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Avventure nel mondo 2 | 2014 - 97 RACCONTI DI VIAGGIO | Sudan La visita all’ospedale di Emergency a Khartoum che “ci apre il cuore”, la Nubia con le sue piramidi misteriose e poi i villaggi, il deserto e il Nilo Salam Sudan S alam, pace, è molto più di una formula di cortesia per entrare in contatto con il mondo arabo, è il migliore saluto assieme a un sorriso e a una stretta di mano. Ma Salam a Khartoum è anche il nome di una scommessa vinta, un progetto così folle sulla carta che non tutti ci credevano all’inizio, finché l’ospedale di Emergency ha preso forma e dal maggio del 2007 è un centro d’eccellenza per le cure cardiochirurgiche. Salam si trova nella periferia sud est della capitale nel quartiere di Soba, opera e cura con successo tante persone affette da patologie cardiache, impiegando personale specializzato italiano ma anche operatori locali, per un totale di oltre 300 persone. I pazienti vengono dal Sudan ma anche dai paesi confinanti, per i quali il personale dedicato di Emergency effettua visite in loco e stabilisce la priorità dei pazienti e le cure da effettuare. In questi cinque anni di attività Salam, con l’eccellente livello dei servizi offerti, ha ottenuto la piena fiducia di pazienti e istituzioni, ben oltre i confini nazionali, nel pieno rispetto degli standard internazionali. La salute è un diritto e come tale dovrebbe essere garantita a tutti, invece le cure mediche e i servizi d’eccellenza, gratuiti, accessibili a tutti, sono un concetto che spesso oggi non si vorrebbe mettere in pratica nemmeno in Italia. Attualmente, oltre che nella capitale sudanese, Emergency è attiva con i tre centri pediatrici di Mayo, Nyala e Port Sudan. Questo fa onore all’organizzazione fondata nel 1994 da Gino Strada ed è un motivo d’orgoglio per i suoi numerosi sostenitori e per l’Italia intera. Prima di partire informo l’associazione del nostro arrivo: alcuni gruppi semplicemente si presentano all’ingresso dell’ospedale di Khartoum, non c’è nulla di male ma è meglio che gli operatori sappiano se c’è un gruppo in visita, soprattutto è bene andarci nel pomeriggio quando le operazioni sono in gran parte terminate. Conosciamo e sosteniamo Emergency, è emozionante vedere il frutto di tanto lavoro, il valore scientifico e umano di quest’opera. Gino Strada c’è ma non si vede, ci accoglie Eleonora, colei che presso il centro Salam si occupa di logistica e selezione dei pazienti da ricoverare. Dopo una breve presentazione ci conduce per uffici, laboratori, sale operatorie e stanze di degenza dall’aspetto accogliente e armonico. Questo è davvero un luogo sereno, anche se è abitato da malati bisognosi di cure; pazienti e familiari ci salutano con un gesto della mano. Una bambina ci viene incontro, ha i capelli cortissimi, porta al braccio un paio di farfalline della flebo. Si trascina malferma sulle gambe, fa fatica a parlare, ha la faccia triste di chi sta soffrendo. Eleonora l’abbraccia e le chiede come sta. Lo scorso anno è stata operata al cuore, sembrava che tutto fosse andato bene ma ora ha dovuto tornare in ospedale, mi viene un nodo alla gola. La sala d’accoglienza ora è quasi vuota, ma al mattino è affollata da tanti nuovi pazienti che vengono qui per farsi visitare. Camminando Testo e foto della coordinatrice Da un NUBIA SUDAN gruppo Roberta Zennaro

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La visita all’ospedale di Emergency a Khartoum che “ci apre il cuore”, la Nubia con le sue piramidi misteriose e poi i villaggi, il deserto e il Nilo

Salam Sudan

Salam, pace, è molto più di una formula di cortesia per entrare in contatto con il mondo arabo, è il migliore saluto

assieme a un sorriso e a una stretta di mano. Ma Salam a Khartoum è anche il nome di una scommessa vinta, un progetto così folle sulla carta che non tutti ci credevano all’inizio, finché l’ospedale di Emergency ha preso forma e dal maggio del 2007 è un centro d’eccellenza per le cure cardiochirurgiche. Salam si trova nella periferia sud est della capitale nel quartiere di Soba, opera e cura con successo tante persone affette da patologie cardiache, impiegando personale specializzato italiano ma anche operatori locali, per un totale di oltre 300 persone. I pazienti vengono dal Sudan ma anche dai paesi confinanti, per i quali il personale dedicato di Emergency effettua visite in loco e stabilisce la priorità dei pazienti e le cure da effettuare. In questi cinque anni di attività Salam, con l’eccellente livello dei servizi offerti, ha ottenuto la piena fiducia di pazienti e istituzioni, ben oltre i confini nazionali, nel pieno rispetto degli standard internazionali. La salute è un diritto e come tale dovrebbe essere garantita a tutti, invece le cure mediche e i servizi d’eccellenza, gratuiti, accessibili a tutti, sono un concetto che spesso oggi non si vorrebbe mettere in pratica nemmeno in Italia. Attualmente, oltre che nella capitale sudanese, Emergency è attiva con i tre centri pediatrici di Mayo, Nyala e Port Sudan. Questo fa onore all’organizzazione fondata nel 1994 da Gino

