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con il patrocinio di POLO PSICODINAMICHE, PRATO Biennale di Venezia 22-24 giugno 2011 [l’inesprimibile] Dalla retorica del’oblio di Dante ai luoghi senza memoria dell’arte contemporanea SEMINARIO DI PSICOLOGIA DELL’ARTE Riconosciuti n. 1 Crediti Formativi Corso di Disegno Industriale, Facoltà di Architettura di Genova. Cattedra di Psicologia Generale del Prof. Alessandro Bertirotti PROJECT WORK PER I PARTECIPANTI di Irene Battaglini, Polo Psicodinamiche di Prato [email protected]

SEMINARIO DI PSICOLOGIA DELL’ARTE – BIENNALE DI VENEZIA€¦ · PSICOLOGIA DELL’ARTE. Riconosciuti n. 1 Crediti Formativi Corso di Disegno Industriale, Facoltà di Architettura

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con il patrocinio di

POLO PSICODINAMICHE, PRATO

Biennale di Venezia 22-24 giugno 2011

[l’inesprimibile] Dalla retorica del’oblio di Dante ai luoghi senza memoria dell’arte contemporanea

SEMINARIO DI PSICOLOGIA DELL’ARTE Riconosciuti n. 1 Crediti Formativi Corso di Disegno Industriale, Facoltà di Architettura di Genova. Cattedra di Psicologia Generale del Prof. Alessandro Bertirotti

PROJECT WORK PER I PARTECIPANTI di Irene Battaglini, Polo Psicodinamiche di Prato [email protected]

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Project Work Seminario Biennale di Venezia, 22-24 giugno 2011: [l’inesprimibile] 2

Sommario Partecipanti e Staff .............................................................................................................................3

Programma .........................................................................................................................................4

Introduzione .......................................................................................................................................5

Metodologia formativa .......................................................................................................................8

L’albero-frattale .................................................................................................................................9

Dante Alighieri e la visione ultima ..................................................................................................11

Petrarca, Maestro della Memoria .....................................................................................................15

Alcuni elementi di ermeneutica .......................................................................................................25

Estetica ed Ermeneutica in Hans Georg Gadamer ...........................................................................28

Il pensiero neoplatonico e il mundus imaginalis ..............................................................................30

[l’inesprimibile] ...............................................................................................................................32

Psicodinamica dell’ [inesprimibile] .................................................................................................33

Narrazioni ........................................................................................................................................34

Bibliografia minima .........................................................................................................................35

Si ringrazia il poeta Andrea Galgano per la concessione del materiale relativo a Petrarca, Maestro della Memoria,

inserito in questo programma.

l contenuto del Project Work è strettamente riservato agli iscritti al Seminario e non può essere divulgato senza

autorizzazione degli autori.

Scrivevo silenzi, notti, notavo l'inesprimibile, fissavo vertigini.

ARTHUR RIMBAUD

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Partecipanti e Staff Partecipanti Viaggio e sistemazione

alberghiera (stanza, altro) Altro

1 Federica Fugazzi 3337438077 2 Daniela Zuccotti 3 Valeria La Mantia 4 Ludovica Ivaldi 5 Gloria Bono 6 Stefano Benzi 7 Alberto Appiani 8 Sergio Bolla 9 Gisella Prando 10 Federica Tagliaferri 11 Irene Arvigo 12 Gabriele Cupaiolo 3388956806 13 14 15 16 17 18 19 20 Staff di conduzione

1 Alessandro Bertirotti 2 Irene Battaglini 3496758608 3 Anna Venegoni 3473034103 4 Giulia Noci

NOTE:

1. Per facilitare la logistica, acquisteremo noi i biglietti per le tratte in treno da Venezia a Montegrotto e per i tre spostamenti in vaporetto (ipotizzando un ritorno a piedi passando per Venezia centro). I biglietti costano 6,50€ a tratta, avvisateci per tempo nel caso vogliate invece la card 72 ore studenti a 22€ che potrete acquistare in stazione o sul molo prima dell’appuntamento!

2. Se avete delle allergie o intolleranze alimentari, avvisateci per tempo o chiamate l’albergo direttamente facendo riferimento al gruppo Polo PsicoDinamiche.

3. Alloggeremo all’Hotel Terme Marconi di Montegrotto, Via Catajo, 6�Tel. +39 049793144

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Programma 22 GIUGNO 2011 h.12.30 appuntamento sulle scalinate fuori dalla stazione, sotto orologio h. 12.45 vaporetto (linea 1, 41, 51) fermata Giardini dopo ca 30’ h 13.00 ritiro prenotazioni presso biglietteria Biennale e visita ai Giardini h 17.45 ritorno verso stazione Venezia h 18.57 treno per Terme Euganee, arrivo h 19.41, deposito bagagli in albergo h. 20.15 cena in albergo h. 21.30 gruppo di lavoro Ai Giardini

• Danimarca, le strutture della memoria • Austria, ovvero la mappa • Israele, la psiche di Freud • Spagna, l’inadeguato come luogo prossimo all’immagine • Svezia, architettura del silenzio • Svizzera: espressamente vietato entrare

23 GIUGNO 2011 h. 7.30 caffè al bar dell’albergo h. 8.00 gruppo in acqua h. 10.00 ritrovo per colazione, già pronti per partire h. 11.15 treno per Venezia e vaporetto h. 12.30 visita all’Arsenale h 17.45 ritorno verso stazione Venezia S.Lucia per prendere il treno delle 18.57 h. 20.15 cena in albergo h. 21.30 gruppo di lavoro 24 GIUGNO 2011 h. 09.30 olazione, feedback lavori e giornata libera alle terme dell’albergo e alle strutture

• Il feedback comprende la valutazione dell’efficacia formativa, le traiettorie di sviluppo, colloqui per i progetti di empowerment individuale e di gruppo.

• Costituzione di una community per la discussione su [l’inesprimibile]

• Presentazione dei servizi di psicologia dell’arte e attivazione di un progetto con la Classe di

Disegno Industriale di Genova, cattedra di Psicologia Generale

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Introduzione Un gioco di rimandi tra psiche e arte

Dalla bocca esce la parola, il segno e simbolo. Se è segno, la parola

non significa nulla. Se invece è simbolo, significa tutto [...].

CARL GUSTAV JUNG, Il libro rosso, (2009)

L'arte accompagna lo sviluppo della nostra specie da molti millenni ed ogni individuo, a qualsiasi latitudine e longitudine, è più o meno interessato a questa importante manifestazione della parte interiore della propria personalità.

L’arte è così un "mettere in scena se stessi" e diventa gratificante cercare di comprendere come la nostra mente cerca di capire le parti più recondite del suo funzionamento emozionale attraverso i processi cognitivi ed emotivi posti in essere dalla concettualizzazione, alla produzione e alla fruizione dell’opera d’arte.

L'occasione di visitare e organizzare dei laboratori di ermeneutica dell'arte, utilizzando una serie di interessanti costrutti per una lettura psicologica non solo dell’opera, ma anche del processo di creazione e di apprendimento, di memoria e di progetto, che sta alla base della produzione e della rappresentazione, può organizzarsi dunque in un momento didattico e disciplinare di indubbia utilità. Questi sono i motivi per cui invitiamo tutti gli interessati a partecipare.

In stretta correlazione alla funzione della memoria, per molti studiosi, sta il linguaggio. Il linguaggio come espressione, e come comunicazione, ma non solo. Il linguaggio è anche il luogo vasto in cui si definiscono mappe personali, relazionali, di coppia, di gruppo. Mappe suscettibili dell’interpretazione dell’Altro, al fraintendimento, al dominio segreto del non-detto.

