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SE VUOI PUOI Collana diretta da Roberto Cerè

SE VUOI PUOI Collana diretta da Roberto Cerè · Guardare lontano, con una rinnovata visione strategica, è un altro aspetto cruciale per lo sviluppo dell’impresa ed esami-

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SE VUOI PUOICollana diretta da

Roberto Cerè

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Davide Merigliano

NON MOLLO!strategie per un passaggiogenerazionale di successo

Prefazione di Roberto Cerè

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© 2014 Mind EdizioniMind Edizioni è un marchio diMedia & Co Editoria-Comunicazione SrlViale Gran Sasso 20, 20131 MilanoTel. 02 29409880, fax 02 29402737www.mindedizioni.comwww.facebook.com/mindedizioniwww.facebook.com/sevuoipuoi

Direttore editoriale: Rosamaria Sarno

Editing e impaginazione: Francesco Giovanni Lo PolitoDesign copertina: Fabrizio VerduchiLogo di collana: Alessandro ‘Alexeidos’ Bogliari

Finito di stampare nel mese di gennaio 2015dalla Rubbettino print88049 Soveria Mannelli (CZ)www.rubbettinoprint.itISBN: 978-88-6939-004-3

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SOMMARIO

Prefazione di Roberto Cerè 7

Introduzione 9Il passaggio generale risveglia l’interesse dell’UE 11La struttura di questo libro 16

Capitolo 1 - Conoscere 19Motivazione 19Leadership 25Innovazione 31

Capitolo 2 - Comprendere 39Motivazione 39Leadership e capitale umano 53Innovazione 64

Capitolo 3 - Costruire 81Leadership 83Innovazione 91Costruire il passaggio di testimone 92

Conclusione 111

Bibliografia 113

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PREFAZIONERoberto Cerè*

Quando nel 2010 ho pubblicato Se vuoi puoi mi aspettavo certo un buon successo – forte anche dell’endorsement di un personaggio come Jean Todt, che aveva accettato di scriverne la prefazione – ma non così costante e duraturo come si è poi verificato. Numerose e continue ristampe, molte migliaia di co-pie vendute, tre successive edizioni fino a quella “Power” del settembre 2013, hanno fatto di questo volume il titolo di riferi-mento nell’affollata area dei libri motivazionali.

Da allora anche la mia attività di coach o, se preferite, di “al-lenatore mentale” ha conosciuto una significativa evoluzione, con decine di migliaia di persone che hanno seguito i miei corsi, sia dal vivo sia on line. Ma tutto si è sviluppato restando fedele al claim che dà il titolo al libro: “Se vuoi puoi”. È questa la filosofia che ispira il mio approccio al tema della motiva-zione, con l’elaborazione di un metodo grazie al quale può essere applicata a tutti gli ambiti della vita: da quello privato (sentimentale, affettivo, relazionale, psicofisico) a quello pro-fessionale (come dipendente, manager, libero professionista, imprenditore).

Nel 2012 ho lanciato il programma Real Result Coaching – un percorso di 24 mesi che guida un gruppo ristretto e selezio-nato di professionisti a imparare e a praticare il mestiere del coach. Durante questi 24 mesi di accademia, per potersi certi-ficare Real Result Coach, i partecipanti al programma devono

*Allenatore mentale, autore del libro Se vuoi puoi - Power, Milano, Me-tamorfosi Editore.

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affrontare con successo una serie di prove, tra le quali correre e terminare una maratona (42 km), superare test pratici, com-pletare il corso di sopravvivenza… e scrivere un libro.

Questa collana rappresenta proprio la realizzazione concreta di quest’ultimo obiettivo: scrivere un libro sulle tematiche della loro competenza professionale. L’assunto di partenza era: “Se vuoi puoi scrivere un libro, seguendo da una parte il mio metodo di coaching, dall’altra la guida e le indicazioni di un editore professionista”.

È nata così questa collana, il primo esempio – credo non solo in Italia – di un progetto editoriale collettivo nato e cresciuto nell’ambito del coaching, arricchitosi con la successiva creazio-ne della collana “Le vie del successo”, che ospita titoli dal taglio più pratico e operativo. Un’esperienza di cui sono orgoglioso sia per l’idea che l’ha generata sia per la qualità dei contributi dei singoli autori sia per il coordinamento garantito dalla casa editrice, che ha dato una “forma” altamente professionale al concetto originario.

Un progetto destinato a svilupparsi ulteriormente in futuro, con l’obiettivo di offrire ai lettori la più ricca e articolata “bi-blioteca della motivazione” disponibile nel nostro Paese.

Mi auguro che questo libro – come tutti gli altri titoli “fra-telli” delle due collane – aiuti il lettore a trovare la via del suo personale successo, accompagnandolo lungo il percorso.

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INTRODUZIONE

L’argomento che voglio analizzare in questo libro può essere sintetizzato in ciò che lessi sul giornale nella mattina di San Valentino del 2014. Quel giorno il Corriere della sera uscì con la notizia di un’indagine svolta da Manager Italia, che svelava quanto fosse forte nelle aziende italiane la presenza della fami-glia e, soprattutto, quanto fosse difficile per essa delegare ad altri il governo della “sua” impresa.

Tuttavia, sulla pagina di economia m’imbattei anche nella notizia di un’importante azienda padovana ancora controllata al 100% dalla famiglia che l’aveva fondata, ma che stava valu-tando l’opportunità di cedere una significativa quota della sua proprietà a un fondo di private equity.

Nella mia vita professionale ho attraversato il percorso di molte aziende familiari e ho aiutato imprese e imprenditori ad affrontare il loro futuro. Spesso questo futuro era all’insegna di un incubo: come gestire la presenza dei figli in azienda?

Sì, “incubo” è un termine crudo, lo riconosco, ma per molti imprenditori è stato ed è ancora un pensiero assillante che attra-versa la mente in più occasioni. Alcune strategie per affrontare questo incubo hanno successo, altre molto meno. Ho ascoltato il punto di vista di molti figli e mi sono confrontato con molti genitori, per cercare di distillare e di esporre in questo libro le strategie migliori, quelle che funzionano. Credo, infatti, che esistano particolari condizioni per le quali alcune strategie pos-sono funzionare meglio di altre.

So bene che un’Introduzione è fondamentale per decidere l’ac-quisto di un libro. Il titolo vi ha incuriosito e ora state leggendo que-

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ste prime righe per capire se il vostro investimento è ben riposto.“Se non molli mai è garantito che prima o poi ce la farai” dicono

sia il buon senso sia le ricerche fatte in materia. Anthony Robbins, formatore americano, dice che la vita è come una coda al buffet.

Per ora, forse, siamo in fondo alla fila e, se rimaniamo in coda, prima o poi arriveremo fino a quello che c’è da mangiare e questo è un buffet dove c’è sempre da mangiare. L’importante è arrivarci.

Sono convinto che molti imprenditori hanno creduto nella loro impresa con lo stesso spirito e che si sono dedicati con tutto il loro entusiasmo, con tutto il loro impegno e certamen-te con la loro motivazione a realizzare il proprio sogno. Non hanno mollato e hanno creduto nel proprio scopo e realizzato i propri obiettivi giorno per giorno.

Forse, non tutti sanno però che il problema per un’azienda non è non è tanto quello di nascere, quanto quello di sopravvi-vere. E i dati lo confermano.

InfoCamere, la società che gestisce il sistema telematico della Camere di commercio, ha tracciato una radiografia del tessuto imprenditoriale italiano, che ha rilevato come ben quattro atti-vità su dieci non arrivino a soffiare sulle candeline che celebrano il quinto compleanno. Si calcola che solo il 58% delle aziende nate nel 2006 fosse ancora in vita nel 2011. E i numeri dicono che la situazione, ai tempi della crisi, si è molto deteriorata.

Parleremo, quindi, delle aziende che hanno superato con suc-cesso più lustri e che ora devono affrontare il passaggio gene-razionale. Purtroppo, come vedremo più avanti con maggiore dettaglio, i numeri non sono affatto confortanti. Alla seconda generazione approda appena il 31% delle imprese di famiglia e la percentuale scende ad appena il 15% per la terza generazione.

Le cause? Sono diverse, certo, e non sempre tutte riconduci-bili all’imprenditore. Spesso si tratta di cause esogene all’orga-nizzazione, ma ho ascoltato frequenti testimonianze nelle quali il “Non mollo” era (ed è) la tipica frase dell’imprenditore, che mai e poi mai delega il governo della propria impresa ad altri, meno che mai ai suoi eredi.

La mia famiglia gestisce alcuni punti vendita di prodotti bio-logici a Padova e il fondatore, mio suocero, che ha superato da un po’ gli ottant’anni, non molto tempo fa ha affermato duran-te una conversazione con mia moglie: “Non mollerò nemmeno quando sarò nella tomba!”.

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Da qui è venuto il suggerimento per il titolo di questo libro da mia moglie Mara, che ringrazio per il tutto il suo amore e per il totale supporto. E da qui nasce anche lo spunto per inquadrare al meglio il suo contenuto.

Non mollo! si rivolge senz’altro a quegli imprenditori che de-vono programmare il futuro della propria organizzazione e ai quali intende offrire numerosi consigli per predisporre valide strategie. Ma si rivolge anche ai figli di questi imprenditori af-finché – al pari dei loro genitori, che non hanno mollato – siano in grado di tener duro nella propria attività e, con il supporto e l’aiuto di questo libro, possano trovare le giuste strategie per supportare il delicato passaggio generazionale.

Il tema è complesso ed esiste un’ampia letteratura che tocca i più diversi aspetti, da quello fiscale a quello societario. Tuttavia affrontare l’argomento con i diretti interessati non è semplice e c’è ormai una generale convinzione che occorre prepararsi per tempo, ossia quando ancora non è necessario, affinché il passaggio possa avere successo.

Inoltre, l’esperienza concreta dimostra che una visione im-parziale ed esterna, ossia un punto di vista terzo, può rivelarsi uno strumenti prezioso per mantenere l’attenzione su aspetti oggettivi quando, purtroppo, emozioni e sentimenti soggettivi rischiano di offuscare e di confondere il processo decisionale.

Buona lettura e non mollate. Il buffet della vita ha tante sor-prese in serbo per voi.

IL PASSAGGIO GENERALE RISVEGLIAL’INTERESSE DELL’UE

Da diverso tempo raccolgo e leggo con attenzione ogni dato e informazione che riesco a trovare sul problema del passaggio generazionale nell’impresa. Il tema non è soltanto di interes-se nazionale: perfino la Commissione Europea lo considera un argomento di grande rilevanza economica, poiché riguarda un notevole numero di aziende e il coinvolgimento non è soltanto a livello familiare. La continuità delle imprese è una questione rilevante anche per le politiche economiche di un Paese, perché il loro successo e la loro continuità riguardano milioni di perso-ne che in qualche modo vi sono coinvolte.

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Di conseguenza esistono molte fonti dalle quali è facile attin-gere numeri e dati sul passaggio generazionale, per fotografare il contesto e cercare di inquadrare in queste prime pagine il tema, creando così maggiore consapevolezza in voi che state leggendo, incuriositi dal titolo del libro e, forse, ancora non del tutto consci che il tema vi possa in qualche modo riguardare.

Per ora, credo che sia utile riprendere alcuni aspetti che emergono proprio dai suggerimenti offerti dalla Commissione Europea, che ha trovato utile sottolineare come il passaggio ge-nerazionale non sia un “evento”, bensì un processo di medio termine per il cui svolgimento è necessario che maturi un per-corso di consapevolezza. Quest’ultimo permetterà di anticipare i tempi, in modo che l’azienda si faccia cogliere impreparata.

Un particolare estremamente importante messo in evidenza dalla Commissione – e che cercherò di affrontare nelle diverse sezioni di questo libro – sono gli aspetti psicologici che ri-guardano gli attori di questo percorso, che – per comodità e per tutta la lunghezza del libro – chiamerò Senior e Junior. Saranno il nostro punto di riferimento e rivolgerò a loro con-sigli, spunti di riflessione e, soprattutto, domande. Saranno infatti queste ultime a guidarci in questo percorso, facendo di questo libro una sorta di manuale operativo per realizzare con successo il passaggio generazionale. Questioni come le re-lazioni interpersonali, la motivazione, gli obiettivi e lo scopo saranno alcuni degli argomenti che tratteremo e che ci guide-ranno nel percorso.

Nei propri suggerimenti, inoltre, la Commissione ha sotto-lineato come qualunque trasferimento di proprietà – e, quin-di, non soltanto lo scambio tra generazioni – vada pianificato. Guardare lontano, con una rinnovata visione strategica, è un altro aspetto cruciale per lo sviluppo dell’impresa ed esami-neremo quindi anche questo aspetto, ma con una prospettiva meno aziendale, più personale e molto più potente, perché sa-prà smuovere le vostre risorse interne.

Più in generale, la Commissione Europea ha affrontato il tema definendo il family business come l’insieme di relazioni e di interazioni tra una famiglia e una azienda in termini di:

• proprietà del capitale di rischio e conseguente esercizio del controllo;

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• numero dei membri della famiglia coinvolti nella gestione dell’azienda;

• grado di coinvolgimento di questi ultimi nella gestione stra-tegica e nei processi decisionali dell’azienda.

Nel 2007 è stato costituito un Family Business Group, con lo scopo di promuovere le tematiche di interesse per le aziende a conduzione familiare a livello della Commissione Europea e degli Stati membri della Comunità Europea.

L’azienda familiare è un tratto distintivo di tutte le economie avanzate, incluso il Nord America, ed è interessante osservare come più dell’80% di tutte le aziende nordamericane sia a pro-prietà familiare. Messe insieme rappresentano oltre il 57% del Gdp (Global Domestic Product, molto simile come grandezza al nostro prodotto interno lordo) e generano annualmente il 78% di tutti i nuovi posti di lavoro.

Nel Mondo occidentale, le aziende familiari sono, quindi, la forma di organizzazione economica dominante e quella più anti-ca, che rappresenta un patrimonio fondamentale per contribuire a colmare i limiti di competitività locali e globali di ogni Paese.

Alcuni numeri ricavati dall’osservatorio Unicredit e dall’As-sociazione italiana imprese di famiglia fotografano bene il tema. Per essere più precisi:

• il 56,9% delle imprese italiane con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro è di tipo familiare;

• il 71,2% delle imprese italiane è controllato al 100% da famiglie;

• il 21,5% delle aziende italiane ha un leader Senior con più di 70 anni e si stima che per il 2015 la percentuale possa salire al 25%.

La difficile congiuntura economica degli ultimi anni ha crea-to un atteggiamento di maggior prudenza verso il ricambio al vertice, che negli ultimi due anni ha raggiunto il numero più basso dell’ultimo decennio. È stato notato che nelle aziende di prima generazione – e, in modo meno marcato, in quelle di seconda – l’anzianità di servizio del leader è più elevata e ciò mette in evidenza come il ricambio generazionale avvenga con ritardo sempre maggiore.

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L’analisi di questi numeri conferma, inoltre, il vecchio adagio secondo il quale “la prima generazione crea, la seconda conser-va e la terza distrugge”. In effetti i dati testimoniano in manie-ra alquanto cruda che le aziende italiane di prima generazione sono pari al 36,6%, con una crescita media di circa il 2,5% su base annua. Le aziende di seconda generazione sono circa il 41,1% ed evidenziano un calo di quasi l’1% su base annua. Infine, le aziende di terza e quarta generazione compongono il rimanente 22,3% e su di esse si rileva un calo superiore al 2,6%.

Più in dettaglio, si può notare che più avanzata è l’età del leader, più sono penalizzati la performance e lo stimolo com-plessivo alla crescita. Ciò suggerisce che una maggiore presenza di elementi più giovani e motivati potrebbe essere uno stimolo e dare impulso al futuro dell’impresa. Ma l’apertura nei confronti dei giovani nell’ultimo decennio è stata purtroppo penalizzata e, se nel 2002 i giovani erano presenti nelle imprese per circa il 34,3%, nel 2012 è stata rilevata una loro presenza pari al 25,4%.

I numeri proposti da Unicredit sembrano quindi confermare il vecchio adagio. Tuttavia, detto ciò, sembrano suggerire anche che un po’ di esperienza serve e che troppa… fa male!

Appare evidente che i fondatori di un’impresa, soprattutto in giovane età, creano un effetto propulsivo per la crescita e per il successo dell’azienda, che è assolutamente fondamenta-le. Emerge però un rischio concreto di immobilismo decisio-nale e, come vedremo, di obsolescenza del proprio paradigma strategico (spesso suffragato dai successi del passato) dei leader più anziani che, con tutto il rispetto del caso, spesso rischiano di rappresentare un pesante fardello per le generazioni che su-bentrano loro. Per sopravvivere alla competizione sempre più marcata e globale, servono infatti crescenti flessibilità, capacità di adattamento e propensione al cambiamento, che sembrano caratteristiche forse più connaturate alle nuove generazioni.

A completare questo quadro già molto esauriente dell’argo-mento, la Commissione Europea ha avviato un monitoraggio si-stematico con il fine di analizzare il dato omogeneo a livello UE che, fino a qualche anno fa, rivelava come due imprese su tre scomparissero silenziosamente in linea di massima entro cinque anni dal passaggio di consegne alla nuova generazione. A ciò si deve aggiungere un altro dato, ossia che in Italia meno del 15% delle imprese sopravvive al passaggio alla terza generazione.

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Costruire qualcosa di importante e di vivo come un’impresa richiede che vi sia qualcuno che ne faccia la propria ragione di vita, che vi si impegni anima e corpo, che si circondi di persone motivate e fedeli che abbiano il suo stesso sogno. È quest’ultimo, se condiviso, l’unico “mezzo” in grado di mobilitare e infondere forza al gruppo. Le imprese non sono fatte soltanto di muri, di macchinari e di bilanci, ma di uomini, di progetti e di sogni.

Non a caso, i grandi imprenditori hanno sempre parlato del-la propria esperienza come della realizzazione continua di un sogno sempre mutevole. Ai loro sogni si sono intrecciati quelli dei loro manager, ma anche dei loro lavoratori, dei sindacati e dei consumatori. La forza di un’impresa risiede, come abbiamo già detto, proprio nell’essere una comunità: i capitani d’azienda non sarebbero in condizione di raggiungere da soli alcun risul-tato significativo, se il loro esempio, il loro sogno e il loro credo non fossero interiorizzati e fatti propri anche dai collaboratori.

Riorganizzazioni, pianificazioni societarie e strategie finanzia-rie non possono assicurare la vita di un’impresa, se non si sa trasferire insieme al “corpo” e alla “mente” dell’azienda anche “l’anima” ovvero il sogno da cui è nata e che ne ha consentito lo sviluppo.

Spesso l’approccio adottato in tal senso nelle aziende familiari è miope: non si spinge oltre la parte più superficiale dell’azien-da e non ci si domanda che cosa determini, a dispetto di mac-chinose operazioni societarie, il fallimento di così tante nuove generazioni delle grandi dinastie industriali.

A mancare è la trasmissione del sogno agli eredi. Soltanto il sogno può sconfiggere ogni limite in noi e trasformare la pover-tà in ricchezza, le difficoltà in intelligenza, la paura in passione. Ai giovani, che devono prepararsi alle responsabilità legate al fatto di ereditare il non lieve fardello di un’impresa di famiglia, occorrerebbero innanzitutto formazione ai valori, scuole che allenino all’integrità e che impartiscano saldi principi etici che consentano loro di reggere le pressioni del mondo finanziario.

La scomparsa di 20.000 aziende familiari in Italia ogni anno è anche il riflesso di un Paese che sembra incapace di generare il fattore produttivo più importante: il capitale umano. Un capita-le umano “speciale”, dotato di quelle qualità e di quei princìpi morali che si sono sedimentati nel corso della nostra lunga evolu-zione storico-culturale (senso della giustizia, onestà, lealtà eccete-

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ra); un capitale umano fatto di sognatori, di leader visionari e al contempo pragmatici, per i quali la dimensione dell’essere venga prima di quella del fare. L’imprenditore genuino e integro vuole creare qualcosa che duri nel tempo. In quest’ottica un’impresa può essere vista come una forma di ricerca dell’immortalità.

Prima di entrare nel vivo con il primo capitolo, vorrei condivi-dere con voi il mio scopo. Che è quello di dare aiuto alle imprese di famiglia, sperando che il mio motto, “Imparare per condivide-re”, possa diventare lo stesso di chi seguirà questo percorso.

Spero si sia capito che non si tratta di un percorso rivolto sola-mente a Senior o Junior d’impresa, ma può essere utile a tutti colo-ro che desiderano migliorare se stessi. E come potrei, d’altronde, chiedervi di svolgere un esercizio senza averlo mai provato prima?

Per molti anni ho aiutato come consulente manager e im-prese. Mi sono inoltre appassionato alla Pnl e al coaching e ho trovato proprio nelle imprese di famiglia l’ambiente nel quale coniugare al meglio queste mie competenze. Da ciò la mia pas-sione per questa tipologia di aziende. E, sì, in effetti ho un altro scopo di più lungo periodo, ma lo svelerò una volta che l’avrò realizzato, fra 10 anni, nel prossimo libro.

LA STRUTTURA DI QUESTO LIBRO

Vi sono diversi aspetti da prendere in considerazione nel pas-saggio generazionale, come mostra un autorevole schema ri-preso dal Kit.Brunello.System, uno strumento sviluppato dalla società di consulenza Atelier Studio Centro Veneto e approvato dalla Comunità Europea.

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Il Kit.Brunello.System indaga su diversi aspetti per mezzo di un questionario molto articolato, ma in questo momento mi preme soprattutto far comprendere quanti siano gli aspetti rilevanti e sottolineare quanto ognuno di essi meriterebbe un approfondi-mento specifico.

Tuttavia in questo testo ho ritenuto più opportuno concentrarmi su alcuni aspetti che ritengo fondamentali per la crescita dell’attore Junior e per l’incremento della consapevolezza del Senior. Mi rife-risco, in particolare, a tre ambiti che nel corso del libro cercherò di approfondire con indicazioni sempre più operative, lasciandovi alcune domande come spunti operativi di riflessione:

• motivazione;• leadership;• innovazione.

Nella prima parte del libro cercherò di trasmettervi alcuni con-cetti, nella seconda parte cercherò di aumentarne la compren-sione fino ad arrivare, nella terza, a indicarvi azioni ancora più operative seguendo, una sorta di percorso che potrebbe essere schematizzato da questa immagine:

Perché questi temi?Innanzitutto perché credo che ogni nostro progetto, pri-ma di essere avviato, richieda un lavoro interiore su noi stes-si. Comprendere le motivazioni, diventare migliori, puntare all’eccellenza sono aspetti che, pur nella possibilità di essere riflessi nella propria azienda, prima di tutto devono emergere dal nostro essere.

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La leadership è un elemento essenziale sia per il Senior sia per il Junior. Credo che un vero leader sia quello che riesce a far crescere intorno a se stesso altri veri leader. Quale miglior au-spicio per un Senior e quale miglior insegnamento per un Junior ci potrebbero essere?

L’innovazione è l’elemento che può e che deve garantire il suc-cesso di ogni organizzazione. Vendita e innovazione sono infatti i pilastri sui quali si sostiene ogni impresa di successo. Nel libro farò riferimento, in particolare, alla cultura di innovazione che deve pervadere l’organizzazione. Quest’ultima potrà progredi-re soltanto se sarà capace di ricrearsi e di innovarsi continua-mente nel tempo.

Come vi ho già anticipato, il libro vi porrà molte domande e il mio suggerimento è quello che il Senior e il Junior rispondano a ogni domanda separatamente, almeno all’inizio, per consentire in seguito un confronto sereno sulle rispettive risposte. Sono convinto che questo esercizio potrà portare a una comune com-prensione di argomenti così cruciali per il futuro dell’organiz-zazione e per il benessere di chi vi è coinvolto.

