch den bloßen Wunsch töten kann, daß die Toten weiterleben und an der Stätte ihrer früheren Tätigkeit sichtbar werden u. dgl.! Wer im Gegenteil diese animistischen Überzeugungen bei sich gründlich und endgültig erledigt hat, für den entfällt das Unheimliche dieser Art. Das merkwürdigste Zusammentreffen von Wunsch und Erfüllung, die rätselhafteste Wiederholung ähnlicher Erlebnisse an demselben Ort oder zum gleichen Datum, die täuschendsten Gesichtswahr-nehmungen und verdächtigsten Geräusche werden ihn nicht irremachen, keine Angst in ihm erwecken, die man als Angst vor dem »Unheimlichen« bezeichnen kann. Es handelt sich hier also rein um eine Angelegenheit der Realitätsprüfung, um eine Frage der materiellen Realität14.

Anders verhält es sich mit dem Unheimlichen, das von verdrängten infantilen Komplexen ausgeht, vom Kastrationskomplex, der Mutterleibsphantasie usw., nur daß reale Erlebnisse, welche diese Art von Unheimlichem erwecken, nicht sehr häufig sein können. Das Unheimliche des Erlebens gehört zumeist der früheren Gruppe an, für die Theorie ist aber die Unterscheidung der beiden sehr bedeut-sam. Beim Unheimlichen aus infantilen Komplexen kommt die Frage der materi-ellen Realität gar nicht in Betracht, die psychische Realität tritt an deren Stelle. Es handelt sich um wirkliche Verdrängung eines Inhalts und um die Wiederkehr des Verdrängten, nicht um die Aufhebung des Glaubens an die Realität dieses Inhalts. Man könnte sagen, in dem einen Falle sei ein gewisser Vorstellungsinhalt, im an-deren der Glaube an seine (materielle) Realität verdrängt. Aber die letztere Aus-drucksweise dehnt wahrscheinlich den Gebrauch des Terminus »Verdrängung« über seine rechtmäßigen Grenzen aus. Es ist korrekter, wenn wir einer hier spür-baren psychologischen Differenz Rechnung tragen und den Zustand, in dem sich die animistischen Überzeugungen des Kulturmenschen befinden, als ein –; mehr oder weniger vollkommenes –; Überwundensein bezeichnen. Unser Ergebnis

questi antichi convincimenti ormai deposti, ecco che nasce in noi il senso del perturbante; ed è come se esprimessimo un giudizio del tipo: “Ma allora è vero che si può uccidere una persona col solo desiderio, che i morti continuano a vivere e diventano visibili nei luoghi in cui operarono in vita, e via di seguito!” Chi al contrario si è radicalmente e definitivamente liberato di queste convinzioni animistiche è insensibile al perturbante di questo tipo. La piu straordinaria coincidenza tra desiderio e realizzazio-ne, la piu enigmatica ripetizione di episodi analoghi nello stesso luogo o alla stessa data, le piu ingannevoli percezioni visive e i rumori piu sospetti non gli causeranno alcuno smarrimento, non desteranno in lui traccia alcuna di quell’angoscia che può esser chiamata angoscia di fronte al “perturbante”. Si tratta qui dunque semplicemente di una faccenda che ri-guarda l’“esame di realtà”, di un problema attinente alla realtà materiale.14

Le cose stanno altrimenti col perturbante che muove da complessi infantili rimossi, dal complesso di evirazione, da fantasie sul grembo materno e così via; sennonché esperienze reali che evocano questo tipo di perturbante non possçno essere molto frequenti. Anche se il per-turbante sperimentato direttamente rientra di solito nel primo gruppo, sul piano teorico la distinzione tra i due tipi è estremamente significativa. Nel caso del perturbante proveniente da complessi infantili il problema della realtà materiale non si pone affatto, essendo il suo posto occupato dalla realtà psichica. Siamo di fronte alI’effettiva rimozione di un conte-nuto e al ritorno del rimosso, e non al fatto che si è smesso di credere nella realtà di quel contenuto. Potremmo dire che in un caso viene ri-mosso un certo contenuto rappresentativo, nell’altro la credenza nella sua realtà (materiale). Quest’ultima espressione, però, estende proba-bilmente l’uso del termine “rimozione” al di là dei suoi confini legittimi. È piu corretto tener conto di una differenza psicologica che in questo caso è chiaramente avvertibile e dire che la condizione in cui si trovano i convincimenti animistici dell’uomo civile è quella dell’esser stati piu o meno completamente superati. La nostra conclusione potrebbe dunque