E’ plausibile che il linguaggio sia tutto, ma se è tutto, allora il gioco dell’interpretazione non ha fine, per arrivare all’assioma–paradosso di Nietzsche quando enuncia che non ci esistono fatti ma solo interpretazioni. Sappiamo che per molti versi questo assioma è importante perché ci mette di fronte al tema della Verità e del suo significato, e della cosiddetta deriva relativistica, spostando la prospettiva psicologica lungo i meridiani della filosofia o per lo meno della riflessione profonda.

Ed è proprio nel gioco di rimandi tra oblio e memoria, che si situano luoghi linguistici carichi di contenuti in parte inesprimibili, in cui il linguaggio dell’artista è portatore del confine tra dicibile e indicibile. La traducibilità, o la quota di intraducibilità del linguaggio artistico ci pone in contatto diretto con il problema dell’interpretazione dei messaggi dell’opera d’arte, che diventa luogo di interpretazione da parte degli studiosi, dei fruitori, dei critici, di coloro che inevitabilmente si pongono in una posizione di intersoggettività rispetto al lavoro di un artista: dei passanti e dei sans papier, dei colti, degli accademici, dei bambini. E’ difficile definirsi esenti dall’arte, in quanto dimensione immaginale costitutiva del pensiero, del linguaggio, della memoria.

Se assumiamo che il lavoro di un artista è sia il frutto del suo percorso personale, della sua esperienza, del suo talento, del suo impegno, sia l’epifenomeno di un tempo, di una cultura, la rappresentazione e la maturazione di processi e di stratificazioni di metafore, concetti, simboli e idee che afferiscono al

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collettivo e al sociale, non possiamo negare l’importanza che l’arte assume nel metterci in dialogo diretto con gli archetipi, l’inconscio collettivo, i linguaggi dell’Anima.

Il dialogo accade quindi come esperienza improvvisa ed imprevista, che irrompe nella mente e nel corpo, con le emozioni, di colui che si appresta a fruire di un’opera d’arte, e che all’improvviso si trova sprovvisto di strumenti e soprattutto di chiavi di lettura, rispetto alle suggestioni offerte da questo rapporto a volte doloroso, e in cui si sviluppano sempre processi creativi e di cambiamento. Un dialogo che innesca processi di interpretazione, di traduzione, di esplicitazione, o meccanismi di difesa, come la negazione, la proiezione. Di valutazione e di discernimento del bello e del buono, facendo intervenire sistemi complessi di giudizio, di pensiero, formando opinioni, schieramenti, appartenenze.

Dunque il rapporto con l’opera d’arte tira in ballo decisamente la psicologia dell’arte, e con questa la psicologia più in generale, con gli studi sulla memoria, il linguaggio, l’apprendimento e il tema sempre dibattuto delle libere associazioni.

Questa psicologia non può esimersi dal fare i conti con il tema dell’interpretazione, e deve potersi dotare di teorie, modelli e prassi in grado di problematizzare la questione del linguaggio estetico o delle enclaves linguistiche che ciascun autore pone in essere.

L’ermeneutica assume un ruolo di apertura, diventando sia campo metodologico, sia campo semantico, e può essere a pieno titolo ospite della filosofia, come luogo di riflessione in cui si possa giocare finalmente la condizione di interdisciplinarietà dell’arte e le sue infinite implicazioni.

Se con Aristotele affermiamo che è l’oggetto di indagine a determinare il metodo, il metodo dell’osservazione, della constatazione e dell’interpretazione degli accadimenti artistici e psicologici, deve tenere conto che si tratta di oggetti di indagine dalla logica sfumata, ricchi in contraddizioni, difficilmente riducibili e soprattutto complessi.

L’opera d’arte appartiene all’uomo, e come tale non può essere restaurata attraverso una spiegazione, un’interpretazione intellettualizzante, una critica di tipo “disgiuntivo”. Deve essere restituita all’uomo, e di conseguenza gli strumenti dell’ermeneutica sono utili allo psicologo per collaborare con la dimensione naturale, affinché venga ristabilita.

L’armonia nascosta è più bella di quella visibile.

ERACLITO

L’armonia dell’opera rappresenta e compie il suo grado di coerenza con il bello, ed è una proprietà insita, una sorta di apriori. Non necessariamente si deve parlare del bello, ma necessariamente del rapporto dell’opera d’arte con il bello. Il criterio intrinseco di validità dell’opera sta quindi dalla sua coerenza interna ed esterna, da un’armonia non solo soggettiva, ma oggettiva se relativa all’oggetto stesso, all’opera, che sembra dettare quasi monocraticamente le regole della valutazione in sé, in quanto il suo valore primario è dato dalla sua autenticità espressiva, dalla sua capacità di porre in essere un linguaggio e quindi di far gemmare dialogo e fraintendimento, e di essere in qualche misura portatrice di un “gusto del segreto” per dirla con Derrida, di un codice disponibile soltanto a chi si mette al servizio dell’interpretazione, in cui le perturbazioni del parlato si avvicinano alle aspettative del nostro silenzio.

Un’opera d’arte, come bontà, non può dipendere dal suo grado di emancipazione, di differenziazione dal resto, ma dalla sua capacità di porsi come luogo di fraintendimento, di transazione nel dialogo verso la verità (filosofica). Se l’arte è un fatto sociale, non possiamo non considerare che si tratta di un atteggiamento critico la valutazione se si tratti di un’arte progressista o reazionaria.

La critica deve anche essere informata di una validità educativa, ovvero dovrebbe tenere conto che nella vita delle persone vi è una dimensione psicologica dedicata alla produzione e alla fruizione dell’opera d’arte, con funzioni dirette e con funzioni trasversali.

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Occorre quindi comprendere meglio il significato dell’arte nella vita delle persone e più ancora il ruolo e la funzione dell’arte nella complessità della vita psichica, anche come momento di guarigione, nel significato di restituzione di equilibrio all’interno del più vasto concetto di salute psicofisica.1

La cura è in parte simile ad un processo di assimilazione, che necessita una disposizione al nuovo, ed è proprio questo il processo tipico della fruizione dell’opera d’arte, che va a costituire una piattaforma in grado di entrare ed aggiornare le mappe esistenti nella psiche, e di andare a creare una mappatura suppletiva e integrativa, in grado di far avvicinare l’immagine primaria presente nella psiche, e sedimentata all’interno delle strutture più arcaiche, ai livelli più vicini alla coscienza e pertanto più accessibili, alleggerendo la tensione tra dicibile ed inesprimibile. Il processo di assimilazione non è però disgiunto dal processo di danneggiamento delle strutture pre-esistenti, ed in questo si può definire certamente psicoeducativo, psicogeno, stressante, trasformativo. In alcuni casi, alchemico.

1 Anche Gadamer si interessa di questo rapporto nel saggio “Dove di nasconde la salute”, e sostiene che il medico collabori con la natura per ristabilire questo equilibrio, uscendo dalla concettualizzazione di guarigione.

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Metodologia formativa Oblio e memoria. Luoghi senza memoria

Me ne sto all'arsenale all'ombra di un immenso oleandro a respirare un'aria di arte, in cui le installazioni si confondono con le poltroncine dei bar.

È tutto completamente diverso e imprevedibile. È un'immersione piena nella visione totalmente inesprimibile dell’arte contemporanea. Qui il brutto e il bello si mescolano amplificandosi e si fraintendono. Non c'è conflitto ma solo tensione espressiva portata al massimo grado. È un'esperienza vietata ai puristi e ai moralisti dell’arte...

Qui c'è ruggine; corde di marinai, carrelli e tubi, silenzi di luci nel buio di videoroom, architetture di libri e labirinti di vecchie case abbandonate anche dai fantasmi.

VENEZIA, 14 GIUGNO 2011

Il Seminario di psicologia dell’arte alla Biennale di Venezia prevede alcune tappe prestabilite, e altre a libera scelta del partecipante.