Strada ed è un motivo d’orgoglio per i suoi numerosi sostenitori e per l’Italia intera. Prima di partire informo l’associazione del nostro arrivo: alcuni gruppi semplicemente si presentano all’ingresso dell’ospedale di Khartoum, non c’è nulla di male ma è meglio che gli operatori sappiano se c’è un gruppo in visita, soprattutto è bene andarci nel pomeriggio quando le operazioni sono in gran parte terminate. Conosciamo e sosteniamo Emergency, è emozionante vedere il frutto di tanto lavoro, il valore scientifico e umano di quest’opera. Gino Strada c’è ma non si vede, ci accoglie Eleonora, colei che presso il centro Salam si occupa di logistica e selezione dei pazienti da ricoverare. Dopo una breve presentazione ci conduce per uffici, laboratori, sale operatorie e stanze di degenza dall’aspetto accogliente e armonico. Questo è davvero un luogo sereno, anche se è abitato da malati bisognosi di cure; pazienti e familiari ci salutano con un gesto della mano. Una bambina ci viene incontro, ha i capelli cortissimi, porta al braccio un paio di farfalline della flebo. Si trascina malferma sulle gambe, fa fatica a parlare, ha la faccia triste di chi sta soffrendo. Eleonora l’abbraccia e le chiede come sta. Lo scorso anno è stata operata al cuore, sembrava che tutto fosse andato bene ma ora ha dovuto tornare in ospedale, mi viene un nodo alla gola. La sala d’accoglienza ora è quasi vuota, ma al mattino è affollata da tanti nuovi pazienti che vengono qui per farsi visitare. Camminando

Testo e foto della coordinatrice

Da un NUBIA SUDAN gruppo Roberta Zennaro

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nel grande giardino fiorito non sembra nemmeno di stare in un ospedale, e capisco perché questo posto si chiama Salam, Pace. Mi colpisce in particolare il cubo bianco che è stato dedicato alla preghiera, senza immagini né richiami ad alcuna religione, in modo che ognuno vi possa entrare a pregare il suo dio. Eleonora ci presenta al personale, sono tutti gentilissimi, ci facciamo foto con loro poi usciamo in silenzio, pensierosi ma orgogliosi di essere italiani. Evidentemente questo è un mondo a parte rispetto alle dinamiche delle cure mediche e della sanità, anche gli operatori umanitari che vivono e lavorano qui, per pochi anni o per tutta la vita, sanno di essere a loro modo fortunati. Siamo entusiasti per questa visita, con il giusto preavviso ci si può organizzare per andare anche al centro pediatrico di Mayo, non molto distante. Salam si trova nel sobborgo di Soba a sud est della città, oltre l’aeroporto, è circondato da terreno incolto e poche case. Di fronte all’ingresso c’è un baracchino dove ci fermiamo a bere un caffè e riordinare i pensieri, ognuno per sé. Siamo alla fine del bellissimo tour della Nubia, abbiamo deciso di trascorrere gli ultimi 3g visitando Kassala, il principale centro a 600 km est di Khartoumverso il confine eritreo. Ci servono i permessi individuali, che si richiedono alla polizia. Rientrati all’hotel Sharga, gli autisti scalpitano per andare a casa ma il corrispondente Tarig arriva solo alle 18,30 e senza i permessi! L’autista Awad era già stufo, prende la Toyota e se ne va senza salutare, resto nella hall con Tarig e Mousa, l’altro autista. Dovrei anche andare all’Egyptair per confermare i voli ma l’ufficio è chiuso. In questi venerdì e sabato festivi nessun poliziotto si dà da fare per cinque permessi, non sappiamo nemmeno se domenica sarà la volta buona. Ci diamo appuntamento alla mattina dopo, sempre in hotel, in attesa dei documenti visiteremo Khartoum.Nei viaggi con Avventure sono disponibili, di solito, poche ore per la visita della capitale, stretti tra la fretta di partire per il tour e le eventuali incombenze burocratiche. Senza perdersi d’animo, questa può diventare un’ottima occasione per scoprire una città in fermento, che brulica di attività per i cinque milioni di abitanti e per i tanti stranieri che vi lavorano. Bando alla pigrizia, non serve nemmeno il pulmino fornito dall’organizzazione ma, cartina alla mano, si può fare una bella passeggiata. Alla luce della mia esperienza suggerisco questi itinerari di mezza giornata ciascuno per visitare la città e i dintorni.