14 Poiché anche l’effetto perturbante del sosia fa parte di questa categoria, diventa inte-ressante conoscere refIetto che fa su di noi l’immagine della nostra persona quando ci si fa incontro non chiamata e inattesa. Ernst Mach riferisce due osservazioni di questo genere in Analyse del Empnndungen Gena, 2a ed. 1900) p. 3. Una prima volta si spaventò non poco quando riconobbe che il volto che aveva visto era il suo stesso volto; la seconda volta pronunciò un giudizio assai sfavorevole sullo sconosciuto (tal~ lo riteneva) che saliva sul suo omnibus: “Guarda un po’ chi arriva, un disgraziato di maestro di scuola I “ - Posso raccontare a mia volta un’avventura simile. Ero seduto, solo, nello scompartimento del vagone ... letto quando per una scossa piu violenta del treno la porta che dava sulla toeletta attigua si apri e un signore piuttosto anziano, in veste da camera, con un berretto da viaggio in testa, entrò nel mio scompartimen-to. Supposi che avesse sbagliato direzione nel venir via dal gabinetto che si trovava tra i due scompartimenti, e che fosse entrato da me per errore; saltai su per spiegarglielo ma mi accorsi subito, con grande sgomento, che l’intruso era la mia stessa immagine riftessa dallo specchio fissato sulla porta di comunicazione. Ricordo tuttora che l’apparizione non mi piacque affatto. - Anziché spaventarci alla vista del nostro sosia, quindi, tanto Mach che io semplicemente non lo avevamo riconosciuto. Non escluderei che la brutta impressione destata in noi fosse in definiti-va un residuo di quella reazione arcaica la quale percepisce il sosia come un che di perturbante.

14 Da auch das Unheimliche des Doppelgängers von dieser Gattung ist, wird es interessant, die Wirkung zu erfahren, wenn uns einmal das Bild der eigenen Persönlichkeit ungerufen und unvermutet entgegentritt. E. Mach berichtet zwei solcher Beobachtungen in der »Analyse der Empfindungen«, 1900, Seite 3. Er erschrak das eine Mal nicht wenig, als er erkannte, daß das gesehene Gesicht das eigene sei, das andere Mal fällte er ein sehr ungünstiges Urteil über den anscheinend Fremden, der in seinen Omnibus einstieg, »Was steigt doch da für ein herabgekommener Schulmeister ein«. -- Ich kann ein ähnliches Abenteuer erzählen: Ich saß allein im Abteil des Schlafwagens, als bei einem heftigeren Ruck der Fahrtbewegung die zur anstoßenden Toilette führende Türe aufging und ein älterer Herr im Schlafrock, die Reisemütze auf dem Kopf, bei mir eintrat. Ich nahm an, daß er sich beim Verlassen des zwischen zwei Abteilen befindlichen Kabinetts in der Richtung geirrt hatte und fälschlich in mein Abteil gekommen war, sprang auf, um ihn aufzuklären, erkannte aber bald verdutzt, daß der Eindringling mein eigenes vom Spiegel in der Verbindungstür entworfenes Bild war. Ich weiß noch, daß mir die Erscheinung gründlich mißfallen hatte. Anstatt also über den Doppelgänger zu erschrecken, hatten beide -- Mach wie ich -- ihn einfach nicht agnosziert. Ob aber das Mißfallen dabei nicht doch ein Rest jener archaischen Reaktion war, die den Doppelgänger als unheimlich empfindet?