Il percorso si informa ad un modello a doppia routine, con una dimensione circolare, ed una dimensione longitudinale.

La dimensione circolare è costituita da una metafora a grappolo, in cui il partecipante indaga direttamente l’opera d’arte nei siti preposti, e successivamente vi torna attraverso l’accesso al mundus imaginalis nelle sessioni di laboratorio, attivando il gioco di rimandi tra oblio e memoria.

Il partecipante potrà fare uso di appunti personali e immagini fotografiche, come alvei di facilitazione e di evocazione nel gioco dell’immaginazione attiva. Inoltre, si avvarrà dell’evocazione delle immagini vincolate all’inesprimibile, attraverso il lavoro di gruppo. I conduttori si avvarrano di tecniche di formazione in learning by doing, anche attraverso l’utilizzo della discussione in gruppo e del lavoro in sottogruppi. Per un dettaglio dei “grappoli di memoria”, si veda il programma con le tappe ai Giardini e all’Arsenale, e le sessioni formative in hotel. Il rapporto del partecipante e del gruppo con la memoria, terrà conto del lavoro di Francesco Petrarca, “maestro della memoria”.

La dimensione longitudinale si avvale di una sorta di percorso alla ricerca dell’immagine del gruppo, raggiungibile soltanto attraverso l’elaborazione dell’[inesprimibile]. L’obiettivo formativo della ricerca è raggiungere una buona padronanza delle tecniche di memorizzazione dei segni e dei simboli dei linguaggi artistici nell’arte contemporanea, e di entrare in contatto con il luogo interiore ove sia possibile fare a meno dei linguaggi, per entrare in una confidenza educata con il mundus imaginalis, dotato per eccellenza del dispositivo metaforico in grado di far compiere correttamente il salto categoriale abbandonando le memorie emotivo-cognitive, esprimibili con i linguaggi, a favore di strutture mnestiche che, grazie alla trasferibilità della metafora immaginale e alla qualità archetipica fondazionale, possano essere luogo di reale incremento ontologico.

Il punto di partenza è dato dall’immagine che il gruppo ha individuato nel precedente “viaggio” di Genova, di cui segue il resoconto, e prosegue per un certo numero di tappe, che idealmente possono essere ricondotte al viaggio di Dante come esempio al massimo grado di questo tipo di esperienza, cardine della ricerca di una visione prossima alla verità, al bello e all’armonia.

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L’albero-frattale

Picasso

Nella notte le armi del sonno hanno scavato

i solchi prodigiosi che disgiungono le nostre teste.

ogni medaglia è falsa attraverso il diamante,

la terra è invisibile sotto il cielo smagliante.

il volto del cuore ha perduto i colori

e il sole cerca noi ed è cieca la neve.

se gli volgiamo le spalle mette ali l'orizzonte

e i nostri sguardi lontano dissipano gli errori.

PAUL ELUARD

Genova, 16 maggio 2011. Non funzionando il proiettore, non avendo copertura internet e non possedendo computer in misura sufficiente per consentire a tutti di visionare il materiale e seguire la lezione, si concorda di modificare il modello della Lezione innovando in modo retrogrado la metodologia didattica, ed adottando il metodo esperienziale del lavoro di gruppo in learning by doing.

1. Ricognizione statistica con intervista a ciascuno studente "che cos'è l'arte nella tua vita?"

2. problematizzazione delle risposte in gruppo

3. introduzione teorica sulle leggi dell'interpretazione; assoluto e relativo.

4. aspirazione al bello e ricerca dell'armonia come mission e vision dell'artista.

5. costruzione e decostruzione di linguaggi nella produzione artistica

Segue l’organizzazione dell’aula in quattro gruppi, e affidamento di un compito:

a ciascun gruppo viene consegnato il materiale cartaceo relativo agli argomenti che sarebbero stati trattati in lezione frontale con il supporto video e grafico:

a. Architettura e psicoanalisi

b. Ermeneutica e relativismo

c. Approccio esperienziale al laboratorio delle immagini

d. Il giglio d'oro di Firenze, humus del linguaggio immaginale

Ciascun gruppo deve adoperarsi per trovare un metodo interpretativo del suo argomento senza avere guide, salvo le immagini e le libere associazioni, la valutazione random delle slide consegnate in carta.

Ogni gruppo dovrà relazionare all'aula, e dire COME ha tenuto un atteggiamento di interpretazione rispetto ad un materiale nuovo, complesso, incomprensibile e senza mappe: dunque come si approccia quando deve interpretare

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Project Work Seminario Biennale di Venezia, 22-24 giugno 2011: [l’inesprimibile] 10

quel che non conosce, trovando una ermeneutica propria. Questo genera occasione di grande problematizzazione. I gruppi solitamente si incardinano su sentieri di risonanza emotiva oppure si arroccano intorno a processi intellettualizzanti. Vediamo che cosa accade ai nostri gruppi.

I 4 gruppi hanno lavorato trovando ciascuno il proprio metodo e la propria metafora: abbiamo un gruppo sperimentale - scientifico (A), un gruppo evoluzionistico ad alta specializzazione dei compiti (fondato sull'organizzazione per piccoli cantieri) (B), un gruppo filosofico, una vera agorà di occhi, parole, pensieri (C) e infine un gruppo politico basato sulla fiducia e la reciprocità come le tessere di un mosaico sacro (D).

Il gruppo scientifico (che confutava le ipotesi), è stato connotato come le difese intellettualizzate del gruppo-classe. Nel gruppo filosofico c'era il logos, in quello darwiniano il Puer-Odisseo che crea nuove mappe spinto dalla necessità di navigare ma anche dalla inventiva imprenditoriale (c'erano ragazzi del gruppo esperti di nautica che hanno creato delle barche a vela con i testi, esprimendo il senso dell'innovazione nell'evoluzione) sorretto e protetto dalle penelopi del gruppo in dolce attesa dei loro uomini.

Meravigliati tutti, me compresa, abbiamo trovato il frattale-albero come immagine del gruppo: la sintesi dell'humus immaginale di una visione policentrica. Abbiamo concluso commuovendoci con Picasso di Paul Eluard

GRUPPO A: ARCHITETTURA E PSICOANALISI

Incursione sul tema “casa”

Definizione di casa per il gruppo

Rispecchiamento della propria opinione con quella del testo

Sicurezza – privato – rifiuto degli archetipi

Gruppo del disegno Sperimentale

GRUPPO C: APPROCCIO ESPERIENZIALE AL LABORATORIO DELLE IMMAGINI

Suddivisione personale con un confronto tra parole chiave – concetti – frasi.

Arte – techné: Spiegazione, razionalizzazione.

Gruppo unico e policentrico, confronto dialettico ed accogliente

Gruppo filosofico

GRUPPO B: ERMENEUTICA E RELATIVISMO

Ulteriore scissione in sottogruppi con distribuzione del materiale

B1: curiosità e critica; de contestualizzazione ed esemplificazione;

B2: Ermeneutica – ermenautica: indagine di-sul tradimento andando oltre il compito dato;

B3: ricognizione generale, confronto fra elementi ed opinioni; cooperazione e confronto deduttivo – induttivo

Gruppo Darwiniano ad alta specializzazione

GRUPPO D: IL GIGLIO D'ORO DI FIRENZE, HUMUS DEL LINGUAGGIO IMMAGINALE

Suddivisione equa

Estrapolazione delle frasi significative

Utilizzo della tessera

Circolazione della fiducia

Metodo: dall’implicito all’esplicito

Gruppo politico

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Dante Alighieri e la visione ultima

Condizione piena per iniziare il percorso, è una disposizione al Silenzio.

Il silenzio è educazione alla solitudine; in questa solitudine può avere luogo il processo precedente alla visione, all’insight, all’immagine che apre all’interpretazione e che a sua volte è fonte e luogo di ulteriore interpretazione.