Il primo capitolo (Conoscere) intende mettere a fattore comu-ne alcune definizioni.

Il secondo capitolo (Comprendere) vuole offrirvi alcuni stru-menti di sviluppo per i temi affrontati.

Il terzo capitolo (Costruire) propone alcuni consigli dal taglio più pratico per facilitare il passaggio generazionale.

Per ogni eventuale domanda o dibattito, vi rimando al sito www.nonmollo.com e sono a vostra disposizione all’indirizzo di posta elettronica [email protected]. Iscrivetevi al blog o speditemi un’e-mail con i vostri commenti e sarò felice di aprire un dibattito con ognuno di voi e di potervi tenere aggiornati sulle mie iniziative. Vi ho inoltre riservato un interessante bonus.

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Capitolo 1CONOSCERE

Il passaggio generazionale è un percorso e un buon passaggio del testimone si prepara a distanza nel tempo e con il tempo.

È importante capire che tipo di azienda avete creato, come essa è nata, quali competenze organizzative, quale know-how tecnico ha accumulato nel tempo, quali punti di forza l’hanno caratterizzata all’origine e quali la caratterizzano ora.

In altre parole, prima di individuare il successore è necessario ca-pire quale impresa si vuole trasmettere e quali attori sono coinvolti.

MOTIVAZIONE

Spesso, come ho anticipato, il passaggio generazionale costitu-isce un momento di crisi anche se non deve essere per forza inteso con un’accezione negativa. Può essere un momento di riflessione, di valutazione e può trasformarsi in un presupposto di miglioramento ai fini di una rinascita.

Il famoso consulente Tom Peters sostiene, nel suo libro Re-imagine! Business Excellence in a Disruptive Age, che per proget-tare il futuro della propria organizzazione ci vogliono passione e una bellissima emozione che però è piuttosto rara durante una crisi, che porta con sé abbondanza di paura e scarsità di passione.

È normale: quando tutto è in discussione, l’emozione più na-turale non è la passione. Con l’incertezza arriva la paura e la mancanza di certezze porta stress, dubbio e ulteriori timori.

Sfogliando le riviste di business è possibile imbattersi spesso in aziende che hanno vissuto una crisi, seguita spesso da una

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rinascita. Sono molti i casi studiati e altrettanto numerose le imprese analizzate, alcune grandi e famose e altre piccole e sco-nosciute ai più. Tutte, tuttavia, hanno in comune la capacità di gestire le sfide e di tornare più forti di prima. Ognuna di loro si è risollevata seguendo un modello che, pur presentando alcune differenze nei dettagli, risulta essere simile.

Credo che questo modello comune possa essere utile sia al Senior sia al Junior, non soltanto per la loro attività ma anche per la loro vita personale. È stato elaborato da Douglas A. Ready ed Emily Truelove, due studiosi del Massachusetts Institute of Technology, che lo hanno chiamato “Modello dell’ambizione collettiva”. Vi noterete alcuni similitudini con i risultati rag-giunti da altri analoghi studi, ma, soprattutto, risuonerà in voi come decisamente logico.

L’idea è semplice: se all’interno dell’azienda leader e collabo-ratori sono allineati nel modo di pensare, saranno più coinvolti e più efficaci. Lo stesso discorso vale per l’individuo: più è alli-neato ai suoi valori e più sarà felice.

Il concetto si basa su questo presupposto: se in azienda ci affideremo all’ambizione del singolo o se, nella vita personale, indugeremo per soddisfare desideri momentanei invece di foca-lizzarci su vantaggi di più ampio respiro, i nostri eventuali risul-tati avranno breve durata e porteranno comunque a problemi.

Il modello si focalizza sui due aspetti che rendono straordi-nario un gruppo di lavoro. Ready e Truelove si riferiscono in particolare a un “collante”, ossia a quell’insieme di sensazioni che crea il coinvolgimento delle persone e che, insieme a un “lu-brificante”, riesce a rendere fluidi i processi. In altre parole, il metodo, la disciplina e le procedure di esecuzione dell’impresa devono essere snelle ed efficaci.

A differenza di altri metodi tradizionali e ormai superati, que-sto va un po’ oltre. L’idea non è soltanto quella di motivare, perché questo ormai non basta più e comunque non dura nel tempo. È invece necessario creare una storia, una visione e un futuro in cui credere e per i quali impegnarsi. È necessario cre-are non soltanto motivazione ma anche soddisfazione, apparte-nenza, senso di crescita, di contributo e d’importanza, con un occhio rivolto ai bisogni fondamentali dell’essere umano.

Ci sono sette ingredienti che creano maggiori soddisfazione e allineamento nel modo di pensare, ai quali farò più volte ri-

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ferimento, poiché utili tanto al Senior quanto al Junior, che po-tranno confrontarsi su di essi prima, durante e dopo il percorso.

Il primo ingrediente è lo scopo. La domanda è di quelle “pe-santi”, tale da meritare una comune riflessione:

• Qual è lo scopo per il quale esiste l’azienda?

La domanda diventa ancora più potente se la riferiamo alla sfe-ra della vita personale:

• Qual è lo scopo della mia vita?

Non è sempre facile rispondere così, su due piedi. In azien-da servono delle belle sessioni di lavoro per determinare con i principali attori qual è lo scopo!

Il secondo ingrediente è la vision, ossia la visione, lo stato o l’essere che l’azienda vuole ottenere in tempi medio-lunghi.

• Qual è la vision dell’azienda?

Riferita alla vita personale anche questa domanda diventa an-cora più potente. In questo caso la vision è la situazione di vita che desideriamo avere.

• Che cosa desidero essere nella mia vita?

Il terzo ingrediente sono gli obiettivi, ossia gli elementi rispetto ai quali misurare i progressi dell’azienda e che cosa fare per tendere verso la vision.

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• Quali sono gli obiettivi aziendali per quest’anno e per i prossimi cinque?

Il quarto ingrediente sono le azioni, ossia che cosa è più impor-tante fare, quando lo è e, soprattutto, quali azioni devono avere la precedenza rispetto ad altre.

• Esiste un piano d’azione?

Il quinto ingrediente è la promessa del brand. Per un’azienda equivale all’impegno preso con i clienti, con i collaboratori, con i fornitori e con tutti coloro che interagiscono direttamente o indirettamente con essa.

• Qual è l’immagine proiettata dall’azienda?

In termini di vita personale ciò significa porsi questa domanda:

• Chi prometto di essere?

Ricordate, ogni promessa va mantenuta. Costruire un falso brand, che non corrisponde a chi siete, porterà a danni enorme. Lasciate perdere chi cerca di cambiarvi per farvi sembrare belli e affidatevi a chi vuole aiutarvi a definire che cosa siete e a co-municarlo agli altri in modo efficace.

Il sesto ingrediente sono i valori e qui la domanda da porre è:

• Che cosa è importante per l’azienda e per me?

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La ricerca del profitto o l’offerta di un servizio? La fama o l’o-nestà? I valori sono, di fatto, i princìpi che guideranno le de-cisioni prese in azienda ed è importante che siano ben definiti, chiari e condivisi. Nel caso della tua vita personale, potresti avere valori che sono in conflitto o che non sono propriamente tuoi e che provengono dalla tua famiglia, cultura o religione.

• Che cosa è importante nella mia vita personale?

Il settimo ingrediente, l’ultimo ma non per questo meno impor-tante, sono i comportamenti.

• Quali sono i comportamenti che mi aspetto dai membri dell’azienda?

Senza azioni definite, gli altri ingredienti rimarranno soltanto belle parole scritte o su questo libro o su un poster o, magari, su qualche brossura distribuita in azienda. Sono i comportamenti che indicano le azioni messe in atto e che producono risultati. Senza di essi nulla cambierà nell’impresa. La cosa più impor-tante è, quindi, il fare.

Definire questi sette ingredienti in sequenza aiuta, di solito, a eliminare incongruenze e ad allineare tutte le forze verso la stessa direzione. Una volta fatto tutto questo, la produttività, l’efficacia e, soprattutto, il senso di benessere e di soddisfazione aumenteranno tantissimo.

Per questo ho voluto offrire fin da adesso uno strumento che permetta al Senior e al Junior di cimentarsi in un primo esercizio di allineamento, per comprendere la distanza che li separa o, meglio, le convergenze dalle quali partire per costruire insieme un passaggio di successo.

Lo scopo dà la spinta emotiva anche nei momenti difficili.La visione fornisce una direzione verso la quale tendere, so-

prattutto in momenti difficili.

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Gli obiettivi sono l’unità di misura concordata, che permette di dare un giudizio condiviso sui risultati raggiunti.

Le azioni e le priorità connesse alla loro realizzazione aiutano a scegliere che cosa fare prima e ciò è d’importanza rilevante, soprattutto nei momenti di incertezza.

Il brand è la promessa, ossia il messaggio da mandare all’e-sterno e che aiuta a seguire una strada che è stata decisa e che l’azienda sta percorrendo.

I valori sono la Stella Polare, la Costituzione, ovvero il metodo da seguire quando sarà necessario prendere decisioni difficili. Se conoscerete i vostri valori, non ci saranno decisioni difficili. Forse ce ne saranno di sofferte, ma saprete sempre quale sarà la cosa giusta da fare.

Per concludere, i comportamenti sono le azioni che produco-no i risultati e che permettono di mantenere la promessa. Sono troppe le persone e le aziende che agiscono senza uno scopo o senza una chiara visione, senza sapere che cos’è più importan-te. Il risultato finale cui arrivano non è sbagliato in sé, ma lo è in quanto né le persone né l’azienda sanno ciò che vogliono e, quindi, rimangono delusi.

Mi rendo perfettamente conto che sottoporre un’azienda o il Senior e il Junior a questo tipo di analisi sia impegnativo e an-cora più nel primo capitolo di questo libro. In effetti, a questo punto non vi siete ancora scaldati. È un esercizio che richiede tempo e volontà, esattamente come un passaggio generazionale di successo e, proprio per questo, spesso non viene fatto.

Purtroppo ci sono ancora imprenditori e manager che pen-sano che queste cose siano soltanto delle “americanate” che servono a ben poco, ma la realtà dei fatti ci dimostra il con-trario. I grandi nomi del panorama economico italiano hanno ben chiari questi elementi, che a volte sono determinati dal fondatore dell’azienda o dal Senior, che li ha dentro di sé e li trasmette, e altre volte nascono da manager che li hanno defi-niti in seguito a un processo preciso, magari con il supporto di qualche consulente.

Guidare senza una meta serve a poco e guidare guardando soltanto lo specchietto retrovisore è garanzia di problemi. Non basta raccontare qualche bell’aneddoto sul fondatore oppure rinnovare la brossura o il sito aziendale. Sarebbe come tingersi i capelli senza cambiare dentro.

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L’obiettivo deve essere quello di costruire e di rafforzare il gruppo, di unirlo attorno a un progetto comune all’interno del quale tutti stanno bene. Nella vita personale si tratta di integra-re i vari ruoli che ricopriamo e di allineare le nostre parti interne per avere più soddisfazione, con la consapevolezza di fare ciò in cui crediamo e di credere in ciò che siamo.

Bene, a questo punto direte che il libro potrebbe anche chiudersi qui. La brutta notizia è che siamo appena partiti e quella bella è che ci sono ancora tanti spunti da condividere che vi aspettano.

LEADERSHIP

Partiamo dal significato della parola per dire, innanzitutto, che le definizioni della leadership sono tante quante le persone che se ne sono occupate ovvero che i punti vista dai quali il concetto è stato analizzato sono numerosi e molto diversi.

Alcuni hanno ragionato sulla leadership analizzando come essa si sviluppi all’interno di una dinamica di gruppo e altri l’hanno considerata una dimensione della personalità, con-centrandosi, quindi, sulle caratteristiche che una persona do-vrebbe avere per essere un leader. Altri, ancora, hanno visto la leadership come uno strumento per raggiungere risultati op-pure si sono soffermati sulla capacità d’influenza o sulle tecni-che di persuasione che un leader dovrebbe impiegare. Infine, e più semplicemente, c’è chi ha parlato della sua relazione con il potere o, più in generale, l’ha intesa come l’arte di crearsi un seguito.

Partirei proprio da qui e da una definizione semplice ed essen-ziale data dall’economista Peter Drucker, per il quale il leader è “qualcuno che ha dei follower”. Il leader è, quindi, chi ha qualcu-no che lo segue. Questa può senz’altro apparire una definizione elementare, ma, in realtà, sintetizza il concetto che sta alla base della leadership: come fare a farsi seguire da qualcuno?

Il concetto di leadership presenta alcune dimensioni rilevanti. La prima è la meta ovvero l’obiettivo da raggiungere e la secon-da riguarda le persone che devono essere coinvolte. Partendo da questi elementi, una prima definizione potrebbe essere que-sta: leadership è saper condurre le persone alla meta. È un po’ più estesa rispetto a quella di Drucker, ma non molto diversa.

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Nascono a questo punto due domande. La prima è: “Di chi è la meta da raggiungere? È soltanto del leader o si tratta di una meta comune?”, mentre la seconda riguarda il perché i follower seguano il leader fino alla meta.

In generale, nella nostra quotidianità seguiamo qualcuno per le ragioni più diverse. Un primo motivo potrebbe essere, per esempio, che questo qualcuno ci obbliga a seguirlo e un secon-do potrebbe essere ciò che ci promette se accettiamo di seguir-lo. Forse lo seguiamo perché è il solo a conoscere la strada e a sapere dove andare oppure perché, a differenza degli altri, sa che cosa fare. Altre volte un gruppo segue un leader perché ha la capacità necessaria a integrare persone e personalità diverse tra loro o, ancora, perché possiede carisma e passione ovvero ha una forza misteriosa che fa in modo che gli altri lo seguano.

Il motivo principale per il quale si segue un leader può essere così sintetizzato: è dotato di una qualche specie di potere.

L’economista e sociologo tedesco Max Weber definiva il pote-re come “la possibilità che un individuo, agendo nell’ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione”. In effetti, le dinamiche che si creano tra leader e follower hanno questa caratteristica: se qualche vol-ta il follower non è d’accordo, il leader può far valere la propria volontà. Weber sosteneva che questo potere poteva derivare dalla percezione di legittimità del potere da parte di chi ne è soggetto oppure da una mera posizione di forza.

In altre parole, il potere come tale è riconosciuto legittimo da chi ne è soggetto e questo riconoscimento può basarsi sul ruolo formale del leader, quindi sulla sua autorità o sulla carica che ri-copre oppure sulle sue doti personali. Liberamente tradotto, il potere si basa su quella si chiama comunemente “autorevolezza”.

Chiariamo subito che non vi è leadership, ma piuttosto vio-lenza, quando il potere è esercitato in modo non legittimo, os-sia non è riconosciuto da chi ne è soggetto. Teoricamente, tutti possiamo costringere qualcuno a fare ciò che gli diciamo pun-tandogli contro una pistola, ma questo non farà certo di noi dei leader o trasformerà la nostra vittima in un follower.

La leadership è tale se il potere è riconosciuto come legittima-mente esercitabile e possiamo, quindi, immaginare che possa esse-re esercitata attraverso due modalità, entrambe legittime. La prima è quella di una leadership autoritaria, basata sul potere attribuito e

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riconosciuto al leader di avere la facoltà di prendere decisioni e di distribuire premi o punizioni. La seconda è quella di una leader-ship autorevole, che si basa sulla comprensione e sulla condivisio-ne degli scopi, dei ragionamenti e delle decisioni del leader.

A questo punto si può dare una seconda definizione di leader-ship che mi sembra più completa: leadership è saper condurre le persone a una meta esercitando un potere condiviso e riconosciuto come legittimo.

L’insieme di innovazione tecnologica, di globalizzazione e di saturazione dei mercati sembra aver prodotto effetti dirompenti, tra i quali, in particolare, l’aumento delle variabili in gioco e so-prattutto il moltiplicarsi delle interrelazioni tra le variabili. Ormai è quasi impossibile prevedere il futuro e di conseguenza, poiché è proprio sulla base delle previsioni che si definiscono le strategie, il rischio di scelte sbagliate aumenta esponenzialmente.

Un altro effetto dirompente è che il ciclo di vita dei prodotti, degli equilibri organizzativi e delle competenze delle persone e delle organizzazioni sono sempre più brevi. Ogni buona idea esaurisce il proprio effetto in poco tempo.

Le conseguenze che le mutazioni del contesto comportano per le organizzazioni sono essenzialmente di due tipi. La prima è che diventa necessario utilizzare l’intelligenza di tutti, perché l’intelligenza del superiore non è più sufficiente. Quanti capo-lavori hanno realizzato nella loro vita intera Michelangelo o Beethoven? Quante teorie rivoluzionarie hanno prodotto nella loro intera vita Newton o Einstein? Quante soluzioni giuste, idee di business geniali e innovative possono avere in serbo sin-gole persone nella loro intera vita?

È pertanto imprescindibile l’intelligenza di tutti, intesa non tanto come somma di quelle individuali ma come moltiplicazio-ne delle singole intelligenze, per arrivare a un’intelligenza col-lettiva. È quindi necessario che le persone all’interno di orga-nizzazioni apprendano a vivere, a lavorare e a muoversi insieme, in altre parole a essere un team.

Se consideriamo la leadership come la guida di un team, va da sé che non potrà essere leader chi si preoccupa unicamente del pro-prio rapporto con i singoli individui, bensì chi si porrà il problema del rapporto con i singoli, con l’insieme e tra i singoli tra di loro.

La leadership di oggi è quindi quella in grado di creare e di condurre un team.

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Un team esiste quando vi è coinvolgimento, ossia quando gli in-dividui che compongono una organizzazione non conoscono sol-tanto i propri compiti e gli obiettivi specifici ma anche e soprattut-to il perché, il come e il cosa che l’organizzazione vuole ottenere.

Un team esiste se c’è condivisione ovvero se gli individui con-dividono i vantaggi che derivano dai risultati conseguiti dall’or-ganizzazione.

In altre parole, c’è coinvolgimento se le singole persone che compongono l’organizzazione pensano di poter trarre vantaggi individuali dal raggiungimento degli obiettivi comuni.

Un team esiste se c’è fiducia ovvero quando le persone che compongono un’organizzazione sono consapevoli che i suoi altri membri (tutti o almeno la maggior parte) hanno le compe-tenze richieste per svolgere il proprio compito. Pertanto, non devono soltanto condividere lo scopo comune, ma anche e so-prattutto la voglia di contribuire alla sua realizzazione.

Infine, un team esiste se vi è responsabilità ovvero se i suoi membri si assumono la responsabilità del raggiungimento non soltanto del proprio obiettivo individuale ma anche di quello della meta dell’intera organizzazione.

È ciò che si verifica normalmente in un team sportivo, nel quale un giocatore ha ben in mente, indipendentemente dal proprio ruolo, il risultato finale della partita o del campionato e se ne sente responsabile.

Ma tutto questo può avvenire soltanto se gli individui che compongono l’organizzazione, da un lato, sentono di avere il potere oggettivo di influenzare il modo di raggiungere gli obiettivi e, dall’altro, ritengono, soggettivamente di avere il potere di influenzare il modo di raggiungerli. Il leader di un team dovrà dunque coinvolgere le persone rispetto all’obiet-tivo, comunicare con loro e formarle a svolgere il lavoro e, soprattutto, a capire lo scopo, il senso e le logiche del gioco che stanno facendo insieme.

Il leader dovrà condividere e mettere in piedi meccanismi premianti tangibili e intangibili, tesi a far convergere gli obiet-tivi degli individui e quelli dell’organizzazione. Dovrà generare fiducia e dovrà, prima di tutto, essere riconosciuto come perso-na onesta dal punto di vista intellettuale, ma, soprattutto, dovrà essere capace di comunicare, di ascoltare e di creare continui contatti con e tra le persone.

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Il leader dovrà generare responsabilità e questo si può fare attraverso la delega, la formazione e, soprattutto, attraverso una quotidiana educazione alla responsabilità. Nel team ciascun componente penserà sempre che, se qualcosa non funziona, trovare la soluzione è compito di tutti.

A questo punto vediamo alcune domande retoriche che ri-guardano la meta ovvero lo scopo da raggiungere: il potere e il perché le persone seguono qualcuno. In un team:

• Chi ha il potere di stabilire la meta comune e i modi per raggiungerla? Il leader da solo o insieme ai follower?

• Su cosa si deve basare il potere legittimo di un leader? Autorità, autorevolezza o entrambe?

• Le persone seguono il leader soltanto perché si aspettano un premio o una punizione, e perché motivate dalla meta in se stessa o per entrambi i motivi?

• I follower sono meri esecutori o protagonisti della vita del team?

Come rispondereste a queste domande se si trattasse della vo-stra azienda? Sono convinto che dareste risposte tali che, a que-sto punto, si può dare una terza e più completa definizione di leadership che, se la vostra è un’organizzazione di successo, non può che essere la seguente: leadership è saper condurre persone libere, consapevoli, capaci, coese, convinte e responsabili verso uno scopo comune e condiviso, anche attraverso un uso discreto del potere legittimo da loro riconosciuto.

Per quanto riguarda l’esercizio del potere connesso alla lea-dership, si incontrano spesso due termini, manager e leader, ap-punto, che sono spesso usati come sinonimi e altrettanto spesso come contrari.

Proviamo a vedere qualche definizione. Uno dei pionieri della leadership, Warren Bennis scriveva: “Il leader fa le cose giuste mentre il manager fa le cose nel modo giusto”. Il leader ha una visione ampia del futuro e si muove verso di esso. Si occupa del cosa e del perché e pensa in termini di innovazione e di sviluppo. Viceversa, il manager ha una visione focalizzata. Si occupa del come e punta al controllo, cerca la stabilità e gestisce il presente”.

John Kotter, professore di leadership alla Harvard Business School, afferma che “il leader ha la vocazione e la forza di

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generare il cambiamento, il manager ha la capacità e la dispo-nibilità di gestire il contingente”. Potremmo dire, quindi, che mentre il manager pianifica, organizza, gestisce e controlla, il leader interpreta il contesto, concepisce una visione, mobilita le energie e ispira le persone a dare il meglio di se stesse per realizzarla. In ultima analisi il manager manovra leve hard, il leader quelle soft.

Chiedersi se è meglio essere leader o manager è in realtà un falso problema, perché sarebbe come chiedersi se in un bilan-cio è meglio lo stato patrimoniale o il conto economico oppure chiedere a un pianista che cosa sia più importante tra la passio-ne per la musica e la tecnica o, ancora, chiedere a uno sportivo se importa di più la motivazione per arrivare alla finale oppure la preparazione per giocarla.

Mi sembra quindi evidente che, nell’esercizio del potere con-nesso alla leadership, è necessario essere nel contempo manager e leader. Se, infatti, il team non avrà tecniche di gioco, tattiche, gerarchie, competenze immediatamente spendibili, focalizza-zione ed eccellenze per la partita di oggi, non avrà un domani.

Nello stesso tempo, se il team non tollererà le differenze, non esplorerà continuamente nuovi mondi, non divergerà, non ri-sparmierà e accantonerà risorse (in una ottica di ridondanza anziché di efficienze e efficacia immediata), non avrà un doma-ni. Nell’esercizio del potere, dunque, occorre interpretare vari ruoli, quello del manager e quello del leader.

Come leader è importante guardare al futuro lontano, creare una visione e dedicare tempo a spiegarla, a discuterla e a farla condividere; come manager è altrettanto importante concen-trarsi sul risultato concreto e di breve periodo, pianificando e controllando la performance dei collaboratori.

Come leader è importante creare una cultura fondata su valo-ri comuni e concentrarsi sullo sviluppo dei collaboratori; come manager è essenziale anche selezionarli, organizzarli, addestrar-li e dirigerli.