A KHARTOUM La capitale sudanese è oggi un immenso cantiere aperto dove compagnie soprattutto internazionali stanno mettendo a punto opere, infrastrutture, mega alberghi per renderla sempre più accogliente. In assenza di una storia propria con solo 200 anni circa di vita e un poco glorioso passato coloniale,

costruito soprattutto da e per gli inglesi, non aspettiamoci nulla di emozionante. I viali alberati, i palazzi, il souk del Cairo o di altre capitali sono lontanissimi, eppure Khartoum ha il fascino démodé di una città in evoluzione. Le strade non sono asfaltate nemmeno in centro città, in zona Souk el Arabi, dove per tutto il giorno accanto ai negozi veri e propri si svolge un chiassoso mercatino in strada e la gente vende quello che ha: generi alimentari, schede telefoniche, prodotti per la casa e per la persona. Localini semplici, splendidi caffè e ristoranti con giardino si trovano l’uno accanto all’altro seminascosti, in riva al Nilo, e dall’altro lato della strada svettano i grattacieli degli hotel cinque stelle di grandi catene. Andare a zonzo senza meta è facile e divertente, tra edifici sacri e palazzi pubblici, sedi di scuole e università che si annunciano con cartelli enormi, ma guai a fotografarli.

Itinerario 1 – a piedi nel centro città Si cammina in direzione nord partendo dall’hotel a Tayyar iz al Din Sharia piena di negozi, o dalla parallela Qusair Sharia, la via degli uffici commerciali, compagnie aeree e hotel. Si incrociano la grande moschea, la sinagoga e una moderna chiesa copta, visitabili a tutte le ore del giorno, per giungere poi alla Corniche, una passeggiata sulle rive del Nilo stretto tra una poco trafficata strada a scorrimento veloce e le nuove costruzioni sulle due rive del fiume. Fermarsi per un caffè all’ombra di un giardino fiorito dà l’opportunità di fare una piccola pausa in un luogo senza tempo, ammirare il Nilo e dall’altra parte Jezira, l’isola fertile con i suoi orti verdi e qualche animale al pascolo. Il silenzio di questo posto è surreale anche perché molti abitanti si fermano qui a bere e chiacchierare, ma nessuno alza la voce, mai. Si prosegue fino al ponte di ferro, situato alla confluenza tra il Nilo azzurro originato in Uganda, e il Nilo bianco proveniente dall’Etiopia. Il “vecchio ponte” è un’opera con più di cent’anni di storia ma non li dimostra: è ancora trafficato anche se ormai i mezzi percorrono soprattutto il ponte nuovo, sulla circonvallazione esterna. A dicembre le acque del fiume non sono impetuose ma comunque è difficile distinguere le acque che si mescolano tra loro. A questo punto secondo il tempo disponibile si può rientrare in taxi, o fermarsi a visitare i musei.

Itinerario 2 – in giro per musei Sono interessanti sia il Museo etnografico, dedicato alla storia e popolazioni del paese, ancor oggi suddivise in centinaia di tribù, sia il Museo di storia naturale con dettagliate descrizioni della flora e fauna sudanesi. Gli animali imbalsamati fanno impressione, la sezione dedicata agli animali vivi, oltre l’ingresso del cortile interno, ancor di più. In questo piccolo zoo rettili, anfibi, scimmie, uccelli sono tenuti in gabbia anche per favorirne lo studio scientifico e la riproduzione; vi sono

infatti piccoli di testuggine, serpenti e varani. Il Museo nazionale è tuttavia il principale motivo d’interesse: lungi dal paragonarlo ad altri grandi musei nazionali (al museo del Cairo sono esposti tesori di gran lunga superiori in quantità e qualità) in una visita di un paio d’ore insegna molto dei tesori di questo straordinario paese. Il piano terra è dedicato all’archeologia e alla storia sudanese, dal neolitico alla civiltà islamica, passando per la cultura Kerma, le dinastie meroitiche e le influenze delle civiltà cresciute sulle sponde del mediterraneo (egizi, greci e romani). Al primo piano sono esposti gli affreschi a tema sacro e religioso,

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stupendi, provenienti dalle chiese cristiane del nord che furono sommerse dalla costruzione del lago Nasser. Nel giardino che circonda l’edificio si trovano tuttavia i tesori più preziosi: quattro templi, anch’essi trasportati prima della costruzione della diga di Assuan e formazione del lago Nasser. Hatshepsut e Thutmosis III eressero i templi di Luxor in Egitto, ma anche Buhen, Semna, Aksha e Kumma in Sudan, queste piccole chicche sono oggi perfettamente conservate con le loro statue, gli affreschi e i bassorilievi. Da non perdere.