Il silenzio di cui ci avvarremo nel percorso, non è dato dalla mera abolizione di parlato. E’ più verosimilmente la condizione di assenza della parola, come rinuncia dapprima, e come condizione necessaria subito dopo, a far posto all’inesprimibile.

Facciamo riferimento al lavoro di Daniela Baroncini per illustrare come Dante faccia tornare il tema dell’inesprimibile nell’ultima cantica della Commedia, ponendo l’inesprimibile nel regno dell’ineffabile, a indicare la consapevolezza della sproporzione tra vis intellettiva e verbum oris. L’ascesa al Paradiso si preannuncia con il riconoscimento di una insufficienza di memoria che diventa insufficienza espressiva, attraverso il quale il Poeta dichiara un principio fondamentale:

Nel ciel che più de la sua luce prende

Fu io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là su discende;

perché appressando sé al suo disire

nostro intelletto si profonda tanto,

che dietro la memoria non può ire.

DANTE, PAR. I, VV. 4-9

Se Curtius nei topoi dell’inesprimibile inserisce l’elogio della poetica di Dante, il Poeta non esita a condurci in modo inequivocabile all’idea della “inadeguatezza del dire”, inscindibile dal concetto della memoria. Ed è proprio a questo tipo di silenzio, di inadeguatezza, di relazione con la memoria e dunque con la storia, che il partecipante può far riferimento per darsi delle coordinate utili nella sua riflessione, che è molto simile ad un viaggio verso una possibilità di andare oltre il suo punto di partenza nell’indagine sull’arte contemporanea e i suoi ineffabili linguaggi.

Il meccanismo della dimenticanza che segue la visione generando l’impotenza espressiva viene descritto nella pagina dell’Epistola a Cangrande dedicata all’esordio del Paradiso, da cui emerge qui il tema dell’incomunicabilità della materia quando l’elevazione trascende il mondo umano, che si presenta essenzialmente come problema mnemonico connesso alla difficoltà di tradurre in parole il contenuto della visione.

• Dante avverte che all’esperienza del vedere per intellectum sovente non corrispondono le possibilità linguistiche, cioè i signa vocalia non soccorrono il processo compositivo nel momento in cui il poeta tenta di afferrare l’inattingibile.

• La parola sempre tesa all’espressione dell’indicibile nella consapevolezza dei propri limiti.

Il meccanismo psicologico, per Daniela Baroncini, viene illustrato in parte già nel Convivio attraverso le chiose sulla canzone Amor che nella mente mi ragiona, utile alla comprensione dell’“ineffabilitade”:

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E veramente dico; però che li miei pensieri, di costei ragionando,

molte fiate voleano cose conchiudere di lei, che io non le potea

intendere, e smarrivami sì che quasi parea di fuori alienato:

come chi guarda col viso anco ‘n una retta linea, prima, vede le

cose prossime chiaramente; poi, procedendo, meno le vede

chiare; poi, più oltre, dubita; poi, massimamente oltre

procedendo, lo viso disgiunto, nulla vede.

• Dante descrive lo smarrimento del tutto simile allo stato mentale del mistico in condizione estatica, contraddistinta dal cedimento della facoltà visiva e razionale che rappresenta il presupposto dell’indicibilità, poiché “la lingua non è, di quello che lo ‘ntelletto vede, compiutamente seguace”.

Il fenomeno dell’indebolimento della facoltà intellettiva dinanzi al sorriso di Beatrice sarà ribadito anche nell’Empireo, dove il poeta celebra la sua bellezza attraverso il paradosso retorico dell’apparente rinuncia al canto:

Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una

loda, poca sarebbe a fornir questa vice. La bellezza ch’io vidi si

trasmoda non pur di là da noi, ma certo io credo che solo il suo

fattor tutta la goda. Da questo passo vinto mi concedo più che già

mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo: ché,

come sole in viso che più trema, così lo rimembrar del dolce riso

la mente mia da me medesmo scema.

• Conseguenza dell’estasi è dunque l’oblio che conduce inevitabilmente alla perdita della vis espressiva, secondo il meccanismo della cosiddetta dilatatio mentis. L’oblio può essere considerato l’elemento costitutivo della visione mistica e quindi sorgente primaria dell’impossibilità del dire.

Secondo l’autrice, si tratta di immagini legate alla simbologia del libro che appartengono al campo metaforico della memoria, o più precisamente della tavoletta di cera, secondo l’antica immagine aristotelica. Da notare è l’accostamento tra libro della memoria e “visïone oblita”, che in questo caso rimanda all’idea di una scrittura cancellata, come indica l’etimologia di obliviscor, che significa rendere levis, ovvero levigare e spianare le tavole della mente.

Si potrebbe dire che la difficoltà della rappresentazione sta alla soglia dell’indicibile, e probabilmente l’artista deve imparare a stare in modo più o meno scomodo o doloroso in questa condizione limite.

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Project Work Seminario Biennale di Venezia, 22-24 giugno 2011: [l’inesprimibile] 13

Tesa al limite invalicabile delle proprie possibilità, la parola poetica raggiunge la dimensione dell’oblio, sfiorando l’abisso del silenzio e del nulla, nel momento dell’itinerarium mentis ad Deum in cui l’illuminazione più fulgida viene oscurata dalla “nube della non conoscenza” o caligo ignorantiae, secondo la definizione di Dionigi Areopagita . Anche nell’ultimo canto del Paradiso la “nube dell’oblio” rappresenta una sorta di passaggio obbligato nell’ascesa verso l’Assoluto, secondo il principio della cosiddetta “via negativa” enunciato da Dionigi Areopagita nella Teologia mistica, dove si delinea il tema dell’ineffabilità:

Poiché quanto più noi ci eleviamo verso l’alto, tanto più le parole

si contraggono per la visione di insieme delle cose intelligibili.

Così ora, penetrando nella caligine che sta sopra alla intelligenza,

troveremo non la brevità delle parole, bensì la mancanza

assoluta di parole e pensieri. Là il discorso discendendo dalla

sommità verso l’infimo, secondo la misura della sua discesa, si

allargava verso un’estensione proporzionata, ma ora esso,

salendo dalle cose inferiori verso ciò che sta al di sopra di tutto,

man mano che si innalza, si abbrevia; e finita tutta l’ascesa si fa

completamente muto e si unirà totalmente a colui che è

inesprimibile.

• Prevale in questi versi l’idea della labilità della scrittura, prima attraverso la metafora della mente come tavoletta di cera che non riesce a conservare il ricordo preciso del sogno, a indicare il totale dissolvimento dell’impronta confermato poi dal “disigilla” in riferimento alla neve che perde la propria forma, mentre si ricongiunge al campo metaforico dell’oblio anche l’immagine delle foglie che disperdendosi rendono vano ogni sforzo di decifrare i segni della scrittura.

• All’offuscamento della facoltà intellettiva corrisponde dunque un cedimento della scrittura, che non significa però rinuncia all’espressione, poiché in questo caso l’oblio che insidia la parola sembra costituire il presupposto della poesia. E in effetti l’ultimo canto della Commedia risulta dominato dalla tensione dinamica tra memoria e oblio, la quale si manifesta attraverso la costante negazione delle capacità retoriche: “Oh quanto è corto il dire e come fioco / al mio concetto! e questo, a quel ch’i’vidi, / è tanto che non basta a dicer ‘poco’”. Si ripete il motivo della “corta favella” dei versi precedenti, dove l’insufficienza del dire è connessa ad una sorta di regressione al linguaggio infantile, che richiama in qualche modo anche l’idea del balbettio mistico.