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lautete dann: Das Unheimliche des Erlebens kommt zustande, wenn verdrängte infantile Komplexe durch einen Eindruck wieder belebt werden oder wenn über-wundene primitive Überzeugungen wieder bestätigt scheinen. Endlich darf man sich durch die Vorliebe für glatte Erledigung und durchsichtige Darstellung nicht vom Bekenntnis abhalten lassen, daß die beiden hier aufgestellten Arten des Un-heimlichen im Erleben nicht immer scharf zu sondern sind. Wenn man bedenkt, daß die primitiven Überzeugungen auf das innigste mit den infantilen Komplexen zusammenhängen und eigentlich in ihnen wurzeln, wird man sich über diese Ver-wischung der Abgrenzungen nicht viel verwundern.

Das Unheimliche der Fiktion –; der Phantasie, der Dichtung –; verdient in der Tat eine gesonderte Betrachtung. Es ist vor allem weit reichhaltiger als das Unheimliche des Erlebens, es umfaßt dieses in seiner Gänze und dann noch an-deres, was unter den Bedingungen des Erlebens nicht vorkommt. Der Gegensatz zwischen Verdrängtem und Überwundenem kann nicht ohne tiefgreifende Modifi-kation auf das Unheimliche der Dichtung übertragen werden, denn das Reich der Phantasie hat ja zur Voraussetzung seiner Geltung, daß sein Inhalt von der Reali-tätsprüfung enthoben ist. Das paradox klingende Ergebnis ist, daß in der Dichtung vieles nicht unheimlich ist, was unheimlich wäre, wenn es sich imLeben ereignete, und daß in der Dichtung viele Möglichkeiten bestehen, unheimliche Wirkungen zu erzielen, die fürs Leben wegfallen.

Zu den vielen Freiheiten des Dichters gehört auch die, seine Darstellungswelt nach Belieben so zu wählen, daß sie mit der uns vertrauten Realität zusammen-fällt oder sich irgendwie von ihr entfernt. Wir folgen ihm in jedem Falle. Die Welt des Märchens z. B. hat den Boden der Realität von vornherein verlassen und sich offen zur Annahme der animistischen Überzeugungen bekannt. Wunscherfüllun-gen, geheime Kräfte, Allmacht der Gedanken, Belebung des Leblosen, die im Märchen ganz gewöhnlich sind, können hier keine unheimliche Wirkung äußern, denn für die Entstehung des unheimlichen Gefühls ist, wie wir gehört haben, der Urteilsstreit erforderlich, ob das überwundene Unglaubwürdige nicht doch real möglich ist, eine Frage, die durch die Voraussetzungen der Märchenwelt über-haupt aus dem Wege geräumt ist. So verwirklicht das Märchen, das uns die mei-sten Beispiele von Widerspruch gegen unsere Lösung des Unheimlichen geliefert hat, den zuerst erwähnten Fall, daß im Reiche der Fiktion vieles nicht unheimlich ist, was unheimlich wirken müßte, wenn es sich im Leben ereignete. Dazu kom-men fürs Märchen noch andere Momente, die später kurz berührt werden sollen.

Der Dichter kann sich auch eine Welt erschaffen haben, die, minder phan-tastisch als die Märchenwelt, sich von der realen doch durch die Aufnahme von höheren geistigen Wesen, Dämonen oder Geistern Verstorbener scheidet. Alles Unheimliche, was diesen Gestalten anhaften könnte, entfällt dann, soweit die

essere questa: il perturbante che si sperimenta diret. tamente si verifica quando complessi infantili rimossi sono richiamati in vita da un’impres-sione, o quando convinzioni primitive superate sembrano aver trovato una nuova. convalida. Infine non dobbiamo far si che la nostra predile-zione per le soluzioni e le esposizioni semplici e trasparenti ci trattenga dal confessare che non sempre è possibile tracciare, nelI’ esperienza vissuta, una netta linea di demarcazione tra i due tipi di perturbante di cui stiamo parlando. Se si pensa che i convincimenti primitivi sono intimamente correlati con i complessi infantili, e anzi, propriamente par-lando, sono radicati in essi, il fatto che questi confini tendano a sfumarsi non susciterà grande stupore.