Itinerario 3 – il souk di OmdurmanA quasi 40 km a nord di Khartoum, sulla sponda occidentale del Nilo, si trova questa cittadina sede di un grande souq quotidiano, dove si può acquistare davvero di tutto e c’è solo l’imbarazzo della scelta, si possono fare effettivamente acquisti di ogni genere: alimentari, mobili, prodotti vari (nella parte scoperta) o souvenir (principalmente nella parte coperta), in zone ben distinte per settori merceologici. Arriviamo alle 14, visitiamo il souk in 1,5h, anche questo mercato è pieno di ogni mercanzia. Più esteso dei ns centri commerciali, Omdurman è quasi una città, vi sono anche moschee e banche. Stranamente vediamo qualche turista occidentale, poi prendiamo un tè e sulle 16,30 ci portiamo alla tomba (qubba) di Sheikh Hammad al Nil venerato dai dervisci danzanti: la ns visita si svolge di venerdì e non ci lasciamo sfuggire questa opportunità. Per 2h abbondanti i dervisci cantano e ballano, vestiti con una tunica bianca e verde, prima in piccoli gruppi poi con altri adepti sempre più numerosi, vale davvero la pena assistere a questa cerimonia che prosegue fino alle 18,30 e oltre, quando il sole tramonta.

INCONTRI LUNGO IL NILOLa varietà e la grandezza del Sudan sono difficili da sintetizzare, le sue tante anime non si possono conoscere in un viaggio di sole due settimane. Nubia Sudan è dedicato alla visita del nord del paese, dalla capitale Khartoum si segue un percorso ad anello che si snoda tra la necropoli di Meroe, le piramidi, i siti della civiltà meroitica. Si prosegue lungo le piste nel deserto del Bayuda sino a raggiungere il Nilo, dove già 5.000 anni fa fiorirono civiltà che ci hanno lasciato testimonianze misteriose e controverse, e poi antiche tombe islamiche, rovine di basiliche cristiane e castelli ottomani. A tutte queste meraviglie fanno da sfondo le verdissime sponde del Nilo e gli splendidi villaggi nubiani con case bianche dalle facciate dipinte, dove i pochissimi turisti sono accolti con genuina ospitalità dalla popolazione. Oggi il percorso è quasi tutto su strade asfaltate al posto delle piste che, sino a pochi anni fa, erano l’unica via. Pertanto, nell’ottica della gestione degli spostamenti, è possibile alternare strada e sterrato. Si può effettuare il tour in senso orario o antiorario. Quest’ultima opzione è più diffusa ma, per i patiti