Come leader è importante esercitare un potere basato sull’a-scolto, sull’attenzione, sulla fiducia personale e sull’autorevo-lezza; come manager è importante sapere anche usare l’autorità e la posizione gerarchica quando serve.

Come leader è importante accettare, favorire la crescita e la libe-ra manifestazione di manifestarsi di esperienze che permettono al

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team di esprimere punti vista e comportamenti diversificati, perché arricchiscono le possibilità del gruppo di lavoro; come manager, è fondamentale saper pretendere omogeneità e uniformità.

Come leader è importante creare cambiamento, discontinui-tà, esplorazione e ridondanza; come manager, centrale sarà un certo grado di stabilità, di ordine e di efficienza.

Ma, soprattutto, è fondamentale lo spirito con il quale affrontare il ruolo del leader. Il leader è a servizio del team, dei suoi membri e della meta comune e non viceversa. Proprio questo è il tema do-minante della leadership: servire. Ponetevi ora questa domanda:

• Rispetto alla descrizione di questi ruoli esercito più spesso il ruolo di leader o quello di manager?

Ritengo che il compito fondamentale dei leader sia quello di innescare sentimenti positivi nelle persone che gestiscono e ciò si verifica quando sanno creare risonanza ovvero una riserva di positività che libera quanto c’è di meglio in ogni individuo.

Nella sua essenza, quindi, il compito fondamentale della lea-dership è di natura emozionale. E, sebbene questa dimensione fondamentale della leadership sia spesso invisibile o completa-mente ignorata, è proprio da essa che dipende se l’operato di un leader otterrà il successo che potrebbe avere.

INNOVAZIONE

Bill Gates affermava spesso: “Microsoft è sempre a due anni di di-stanza dal fallimento”. Questa frase contiene diversi messaggi utili, nonché spunti di riflessione sia per il Senior sia per il Junior. In alternativa, se preferite, si può ricorrere a una metafora più cruda: “Da qualche parte c’è un proiettile che porta il nome della vostra azienda”. Da qualche parte c’è, o ci sarà, un concorrente, uno sco-nosciuto che un giorno renderà obsoleta la vostra strategia. Non potrete schivare il proiettile, dovrete essere i primi a sparare.

Viviamo in un’epoca di incredibili e rapidi cambiamenti: ciò fa sì che qualsiasi concetto aziendale, per quanto brillante, pos-

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sa perdere rapidamente la propria efficienza economica. La dif-ferenza tra essere un leader e arrivare in ritardo non si misura più in decenni, ma in anni e, se consideriamo le iniziative nel settore digitale, in mesi. Oggi un’impresa deve essere in grado di reinventare la propria strategia, non soltanto a cavallo di una crisi, ma continuamente, anno dopo anno.

Ecco alcune domande che potreste porvi per comprendere quali sono lo stato e la cultura della vostra impresa:

• Abbiamo lasciato ad altri il compito di definire le aspetta-tive della clientela?

• I concorrenti ci percepiscono più come conservatori o come innovatori?

• La nostra strategia ha subìto rilevanti modifiche nel corso degli ultimi due anni?

• Si è verificata un’erosione del nostro differenziale di prez-zo oppure dei vantaggi di costo?

• È sempre più difficile attrarre talenti di prim’ordine?

In uno studio condotto da Gary Hamel, esperto di manage-ment, autore e ricercatore nel campo nell’innovazione al quale mi sono ispirato, più del 60% dei Ceo intervistati ha dichiarato

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che chi si è avvantaggiato di più nel loro settore di appartenen-za è rappresentato dai “nuovi entranti, in virtù di cambiamen-ti nelle regole del gioco”. Spesso ho sentito dire da Ceo o da presidenti d’azienda che il loro problema è di natura esecutiva oppure che la formulazione strategica è semplice, ma è difficile la sua esecuzione. Sono le frasi preferite da quei dirigenti che temono di dover ammettere che le loro strategie sono ormai datate. Formulare strategie è tutto fuorché un compito facile, se la vostra intenzione è quella di trasformare il settore nel quale operate. Che cosa ci potrebbe essere, però, di più gratificante del dare la propria impronta al futuro?

Spesso mi sono imbattuto in Senior e Ceo che passavano il proprio tempo dedicandosi al “come” (come fare le cose, come operare, come riuscire a essere efficienti) e, più raramente, in lea-der che si occupavano del “quale” (quali opportunità perseguire, quali partnership formare, quali tecnologie promuovere, quali esperimenti avviare). Purtroppo, nel momento in cui un’organiz-zazione ricava dal “come” l’ultimo 5% di efficienza, da un’altra parte qualcun altro ha già individuato un nuovo “quale”.

Certo, il primo grande successo dell’età industriale è stato il concetto di miglioramento continuo, che rimane il credo della maggior parte dei manager. A partire da Frederick W. Taylor per arrivare fino al concetto giapponese di Kaizen (“migliora-mento continuo”), abbiamo letto pagine e pagine che hanno spiegato in lungo e in largo come descrivere i processi, come misurarli e come migliorarli. Sono tutti elementi che hanno a che fare più con il miglioramento della propria performance che con il differenziarsi dagli altri concorrenti.

Tuttavia sono convinto che oggi sia la visione a produrre nuo-va ricchezza, la visione delle opportunità disponibili per l’inno-vazione discontinua. Scoprire è il viaggio e la visione è lo scopo.

Certo, il miglioramento continuo è preferibile alla mancan-za di miglioramento, tuttavia il suo valore appare marginale. L’innovazione non lineare e radicale, come sostiene anche Hamel, è il solo modo per sfuggire alla spietata ipercompetizione che, set-tore dopo settore, sta riducendo i margini. Questo tipo di innova-zione richiede all’azienda di sfuggire alla consuetudine di immagi-nare soluzioni interamente nuove ai bisogni della clientela.

Il mondo è sempre più diviso in due tipi di organizzazioni: da un lato quelle che non possono far altro che seguire la strada dei

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miglioramenti continui e, dall’altro, quelle che hanno già spic-cato il volo verso l’innovazione radicale. Come punto di parten-za, i rivoluzionari prendono in considerazione l’intero concetto aziendale e non un solo prodotto o servizio. Riconoscono che la concorrenza non è più tra prodotti e servizi, bensì tra concetti aziendali. Alcuni esempi famosi che possono aiutarvi a compren-dere che cosa intendo possono essere i seguenti:

• Ikea, che incarna un concetto completamente diverso dal tradizionale negozio di arredamento;

• Ryanair, che ha rivisto il modello di trasporto aereo su tratte brevi e medie, condizionando l’intero settore;

• Monster.com, che ha rivoluzionato il mondo della ricerca del personale;

• Apple, che ha rivoluzionato settori diversi, destreggiandosi tra computer, musica, telefonia e, forse a breve, il mondo dell’orologeria.

I rivoluzionari dell’industria spazzano via i vecchi modelli azien-dali e ne creano di nuovi. Nel loro libro Big Bang Disruption: Strategy in the Age of Devastating Innovation Larry Downes e Paul Nunes descrivono un nuovo tipo di innovazione, così potente da mettere a repentaglio l’esistenza di aziende consolidate nel giro di pochi mesi. Purtroppo, la richiesta di maggior innovazione è spes-so interpretata come una richiesta di nuovi prodotti o di sviluppo di nuove caratteristiche nei prodotti più datati; la maggior parte delle aziende sono rimaste coinvolte in una corsa tecnologica nel-la quale ciascun concorrente obbligava gli altri a spendere di più. Si sono spese grandi risorse per le tecnologie legate a Internet e, purtroppo, sono state investite risorse per adeguare alla specificità della Rete vecchi modelli aziendali, invece di servirsi di Internet per creare modelli aziendali radicalmente nuovi.

Il nucleo centrale dell’innovazione risiede, quindi, nella ca-pacità di creare nuove strategie capaci di generare ricchezza.

Ma perché mettere l’accento su questo concetto? Ciò che vorrei far comprendere è che se, da un lato, il Senior ha avuto la capacità di definire un modello di business di successo, dall’altro è indi-spensabile che il Junior vada alla ricerca di nuovi concetti azien-dali. Purtroppo, l’intuizione fondamentale non scaturisce infatti da un processo di pianificazione, ma da un mix di predisposizio-

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ne al cambiamento, di desiderio, di curiosità, di ambizione e di bisogno. Se la vostra azienda è certificata per la qualità, vuol dire che ha già assimilato nella propria cultura questo passaggio.

Sono ormai passati più di 25 anni da quando lessi il discor-so di Cesare Romiti sulla “qualità totale” in Fiat, pronunciato nel 1989 durante il famoso seminario di Marentino davanti ai manager e ai quadri dell’azienda, tutti schierati per ascoltare il nuovo proclama. “Dobbiamo istituzionalizzare la qualità”, disse, “deve diventare il compito di tutti”. Per molte aziende, compresa la Fiat, ci vollero dieci anni e anche più per capire e per far propria la qualità intesa in termini di capacità.

In modo analogo, credo che anche oggi la sfida consista nel costruire una capacità per l’innovazione del modello di busi-ness aziendale ovvero una capacità che produca idee intera-mente nuove e che sappia reinterpretare quelle vecchie.

Creare una capacità diffusa a livello aziendale per l’innova-zione radicale non è una sfida minore rispetto a quella di creare un’organizzazione basata sulla qualità. Soprattutto, oggi non ci si può più permettere il lusso di aspettare dieci anni.

Attenzione, però: con questo non voglio dire che l’innovazione è generata dal vertice. Quante volte, infatti, le rivoluzioni sono state fatte dai re? Nelson Mandela, Mohandas Gandhi o Martin Luther King avevano forse il potere politico? No, eppure hanno modificato radicalmente il corso della storia grazie alla propria passione. Personalmente, credo di più nel ruolo degli attivisti. Mai prima d’ora è stato così opportuno esserlo. Per esempio:

• pensate come la tecnologia sta creando una sorta di demo-crazia dell’informazione e come i confini che normalmente definivano i livelli gerarchici sono sempre più permeabili;

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• ora, come mai credo sia accaduto in passato, i dirigenti sanno che non possono obbligare le persone a impegnarsi, perché la generazione che sta entrando in azienda è la più avversa all’autorità di tutta la Storia;

• credo che sia chiaro a molti che viviamo in un mondo così complesso e incerto che le aziende dall’impronta autoritaria e dai sistemi di controllo molto forti sono destinate a fallire;

• ogni giorno che passa il valore del capitale intellettuale su-pera quello del capitale fisico e ormai sono i lavoratori che stanno diventando i veri capitalisti;

• in molte realtà i lavoratori si stanno trasformando anche in azionisti.

Gli attivisti hanno saputo modificare la forma delle aziende, com’è successo nel caso della Sony e della Ibm. Alla fine de-gli anni Novanta un ingegnere di livello intermedio persuase la Sony a investire nelle console e, sempre in quel periodo, uno scienziato informatico patito della Rete riuscì a trasformare la Ibm dal più grande produttore di hardware nella più grande società di servizi nel mondo dell’e-business.

Non dite, quindi, che è impossibile e domandatevi, piuttosto, se sareste in grado di guidare questa rivoluzione. Se sognare, creare, esplorare, inventare, essere pionieri e immaginare sono parole che non descrivono ciò che state facendo, allora è molto probabile che voi e la vostra organizzazione siate già stati sor-passati dalla Storia.

Questo momento ha bisogno di rivoluzionari e, se agirete come i semplici guardiani della vostra organizzazione, sarete presto entrambi perduti. Nell’era industriale i passi erano mi-surati e lenti: “Pronti, pronti, pronti, mirate, mirate, mirate, fuoco!”, per usare una metafora militaresca. È vero, in passato abbiamo ricevuto molto: aerei eccellenti, farmaci fantastici e al-tre importanti tecnologie che hanno prodotto enormi ricchez-ze. Nel dopoguerra nacque un secondo regime di innovazione, che dapprima generò e poi alimentò la società dei consumi, i cui eroi furono realtà come la Coca Cola, la P&G, la Nestlè e l’Unilever. Anche se investivano rilevanti somme nella ricerca e nello sviluppo, l’obiettivo primario di queste aziende era quello di generare bisogni e fu il marketing a passare al centro dell’in-novazione, creando storie che potessero colpire la nostra imma-

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ginazione e persuaderci a comprare. Dagli anni Cinquanta fino agli anni Novanta i migliori talenti non volevano più diventare scienziati, bensì product manager. Il risultato? Shampoo e den-tifrici collocati al vertice della gerarchia dei bisogni teorizzata da Abraham Maslow.

Come sostiene Hamel, il nuovo ordine industriale è il prodot-to di un tipo di innovazione molto diversa, costruita sulla base di un salto nelle capacità di immaginazione dell’essere umano. I tempi di sviluppo si misurano ormai in settimane, non in anni, i clienti sono partner nello sviluppo e offrono feedback in tempo reale all’interno di un ciclo senza fine di sperimentazione, adat-tamento, sperimentazione, adattamento. “Fuoco, fuoco, fuoco, mirate e ancora fuoco, fuoco, fuoco!”: ormai non c’è più tempo per il “Pronti”.

L’obiettivo non è quello di depositare un brevetto o di cre-are una nuova campagna pubblicitaria, bensì quello di creare un concetto di azienda radicalmente nuovo. Gli innovatori non sono né scienziati né uomini di marketing, ma individui capaci di produrre qualcosa dal nulla. Nella Silicon Valley, come in molti altri distretti tecnologici avanzati, non ci sono addetti alle ricerche di mercato, come non ci sono Ceo che suddividono risorse tra progetti in concorrenza tra loro. Ci sono migliaia di nuove idee che concorrono su quello che è diventato un merca-to aperto per l’innovazione del concetto di business.

Chi ha meriti attrae talenti e capitale. La ricerca e sviluppo e il marketing di prodotto costituiranno sempre le leve per la creazione di ricchezza ma non saranno più gli unici strumenti e, forse, nemmeno i più redditizi. Sia i manager dai capelli grigi sia i giovani arrivati da poco sulla breccia dovranno abbracciare la nuova agenda dell’innovazione

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Ora ponetevi queste domande:

• Sposerete la nuova agenda dell’innovazione?

• Vi prenderete la responsabilità di preparare la vostra orga-nizzazione alla rivoluzione?

Se la risposta è positiva, potete guardare con positività al fu-turo della vostra organizzazione e pianificare con entusiasmo il passaggio generazionale. Perché la rivoluzione portata dal fondatore potrà vedere ancora nuove rivoluzioni e, soprattutto, un’organizzazione capace di stimolare la crescita attraverso una sana discontinuità.

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Capitolo 2COMPRENDERE

Nel primo capitolo abbiamo cercato di analizzare insieme gli aspetti che in questo momento storico caratterizzano l’“entità” azienda, concentrandoci in particolare su quelli che, a mio av-viso, sono i più rilevanti. Certo, anche gli aspetti economici e finanziari sono rilevanti e non devono essere trascurarli, ma in questa sede non ne parleremo.

Abbiamo svolto una specie di indagine per scoprire le ca-ratteristiche attuali della leadership e del governo dell’azienda esistente e i processi che li caratterizzano, enfatizzando in parti-colare la vocazione all’innovazione che, dal mio punto di vista, è la garanzia per un futuro di successo.

In questo secondo capitolo vorrei soffermarmi su certi elemen-ti che devono contraddistinguere i leader. Vorrei, inoltre, aiutarvi a sviluppare condizioni migliori affinché la vostra azienda, e voi con essa, possiate avere successo. L’idea è quella di suggerirvi al-cune azioni concrete per poter migliorare, toccando ancora i tre aspetti più rilevanti: la motivazione, la leadership e l’innovazione.

MOTIVAZIONE

Secondo esperti mondiali della crescita personale come Napoleon Hill, Anthony Robbins e molti altri, una caratte-ristica comune alle persone di successo è la loro abilità nel motivarsi a fare ciò che devono, che ne abbiano voglia o meno.

Albert Grey, nel corso di una ricerca che è durata oltre 30 anni, ha tentato di stabilire e di verificare le differenze tra

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le persone che hanno successo e quelle che non ce la fanno. Studiando la storia di diverse persone che sono riuscite a salire in alto rispetto allo loro classe sociale di origine, è stato nota-to che la principale caratteristica che le distingueva dagli altri era la prospettiva temporale. In parole semplici, le persone che producono risultati pensano a lungo termine, mentre gli altri pensano all’immediato e godono dell’adesso. Non rispettano gli impegni presi con se stessi o con altri e fanno ciò che è più comodo nell’immediato momento.

La Programmazione neurolinguistica (Pnl) chiama questa abi-lità “pensiero strategico”. Il famoso formatore Stephen R. Covey la definiva l’“iniziare pensando alla fine”. Liberamente tradotto, significa aver consapevolezza di una verità sostenuta da Gandhi: “Il futuro dipende da ciò che facciamo nel presente”.

La ricerca dimostra che quanto più una persona pensa a lun-go termine, tanto più ha successo. Molte persone hanno un’idea delle conseguenze delle loro azioni nel lungo periodo ma, nono-stante questo, non cambiano. Altre invece fanno la cosa giusta ed ecco perché credo che sia importante – prima di affrontare altre questioni – affrontare con voi Senior e con voi Junior il problema della motivazione ovvero quello dell’impegno e della disciplina.

Le persone che producono risultati concreti a lungo termine mostrano più impegno e hanno autodisciplina. Si impegnano a fare meglio e a fare di più per migliorare, si alzano prima e vanno a dormire tardi, risparmiano denaro pensando al futuro, investono tempo trascorrendolo con i propri figli. Sanno che il tempo prezioso che investono avrà un ritorno importante, con-sentendo loro di fare tutto ciò che serve, anche e soprattutto quando non ne hanno voglia.

Impegno e autodisciplina sono, quindi, due parole, due con-cetti molto importanti. Metterli in pratica significa avere l’abi-lità di rimandare le gratificazioni più immediate per avere poi un premio importante. L’autodisciplina è la capacità di gestirci e di mantenere le promesse che facciamo a non stessi. Chi non ce l’ha pensa che si tratti di una limitazione alla propria libertà. Probabilmente conoscerete anche voi persone che si dichiarano libere perché fanno quello che vogliono nel momento in cui vogliono, ma io affermo che l’autodisciplina è la più grande li-bertà, quella di decidere che cosa è importante e di stabilire poi le azioni necessarie a farlo.

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Autodisciplina non significa automortificazione o rinuncia: significa mantenere gli impegni presi con noi stessi perché sono importanti; significa dare una direzione alla nostra vita; signifi-ca andare nella direzione che abbiamo deciso. Il che, peraltro, non esclude che possiamo decidere in seguito di cambiare idea e strada e di agire diversamente da come avevamo stabilito pri-ma. L’importante è che questo cambiamento nasca come con-seguenza di una nostra valutazione strategica, non in funzione dell’emozione o di un attacco di pigrizia del momento.

Sono convinto che molti Senior (tutti, mi auguro), leggendo queste parole, rivedranno scorrere davanti agli occhi episodi della propria vita, perché – se avete ottenuto il successo per-sonale e quello della vostra azienda – certamente avete seguito esattamente questi passi. Il successo non accade per caso, ma perché abbiamo la passione e il coraggio di seguire i nostri so-gni. Quante volte abbiamo puntato la sveglia per fare qualche cosa e poi ci siamo girati dall’altra parte, decidendo di conti-nuare a dormire, magari per pentircene in seguito?

La ragione per la quale molte persone non hanno motivazione – e non mi riferisco per forza soltanto ai Junior – è perché hanno la convinzione errata che essa equivalga a una rinuncia. Pensano di dover rinunciare a qualcosa oggi per avere, forse, qualcosa in un lontano futuro. Se conoscete qualcuno che rispetta sempre gli impegni presi, probabilmente è una persona che stimate e della quale vi fidate. Al contrario, se qualcuno non rispetta gli impegni, probabilmente non ha né il vostro rispetto né la vostra stima.

Lo stesso discorso si può applicare anche al rapporto che ave-te con voi stessi. La prima chiave per avere autostima è rispet-tare gli impegni che avete preso. Per avere un buon rapporto con voi stessi, avete bisogno di impegno e di autodisciplina. Maggiori saranno la fiducia, la stima e il rispetto per voi stessi, meglio vi comporterete con gli altri e sarete più positivi, più produttivi e più felici.

Per fortuna, impegno e autodisciplina sono qualità che possono essere apprese attraverso la pratica e l’abitudine e, come tante al-tre cose che avete imparato, potrete apprendere o ripassare anche queste. L’abitudine più importante è fare ciò che è necessario indi-pendentemente dalla voglia o meno del momento. Molte persone si abituano a rimandare o a fare le cose male, se non a evitarle pro-prio. Per molto tempo è sembrato che fare i furbi nella vita di tutti

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i giorni pagasse di più che fare le cose per bene e in molti abbiamo ignorato gli effetti futuri delle nostre azioni. Le conseguenze ora sono davanti gli occhi di tutti: la crisi in corso ci sta ricordando che lavorare bene paga sempre a lungo termine, mentre le scorciatoie danno soltanto, nel breve periodo, l’impressione di pagare. E pur-troppo sono molte le persone che sono abituate a vivere così e che, come conseguenza, faticano a cambiare.

Come per tutte le abitudini, cambiare questi comportamenti è faticoso all’inizio, ma poi diventa un processo naturale: “Tutte le cose sono difficili prima che diventino facili”, diceva Johann Wolfgang von Goethe. Ricordate, tuttavia, di essere pazienti con voi stessi. Siete esseri umani, non macchine, e ci saranno altre mattine in cui non avrete voglia di alzarvi, giorni di dieta in cui vi verrà voglia di sgarrare e, forse, una volta ogni tanto lo farete. Se ogni tanto ciò avviene non c’è da preoccuparsi e bisogna ricordare che è l’abitudine che conta, non l’eccezione. Il problema è che spesso l’eccezione diventa la regola.

Per tornare al lato più pratico, possiamo dividere la nostra vita in nove aree, che sono collegate tra loro, ragion per cui un miglio-ramento o un peggioramento in un’area ha conseguenze positive o negativa in un’altra. L’idea è quella di un sistema organico, non molto diverso da quello che regola la vita di qualsiasi essere vivente.

La prima area alla quale utile prestare attenzione è il pensiero. Pensare è per noi un’attività continua e automatica, al punto che naturalmente e spesso nemmeno ce ne accorgiamo. Purtroppo a scuola non ci viene insegnato un buon modo di pensare. Chi tra noi non ricorda quando fissavamo il soffitto alla ricerca di un pensiero o di un’idea o quando l’insegnante ci richiamava all’attenzione?

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L’inventore Thomas Alva Edison diceva che pensare è la cosa più difficile di tutte. Altri dicono che ci sono quelli che pensano, quelli che pensano di pensare e quelli che preferirebbero non pensare. Ora, ci sono molti modi per pensare, alcuni funzionali e costruttivi e altri meno, e, se ci ragionate, le persone che sanno pensare chiaramente e in modo funzionale e costruttivo sono molto preziose e ricercate nelle aziende, nella politica e nel so-ciale. Una cosa è sicura: il vostro modo di pensare determinerà il vostro modo di vivere, in quanto definisce a che cosa prestate attenzione, che cosa ritenete importante e che significato date alle cose che accadono.

In Pnl si afferma spesso che il modo con cui si pensa è più importante di ciò che si pensa. Spesso reagiamo agli eventi e ci domandiamo: “Che cosa faccio?”, invece di attendere e rispon-dere alla domanda più importante: “Che cosa significa per me questa cosa?”. Spesso lasciamo che l’emozione del momento ci faccia guidare da schemi mentali preesistenti o da abitudini o, peggio ancora, dal modo di pensare di altri. Pensare con chia-rezza significa pensare con la nostra mente e decidere noi che significato dare alle cose.

Per esempio, che cosa può significare un incidente che dan-neggia la mia moto? Fortuna o sfortuna? Il significato che io darò a questo fatto determinerà le azioni che metterò in atto. E lo stesso discorso può applicarsi ad altre azioni i cui risultati determinano in qualche modo la qualità della vita. È questo il motivo per cui pensare bene è molto importante.