• A differenza della scrittura mistica, la quale approda sovente al paradosso del nulla divino dissolvendosi nel silenzio, la poesia dantesca non si arrende, e proprio nell’orizzonte dell’indicibile riesce a conciliare soggetto e metodo attraverso una singolare abilità metaforica che tenta di tradurre in parole la “visione oblita”.

• Proprio da questo conflitto tra dire e tacere sorge la poesia della visione beatifica, sempre sospesa sull’abisso del nulla e insidiata dal cedimento dell’“alta fantasia”, la facoltà interiore che produce phantasmata o imagines da offrire al deposito della memoria, fonte principale della creatività.

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Dante avverte con una consapevolezza, che si direbbe già moderna, l’intima conflittualità di una parola che contiene in sé anche l’oblio, nutrita di “boccate di silenzio” (“Mundvoll Schweigen”), come scriveva Paul Celan.

Blanchot: il “canto è memoria” e “l’essenza della memoria è quindi l’oblio, quell’oblio a cui bisogna bere per morire”

Nel caso di Dante l’oblio non coincide con il nulla, poiché “è la vigilanza stessa della memoria, la potenza custode grazie alla quale si conserva la parte nascosta delle cose”. La poesia del Paradiso si sostiene proprio su questo paradosso, e in tale prospettiva “l’oblio è il sole, la memoria brilla di luce riflessa riflettendo l’oblio e in questa riflessione ricavando luce – stupore e chiarezza – dall’oblio”. L’indicibile si manifesta dunque nell’orizzonte del dire, attraverso una compenetrazione di memoria e oblio che costituisce il presupposto necessario per cantare l’esperienza del divino.

In virtù di questa tensione la poesia dell’ineffabile, inarcata tra parola e silenzio, penetra infine con tenace sforzo visivo la caligine della non conoscenza, raggiungendo l’infinito attraverso ardite immagini analogiche connesse all’idea della precisione geometrica, ormai del tutto lontana dall’oscurità dell’accecamento mistico. E così, al termine dell’itinerario di redenzione, il poeta vince la sfida con l’inesprimibile, attingendo la parola dalle sorgenti del silenzio, per raggiungere nella tenebra luminosa dell’oblio il mistero insondabile della scrittura.

Scrive Derrida: L’esperienza, gli eventi che segnano una vita, le modalità del ricordo, sono iscrizione/istituzione di tracce. Ripetibili, rievocabili, riscrivibili e mai date né garantite una volta per tutte da un racconto o da una memoria totalizzante.

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Petrarca, Maestro della Memoria

Petrarca, ha 'inventato' la critica testuale con le sue chiose e il lavoro sui testi e la prassi memoriale. Questo spiega il motivo delle miniature ai testi.

Le relazioni all’interno del processo di mnestico

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Tre ordini nella memoria

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Memoria vero illum divinum potius quam humanum autumo esse reputandum: nam ab ipsa prothoplasti creatione primeva usque ad hodiernum, quicquid et per quoscumque reges, principes, populos seu gentes et ubicumque actum sit, tamquam sibi presentia cognovisse ac memorasse demonstrat. Phylosophorum vero doctrinas morales, naturales atque theologas ut sumpserit teneatque ipsius gesta, verba, scriptaque iam pandunt.

G. BOCCACCIO, VITA DI PETRARCA

Per memoria penso sia da ritenersi [Petrarca] divino piuttosto che umano: egli mostra di conoscere e ricordare come presente qualsiasi evento, dovunque sia avvenuto, ad opera di qualsivoglia re, principe, popolo, dalla creazione originale a oggi. Il suo agire, i suoi scritti, le sue parole, mostrano come egli abbia appreso e simulato le teorie morali, naturali, teologiche dei filosofi.

Questa smodata adulazione per Petrarca è innanzitutto di natura memoriale. La memoria nel Medioevo era ciò che permetteva ad un autore di importare nei propri cassetti del pensiero una quantità di testi e citazioni altrimenti reperibili solo a livello di biblioteca (memoria vero illum divinum potius quam humanum autumo esse reputandum qui Boccaccio sostiene la natura divina della memoria petrarchesca). Petrarca era un dotto e possedeva molti testi nella sua biblioteca (cosa non semplice data la costosità della carta e molte opere di antichi). Ultimi studi su Petrarca sostengono che avesse del prodigioso nel ricordare e citazioni latine e testi su cui confrontarsi. Qui Boccaccio analizza la produzione poetica di petrarca che conobbe e fu in grandi rapporti di amicizia.

Le dottrine morali, naturali e teologiche dei filosofi (pensa solo a sant'agostino, molto caro a Petrarca tanto da immaginarci un dialogo di questioni morali nel Secretum) secondo Boccaccio assumono e sostengono le gesta (si pensi al poemetto L'africa), gli scritti e le parole (qui intesi come strumenti di filologia, Petrarca era solito chiosare molto i testi) che già sembrano rivelarsi o dispiegarsi come quel "pandunt" finale.

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Praesertim cum memoriae illius excellentia, communi omnium fama, celebreretur et a scriptoribus in numerum illorum relatus sit qui admirabili memoria insignes fuerunt, ac scripta facile testentur quantus ille orator, quantus poeta latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde recte colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam et diligenter excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus adiumento et ornamento fuisse.

LAMBERT SCHENKEL, GAZOPHYLACIUM ARTIS MEMORIAE, STRASBURGO, ANTONIUS BERTRAMUS 1610, P. 28

Vediamo che l'eccellenza della sua memoria è celebrata da fama universale; egli è annoverato dagli scrittori tra coloro che furono insigni per l'ammirevole memoria; e i suoi scritti testimoniano chiaramente quale oratore, quale poeta latino, quale principe dei poeti italiani egli sia: donde rettamente si può cavare che l'arte della memoria fu da lui avidamentye rivissuta e diligentemente coltivata; e che gli fu di grandissimo aiuto e ornamento in tutti i suoi studi"

Interea ne situ forte marcescat ingenium, exerceo in lectione oculos, digitos in scriptura, mentem in cogitazione detineo.

F. PETRARCA, RERUM FAMILIARIUM LIBRI, XIII, 4, 26

Egli esercita "per non far marcire l'ingegno", nella lectione" (ossia proprio nella lettura filologica del testo) gli occhi, le dita nella scrittura, la mente nel ragionamento filosofico tout court e poi conserva il tutto.

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Le stanze della memoria

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Struttura locale, processo mnestico, ricordo

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Rimandi di memoria nella memoria. Intarsi e sculture

Metafora della memoria come GABBIA

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Francesco Petrarca fu maestro dell’arte della memoria. Diede forma al metodo della postillatura: • da un punto di vista quantitativo: come esame della biblioteca • da un punto di vista qualitativo: lege memorie • da un punto di vista teorico: come esame delle opere

Metafora della memoria come GABBIA

Nuovamente allora, come prima abbiamo foggiato nelle nostre anime un non so qual blocco di cera plasmata, così ora costruiamo in ciascuna anima una sorta di colombaia di uccelli di ogni specie, alcuni aggregati tra loro e separati dagli altri, altri invece a piccoli gruppi e altri ancora svolazzanti soli tra tutti dove capita.

PLATONE, TEETETO, 197D

Invenit gula venationem, invenit piscationem, invenit aucupium nec cepisse satis est quas liberas natura creaverat, nisi etiam asserventur. […] quantum si captandis in virtutibus poneretur, illas pridem, nam minime sunt fugaces, optimo studio quaesitas intra animi habitum clausisset, unde nec effugere possit nec auferri.

F. PETRARCA, DE REMEDIIS UTRIUSQUE FORTUNE, I, 64 (DE AVIARIIS AVIBUSQUE LOQUACIBUS ET CANORIS)

La gola sa trovare cacciagioni, sa trovare uccellagioni; e non basta avere catturato gli uccelli, che la natura aveva creato liberi,se poi non vengono conservati. ...se voi aveste messo la stessa fatica nel catturare le virtù che, essendo meno suggenti,si lasciano catturare grazie a un ottimo studio e si lasciano rinchiudere nell'intima parte dell'animo dal quale non possono fuggire nè venire sottratte.

