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Congresso Regionale di Legambiente Toscana Rispescia (ex - Enaoli) 22 / 23 novembre 2003 Per un ambientalismo forte e solidale Documento congressuale

Rispescia (ex - Enaoli) 22 / 23 novembre 2003 Per un ... · 3 1) SCENARI GLOBALI 1.1) IMPERO “Francesco rifiutava qualsiasi disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne

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Congresso Regionaledi Legambiente Toscana

Rispescia (ex - Enaoli)22 / 23 novembre 2003

Per un ambientalismoforte e solidale

Documento congressuale

Page 2: Rispescia (ex - Enaoli) 22 / 23 novembre 2003 Per un ... · 3 1) SCENARI GLOBALI 1.1) IMPERO “Francesco rifiutava qualsiasi disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne

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“Il degrado dell'ambiente naturale sta letteralmente cambiandola terra sotto i nostri piedi. Stiamo consumando in modo scriteriatoacqua, aria, terra ed energia.Stiamo cancellando la bellezza stessa dell'Europa, il frutto di unanatura generosa e di secoli di lavoro e di genio artistico.Se non facciamo della difesa dell'ambiente una priorità assolutaincorporando le ragioni della natura in tutte le nostre politiche,impoveriremo in modo irrimediabile le nostre società.Ogni generazione ha il dovere morale di lasciare a quelle che laseguiranno la possibilità di vivere una vita migliore.Con il nostro disinteresse per l'ambiente stiamo venendo meno aquesto impegno di umanità.” (Romano Prodi, 2003)

Indice

Capitolo 1: SCENARI GLOBALI

Paragrafo 1.1) IMPERO ...................................................................................................... 3Paragrafo 1.2) EUROPA ..................................................................................................... 6Paragrafo 1.3) UTOPIE ....................................................................................................... 8

Capitolo 2: L’ANOMALIA TOSCANA NELL’ANOMALIA ITALIANAParagrafo 2.1) PREMESSA DI FONDO ........................................................................... 10Paragrafo 2.2) POLITICHE AMBIENTALI NAZIONALI (O PRESUNTE TALI…) .... 12Paragrafo 2.3) IN TOSCANA: VERSO UN’ ECONOMIA ECOLOGICA? .................... 14

Capitolo 3: SCENARI LOCALI OVVERO: LE LINEE D’AZIONE DI LEGAMBIENTE TOSCANA

3.a) sulla risorsa acqua e sul rischio idraulico ........................................... 173.b) sulle aree protette e la biodiversità ..................................................... 203.c) sulla fauna e le politiche venatorie ..................................................... 233.d) sulla ruralità ........................................................................................ 253.e) sull’energia ......................................................................................... 283.f) sull’innovazione tecnologica e le politiche industriali ....................... 303.g) sull’educazione ambientale e le politiche per la formazione ............. 343.h) sulla solidarietà .................................................................................. 373.i) sui beni culturali e storico/artistici ..................................................... 393.l) sull’urbanistica e il governo del territorio .......................................... 413.m) sulle infrastrutture e la mobilità ......................................................... 433.n) sulle politiche di gestione dei rifiuti ................................................... 45

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1) SCENARI GLOBALI

1.1) IMPERO

“Francesco rifiutava qualsiasi disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne egli contrapponevauna vita gioiosa che comprendeva tutte le creature e tutta la natura: gli animali, Sorella Luna, Fratello Sole,gli uccelli dei campi, gli uomini sfruttati e i poveri, tutti insieme contro la volontà di potere e la corruzione.Nella post-modernità, ci troviamo ancora nella situazione di Francesco, a contrapporre la gioia di essere allamiseria del potere…” (M. Hardt, T. Negri, 2000)

“Oggi, con la continua diminuzione dei costi di trasporto e delle comunicazioni, ci troviamo di fronte ad unprocesso di globalizzazione analogo a quello che diede luogo alla formazione delle economie nazionali.Sfortunatamente, però, non abbiamo un Governo Mondiale, responsabile davanti ai cittadini, che possasovrintendere a questo processo. Abbiamo invece un sistema, che potrebbe definirsi di governance globalesenza governo globale, in cui poche Istituzioni e pochi protagonisti – la Banca Mondiale, il FMI e il WTO –dominano la scena, mentre molti di coloro che ne subiscono le decisioni non hanno praticamente voce incapitolo…” (J. E. Stiglitz, 2002)

“Per provare quanto sia facile giocare con la vita delle persone, basta osservare ciò che succede inPalestina, dove un Muro segue imperterrito il suo tracciato e decide delle sorti di un intero Popolo. Se ilmuro psicologico tra occupante e occupato è chiaramente percepito da qualsiasi bambino palestinese, ilmuro fisico, in costruzione, è un marchio che supera i caratteri dell’apartheid messo in atto in Sudafrica”

(A.Bishara, 2003)

Rappresentare oggi scenari globali da una postazione modesta ed eccentrica,da più punti di vista (geopolitico perché l’analisi proviene da un comitato regionale, dicontenuto perché da un pulpito di nicchia qual è l’ambientalismo scientifico), potrebbesembrare un po’ velleitario. E tuttavia, poiché siamo convinti che per interpretare bene lanostra realtà locale dobbiamo avere ben presente gli scenari planetari in cui essa siinscrive, sentiamo l’esigenza di tracciare un ‘nostro’ scenario glocale, attraverso la cuiinterpretazione cogliere i nessi problematici da cui enucleare possibili linee d’azione sulnostro territorio. Tanto più doverosa come esigenza, partendo essa da una terra che fufertile campo di elaborazione politica di personaggi della statura di Piero Calamandrei e diGiorgio La Pira. Toscana, quindi, terra di pace, terra del mondo.

La fine della Guerra Fredda e la Caduta del Muro di Berlino hanno creato le condizioni perla nascita di quello che Hardt e Negri hanno definito Impero. Un’entità che prescinde dallalogica classica di Sovranità degli Stati-Nazione ma che si nutre invece della sovranità,impalpabile e assoluta, di istituzioni sovranazionali, quali la Banca Mondiale, il FondoMonetario Internazionale e il WTO. Secondo questo schema, è ingenuo pensare quindiallo strapotere USA come ad una causa dell’Impero. Semmai non ne è che unaincarnazione. Una delle guaste conseguenze di esso. La globalizzazione, così, ha creatonuovi paradigmi politici, nuovi spartiti per nuove divisioni... E che tale ordine nascenteabbia creato ansie diffuse e profonde è dimostrato dal fatto che già dal 1995 l’ONU hapensato bene d’istituire una Commissione speciale, detta per la Governance Globale. Unasorta di contrappeso artificiale in cui coinvolgere col metodo della concertazione attoriclassici quali i governi statali, ma anche attori nuovi e sorprendenti come le ONG o i massmedia. Ecco il prodromo concettuale grazie al quale è stato possibile assistere alla nascitadel Movimento, al suo battesimo ufficiale nella Seattle del 1999. Un mondo globalizzatosenza governo globale non avrebbe potuto che determinare un risveglio diffuso e potentedella coscienza politica della Società Civile. Lo strapotere di poche multinazionali e delle

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Istituzioni di Bretton Woods, abbiamo detto, hanno creato forti preoccupazioni. Acuitedall’elezione di G.W. Bush Jr. alla Presidenza USA, determinata in modo prepotente dallalobby del petrolio. Per l’ambiente e le politiche sociali una vera e propria iattura, non c’èche dire! A questo scenario, già deprimente, ecco la sovrapposizione della catastrofedell’11 settembre 2001. Una sciagura di proporzioni ancora difficilmente valutabili. Lungi,infatti, dall’aver imposto la necessità di riflessioni ragionevoli all’Impero, l’11 settembreha invece prodotto effetti diametralmente opposti a quelli sperati. La bramosia di sicurezzaha legittimato quel mostro giuridico che è di fatto la Guerra Preventiva. L’indisponibilitàUSA a contrattare sui propri stili di vita (opulenti e insostenibili) ha di fatto resoimpossibile la ratifica esecutiva del Protocollo di Kyoto. Sul piano dei diritti umani, infine,il rifiuto dell’istituzione del Tribunale Penale Internazionale ha di fatto sospeso, sull’altaredella sicurezza militare, conquiste civili dell’individuo che mai e poi mai ci saremmoaspettati che fossero rimessi in discussione. Guantanamo insegna.

Ma c’è un’ulteriore conseguenza delle politiche post 11 settembre: la necessità diannientare ad ogni costo il terrorismo islamico e quindi, a corollario del target prioritario,l’esigenza di bonificare il Medio Oriente. Qui la questione geopolitica si fa tutt’una con laquestione ambientale. Dilazionare a piacimento la data di cessazione della dipendenza dalSistema Petrolio ha convinto l’amministrazione Bush ad invadere e ad occuparestabilmente l’Iraq, ricordiamolo secondo Paese al mondo per riserve di oro nero. L’altroobiettivo era di inserire un Cavallo di Troia di presunta civiltà democratica per irradiarel’intero Medio Oriente di effetti positivi. Qui cogliamo tutto l’etnocentrismo culturale etutta l’autoreferenzialità ottusa dell’Amministrazione Neo-Con statunitense. Bush, vinta laguerra, non riesce però a vincere la pace. Per un semplice motivo. Non conosce ilsignificato di quella parola. Essa è, infatti, del tutto estranea al suo orizzonte culturale.

Le orribili stragi di Nassiriya e di Istanbul dei giorni scorsi, che di colpo hanno reso lasituazione mediorientale di strettissima attualità, lungi dal farci assumere posizionipatriottarde davvero fuori luogo, ci debbono rafforzare nelle convinzioni assunte durantele grandi manifestazioni per la pace dell’ultimo anno. La nostra opposizione ad ogni tipodi fanatismo terrorista (che sia islamico, internazionale o, peggio ancora, antisemita) èirriducibile e inequivocabile. Dobbiamo batterci pertanto, anzi, a maggior ragione,affinché le missioni italiane si connotino d’ora in avanti solo per le loro funzioniumanitarie, e che quindi possano prescindere totalmente dalla logica delle armi, una logicaviziosa e perversa che alimenta anziché prevenire il terrorismo. Non ce lo impongonosoltanto la nostra Costituzione e la nostra storia, ma la nostra stessa opinione pubblica.

Il conflitto in Iraq, infatti, molto più di quello in Afghanistan, ha sancito una volta per tuttela morte politica dell’ONU e delle funzioni che erano state per esso concepite all’indomanidel II Conflitto Mondiale. Una ferita sanguinante e ancora aperta per chi come noi si erafatto illusioni sul ruolo essenziale dell’istituzione presieduta da Kofi Annan. Sotto traccia,strisciante, allora subiamo un nuovo incubo: quello dello scontro tra civiltà. Ecco ergersi asimbolo di questo nuovo steccato post-ideologico il Muro di Cisgiordania. Un muro, sibadi bene, che segna un’incomunicabilità innanzitutto prepolitica, diremmo quasiantropologica tra due popoli e due civiltà. Dimostrazione ne sia che il muro di Sharon èstato voluto e poi benedetto persino da intellettuali progressisti come Yehoshua.

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La posizione di Legambiente a tal riguardo è chiara. Finché non si sarà risolta in chiavenegoziale la questione palestinese la regione sarà sempre e comunque instabile. Dallasoluzione pacifica e solidale di questo conflitto dipendono infatti i destini delle politiche dipotenza dell’Impero. Se l’area, grazie al lavoro paziente delle colombe dei due Stati, sipacificasse in modo endogeno e secondo criteri non militari, lo smacco per gli USA e iloro alleati avrebbe del clamoroso, e determinerebbe effetti-domino tanto fecondi quantoimprevedibili per l’intera regione medio/orientale. In questo senso, apprezzabili econdivisibili, per quanto venati di una certa utopia, sono gli sforzi compiuti dal ConsiglioRegionale Toscano e dalla Giunta Martini verso l’opzione negoziale di cui sopra.