Il perturbante che appartiene al mondo della finzione letteraria – e cioè della fantasia e della poesia – merita invero d’esser considerato a parte. Anzitutto abbraccia un campo molto piu vasto del perturbante che si sperimenta nella vita, comprende questo nella sua totalità e altre cose ancora, che nella vita vissuta non capitano mai. L’antitesi tra rimosso e superato non può essere trasferita nel perturbante poetico senza subire una ‘profonda modificazione, perché il regno della fantasia presuppone, per affermarsi, che il suo contenuto sia esonerato dall’esame di realtà. La conclusione, che suona paradossale, è che molte cose che sareb-bero perturbanti se accadessero nella vita non sono perturbanti nella poesia, e che d’altra parte nella poesia, per ottenere effetti perturbant~, esistono una quantità di mezzi di cui la vita non può disporre.

Tra le molte libertà concesse ai”poett c’è anche quella di scegliersi a loro capriccio il mondo che vogliono rappresentare, in modo che esso coincida con la realtà a noi consueta oppure se ne discosti per un ver-so o per l’altro. In ogni caso, noi li seguiamo. Il mondo della fiaba, per esempio, ha abbandonato fin da principio il terreno della realtà, profes-sando apertamente le proprie convinzioni animistiche. Appagamenti di desideri, forze occulte, onnipotenza dei pensier~, animazione di ciò che è inanimato, tutte cose assolutamente consuete nelle fiabe, non posso-no produrre· in esse alcun effetto perturbante, perché al fiDe della na-scita del sentimento perturbante è necessario, come abbiamo visto, un dilemma relativo alla possibilità che le convinzioni superate e ormai rite-nute indegne di fede si rivelino, nonostante tutto, rispondenti alla realtà; e questo è un problema che le premesse proprie del mondo della fiaba spazzano via interamente. Così la fiaba, che ha fornito la maggioranza degli esempi che contraddicono la nostra ipotesi relativa al perturbante, convalida la prima parte della nostra tesi: quella secondo cui nel regno della finzione letteraria non hanno effetto perturbante molte cose che certamente l’avrebbero se accadessero nella vita. Nella fiaba compaio-no ancora altri elementi cui faremo brevemente cenno in seguito.

Ma il poeta può anche essersi creato un mondo che, meno fanta-stico di quello delle fiabe, si differenzia tuttavia dal mondo reale perché include esseri spirituali superiori, dèmoni o spiriti di defunti. Tali figure, se e fintantoché sono coerenti con le premesse di questa realtà poetica,

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Voraussetzungen dieser poetischen Realität reichen. Die Seelen der Danteschen Hölle oder die Geistererscheinungen in Shakespeares Hamlet, Macbeth, Julius Caesar mögen düster und schreckhaft genug sein, aber unheimlich sind sie im Grunde ebensowenig wie etwa die heitere Götterwelt Homers. Wir passen unser Urteil den Bedingungen dieser vom Dichter fingierten Realität an und behandeln Seelen, Geister und Gespenster, als wären sie vollberechtigte Existenzen, wie wir es selbst in der materiellen Realität sind. Auch dies ist ein Fall, in dem Unheim-lichkeit erspart wird.