dell’archeologia, è forse più logico vedere alla fine Jebel Barkale soprattutto lo strepitoso sito di Meroe, con le sue 40 piramidi. Nella Nubia l’economia di sussistenza è basata sull’allevamento seminomade di ovini e su una fiorente agricoltura, con il raccolto di cereali e legumi 2-3 volte l’anno. Appena l’irrigazione meccanizzata permetterà di coltivare la terra anche ad alcuni km di distanza dal fiume vi sarà un radicale cambiamento nelle tecniche agricole, ma a questo punto i contadini che vivono qui da sempre saranno spodestati da aziende più grandi. Qui voglio raccontare l’incontro con la gente, sempre sorridente e disponibile a ospitarci per offrirci un tè all’ombra di una tenda e condividere qualche minuto scambiandoci parole e gesti d’amicizia. Dongola al Ajouz oggi è una città morta, con le rovine degli antichi tesori sommerse dalla sabbia, ma in passato era la capitale del regno di Makuria, attivo per quasi 1000 anni tra il VI e il XV secolo. Al tramonto vediamo le qubbe, edifici conici che fungevano da tombe dei marabutti o santoni musulmani. Di prima mattina camminiamo lungo la sponda del Nilo, vediamo il castello – monastero con dietro edifici in rovina, i resti di un tempio romano con colonne di marmo, mosaici, il fiume intensamente coltivato. Tutto è solitario e pacifico. I bei villaggi che incontriamo sul percorso hanno le porte dipinte in colori sgargianti, muretti bianchissimi, tanti fiori. Lungo la strada grosse anfore piene d’acqua sono disponibili per dissetare i viandanti. Terra battuta, polvere sollevata dal vento, gente che si muove su carretti e a dorso di mulo. Siamo proprio in Africa! A Mulwad arriviamo nelle ore più calde della giornata, infatti non c’è nessuno in giro e gli autisti si fermano a riposare nel patio di una casa appena dipinta di marrone. Andiamo in cerca di scorci da fotografare poi, attraverso un fitto palmeto, raggiungiamo le coltivazioni di fave e miglio lungo il Nilo. Sono irrigate da pompe azionate a motore, non più dai cammelli che, anticamente, facevano girare le le ruote ad acqua per 18h/g, con ben tre turni di lavoro di 6h per i poveri animali. Al villaggio c’è un silenzio irreale ma le porte delle case sono aperte, possiamo sbirciare all’interno. In un cortile particolarmente ampio vediamo un mappamondo sullo sfondo, sembra una scuola. Le maestre ci vedono dalle aule, ci fanno cenno di entrare e stare con loro, studenti e insegnanti escono in cortile. Raccontiamo qualcosa dell’Italia, chiediamo come sono organizzati nella scuola, dotata di attrezzature basiche ma dignitose. In ogni classe ci accolgono con un caloroso applauso, si alzano in piedi e fanno domande, quando ci presentiamo dicendo il ns nome e l’età ci stringono la mano, vogliono vedere le foto appena scattate, c’è una piacevole confusione. Alla fine di questa bellissima esperienza facciamo una piccola donazione consegnata bene in vista a una maestra (il preside è fuori città). Torniamo sulla strada asfaltata per

raggiungere Kawa, dove i resti archeologici presso il Nilo sono così di difficile lettura che alcuni gruppi li saltano, in effetti il complesso di templi è quasi completamente sommerso sotto la sabbia. E infine ci fermiamo al villaggio di Selim per la notte. Prima di cena esco credendo di fare foto in santa pace, ma dopo pochi metri sono circondata da bambini che mi vogliono parlare, da una madre che mi offre un ottimo caffè, dal calore umano dei passanti, così tra chiacchiere e strette di mano rientro dopo il tramonto. Visitiamo di primo mattino Tombos con le antiche, ma oggi trascurate, cave di marmo. Il custode ci mostra gli interessanti geroglifici posti al confine tra la Nubia e l’alto Egitto. Solo 20 km a nord c’è la terza cataratta, in località Kagbar. Saliamo per vederla dalla cima del forte ottomano diroccato, una delle tante costruzioni che sorsero soprattutto ad opera di Musulmani e Turchi. C’è una bella visuale sul fiume e sul deserto anche se le acque sono poco impetuose in questa stagione. Cerchiamo un ponton, le vecchie chiatte che attraversano il Nilo utilizzate dai sudanesi come traghetto. Oggi i ponti hanno sostituito quasi completamente i ponton, rendendo il viaggio meno romantico per noi ma più efficiente per i sudanesi. L’unico rimasto è a Kukka, un piccolo porto in versione “minimal”, un luogo di passaggio e d’incontro. Vi si arriva con largo anticipo in attesa che, a un’ora poco definita, un barcone attracchi, scarichi cose e persone e ci faccia salire a bordo. Chiacchiero con tutti, faccio foto, mangio l’ottimo adis con Awad poi la gente accorre sulla riva. Tocca anche a noi salire a bordo a piedi mentre gli autisti si occupano delle Toyota. Dopo 1/2h di attraversamento sbarchiamo sulla sponda ovest, la West Bank che segna l’inizio del cosiddetto deserto libico, una sconfinata distesa di pietre e sabbia interrotta da alti rilievi rocciosi. La zona a nord del Sudan è percorsa più a dorso di cammello che con mezzi a motore. Carovane con centinaia di dromedari partono dalle coste del Mar Rosso e dal sud del Paese verso i mercati egiziani. Gli animali saranno venduti sia ad Assuan (Daraw) sia al Cairo e lungo la costa mediterranea. Questo durissimo percorso è chiamato “il cammino dei 40 giorni” dai cammellieri, molti animali non ce la fanno, stramazzano al suolo e sono abbandonati al loro destino, vediamo numerose carcasse di animali abbandonati. Ma anche per le persone dev’essere un percorso difficile: incrociamo un pickup fermo, con un uomo che armeggia nel vano motore. Ci fermiamo, gli uomini del gruppo cercano una soluzione mentre io gioco a morra con le due donne sedute sul cassone del pickup, ho riscoperto questo passatempo pochi mesi prima nel viaggio in Mongolia, per ingannare il tempo in queste pause. La più giovane è moglie dell’autista, l’anziana è sua suocera e porta vistose scarificazioni sul volto. Sono belle, ben vestite, hanno lo smalto sulle unghie di colore intonato agli abiti, con la dignitosa semplicità tipica delle donne nubiane. La giovane