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1.2) EUROPA

“Forse un giorno noi europei capiremo che gli isterismi antiamericani, la presunzione di stare ancora alcentro del mondo come se il Novecento non fosse mai passato, sono un segno di debolezza. Che ci rende unpo’ ridicoli. Quanto agli Stati Uniti, presto potrebbero accorgersi che a forza di dissodare l’orto europeo per iloro immediati interessi, non vi troveranno più ciliegie da cogliere…” (L. Caracciolo, 2003)

“La peculiarità del Vecchio Continente, il suo passato che in qualche modo ne fa una realtà antropologicadel tutto particolare, la sua non ancora totale assimilazione alle regole predatorie della competitività,sembrano vissuti dai suoi stessi popoli e soprattutto dai governanti dei medesimi, come un freno, un datonegativo, più che come un bagaglio di civiltà da usare positivamente e attivamente…” (C. Ravaioli, 2003)

“La CEE è nata dal sogno di alcuni visionari, che volevano realizzare la pace perenne nel VecchioContinente attraverso l’integrazione tra gli stati europei. Altri visionari più recenti hanno pensato chel’Unione Europea potesse diventare l’area economica più dinamica al mondo, il leader mondiale del sapere edella tecnologia. Oggi siamo in attesa di nuovi visionari che sappiano interpretare le aspirazioni delle nuovegenerazioni, ormai poco motivate dal timore di una guerra europea e bisognose di nuovi obiettivi…”

(U. Poletti, 2003)

Nel contesto descritto nel precedente capitolo, per la verità, una variabile‘impazzita’ che potrebbe mitigare gli effetti della cattiva globalizzazione e l’ingiustizia delsistema imperiale, ci sarebbe... Questa variabile che è, al contempo, una fragile speranza,si chiama Europa. Presidio antico di civiltà ma al tempo stesso fucina dei peggioritotalitarismi della storia, l’Europa potrebbe rappresentare un argine credibile all’iniquità(sociale, economica, ambientale). Potrebbe, se solo si rendesse conto della necessità dirompere gli indugi sul versante dell’Unione politica. Un ambientalismo forte e maturo,portatore dei valori di quel nuovo umanesimo che vogliamo qui rappresentare, non puònon avallare un’idea di Europa unita, sotto l’insegna dei principi cardinali della coesionesociale e della sostenibilità (economica = ecologica). Questi principi sono capaci, secondonoi, di mitigare in modo significativo gli istinti animali della pura e semplice competitivitàdel mercato.

La definizione di Sviluppo Sostenibile, coniata nel lontano 1987, dalla Commissionepresieduta dalla norvegese Gro Harlem Bruntland, a ben vedere, è ancora attuale se lariuscissimo a restaurare nel significato autentico delle sue asserzioni. Troppemaggioranze, di troppi colori politici, l’hanno disinvoltamente fatta propria, svuotandoladi fatto dei suoi contenuti originari. Ecco, tutti, dovremmo fare un po’ di fellinianosilenzio per riuscire a capire, per riuscire a ‘ricordare’ il senso autentico di quelle parole:“soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità per legenerazioni future di soddisfare i propri...”.

Sicuramente improntati a tale filosofia sono, sul piano delle politiche europee, la Direttiva2001/42/CE ed il VI Programma di Azione Ambientale della UE. La Direttiva 42 sancisceuna volta per tutte due principi basilari che devono d’ora in avanti informare le legislazioninazionali e regionali della Comunità: 1°) le politiche ambientali delle regioni europeedebbono fondarsi sul Principio di Precauzione; 2°) ogni redazione di piani e/o programmidovrà essere accompagnata da una valutazione degli effetti determinati sull’ambiente.Questa direttiva, tra l’altro, è alla base dell’attuale processo di revisione della L.R.5/95 sulGoverno del Territorio. A questo processo di revisione Legambiente Toscana, insieme allealtre associazioni ambientaliste, sta contribuendo fattivamente, da mesi.

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Il VI Programma di Azione Ambientale dell’Unione Europea (2002) presenta una strategiachiara e condivisibile, peraltro assunta in toto dal recentissimo Piano Regionale di AzioneAmbientale della Toscana, che si articola in 4 settori d’intervento: 1) cambiamenticlimatici, 2) natura e biodiversità, 3) relazione salute/ambiente, 4) dematerializzazionedell’economia e riduzione dei rifiuti. La novità essenziale del programma europeo sta nelfatto che questi quattro settori d’intervento non sono contemplati come entità a sé stanti,bensì secondo un approccio strategico integrato (o principio d’integrazione). Tutti concettied assunti teorici che, per quanto condivisibili, responsabilizzano molto chi li sottoscrive.Per questo, anche in Toscana, Legambiente si farà carico di verificare se alle buoneintenzioni corrisponderanno buone pratiche di governo del territorio...

Da ultimo, uno scenario di speranza. Il nostro desiderio è quello di vedere un’Europaunita, costruita attorno al nucleo dei Paesi fondatori*, con un forte senso della coesionesociale e nel rispetto delle differenze: linguistiche, etniche, culturali e religiose. Un’Europache sia la faccia pulita e presentabile dell’Occidente, una nuova realtà geopolitica che siafinalmente capace di sgretolare la staticità opprimente e globalizzante dell’Impero. Ungrande, vecchio continente che sappia irradiare valori di pace e fratellanza tra i popoli eche conquisti una sorta di leadership morale con la sola forza della sua cultura antica, chepremia la dignità umana, la difesa dello Stato Sociale ed il rispetto per l’ambiente.

* Si vuole qui esplicitare un dubbio che diversi analisti, da molteplici tribune, hanno messo in rilievo. Sepermane cioè un assetto dell’U.E. basato sulla contrapposizione tra nucleo franco-tedesco (fortementeautonomista rispetto al vincolo atlantico) e opzione filoamericana (opzione sposata da Regno Unito,Spagna, Paesi dell’Est e, in modo più innaturale, visto che trattasi di Paese Fondatore, dall’Italia), ilrischio è che ad ogni allargamento (per quanto legittimo e auspicabile a livello ideale) si perda un po’ dicoesione politica e un po’ di autonomia dagli USA. L’obiettivo che Prodi e i veri europeisti si stannoponendo, invece, oggi, alle soglie della ratifica della Convenzione Europea, è quello di diventare partnerse non servi degli Stati Uniti d’America. E su questa prospettiva, che è anche una scommessa,Legambiente investe la propria speranza di associazione ecologista e costruttrice di pace.

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1.3) UTOPIE

“L’intuizione del Movimento No-Global ha dunque anticipato quello che dopo l’11 settembre è assurto alrango di un’ufficiosa certezza: a lungo termine senza giustizia non ci sarà pace. Non che questa idea fosseoriginale. Ma adesso che si è radicata non sarà più tanto facile rimuoverla. L’era della globalizzazionetrionfante si è chiusa con l’attacco alle Torri Gemelle…” (W. Sachs, 2002)

“Ci troviamo, oggi, all’inizio di una nuova epoca storica: tutte le strade sono ancora aperte. Ilgenio dell’uomo ha addomesticato l’idrogeno, la materia delle stelle e del sole, e ora può sfruttarlo per leproprie necessità. Tracciare la giusta rotta fin dall’inizio di questo viaggio è essenziale, se vogliamo che l’eradell’idrogeno diventi una realtà sostenibile per i nostri figli e un lascito prezioso per le generazioni avenire…” (J. Rifkin, 2002)

“La rivoluzione guidata dalle multinazionali collasserà, se ci rifiutiamo di comprare quel che vendono: leloro idee, la loro versione della storia, le loro guerre, le loro armi, la loro nozione di inevitabilità. Ricordatequesto: noi siamo molti e loro in pochi. Loro hanno più bisogno di noi di quanto noi abbiamo bisogno diloro. Un altro mondo non solo è possibile, ma sta arrivando. In un giorno di quiete, possiamo sentirne ilrespiro…” (Arundhati Roy, 2003)

C’è qualcuno che, un po’ pomposamente, l’ha definito la II Superpotenza mondiale.C’è invece chi non perde occasione per minarne la credibilità additandolo come cullaideale per ogni sorta di terrorismo (islamico, internazionale, brigatista). C’è, infine, chicome noi, più modestamente, giudica il Movimento New Global come l’unica, vera,grande novità politica nello scenario internazionale degli ultimi anni. Una novitàprorompente e viva, che è stata capace di intercettare tensioni sociali, rivendicazioni edidealità così forti, da indurre di nuovo moltitudini di giovani all’impegno politico. DaSeattle a Cancun, passando per Porto Alegre e Firenze, in un crescendo di emozioni e dierrori, di incontri e di scontri. La nostra associazione, anticipatrice di tanti temi forti delMovimento, già a partire dal suo ultimo Congresso Nazionale (’99), dove la kermesse nona caso era intitolata NONSOLOMERCI: L’AMBIENTALISMO OLTRE IL 2000, ha portatonei Fori Sociali la questione ambientale. Con forza e sagacia. Si è così scongiurato il solitovizio di tante formazioni post o ex marxiste di leggere la realtà esclusivamente con gliocchiali dell’economia.

Il Forum Sociale Europeo di Firenze dell’anno scorso l’ha dimostrato una volta per tutte.63.000 giovani hanno assistito e partecipato ai lavori della sola convegnistica.Nell’agenda, oltre ai temi della pace, del commercio equo e solidale, della finanza etica,c’erano i cavalli di battaglia della nostra tradizione politica: l’energia pulita da fontirinnovabili, la tutela della risorsa idrica, la promozione di un’agricoltura di qualità e OGMfree, la bioarchitettura ecc... Uno straordinario successo, politico e organizzativo, delMovimento e, al suo interno, in particolare, di Legambiente. Un successo liscio, senzaneanche un’ombra, culminato nell’oceanica manifestazione per la pace del 9 novembre.Un corteo quello, pacifico e pacifista, colorato e festante, che ha saputo conquistare congradualità Firenze, all’inizio contratta e preoccupata a causa di una stolta campagnamediatica basata sulla paura. A quanti, come noi, hanno avuto la fortuna di percorrere viaDe Sanctis il 9 novembre 2002 non credo serva nessun ulteriore ricordo. Un tripudio difolla in basso e, come nei palchetti di una quinta teatrale spontanea, tanta gente felice suitanti balconi, ai vari piani dei palazzoni anni Sessanta. Un vero e proprio trionfo, dal qualeè emerso forte e chiaro il nostro no incondizionato alle guerre preventive dell’Impero.

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Ma la vita del Movimento è contrassegnata da mille appuntamenti. Così, inevitabilmente,procede per scarti, tra alti e bassi. Il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile diJohannesburg, che aveva preceduto solo di qualche settimana il FSE di Firenze non erastato altrettanto foriero di buone notizie. Anzi. Gli USA che rifiutano di aderire alProtocollo di Kyoto e che mettono in gravissima crisi il metodo multilaterale nellerelazioni internazionali, una trattativa ai livelli istituzionali condotta con profilobassissimo. Insomma, a dieci anni dallo storico summit di Rio, un vero e proprio flop.

E a noi ambientalisti toscani, notoriamente esosi e polemici, non può bastare la ratifica, inquell’occasione, della Dichiarazione di Gauteng della Regione Toscana, unica regioneitaliana con altre 22 istituzioni sub-nazionali di tutti i continenti. Un patto quello cheimpegna le regioni firmatarie a costituire una rete cooperativa transnazionale perl’implementazione di politiche finalizzate allo sviluppo sostenibile locale. Una ratificaimportante, lo ammettiamo, a patto che non si trasformi nell’ennesimo colpo teatrale di undicastero che cura bene la comunicazione ma che spesso non fa seguire i fatti alle parole...Parafrasando De Gregori non è mica da questi particolari che si giudica una Regione.