Anders nun, wenn der Dichter sich dem Anscheine nach auf den Boden der gemeinen Realität gestellt hat. Dann übernimmt er auch alle Bedingungen, die im Erleben für die Entstehung des unheimlichen Gefühls gelten, und alles was im Leben unheimlich wirkt, wirkt auch so in der Dichtung. Aber in diesem Falle kann der Dichter auch das Unheimliche weit über das im Erleben mögliche Maß hinaus steigern und vervielfältigen, indem er solche Ereignisse vorfallen läßt, die in der Wirklichkeit nicht oder nur sehr selten zur Erfahrung gekommen wären. Er verrät uns dann gewissermaßen an unseren für überwunden gehaltenen Aberglauben, er betrügt uns, indem er uns die gemeine Wirklichkeit verspricht und dann doch über diese hinausgeht. Wir reagieren auf seine Fiktionen so, wie wir auf eigene Erlebnisse reagiert hätten; wenn wir den Betrug merken, ist es zu spät, der Dich-ter hat seine Absicht bereits erreicht, aber ich muß behaupten, er hat keine reine Wirkung erzielt. Bei uns bleibt ein Gefühl von Unbefriedigung, eine Art von Groll über die versuchte Täuschung, wie ich es besonders deutlich nach der Lektüre von Schnitzlers Erzählung Die Weissagung und ähnlichen mit dem Wunderbaren liebäugelnden Produktionen verspürt habe. Der Dichter hat dann noch ein Mittel zur Verfügung, durch welches er sich dieser unserer Auflehnung entziehen und gleichzeitig die Bedingungen für das Erreichen seiner Absichten verbessern kann. Es besteht darin, daß er uns lange Zeit über nicht erraten läßt, welche Vorausset-zungen er eigentlich für die von ihm angenommene Welt gewählt hat, oder daß er kunstvoll und arglistig einer solchen entscheidenden Aufklärung bis zum Ende ausweicht. Im ganzen wird aber hier der vorhin angekündigte Fall verwirklicht, daß die Fiktion neue Möglichkeiten des unheimlichen Gefühls erschafft, die im Erleben wegfallen würden.

Alle diese Mannigfaltigkeiten beziehen sich strenggenommen nur auf das Un-heimliche, das aus dem Überwundenen entsteht. Das Unheimliche aus verdräng-ten Komplexen ist resistenter, es bleibt in der Dichtung –; von einer Bedingung abgesehen –; ebenso unheimlich wie im Erleben. Das andere Unheimliche, das aus dem Überwundenen, zeigt diesen Charakter im Erleben und in der Dichtung, die sich auf den Boden der materiellen Realität stellt, kann ihn aber in den fiktiven, vom Dichter geschaffenen Realitäten einbüßen.

Es ist offenkundig, daß die Freiheiten des Dichters und damit die Vorrechte der Fiktion in der Hervorrufung und Hemmung des unheimlichen Gefühls durch die vorstehenden Bemerkungen nicht erschöpft werden. Gegen das Erleben ver-

perdono ogni connotato perturbante. Le anime dell’Inferno dantesco o le apparizioni di spettri nell’Amleto, nel Macbeth, nel Giulio Cesare di Sha-kespeare possono essere fosche e spaventevoliquanto si vuole, ma non sono in definitiva piu pertur ... banti delle serene divinità che popolano il mondo di Omero. Noi adeguiamo il nostro giudizio alle condizioni della realtà che il poeta si finge e trattiamo anime, spiriti e spettri come esi-stenze perfettamente valide, cosi come ci sentiamo noi nella realtà ma-teriale. Anche in questo caso l’elemento perturbante ci viene risparmiato.

Le cose stanno altrimenti se il poeta si pone, a quanto ci è dato di vedere, sul terreno della realtà consueta. In questo caso egli fa proprie anche tutte le condizioni che nell’ esperienza reale sono all’origine del sentimento perturbante, e quindi tutto ciò che ha effetto perturbante nella vita ce l’ha anche’ nella poesia. Ma in questo caso il poeta può anche accrescere e moltiplicare il perturbante ben oltre il limite consentito nell’ esistenza reale, facendo succedere eventi che nella realtà non speri-menteremmo o sperimenteremmo solo molto di rado., Cosi facendo egli ci abbandona in certo qual modo alla superstizione che ritenevamo in noi superata, ci inganna promettendoci la realtà piu comune che poi invece travalica. Noi reagiamo alle sue finzioni come reagiremmo a nostre espe-rienze personali; e quando ci accorgiamo dell’inganno è troppo tardi, il poeta ha già raggiunto il suo scopo ma, va detto, l’effetto che ha ottenuto non è puro. Permane in noi un senso di insoddisfazione, una sorta di astio per l’illusione che ha tentato di imporci, sensazioni che ho provato in modo particolarmente netto dopo la lettura del racconto La profezia* di Schnitzler e di analoghe produzioni letterarie che ammiccano alla sfera del meraviglioso. Tuttavia il ‘poeta dispone di un altro mezzo ancora col quale può prevenire questa nostra ribellione e al tempo stesso perfezio-nare le condizioni che gli permettono di raggiungere i suoi scopi. Esso consiste nel tenerci celate per un bel po’ le premesse che ha scelto per il mondo in cui si svolge la vicenda;. o nell’ evitare fino alla fine, con arte e malizia, ogni chiarimento decisivo in proposito. Tutto sommato però si attua qui il caso già citato prima: la finzione crea nuove possibilità di sentimenti perturbanti che non hanno riscontro nella vita vissuta.