Purtroppo il problema più grande è che passiamo gran par-te del nostro tempo a rispondere a stimoli. Una volta c’erano tempi di riflessione più lunghi e attività che permettevano di riflettere. Per esempio, ricordo ancora gli gnocchi a mano o le minuscole polpettine per il brodo di Natale che preparavo in-sieme a mia zia, quando si andava a correre senza ascoltare un iPod e in treno ci si limitava a guardare il panorama. I tempi di reazione erano diversi e, per continuare a ricordare quanto siamo “vecchi”, prima delle e-mail i tempi della posta erano scanditi da quelli del servizio postale e da quelli della scrittura “a mano” e della lettura. Era tutto diverso.

Ora ci svegliamo spesso all’ultimo momento, beviamo un caffè veloce alla faccia del cliché della famiglia felice in cui tutti sorri-dono e tutti hanno un sacco di tempo per godersi il momento, e

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poi via, in auto ad ascoltare la radio o a telefonare. Davanti alla tv ogni sera e durante i viaggi, con gli occhi incollati all’iPad, quan-do ci fermiamo per pensare, esattamente? Quello che subiamo è un continuo bombardamento in piena regola, senza pause e alcun momento per fermare la mente e per riflettere.

Come quelle del passato, tutte le persone di successo del pre-sente si prendono del tempo per pensare. Stabiliscono in agen-da pause durante le quali, senza farsi disturbare o interrom-pere, riflettono. Mai prendere una decisione importante senza pensare, senza valutare, senza riflettere! Il modo più semplice e antico per pensare tranquillamente è stare comodamente seduti in un luogo isolato, per 20-30 minuti di calma, senza fare nulla. Niente radio e niente tv, niente da leggere, nessun supporto tec-nologico, niente da fare, soltanto essere.

In tutte le culture del mondo ci sono attività simili a questa ed è arrivato anche per voi il momento di fermare tutto e di lasciare che la vostra mente si calmi e faccia così emergere i suoi pensieri più chiaramente. È probabile che possa sembrarvi stra-no, se non lo avete mai fatto. Vi sembrerà di stare con le mani in mano e di perdere tempo. Forse faticherete e vi innervosirete e, più difficile sarà, più vorrà dire che ne avevate davvero bisogno.

Accade spesso che nella tranquillità i pensieri si plachino e arrivino nuove idee, nuove intuizioni e nuove soluzioni. Come per magia, arriva tutto ciò che il rumore della vostra mente te-neva nascosto. Se per caso conoscete persone che praticano la meditazione, vi hanno già detto quanto sia importante per loro questa attività quotidiana. Provateci anche voi.

Per esempio, io ho preso l’abitudine di correre la mattina e di stare con me stesso almeno 15-20 minuti al termine della corsa, ma un altro modo per pensare meglio è farlo su carta. Invece di pensare soltanto nella vostra mente, scrivete; se dovete trovare una soluzione a un problema, scrivete tutto ciò che vi viene in mente. La scrittura ha cambiato il mondo perché ha consentito agli esseri umani di comunicare a distanza o di lasciare trac-cia nel tempo. Ha cambiato tutto perché dà al cervello umano l’opportunità di interagire con se stesso. Scrivere è molto im-portante, perché ci obbliga a pensare più lentamente e ci dà la possibilità di ragionare con noi stessi.

Un altro modo per pensare meglio in modo più chiaro è quello di identificare i vostri presupposti, ossia che cosa date per scon-

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tato e che varrebbe la pena di rivalutare. Nel lavoro in azien-da mi capita spesso di porre domande come se fossi all’oscuro di tutto: “Perché fate così? Siete sicuri che sia questo ciò che desidera il cliente?”. Ricordate il disastro dello Space Shuttle Challenger nel 1986? La distruzione della navetta fu causata da una guarnizione il cui difetto fu ritenuto dagli ingegneri poco rilevante e dunque, con presunzione, non importante. A volte partiamo con preconcetti che non mettiamo più in discussione. E se questi preconcetti fossero errati? Mettere in dubbio alcune certezze può essere molto utile e potete farlo da soli, con un amico o, meglio ancora, insieme a un buon coach, che può aiu-tarvi a riflettere e a vedere ciò che vi sfugge.

La seconda area alla quale dedicare il vostro impegno è l’a-bitudine a definire gli obiettivi. La domanda base è: “Che cosa voglio? Che cosa desidero ottenere?”. Richard Bandler, uno dei fondatori della Pnl, esprimeva il concetto con una metafora piuttosto convincente: “Chi guida il tuo autobus?”. Se non date voi una direzione alla vostra vita, lo farà qualcun altro.

Molte persone, e anch’io per molti anni mi sono comporta-to in questo modo, definiscono i propri obiettivi intorno alla mezzanotte dell’ultimo dell’anno. Come si può facilmente com-prendere, più che veri obiettivi sono promesse di non fare qual-cosa, che poi verso le due del mattino si dimenticano tra un bicchiere e l’altro.

Definire obiettivi è tutt’altra cosa. È un’azione da compiere periodicamente e con metodo, addirittura quotidianamente, se è utile a pianificare bene la giornata per raccogliere a sera i ri-sultati. Ogni giorno dovrete decidere che cosa volete ottenere, e questo per dedicare attenzione a questo obiettivo. Senza l’at-tenzione fissata su ciò che volete, sarete alla mercé di chi ce l’ha. Chi sa cosa vuole lo ottiene, chi non lo sa no.

Detto questo, ecco alcuni principi su come definire un obiet-tivo. A me piace servirmi di questo criterio che sintetizzo con la sigla s.m.a.r.t.: Ogni obiettivo deve essere Specifico, Misurabile, Ambizioso, Raggiungibile e Tempificato. Come abbiamo già vi-sto, la domanda da porvi in primo luogo è “Che cosa voglio”, ma – soprattutto – è essenziale ricordare che essa deve essere posta in positivo: chiedetevi che cosa volete, non che cosa non volete. La negazione è un’invenzione del lingua e funziona male nel cervello dell’essere umano.

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Che intendo dire con questo? Facciamo una prova. Se ora vi dicessi di non pensare a una Fiat Cinquecento, che cosa imma-ginereste subito? Chiaro, no? Pensate soltanto a quello che vo-lete, perché, se pensate a ciò che non desiderate, potete essere certi che vi arriverà.

Inoltre, fate attenzione soltanto a ciò che volete e non al pro-cesso attraverso il quale arrivarci. Per esempio, dire “Voglio dimagrire cinque chili” definisce un processo, mentre “Voglio pesare 75 chili” definisce il risultato desiderato.

Esercitatevi scrivendo quello che volete ottenere nel prossi-mo trimestre o nel prossimo anno. Scrivetelo bene, conserva-telo dove sia facile andare a rileggerlo e abituatevi a farlo spes-so. Ricordatevi di scrivere gli obiettivi quotidiani in un modo sempre misurabile, per poter capire se lo avete ottenuto. Per esempio, se l’obiettivo fosse “Voglio essere felice”, la domanda da porsi per renderlo misurabile è “Che cosa significa per me ‘essere felice’”; se l’obiettivo è “Voglio guadagnare di più”, la domanda sarebbe “Quanto, esattamente?”.

Scrivete cose che sono di vostra competenza, ossia che potete fare voi. Scrivere, per esempio, “Desidero che Lara mi inviti a pranzo” stabilisce un obiettivo per Lara, non per chi vuole andare a pranzo con lei. Pensate a quello che desiderate e che volete e, soprattutto, a ciò che potete fare per ottenerlo. Tutte le persone di successo pensano a ciò che desiderano e poi si mettono al lavoro per ottenerlo.

Desiderate obiettivi ambiziosi e non limitatevi a risultati sem-plici. Certo, dovranno sempre essere obiettivi raggiungibili, ep-pure ambiziosi. E ricordate di mettere una data, una scadenza per ottenere quel risultato, altrimenti sarebbe soltanto un sogno che si può lasciare nel cassetto.

Una volta definito ciò che volete, dovrete impegnarvi per ot-tenerlo, anche se – lo so – ci sono sempre tante cose da fare e molte non servono a raggiungere l’obiettivo. Ed è per questo che un’altra area in cui migliorare e sviluppare autodisciplina è la gestione del tempo e delle attività.

Un grande allenatore di football americano sosteneva che fal-lire la preparazione è prepararsi a fallire. Avere una bella lista di obiettivi dopo aver meditato è molto bello e, se progettare per ottenerli è necessario, pianificare bene è un’azione intelligente. Avere un piano vi farà risparmiare tempo e fatica, ma vi permet-

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terà anche di avere una guida in caso di incertezze e di distrazioni.Per avere un buon piano e un buon metodo di gestione del

tempo dovete scrivere. Scrivete tutte le cose da fare su una lista, per essere sicuri di non dimenticare nulla, e tenetela sempre con voi, in modo da poter aggiungere altre azioni da fare e, soprat-tutto, cancellare quelle già svolte o che deciderete di non voler far più. Dividete le voci della lista in cinque categorie:

• A, per le cose che dovete fare assolutamente;• B, per ciò che dovete fare;• C, per le azioni che vorreste svolgere ma che non è grave

ignorare;• D, per le azioni da delegare;• E, per quelle da eliminare.

Fatto questo, disponete le voci delle singole categorie in ordine di esecuzione (A1, A2, A3 e così via).

Questo metodo vi consentirà di disporre le azioni da svolgere in sequenza e in ordine di importanza. Eviterete così l’errore che molti fanno: mettere in esecuzione una lista rispettando ri-gidamente la successione delle voci che la compongono. Meglio ancora, eviterete di correre di qua e di là come matti per tutto il giorno, soltanto per arrivare alla sera esausti senza aver fatto tutto quello che avevate in elenco (il miglior modo per accu-mulare frustrazione). Il metodo ha, inoltre, il vantaggio di dare chiarezza alle vostre azioni: per esempio, lascerete da parte atti-vità del tipo C, ma non avrà importanza, dal momento che non sono fondamentali.

Per portare avanti la vostra agenda, dovrete avere disciplina nel coraggio, che è poi la capacità di fare ciò che mette paura. E il vero motivo per il quale evitiamo la maggior parte delle cose che non facciamo è proprio la paura. La più comune per tutti è quella di sbagliare o di non farcela o di non essere in grado di riuscirci oppure di non essere abbastanza… beh, qualsiasi cosa!

Ma questa è una paura meschina. È costantemente presente in noi, ma in qualche modo ci abituiamo a essa. Non ci blocca del tutto e si limita a frenarci, a limitarci. È una paura norma-le, che nel tempo aumenta a causa anche delle esperienze fatte nella vita. A scuola siamo puniti quando sbagliamo, un errore in pubblico è motivo d’imbarazzo, sentirsi dire di no è brutto;

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e allora cresciamo cercando di evitare l’errore e l’imbarazzo e, per riuscirci, evitiamo di rischiare. Eppure, Bruce McLaren, il fondatore della famosa scuderia automobilistica di Formula 1, diceva: “Nessun errore, nessun progresso”.

Intendiamoci, a nessuno piace sbagliare o fallire, ma senz’altro “evitare di” non è il modo giusto per fare le cose. Il coraggio è un’emozione da allenare e “avere coraggio” significa avere paura e, nonostante questo, decidere di crederci e agire. Se la paura può essere utile per prepararsi al peggio, per essere prudente e per cercare di evitare inutili azzardi, è il coraggio che aiuta gli esseri umani ad andare oltre i limiti che pensano di avere.

Il coraggio serve per affrontare le paure, quelle di tutti i gior-ni, da quella di dire no a quella di chiedere oppure di non sen-tirsi all’altezza della situazione.

Molti pensano che i bambini apprendano le lingue più veloce-mente perché hanno capacità che noi adulti non abbiamo più, ma in realtà imparano più velocemente perché non hanno paura di parlare, non hanno paura di sbagliare e di fare brutta figura. Quando imparano a parlare sono premiati, non per aver fatto bene, ma per aver tentato. Ora immaginate come sarebbe bello se foste premiati per aver provato: che cosa fareste? Ci provereste!

Nel tempo perdiamo alcune paure, come quella del buio, e ne conserviamo altre, come quella di sentirci in imbarazzo davanti alle altre persone. Non chiediamo, pur di evitare a tutti i costi di sentirci dire no, pur sapendo che, senza chiedere, la risposta è già un “No!” a tutti gli effetti.

Il mio consiglio è quindi quello di apprendere a superare le vostre paure, iniziando da quelle piccole. Ricordo la prima vol-ta che dovetti parlare di fronte a un pubblico. Era a un corso e avevo tanta paura. Ero nervosissimo e la notte non avevo dor-mito per ripassare tutto il contenuto della mia relazione. Avevo paura di fare brutta figura, ero insicuro e, probabilmente, a cau-sa di questi miei pensieri ero goffo e impacciato. Creavo così proprio ciò che volevo evitare.

Sono sicuro che in passato abbiate avuto paura di tante cose, che ora vi vengono istintive, dopo averle fatte e rifatte spes-so. Ognuno di noi deve combattere con le proprie paure. La domanda è: “Di che cosa avete paura voi?”. Potete iniziare a mettere alla prova il vostro coraggio con le paure più piccole; poi – quando il “muscolo” si sarà rafforzato – potrete affronta-

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re quelle che per troppo tempo vi hanno bloccato e che vi im-pediscono di avere la qualità di vita che desiderate e meritate.

La salute fisica è un’area estremamente importante, perché tutte le altre sono inutili se non siamo in salute. Vi consiglio di avere il coraggio di porvi l’obiettivo di vivere fino a 100 anni e di arrivare a quell’età sani e pieni d’energia.

Al giorno d’oggi vivere più a lungo è possibile e ci riescono persone senz’altro meno disciplinate di voi e con brutte abitu-dini, quindi potere sicuramente far meglio di loro. Come per qualsiasi altro obiettivo, la prima domanda da porsi è come sempre: “Che cosa voglio?” (risposta: “Vivere 100 anni”). Ed ecco la seconda e la terza domanda:

• Che cosa devo fare e che cosa voglio fare per raggiungere l’obiettivo dei 100 anni?

• Quali abitudini devo mantenere o assumere e quali devo eliminare?

Iniziate con il descrivere il risultato che cercate in modo moti-vante: in quali condizioni fisiche sarete? Quanto peserete? Che taglia porterete? Quale tonicità del corpo volete raggiungere? Come vi sentirete a essere più in forma?

Stendete anche una lista di tutto ciò che volete cambiare dal punto di vista del fisico. Forse non è soltanto una questione di età, ma anche di stili di vita, di abitudini alimentari e di poco movimento. Ci possono essere molti modi per cambiare, ma l’im-portante è focalizzarsi su ciò che volete. La chiave per essere sani e in forma è semplice e tutti la conoscono: mangiare di meno e mangiare bene e, naturalmente, fare più esercizio fisico. Lo sanno tutti e, probabilmente, anche voi. Gli studi lo dimostrano e le persone sane ne sono la prova: fare esercizio è uno dei segreti e la chiave è farlo tutti i giorni. L’ideale è alla mattina, non importa cosa fate, l’importante è farlo. Potete camminare, andare in bici o

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fare le scale invece di prendere l’ascensore oppure fare stretching. Non importa il “cosa”, conta farlo. Se la vostra mattinata inizierà con un po’ di movimento e di attività fisica, risveglierete il vostro corpo e lo metterete in condizione di bruciare calorie per tutto il giorno e di veicolare ossigeno in tutto il corpo.

Oltre ai vantaggi fisici, fare movimento alla mattina aiuta a sviluppare l’autodisciplina e insegna a fare ciò che è necessario indipendentemente dal fatto che ne abbiate voglia oppure no. Inoltre, come abbiamo già visto, vi darà la possibilità di avere un momento tutto per voi per pensare, per meditare e per ri-flettere, proprio all’inizio di giornata quando il corpo e cervello sono ossigenati per bene.

Quanto all’alimentazione, ci sono due modi per godere dei piacere della tavola, farlo per poco tempo perché avrete una vita corta oppure farlo per tanto tempo, avrete una vita molto lunga e in salute. Crearvi buone abitudini anche in questo vi permetterà di essere più sani e di avere più energia. È soltanto questione di abitudine: se avrete cura del vostro corpo, lui si prenderà cura di voi.

Il denaro rappresenta l’area del risparmio e degli investimenti e per molte persone, che passano la vita a preoccuparsi di come pagare le spese, può essere causa di forte stress. L’idea della po-vertà spaventa tutti e, quindi, dovrete assolutamente porvi degli obiettivi in quest’area della vita. Il vostro obiettivo più impor-tante deve essere quello di raggiungere la tranquillità economica, perché l’alternativa è vivere male, il che non è certamente bello.

Decidete oggi di cambiare il vostro rapporto con il denaro e di usare il vostro in modo più strategico. Il concetto che vor-rei condividere con voi è semplice e forse banale: è necessario spendere meno di quello che si guadagna, quindi risparmiare e investire il resto.

Nella sua banalità questa è forse la regola più infranta dalle persone, che la violano perché sono rimasti un po’ bambini. Ricordate la paghetta settimanale? Non vedevamo l’ora di rice-verla per spenderla tutta e questa associazione tra denaro e pia-cere immediato è rimasta nel tempo. Infatti, molti continuano a spendere tutto e subito per godersi la vita. Alcune persone non si accontentano e, anzi, spendono anche i soldi che non hanno. Finanziano i loro capricci, godono adesso e solo in seguito ri-flettono sugli effetti di questo comportamento.

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A parte il mutuo per la casa e il finanziamento dell’auto, dovreste davvero tenervi alla larga da altri debiti personali. Ovviamente, per un’azienda è diverso o quasi. Le persone ric-che non spendono, ecco perché sono ricche: guadagnano ma non spendono. Ci sono tanti esempi di personaggi dello spetta-colo che hanno guadagnato tantissimo e poi sono rimasti senza soldi. Perché? Perché hanno speso tutto.

È necessario che impariate ad associare il piacere non soltanto allo spendere denaro, ma anche al risparmiarlo. Pensate a lungo termine, pensate a domani, al dopo domani e al dopo domani ancora. Pensate a come vi sentirete nell’avere un cuscinetto di protezione per ogni eventualità o un gruzzoletto che vi assicu-rerà una vecchiaia serena.

Il modo per farlo è semplice: iniziate da oggi a risparmiare il 10% del vostro reddito e mettetelo da parte senza mai toccar-lo. Se la cosa funziona, aumentate la percentuale e continuate così per il resto della vostra vita. Mettere il denaro al sicuro ed evitare investimenti rischiosi: è questa la vostra assicurazione. Iniziate subito a risparmiare e abituatevi a rimandare le spese superflue e non il contrario.

Lavorare bene è un’altra attività che aiuta a ottenere risultati ec-cellenti. Molte persone raggiungono il successo nonostante non abbiano un’intelligenza superiore alla media oppure una parti-colare educazione scolastica o, ancora, una famiglia alle proprie spalle. Lo raggiungono lavorando molto e lavorando bene. La maggior parte degli imprenditori di successo fa proprio questo: sa che ci vuole tanto impegno per tanto tempo e ce la mette tutta.

La maggior parte delle persone arriva al posto di lavoro e non vede l’ora di tornare a casa. Conta i giorni che mancano alle prossime ferie o aspetta il weekend e, nel frattempo, cerca di fare il meno possibile. Thomas Jefferson, il terzo presidente de-gli Stati Uniti rispondeva a chi gli domandava se avesse avuto fortuna dicendo: “Sì, ci credo e ho scoperto che più lavoro e più ho fortuna”. La conclusione? Se volete aver successo, meglio che vi mettiate d’impegno e lavoriate, tanto e bene.

In Italia non ci sono ancora ricerche precise sul lavoro, ma le analisi che si riferiscono agli Stati Uniti indicano che il 50% del tempo lavorativo è speso in conversazioni inutili, in pause e in tem-po dedicato ad attività personali davanti al computer o leggendo giornali e così via. Anche qui c’è una piccola regola, che vale come

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le altre enunciate in questo capitolo, per creare le basi di un’impre-sa di successo e, soprattutto, di persone di successo: lavorate per tutto il tempo che siete al lavoro e sfruttate al massimo il tempo focalizzandovi su ciò che conta. Lasciate fuori tutte le distrazioni e massimizzate il vostro impegno. Imparate a non farvi distrarre nemmeno dalle persone con cui lavorate, che non hanno la vostra stessa disciplina e che tendono a portarvi “fuori” dai vostri piani.

Volete veramente massimizzare il vostro tempo? Lavorate quando gli altri non lo fanno, arrivate prima di loro e andate via dopo, oppure andate a magiare più tardi. In quei momenti ci sa-ranno poche interruzioni e farete un sacco di cose. Se per caso doveste distrarvi, nessun problema: l’importante e rendersene conto e continuare a restare focalizzati su ciò che è importante.

Se volete godervi la vita, assicuratevi di lavorare tanto e bene; dopo potrete godervi il vostro vero tempo libero. La domanda che dovreste porvi spesso è:

• Come posso sfruttare al massimo il mio tempo adesso?

L’apprendimento o, meglio, la crescita continua è un’altra area estremamente importante, perché se volete valere di più, dovre-te sapere di più e fare di più rispetto alle tante persone che spre-cano il proprio guardando la tv o ascoltando programmi inutili.

Virgilio diceva: “Dobbiamo coltivare il nostro giardino” e la mente è sicuramente quello più importante. Abituatevi a legge-re possibilmente tutti i giorni, anche soltanto per poco tempo, e abituatevi a farlo. Frequentate seminari di formazione e de-cidete di diventare migliori crescendo almeno un po’, anche di poco, ma tutti i giorni. Con il tempo il vostro valore crescerà e sarà riconosciuto, e la vostra vita sarà molto più bella.

Nei molti dei corsi che ho frequentato ho sempre imparato qualcosa di nuovo oppure ho ricordato cose che avevo dimenti-cato o, ancora, le ho viste da un altro punto di vista. Ho incon-trato persone interessanti che mi hanno cambiato la vita.

A volte basta una sola idea per migliorare la nostra vita. E dove andare a scovarla se non nelle risorse di conoscenza a no-stra disposizione?

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LEADERSHIP E CAPITALE UMANO

Viviamo in un mondo in continuo cambiamento e ciò che mi colpisce di più è il fatto che ci esistano troppe aziende con prodotti eccessivamente simili. Marcel Proust diceva: “L’unico vero viaggio di esplorazione non consiste nell’andare in posti nuovi, ma nell’avere altri occhi”. Allo stesso modo, è necessario che impariamo più ad apprendere che a sapere, perché il mon-do cambia e ciò che sappiamo non è detto che serva ancora.

È il concetto stesso di ciò che ha valore che sta cambiando. In un’impresa capitalista di vecchio stampo il capitale era il valore dei beni utilizzati per produrre ulteriore ricchezza. Un impian-to o un terreno era un capitale, perché ci si poteva costruire qualcosa sopra o affittarlo per creare ricchezza. I macchinari erano un capitale e nel bilancio il loro valore era presente in maniera chiara.

Nell’impresa di oggi, invece, il valore del capitale quotato in Borsa ha ormai poco o nulla a che fare con la nozione fisica o finanziaria di patrimonio contabile. Oggi per l’azienda non sus-siste più questa definizione, che è la semplice somma di tutti i beni. Prendete come esempio Google per comprendere il senso della mia affermazione. A oggi il suo valore di capitalizzazione stimato in Borsa supera i 100 miliardi di dollari, eppure sono convinto che se andassi alla sede centrale di Mountain View e mi facessi dare una lista di tutto quello che possiedono e som-massi i valori delle singole voci, – la sede centrale, i terreni, le filiali e i server, che immagino siano numerose macchine molto efficienti e tecnologicamente avanzate – probabilmente non ar-riverei a un totale nemmeno vicino a quei 100 miliardi di dollari. In realtà, Google è un’azienda che ha valore e che crea valore.