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parla bene l’inglese, mi racconta che è sposata da sette anni ma non ha figli, non dev’essere una cosa bella per loro. Eravamo giusti sulla tabella di marcia, speravamo di piantare le tende con la luce, quando capiamo che non possiamo risolvere il problema lasciamo il mezzo “nelle mani” di un camioncino di passaggio, l’autista saprà ripararlo. Stiamo per finire le visite a carattere archeologico con gli ultimi siti all’estremo nord del Sudan, Seddinga, Sesibi e Soleb, oltre i quali ci sono solo Sai e Amara prima del confine egiziano di Wadi Halfa. I primi due siti sono poco più di colonne e si vedono da lontano. Il tempio di Soleb, invece, dedicato ad Amon, è in ottimo stato di conservazione e a mio parere è il tempio più bello di tutto il viaggio. Somiglia ai contemporanei templi di Luxor e Karnak anche se ne è stata portata alla luce solo una minima parte, presenta diversi ordini di colonnati riccamente decorati; i pezzi caduti a terra sono visibili ancora meglio. Tutto intorno c’è una città sommersa quasi completamente sotto la sabbia. Fantastico! Negli spostamenti di oggi abbiamo la fortuna di incrociare una decina di mandrie di dromedari che vanno a nord: centinaia di animali procedono in fila, ogni tanto si fermano a brucare dagli scarsi arbusti o a riposare. A metà mattina il custode del tempio ci ospita nella sua bellissima casa e approfitto di fare il punto della situazione con il gruppo, seduti davanti a una tazza di tè. Mangiamo insieme adis e pane caldo, ripartiamo contenti, a breve distanza raggiungiamo Jebel Dosha dove altri geroglifici segnavano il confine tra la Nubia e l’Alto Egitto. Alcuni salgono in cima, io li aspetto alla base; approfitto per passeggiare scalza sul bordo del fiume e bagnarmi i piedi nel Nilo su una sabbia scura e soffice, mi rilasso, incurante di insetti e parassiti che si trovano nell’acqua. Alla fine sulla West Bank del Nilo passiamo 2g scarsi ma intensi, al ponton di Kukka facciamo altri simpatici incontri, in attesa del traghetto e davanti a un caffè.

KASSALALa bella escursione di 3g a Kassala mostra una zona del Sudan diversa dalla Nubia, ha qualcosa in più anche se i tempi e costi incidono sull’economia del viaggio. Non lasciamoci ingannare dalla cartina: la via retta nel deserto di circa 400 km è asfaltata solo in parte e priva di punti d’appoggio. Quindi bisogna seguire il percorso a sud per 600 km, con un tempo di percorrenza di 10h minimo, più soste ed eventuali imprevisti. Tarig arriva sulle 9 con i documenti per noi e gli altri gruppi ANM, io vado rapidamente all’Egyptair con Mousa per la conferma dei voli e, inshalla, alle 11 partiamo, probabilmente dovremo fermarci a dormire da qualche parte lungo il percorso. La prima tratta di circa 200 km fino a Wadi Medani si svolge nella cosiddetta Jezira, una vasta area fertile e intensamente coltivata, ma saltano all’occhio anche le immondizie e le carcasse di animali a

bordo strada. Procediamo lentamente tra il traffico intenso, con tanti camion diretti a Port Sudan che trasportano enormi balle di cotone, presumibilmente verso le fabbriche egiziane. L’ambiente si fa semidesertico, in un animato paese ci fermiamo per pranzare in un ristorantino, c’è un bel souk e numerosi locali attorno alla stazione dei bus. Fa un caldo pazzesco, nel primo pomeriggio siamo di nuovo in strada ma non andiamo lontano: il pickup buca una gomma, per fortuna troviamo un gommista lungo la strada dove sostiamo 1,5h per la riparazione, inclusa la camera d’aria. Scambiamo due parole con gli avventori dell’annesso baracchino, sono giovani con tante aspettative ma vedono il loro futuro fuori dal Sudan, parlo in francese con il più loquace del gruppo che usa le stesse parole chiave dei ns giovani: studio, disoccupazione, emigrazione. È all’ultimo anno dell’Università e potrebbe insegnare nelle scuole, ma senza stipendio perché il governo dice che “non ci sono soldi”. Siamo alle solite, non si tratta più di luoghi comuni, come fa ad andare avanti un paese con questo modo di pensare? Superiamo Wadi Medani dopo le 16,30, all’altezza del bivio per Port Sudan la strada principale è affollata di camion, noi giriamo a dx e il traffico cala