A stretto rigore, tutte queste varietà si riferiscono esclusivamente al perturbante che sorge da ciò che è stato superato. Il perturbante deri-vante da complessi rimossi ha una maggiore resistenza e, aprescindere da un’unica condizione, [vedi poco oltre], esercita il suo effetto nella poesia non meno che nella vita vissuta. L’altro perturbante, quello che promana da convincimenti ormai superati, estrinseca il proprio carattere nella vita vissuta e in quelle creazioni poetiche che si pongono sul ter-reno della realtà materiale, e può perdere invece questi caratteri nelle realtà fittizie create dal poeta.

È evidente che con queste considerazioni non pensiamo di aver esaurito l’ambito delle libertà che sono concesse al poeta e dunque dei privilegi di cui gode ]a finzione letteraria nell’evocare e nell’inibire il senso del perturbante. Nei confronti della vita reale noi ci compor-

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halten wir uns im allgemeinen gleichmäßig passiv und unterliegen der Einwirkung des Stofflichen. Für den Dichter sind wir aber in besonderer Weise lenkbar; durch die Stimmung, in die er uns versetzt, durch die Erwartungen, die er in uns erregt, kann er unsere Gefühlsprozesse von dem einen Erfolg ablenken und auf einen anderen einstellen und kann aus demselben Stoff oft sehr verschiedenartige Wirkungen gewinnen. Dies ist alles längst bekannt und wahrscheinlich von den berufenen Ästhetikern eingehend gewürdigt worden. Wir sind auf dieses Gebiet der Forschung ohne rechte Absicht geführt worden, indem wir der Versuchung nachgaben, den Widerspruch gewisser Beispiele gegen unsere Ableitung des Unheimlichen aufzuklären. Zu einzelnen dieser Beispiele wollen wir darum auch zurückkehren.

Wir fragten vorhin, warum die abgehauene Hand im Schatz des Rhampsenit nicht unheimlich wirke wie etwa in der Hauffschen ›Geschichte von der abgehau-enen Hand‹. Die Frage erscheint uns jetzt bedeutsamer, da wir die größere Re-sistenz des Unheimlichen aus der Quelle verdrängter Komplexe erkannt haben. Die Antwort ist leicht zu geben. Sie lautet, daß wir in dieser Erzählung nicht auf die Gefühle der Prinzessin, sondern auf die überlegene Schlauheit des »Meisterdie-bes« eingestellt werden. Der Prinzessin mag das unheimliche Gefühl dabei nicht erspart worden sein, wir wollen es selbst für glaubhaft halten, daß sie in Ohn-macht gefallen ist, aber wir verspüren nichts Unheimliches, denn wir versetzen uns nicht in sie, sondern in den anderen. Durch eine andere Konstellation wird uns der Eindruck des Unheimlichen in der Nestroyschen Posse Der Zerrissene erspart, wenn der Geflüchtete, der sich für einen Mörder hält, aus jeder Falltür, deren Deckel er aufhebt, das vermeintliche Gespenst des Ermordeten aufsteigen sieht und verzweifelt ausruft: Ich hab’ doch nur einen umgebracht. Zu was diese gräßliche Multiplikation? Wir kennen die Vorbedingungen dieser Szene, teilen den Irrtum des »Zerrissenen« nicht, und darum wirkt, was für ihn unheimlich sein muß, auf uns mit unwiderstehlicher Komik. Sogar ein »wirkliches« Gespenst wie das in O. Wildes Erzählung Der Geist von Canterville muß all seiner Ansprüche, we-nigstens Grauen zu erregen, verlustig werden, wenn der Dichter sich den Scherz macht, es zu ironisieren und hänseln zu lassen. So unabhängig kann in der Welt der Fiktion die Gefühlswirkung von der Stoffwahl sein. In der Welt der Märchen sollen Angstgefühle, also auch unheimliche Gefühle überhaupt nicht erweckt wer-den. Wir verstehen das und sehen darum auch über die Anlässe hinweg, bei de-nen etwas Derartiges möglich wäre.