Molti tra i beni e i servizi che i consumatori domandano e valutano di più oggi sono il frutto dell’ingegno o del cuore dell’uomo, invece che il frutto del lavoro di una macchina o di una procedura.

Pensateci un attimo. A parte la casa, quali sono le cose a cui date più valore e che per voi valgono di più e quali sono i servizi più importanti? Se rifletto su questa domanda mi vengono in mente spontaneamente la scuola e i servizi sanitari. Per quanto riguarda la scuola, sono certamente sensibile al problema, dal momento che ho due figli ancora in pieno cammino formati-

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vo. Nel caso dei servizi sanitari attribuiamo – io e tutti gli altri, ne sono convinto – un valore rilevante all’essere curati bene, con efficacia e con professionalità. Ma da che cosa dipende il valore delle cure sanitarie? In modo non molto diverso dalla scuola – dove conta la preparazione dei docenti e la loro capa-cità di relazionarsi con gli allievi – sono molto importanti sia la capacità di diagnosi del singolo medico sia la sua empatia e la sua capacità di entrare in relazione con il paziente, ossia il suo interesse continuo. Se ci fate caso, chiunque di noi è attirato dal medico più bravo ovvero da quello che possiede simili caratte-ristiche. L’ospedale o il laboratorio in cui lavora questo medico bravissimo ha un valore tangibile rappresentato dai macchinari, dagli strumenti di analisi e dalle strutture, ma ciò che aumenta a dismisura quel valore è l’applicazione del capitale intellettuale del medico. Possiamo dire, quindi, che il capitale intellettuale applicato a un precedente valore lo aumenta a volte in modo estremamente rilevante. Semplice, no?

Nelle aziende che hanno già un loro valore in parte tangibile e in parte intangibile – come, per esempio, le relazioni con i clienti, le esperienze che fanno vivere ai loro clienti, la reputa-zione – questi elementi, sommati alla struttura e ai macchinari, possono far aumentare il valore dell’impresa.

Prendiamo, per esempio, le soluzioni informatiche applicate all’attività di un’azienda. Sono idee e procedure sviluppate da menti umane e sono per definizione intangibili, eppure pos-sono far crescere i risultati produttivi di un’impresa in modo rilevante. Provate a immaginare oggi un mondo non più inter-connesso, senza e-mail, senza social network e senza la possi-bilità di comunicare con chiunque in qualsiasi parte del mon-do. L’informatica, che è fatta di idee ed è, per definizione, un prodotto intellettuale dell’uomo e delle sue capacità di ragio-namento, aumenta in maniera enorme il valore dei processi e dei sistemi organizzativi nei quali si innesta. In altre parole, il successo di un’impresa e il suo valore sono legati sempre più alle capacità intellettuali di chi vi lavora.

Mi piace credere, e ciò è spesso confermato da diverse espe-rienze, che il valore di un’idea imprenditoriale è direttamen-te proporzionale alla qualità delle persone che la sposano. Liberamente tradotto, qualcuno potrebbe avere un’idea scon-tata, anche simile a quella che hanno avuto altri, ma se riusci-

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rà a sposarla a persone di qualità, diventerà una grande idea. Aggiungendo capitale intellettuale all’idea originaria riescono a fare la differenza.

Viceversa è possibile elaborare un’idea fantastica e creare un prodotto o servizio incredibile, ma l’idea varrà poco se non si riesce a farla sposare da persone di qualità. Spesso si legge di cause legali intentate da aziende per evitare l’assunzione da par-te della concorrenza di personale chiave o strategico in qual-che processo organizzativo rilevante, e questo avviene perché si presume che l’azienda perderà molto valore. Sì, certo, parliamo di grandi imprese, che tuttavia si rendono sempre più conto che il loro valore della loro azienda dipende da quello delle persone che lavorano per loro. Spesso le idee, l’ingegno, la creatività, la capacità organizzativa e il design, applicate a un valore esisten-te, lo incrementano moltissimo.

Il vecchio bene di consumo e di investimento o il servizio come entità unica e indifferenziata non esistono più. Sono diventati un aggregato complesso, il cui valore dipende sempre di più da aspetti intangibili. Ogni prodotto o servizio che vendiamo non è più una cosa sola, bensì un insieme di elementi diversi.

Tra i miei clienti ho avuto alcune aziende leader nella pro-duzione e distribuzione di caffè, che ormai non si limitano più a vendere soltanto il “chilo” di caffè ai bar. Offrono anche formazione e vendono il modo per curare i clienti, soluzioni finanziarie, nuove idee, consulenza d’arredo per migliorare l’immagine del locale e così via. Non vendono più una cosa soltanto ed esempi analoghi si possono trovare in altri settori in evoluzione. Ogni azienda è diventato un aggregato di tante competenze diverse.

Certo, la produzione del bene può essere ricercata a costi più efficienti sui mercati asiatici e la parte legata al servizio si scon-tra con le altre aziende che offrono il medesimo servizio, ragion per cui lo scontro avviene spesso sulla base del prezzo. Il costo del prodotto diventa, quindi, sempre meno legato al suo costo intrinseco e sempre di più a quello di aspetti intangibili come il design, il servizio, le consegne e il customer service. In pratica, sono questi elementi a determinare prima il valore percepito e poi quello del bene; in essi giocano il ruolo più importante le persone, l’organizzazione, la motivazione della rete vendita e di assistenza che creano relazione e qualità di servizio, in una

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parola la capacità di leggere i gusti delle persone e della socie-tà. Per esempio, nel settore automobilistico la maggior parte di ciò che crea valore è, robotica a parte, ideata e prodotta dalla mente umana.

Il capitale che fa la differenza è quindi il capitale immateriale che in ultima analisi dipende dal capitale umano. L’insieme di creativi-tà, di capacità, di conoscenze e di ingegno che appartiene all’essere umano è l’elemento che fa la differenza e l’accumulazione di que-sto capitale è oggi la principale fonte di crescita economica.

Certo, pensando a storie di successo del passato, vengono in mente molte storie di imprenditori che magari si sono indebi-tati per acquisire un macchinario o, addirittura, per un camion. Questi macchinari potevano fare la differenza perché altri non potevano permetterselo 30 o 40 anni fa e consentivano di lan-ciare l’impresa.

Oggi, però, comprare un camion non basta più. È necessario “comprare” le persone, perché senza capitale umano manca la principale fonte di crescita economica. L’Istat, in un rappor-to pubblicato nel 2014 e relativo al “Valore monetario dello stock di capitale umano in Italia”, ha certificato che lo stock di capitale umano ha un valore quasi 2,5 volte superiore al capi-tale fisico netto del nostro Paese e oltre otto volte superiore al Pil. È una stima che si basa su analisi complesse e, confrontan-do questi valori con altri Paesi, c’è da dire che non ne usciamo molto bene, ma questo è un altro discorso. Semplificando e riportando quei valori alle imprese, potremmo dire che nelle aziende di oggi la crescita del capitale umano spiega di gran lunga la loro produzione di reddito. Oggi una parte significati-va del reddito delle aziende dipende dalla crescita del capitale umano e, purtroppo, si dedica un tempo realmente limitato alla formazione dei collaboratori o alla ricerca di talenti per cambiare il volto delle imprese. Tenendo conto che la crescita del capitale umano determina la crescita della ricchezza, ri-spondete a queste domande:

• Che cosa ho fatto per la crescita del capitale umano della mia azienda?

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• Che cosa ho fatto per motivare le persone che lavorano per la mia azienda?

• Ho motivato qualcuno?

A questo punto, il Senior potrebbe replicare che 15 anni fa queste cose non servivano e che non era necessario motivare le persone e prestare attenzione ai punti che ho sottolineato fi-nora. L’azienda faceva comunque utili e riusciva a investire e a remunerare i proprietari con loro soddisfazione.

Non dobbiamo tuttavia dimenticare che, a partire probabil-mente da due decenni fa, abbiamo assistito a un paradosso. In passato i datori di lavoro disponevano dei mezzi di produzione, mentre oggi sono i dipendenti a possederli, poiché sono rappre-sentati proprio dalla loro conoscenza. Oggi i mezzi di produzio-ne sono in mano ai collaboratori che, in un certo senso, hanno quasi sfilato le aziende ai loro proprietari.

Michael Porter – economista e professore della Harvard Business School, nonché uno dei principali studiosi di stra-tegia aziendale – sostiene che la chiave o il punto essenziale di ogni strategia è rappresentata dalla cosiddetta unique value proposition. La proposta di valore unico di un’azienda do-vrebbe essere un’offerta di valore per la quale è l’impresa è unica, ossia essere qualcosa che fa lei e soltanto lei. In realtà, il discorso non si applica soltanto alle aziende ed è altrettanto valido per i collaboratori che, per “sopravvivere”, devono sa-per sviluppare proposte e idee uniche. Ormai non serve saper fare qualcosa un po’ meglio degli altri. L’idea è, quindi, che la vostra azienda non deve essere un po’ meglio o un po’ diver-sa dalle altre, deve essere unica, indipendentemente dalla sue piccole o grandi dimensioni

È però necessario comprendere che sono i collaboratori a possedere oggi la unique value pro position, perché sono loro ad aggiungere valore. L’esperienza offerta al cliente finale in termini di design e di relazioni è opera dei collaboratori, che

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fanno in modo che i prodotti dell’azienda siano riconosciuti dal mercato. I collaboratori creano l’innovazione perché sono loro a produrre capitale intangibile.

Non è necessario essere un biker per capire che il marchio Harley Davidson è stato creato dalle esperienze uniche di club sparsi nel mondo, che hanno contribuito a elevare il suo valo-re. Se un tempo è stato il lavoro del Senior a far crescere l’im-presa mettendo al centro il capitale tangibile, ora al centro c’è l’uomo. L’officina e lo stabilimento del secolo XXI sono nella testa dei vostri collaboratori. Certo, la produzione e la qualità rimangono aspetti importanti, ma il vero valore è generato dalle teste degli uomini. Lavorare in questo nuovo reparto significa mettere in campo idee, ingegno, conoscenza, relazioni, design, esperienza e motivazione. Se non apprenderete a lavorare su questi elementi, presto la vostra azienda non avrà più il valore di nuovo tipo che la società richiede oggi.

È necessario motivare le persone, formarle, “accenderle”, al-lenarle e incentivarle. E, per realizzare tutto questo, dovete la-vorare innanzitutto su voi stessi ed essere voi i primi a farvi cari-co di queste competenze. Tutto ciò richiederà una grande forza emozionale, perché sarete voi a dare il tono alla vostra azienda. Sarete voi ad arrivare “carichi” in modo da caricare l’azienda. Sarete voi a creare la prima esperienza o la prima spinta affinché i vostri collaboratore si mettano in azione.

In termini di gestione delle risorse umane, vale la pena a que-sto punto farvi riflettere ancora su alcune considerazioni che possono fornire validi consigli e strategie di governo per la vo-stra organizzazione.

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Autonomia: le persone non cambianosotto un’influenza esternaCollaborando in azienda, mi capita spesso di suggerire alle per-sone di comportarsi in maniera più organizzata e, con una o più sessioni di lavoro, spiego come organizzare il lavoro in manie-ra più efficace. Per esempio, quando mi incontro con la forza vendita, impongo di fare più visite per raggiungere il target del trimestre. Non dico che tutto ciò non serva a nulla, anzi, proba-bilmente un qualche tipo di utilità c’è, per quanto limitata e in-capace di spingere le persone al cambiamento. Si cambia esclu-sivamente grazie a microdecisioni autodeterminate, quando la persona decide in piena autonomia di migliorare e lo decide grazie a queste piccole scelte che prende nel corso della propria vita. Ne consegue che spingere i collaboratori a modificare le proprie abitudini ha una certa utilità, ma nel momento in cui questa pressione cessa tutto ritorna com’era prima.

Può esservi capitato di sentirvi dire che certe procedure pote-vano essere migliorate e, pur essendo d’accordo, di aver conti-nuato ad applicarle senza modificarle, fino a quando non è scat-tato un qualcosa che vi ha convinto a decidere di cambiarle. È l’individuo che deve decidere e, per farlo, ha bisogno di piccoli impulsi che possano cambiare il suo stato, ossia di consigli che possano stimolarlo a decidere e a modificare lo stato esistente delle cose. Questi impulsi si possono concretizzare in sessioni formative, in seminari o in workshop nei quali qualcuno ispiri i partecipanti e dia loro consigli da cui possano apprendere, per poter poi poter decidere. Tante piccole decisioni possono portare a un grande cambiamento.

Il compito di un leader non è, quindi, quello di bersagliare i propri collaboratori con ininterrotte filippiche, ma di creare intorno alle persone che gestisce una cultura, ossia un insieme di idee, di ambienti e di stati emotivi che porteranno i colla-boratori a confrontarsi tra loro e prendere decisioni. Leader è, pertanto, chi è in grado di creare intorno alle persone l’ambien-te e le condizioni affinché possano decidere.

In quest’ottica è importante, allora, il pieno apprezzamento del lavoro svolto, poiché genera uno stato emotivo che stimo-la il collaboratore a migliorare ulteriormente, ossia a prendere una piccola decisione positiva. Il fatto che il leader lo riconosca come persona e si renda conto che lui “c’è” crea nel collabo-

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ratore uno stato emotivo positivo e lo porta a fare scelte all’in-segna del cambiamento. In altre parole, fate sentire ai vostri collaborati che tenete a loro come individui.

Stephen Covey diceva: “Non mi interessa quello che dici fino a che non sento che tu ti interessi a me”. Nessuno di noi è ricettivo verso una qualsivoglia forma di persuasione, a meno che non senta prima che l’altra persona si interessa veramente a lui come persona.

Cultura aziendale: le idee predominanti in aziendaOgni azienda ha una cultura ovvero un insieme di idee che sono predominanti. Spesso questa cultura non coincide con quella del singolo. A volte è stata creata dalle idee del Senior e, a volte, è il patrimonio di idee presente nelle singole persone.

La cultura aziendale spesso è la vera colpevole quando qualco-sa non funziona in azienda: accanto a lacune individuali, esiste spesso una cultura radicata che rende accettabile tali negatività. Mi è capitato spesso di sentire dire dal Senior che l’azienda non è più capace di innovare e questo, in realtà, avviene perché nella cultura aziendale è radicata la chiusura totale al cambiamento.

Dovrete lottare un po’ per cambiare le idee che si sono ra-dicate nel tempo. Pensate soltanto alla “qualità” e a quante riunioni e quanta formazione sono servite per farla diventare “cultura” aziendale!

Non ci può essere cambiamento definitivo se una nuova cultu-ra non attecchisce e quindi, se desiderate modificare quella della vostra organizzazione, sarà necessario promuovere il confronto con il diverso ed essere pronti ad accettare e a superare gli errori. Dovrete incentivare i comportamenti che si sposano con la nuo-va cultura e dovrete sfruttare storie del passato dell’azienda, dal sapore quasi mitologico, per avvalorare le nuove scelte.

È molto utile anche l’inserimento in azienda di giovani pro-messe e talenti, per arrivare a un ringiovanimento culturale che stimoli portando punti di vista spesso radicalmente diversi.

Emozioni: la logica fa pensare, le emozioni fanno agireRimango sempre molto perplesso quando in azienda assisto a riunioni nelle quali vengono proiettati i risultati e, per esempio, il direttore vendite ricorda spesso il monte insoluti. In realtà, nella maggior parte dei casi sono tutte informazioni già note ai diretti interessati.

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I collaboratori sanno già che devono essere più organizzati e più precisi e anche noi stessi sappiamo di dover migliorare le cose e ci stiamo pensando da molto tempo. Allora perché non agiamo? Non lo facciamo perché non è ancora scoppiata in noi un’emozione.

Sono convinto che molti dei cambiamenti più importanti del-la vostra vita siano avvenuti a seguito di un cambiamento, ma di tipo emotivo. Le emozioni sono fondamentali, perché sono loro a stimolarci all’azione.

Scopo: lo scopo e le sfideIncontrare qualcuno e sentirlo dire che sta osando qualcosa mai tentata prima ha il potere di “accenderci”. In modo analogo, il vostro scopo e le vostre sfide coinvolgeranno e accenderanno i vostri collaboratori.

Valori: i valori emozionanoSono le piccole cose a fare una grande differenza. I valori emo-zionano e muovono montagne. Per esempio, dire che “la perso-na è al centro di tutto” emoziona. Il design o la funzionalità dei prodotti sono dei valori importanti.

I valori emozionano ed è importante non limitarsi soltanto a parlarne. È necessario che ci impegniamo a essere esempi di quei valori, perché questo è il solo modo attraverso il quale pos-sono essere acquisiti.

Etica: la contemplazione dei valoriL’etica è importante perché la motivazione personale nasce dal-la contemplazione dei valori. Quando agite sulla base dei valori siete più motivati. Quando agite sulla base dell’amicizia, dell’af-fetto, della lealtà, del mantener fede alle promesse e dell’educa-zione, siete molto più motivati.

Ambiente: allegro e positivoLe esperienze, le relazioni, l’innovazione avvengono in un am-biente allegro e positivo.

I grandi leader sanno fare in modo che i propri collaboratori li seguano con orgoglio, ma – affinché ciò avvenga – occorrono due motivazioni.

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La prima è legata alla grandezza e, quindi, all’attrattiva del sogno del leader, perché ci sentiamo spontaneamente attratti da quelle persone che hanno grandi sogni. Ci sono diversi casi che potremmo ricordare: per esempio, Federico Grom – che ha creato un’azienda con il sogno di produrre il gelato migliore senza ricorrere a coloranti, aromi, conservanti ed emulsionanti – oppure Steve Jobs, con il suo desiderio di trasformare diversi settori del business, dall’informatica alla musica e alla telefonia.

Ciò che nessuno ha mai fatto prima è un qualcosa che emozio-na, che stimola, che unisce. Se pensiamo a ciò che nessuno ha mai pensato, prima o poi forse riusciremo a realizzarlo. Tutti noi accettiamo scommesse e, proprio a causa della nostra natura, vo-gliamo scommettere su ciò che è irrazionale. Possiamo attirare a noi persone dalla visione “profetica” proprio per questo, perché il pensiero rivoluzionario attrae molti talenti e infinite risorse.

Il politico e imprenditore Rudolph “Rudy” Giuliani afferma che il leader è la persona che sa qual è l’uscita quando la casa va a fuoco, il leader è quello che dice che sa qual è il futuro.

La seconda motivazione è nel fatto che un leader vive in base a determinati valori. Lo scopo è l’aspetto più importante e – almeno a giudicare da diversi Senior che ho conosciuto, molto abili nell’“accendere” gli altri – il vero leader è di solito una persona che ha un alto senso etico. Con ciò intendo dire che ha alcune idee di fondo sulle persone e sui rapporti con gli altri che raramente accetta di violare.

Un valore è una caratteristica, una qualità che dà pregio a una persona. Se prendessi me come esempio, potrei affermare che sono concreto, che preparo ottime presentazioni, che mi circondo di validi collaboratori, che riesco ad aiutare le impre-se a migliorare le loro prestazioni e, soprattutto, che sono una persona onesta e leale. Probabilmente, nella mia vita ho fatto numerosi errori ma questi valori sono per me imprescindibili. Se agissi senza rispettarli, dopo un po’ finirei con lo snaturare me stesso. Ed ecco le domande che dovreste porvi:

• Quali sono le cose che ritengo veramente importanti nella vita?

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• Quali sono le cose che ritengo veramente importanti nel lavoro?

Queste domande vi aiuteranno a mettere a fuoco ciò che vi de-finisce, quasi come una specie di “carta costituzionale” di voi stessi. Andare contro i vostri valori equivarrà a indebolire la vostra autostima e l’efficacia con la quale agite.

Jeffrey R. Immelt, l’attuale amministratore delegato della General Electric Company, sostiene che, per guadagnarsi la fiducia degli altri, è necessario avere valori. In effetti, i valori hanno a che fare con la coerenza personale, ci danno un forte senso di chi siamo, in che cosa crediamo e della squadra in cui giochiamo. Anche se creaste un grande impero finanziario, ma non aveste il tempo per parlare con le persone, a cosa servireb-be esserci riusciti?

I valori definiscono chi siamo e costituiscono anche la base dell’etica del gruppo, nel quale è necessario impegnare del tem-po per stabilire quali sono le cose realmente importanti in cui si crede. Senza valori condivisi un gruppo non può esistere.

Esistono tante, fin troppe, regole e, quando dobbiamo sta-bilirne un gran numero, significa che abbiamo fatto un lavoro mediocre in quanto a semina dei valori. Chi va contro i valori deve essere emarginato, perché snatura il legame di coesione del gruppo. Un uomo che non lotti per i valori non è nemmeno degno di questo nome uomo, perché sono valori a risvegliare il grande uomo che è in ognuno di noi. Quando parliamo di temi come quello della libertà o dell’uomo messo al centro di ogni cosa, tutti si emozionano. I valori sono una questione più di pancia che razionale.

Parlare e portare dei valori in azienda non dà risultati eco-nomici nel breve, ma diventa un qualcosa che cambia l’impre-sa nel profondo. I valori ci rappresentano e il solo tentativo di violarli negherebbe la nostra stessa esistenza. I buoni leader ci fanno essere uomini migliori proprio perché ci aiutano a defi-nire dei valori. Un gruppo che è nato attorno a una persona (il Senior) che ha proposto dei valori, che ora, magari, sono stati dimenticati, può riscoprirli attraverso il Junior, che a sua volta

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potrebbe crearne di nuovi. È sempre andata così: a partire dal-la Dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane fino alla Costituzione italiana, possiamo trovare tantissimi valori che definiscono il modo in cui uno Stato dovrebbe funzionare, e da un pugno di valori sono nate due delle economie più importanti nel mondo occidentale.

Seguendo i valori, scateniamo in noi emozioni positive e, ar-mati di esse, ci mettiamo in azione. Tutti abbiamo bisogno di emozioni, tutti abbiamo bisogno di percepire quel particola-re battito di cuore che ci fa sentire invincibili. Ponetevi adesso queste domande:

• Chi sono? Che tipo di persona sono?

• Che cosa voglio realizzare?

INNOVAZIONE

Nel Capitolo 1 ho cercato di farvi riflettere sul significato di in-novazione e, soprattutto, sull’innovazione del concetto di busi-ness, la chiave attraverso la quale creare nuova ricchezza ovvero salvaguardare il futuro della vostra organizzazione.

Per diventare rivoluzionari dell’industria, voi Junior dovre-te sviluppare una capacità istintiva nell’analizzare un modello di business preso nella sua globalità. Se la vostra azienda è di successo, vuol dire che il Senior è riuscito a intervenire in una o in diverse delle componenti che descriverò di seguito e sulle quali mi piacerebbe che vi fosse un confronto sereno e costruttivo.

Vi sono molti modi per descrivere le componenti di un mo-dello di business. Per esempio, il modello di business ripreso da Hamel comprende alcune componenti principali, schematizza-te qui di seguito:

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Il nucleo strategicoÈ la prima componente del concetto di business, composto dai seguenti elementi:

• missione;• scopo del prodotto;• differenziazione.

La missione individua l’obiettivo complessivo della strategia e implica la direzione in cui si sta andando. Una modifica alla missione non implica necessariamente un’innovazione del con-cetto alla base del business. Spesso tuttavia, una nuova missione può portare a un’innovazione del concetto di business.

Un esempio utile per comprendere può essere rappresentato da Sephora, che ha trasformato la sua missione, diventando da semplice fornitore di prodotti cosmetici un creatore di espe-rienza nella cosmesi. Ponetevi queste domande:

• Quale è la nostra missione aziendale?

• Che tipo di azienda stiamo diventando?

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• Qual è il nostro sogno?