E arriviamo a Cancun 2003. Se Doha 2001 aveva sancito l’entrata ufficiale della Cina nelWTO e la parziale vittoria dei paesi in via di sviluppo sulle politiche anti-dumping, lakermesse messicana dello scorso settembre ha fatto letteralmente saltare il banco deinegoziati. A parte un eccesso trionfalistico, che pure c’è stato in qualche resoconto delvertice, la verità è che la trattativa è fallita per la determinazione fortissima del G22 achiudere l’epoca dei sussidi all’agricoltura dei paesi ricchi. Se ci pensiamo bene l’iniquaregola del doppio standard per cui l’opulento Occidente ha preteso da una parte libertà diprivatizzazione di beni e servizi nel Sud del mondo e dall’altra un protezionismooltranzista della propria economia, è il marchio d’infamia che ha segnato l’epoca delpensiero unico e posto le basi motivazionali all’11 settembre 2001.

Pensiamo a quanto anche una regione come la Toscana avrebbe da guadagnare se siabbandonassero le scellerate politiche comunitarie delle sovvenzioni a pioggia e siinaugurasse invece una politica di sviluppo locale basato sulla qualità... Una qualità chenon può prescindere dall’innovazione dei processi produttivi. Pensiamo ad esempio adalcuni nostri prodotti tipici: Lardo di Colonnata, Pecorino di Pienza e Brunello diMontalcino; se davvero riuscissero a difendersi (in questo caso, sì, legittimamente) dallaconcorrenza sleale loro opposta dalle volgari imitazioni d’Oltreoceano, non potrebberoforse far decollare definitivamente la nostra particolarissima e pregiata economia rurale?La Toscana, come la gran parte delle regioni europee, non può competere infatti sul pianoquantitativo con paesi come la Cina. E’ la qualità, quell’intreccio irriducibile di natura,saperi, cultura ed identità, una delle strade maestre che si aprono davanti a noi.Percorriamola, con coraggio, con altruismo, con fantasia...

Ma c’è anche un’altra Toscana, che non dobbiamo assolutamente permetterci il lusso ditrascurare. Ed è la Toscana dei tanti distretti manifatturieri e dei grandi poli energeticiinterregionali. Qui la scommessa dobbiamo giocarla, ancora una volta, tuttasull’innovazione tecnologica, sulla dematerializzazione dei processi economici, in unaparola sulla ricerca tecnico-scientifica. Uno scenario non solo possibile, ma necessario!

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2) L’ANOMALIA TOSCANA NELL’ANOMALIA ITALIANA

2.1) PREMESSA DI FONDO

“Quello che sta accadendo alla nostra società – sulla base di tutta una serie di spinte di carattere culturaleche sono alimentate in parte dall’antipolitica, in parte dallo scavalcamento del primato regolativo dellapolitica, che si tende a sostituire con un primato dell’economia – è l’affermarsi di un grave equivoco circa ilsignificato del concetto di sovranità popolare. Equivoco in base al quale s’immagina che chi ottiene lamaggioranza possa tendenzialmente tutto…” (D. Fisichella, 2003)

“Ciò che caratterizza la fase attuale della lotta politica in Italia è che non ci troviamo di fronte ad unnormale cattivo governo né all’anticamera di un regime classicamente fascistoide. E tuttavia concludere che,se non ha la natura di quest’ultimo, allora il Governo Berlusconi è da considerarsi soltanto un cattivogoverno, significa non comprendere il suo specifico segno storico/politico e i compiti che esso assegnaall’Opposizione…” (M. L. Salvadori, 2003)

“L’errore culturale, gravissimo e imperdonabile delle Brigate Rosse, fu di credere, un po’ alla maniera diPolibio, che la storia è un ciclo che si ripete sempre. Pensavano di ripetere l’esperienza del 1944-’45, erroreimperdonabile, perché il politico non può fare errori di questo genere, se sbaglia poi pagherà e pagheràduramente…” (L. Canfora, 2003)

Partiremmo, se possibile, da un ricordo. Il ricordo di una discussione di moltianni fa, innescata da Giorgio Ruffolo e Alex Langer. Il primo sosteneva chel’ambientalismo era un sintomo e che era compito della politica, in particolare dellaSinistra, individuare i rimedi. Langer sosteneva invece che l’ambientalismo era anche unaterapia o comunque parte di essa. Noi di Legambiente Toscana sposiamo quest’ultima tesi.Senza condizioni. Per questo ci è più facile, da una tribuna speciale come quella dellanostra regione, criticare l’idea stessa di Governo Berlusconi, senza per questo correre ilrischio di appiattirci su posizioni precostituite di coalizioni o partiti. Ci rendiamo conto diquanto questa nostra posizione possa apparire velleitaria, in un contesto così complesso etanto più grande di noi. Tuttavia, questo non ci sembra un buon motivo per rinunciare allenostre opinioni, largamente maggioritarie tra i nostri soci e simpatizzanti.

Dal Governo Berlusconi non ci separano soltanto concezioni diverse della tutelaterritoriale (tutta a posteriori, episodica e persino impacciata la sua, basata sul radicalecambiamento di stili di vita e di modi di produzione la nostra), ma anche dello stessoimpegno politico. Per esso una palestra narcisistica di ambizioni individuali, per noi unostrumento per promuovere la vivibilità collettiva. Per questo quando sentiamo esponentigovernativi diffondersi sulla necessità di detoscanizzare l’Italia inorridiamo. Lungidall’essere il buco nero della democrazia in Italia, la Toscana rappresenta invece, ed oggia maggior ragione, un avamposto di resistenza democratica da preservare come si fa, inetologia, di fronte ad una specie protetta. Non che le nostre istituzioni e le nostre autoritàin campo ambientale brillino per particolare acume strategico, ma, quanto meno, possonoessere affrontate sul terreno esclusivo della politica. Non è poco, coi tempi che corrono.

Ed è anche per le suddette ragioni che Legambiente Toscana, con alcuni suoi circoli, haritenuto opportuno partecipare attivamente alla costituzione e alle attività dei Girotondiper la Democrazia. Un’attività straordinaria e festosa che ha intercettato un’altra fettaimportante dell’impegno civile ridestatosi nel nostro Paese in questi ultimi mesi. Unimpegno finalizzato a tutelare da un lato l’autonomia della Magistratura e la cultura dellalegalità, dall’altro il pluralismo dell’informazione e, tout court, la libertà di espressione.

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J.L. Borges, nel suo Evaristo Carriego, argomentava che un luogo crea i suoi abitanti ed èa sua volta da essi ricreato. Ecco, la Toscana è esattamente questo. Un paesaggiofortemente antropizzato che rappresenta il suo vissuto millenario con sobria teatralità. Ilpaesaggio della mezzadria come quello dei pascoli appenninici, la civiltà del castagnocome la dura epopea del marmo. E’ davvero difficile credere che tanta sapienza, che tantatessitura paziente e sofferta del territorio, possa aver prodotto un substrato che è la fucinaideale per il terrorismo d’accatto che viene disvelato proprio in questi giorni dalle Forzedell’Ordine. Di più: il brigatismo in quanto tale, oggi, non solo è ormai estraneoantropologicamente alla geografia del nostro Paese, ma anche alla sua storia. Quindicertamente al Movimento. In questo senso, ci preme sottolineare una cosa. SpessoLegambiente ha avuto modo di prendere le distanze dai metodi e dalle idee dei variCasarini, Caruso e Bernocchi. Oggi, però, non possiamo non solidarizzare con loro quandodenunciano il tentativo davvero sporco di criminalizzare un’area del Forum Sociale perdestabilizzare l’intero Movimento, sulla scorta dell’avventatissima equazione“disubbidienza sociale” = “anticamera del terrorismo”. E’ una equazione falsa. Spocchiosae tipica di chi parla senza conoscere. Da respingere con forza almeno pari alla radicalitàcon cui respingiamo metodi che non siano quelli del pacifismo non-violento.

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2.2) POLITICHE AMBIENTALI NAZIONALI (O PRESUNTE TALI…)

“Dalla relazione che ha presentato la Legge Obiettivo in Parlamento, si apprende che l’ordinamentogiuridico ordinario non è sufficiente non perché ce n’è poco, ma perché ce n’è troppo (…). Occorre quindiuno strumento più efficiente e spedito, per l’appunto la Legge Obiettivo: tutte le altre leggi che le sono diostacolo vengono disapplicate. Una volta quelli che disapplicavano le leggi venivano chiamati fuorilegge,oggi compongono la governance e la deregulation…” (G. Bocca, 2003)

“Il black out di un’estate particolarmente calda e siccitosa ha riportato l’attenzione sul sistema elettriconazionale, catalizzando un interesse che si era raggiunto solo ai tempi della prima crisi energetica e dopoChernobyl. L’emergenza creatasi è stata utilizzata per rilanciare la realizzazione di nuove centrali e persbloccare il disegno di legge di riforma del mercato energetico. Gli ambientalisti, dal canto loro, hannosottolineato l’urgenza di far decollare i programmi per l’efficienza energetica e di sventare il lentostrangolamento in atto delle fonti rinnovabili…” (G. Silvestrini, 2003)

“Nessuna pur comprensibile esigenza di bilancio può giustificare una norma che finirebbe per premiare ifurbi e i disonesti e penalizzare i cittadini rispettosi delle leggi. Il solo annuncio di un Condonodell’abusivismo (il terzo dal 1985 a oggi…) sta già alimentando quella vera e propria industria del cementoillegale, caratterizzata da forti e comprovate connessioni con la criminalità organizzata, che rappresenta unagravissima minaccia per il patrimonio ambientale, storico e archeologico del nostro Paese…”

(E. Realacci, 2003)

Domanda prima. Qual è l’idea di sviluppo di questo Governo? Semplice:promuovere le grandi opere, creare occupazione drogando una domanda fittizia diinfrastrutture. Cementificando, costruendo, in una parola deturpando. Domanda seconda.Quale idea di ambiente proiettano verso l’esterno Palazzo Chigi e Matteoli? Ancora piùelementare: un ambiente da tutelarsi a tempo scaduto, quando ormai tutti i buoi sonoscappati, magari con qualche cerotto inelegante, che non si cura delle cause ma che cercadi coprire semplicemente gli effetti ‘vergognosi’ della politica con la P minuscola ...

E allora, diciamo noi, come possiamo esimerci dal manifestare la nostra più profondapreoccupazione? Come possiamo tacere? Ci sono momenti nella vita di una persona in cuisi prova sollievo a spararla grossa. Ecco, con un governo di questo genere, ci sentiamo unpo’ tutti novelli Pereira che, provati e vinti nel nostro limite di sopportazione, sbottano ecominciano a gridare ai quattro venti la verità. In modo quasi liberatorio.

Consola d’altra parte constatare che il Condono Edilizio varato a livello nazionale, graziealla devoluzione al livello regionale delle competenze in materia urbanistica, sarà di fattoannullato dalla L.R.302/03 in corso di approvazione in questi giorni dal ConsiglioRegionale della Toscana. Nella battaglia contro il Condono, Legambiente ha incrociatonegli ultimi tempi compagni di cordata storici (Libera, ARCI, CGIL) e insoliti (comel’ANCE, l’associazione nazionale costruttori edili). Non ci sorprenda. La sanatoria edilizianon arricchirà infatti il mondo dell’impresa regolare. Semmai, elevando a sistemal’illegalità, alimenterà e favorirà il circuito perverso dell’abusivismo e delle ecomafie.