drasticamente. Lo scenario cambia: si susseguono campi arati con terra scura ad arbusti tipo savana, e sullo sfondo grosse rocce vulcaniche popolate da famiglie di babbuini di varie dimensioni. Al posto delle case nubiane vi sono i classici tucul africani, costruzioni con impalcatura di legno e pareti di pelle sormontati da un tetto di paglia, troveremo queste case con diverse fogge anche a Kassala. Procediamo fin dopo il tramonto, a Gedaref ci fermiamo in un orribile albergo a ore, sporco, da dove scappiamo al mattino presto. Kassala ci aspetta! Alle 10 siamo in un souk bello ma sgarrupato dove abbiamo un primo contatto con la tribù locale dei Rashaidia, gente alta e magra, con la pelle più chiara, i capelli folti e lineamenti diversi dai nubiani, forse per la vicinanza con Etiopia ed Eritrea. Le donne di tutte le età sono coperte da un lungo velo nero, ma vendono dei perizomi con pizzo e perline degni quasi di un sex shop. Portano grossi braccialetti alle braccia e ai piedi, vistosi anelli al naso, tatuaggi su tutto il corpo ma nessun segno di scarificazioni al volto come invece fanno i nubiani. Ci rincorrono per salutarci e stringerci la mano, infatti procediamo a fatica e per prendere un caffè nel souk dobbiamo quasi nasconderci. Kassala ci accoglie con viali di palme, fiumi, canali. Sullo sfondo svetta un fronte di montagne che la separa dall’Eritrea, un confine che fino a pochi giorni fa non era nemmeno nei ns programmi. Facciamo un giro della città in auto e cerchiamo subito alloggio. L’hotel Hipton è carino e comodo, dalla terrazza al quarto piano si vede tutta la città, il souk enorme, le aree verdi, Jebel Toteel e le altre montagne, camioncini stracarichi di ogni mercanzia, bambini che tornano da scuola indossando divise colorate. Con questo caldo ci prendiamo 2h da trascorrere al souk. Non mi stanco mai di passeggiare tra le bancarelle, di sorridere alla gente chiedendo indicazioni stradali solo per parlarci, di rispondere orgogliosa ITALIA quando mi chiedono da dove vengo. Solo che non si possono fotografare le persone né gli edifici, siamo stati avvisati chiaramente in tal senso. In questo posto di confine troviamo molti camion di ONG, cartelli magniloquenti con messaggi che ci mostrano i tanti interessi qui concentrati (il vicino campo profughi di Wadi Sherifa ospita oltre 100.000 persone). Compro caffè e zenzero, mangio al volo e nel primo pomeriggio andiamo con le auto a Jebel Toteel, i quartieri fuori dal centro città sono diversi, con case eleganti ma circondate da squallidi tucul dove i ragazzini scorrazzano nella sporcizia, un’immagine che mi colpisce sempre. In teoria è facile salire sulle grosse pietre che portano in cima alla montagna, ma appena inizia un ripido sentiero torno indietro. Alla base di questo parco urbano vi sono dei baracchini che vendono cibo, bevande, souvenir (anche se non abbiamo trovato alcun turista), è un posto piacevole dove passare un

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pomeriggio di relax a fine viaggio. Tra coperture di paglia e panchine colorate con disegni sgargianti scelgo un luogo per la sosta rigorosamente al sole, l’ultimo sole africano prima di iniziare un lungo rientro e affrontare l’inverno in Italia, peccato andarsene. Il caffè, speziato, ci viene servito in una grossa brocca di terracotta dipinta di rosso, accompagnato da un vassoio di popcorn caldi aromatizzati con una salsa colorata al glutammato. Ci avviciniamo al confine in auto fino a un posto di blocco poi torniamo indietro; abbiamo i permessi ma non vogliamo rischiare discussioni. Facciamo il pieno di gasolio e la giornata è quasi finita. Do appuntamento al gruppo in hotel per la cena e prendo 1h di libertà che per me, alla fine di un viaggio, significa sempre andare dal parrucchiere. Vado in un centro estetico dove le clienti hanno lunghi capelli neri, ricci, alla signora davanti a me li stirano con una piastra rovente scaldata su un fornello a gas. La padrona indiana parla un ottimo inglese, tra i vari servizi scelgo shampoo, taglio, piega, pulizia del viso, tatuaggio all’henné. Qui le signore passano il tempo chiacchierando come in tutti i saloni di bellezza del mondo, sono persone semplici ma molto curate, con gioielli e monili particolari e cellulari super moderni. Nel frattempo