• Che differenza vogliamo generare per i nostri clienti?

• La nostra missione continua a essere rilevante per i nostri clienti?

• Riusciamo a differenziarci dalla concorrenza?

Con scopo del prodotto intendiamo, invece, dove l’impresa compete in termini di clientela, località geografica o servizi. Dove e come portiamo il nostro prodotto sul mercato è un ele-mento per il quale si potrebbero prendere in considerazione elementi d’innovazione.

Un ottimo esempio può essere Amazon, che ha iniziato la propria attività come libreria online, ma che ora offre realmente di tutto sulla base del rapporto di fiducia che ha costruito con i clienti e della facilità di utilizzo della sua piattaforma tecnologi-ca e logistica. Ponetevi queste domande:

• Potremmo ampliare la nostra offerta per soddisfare i biso-gni dei nostri clienti?

• Esistono consumatori trascurati dai nostri competitor?

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• Potremmo incrementare le funzioni d’uso del nostro pro-dotto?

La differenziazione è il modo in cui l’impresa riesce a essere re-almente differente rispetto ai suoi competitor. Un ottimo esem-pio è rappresentato da Apple, che è riuscita a differenziarsi dal-la concorrenza grazie a un senso estetico realmente distintivo e in grado di far percepire il dispositivo tecnologico come ogget-to di design. Ponetevi queste domande:

• Come si sono differenziati i nostri rivali?

• Esistono dimensioni di differenziazione che potremmo esplorare?

• In quali aspetti del prodotto e del servizio la differenzia-zione è minore?

• Abbiamo esplorato ogni elemento del modello di business per comprendere se e come possiamo differenziarlo?

Risorse strategiche/distintiveEsse comprendono:

• le competenze distintive;• gli asset strategici;

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• i processi chiave.

Per competenze distintive s’intendono quelle attività dell’azien-da che hanno caratteristiche di unicità. In Italia abbiamo diver-si esempi che ci possono aiutare a comprendere questo aspet-to. Se pensiamo a esempi come Bottega Veneta o Cucinelli, è subito evidente quali abilità distintive possano aver portato queste aziende a essere così desiderate e ricercate. Ponetevi queste domande:

• Quali sono le nostre competenze distintive?

• Di ciò che sappiamo, che cosa ci rende un’azienda unica e di valore per i nostri clienti?

• Quali benefici potremmo trasferire alla nostra clientela?

• Ci sono settori nei quali le nostre competenze potrebbero fare la differenza?

• Ci sono competenze di cui al momento non disponiamo, ma che potrebbero aiutarci a creare una discontinuità ri-spetto ai nostri rivali?

Con asset strategici s’intende tutto ciò che l’azienda possiede in ter-mini sia tangibili (infrastrutture) sia intangibili (marchi, brevetti,

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conoscenze, dati sulla clientela). Poste Italiane può essere un buon esempio per comprendere l’uso delle infrastrutture a supporto di un cambiamento del modello di business. Sfruttando la capillarità della rete di sportelli, Poste Italiane ha introdotto, oltre a quelli postali, nuovi servizi bancari. Ponetevi queste domande:

• Quali sono i nostri asset strategici?

• Abbiamo asset intangibili dei quali non siamo ancora con-sapevoli?

• Potremmo sfruttarli per offrire nuovo valore alla clientela?

• Potremmo ipotizzare un nuovo modello grazie a tali asset?

Identifichiamo come processi chiave quelle attività che si svol-gono all’interno dell’organizzazione. Reinventare un processo può diventare la base per un’innovazione della concezione del business. L’esempio più evidente è forse rappresentato dalla Dell Inc., che ha rivoluzionato il modo di vendere pc alle aziende e ai singoli consentendo di configurare ogni singola fornitura in auto-nomia su Internet. Affiancando a questo sistema un approccio di lean management, è stato possibile semplificare e, in alcuni casi, ridefinire intere catene produttive. Ponetevi queste domande:

• Quali sono i processi più critici della nostra organizzazione?

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• Quali processi generano più valore?

• Quali processi sono unici rispetto a quelli della concorrenza?

• Siamo in grado di immaginare un processo totalmente dif-ferente?

• Esistono processi che potremmo esportare in altri settori generando valore?

Interfaccia con la clientelaInclude quattro elementi:

• acquisizione ordini e customer service;• supporto informativo;• relazioni;• struttura del prezzo.

S’intende come acquisizione ordini e customer service il modo concreto con cui l’azienda raggiunge la clientela in termini sia di offerta di prodotto sia di servizio. Per esempio, grazie a Internet abbiamo assistito in questi ultimi anni a una rivoluzione in alcu-ni canali distributivi, come nel caso dell’elettronica di consumo, dei viaggi e dei libri. Ponetevi queste domande:

• Come raggiungiamo la clientela?

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• Con quale esperienza si confronta il nostro cliente?

• Il sistema di acquisizione ordini è pensato più per noi o per il cliente?

• È possibile semplificare il processo di acquisizione ordini?

• Come potrebbe cambiare il processo, se ci mettessimo dal-la parte del cliente?

• Possiamo offrire al cliente informazioni utili e veritiere sul nostro prodotto?

• Il processo è realmente snello rispetto alle esigenze dei no-stri clienti?

Il supporto informativo è rappresentato da tutte le conoscenze raccolte e utilizzate per migliorare il rapporto con il cliente, in termini sia di sviluppo di nuove proposte sia di informazioni utili per la clientela a supporto della conoscenza del prodotto.

Alcuni esempi nel campo delle assicurazioni possono far su-bito comprendere il valore di queste conoscenze. Basti pensare a quei siti web che, rispetto al passato, consentono di conoscere i dettagli di alcune polizze assicurative e di confrontarle tra loro

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e che, allo stesso tempo, offrono al cliente la possibilità di rac-cogliere informazioni in base alle proprie esigenze in termini di copertura o di servizi accessori. Ponetevi queste domande:

• Che cosa sappiamo dei nostri acquirenti?

• Cosa stiamo facendo per conoscere i loro reali bisogni o le loro esigenze?

• Diamo loro le informazioni necessarie affinché possano prendere una corretta decisione?

• Quali informazioni aggiuntive vorrebbero avere?

Le relazioni sono, invece, le modalità con cui si entra in rapporto con la clientela all’interno del modello. L’esempio più significativo è certamente rappresentato dalla Harley Davidson. Ogni cliente che compra una Harley entra a far parte di una comunità unica, nella quale esiste un senso di appartenenza che è difficile trovare nella concorrenza o in altri settori. Ponetevi queste domande:

• Che tipo di relazione abbiamo con i nostri clienti?

• Come interagiscono con noi?

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• Come ascoltiamo i nostri clienti?

• Che tipo di emozioni vivono i nostri clienti quando intera-giscono con noi?

• Possiamo immaginare nuove esperienze di relazione nei loro confronti?

• Come possiamo superare le aspettative dei clienti?

La struttura del prezzo riguarda il come e il quanto far pagare un prodotto o un servizio.

La creatività dimostrata nel mondo delle telecomunicazioni può dare una prima idea di quanto un modello possa essere ri-elaborato. Se pensiamo al mondo della musica, fino a qualche tempo fa era inimmaginabile poter acquistare una sola can-zone invece di un cd completo. Il pay per use non è soltanto una pratica adottata in questi ultimi anni di cloud computing, ma è diventato un modello di normale uso in settori legati a impianti o a macchinari complessi che possono essere remu-nerati addirittura grazie alla capacità di generare profitto del cliente.

Ponetevi queste domande:

• Per che cosa ci facciamo pagare?

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• Quali sono le modalità di pagamento prevalenti nel nostro settore?

• Possiamo modificarle?

• Sappiamo che cosa i nostri clienti pensano di pagare?

• È possibile allineare il valore della vostra offerta a quello percepito?

• Possiamo cambiare l’attuale situazione?

• Ci sono modelli in altri settori che potrebbero essere ap-plicati al nostro?

Rete di valoreDi solito s’intende come rete di valore quegli elementi fuori dal controllo diretto dell’azienda ovvero:

• i fornitori;• i partner;• le reti di imprese.

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I fornitori si collocano a monte della catena del valore e spesso sfugge il semplice fatto che rapporti privilegiati possono configu-rarsi come elemento di un nuovo modello di business. Ci sono molti esempi nel mondo dell’elettronica, nel quale si sono otte-nuti miglioramenti radicali sia nel prodotto sia nel capitale circo-lante. Per produrre gli schermi dei suoi iPhone e iPad, la Apple ho trovato il partner ideale in un fornitore di vetro antigraffio, insieme al quale ha sviluppato la tecnologia che oggi conosciamo. La Intel ha rappresentato il partner ideale per molti produttori di pc, che hanno fatto evolvere l’intero settore. Anche in settori più tradizionali, i fornitori di accessori o di componenti collaborano sin dalle prime fasi per identificare insieme all’azienda la soluzio-ne più idonea. Ponetevi queste domande:

• Come stiamo utilizzando i nostri fornitori e con quale gra-do di efficacia?

• Sono parte integrante del nostro modello di business?

• Abbiamo vantaggi competitivi in termini di velocità di ser-vizio, di riduzione del magazzino o di coprogettazione?

• In quale misura i nostri obiettivi sono allineati a quelli dei nostri fornitori?

I partner possono fornire soluzioni critiche a problemi del pro-dotto o essere parte integrante della catena di valore. Gli esempi

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più facili da comprendere sono quelli che si possono notare nel settore del software. Si pensi, per esempio, a sviluppatori di solu-zioni verticali, che hanno aiutato nella diffusione di Erp internazio-nali, spesso carenti nella risposte a specifiche esigenze di settore o di Paesi con caratteristiche peculiari come quelle dell’Italia. È da prendere in considerazione anche il modello di franchising, che ha aiutato la distribuzione e la presenza diffusa di marchi che oggi hanno assunto una primaria importanza a livello internazionale. Ponetevi queste domande:

• Quali opportunità potremmo cogliere mettendo in comu-ne le nostre competenze e i nostri asset con altre aziende?

• Quali sinergie potremmo realizzare insieme a eventuali partner?

• Potremmo ottenere una maggior flessibilità?

• Potremmo migliorare la nostra offerta?

Le reti di impresa sono spesso la risposta all’esigenza di creare alleanze tra concorrenti o a quella di creare collaborazioni tra imprese. A oggi in Italia si sono costituite oltre 1.600 reti che coinvolgono oltre 8.000 imprese. Ponetevi queste domande:

• Possiamo immaginare collaborazioni con altre imprese per affrontare nuovi mercati o per creare nuovi servizi?

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• Possiamo convincere altre imprese a lottare per una causa comune?

• Possiamo costituire una rete per sviluppare un progetto particolarmente rischioso?

· Possiamo allearci per affrontare insieme un competitor straniero dotato di maggiori risorse o di maggior compe-tenza?

Fino a qui abbiamo descritto le caratteristiche per aiutarvi a ri-pensare il vostro modello di business, allo scopo di farvi ripensa-re la vostra organizzazione in un momento di passaggio genera-zionale. È un esercizio che consiglio, sia al Senior sia al Junior, di svolgere insieme a un manager esperto e di fiducia dell’azienda organizzazione o, se si preferisce, insieme a un coach esterno. Le domande vi aiuteranno a chiarire molti aspetti e ad allineare il vostro pensiero rispetto alle soluzioni più appropriate.

La grande esperienza del Senior, unita alla genuina apertura mentale del Junior, potranno produrre due risultati: un’auten-tica e positiva riflessione sul futuro dell’azienda e un rafforza-mento della relazione tra le due parti.

Per completare questa parte del lavoro, non resta che ana-lizzare alcuni fattori che determineranno il successo del nuovo modello di business. Mi riferisco in particolare a:

• efficienza;• unicità;• coerenza.

Il significato dell’efficienza è facilmente comprensibile, se pensiamo al valore percepito dal cliente, che deve essere, meglio se di gran

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lunga, maggiore rispetto al costo sostenuto per realizzarlo. In un settore in forte crisi come quello dei trasporti aerei – e con esempi nazionali non certo illuminanti – Ryanair continua a offrire da anni servizi competitivi con margini e risultati estremamente positivi, dopo aver ottimizzato alcuni processi chiave e, soprattutto, dopo aver rivisto i tempi di atterraggio e di ripartenza degli aerei per migliorare lo sfruttamento degli asset. Ponetevi queste domande:

• Qual è il valore percepito dai nostri consumatori?

• È possibile identificare le categorie di costo che dovranno realizzare e sostenere il nostro nuovo modello di business?

Lo scopo, come abbiamo visto, è creare un modello di business unico, affinché sia possibile spuntare profitti superiori, che non offrano termini di paragone con quelli dei rivali.

L’unicità non deve essere intesa come fine a se stessa: l’idea è quella di produrre profitto e, per farlo, l’azienda deve apparire unica agli occhi dei consumatori. Ponetevi queste domande:

• In quale misura il nostro modello di business si allontana dalle attuali proposte dei competitor?

• Quali sono le differenze?

• Quali benefici potrebbero apportare queste differenze?

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La coerenza è forse l’aspetto più rilevante a garanzia del succes-so di un nuovo modello di business. Un business genera infatti profitto quando i suoi elementi si sostengono reciprocamente ovvero quando tutte le parti collaborano in vista dello stesso risultato. Ponetevi queste domande

• Gli elementi del nostro modello si rinforzano reciproca-mente?

• Ci sono elementi in contrasto?

• C’è qualche cosa che agli occhi del cliente può apparire come un’anomalia?

Sono convinto che questo esercizio vi aiuterà a identificare il futuro della vostra organizzazione. Soprattutto, potrete sfuggi-re dalla stretta esercitata giorno per giorno dall’attuale modello esistente. Un modello di business di successo crea le basi per diventare un punto di riferimento nel mercato.

Certo, all’inizio è soltanto un esercizio intellettuale, ma per rivoluzionari che devono ridefinire e reimmaginare il proprio futuro, proprio come hanno fatto un tempo i Senior. La grande occasione per voi Junior è quella di poterlo fare affiancati da qualcuno che ha già affrontato questo passaggio prima di voi e lo ha fatto con successo.

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Capitolo 3COSTRUIRE

Questo grafico ripreso dal Kit.Brunello.System rappresenta bene le dinamiche ideali del passaggio generazionale. Lo ab-biamo già detto più volte: è necessario “prendersi del tempo”. Da un punto di vista fisiologico è meglio ipotizzare un percorso che duri almeno otto anni e il momento giusto per affrontare il passaggio è quando i Senior sono nel pieno delle loro facoltà e mentalmente lucidi. Meglio iniziare a pensarci dopo i 50 anni, per poter arrivare a rilassarsi intorno ai 60 anni. E, indovinate: ogni volta che faccio questa affermazione vedo il terrore negli occhi del mio interlocutore.

Proprio nei giorni in cui stavo lavorando a questo libro e pensavo di inserirci il racconto di un passaggio generaziona-le di successo, mi sono imbattuto nella storia di un grande “vecchio”, che conferma il senso del titolo del libro. Questo imprenditore milanese aveva deciso, anni fa, di affidare la pro-pria azienda a un giovane e brillante manager con un’ottima

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esperienza di internazionalizzazione. “Bene”, pensai, “pro-prio il tipo di storia di successo che voglio raccontare”.

In effetti, il nostro imprenditore – Leonardo Del Vecchio – lasciò le redini della Luxottica all’allora trentanovenne Andrea Guerra per dieci anni, fin dal primo giorno dell’ingresso in azien-da del giovane manager. Non soltanto, lasciò anche l’ufficio nel quale abitualmente affrontava e viveva l’evoluzione dell’azienda affermando che, se fosse rimasto un solo momento in più, avreb-be delegittimato il lavoro del nuovo amministratore delegato.

Un esempio da seguire? Certo, almeno fino a qualche tempo fa. Possono chiamarle “divergenze” oppure “visioni diverse”, ma la realtà è che in questo caso, il Senior ha deciso di non molla-re e di ritornare a gestire di nuovo l’impresa, se consideriamo che dopo l’uscita di Guerra da Luxottica sui giornali si è parlato di una possibile gestione a tre punte, con due manager di lunga esperienza e dal lungo passato all’interno dell’organizzazione per affiancare il Senior.

Il fatto è che in dieci anni il fatturato di Luxottica è raddoppia-to e, probabilmente, ciò è avvenuto anche grazie al Ceo. Certo, tutti i matrimoni possono finire e le incomprensioni o, in effetti, le diverse visioni possono portare a una separazione. Tuttavia, il modello scelto dieci anni fa – l’aver affidato a un manager la gui-da dell’impresa, poiché non era stato individuato all’interno della famiglia un possibile erede – si è rivelato la strada più opportuna.

Il voler ritornare in pista oggi sembra, allora, confermare l’a-spetto più critico di ogni passaggio generazionale, ossia il fat-to che l’impresa diventa nel tempo parte del Senior. Staccarsi dall’organizzazione, che ha rappresentato per tanto tempo il solo elemento su cui concentrare i propri pensieri e la propria atten-zione, è difficile. L’impresa diventa un’entità in grado di riempire le giornate, ma anche i sogni notturni e ogni momento della vita il Senior è in simbiosi con essa, ragion per cui rinunciare a dedicarle queste attenzioni diventa quasi un tradimento. E consegnare la cosa più importante in mano a un terzo è rinunciare all’attenzio-ne con cui ogni azione è stata guidata fino a quel momento.

Cerco di immaginare la sofferenza di quell’uomo per tutti quei dieci anni, nel vedere la propria creatura in mano a un terzo. Certo, le cose sono andate bene, ma dopo un decennio potranno proseguire in modo altrettanto positivo in un mondo che cambia così velocemente? La sensazione è che è stata la

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preoccupazione del “padre” a riemergere e che un confronto sereno sul futuro probabilmente non è nemmeno iniziato. Il desiderio di riprendere il controllo da una parte e, dall’altra, la volontà di essere il più autonomo possibile sulle scelte per il futuro hanno rotto un legame durato due lustri, dimostrando che l’attenzione alla propria “creatura” non finisce, ma anzi ri-emerge e riemergerà sempre al termine di ogni ciclo virtuoso.

Che cosa possiamo apprendere da questa storia? La lezione più rilevante è che il tempo non cancella la passione del Senior per la propria creatura e che il ruolo del consigliere, come ab-biamo visto nel grafico all’inizio del capitolo, spesso non gratifi-ca a sufficienza il vecchio leader. In questo caso è probabilmen-te mancata la coesione tra il Senior e il Junior che in questo caso si può identificare in Andrea Guerra, anche se non si tratta un familiare. È questo è l’aspetto più rilevante dal quale partire.

La coesione e la ricerca di questo elemento tra Senior e Junior è infatti l’aspetto che deve guidare il passaggio generazionale. È l’“ingrediente magico” che non deve mai mancare. Ritorneremo più avanti su alcuni di questi aspetti, ma, per dare una continuità a quanto abbiamo visto nel primo e nel secondo capitolo, vorrei nel frattempo proporvi certe strategie che toccano la leadership e che spingono a seguire l’innovazione. A seguire, vi proporrò altre strategie più pratiche per arrivare a un passaggio di successo.

Ancora una volta, si tratta di spunti di riflessione utili sia per il Senior sia per il Junior per riflettere sul proprio ruolo e per avere un futuro di successo.

LEADERSHIP

Esistono molti libri che trattano la leadership in maniera estesa e molto più autorevole della me. Nel Capitolo 1 ho dato alcune definizioni, mentre nel secondo mi sono concentrato sugli ele-menti che la compongono. Ora affronterò l’aspetto dell’agire, soffermandomi sulle azioni concrete che possono stimolare il “fare” (ossia, il costruire).

Ho ricavato gli spunti che ritengo più utili dalla lettura delle biografie scritte dal giornalista e scrittore Walter Isaacson, del quale vi segnalo quelle di Albert Einstein e, a seguire, di Steve Jobs (tradotta e pubblicata da Mondadori nel 2011). Una ri-

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lettura della vita del fondatore della Apple offre, in effetti, diversi elementi che possono essere concretamente utili a ogni leader che vuole costruire e rafforzare la propria leadership.

FocalizzazioneNel 1997 Jobs tornò alla guida della Apple, che aveva lasciato nel 1986 a causa dei contrasti con l’allora Ceo John Sculley. In quel momento l’azienda vendeva diverse versioni dei Mac in modo quasi casuale assieme ad altre periferiche. Dopo alcune riunioni, durante l’ennesimo incontro di revisione del portafo-glio prodotti, Jobs prese un pennarello e disegnò una matrice a due righe e a due colonne. Nelle colonne evidenziò due tipolo-gie di cliente identificato come “consumatore” e “professiona-le”. Sulle righe riportò “desktop” e “portatile”. In questo modo definì, di fatto, le quattro tipologie di prodotto sulle quali l’a-zienda avrebbe dovuto concentrare l’attenzione e ogni sviluppo successivo. Questa focalizzazione salvò Apple dalla crisi.

In seguito e periodicamente Jobs avrebbe continuato a in-contrarsi con i propri collaboratori, per sviluppare le succes-sive azioni da intraprendere. Il metodo utilizzato era di solito quello di compilare una lista delle dieci cose ritenute rilevanti dal team. Al termine della discussione Jobs ne eliminava sette e invitava i propri manager a concentrarsi al massimo su tre.

Se consideriamo il successo ottenuta da Apple, forse è un me-todo da seguire. Concentrare l’attenzione su poche cose ritenu-te utili per il successo dell’azienda è una lezione da interpretare: a volte è complicato, perché si pensa di poter ottenere maggiori risultati, ma in realtà sono molte i casi di aziende che, dopo essersi focalizzati sullo scopo e sugli obiettivi, hanno ottenuto risultati davvero positivi. Ponetevi queste domande:

• Quali obiettivi sono realmente importanti per la nostra or-ganizzazione?

• Siamo concentrati sugli obiettivi realmente importanti?

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• Siamo focalizzati sui primi obiettivi della lista?

SemplificazioneSono sicuro che molti di voi hanno all’interno della propria ap-plicazione di videoscrittura funzioni inutilizzate, che non hanno mai impiegato e che, probabilmente, non useranno mai. Di più, si sa che a un responsabile della Microsoft è stato chiesto se esista qualcuno all’interno della società in grado di conoscere tutte le funzioni di cui è dotato il programma Word. Secondo voi, quale è stata la risposta?

Da questo punto di vista, l’esperienza con la Apple, della quale riconosco di essere diventato con il tempo un amante, è illuminante. Sia le applicazioni sia lo sviluppo di ogni soluzione sono pensate per rendere semplice e lineare il lavoro, tanto in termini di prodotto quanto in quelli di soluzioni. Dal mio punto di vista questa attenzione maniacale alla semplificazione, unita alla focalizzazione, è estremamente utile e fondamentale per ri-durre ogni complessità.

Attenzione: la semplificazione richiede di andare in profon-dità alle cose e, per questo motivo, è un processo estremamen-te delicato perché, per ottenerla, spesso è necessario ripensare le cose in modo analitico. Riferita alla vostra azienda, la lezione di Jobs non impatterà soltanto sul prodotto ma anche sui pro-cessi interni e su quelli legati al customer care. Ponetevi queste domande:

• I nostri prodotti sono più semplici rispetto a quelli della nostra concorrenza?

• Ci sono aspetti che non producono valore aggiunto e che potrebbero essere semplificati?

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• I nostri processi interni sono sempre lineari?

• Il nostro servizio clienti è realmente semplice e funzionale?

Visione d’insiemeUn’altra lezione che è possibile apprendere dall’esperienza di Steve Jobs è il suo desiderio di fornire una soluzione completa e integrata al cliente. Spesso l’imprenditore è convinto che la sua soluzione e il suo prodotto siano perfetti. In realtà, l’esperienza per il cliente può anche essere del tutto negativa, se il prodotto è proposto attraverso un canale distributivo inadeguato. È ovvio, non sto dicendo che tutti dovremmo diventare piccole o grandi aziende sulla falsariga della Apple, ma lo scopo definito da Jobs, ossia poter controllare in maniera così efficace l’esperienza dei clienti, deve far riflettere e portare ad analizzare e a verificare continuamente il processo di-stributivo e le funzioni d’uso del prodotto o della soluzione offerti dall’azienda. Ponetevi queste domande:

• Qual è la funzione d’uso finale del nostro prodotto o servizio?