Un ulteriore elemento di riflessione lo meritano le politiche energetiche di Roma. Che nonci preoccupano di meno. Anzi. Un black out di fine estate ha creato una situazione di talepanico che in un attimo ha riprodotto scenari di venti anni fa, dagli esiti imprevedibili. Sitorna a parlare con forza, con l’autorevole avallo del Quirinale, della costruzione di nuovecentrali a tecnologia tradizionale. Velatamente, come ci suggerisce il buon Silvestrini, siprepara il “terreno culturale” per un ritorno ad una possibile opzione nucleare, magari

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adducendo come esempi virtuosi i casi della Francia e della Svizzera. Tutto questo mentresi sta discutendo del Decreto di recepimento della Direttiva 2001/77/CE approvato dalConsiglio dei Ministri lo scorso luglio. La debolezza di questo testo è data dall’assenzadell’elemento più significativo: l’indicazione della crescita della quota di energia pulita al2010. Di fatto il decreto rimanda alla Legge Marzano, che prevede incrementi moltolimitati (lo 0,35% l’anno a partire dal 2006) che consentiranno di raggiungere al 2010 soloun terzo (12 TWh) dell’obiettivo indicato nella Direttiva europea per l’Italia (40 TWh).L’impressione, cioè, è che si sia persa un’altra importante occasione rispetto allasollecitazione europea.

Infine, una chiosa sulla questione sociale dell’immigrazione. Sappiamo tutti, ormai, comel’Italia (e la Toscana non fa eccezione in questo senso) sia diventata la meta preferita dimolti cittadini stranieri, di svariata estrazione etnica, culturale e religiosa. Sia detto senzaalcuna ambiguità: la precedente legge di governo sulla materia, la Turco - Napolitano, nonè che riscuotesse consensi particolari tra le nostre fila. Ma l’attuale legge, la Bossi – Finiper l’appunto, è semplicemente indegna di un Paese civile. Il segretario leghista, nellescorse settimane, ci ha dato una illuminante chiave di lettura del dettato legislativo da luiredatto. Gli immigrati vanno accolti secondo quote precise e prestabilite, esattamentecome si fa con le merci. Una grande performance di civiltà, non c’è che dire...

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2.3) IN TOSCANA: VERSO UN’ ECONOMIA ECOLOGICA?

“La crescita e lo sviluppo economico sono strumenti importanti per il benessere individuale e collettivodella popolazione, ma non possono assurgere a fini supremi dell’azione umana e delle Istituzioni. Da qui ilnostro messaggio chiave: vivere bene in Toscana, che non è solo una constatazione di fatto ma anche esoprattutto un impegno programmatico teso ad innalzare il livello della qualità della vita nella nostraregione, sia sul piano socio-economico che su quello ambientale…” (C. Martini, 2003)

“Il processo di revisione delle politiche di governo del territorio si pone, attraverso la messa a punto di unprocedimento unificato, due obiettivi principali: snellire le procedure di attuazione degli interventi erispettare i principi di sostenibilità ambientale fin dalle prime fasi della progettazione. La finalità strategica èquella di riuscire ad incorporare la dimensione ambientale nel processo decisionale pubblico e di migliorarel’efficacia e l’efficienza degli strumenti regionali di valutazione di piani, programmi e progetti…”

(R. Conti, 2003)

“Un’ulteriore importante iniziativa, in linea con lo sviluppo delle politiche territoriali regionali, è il progettodi Autonomia Speciale della Toscana in materia di tutela dell’ambiente e di gestione dei beni culturali. Ci sipropone, come obiettivo finale, di arrivare all’intesa Stato-Regione per il riconoscimento a quest’ultima diforme e condizioni particolari di autonomia concernenti la tutela ambientale e la gestione dei sistemiculturali e paesaggistici.” (T. Franci e M. Zoppi, 2003)

Dice un detto ebraico: “chi sa distinguere tra bene e male non può ancoradirsi sapiente. Sapiente è invece chi tra due mali sceglie quello minore”. Ecco, l’aforismaha il pregio di rappresentare bene lo stato d’animo che si prova quando si paragona ungoverno come quello della Regione Toscana con quello nazionale di Roma.Un governo regionale che, tra qualche luce e molte ombre, sta cercando comunque una suaidentità, in vista di un nuovo modello di sviluppo. Martini, infatti, aspira esplicitamente aduno schema macroeconomico impostato su criteri di qualità (sociale, culturale,ambientale). Ed infatti VIVERE BENE IN TOSCANA è il titolo del PRS 2003-’05. Unobiettivo ambizioso, che merita il nostro rispetto e la nostra attenzione.

Passiamo ora brevemente in rassegna i grandi temi delle scelte di governo del territorioche hanno informato l’attività della Giunta Martini sino ad oggi. Partiamo dalla Riformadella L.R.5/95. La legge, bella dal punto di vista ideale e con il merito storico di averanticipato di ben 6 anni la direttiva europea sulla valutazione degli effetti ambientali, haincontrato delle difficoltà. Di plurima natura. Un primo ordine di problemi è quelloinerente il procedimento di autocertificazione (art.25) che ha eccessivamenteresponsabilizzato gli uffici tecnici (soprattutto a livello comunale). Di fatto esponendoli alrischio del solipsismo pianificatorio. Ecco spiegato il sempre più massiccio ricorsoall’istituto dell’Accordo di Pianificazione (art.36), anche quando non vi è assenza di PianoTerritoriale di Coordinamento Provinciale. Un altro ordine di inefficienze riscontrate èquello ascrivibile alla figura del Garante dell’Informazione. Una figura troppo debole epassiva per poter realmente assolvere al delicatissimo compito della promozionepartecipativa. Infine, il problema dei problemi, l’assoluta discontinuità tra piano strutturalee regolamento urbanistico, nel senso di una sostanziale indifferenza reciproca tra il dettatoteorico (e appunto strutturale) e la sua traduzione in dispositivi dimensionali, gestionali efunzionali calati sul territorio dal RU. Insomma, spesso in molti casi si è assistito a casi dipiani strutturali pieni di poesia, con allegati regolamenti urbanistici che ne tradivano lospirito assolvendo al lavoro sporco delle previsioni di espansione edificatoria. Oggi, laproposta di riforma della legge, che deve adeguarsi alla revisione del Titolo V dellaCostituzione, alla direttiva 2001/42/CE e al superamento delle inefficienze di cui sopra,

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non sembra rassicurare del tutto gli analisti più accorti. Soprattutto si riscontra un tentativodi delegificazione importante, in base al quale tutta la materia territoriale (dall’urbanisticaai trasporti, passando per l’agricoltura) finirà accorpata in un Testo Unico, con consistentiporzioni tematiche relegate dentro il dettato del regolamento di attuazione della legge. Contutti i rischi connessi. E’ appena il caso di far notare che basta una riunione consiliare perabrogare un articolo di un regolamento di attuazione...

A livello di volontà riformatrice, sulla base dei nuovi principi di devoluzione sanciti dallaRiforma del Titolo V della Costituzione, la Regione Toscana sta agendo nei confrontidell’Autorità centrale sulla base di un progetto di Autonomia Speciale molto spinto e sulquale Legambiente nutre sinceramente molti dubbi. Il fatto che, qui ed ora, come abbiamoavuto già occasione di affermare, personalità della Giunta Regionale ci convincano di piùdi certi ministri, non costituisce di per sé una buona ragione per devolvere del tutto materiecome la tutela ambientale e la gestione del patrimonio storico/artistico. Il GovernoBerlusconi è uno spiacevolissimo incidente di percorso nella storia della politica italiana.Una riforma come quella che vorrebbero Martini e i suoi, avrebbe invece i caratteri dellapermanenza e costituirebbe peraltro un pericoloso precedente, sul quale immaginiamoaltre regioni (magari con tradizioni amministrative meno prestigiose di quella toscana)costruirebbero analoghi rischiosissimi percorsi di autonomia. Per Legambiente ilpatrimonio ambientale, paesistico e monumentale del Paese è uno ed indivisibile.Appartiene alla Nazione, come valore fondante della sua identità. Tra l’altro, proprio daquesto intreccio di natura e cultura, il nostro paese (e la nostra regione in particolare)traggono ogni giorno motivi di nuovo sviluppo e le prime basi di quella economiaecologica verso la quale saremmo felici che tendessero.

Legambiente rileva invece molte luci nelle politiche per la Sanità, dove il modello toscano,efficiente ed efficace, tiene anche in debito conto delle relazioni tra salute e ambiente.Esso è diventato un modello gestionale per l’intero Paese. E lusinghiero è anche il nostrogiudizio sulle politiche agricole a difesa delle colture tipiche e contro ogni ipotesi disperimentazione degli OGM. In ritardo, invece, la politica delle 4R nella gestione integratadei rifiuti e specialmente il principio di riduzione, anche se finalmente si comincia avedere qualche passo in avanti sulle percentuali di raccolta differenziata dei Comuni.Insufficiente il conferimento endogeno dei Rifiuti Speciali e pericolosi. La pianificazioneimpiantistica, drammaticamente divaricata ATO per ATO, si attua con percorsi dipartecipazione insoddisfacenti. Sui rifiuti, in generale, si invoca la governance e non siesercita (o non si vuole esercitare) il governo. Questo è il vero, reiterato, problema, di cuinessuno sembra accorgersi e che nessuno vuole denunciare con la necessaria urgenza.Disastrosa la situazione del Trasporto Pubblico Locale, specie nelle aree metropolitane piùcongestionate. Vertenzialità esplosive si rilevano soprattutto sui lavori per le grandi arterieinterregionali di comunicazione (vedi soprattutto Mugello e Corridoio Tirrenico).Inefficace e timida la politica per l’implementazione di fonti rinnovabili di energia comequella per il risparmio energetico. Sul versante delle politiche per le aree protette,dobbiamo rilevare una sostanziale debolezza dei Parchi Regionali, anche perresponsabilità del livello istituzionale locale. Sui Parchi Nazionali la Regione, invece,preferisce tenere alto il profilo dello scontro, senza preoccuparsi degli effetti reali dellamancata concertazione col livello Statale, sulla conservazione della natura.

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Per quanto concerne l’applicazione delle Agende 21 locali si registra un sostanzialefallimento dell’input proveniente dalla Conferenza di Rio 92. La notazione è piùqualitativa che quantitativa. Ossia: molti comprensori, molti comuni e molte provincehanno finalmente attivato questo processo innovativo di pianificazione ambientalepartecipata, anche nella nostra regione. Il problema è un altro. Laddove si è arrivati sinoalla redazione del Piano d’Azione Ambientale si è avuta netta la sensazione di quanto ilprocesso sia stato strumentalizzato dalle istituzioni a scopi propagandistici e fini a sestessi. Spesso gli enti locali non hanno saputo cogliere la grande occasione che veniva loroofferta da questa nuova metodologia partecipativa ed hanno fatto dei forum di Agenda 21delle vere e proprie palestre per sterili esercitazioni di stile (o presunto tale). Molte cittàtoscane, infine, hanno sottoscritto la Carta di Aalborg, ma nel complesso si guardano benedall’applicare autenticamente i contenuti di quell’accordo.