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Metafora della memoria come CELLA

Quotiens, assurgere nisus, scribere aliquid volui! Quotiens libellos evolvi, rubiginem ingenii tabescentis abstersi et in intimas memorie mee cellulas, mestu scrutator, introii!

PETRARCA, RERUM FAMILIARIUM LIBRI, VII, 13, 6

Cervello/Cuore: forma dei ventricoli cerebrali o delle cavità cardiache

Libreria: struttura

Struttura architettonica: stanza dei monaci

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Alcuni elementi di ermeneutica

L’essere che può venire compreso è il linguaggio. HANS GEORG GADAMER

Davvero l’essere che può venire compreso è il linguaggio? Se è così, dobbiamo concludere che il Vesuvio è linguaggio o che il Vesuvio non esiste? E se non è così, che cosa si vuol suggerire con questa espressione sibillina? In Gadamer, sembra una specie di visione poetica, come quando Rilke afferma che nessuna cosa è se mancano le parole, ma in altri sembra significare che la realtà è costruita dal nostro linguaggio. E allora, i conti proprio non tornano. MAURIZIO FERRARIS, Storia dell’Ermeneutica, X, 2008

Scrive Heidegger: ”hermeneuein non significa primariamente l’interpretare, ma prima di questo, il portare messaggio e annuncio”. (Heidegger 1959,105). L’ermeneutica è la disciplina che si occupa di problemi interpretativi; in particolare definisce il metodo e le regole per interpretare testi (o passi di testi, o, più in generale, messaggi) il cui significato non è evidente e dà luogo a conflitti interpretativi. E’ quindi un ambito del sapere per molti aspetti vicino alla filologia ed ha una lunga storia, che risale all’età classica greca, di messa a fuoco di procedure, di regole, di canoni metodici. A partire dall’età moderna (e in particolare dall’epoca del primo Romanticismo) essa ha assunto un “respiro filosofico”, diventando a pieno titolo “ermeneutica filosofica”. Con Heidegger e Gadamer cessa di essere una disciplina metodica delle regole interpretative per tradursi in “filosofia ermeneutica”, ossia in un vero e proprio indirizzo di pensiero. Nel Cratilo Platone propone un’etimologia che collega la parola ermeneutica al dio Hermès, messaggero tra gli dei e gli uomini, protettore della comunicazione, della mediazione del significato tra ambiti diversi di realtà. In molti altri dialoghi l’attività dell’interpretare viene comunque connessa al compito più generale di gettare un ponte tra la sfera umana e quella divina, ossia tra il regno sensibile e quello intelligibile. Questa etimologia viene attualmente avvalorata da alcuni interpreti dell’ermeneutica contemporanea, come H. G. Gadamer, che sottolineano come l’attività interpretativa comporti un atteggiamento di apertura all’alterità: infatti implica sempre uno sforzo di comprensione, che sospende i nostri parametri abituali di giudizio per cercare entrare in un altro orizzonte di pensiero. Lo stesso Platone, tuttavia, in altri dialoghi utilizza il termine in un altro contesto semantico, collegando l’attività ermeneutica con il ragionamento che consente una corretta interpretazione: l’hermenéuein è posto in relazione con il lògos, con il ragionamento discorsivo umano, con la capacità discriminatoria della sfera razionale.

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Questa seconda accezione presente in Platone ci orienta verso l’altra grande area semantica di riferimento del termine, il linguaggio. Secondo Kerenyi- solo una versione tarda e sostanzialmente non corretta del termine. La radice indoeuropea della parola sarebbe la stessa dei termini latini sermo e verbum, che la collocano nell’ampio campo semantico del linguaggio. In effetti, nei testi di Aristotele la parola compare esclusivamente in questo ambito semantico, come sinonimo di linguaggio e di espressione verbale. Hermenèia viene talvolta usato come sinonimo di diàlektos, per indicare la capacità di esprimersi, il parlare correttamente. E’ noto che uno dei trattati dell’Organon porta il titolo Perì hermenèias (e, visto che è un trattato di logica del linguaggio, sarebbe più opportuno tradurlo con “Dell’espressione” e non con “Dell’interpretazione”, come invece è invalso). Nel mondo classico greco, tuttavia, l’ermeneutica (nell’una e nell’altra accezione) è presentata come una téchne, ossia come un’attività di tipo pratico, che si occupa della formulazione e della trasmissione dei messaggi. Pertanto, nella gerarchia dei saperi, è posta in una posizione subordinata rispetto all’epistème, al sapere vero. L’interpretazione – afferma Platone- si limita a trasmettere i messaggi, senza appurarne il contenuto di verità. Questo implica una sua svalutazione e una sua collocazione su un gradino decisamente inferiore, in prossimità delle téchnai, delle arti mimetiche e della retorica (dove non si fa questione di verità). La polisemia che caratterizza il termine greco si perde nella versione latina, , dove si assiste ad una restrizione del significato della parola. Come rileva G. Gusdorf, il sostantivo interpretatio – che è passato poi quasi tale e quale nelle lingue europee moderne- ha un prefisso molto esplicito: inter (a cui si affianca pres, che forse indica le parti), che gli conferisce un significato di base di “mediazione”. L’ermeneutica diventa, quindi, sinonimo di traduzione, di interpretazione, di esegesi; con questa accezione troveremo il termine in tutti i testi dei Padri della Chiesa. A conclusione di questo excursus storico-etimologico, potremo ora definire l’ermeneutica come teoria dell’interpretazione, con la consapevolezza che il termine INTERPRETAZIONE è un sinonimo corretto e completo solo se ne allarghiamo il campo semantico, includendo le seguenti funzioni:

• ESPRIMERE/ASSERIRE: ossia tradurre un pensiero in parole, secondo l’accezione aristotelica (si veda anche del linguaggio quotidiano quando si afferma “farsi interpreti di un certo sentimento”)

• SPIEGARE: ossia dipanare i significati oscuri (si veda nel linguaggio quotidiano quando si parla dell’interpretazione dei sogni, in un senso vicino all’accezione platonica)

• TRADURRE, ossia far da interprete tra persone che parlano lingue diverse Come osserva G. Ebeling (teologo allievo di Bultmann e importante esponente dell’ermeneutica teologica contemporanea), tutte queste funzioni ruotano attorno ad un problema unico, quello della COMPRENSIONE di un messaggio, che ci invita a riflettere sui processi che avvengono nella comunicazione e nello scambio linguistico.

Stele di riferimento Relazione costitutiva tra esperienza e linguaggio: gli esiti nella contemporaneità La dialettica tra domanda e risposta Il dialogo infinito La biblioteca di Babele di Borges Il recupero dell’uso della mente L’essere esiste in forza del dialogo.

Gadamer, 1963: Verità e Metodo Gadamer, 1993: “Lo scopo centrale degli ultimi trent’anni della mia vita, è stato riflettere sull’ultimo capitolo di Verità e Metodo, ovvero sul problema del linguaggio”

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Relazione tra linguaggio e l’essere: il nostro modo primario di essere nel mondo è ermeneutico, prima che intervenga l’istanza del metodo scientifico Il significato della nozione di Verità. Il problema del discernimento del vero dal falso. Cercare le ragioni dell’Altro nel Dialogo. Alcuni nomi dell’ermeneutica filosofica Ferraris Gadamer: il linguaggio trae la sua forza dal non detto, e dall’indicibile. L’uomo è animale che interpreta Habermas Heidegger: apertura alle immagini Hegel Ricoeur Rorty Vattimo Ontologica Filosofica Biblica (esegesi teologica classica) Ermeneutica del Diritto dell’Opera d’Arte

• Il piano della Verità appartiene al piano della scoperta e non al piano del

controllo. • Quando entra in gioco l’ermeneutica? Quando non va da sé applicare la

regola al caso, ma occorre chiamare in causa il giudizio • Cesura tra immagine e concetto • Rapporto tra forma e contenuto • Ossimoro: gioco di opposti e dinamiche di conflitto • Metafora: carattere di trasportabilità e trasferibilità • Immagine: accesso privilegiato all’originale attraverso la copia (linguaggio

metaforico), che esibisce quel che all’origine è inaccessibile, e nello stesso tempo amplifica quel che all’origine è solo alluso.