• Conosciamo chiaramente il canale distributivo e il proces-so di distribuzione del prodotto o servizio?

DiscontinuitàA volte, la velocità con cui il mercato propone e sviluppa solu-zioni rischia di far rimanere in ritardo. In effetti, anche questa è una esperienza che è stata vissuta dalla Apple. A fine anni Novanta i pc avevano applicazioni e soluzioni che consentivano di gestire la musica in maniera certamente più efficace dei Mac.

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Apple avrebbe potuto perdere il treno e lasciar perdere e, inve-ce, alla fine ha rivoluzionato l’industria musicale sfornando iTu-nes, l’iTunes Store e l’iPod. Quando penso alla discontinuità o a un’innovazione radicale, penso a questa capacità, certamente ben esemplificata da Apple ma che può essere di stimolo anche alle vostre attività. Ponetevi queste domande:

• Stiamo rischiando di essere sorpassati da alcune soluzioni che potrebbero cambiare il nostro settore?

• Abbiamo predisposto insieme a esperti del settore sessio-ni per comprendere il trend del nostro settore?

• Stiamo sviluppando le capacità per riflettere sul settore e sulle possibili soluzioni che potrebbero creare reali di-scontinuità?

ProdottoCome abbiamo già visto, ci sono due pilastri fondamentali per il successo di ogni realtà imprenditoriale: la capacità di ven-dere e quella di produrre innovazione. Tuttavia, è necessario che queste competenze siano bilanciate, perché il rischio è che all’interno di una organizzazione prenda il sopravvento la “ven-dita”, con il frequente risultato di concentrarsi soltanto sulle leve del prezzo e di mettere in una diversa prospettiva il prodot-to. L’amministratore delegato che subentrò inizialmente a Jobs concentrò la propria attenzione sul profitto e, per massimizzar-lo, portò l’azienda praticamente sull’orlo del baratro.

I clienti non sono attratti dai profitti dell’impresa, ma dal-la qualità e, soprattutto, dall’innovazione che essa può fornire con i propri prodotti. Ciò comporta non soltanto l’attenzione al prodotto da parte dell’intera organizzazione, ma anche quella

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a questo obiettivo che riesce a condizionare ogni scelta e ogni comportamento. Ponetevi queste domande:

• Vendita e innovazione sono realmente equilibrate nella nostra organizzazione?

• L’attenzione al prodotto è reale o appare solo nelle nostre brossure?

• L’organizzazione è coerente allo scopo definito di porre attenzione all’innovazione di prodotto?

ValoreSpesso l’attenzione si concentra sul prezzo e sul costo del pro-dotto, ma in tal modo si perde l’attenzione al valore percepito dai clienti. Quest’ultima è quasi un’ossessione che caratterizza-to Apple e i suoi designer. Pensate alla confezione con la quale vengono consegnati i prodotti Apple e comprenderete l’atten-zione maniacale dedicata alla progettazione di ogni singolo det-taglio, che pone al centro di tutto il valore percepito dal cliente. Aprire la confezione di un prodotto Apple diventa così un rito e il momento magico non può che essere valorizzato in ogni dettaglio. Ponetevi queste domande:

• Prestiamo attenzione a ogni dettaglio?

• Il nostro cliente percepisce il valore del prodotto?

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• Ci sono aspetti del nostro prodotto o servizio che potreb-bero migliorare il valore percepito da parte del cliente?

PerfezioneIl perfezionismo di Steve Jobs è legato a un’esperienza avuta con il padre adottivo Paul. Un’estate Steve lo aiutò a costruire una staccionata e Paul gli raccomandò di costruirla bene sia davanti sia sul retro. Steve osservò che nessuno avrebbe mai visto la stac-cionata dal retro. Chi avrebbe mai potuto sapere che la stacciona-ta era stata costruita bene? “Lo saprai tu”, replicò Paul.

Con la medesima attenzione al dettaglio e alla perfezione Jobs ha ispirato la propria azienda e i propri collaboratori senza mai fermarsi davanti ai particolari più nascosti. Se avete mai avuto la “fortuna” di vedere un Mac aperto per una riparazione, è possibi-le che siate rimasti impressionati dalla perfezione e dall’attenzione con la quale ogni componente del computer è al “suo posto”.

Questa cura e questa cultura della perfezione hanno fatto la differenza e hanno prodotti dai risultati entusiasmanti. Certo, Jobs era un perfezionista, capace di modificare il layout del primo Apple Store a pochi giorni di distanza dall’apertura, perché non era sufficientemente convinto, ma abituatevi anche voi a preten-dere la perfezione in ogni momento. Ponetevi queste domande:

• Che tipo di “staccionate” ci sono nella nostra organizza-zione?

• La cultura della perfezione è presente nella nostra orga-nizzazione?

ConfrontoNella lettura della biografia di Jobs ci sono alcuni episodi che mi hanno colpito più di altri. Si potrebbe immaginare che in un

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uomo innovativo e votato alla tecnologia come lui l’aspetto “di-gitale” avesse il sopravvento. Ma, secondo Jobs, la creatività era legata al confronto che avveniva di persona e per caso e, per que-sto motivo, progettò la sede della Pixar in modo da creare condi-zioni fisiche che favorissero l’incontro tra il personale dei diversi dipartimenti. Persone che difficilmente avrebbero comunicato se non per posta elettronica riuscivano, invece, a conoscersi e a scambiarsi le proprie esperienze e le idee più innovative.

Tra l’altro, Jobs era contrario alle presentazioni e all’uso di diapositive. “Chi sa di che cosa parla non ha bisogno di PowerPoint”, diceva e preferiva che le persone si confrontasse-ro a fondo e apertamente sulle cose, senza ricorrere a mediazio-ni digitali. Ponetevi queste domande:

• Esistono occasioni di confronto nella nostra organizzazione?

• Esistono spazi e condizioni per generare occasioni di “con-taminazione” intellettuale di crescita attraverso l’incontro di diverse esperienze e competenze?

“Stay hungry, stay foolish”“Siate affamati, siate folli”. Un giorno, il vicepresidente di ST Microelectronics , durante un incontro a Trento mi disse che la prima condizione affinché una start-up o una nuova idea possa avere successo e decollare è rappresentata dalle “pezze al c….” dei suoi ideatori. Soltanto in questo modo la tensione al risul-tato, la focalizzazione e, soprattutto, il desiderio di poter rag-giungere quanto sognato costituiscono la benzina che permette di farcela.

Jobs ha sempre praticato la stessa filosofia. La campagna di comunicazione “Think different”, che per tanti anni ha so-stenuto la crescita del marchio Apple, racchiude l’essenza del pensiero di Jobs e il movimento di innovazione che ha sempre impresso alla propria azienda. Ponetevi queste domande:

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• Quanto siamo affamati di sviluppo di nuovi prodotti/servizi?

• Quanto siamo affamati di crescita?

• Quanto sono affamati di conoscenza i nostri collaboratori?

INNOVAZIONE

La Ruota dell’innovazioneL’innovazione è un elemento essenziale per generare nuova ricchezza, un processo che è necessario implementare all’inter-no dell’organizzazione. La Ruota dell’innovazione definita da Hamel è l’insieme sequenziale e organico delle seguenti fasi.

La velocità con la quale l’azienda riesce a far girare la Ruota dell’innovazione determina la quantità di nuova ricchezza che sarà creata. La Ruota sarà in grado di produrre idee e dalle idee nascerà la capacità di generare esperimenti e, alla fine, di dare il via a nuove iniziative. Ponetevi queste domande:

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• Abbiamo fornito alle persone formazione e strumenti ne-cessari a diventare innovatori del concetto di business?

• Le logiche di controllo aziendale sono pensate per misura-re l’innovazione almeno quanto gli altri aspetti?

• La Ruota dell’innovazione gira in fretta nella nostra orga-nizzazione?

• Nell’organizzazione è gestito e implementato un portafo-glio di idee?

COSTRUIRE IL PASSAGGIO DI TESTIMONE

Lo abbiamo ripetuto più volte: il tempo è il miglior consigliere in un passaggio generazionale. Finora ho cercato di offrirvi gli strumenti necessari a comprendere lo stato della vostra orga-nizzazione e la direzione intrapresa, capitalizzando un lavoro concentrato su diversi aspetti, alcuni più soft e altri profondi e articolati. Se avete risposto alle domande con attenzione, pro-babilmente avete compreso che tipo di azienda trasmettere al successore e lo stile di leadership richiesto per il futuro.

Conoscere la propria aziendaNel passaggio generazionale è importante avere chiaro da che pun-to partire. Se dovessimo pensare di vendere la nostra organizza-zione dedicheremmo, in un’ottica di continuità aziendale, molto tempo a descrivere ogni processo per consentire al potenziale ac-quirente di prenderne possesso rapidamente, ovvero ad aumen-

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tare il valore percepito dell’impresa. Se ci comportiamo così nel momento della potenziale vendita, perché allora non fare lo stesso prima del possibile passaggio a un componente della famiglia?

Il mio suggerimento è che il Senior rilevi e fissi per iscritto le attua-li procedure organizzative, affiancando i manager e i collaboratori per identificare il modo in cui le attività sono svolte. Spesso il Senior si distacca dai processi operativi e conoscerli e, soprattutto, descri-verli formalmente può essere di grande aiuto. Grazie alle doman-de presentate in questo libro, il Senior possiede già un dettagliato patrimonio informativo relativo ai valori, agli obiettivi e allo scopo dell’organizzazione e con questo lavoro è possibile completare la conoscenza più operativa dell’organizzazione, per essere pronti a raccontarla e condividerla con chi proseguirà nella sua gestione.

Sono inoltre convinto che rivedere alcuni processi aiuterà il Senior a rimetterli in discussione e ad aiutare i collaboratori nel loro miglioramento. Infine, l’aver rivisto il modello di business è un esercizio estremamente ricco in chiave strategica. Ecco le domande che il Senior dovrebbe porsi:

• Conosco tutti i processi operativi della mia organizzazione?

• Esistono processi formalizzati?

• Sono in grado di descrivere a una terza persona le caratte-ristiche di ogni funzione? Quali sono le modalità operative di ciascuna?

• Quali sono le persone chiave e quali competenze distintive ha la mia organizzazione?

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• Conosco il modello di business in tutte le sue componenti?

La preparazione del successoreRicordo di aver incontrato una volta un imprenditore e di aver-gli chiesto a che punto erano i figli nel loro percorso di avvicina-mento alla azienda. La risposta fu, per così dire, “combattuta”: mi disse che i figli erano rimasti lontani dall’azienda per molto tempo poiché avevano respirato in passato le ansie e le difficoltà del padre in alcuni momenti di crisi e che probabilmente avreb-bero seguito una strada diversa.

Questa storia rivela molto, in particolare quanto spesso fa-miglia e impresa siano vissute come un solo aspetto. In que-sto caso, riportare in famiglia le ansie e le difficoltà può essere banalmente associato alla comune difficoltà del non riuscire a “staccare”. Tuttavia, è nel clima familiare che si forma il poten-ziale erede, che si assimilano i valori per l’impresa e l’orgoglio di essere imprenditore.

Il ruolo della famiglia è essenziale in questo processo e com-prenderne i valori e, soprattutto, la cultura, nonché il carattere dei suoi diversi componenti, diventa un elemento essenziale.

È evidente che la casistica è particolarmente ampia e che il suggerimento che desidero offrire si basa su alcuni semplici concetti. Credo, infatti, che sia importante mantenere alta l’im-magine dell’imprenditore come elemento utile e importante per la società, educando fin da giovani i figli all’ammirazione per una figura del genere ovvero all’ammirazione per il Senior, ma anche per tutti coloro che hanno realizzato grandi imprese aziendali.

Suggerirei, inoltre, di educare i figli all’autonomia, all’indi-pendenza e alla libertà di sbagliare, tutti aspetti della natura di imprenditore che in qualche modo ne rappresentano l’essenza.

Ho già parlato diffusamente di valori e della loro importanza per realizzare lo scopo della vostra vita o della vostra impresa. Costruire una cultura comune, ovvero vivere e praticare i mede-simi valori con gli eredi, è la prima cosa da fare perché, comun-que vadano le cose, i valori che hanno guidato ogni azione del Senior non andranno persi.

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Nella logica della cultura comune credo, inoltre, che debba esserci anche la logica del controllo, affinché sia possibile com-prendere in maniera semplice e completa l’andamento econo-mico e finanziario nell’ottica di avere al proprio fianco sia un socio sia un possibile acquirente.

In questo caso specifico il suggerimento è quello di imple-mentare un sistema basato sulle eccezioni, che possa evidenzia-re gli scostamenti rispetto agli obiettivi definiti e che sia un pri-mo elemento costruttivo di confronto tra Senior ed erede, per costruire insieme una comune cultura anche, ma non soltanto, economica. Ecco le domande che il Senior dovrebbe porsi:

• Che clima esiste in famiglia?

• L’immagine della figura dell’imprenditore è salvaguardata?

• Autonomia e indipendenza sono caratteristiche dei Junior?

• Esiste una condivisione dei valori?

• Esiste un sistema di controllo?

• Ho costruito una cultura economica condivisa?

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La scelta del candidatoSe entrambi i genitori lavorano nell’impresa, il Junior sentirà parlare di lavoro in ogni momento e, in tal caso, difficilmente potrà pensare ad alternative. Personalmente ritengo che, pur salvaguardando l’immagine dell’impresa e del leader, sia neces-sario investigare sulla reale vocazione del Junior e, a tal scopo, suggerirei inizialmente di considerare le reali attività alle quali si appassiona e comprenderne le affinità con il lavoro.

Le materie scolastiche per le quali è portato sono un’utile indi-cazione, come determinati aspetti del carattere che potrebbero aiutarlo o rendergli più difficoltoso il ruolo di imprenditore. Un momento particolarmente delicato nella crescita dello Junior è certamente rappresentato dalla scelta della scuola superiore, poiché in genere si tratta di un percorso irreversibile.

Conoscere l’attività dell’azienda è un aspetto rilevante, che potrà consentire, nella scelta dell’eventuale indirizzo universi-tario, una maggior consapevolezza e una migliore scelta. Ecco le domande che il Senior dovrebbe porsi:

• Ho valutato le passioni del mio Junior?

• Ho valutato le sue vocazioni?

• Ho compreso l’evoluzione dei suoi desideri?

• I Junior sono più di uno. Ho iniziato a pensare al possibile assetto organizzativo in grado di accoglierli?

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E se manca l’erede?In mancanza di eredi il problema della successione è comun-que rilevante, in particolare nel caso di un’azienda sana e di successo. Mi è capitato di incontrare imprenditori che si sono presentati a un primo incontro con “le chiavi in mano” dicen-domi: “Vendimi l’azienda”. Ci sono diversi percorsi da poter seguire, è evidente.

Per esempio, la formula del private equity e i fondi d’investi-mento possono rappresentare un’alternativa, così come, utiliz-zando una leva finanziaria esterna, identificare in un nucleo di manager interni all’organizzazione i possibili attori che potreb-bero rilevare il controllo e la gestione dell’impresa.

Tuttavia, prima di tentare queste strade, il mio suggerimento è sempre quello di costruire un percorso in grado di valorizzare l’impresa attraverso una chiara identificazione della sua strate-gia con chiarezza di obiettivi e, soprattutto, con una efficiente organizzazione. Più è chiaro lo scopo che l’organizzazione per-segue, accompagnata da un’efficiente organizzazione e da un efficace modello di controllo, maggiori saranno il e, soprattutto, la probabilità di poter cedere il controllo dell’azienda a terzi mitigando il rischio di ridurne i risultati.

Certo, in questi casi non parliamo di passaggio generazionali, bensì di cessione. Tuttavia, se riuscirete a comunicare e a con-solidare i vostri valori, in particolare quelli che hanno portato a risultati significativi, molto probabilmente tali aspetti emerge-ranno in futuro e garantiranno la continuità dell’impresa.

Più figliMolto spesso la situazione è complessa e i possibili eredi pos-sono essere più di uno. Anche in questo caso esistono valide soluzioni tecniche che possono aiutarvi e mi riferisco ai patti di famiglia o ai trust.

Nel campo della pianificazione del passaggio generazionale il trust è sicuramente uno strumento da prendere in considerazio-ne e da proporre a quella fascia di imprenditori che vorrebbero regolamentare, anche con soluzioni non definitive, l’avvicenda-mento al comando dell’azienda, poiché offre garanzie che con-sentono di mantenere unitario il patrimonio aziendale duran-te il tempo necessario alle nuove generazioni per riallinearsi e quindi subentrare al timone dell’azienda.

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Per il periodo di durata di un trust, l’imprenditore può benis-simo continuare a riservarsi alcuni poteri di gestione come quelli del presidente del Consiglio di amministrazione e capire nel con-tempo le diverse inclinazioni e aspettative dei figli. Può metter-li alla prova, differendo l’attribuzione della partecipazione a un momento successivo e permettendo di superare così anche quella differenza di età, a volte molto marcata, che in condizioni nor-mali farebbe subentrare il figlio maggiore ovvero il primogenito.

Viceversa, ricorrendo al patto di famiglia il periodo di tempo o di prova è difficile da creare. La scelta di colui che dovrà su-bentrare è immediata e anche l’attribuzione o il trasferimento della partecipazione è contestuale all’accordo con tutti i fami-liari. Come conseguenza, per fare un solo esempio, i figli più giovani restano esclusi soltanto perché nati dopo.

In questo contesto, tuttavia, è di particolare interesse e molto attuale l’approfondimento di soluzioni su misura e integrate che applicano contemporaneamente o in parallelo sia il trust sia il pat-to di famiglia, recependo le peculiarità e vantaggi di entrambe le soluzioni per offrire la miglior tutela al passaggio generazionale.

In entrambi i casi vi rimando a letture e a professionalità spe-cifiche, in Rete potrete trovare numerosi riferimenti. Tuttavia, poiché abbiamo già parlato dell’importanza di comprendere la vocazione e le abilità di ciascuno, mi soffermerei su alcuni aspetti rilevanti e alcuni suggerimenti che offro abitualmente.

Il primo aspetto essenziale è che è necessario fornire a tutti una formazione, che insegni a lavorare come squadra e a prati-care il dialogo e la capacità d’interagire. Molto spesso, infatti, sono proprio queste le criticità che è possibile osservare nelle organizzazioni che comprendono più familiari ovvero all’inter-no del dialogo in famiglia.

Formalizzata la strategia e rivisti i processi aziendali, nel met-tere a punto l’organizzazione sarà indispensabile definire e co-municare chiaramente il ruolo di ciascuno dei Junior all’interno dell’organizzazione. A questo punto il suggerimento più impor-tante è quello di organizzare periodicamente e regolarmente riunioni durante le quali ognuno potrà manifestare le proprie idee e convincere gli altri della loro bontà. Ci saranno sicura-mente discussioni animate e a emergere sarà la preparazione di ogni componente, oltre che la qualità del suggerimento. Un caso che può verificarsi, e al quale ho spesso assistito, è l’inca-

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pacità del Senior di gestire la riunione, poiché inevitabilmente emergono passioni o vecchi rancori familiari. Per questo motivo molti imprenditori evitano questo suggerimento, poiché spesso leggono l’eventuale e possibile invito al cambiamento come una critica rivolta contemporaneamente al padre e all’imprenditore.

Da qui il mio consiglio di cercare all’esterno del nucleo familia-re un professionista in grado di gestire e di coordinare le riunioni, in modo che questi aspetti possano essere mitigati e che anche le critiche possano essere “capitalizzate” come spunti per possibili miglioramenti. Se in azienda vi fosse già un direttore generale o, comunque, un dirigente con esperienza nella gestione di un team, è questo il momento per mettere alla prova anche lui, poi-ché attraverso questa esperienza acquisirà competenze uniche in termini sia organizzativi sia relazionali.

Questi incontri, uniti a un’analisi maggiormente strutturata delle competenze di ogni Junior, aiuterà a comporre un quadro analitico che consentirà, con il supporto di esperti, di evidenzia-re e di definire le aree per quali può essere d’aiuto un piano di formazione in grado di ridurre il gap rispetto a un possibile e te-orico livello di preparazione e competenza di ognuno. Ponetevi queste domande:

• Sono stati definiti chiaramente un modello organizzativo e un ruolo delineato per ciascun Junior?

• È stato definito un calendario stabilito di incontri con i Junior per determinare e per condividere le azioni da rea-lizzare?

• È stato definito un piano di formazione per ogni Junior, allo scopo di colmare il gap relativo a competenze e ad abilità?

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Il SeniorMi è capitato di osservare imprenditori che hanno fondato e sviluppato l’azienda e imprenditori di seconda o terza genera-zione. Vi è una differenza sostanziale e utile da ricordare.

Nel primo caso si tratta proprio della tipica ritrosia a mollare. La creatura, l’azienda, non può procedere senza l’esperienza e la competenza del Senior e spesso i Junior attendono anni prima di essere legittimati o anche per essere soltanto considerati pos-sibili interlocutori per un miglioramento o per un’innovazione dell’impresa.

Nel secondo caso, invece, può accadere che il Senior di secon-da generazione abbia in qualche modo subito l’incarico e quin-di sia desideroso di passare la palla a un entrante per seguire la propria reale passione.

In entrambi i casi è facile comprendere quali sono i rischi per l’impresa. Nel primo scenario l’impresa rischia di non rinnovarsi e di rimanere ancorata alle esperienze del passato, mentre nel secondo il desiderio di cambiare vita comporta la concreta possibilità di una disattenzione. Per entrambi i casi ritengo che sia utile evitare gli estremi appena descritti e an-ticipare il momento del passaggio generazionale a quando lo stimolo a imparare è scomparso e manca la voglia di aprire la mente al cambiamento.

Una cosa è comunque certa: nel momento in cui si decide di passare il testimone, ritornare sui propri passi ovvero rivedere il Senior rientrare in azienda dopo aver delegato il passaggio è sempre deleterio per l’impresa. L’esempio che ci consente an-che di quantificare il danno è proprio quello relativo al caso Luxottica. Non sappiamo quali reali motivazioni hanno portato il Senior Del Vecchio a riprendere in mano le redini dell’azien-da, rinunciando ai servizi di un manager esperto come Guerra. Sappiamo, però, che il mercato ha penalizzato la scelta e in modo tangibile, con un deprezzamento del titolo pari a circa il 5% (circa 700.000 euro), che potrebbe essere una prima stima del costo di un rientro non previsto.

Quindi, quando il Senior decide di ritirarsi, deve preparare bene la propria uscita e considerare la decisione irrevocabile. La soluzione migliore è quella di programmare ogni stadio del passaggio generazionale nel tempo seguendo quattro passi che possono essere così sintetizzati:

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1. individuazione del successore;2. formazione teorico-pratica per colmare i gap;3. inserimento in funzioni con crescente responsabilità;4. assunzione della responsabilità.

Nel momento dell’assunzione di responsabilità da parte del Junior è importante identificare un ruolo per il Senior che gli consenta di lavorare in una posizione di supervisione tipica, in genere, della figura presidente del Consiglio di amministrazio-ne. Ancora una volta il suggerimento è quello di “prendersi il tempo necessario”, affinché il passaggio sia graduale e, soprat-tutto, pianificato da entrambi con il maggior dettaglio possibile. Il ritrovarsi periodicamente a confrontarsi sulle possibili azioni e sulle possibili idee nate dall’esperienza dello Junior saranno, inoltre, occasione di condivisione e di verifica delle capacità di entrambi. Da una parte il Senior dovrà maturare la capacità del confronto e dell’apertura all’apprendimento con stimoli nuovi e dall’altra il Junior dovrà essere capace di apprezzare l’espe-rienza maturata e soprattutto la capacità di dialogo e confronto.