Dal punto di vista delle criticità, con le quali la presente Giunta ha dovuto fare iconti negli ultimi anni, annoveriamo di seguito le 24 aree critiche individuate dal PRAA:

1. Lunigiana (dissesto idrogeologico + impatto ambientale prodotto dal raddoppio ferroviario difondovalle della Pontremolese)

2. Alpi Apuane (attività estrattive + inquinamento acque superficiali e profonde)3. Area Massese (inquinamento da rifiuti speciali + inquinamento atmosferico)4 . Lago di Massaciuccoli (cuneo salino + sovrasfruttamento della falda idrica e relativa

subsidenza + rischio idraulico)5. Livorno (rischio industriale + inquinamenti: atmosferico, marino e acustico + bonifiche)6. Mugello 1 (impatti di varia natura e gravità prodotti dal cantiere dell’Alta Velocità ferroviaria)7. Mugello 2 (impatti vari prodotti dal cantiere della Variante di Valico)8. Comprensorio del Cuoio (inquinamento atmosferico e della falda + rifiuti speciali)9. Distretto Tessile Pratese (inquinamenti vari + sovrasfruttamento della falda + rifiuti speciali +

regimazione acque superficiali)10. Distretto Cartario Lucchese (sovrasfruttamento della falda + rifiuti speciali + inquinamenti)11. Area Vivaistica Pistoiese (inquinamento acque + difesa del suolo precaria)12. Padule di Fucecchio (tutela zone umide + biodiversità + difesa e risanamento del suolo e dei

corpi idrici, superficiali e profondi)1 3 . Area Fiorentina (inquinamenti sopra i livelli di attenzione: atmosferico, acustico ed

elettromagnetico + congestione permanente della mobilità causa traffico metropolitano)14. Firenze (impatti di varia natura, causati dal nodo ferroviario dell’Alta Velocità)15. Parco Fluviale dell’Arno (inquinamento del corpo idrico + mobilità pedonale e ciclabile delle

sponde + navigabilità + prevenzione del rischio idraulico)16. Colline Metallifere (bonifica e messa in sicurezza delle aree minerarie)17. Arcipelago Toscano (sovraccarico antropico estivo + bonifiche minerarie + inquinamento del

mare causa traffico navale + difesa del suolo precaria)18. Piombino (inquinamenti: atmosferico, acustico, del suolo + rischio industriale + rifiuti speciali)19. Val di Cornia (cuneo salino + attività estrattive + inquinamento atmosferico + rischio

industriale + sovrasfruttamento della falda)20. Val di Cecina (attività estrattive salgemma + inquinamento mare e aria + rischio industriale +

cuneo salino + rifiuti urbani estivi + impatti da geotermia)21. Piana di Scarlino (bonifica siti minerari + rifiuti speciali + cuneo salino e inquinamento falda)22. Amiata (impatti da geotermia + bonifica aree minerarie + tutela falda idrica)23. Albegna/Fiora (eutrofizzazione + cuneo salino + eventuali impatti vari da Corridoio Tirrenico)24. Laguna di Orbetello (eutrofizzazione + bonifiche + cuneo salino).

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3) SCENARI LOCALI,OVVERO: LE LINEE DI AZIONE DI LEGAMBIENTE TOSCANA

3.a) SULLA RISORSA ACQUA E SUL RISCHIO IDRAULICO

Noi tutti sappiamo che oggi il tema dell’acqua è una questione di importanza mondiale.Non potrà esserci futuro sostenibile se i principi di democrazia e di giustizia nonguideranno la politica dell’acqua. Questo tema, peraltro, è di strettissima attualità ancheperché il 2003 è stato l’Anno Mondiale dell’Acqua.Su questo settore Legambiente Toscana è, da anni, fortemente impegnata in campagne disensibilizzazione, informazione, educazione e denuncia. In quest’ottica l’associazione haaderito al Contratto Mondiale sull’acqua e pertanto promuove i seguenti fondamentaliprincipi:

• L’accesso all’acqua è un diritto vitale di tutte le specie viventi del Pianeta.• L’acqua non deve essere considerata un bene economico, bensì un bene della

collettività e pertanto non privatizzabile: la proprietà, il governo ed il controllopolitico dell’acqua devono essere e restare pubblici.

• Le collettività pubbliche devono assicurare il finanziamento degli investimentinecessari per concretizzare il diritto all’acqua potabile per tutti ed un usosostenibile del bene acqua.

• L’acqua va prelevata e utilizzata secondo criteri di efficienza e di risparmio.

Per dare concretezza al concetto di pianificazione e gestione sostenibile delle risorseidriche occorre innanzitutto ridurre la domanda d’acqua incrementando l’efficienza degliusi e dei riusi. Riteniamo necessario dare piena applicazione al D.L. 152/99 e alla DirettivaComunitaria 2000/60/CEE. In particolare, senza perdere di vista la visione globale,bisogna ragionare su scala di bacino da un punto di vista applicativo (risanamento deicorpi idrici) riconfermando l’inscindibile legame tra qualità e quantità (nuovo approcciostrategico: tutelare la qualità dei corpi idrici mantenendo la sostenibilità dei bilanci idriciin relazione agli usi plurimi e al sostentamento della vita acquatica).Pertanto è necessario implementare una politica delle acque che passi dalla gestionedell’offerta a quella della domanda e che sia volta ai seguenti obiettivi sintetici:

� Ridurre i consumi (risparmio, diminuzione delle perdite nel sistema captazione-distribuzione, miglioramento della gestione irrigua ecc...).

� Riutilizzare le acque reflue per usi non potabili (industria, agricoltura, irrigazione ingenere, rete duale per wc, ecc...).

� Integrare e adeguare i sistemi depurativi esistenti mediante tecniche a basso impattoambientale, bassi costi di gestione e con maggiori garanzie per l’ambiente.

� Garantire il deflusso minimo vitale di tutti i corpi idrici superficiali mettendo inrelazione gli usi plurimi della risorsa.

� Colmare la lacuna conoscitiva della effettiva pressione quantitativa sulla risorsa.� Intensificare i controlli e ritrattare le concessioni di acqua pubblica.

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� Diminuire le immissioni di nutrienti, pesticidi, erbicidi, ecc...� Minimizzare gli impatti dell’inquinamento diffuso.� Mantenere gli equilibri ecosistemici (riducendo quanto più possibile

l’artificializzazione dell’ambiente, con opportune rinaturalizzazioni degli alvei).� Rivedere i canoni di concessione per l’uso agricolo dato che sono troppo economici

rispetto ad altri settori di utilizzo.� Introdurre nuovi sistemi di controllo sulle gestioni della risorsa idrica (come gli

Osservatori di Ambito).

Infine, un accenno sulla qualità organolettica delle acque che arriva ai nostri rubinetti, cherappresenta un utile indicatore di valutazione dell’efficienza di un impianto dipotabilizzazione/distribuzione. In molte circostanze siamo lontani dall’avere un’acquatanto gradevole da poter essere bevuta. Obiettivo dei gestori deve essere quello dimigliorare la qualità delle acque che arrivano alle utenze; si dovrà avere un servizio chefornisca acqua pubblica di alta qualità la cui efficienza si possa controllare attraverso unindicatore indiretto come la diminuzione della vendita di acque minerali (tra l’altro inbottiglie di plastica “a perdere” e quindi concausa primaria dell’aumento dei rifiuti solidiurbani).

Sul rischio idraulico e la difesa del suolo.I passaggi repentini da situazioni di carenza idrica a quelle di alluvione sono ormai semprepiù frequenti e anche recentemente hanno confermato che piccoli corsi d’acqua possonofare grandi disastri, anche in termini di vite umane, e che le aree marginali non esistonodato che è la collettività tutta a pagare i danni sofferti per una politica nazionale didecennale abbandono del territorio, in cui il denaro pubblico è stato impiegato pertamponare le sciagure provocate dalle alluvioni invece di essere investito in opere diprevenzione che portassero ad una reale diminuzione del livello di rischio idrogeologico.Per questi motivi, anche in Toscana, nonostante siano posti in essere i primi interventirealizzativi di alcune opere previste a livello di pianificazione, è necessario concludere lafase di approvazione dei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) e completare lapianificazione di bacino che affronti le problematiche in un’ottica preventiva e globale, enon solo dal punto di vista strettamente idraulico.

Dalla pianificazione alla realizzazione degli interventi per prevenire il rischio idraulicoMolti interventi previsti dai Piani elaborati delle Autorità di Bacino sono costituiti daopere strutturali che nel loro complesso avranno un impatto sull’ambiente assai rilevante,con inevitabili modifiche sulla fruizione del territorio e conseguenze di tipo ecologico.Per questi motivi pur non mettendo veti aprioristici alla realizzazione di interventistrutturali e riconoscendone l’utilità se inseriti in una programmazione a livello di bacino,è comunque necessario limitarne il numero ai casi indispensabili auspicando che questofrangente possa costituire anche l’occasione per la ricostituzione di ambienti umidid’acqua dolce di elevato valore naturalistico. Ricordiamo inoltre che le aree dilaminazione non costituiscono l’unico strumento di governo delle acque superficiali e chegran parte del territorio toscano è costituito da ambiente collinare che soffre di particolaredisordine riguardo ai deflussi.

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_ quindi necessario intervenire ed indirizzare risorse in questo settore per:

• riorganizzare le attività produttive legate alle zone collinari e montane.• incentivare l’agricoltura collinare sostenendo gli agricoltori come “produttori e

manutentori” di ambiente, armonizzando le loro attività con la tutela del territorio.• ripristinare quelle “buone pratiche” come i terrazzamenti o le coltivazioni a

giropoggio.• rallentare i deflussi nei tronchi montani escludendo le pratiche arative nei terreni

che non sono vocati.• ripristinare il sistema delle arginature a pettine per le aree di fondovalle che

assicurano un rallentamento dei deflussi in caso di esondazione.

Per quanto riguarda la fase progettuale, fino alla realizzazione degli interventi strutturali(casse d’espansione e/o bacini di laminazione) Legambiente Toscana chiede che:

- la progettazione delle casse di espansione venga realizzata dall’inizio nell’ottica dianticipare anche le esigenze riguardanti gli altri aspetti di gestione del bacino.- la progettazione di ogni intervento avvenga tenendo conto di come saranno gli altri amonte ed a valle, e che ogni opera ultimata e messa in funzione consenta di rimodulare,secondo priorità, quelle ancora da realizzare attraverso un processo di aggiustamento dellivello di rischio.- il reperimento dei materiali inerti per la realizzazione delle opere, uno degli aspetti piùdelicati dei Piani, avvenga attraverso i seguenti registri principali:

o sfruttando le cave esistenti già in coltivazioneo recuperando le cave abbandonateo usando materiali inerti riciclatio ricorrendo alla coltivazione controllata e rimodulabile degli inerti presenti

all’interno delle zone interessate dalle opere.- le casse di espansione siano progettate in modo da essere utilizzate per usi plurimi, e cioè

o per rallentare il deflusso delle acque,o per sostenere le portate di magra,o per sviluppare l’agricoltura biologica o a basso impatto ambientale,o per realizzare zone umide costruite con funzioni di fitodepurazione.

- sia elaborato un piano, contestuale al progetto ed organico con esso, per la mitigazionedegli impatti nella fase di cantiere.- sia concertata la fase applicativa dei Piani (vedi Agende XXI locali), coinvolgendo gliattori interessati, allo scopo di fornire informazioni e creare la coscienza dell’importanza edella effettiva necessità delle opere previste.- il monitoraggio faccia parte della progettazione delle opere e sia articolato nelle fasi ante,durante e post opera.

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3.b) SULLE AREE PROTETTE E LA BIODIVERSITÀ

Oggi la Toscana può vantare un Sistema regionale delle aree naturali protette credibile,costruito negli anni con un lavoro di stimolo e programmazione basato su un corretto edoriginale recepimento della Legge Quadro nazionale a cui Legambiente ha fornito ilproprio contributo. In aggiunta a Parchi e Riserve infatti la L.R. 49/95 ha introdottol'inedita tipologia delle ANPIL, che attualmente costituisce una realtà indispensabile per ilsistema toscano ed ha avuto il merito di coinvolgere direttamente Comuni e ComunitàMontane nella scelta di tutela e valorizzazione di aree naturali che - diversamente - ogginon sarebbero protette. Con questo non sosteniamo che in Toscana è stato fatto tutto ilnecessario per la conservazione della natura, anzi, esistono diversi problemi e c'è ancoramolto da fare per correggere evidenti lacune. Il Sistema regionale possiamo dire che ètratteggiato, ma non lo si può considerare consolidato.

Uno dei problemi più evidenti riguarda la difficoltà di diverse Amministrazioniprovinciali ad assolvere adeguatamente alle impegnative competenze assegnategli,specialmente su ANPIL e Parchi Provinciali. E' una situazione che pesa sul corretto avvioe gestione di molte aree protette (e di conseguenza sull'architettura del sistema regionale),evidenziando una carenza strutturale. Tanto più se si considera che il ruolo delle provinceè destinato a crescere e diventare strategico anche nel settore della tutela della biodiversità,come previsto dalle ultime disposizioni applicative della LR 56/2000, che impegna questienti nel processo di costruzione e gestione della rete ecologica.