Von der Einsamkeit, Stille und Dunkelheit können wir nichts anderes sagen, als daß dies wirklich die Momente sind, an welche die bei den meisten Menschen nie ganz erlöschende Kinderangst geknüpft ist. Die psychoanalytische Forschung hat sich mit dem Problem derselben an anderer Stelle auseinandergesetzt.

tiamo generalmente in maniera uniformemente passiva e soggiaciamo all’influenza di ciò che accade. Nei confronti dell’artista, invece, siamo stranamente docili: mediante lo stato d’animo in cui ci traspone e le aspettative che desta in noi1 l’artista può distogliere i nostri processi emotivi da un certo esito per dirigerli verso un esito diverso, e spesso può ricavare dallo stesso materiale effetti disparatissimi. Tutto ciò è noto da tempo ed è stato probabilmente valutato. a fondo dagli specialisti di estetica. Quanto a noi, siamo stati trascinati in questo campo di ricer-ca senza una vera intenzione, cedendo alla· tentazione di chiarire certi esempi che contraddicevano le nostre vedute sull’origine del perturban-te. Perciò torneremo ora su alcuni di questi esempi.

Ci siamo domandati prima [p. 107]: perché la mano mozza che com-pare nella storia del tesoro di Rampsinito non ha lo stesso effetto per-turbante che ha per esempio nella Storia della mano mozza di Hauff? La domanda ci sembra piu significativa ora che abbiamo appurato che la refrattarietà del perturbante è maggiore quando esso ha la sua fonte in complessi rimossi. La risposta è facile: nel racconto di Erodoto noi siamo attratti non da ciò che prova la principessa bensl dalla superiore astuzia del ladrone., Può darsi che alla principessa non sia stato rispar-miato il senso del perturbante, siamo persino disposti a credere che sia svenuta, ma, quanto a noi, questa sensazione non la proviamo affatto giacché non ci immedesimiamo in lei, bensl nell’altro personaggio. In virtu di un’altra costellazione, nella farsa di Nestroy che ha per titolo Il dilaniato, l’impressione perturbante ci viene risparmiata quando l’evaso, che si considera un assassino, vede sorgere da ogni botola di cui solleva il coperchio il presunto spettro dell’assassinato e, in preda allo sgomen-to, esclama: “Eppure io ne ho ucciso uno solo! Che senso ha quest’orri-bile moltiplicazione?” Noi, che conosciamo i precedenti della scena, non condividiamo l’errore del Ildilaniato” e per questo ciò che su di lui non può che avere un effetto perturbante, esercita invece su di noi un effetto comico irresistibile. Perfino uno spettro “reale” come quello che appare nel racconto Il fantasma di Canterville di Wilde è costretto ad abbando-nare tutte le sue pretese di suscitare almeno un senso di orrore, quando lo scrittore, per celia, ironizza su di lui e consente che sia schernito. Ciò prova quanto l’effetto emotivo possa essere indipendente dalla scelta del materiale nella sfera della finzione letteraria. Le fiabe non devono far paura, e quindi non devono neanche destare sentimenti perturbanti. Noi questa cosa la comprendiamo ed è per questo che sorvoliamo· su quegli spunti che potrebbero dar luogo a qualcosa del genere.

Quanto alla solitudine, al silenzio e all’oscurità [vedi sopra p. 108] possiamo dire soltanto che sono veramente le situazioni alle quali è legata l’angoscia infantile di cui la maggior parte degli esseri umani non riesce a liberarsi mai completamente. La ricerca psicoanalitica si è coc-cupata altrove di questo problema.*

* [La paura che i bambini hanno del buio è discussa nel terzo dei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) pp. 529 sg., nota.]