Ovviamente, queste sono le condizioni ideali che si posso-no avere in un clima sereno e non conflittuale nei rapporti tra Senior e Junior, caratterizzato dalla maturità del secondo e dalla volontà di apprendimento del primo. Sono condizioni oggetti-vamente difficili da ritrovare insieme, in particolare nelle picco-le e medie imprese. In questo tipo di imprese è particolarmente facile trovare leader con alcune caratteristiche molto persona-li, che spesso con l’età diventano difficili da modificare. Per esempio, sono frequenti Senior che prendono personalmente la maggior parte delle decisioni. Raramente delegano e, quando lo fanno, di solito sono ipercritici e difficilmente riconoscono il merito di una decisione, anche quando questa è corretta.

Un altro profilo molto comune è legato alla storia e alle modalità che hanno portato l’azienda fino a quel punto: poiché si è sempre fatto a modo del Senior, è giusto continuare così, anche perché spesso lui lo fa meglio di altri. Purtroppo, però, questo stile limita la crescita e i possibili miglioramenti all’organizzazione del lavoro.

In altre realtà mi è capitato di incontrare Senior realisti che, di solito, sono sempre diffidenti nei confronti dei consulenti e, ancor più, a ogni consiglio proveniente dall’esterno, poiché ri-tenuto inconsistente o, nel migliore dei casi, preconfezionato.

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In queste realtà è difficile trovare delle soluzioni gestionali evo-lute, perché tutto è affidato all’intuito dell’imprenditore, chiuso all’interno dei confini certi e conosciuti della propria azienda.

Tuttavia ho anche avuto la fortuna di incontrare Senior votati all’apprendimento di nuove conoscenze e alla ricerca e alla sco-perta di nuove strade, consapevoli che è arrivato il momento di pensare a come e a chi passare il testimone.

A questo punto, non è rilevante identificare il maggior numero possibile di profili e soprattutto non è importante stigmatizzare o lodare i comportamenti di alcun Senior. L’importante è esse-re consapevoli di queste caratteristiche e adoperarsi per fare in modo che il passaggio funzioni al meglio e, soprattutto, che l’a-zienda possa proseguire la propria attività da una generazione all’altra migliorando e progredendo. Ponetevi queste domande:

• Che tipo di leader è il Senior?

• Il Senior dirige l’azienda sulla base di un sistema di con-trollo strutturato oppure si affida alla propria esperienza?

• Esiste un processo formalizzato per capitalizzare anche le conoscenze e le competenze del Senior, se questi è esperto di alcuni processi?

La scelta del JuniorSenza entrare nel merito di quelle famiglie patriarcali nelle quali il capoazienda coincide con il capofamiglia, la scelta di un Junior all’interno di una rosa di pretendenti è particolarmente delicata, poiché saranno necessariamente coinvolte le famiglie dei possibi-li eredi così come, in particolare, il futuro dell’impresa. La scelta dovrà quindi essere fatta con particolare attenzione.

È inoltre necessario considerare che la presenza di più famiglie

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coincide di solito con una distribuzione di azioni. Ne consegue che, prima o poi, nell’evoluzione dell’impresa vi sarà la presenza di un Consiglio di amministrazione al quale sarà delegata la nomina del nuovo leader. Inoltre, se a un leader esterno è richiesta prima di tutto la competenza nel migliorare alcune funzioni e nel gestire i rapporti all’interno e all’esterno dell’impresa, al futuro Senior è richiesto, come a un buon padre di famiglia, anche di considerare ogni azione alla luce dei possibili effetti sulla famiglia stessa.

Per questo motivo è necessario che nell’identificazione del fu-turo Senior il leader abbia capacità di ascolto e di dialogo ma, so-prattutto, che sappia coinvolgere la famiglia in un processo che, se da un lato renderà una parte orgogliosa, dall’altro potrebbe rendere infelice l’altra, soprattutto quando essa è numerosa.

Dovendo suggerire a questo punto quelle che potrebbero essere le caratteristiche distintive e più rilevanti, mi rifarei esattamente agli aspetti che ho desiderato sottolineare in questo libro, ossia la moti-vazione, lo stile di leadership e la capacità di innovare. Sottolinerei ulteriormente l’aderenza sia ai valori rinnovati dell’impresa dopo le verifiche che ho suggerito delle revisioni sia a quelli legati alla famiglia (che suggerisco di mantenere fortemente distinti). A tutto ciò aggiungerei anche una capacità di dialogo che deve consentire di definire un rinnovato futuro per l’impresa e una leadership con-sensuale, soprattutto se il numero dei componenti della famiglia è superiore a uno. Ponetevi queste domande:

• La famiglia è rilevante nella scelta del leader?

• È rilevante la gestione del consenso tra i componenti della famiglia?

• Stiamo costruendo un percorso basato sul dialogo tra tutti i componenti della famiglia?

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• Stiamo organizzando un piano di azione condiviso e co-municato, per verificare periodicamente la crescita del pos-sibile nuovo leader?

Approccio organizzativoLo abbiamo già detto e vale la pena ripeterlo: i pilastri di un buon passaggio generazionale si basano sul formulare una stra-tegia condivisa, sul saper comprendere i risultati dell’impresa, sul dialogare quanto è più possibile e, comunque, a intervalli pianificati, sul rispettare i ruoli definiti nel nuovo modello orga-nizzativo ovvero sull’evitare le interferenze.

Tutto questo serve per far comprendere all’organizzazione che le cose stanno cambiando, ma, soprattutto, che il Senior continuerà a essere ancora presente in azienda, trasformando gradualmente il proprio ruolo da leader a supervisore del per-corso di crescita e di formazione del Junior. L’occasione del pas-saggio generazionale non è quindi soltanto un cambio di guida ma anche l’occasione per ripensare l’azienda, per adeguarla alle nuove sfide e per modificare lo stile di leadership.

Lo strumento operativo grazie al quale è possibile far dialogare Senior e Junior con le persone responsabili dell’organizzazione è rappresentato dal comitato di direzione e la capacità del futuro leader sarà quella di riuscire ad animare e renderle interessanti e produttive le sue riunioni, affinché tutti i partecipanti siano moti-vati e riescano a creare una crescita produttiva. Le regole che sug-gerisco di seguire a supporto del futuro leader sono le seguenti:

• preparare un ordine del giorno;• concentrarsi sui punti di interesse comuni ai partecipanti;• comunicare ai partecipanti l’ordine del giorno con un con-

gruo preavviso;• stendere un elenco dei partecipanti;• dare a ogni partecipante la possibilità di offrire il proprio

contributo;• inviare preliminarmente documentazione a supporto delle

riunioni;• esigere che i partecipanti arrivino alle riunioni preparati;

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• presentare l’ordine del giorno;• assicurarsi che tutti abbiano ricevuto e consultato la docu-

mentazione di supporto;• lasciar parlare tutti;• permettere a ognuno di dare il proprio contributo nel ri-

spetto dei tempi stabiliti;• fare in modo che ciascuno ascolti ciò che l’altro ha da dire;• ricordarsi che l’ascolto viene meno quando si è troppo

coinvolti nel pensare che cosa dire; • rispettare la durata pianificata degli incontri;• riassumere le decisioni prese;• specificare le persone responsabili di ciascuna decisione;• verbalizzare gli incontri;• sintetizzare le decisioni più significative da predisporre suc-

cessivamente alla riunione e da verificare a cura del leader.

Come si può comprendere, coinvolgere periodicamente con que-sta modalità chi ricopre responsabilità importanti in azienda porta ad alcuni risultati immediati quali la motivazione, il coinvolgimen-to e l’attenzione costante agli aspetti rilevanti dell’organizzazione.

L’elemento più importante ai fini nel percorso che vi sto indi-cando è il portare gradualmente il Junior a conoscere i proces-si aziendali e, soprattutto nel momento in cui sarà in grado di gestire autonomamente le riunioni, di dimostrarsi il leader nei momenti più rilevanti dei comitati, ossia nel momento di pren-dere decisioni operative magari rispetto a problemi rilevanti o urgenti. Il nuovo leader, non può essere da solo e il coinvol-gimento delle persone importanti diventa essenziale, anche se, purtroppo, questa abitudine non è così facile da trovare, so-prattutto nelle piccole e medie aziende.

Abituare le persone a dialogare e a comprendere costantemen-te gli obiettivi da realizzare facilita la crescita dell’organizzazione e del Junior, che nel momento del passaggio sarà facilitato nella comprensione delle dinamiche operative e dei ruoli ricoperti in azienda dai diversi collaboratori. Ponetevi queste domande:

• Sono chiari ruoli e responsabilità nell’organizzazione?

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• È possibile attivare comitati operativi nell’organizzazione?

• Ho collaboratori disponibili?

• Ho la capacità di gestire un comitato?

• Ci sono azioni da compiere, che possono rafforzare e pre-parare il Junior a questa impostazione organizzativa?

AutoprogettiAbbiamo parlato diffusamente di innovazione e della capacità dell’organizzazione di generare attraverso la Ruota dell’innova-zione nuove idee e nuove iniziative. Ritengo che questo approc-cio, oltre a essere strutturalmente valido, sia estremamente utile nell’introdurre gradualmente all’interno dell’organizzazione un Junior che, sfruttando queste nuove iniziative, potrà cimentar-si nella loro realizzazione. In questo modo sarà possibile com-prendere le sue attitudini e, soprattutto, inserire alcuni aspetti relazionali e decisionali in un contesto “protetto”.

Il medesimo approccio sarà estremamente valido per il Senior, al quale potranno essere affidati, durante e dopo il passaggio di testimone, alcuni progetti utili al futuro aziendale, in modo da capitalizzare ancora l’esperienza in un contesto utile a mante-nere la sua vitalità e la sua energia. Ponetevi queste domande:

• Ci sono progetti che è possibile assegnare al Junior in una fase preliminare del passaggio generazionale?

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• Ci sono le condizioni necessarie per affidare al Junior pro-getti in un ambiente protetto?

• Esistono progetti utili da assegnare al Senior per mantene-re il suo impegno e le sue energie?

Il ruolo del coach e dell’affiancamento Motivazione, leadership e innovazione temi attorno ai qua-li ho sviluppato questo libro e dai quali derivano numerosi spunti per realizzare, come abbiamo visto, le strategie che ritengo efficaci per realizzare un passaggio generazionale di successo. Ho tentato di semplificare ognuno di questi aspetti, suggerendo azioni e, soprattutto, ponendo quesiti in modo che poteste interrogarvi e maturare la consapevolezza neces-saria per agire.

Coaching e counseling sono due termini inglesi che si stanno diffondendo, con un significato molto simile tra loro. Arrivati quasi al termine di questo percorso, credo che sia utile fare un po’ di chiarezza per aiutarvi a valutare un eventuale aiuto esterno.

Il primo termine deriva dalla parola inglese coach (“insegnan-te privato”, “allenatore”, “facilitatore”), mentre il secondo si riferisce alla pratica del “dare consiglio” promuovendo atteg-giamenti e comportamenti funzionali al miglioramento della sfera personale e lavorativa.

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La pratica del coaching richiama il significato di supporto del-la parola. Attraverso la formazione e l’affiancamento, il coach facilita i compiti da svolgere e spinge i risultati alle più alte pre-stazioni possibili nel tempo, insegnando nel contempo a gesti-re lo stress e a promuovere il benessere del coachee. Anche la pratica del counseling ha l’obiettivo di formare sul piano delle prestazioni e degli affetti, ma procede in modo più indiretto e, in generale, senza prevedere un affiancamento.

In entrambi i casi si tratta, dunque, di uno “stare assieme semplice e complesso”, volto all’attivazione di energie e allo sviluppo delle competenze necessarie a trasformare potenziali-tà latenti in realizzazioni obiettivamente valutabili e spendibili all’interno di una vasta gamma di contesti.

L’essere umano è molto più complesso di una macchina da lavoro e ogni giorno esprime una moltitudine di bisogni e di desideri sempre diversi e in continua evoluzione. Se cerchiamo di comprendere a fondo ciò che accade dentro e fuori di noi, ci rendiamo ben presto conto che non è facile stare al passo con i flussi di informazioni che la vita ci costringe a elaborare.

Questi dati si trasformano ben presto in dinamiche ovvero in movimenti molto potenti verso persone o cose e tendono a produrre al tempo stesso difficoltà e occasioni di crescita.

Le difficoltà della vita personale e lavorativa si intrecciano continuamente tra loro e le energie che dobbiamo impiegare per farvi fronte non sempre sono convogliate nella giusta dire-zione e spesso si perdono in infiniti rivoli; per non parlare dei cambiamenti improvvisi e degli eventuali traumi che possono rendere la situazione ancor più difficile da gestire.

Lavorare sulla triade del pensare, del sentire e del volere di-venta pertanto una necessità: con il pensare possiamo far luce sui contenuti inconsci e preconsci abituandoci alla riflessione; con il sentire possiamo affinare la percezione di ciò che avviene fuori e dentro di noi e smettere di subire l’emotività; infine, con il volere possiamo scegliere quale direzione dare alle nostre energie.

Talvolta può essere prioritaria la gestione di situazioni conflit-tuali potenzialmente esplosive e sappiamo bene tutti quali e quan-ti conflitti possano nascere durante un passaggio generazionale. Attraverso un buon counseling è possibile, per esempio, indivi-duare i punti deboli della persona o del gruppo e promuoverne la trasformazione in occasioni di crescita anziché di frustrazione.

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Non mollo! / 109

L’obiettivo dell’esperto è quello di promuovere l’acquisizio-ne di competenze, in modo che le caratteristiche personali che generano problematiche possano lasciare spazio a relazioni in-terpersonali fondate sul benessere e sulla interdipendenza ov-vero sullo stare insieme tra Senior e Junior. Si acquisiscono così capacità fondamentali quali la fiducia in se stessi e negli altri, si definiscono di volta in volta nuovi obiettivi lavorando con metodo e utilizzando dati ed esempi concreti; soprattutto, la concentrazione va alle risorse e non agli aspetti negativi che ge-nerano eventuali blocchi.

In altre parole, il coaching e il counseling hanno l’obiettivo di promuovere in noi la giusta quantità di verità su noi stessi e su-gli altri, lavorando sulla mappa della vostra organizzazione con microscopi e occhiali sempre più potenti.

Lavorando sui livelli di consapevolezza è possibile arrivare a anche alle leve della motivazione e della leadership, che sono strettamente connesse con l’utilizzo della volontà. Il sogget-to diviene quindi sempre più un protagonista che esprime se stesso attraverso i risultati ottenuti, nonostante eventuali con-dizionamenti familiari e culturali. Aggiungendo a tutto ciò una focalizzazione sulla innovazione ovvero sulla capacità di affron-tare il futuro con soluzioni e mentalità innovative, saprete come garantirvi il successo.

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CONCLUSIONE

Abbiamo tentato di toccare e di sviluppare gli elementi più rile-vanti in un passaggio generazionale, rappresentati da.

• motivazione;• leadership;• innovazione.

Si tratta di temi che spesso non sono affrontati poiché si ritiene più utile concentrarsi sugli aspetti di tipo fiscale o legale. In realtà, il futuro di ogni organizzazione dipende, come abbiamo visto, dalla capacità di innovare e, soprattutto, dalle motivazioni e dalla capacità di leadership dimostrate nel tempo prima dal Senior e poi dal Junior.

In sintesi sono convinto che, arrivati al termine di questo per-corso, ora comprendiate che il passaggio generazionale:

• non è un evento, ma un processo che può richiedere anni;• richiede consapevolezza delle caratteristiche personali e di

leadership, nonché di quelle strategiche della organizzazio-ne;

• è un processo nel quale le componenti psicologiche sono rilevanti;

• deve essere pianificato con attenzione;• deve guardare lontano e in avanti con spirito e attenzione

alla innovazione.

In questa prospettiva, ecco alcuni consigli finali:

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• create quanto prima le condizioni affinché i successori si facciano le ossa;

• anticipate i tempi per non farvi cogliere di sorpresa;• conoscete la vostra azienda e sostenete una cultura dell’inno-

vazione, in grado di salvaguardare in autonomia il suo futuro;• non improvvisate ma sperimentate e, nella sperimentazio-

ne, mettete alla prova l’erede;• visione e missione non sono “americanate”, ma l’essenza del-

lo scopo dell’organizzazione che, rivista attraverso il dialogo intergenerazionale, può garantire il successo dell’azienda;

• osate con coraggio.

Il passaggio generazionale ha aspetti strategici, organizzativi e psicologici da tenere in considerazione, oltre a quelli più rile-vanti dal punto di vista legale e fiscale.

Come in tutti i processi, non sono rilevanti gli errori commes-si, ma il fare e il rifare, in modo che, passo dopo passo, si possa arrivare alla meta. Fate quindi il primo passo documentandovi o partecipando a seminari oppure ricercando su Internet fonti informative che vi possano aiutare a creare maggiori consape-volezza e chiarezza nel percorso da seguire.

Da parte mia con questo testo e con il blog www.nonmollo.com cerco di contribuire al successo di questo momento crucia-le aiutando i Junior e i Senior e, soprattutto, salvaguardando il patrimonio di conoscenze e di lavoro rappresentato dalle im-prese familiari del nostro Paese.

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BIBLIOGRAFIA

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Evidenziato
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Nota
Testo non trovato. È corretto? (NdR)
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Mario Magini, L’arte di essere un leader, Newton Compton, 2014.John C. Maxwell, The Maxwell Leadership, Thomas Nelson, 1973.Carlo Federico Montecamozzo, Guida al passaggio generaziona-le nelle Pmi, Ipsoa, 2012.Alexander Osterwalder, Yves Pigneur, Creare modelli di busi-ness, Wiley-FAG, 2012.Kerry Patterson, Joseph Grenny, David Maxfield, Ron McMillan, Al Switzler, Influencer, Franco Angeli, 2008.Tom Peters, Re-Imagine!, Dorling Kinders, 2009.Tom Peters, Robert H. Waterman Jr, Alla ricerca dell’eccellenza, Sperling & Kupfer, 2005.Anthony Robbins, Come ottenere il meglio da sé e dagli altri, Bompiani, 1986.Peter M. Senge, The Fifth Discipline, Currency Double Day, 1990.Peter M. Senge, C. Otto Scharmer, Joseph Jaworski, Betty Sue Flowers, Presence, Franco Angeli, 2013.

DocumentiToni Brunello, “Kit.Brunello.System per la trasmissione e con-tinuità d’impresa”, 1998.

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Evidenziato
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Nota
Questo testo non si trova. Si trova The Maxwell Leadership Bible, stesso editore, del 2000. (NdR)
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Evidenziato
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Nota
Non è un libro, giusto? (NdR)
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Annotazioni

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Il sistema editoriale “Se vuoi puoi”“Se vuoi puoi” è un ampio progetto editoriale collettivo pensato e realizzato a partire dal best seller di Roberto Cerè, Se vuoi puoi, uscito in prima edizione nel 2010. La versione più recente è:

Se vuoi puoi - Power di Roberto CerèDieci strategie per ottenere ciò che vuoi nel business e nella vita

Metamorfosi Editore

Dalla prefazione di Jean Todt: “Il dottor Cerè in questo libro è riuscito a far emergere con una chiarezza unica ciò che realmente fa la differenza nel business, nelle competizioni come nella vita. Le strategie che troverete qui sono le stesse che Roberto Cerè ha portato in Ferrari negli anni in cui ha lavorato come coach per noi. Sino a ieri erano riservate a pochi eletti del management e dello sport, oggi sono disponibili in questo volume per chi vuole veramente mettersi alla guida della propria vita per ottenere risultati importanti.”

La “filosofia” di questo libro, passata attraverso il progetto Real Result Coa-ching (un percorso di 24 mesi che guida un gruppo ristretto e selezionato di professionisti a imparare e praticare il mestiere del coach) ha generato due col-lane dirette da Roberto Cerè: “Se vuoi puoi” e “Le vie del successo”. Questi i titoli in catalogo entro fine novembre 2014.

Collana “Se vuoi puoi”Mind Edizioni

•Strategie per decidere e agire di Antonio Bellucci•Come imparare dai tuoi errori e avere successo di Gianluca Bucci•Essere vincente adesso! di Elisabetta Chiandetti•Femminilità e passione. Apri le porte della felicità di Tiziana Danubio•Vinci le difficoltà! E riscopri la tua nuova vita di Patrizia Dassisti•Trasforma la tua professione in un brand vincente di Enzo De Santis•La salute è il primo passo verso il successo di Daniele Di Benedetti•Come puoi crearti la ricchezza che desideri di Nino Doganiero•Diventa il coach di tuo figlio di Mario Farinella•Come gestire un team con passione di Jessica Fasan•Pre-occupati e vivrai meglio! di Isania Forgione•Sedurre con successo di Federica Frasconi•Come allenarti a diventare un imprenditore di successo di Andrea M. Gilardoni•Come progettare un business di successo di Paolo Gloder•Rifiuto o delusione? Come gestirli al meglio di Marco Grazioli•Riconoscersi per amarsi di Abeia Ja•Come vivere in Paradiso senza dover prima morire di Anita Kalsek•Dimagrire senza dieta ma con gusto di Stella Laurini

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•Come creare e gestire un’azienda di successo di Domenico Maccallini•Come costruire un business online di successo partendo da zero di Marco Mirisola•Come attraversare e superare le difficoltà di Guity Mohammadi•Vendere senza vendere. Il manuale del perfetto venditore di Michele Mongiello•Strategie per comunicare e fare carriera di Franca Panfili•Come soddisfare i clienti di Pasquale Perri•Diventa un genitore di successo di Simonetta Pinna•Come sviluppare il tuo business con Facebook di Marco Rimedio•Fai crescere ogni business con il coaching di Simone Roda•Sessualità nascosta. Come aumentare l’intimità della coppia di Serenella Sabbion•Vivi, sogna e diventa leader di Daniela Speranza•Vendite da record. Il successo commerciale in 4 step di Davide Tarozzi•Come superare la paura del cambiamento di Pierre Joseph Vicari•È ora di vincere. Prendi in mano la tua salute e il tuo futuro di Saul Zavalloni

Collana “Le vie del successo”Mind Edizioni

•Vendere casa velocemente e al prezzo più alto di Ilarione Amato•Cash now! Come operare sulle opzioni binarie di Andrea Asuni•Vendita diretta e multilevel marketing di Luca Bianchi•Selfcosmesi funzionale e nutraceutica di Moira Bonaldo•Il potere dello sguardo. Occhi e cute sempre giovani di Letizia Mansutti•Crea il tuo negozio e incrementa il tuo business di Alessandra Nadali•Diventa una wedding planner di successo di Clara Trama

“Agenda Se vuoi puoi”Mind Edizioni

Da novembre 2014 alle collane esistenti si aggiunge l’Agenda Se vuoi puoi. Ogni settimana, insieme allo spazio per appunti e appuntamenti person ali, una rifles-sione di un coach del gruppo RRC; alla fine, articoli scritti ad hoc per l’Agenda da grandi protagonisti del mondo del business italiano e internazionale.

Questi libri sono distribuiti nelle principali librerie italiane a cura di Messaggerie Libri.Sono anche acquistabili nelle principali librerie online

e sulla piattaforma e-commerce della casa editrice: http://bit.ly/se-vuoi-puoi

Segui le collane su www.mindedizioni.com e su facebook:www.facebook.com/sevuoipuoi

Metamorfosi Editore (www.metamorfosieditore.com) e Mind Edizioni (www.mindedizioni.com)sono marchi di Media & Co Editoria-Comunicazione srl,viale Gran Sasso 20, 20131 Milano, www.mediaedi.com

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