• Incremento ontologico • Ipostatizzazione • L’universale fantastico di G.B. Vico • Plotino, Ficino e Vico precursori della psicologia junghiana

Clavis aurea L'espressione latina Clavis aurea è una figura retorica, una metafora per indicare la migliore chiave di lettura nell'interpretazione di un testo. L'espressione viene usata, col significato precedentemente attribuito, nel titolo di un'opera del teologo istriano luterano Mattia Flacio Illirico: Clavis Scripturae Sacrae o Clavis aurea. L'opera viene scritta, nel 1567, per controbattere le tesi sull'esegesi biblica sostenute nel Concilio di Trento, ovvero i quattro modi di interpretazione del testo definiti dalla Scolastica: letterale, allegorico, morale e anagogico. Flacio Illirico sostiene un processo circolare di comprensione del testo biblico, nel quale le Scritture nel loro complesso giustificano e illuminano la comprensione di un singolo passo, e, contemporaneamente, la comprensione del testo biblico nel suo insieme viene resa possibile e rafforzata dalla comprensione delle singole parti.

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Estetica ed Ermeneutica in Hans Georg Gadamer i

Intento di Gadamer non è di costruire un metodo, concepito come insieme di regole da applicare nel dominio delle scienze dello spirito, ma di portare alla luce l'esperienza di verità, che avviene nella comprensione e nell'interpretazione, " di là dal nostro volere e dal nostro fare ".

Riprendendo Heidegger, Gadamer ritiene che il comprendere non sia uno dei possibili atteggiamenti del soggetto, limitato soltanto ad ambiti particolari della sua esperienza: esso invece caratterizza " il modo di essere dell'esistente stesso come tale ". L'ermeneutica, dunque, non è una semplice tecnica interpretativa, ma il "movimento fondamentale dell'esistenza ", nella sua finitezza e nella sua storicità, il quale abbraccia l'intero campo dell'esperienza umana del mondo. Per questo aspetto si può dunque parlare di universalità dell'ermeneutica. Essendo costitutivo dell'esistenza stessa, il comprendere non è mai atteggiamento meramente teoretico, coma già aveva mostrato Heidegger, e dunque non si realizza sulla base di una distinzione tra soggetto che comprende e oggetto che viene compreso. Contro queste forme di oggettivismo, che sono alla base dell'impostazione tipica delle scienze umane, non soltanto di quelle naturali, Gadamer intende sottolineare che ci sono ambiti in cui accadono esperienze di verità, le quali si collocano fuori dai metodi propri delle varie scienze: se ci si attiene esclusivamente a questi metodi, tali esperienze non sarebbero possibili. Per esperienza si deve pertanto intendere non un rispecchiamento oggettivo e distaccato dell'oggetto, ma un essere toccati e modificati. Nella sua opera maggiore Gadamer studia tre ambiti nei quali avviene un'esperienza di verità di questo tipo: l'arte, la storia, il linguaggio. L'esperienza dell'arte è abitualmente dominata, soprattutto a partire da Kant, da quella che Gadamer chiama differenza estetica. Si tratta di un'operazione di astrazione, con la quale si prescinde da tutto quel che radica un'opera d'arte nel suo contesto vitale originario e, quindi, da tutte le funzioni religiose o profane che essa vi assolveva e dalle quali traeva il suo significato, per rendere visibile l'opera come pura opera d'arte, nella sua autonoma sussistenza. Un’espressione concreta di questa operazione è data dal museo, in cui l'opera d'arte è per definizione strappata al suo mondo originario di appartenenza, per appartenere soltanto alla coscienza estetica. In tal modo l'opera d'arte è colta esteticamente come qualcosa di semplicemente presente, oggetto di un puro vedere o di un puro udire, ma questo non costituisce per Gadamer la vera e propria esperienza estetica. Questa è data, invece, dall'incontro con l'opera d'arte e con il mondo contenuto in essa, che non ci resta estraneo: nel rapporto con l'opera d'arte, infatti, si impara anche a comprendere se stessi. L'esperienza estetica è, dunque, un modo dell'autocomprensione. Questo è possibile in quanto l'arte è conoscenza, secondo Gadamer, e l'esperienza dell'opera d'arte fa partecipi della conoscenza. Per cogliere questo punto, bisogna dunque fare riferimento a un concetto di esperienza più ampio dei concetti di conoscenza e di realtà, propri delle scienze della natura. L'esperienza dell'opera d'arte, infatti, instaura un rapporto non con un oggetto semplicemente presente, ma con un evento che non è concluso e di cui si entra a far parte. Per chiarire che cosa sia questo evento, Gadamer parte dal concetto di gioco, ma spogliato da ogni arbitrarietà e soggettività. Il gioco, infatti, ha un' essenza propria, indipendente dalla coscienza dei giocatori, che lo avvertono come una realtà che li trascende: esso si produce attraverso i giocatori, che partecipano del gioco, sicché ogni giocare è al tempo stesso un esser-giocato. Anche l'opera d'arte, secondo Gadamer, è gioco e, quindi, un evento che non è separabile dalla sua rappresentazione: il modo di essere dell'opera d'arte è gioco, che si compie solo temporalmente con la fruizione e comprensione degli spettatori. Il problema è come sia possibile l'identità dell'opera d'arte, che si presenta diversa nel cambiare dei tempi a quelli che, di volta in volta, cercano di comprenderla.

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Per illustrare questo punto, Gadamer ricorre ad un'altra analogia, con la festa: anche la festa è sempre identica, ma al tempo stesso esiste soltanto in quanto è celebrata ogni volta nel mutare delle circostanze storiche. In ciascuna di queste circostanze si tratta di mediare quel che è identico con il presente, che è sempre storicamente mutevole. Alla festa si assiste in quanto si partecipa: essa ha il carattere delle contemporaneità. Kierkegaard aveva dimostrato che nell'esperienza religiosa la contemporaneità è il compito che la coscienza deve realizzare, mediando il proprio presente con l'azione salvifica di Cristo, in modo che questa non rimanga un fatto storicamente remoto: si tratta dunque di partecipare nel presente all'evento della salvezza. Così è anche, secondo Gadamer, per l'esperienza dell'arte: fare in modo che l'opera d'arte non sia un fatto meramente passato, ma sia mediata con il presente, tornando di volta in volta a rivivere.

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Il pensiero neoplatonico e il mundus imaginalis

RINASCIMENTO NOTTURNO L’acquavite scorre dalla tua volta ghirlanda di fiordalisi espansi in notti d’acqua ninfea tra fiordi mai recisi fermi nelle mosse del sole tra i boschi di conifere e il pianoro dei profumi di rose volte all’estate Il lungofiume trapuntato accompagna frontiere diseguali di etra sfilata al sonno quando le palpebre congiunte sagomano il bacio dei cristalli Danzi ora tattile tra le acque muovendoti come imbocco di via nell’aria che di te si compone e diventa struggente di luci, inclinate nel colore lontano di giorno natura di tavola e di notte nebulosa come corpo che guarda. ANDREA GALGANO

Durante il Rinascimento, in filosofia si assiste alla rinascita del neoplatonismo, al quale si devono quel rinnovato interesse per il bello e quella fioritura di espressioni artistiche che videro l'Italia protagonista. L'amore per il bello e per l'armonia del cosmo, significati dal concetto neoplatonico di anima del mondo, originò infatti le innumerevoli opere d'arte di questo tempo.