Riguardo alle ANPIL (Aree Naturali Protette di Interesse Locale), dopo una lunga eintensa fase di implementazione a cui Legambiente ha partecipato attivamente con laRegione e sul territorio, occorre definire con decisione e rapidamente una serie dicorrettivi ai problemi legati alla disomogeneità di queste aree, in termini di estensione,efficacia gestionale, regime urbanistico e venatorio.

Il Piano d'Indirizzo della Regione Toscana è condivisibile negli obiettivi, ma necessita diuna completa e decisa attuazione di tali indirizzi, che costituiscono la base indispensabileper arrivare ad un consolidamento del sistema toscano delle aree naturali protette.

Infatti la Regione sostiene, sì, l'opportunità di difendere e sostenere le competenze deiParchi regionali, contrastati spesso da forti interessi localistici espressi dalle categorieeconomiche e da alcuni Enti locali, ma non riesce superare la dichiarazione d'intenti peresercitare subito e con decisione questo ruolo. Come nel caso dei Parchi regionali più'difficili'.

Il caso del Parco regionale delle Alpi Apuane si può considerare una sconfitta del ruolopositivo che tale istituto avrebbe potuto esercitare per garantire un equilibrio traconservazione, identità locale e sviluppo. Una intera legislazione non è riuscita ad adottareil Piano del Parco, nemmeno nella versione stravolta dalle pressioni degli enti locali edella lobby industriale dell'escavazione del marmo. Quello che sta succedendo allaMacchia Lucchese, nel Parco Regionale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli è unaltro esempio di debolezza di questi istituti regionali. In una delicata area dunaleindividuata come SIC e ZPS, tra altre amenità, si sta consentendo lo sviluppo di attivitàludiche (una sorta di discoteca all'aperto per migliaia di persone) che provocano livelli dirumore notturno che risulterebbero fuori norma anche per un'area industriale di giorno.

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Ecco, in questi casi, come in altri analoghi (Padule di Fucecchio, Lago di Massaciuccoli,ecc...), crediamo che la Regione debba intervenire e sostenere con decisione la difesa deipropri Parchi, in quanto si disattendono clamorosamente i livelli di sostenibilità.

In questo contesto, si inserisce in maniera alquanto infelice la gestione del Governo versoi Parchi nazionali, che in Toscana sono saliti a tre con l'istituzione del Parco Nazionaledell'Appennino Tosco-emiliano. Il Ministero dell'Ambiente ha applicato nella Toscana'rossa', più che in altre Regioni, la politica dell'imposizione di commissari, privilegiando loscontro di potere politico-istituzionale alla doverosa preoccupazione di assicurare unagestione efficace e condivisa dell'area protetta. A tale logica anche la Regione non si e'sottratta. Risultato: due Parchi nazionali su tre commissariati.

Il Parco oltre il confine: rete ecologica, dell'identità, della qualità.La Toscana è un caso esemplare della specificità italiana, laboratorio ideale per applicare

un approccio dinamico alla conservazione della natura e della biodiversità. E' una regionein cui l'elevatà diversità ecologica crea un intreccio denso e virtuoso con la presenzaumana, dando vita ad un mosaico naturale, culturale e sociale che costituisce il verosoggetto da conservare e valorizzare nella sua unità (Murray Bookchin la chiamerebbe"unità nella diversità").

Legambiente è stata la prima associazione ad ampliare gli orizzonti adottando unapproccio (considerato un po' eretico dal dogma conservazionista anglosassone) cheestende le categorie di "conservazione" e "biodiversità" ad un ambito più ampio macontemporaneamente più specifico per una regione mediterranea: parlando di reteecologica ma anche di infrastrutture e sistemi ambientali e territoriali, utilizzando iltermine biodiversità al plurale (naturale, culturale, sociale), denotando il paesaggio come'culturale'. In questo senso è possibile disegnare una rete di spazi naturali e culturali dove iparchi svolgono il ruolo di veri e propri nodi, ed i processi di conservazione evalorizzazione escono dalla singola area naturale protetta per coinvolgere tutto il territorio.

Il progetto APE Appennino Parco d'Europa ideato e promosso da Legambiente fornisceun concreto contributo a questo approccio. La Toscana ha sperimentato per prima e conrisultati positivi l'applicazione di questo vero e proprio progetto di sistema ed ha tutte lecaratteristiche per adottarlo come strumento per costruire, partendo dalle aree protette, ilmodello di sostenibilità per il territorio montano e rurale.*** I recenti risultati della ricerca inter-universitaria coordinata dal CEDPPN delPolitecnico di Torino sullo spazio territoriale di APE - Appennino Parco d’Europa hannofornito una definizione dei territori che evidenziano - a vari gradi - il totalecoinvolgimento della Toscana nello sviluppo del Progetto. Infatti è stato individuato uno«spazio di APE» a geometria variabile che coinvolge tutti e 287 comuni toscani nellecategorie individuate. Comuni appartenenti alla Dorsale Appenninica: 107 (37.3%)Comuni appartenenti alle aree assimilate: 35 (12.2%) Comuni che rientrano in ambiti dipotenziale interazione: 143 (49.8%) ***

Proprio rivolta alla salvaguardia e valorizzazione dei Piccoli Comuni, Piccolagrandeitalia,è un'altra iniziativa promossa da Legambiente in collaborazione con il Maurizio CostanzoShow e il Corriere della Sera. L'idea della PDL Realacci sostenuta da questa campagna è

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puntare al sostegno dei quasi 6000 Comuni sotto i 5000 abitanti che soffrono di disagiinsediativi, aiutandoli a salvaguardare / modernizzare i servizi locali e a valorizzare il

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loro grande patrimonio culturale, economico, sociale. E' una strategia per garantireall'Italia gli anticorpi necessari a far fronte agli effetti negativi di una globalizzazionesenza regole e senza qualità, oltre che per conservare una ricchezza insediativa cherappresenta una specificità del territorio italiano (e toscano) ed un presidio per garantire lamanutenzione del territorio. Legambiente in Toscana sostiene decisamente questainiziativa per far emergere le grandi potenzialità dei Piccoli Comuni nella promozionedella ricchezza e delle biodiversità, siano biologiche, culturali o sociali. La diffusapresenza locali dei Circoli di Legambiente può fornire un sostegno significativoall'emersione della Piccolagrandetoscana anche con campagne come i Sindaci-Ciceroniper un giorno o la Scuola adotta un Piccolo Comune.

Un ulteriore impegno che Legambiente Toscana sta affrontando per sostenere la creazionedi reti dell'identità locale e della qualità riguarda la definizione di nuovi e specificistrumenti per la conservazione e valorizzazione delle diffuse testimonianze archeologiche,culturali, rurali, e minerarie che costituiscono un'altra specificità e ricchezza toscana.Questo patrimonio oggi rischia spesso di andare perduto o comunque non è supportato daspecifici strumenti e normative che ne garantiscano un'adeguata e coordinatavalorizzazione. L'Associazione dovrà prestare il proprio contributo perché la Toscanacostruisca un sistema di 'Parchi culturali' all'altezza del proprio patrimonio.

Rete Natura, la rete di Legambiente per lo sviluppo sostenibile nelle aree protettedella Toscana

Rete Natura è un sistema delle strutture e delle aree naturali protette gestite daLegambiente, direttamente o in collaborazione con gli enti locali, che oggi comprende inItalia 42 aree protette. La finalità è quella di promuovere e diffondere l’esperienza diadozione della natura e del territorio: questa, infatti, è una delle forme più concrete dicittadinanza attiva e di sperimentazione di modelli di sviluppo sostenibile, divalorizzazione delle risorse naturali, di sensibilizzazione e educazione delle comunitàlocali.Legambiente è presente localmente nelle aree naturali protette della Toscana con iCircoli, i Centri di Educazione Ambientale, i Centri Permanenti per il Volontariato ele strutture di ReteNatura il sistema di oasi e strutture gestite dall’associazione. La suaorganizzazione locale promuove iniziative per la conservazione della natura e losviluppo locale sostenibile:- Campi nazionali ed internazionali di Volontariato, per l'attuazione di micro-progetti di

sviluppo locale e altri progetti di volontariato.- Promozione di progetti di educazione ambientale con le scuole dei parchi come "La

Mappa del Tesoro - con le scuole alla ricerca dei tesori di biodiversità nei Parchi".- Conservazione della natura- promozione di progetti in partenariato per la tutela della biodiversità (LIFE Natura,

progetti specifici, ecc.)- Turismo eco-responsabile- Promozione di forme di turismo naturalistico, responsabile o comunque a basso

impatto ambientale- gestione diretta di offerte turistiche attraverso le strutture di Rete Natura (turismo

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formativo, naturalistico e culturale, campi per ragazzi, ecc...).

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Queste le strutture di Rete Natura in Toscana:

- Legambiente Lunigiana (MS):Centro per lo sviluppo locale nel Parco Regionale delle Alpi Apuane – Vinca

Centro per la Biodiversità dei Frignoli - Parco nazionale Appennino Tosco-Emiliano- Legambiente Massa - Montignoso (MS): ANPIL Lago di Porta- Legambiente Valdera (PI):

ANPIL Bosco di Tanali- Legambiente Foreste Casentinesi (AR):

Asqua Rifugio Escursionistico - Parco nazionale delle Foreste Casentinesi- Legambiente Prato (PO): Rifugio Cascine di Cave - Riserva Naturale dell'Acquerino-Cantagallo.

3.c) SULLA FAUNA E LE POLITICHE VENATORIE

Il Ministero delle Risorse Agricole ha predisposto una bozza di DecretoLegge sulla caccia attualmente all’esame del Ministero dell’Ambiente, per la firmacongiunta dei due ministri, unitamente a quella del Presidente del Consiglio, SilvioBerlusconi. La proposta del Governo, se approvata, smantellerebbe la Legge Quadro157/’92 sulla regolamentazione della caccia e sulla tutela della fauna selvatica. Infatti, ilcalendario venatorio verrebbe allungato di ben due mesi (dal 16 agosto al 28 febbraio) congravi conseguenze per l’avifauna migratoria, che verrebbe cacciata addirittura nel periododi riproduzione e, in particolare, nella fase di dipendenza dei piccoli, cioè in agosto e nelmese di febbraio, quando è iniziato il ritorno dai luoghi di migrazione. Un provvedimentoche unisce crudeltà deliberata a pochezza scientifica. Quanto di meno ecologico si possaattuare in natura!

L’elenco delle specie cacciabili, peraltro, verrebbe allungato di ben 21 nuove specie: oltreall’ambìto fringuello vi sarebbero tra le altre la pittima reale, il piviere dorato, l’ocagranaiola, la tortora dal collare, l’oca selvatica, il gabbiano reale ecc... Verrebbero cioèaboliti i due giorni di silenzio venatorio del martedi e del venerdi, ovvero una sortad’invito allo sparo quotidiano e alla strage di animali. Sempre seguendo lo schema dellabozza governativa, la licenza di caccia verrebbe anticipata a sedici anni. Il legamecacciatore/territorio stabilito dalla L.157/92 verrebbe di fatto smantellato, in ragione delfatto che i cacciatori potrebbero sparare per trenta giorni all’anno nella Regione chepreferiscono. In questo modo si riaprirebbe al nomadismo venatorio e si vanificherebbe illavoro svolto dagli Ambiti Territoriali di Caccia in questi anni.