la parrucchiera indiana mi racconta la storia della sua famiglia, sparsa tra quattro continenti. Sottolinea con piacere che è da tanti anni in Sudan e, prima di conoscere il marito, studiava a Khartoum dai frati comboniani di cui ricorda con piacere gli insegnamenti. Esco soddisfatta, ben pettinata e con il braccio sx completamente decorato da una bella ghirlanda nera, purtroppo temporanea, che sfoggerò in Italia per qualche giorno. In hotel il gruppo sta già mangiando la pasta, una cena frugale, segno che il viaggio volge agli sgoccioli. Un mese dopo il ns rientro, mentre scrivo, ancora mi pare strano di avere impiegato 10h, dalle 8 alle 18, per rientrare a Khartoum il terzo giorno: quei maledetti 600 km richiedono tanto tempo, anche senza intoppi né lunghe soste, nemmeno per pranzare. Riconosciamo le tappe che percorriamo a ritroso: montagne, campi coltivati, savana, babbuini, villaggi, i sobborghi della capitale, incluso il cartello rosso che indica Salam, l’ospedale di Emergency. Passiamo al souk a restituire la bombola di gas poi all’hotel Sharga cediamo gli “avanzi” della cassa cucina agli autisti, diamo loro la mancia e li salutiamo. Cena, taxi, hotel, doccia, bagagli, aeroporto. Fa

freddo, c’è una gran coda per entrare e varie persone prima di noi. Quando chiamano il volo per il Cairo passiamo i controlli bagagli senza intoppi, e con un paio di voli il giorno dopo siamo di ritorno in Italia, stanchi ma contenti.

MANIHo stretto più mani nelle due settimane trascorse in Sudan che in tutto l’anno in Italia: mani piccole e grandi, mani calde e fredde, mani ferme e tremanti, mani lisce e rugose. Ho salutato tutte le persone che trovavo sul mio cammino con un gesto della mano, quelle che dalla strada, o da un’auto in corsa accanto a noi, incrociavo con lo sguardo. Guardandomi mi dicevano: “Ehi ciao, che ci fai in questa terra arida, arsa dal sole tutto l’anno, sferzata da tanto vento, bagnata da poca pioggia? Se sei qui per il petrolio ok, per i diamanti e le altre risorse celate nel sottosuolo ok, ma che altro potresti venire a fare in Sudan?” E io a spiegare che stavo facendo un tour nella Nubia, la favolosa terra a sud dell’Egitto che, prima ancora dei Faraoni, fioriva di commerci e attività con tutto il continente, la penisola arabica e l’Europa.Ho scambiato poche ma significative parole con tutti, fino a salutarci con un abbraccio sentito. Ho visto il sorriso nei volti della gente che vive con poco ma va sempre avanti, che trasporta i prodotti della terra a dorso d’asino come si faceva da noi decenni fa, con una lentezza inimmaginabile nella nostra società. Ho visto persone di tutte le età costruirsi una nuova casa con le proprie mani, iniziando dai mattoni di fango seccati al sole. Tanto lo spazio c’è, la materia prima non manca, e soprattutto siamo in Africa, dove il tempo non ha importanza. Ho visto impastare il pane con le mani, mescolare l’insalata – pomodori, cetrioli, cipolle, peperoncini, lime – con le mani, per poi portarla alla bocca in una taschina di pane, rigorosamente senza posate né tovaglioli come piace a me. Il volto e le mani sono le parti del corpo che, negli uomini come nelle donne, restano più spesso scoperte: senza essere esibite né nascoste, senza inutili pudori, senza paura se per un attimo il vento scopre i capelli sotto un turbante bianco o sotto il velo, lungo e coloratissimo, che tutte le donne sudanesi portano sin dai primi anni di vita. Ho battuto le mani insieme ai bambini della scuola di Mulwad, felici di conoscerci almeno quanto le loro quattro maestre che, per prime, ci hanno fatto entrare nel cortile della scuola per un gradito fuori programma. Ho fotografato mani ingioiellate come quelle della ragazza di Kerma, dipinte con elaborate decorazioni dai motivi più diversi, eseguite con henné rosso o nero. E ora che sono tornata in Italia piena di pensieri, travolta dai ricordi e dalle emozioni di questo viaggio speciale, ho anch’io le mani decorate, con un motivo che non resterà, temporaneo come le cose della mia vita ma non per questo meno bello. Salam Sudan, Shukran Sudan.

RACCONTI DI VIAGGIO | Sudan