Scrive Moore: “La parola anima allude alle profondità, e Hillman si vede come un discendente diretto della psicologia del profondo, le cui origini lontane risalgono a Eraclito e alla sua affermazione che nessuno potrà mai scoprire i confini dell’anima, neppure percorrendo tutte le strade, tanto profonda è la sua natura.”

Se la psiche è immagine, l’atteggiamento immaginale verso la psiche di Hillman amplia l’idea fondamentale che tutto è metaforico e poetico. Henri Corbin, con l’espressione ‘mundus imaginalis’, descriveva un mondo reale con leggi e finalità proprie, lontano dall’astrazione. Per Hillman il mundus imaginalis: “E’ un campo specifico di realtà immaginali, il quale richiede metodo e facoltà percettive diversi da quelli richiesti dal mondo spirituale o dal mondo empirico e ingenuo della normale percezione sensoriale. Il mundus imaginalis offre una modalità ontologica di collocazione degli archetipi della psiche, che risultano essere strutture fondamentali dell’immaginazione, o fenomeni fondamentalmente immaginativi, che trascendono il mondo dei sensi, se non nella loro apparenza, almeno nel loro valore (in quanto fenomeni essi devono apparire, anche solo all’immaginazione o nell’immaginazione). Il ‘mundus

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imaginalis’ fornisce agli archetipi quella fondazione cosmica e assiologica che non potrebbero loro fornire, per esempio, gli istinti biologici, le forme esterne, i numeri, la trasmissione sociale e linguistica, le reazioni biochimiche o la codificazione genetica.” (Hillman 1981, p. 814).

L’immaginazione, opera nel mondo, crea un mondo nel momento in cui fa deflagrare le energie psichiche prima sopite nella notte del tempo, scaricandole sulla realtà e intervenendo in essa e su di essa. Il momento – il movimento – immaginativo, infatti, senza prolungarsi fuori di sé, senza venire alla presenza, resterebbe vuoto, isolandosi in se stesso come un puro gioco mentale privo di possibili effetti sul mondo circostante. Perché tali effetti si verifichino è quindi necessario che le forze immaginative si cristallizzino in immagine, in produzioni articolate e dotate di significato. Gian Battista Vico osserva e scruta l’apparizione della realtà propriamente umana e dell’apparire del mondo come orizzonte che l’uomo può abitare e nel quale si può riconoscere. L’immagine in questa riflessione, è mediazione tra pensiero e realtà. Nota Giuseppe Patella: “la natura del pensiero vichiano è tale da non poter partire che dall’immagine, come la dipintura emblematicamente dimostra, e dall’immagine come universale fantastico e come mito, come corpo ingegnoso del vero e come realtà fantastica dell’idea.

Giungere all’immagine significa “penetrare il farsi del pensiero” quando al livello cognitivo è ancorato alla fase precedente alla riflessione e già lanciato al di là della riflessione attraverso il linguaggio e il mito. Nel momento in cui l’immagine si estrinseca in una rappresentazione, diventa luogo di significati anche contraddittori, rende il mondo visibile, apparente. L’immagine cristallizzata nel mito opera, perciò, come una sorta di “resa alla visibilità” del mondo, facendolo per la prima volta, letteralmente, apparire di fronte agli occhi di quei primi uomini che, spaventati e attoniti, possono soltanto subire, per il tramite di una sformata sensibilità e passioni violentissime, quella realtà che li sovrasta.

In questo senso, dunque, l’apparizione del mondo, della realtà, porta con sé la possibilità essenziale di poterlo conoscere e di istituire con esso una relazione di scoperta e spiegazione che trova nel racconto mitico il suo primo e privilegiato strumento. Inoltre, è decisivo il fatto che Vico assegni a questo processo di rappresentazione dei contenuti della coscienza immaginante un carattere naturale e necessario, che inerisce alla stessa natura dell’uomo e al suo fare, e che solo successivamente può rendersi autonomo e diventare dispositivo della ragione spiegata. ( ii)

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[l’inesprimibile] Geografia dell’inesprimibile: le mappe della Biennale (si allegano mappe dei Giardini e dell’Arsenale) Sta al gruppo trovare i topoi dell’inesprimibile durante il percorso, e avvicinarsi all’immagine che è oblio e memoria nello stesso tempo. Buon viaggio. Parametri per selezionare i padiglioni:

Impatto iconografico: molto alto = lavoro più facile molto basso = lavoro più difficile

Espressione dell’artista Come bisogno? Oppure come esigenza pensata?

Immaginazione Molto attiva Incursione di immagini dall’esterno Incursione di immagini dall’interno

Impatto mnestico Ordine e semplicità Movimento Confusione e sorpresa

Organizzazione delle informazioni Locale Strutturale Trasversale …. ….

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Psicodinamica dell’ [inesprimibile] La forma verbale e la simbolizzazione L’esperienza non formulata di Donnel Stern: una lettura psicodinamica dell’ “indicibile” Inesprimibile e meccanismi di difesa Indecifrabile Dissociazione Nascosto Rimozione Inesprimibile ? il ruolo del linguaggio immaginale Conclusivo è ciò di cui dopo si può fare a meno.

Io, Sé, Inconscio Individuale, Inconscio Collettivo Il partecipante inserisca nell’ “uovo” le immagini che sente come vicine a queste strutture psichiche.

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Narrazioni All’inizio del percorso. Aspettative, idee. Alla fine del primo giorno. Ipotesi di lavoro Alla fine del secondo giorno. Conclusioni Tornando a casa. Riflessioni a margine

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Bibliografia minima Andrea Torre, Petrarcheschi segni di memoria, Edizioni della Normale, 2008

Marco Santagata, I frammenti dell’anima. Storia e racconto nel Canzoniere di Petrarca, Il Mulino, Bologna 2004

Osvaldo Ottaviani, Esperienza e linguaggio. Ermeneutica e ontologia in Hans George Gadamer, Carocci, Roma 2010

Alessandro Bertirotti, La mente ama, Ed. Il Pozzo di Micene, Firenze 2011

Maurizio Ferraris, Storia dell’ermeneutica, Bompiani, Milano 2008

Donnel Stern, L’esperienza non formulata, Del Cerro, Firenze 2007

Materiale in rete

Daniela Baroncini, Dante Alighieri, La retorica dell’oblio, Leitmotiv - 1 – 2001 http://www.ledonline.it/leitmotiv/

http://www.ledonline.it/leitmotiv/allegati/leitmotiv010101.pdf

Irene Battaglini, L’arte della contemporaneità nel laboratorio delle immagini, Psicoanalisi Neofreudiana

http://www.ifefromm.it/rivista/2009-xx/1/interventi/artecontemporaneita.php

Il tempio di Phaistos http://www.interkriti.org/culture/festos/phaist1.htm

Corso di Filosofia, L’ermeneutica, prof. Zucal, Unitrento http://filosofia.lett.unitn.it/materiali.htm

James Hillman, Plotino, Ficino e Vico, precursori della psicologia junghiana, Zurigo,

http://www.rivistapsicologianalitica.it/v2/PDF/4-2-1973-Jung_culturaeuropea/IV-2-1973-cap3.pdf

i Diego Fusaro http://www.filosofico.net/gadamer.htm#n2

ii Gian Battista Vico: Immaginazione, Immagine, Immaginario, di Giovanni Spadaccini

http://dspace-unipr.cilea.it/bitstream/1889/1350/1/G.B.Vico%20immaginazione%20immagine%20immaginario.pdf