Pensiamo agli ATC della Provincia di Siena. Sono quelli che notoriamente hannorealizzato il miglior legame cacciatore-territorio. L’esempio, in particolare, dell’AmbitoTerritoriale di Caccia n.18 (Valdichiana Senese, Amiata Val d’Orcia, Valle del Cetona) èilluminante. Qui, infatti, il buon lavoro svolto ha portato all’eliminazione deiripopolamenti pronta-caccia e similari, e alla feconda conseguenza per cui tutta la faunastanziale si riproduce in modo naturale e non in cattività. Queste zone oggi corrono il seriorischio di essere invase da cacciatori provenienti dal Lazio, dall’Umbria, dall’Emilia ecc...

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Le specie faunistiche (fagiani e lepri) che si riproducono allo stato naturale verrebbero sterminate e siritornerebbe ai ripopolamenti consumistici fatti essenzialmente di immissioni artificiali. Sarebbe cioèvanificato il lavoro svolto in modo congiunto da ambientalisti, cacciatori e agricoltori e verrebbero,altresì, azzerate le poche esperienze di caccia sostenibile. Ecco perché contro la proposta del Governo sisono schierate tutte le associazioni ambientaliste e animaliste, i verdi, tutti i partiti del Centro-Sinistra, maanche l’ARCI Caccia, l’Unione Regionale Cacciatori dell’Appennino, la Coldiretti e la ConfederazioneItaliana Agricoltori. A differenza degli anni Ottanta e Novanta, quando le proposte referendarie anti-caccia avevano compattato tutto il mondo dell’associazionismo agricolo e venatorio, oggi ci troviamo difronte a coalizioni più sfrangiate e trasversali, grazie al lavoro comune svolto da cacciatori responsabili,ambientalisti e agricoltori nei vari ATC. Non ci deve sorprendere, dunque, il fatto che alcune associazionivenatorie oggi si vogliano smarcare dal consueto posizionamento e si schierino apertamente contro leproposte e le scelte del Governo di Centro-Destra. Questo è un fatto nuovo, le cui conseguenze politichenon vanno assolutamente sottovalutate.

Dentro la nostra associazione, sul tema caccia, convivono sensibilità diverse: vi sonoquelli che contestano l’attuale gestione venatoria, considerata ‘poco ambientalista’; quelliche da posizioni animaliste integrali contestano in toto il concetto stesso di caccia, diqualunque tipo essa sia; vi sono poi dei cacciatori riformisti e, infine, dobbiamo dirlo, unabuona e qualificata rappresentanza di indifferenti al problema, magari più interessati adaltre tematiche ambientali. Ciò premesso, Legambiente ritiene che la posizioneabolizionista sia perfettamente legittima e comprensibile, rientrando nelle sensibilità delpiù vasto mondo della tutela dei diritti degli animali. E tuttavia, da tempo, la nostraassociazione ha scelto una strada più pragmatica ed impervia, che è quella dellacollaborazione con una parte del mondo venatorio, per puntare ad una gestione dellacaccia che abbia un taglio conservativo e che si inserisca pienamente in una cornice dipolitiche per la sostenibilità. Ciò che si vuole chiarire una volta per tutte è che l’asseportante di queste politiche è l’opzione pianificatoria. Ossia, l’opzione per la quale lescelte in campo faunistico-venatorio s’inscrivono all’interno di una più vasta gestioneagro/silvo/pastorale, attraverso ad esempio l’attuazione delle normative sull’agricolturabiologica e integrata, sulla tutela della biodiversità e sulla prevenzione del dissestoidrogeologico. D’altra parte l’ambientalismo scientifico non può eludere la domanda diqualità che ci proviene da quel mondo. A questa domanda occorre rispondereimplementando sempre di più e meglio la tutela della fauna migratoria, modificando inmodo più coraggioso le strategie di ripopolamento in vista di una completa riproducibilitàdella fauna stanziale allo stato naturale, facendo diventare le Aziende Faunistico Venatoriee le Zone di Ripopolamento e Cattura delle vere e proprie aree di gestione e tutela,limitando infine l’estensione di molti Ambiti Territoriali di Caccia al fine di rendere piùcogente il rapporto identitario cacciatore-territorio. Sullo sfondo di questo auspicabilescenario sta la possibilità di registrare finalmente un’armonia tra diversi attori istituzionali(ATC, Parchi, Aree Naturali Protette d’Interesse Locale, aree contigue ecc...). Che, poi, ècome dire: far convivere pacificamente mondo rurale, caccia e sostenibilità ambientale.BOX: Animali umani e altri animali. Legambiente è per l’approvazione della Legge Quadro sulla tuteladei diritti degli animali, attualmente all’esame del Consiglio Regionale della Toscana. La legge sipropone di combattere il maltrattamento degli esseri viventi appartenenti alle specie dei cosiddetti animalid’affezione. Siamo per una corretta convivenza tra persone e animali e appoggeremo quindi qualsiasiiniziativa dei movimenti animalisti contro la vivisezione, il randagismo, gli allevamenti intensivi, laproduzione di pellicce e, peggio che mai, i combattimenti. Pensiamo, infine, che non debba essere affattotrascurato il dibattito filosofico sui diritti degli animali non umani.

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3.d) SULLA RURALITÀ

Abbiamo già visto come la vera sfida dell'agricoltura europea si giochi sulla qualità deiprodotti e delle pratiche agricole. L'Europa, in particolare l'Europa mediterranea, non hagrandi chances di competizione sulle cosiddette commodities, sulle grandi produzioniintensive. Già oggi non solo gli Stati Uniti, ma paesi di enormi potenzialità come Cina,India, Brasile o Argentina, sarebbero in grado di esportare sul mercato europeo prodotti divario genere, di qualità comparabile a quella dei prodotti mediamente disponibili neisupermercati italiani e a prezzi inferiori (vedi il caso dei pomodori cinesi in Italia, dopo ipomodori prodotti dalle serre olandesi). Questo non significa rinunciare a un grande ruolodi produttore agricolo. La Toscana probabilmente ha avuto la fortuna di un territoriosfavorevole alle pratiche intensive e di una tradizione mezzadrile di frazionamento dellaproprietà che l'ha costretta a orientarsi in anticipo, rispetto ad altre regioni europee, nelladirezione delle produzioni di qualità. Soprattutto ha scelto di legare strettamente l'offertadi produzione agricola allo sviluppo di filiere di qualità e all'immagine del suo terrritorio,privilegiando nella vite, nell'olio e nelle carni (anche se in quest’ultimo caso siamo ancoralontani dalla costruzione di una vera filiera toscana) la politica delle varietà locali e deimarchi di qualità. Questa scelta è stata premiata dagli andamenti lusinghieridell'agricoltura toscana negli ultimi tre anni e dalle fortune crescenti dell'export del vino edell'olio toscano in Europa e in America.

Due circuiti, due sistemi di regole: mercati locali e mercati globali.Ma lo stesso successo, la proliferazione delle DOC del vino in tutta la Toscanameridionale rischia di creare nuovi squilibri a favore delle monocolture 'ricche'. Per ipiccoli allevamenti, per le aziende a ciclo chiuso, per i circa 400 prodotti tradizionalicensiti dal territorio toscano - a parte rari casi di successo nazionale e internazionale (es.del fagiolo zolfino) che drogano alla lunga l'originalità del prodotto - non esistonopossibilità di valorizzazione se non su mercati a dimensione locale.

Di qui l'importanza di distinguere due circuiti:

1. prodotti di qualità per il mercato globale, le grandi Doc e Dop toscane, per le quali larintracciabilità della filiera, la certificazione dell'intero processo, la tutela dalle contraffazioniè un criterio irrinunciabile (su questo molto ancora c'è da fare nella filiera zootecnica);

2. prodotti di qualità per i mercati locali, offerti dai produttori direttamente ai consumatori otramite il circuito della piccola distribuzione locale. Per questi prodotti è importante unasemplificazione notevole delle procedure, il ricorso all'autocertificazione (al posto dellecostose procedure di certificazione) e un sostegno delle amministrazioni locali in termini didisponibilità di luoghi per la produzione, di assistenza tecnica ai piccoli produttori, dicoinvolgimento dei commercianti e soprattutto di comunicazione ai cittadini.

Non esiste, d’altra parte, agricoltura di qualità senza consumo critico. Di qui l'importanzadella comunicazione e dell'educazione ambientale. Un contributo notevole allo sviluppo diun consumo critico di qualità e al sostegno alle piccole produzioni locali può essere offertodalla nuova legge toscana che privilegia i prodotti biologici, integrati o tradizionali nellemense scolastiche, purché accompagnata da un programma di comunicazione e dialogocon studenti, insegnanti e genitori.

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Le basi di una politica equa e solidale: sovranità alimentare e produzioni di qualitàFinora tutto il dibattito sul commercio internazionale dei prodotti agricoli si è concentratoesclusivamente sui prezzi. Il prezzo delle derrate agricole sembra l'unico problema delcontenzioso nord/nord e nord/sud, nella convinzione tardo-liberista che il prezzo contengatutte le informazioni necessarie. Al contrario crediamo che i tre criteri di sovranitàalimentare, sicurezza alimentare e qualità del cibo debbano entrare a pieno titolo nelconfronto internazionale sugli interscambi agricoli.L'Europa non può continuare, anche e soprattutto per questioni etiche, a imporre dazi aiprodotti altrui e a sostenere i suoi prodotti sui mercati interni e sui mercati esteri, grazieall'enorme divario di disponibilità finanziarie rispetto ai paesi del sud del mondo. Ma altempo stesso, come cittadini e ambientalisti, abbiamo il diritto di pretendere da tutti i paesi- europei e non europei - la sicurezza e la tracciabilità dei loro prodotti esportati nonché lagaranzia da contaminazioni transgeniche. Su questo reciproco impegno può nascere unanuova prospettiva di cooperazione tra Europa e Paesi del sud del mondo, o anche traregioni europee e regioni e comunità di questi paesi. L'esempio della Toscana è ancora unavolta illuminante. La Toscana è tra le prime regioni europee a tutelare i suoi prodotti, ma èanche tra le prime ad essersi aperta alle questioni della globalità ed è identificata a livellomondiale come modello di un'agricoltura di qualità. Non a caso qui ha avuto sede laCommissione internazionale del Cibo, guidata da Vandana Shiva, e qui è nata, su propostadella Fondazione internazionale, la campagna per la tutela del germoplasma. Un'iniziativaintelligente, promossa da Slow Food e Regione Toscana

Una parte delle ingenti risorse (90.000 miliardi di lire) che l'Unione Europea impiega perdrogare la competizione dei suoi prodotti agricoli potrebbe essere impiegata a favore dellacooperazione agricola nord-sud, con benefici reciproci, in tre direzioni principali:

o sostegni ai progetti di tutela e valorizzazione agroambientale (fertilità del suolo, gestionerisorse idriche e irrigazione, forestazione, agricoltura biologica, difesa del germoplasma e dellabiodiversità colturale);

o sostegno allo sviluppo dei mercati locali per le produzioni ecocompatibili di qualità (sviluppodi filiere di produzione, trasformazione, promozione e commercializzazione);

o sostegno all'importazione di produzioni di qualità. privilegiando in particolare produzioniecocompatibili, complementari rispetto alle nostre produzioni tradizionali.

Un esempio di questo approccio è un progetto che coinvolge la stessa Legambienteinsieme ad una ONG italiana e ad alcune amministrazioni locali e che riguarda unaénclave di produttori biologici nel nord dell'Argentina, paese che rischia di esserepesantemente condizionato dalle scelte transgeniche. L'obiettivo del progetto è disviluppare innanzitutto il mercato interno della capitale, di Buenos Aires, per i prodotti diquesti contadini, ma anche di favorire l'esportazione su altri mercati. Pensiamo ad esempioallo zucchero da canna biologico, che potrebbe entrare sul mercato toscano e nelle mensescolastiche toscane senza troppo disturbo per la produzione poco sostenibile dellabarbabietola nostrana e del nostro zucchero raffinato.

Il nostro intervento in ToscanaLegambiente in questi ultimi anni sta svolgendo un ruolo attivo nella promozione dipolitiche rurali e di filiere agricole di qualità in Toscana. Questo ruolo è riconosciutoanche da alcuni accordi significativi raggiunti in questi anni con enti e associazionitoscane:

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- il protocollo con l'Agenzia regionale dell'agricoltura, ARSIA, che riguarda un ampio spettro ditematiche agroambientali: dai prodotti tradizionali allo sviluppo rurale, alla chimica verde;

- il protocollo con Cia Toscana siglato nel 2002 per una serie di iniziative congiunte in vari settoridell'agroambiente;

- l'ingresso recente al Tavolo di concertazione regionale sull'agricoltura;- il tavolo di trattativa aperto dal giugno scorso con la Regione insieme alle associazioni dei Coltivatori

biologici e del Foro contadino.

In particolare la nostra iniziativa attualmente è orientata in tre direzioni principali:

1. sviluppo dell'agricoltura ecologica e delle filiere di qualità. L'obiettivo è di rafforzarel'intero sistema agricolo toscano in direzione della sostenibilità ambientale e dellatracciabilità. Per questo abbiamo avviato una trattativa con la Regione, insieme alleassociazioni biologiche e al Foro contadino. Il primo punto in questione è la difesa dellapriorità al biologico, garantendo a tutti i produttori biologici storici della Toscana isostegni del Piano di sviluppo rurale e avviando con la Regione e gli enti locali un piano dicomunicazione adeguato sul ruolo strategico del biologico toscano per la qualità del cibo edel territorio. Ma riteniamo che anche l'agricoltura integrata possa contribuire almiglioramento delle pratiche agricole - soprattutto in alcuni settori come l'ortofrutta, in cuila conversione al biologico incontra molte difficoltà - purché siano migliorati gli attualidisciplinari dell'integrato (un primo tavolo di verifica dovrebbe aprirsi con ARSIA) epurché l'integrato sia sostenuto come fase transitoria verso il biologico. L'intervento vaesteso anche all'agricoltura convenzionale, da cui ancora proviene la massima parte di ciboche acquistiamo ogni giorno ai supermercati, ispirandoci ai princìpi della campagnanazionale di Legambiente "Cibi sicuri". Garantire la tracciabilità di filiere OGM-free per imarchi di qualità toscani - pensiamo soprattutto al latte e alla carne - dai foraggi alla stalla;

2. difesa dei piccoli contadini e del diritto alla terra, saldando tre obiettivi: sviluppo deicircuiti locali - valorizzazione del germoplasma e dei prodotti tradizionali - disponibilità diterreni agricoli per giovani e per cooperative. Chiedendo priorità nelle mense scolastiche aiprodotti tradizionali del territorio, sviluppo dei mercati periodici dei produttori locali,gruppi di acquisto e accordi con la piccola distribuzione. Insieme ai compagni del Forocontadino e delle associazioni biologiche abbiamo assunto la questione della CooperativaEughenia sull'Amiata, a rischio di sfratto, come lotta emblematica per il diritto alla terra.La regione, la comunità montana, i comuni e il parco dell'Amiata sono interlocutorifondamentali per difendere questo diritto e per favorire occasioni di reddito. Anche ladifesa degli usi civici ha per noi l'obiettivo prioritario di offrire occasioni di impresaagroambientale a chi non dispone di mezzi per comprarsi la terra;

3. "chimica verde", ossia stimolare la sostituzione di prodotti di sintesi, derivati in generedal petrolio, con materie prime rinnovabili dall'agricoltura. E' un campo dalle potenzialitàvastissime per migliorare la sostenibilità di moltissimi settori delle attività economiche -dall'industria ai trasporti, alle costruzioni, alla salute - e Legambiente è battistrada ormaida tre anni in Toscana in questo campo. Il nostro obiettivo è creare filiere integrate,coinvolgendo agricoltori, trasformatori e utilizzatori finali, e stimolando il ruolo dipromozione degli enti locali. Siamo impegnati con numerosi partners in diversi progetti -dai biolubrificanti da girasole alla canapa, alle piante tintorie - e non a caso fra qualchemese proprio qui a Firenze - in occasione della manifestazione Terra Futura promossa daBanca Etica - Legambiente organizzerà un'iniziativa nazionale su questo argomento.

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3.e) SULL’ENERGIA“ L’età della pietra non finì perché si esaurirono le pietre e l’età del petrolio non finirà per l’esaurimento deipozzi di petrolio ma per merito della tecnologia, che è il vero nemico dell’OPEC...” (A. Z. Yamani, 1977)

“Un altro sistema energetico è possibile”Una applicazione massiccia delle attuali tecnologie (eolico, solare termico e fotovoltaico,le biomasse, l’idrogeno come vettore, abbinate alle tecniche ad alta efficienza nell’utilizzodella stessa energia prodotta dalle rinnovabili), già ora consentirebbe teoricamentel’abbandono dei combustibili fossili. Anche utilizzando la fonte rinnovabile con irendimenti più modesti, il fotovoltaico, e considerando che ogni mq di superficie ricevedal sole 1440 KW/anno, sarebbe sufficiente circa il 2,5% di superficie, molto meno diquella edificata, per soddisfare tutti i fabbisogni energetici con l’energia, in questo casodiretta, ricevuta dal sole, mentre l’utilizzo di un mix di fonti rinnovabili più efficientipotrebbe in realtà ridurre drasticamente questa percentuale.Pure dal punto di vista economico, i costi di un teorico passaggio all’altro sistemaenergetico, sarebbero sostanzialmente già oggi praticabili in quanto i costi medi del KWda fossili da una parte e i costi medi dei KW da rinnovabili abbinati al risparmioenergetico sono complessivamente equivalenti se fossero considerati i costi esterni,ambientali (cambiamenti climatici), sanitari (malattie tumorali e respiratorie), sociali(mortalità, povertà causata da alluvioni e siccità), legati all’utilizzo dei combustibili fossili.Lo stesso “final report” preparato e presentato nel Luglio 2001 da Corrado Clini e MarkModdy Stuart al G8 di Genova stimava questi costi esterni essere mediamente vicino agli8 cent/_/KW che sommati ai circa 3 cent/_/KW di costo di produzione portano a valoricomplessivi mediamente superiori ai 10 cent/_/KW, mentre nelle rinnovabili si và dai 3cent/_/KW di costo complessivo dell’eolico, ai 4-5 del solare termico, fino ai 30cent/_/KW del fotovoltaico. Quindi un mix delle diverse fonti rinnovabili, abbinate ad unutilizzo molto più efficiente, comporterebbe costi complessivi vicini al totale dei costiimputabili ai combustibili fossili. E dunque, anche dal punto di vista economico, un altrosistema energetico è possibile.

“Un altro sistema energetico è in costruzione”Dopo le esperienze pionieristiche degli anni ‘80 (che avevano visto anche l’Italia tentarealcune politiche industriali di settore), negli anni ‘90 alcuni paesi, soprattutto del NordEuropa, hanno puntato con forza allo sviluppo delle fonti rinnovabili, portandole alla pienamaturità tecnologica ed economica e raggiungendo livelli prima impensabili di diffusione,come i 13.000 MW eolici e il milione di mq/anno di pannelli solari della Germania,mentre gli obbiettivi a tempi medi (30.000 MW eolici al 2010) pur non coincidendoassolutamente con il totale della risorsa eolica, rappresentano valori di prima grandezza sultotale della generazione elettrica di un paese tra i primi consumatori mondiali di energia.In parallelo allo sviluppo e diffusione delle rinnovabili alcuni paesi (particolarmente laGermania, Danimarca, Svezia ed Austria), hanno avviato una vera e propria riconversionecomplessiva del proprio sistema energetico, avviandosi verso l’abbandono del carbone enucleare, e con la diffusione capillare e di massa dei sistemi e tecnologie ad alta efficienzaenergetica nell’edilizia raggiungendo già oggi standards di efficienza energetica che aparità di condizioni climatiche permettono consumi da 2 a 3 volte inferiori a quelliregistrati nei paesi meno attivi su questo fronte (Italia, Francia o Inghilterra).

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In termini ambientali, cioè in termini di riduzione di CO2, il paese che con più coerenza haattivato una politica complessiva di riconversione ecologica del sistema energetico, laGermania, con il 19% di riduzione delle emissioni, il risultato di gran lunga migliore, sipone oggettivamente come punto di riferimento non solo per le politiche ambientali, mapure per quelle industriali. Ed infatti la creazione in un decennio di oltre 100.000 posti dilavoro (più del doppio dei dipendenti Fiat) evidenzia una leadership industriale a livellomondiale nelle tecnologie delle rinnovabili e dell’efficienza che si pone in alternativa edunque si contrappone alla leadership dell’industria petrolifera statunitense; ed in questaottica il conflitto USA – UE su Kyoto prima ed Iraq poi, è pure da interpretare come unconflitto per la supremazia industriale ed economica in un settore così strategico.In Italia la crisi dell’industria nazionale può esser pure un’occasione per una nuovapolitica industriale di settore che superi il vuoto assoluto degli anni 90 e non ripeta glierrori dei tentativi operati negli anni 80, puntando sulle risorse ed intelligenze purepresenti nei distretti industriali e nelle aziende pubbliche (ex municipalizzate) e private dimedia dimensione più portate all’innovazione di prodotto. In questo quadro complessivo,la Toscana, pur in presenza di una pianificazione (Piano Energetico Regionale) elegislazione regionale forse unica nel panorama nazionale, peraltro fortemente segnatadalla nostra iniziativa, presenta indicatori di trasformazione dell’attuale sistema energeticosostanzialmente piatti e comunque non migliori di quello nazionale a partire dallamancata applicazione della Legge 10/91, e quindi dalla diffusione del solare edell’efficienza energetica negli edifici pubblici vicino allo zero come nel complesso delsettore residenziale e dei servizi.Nella produzione termoelettrica il 67% della potenza installata (1859 MW) vede ancora infunzione gli stessi obsoleti impianti di 10 anni fa, con rendimento del 30% alimentatiancora a carbone od olio combustibile di proprietà della azienda elettrica ancora diproprietà pubblica, mentre i nuovi 600 MW di più moderni impianti autorizzati, sonoaggiuntivi e senza che alcuna significativa conflittualità sociale sia emersa per contrastaretali scelte. Conflittualità che in realtà non si è neppure evidenziata nell’eolico, fermo alpalo di 2,5 MW contro i 300 previsti dal P.E.R., bloccato più dalle prese di posizioni“politiche” di partiti, associazioni ambientaliste e dei decisori istituzionali (i casi diPiombino, Prato e Scansano sono una dimostrazione di questo dato) che da veri epartecipati comitati locali, a dimostrazione della sostanziale validità dei sondaggi cheindicano tra la popolazione una netta predominanza del buonsenso nella scelta dellapriorità tra il produrre energia senza inquinare e il non trasformare il paesaggio.In realtà la questione della difesa del territorio e della qualità di questo territorio e del suopaesaggio, necessita di un approccio ben più complesso che innanzitutto consideri come lostesso paesaggio sia in realtà in costante ed inarrestabile e, vorremmo, governabiletrasformazione, e che la qualità del paesaggio (quasi sempre da ricostruire più che dadifendere) è uno, ma non il solo degli elementi che determinano la qualità di un territorio edel suo ambiente e che dunque ridurre la difesa dell’ambiente alla sola – presunta – difesadel paesaggio è per lo meno riduttivo di una complessità che necessita di ben altroapproccio. Appare quindi desolante il panorama degli “addetti ai lavori” tra i qualipredominano altri interessi particolaristici e forse a volta inconfessabili, oppure unavisione locale che pure partendo da argomentazioni reali, diviene in realtà miope perdendodi vista il “pensare globale” e la comprensione della complessità.

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In questo quadro negativo vi sono però segnali che possono prefigurare linee di tendenza ecomunque d’azione che Legambiente deve seguire ed agevolare, dopo esserne stata spessoin qualche modo ispiratrice, e riguardano le prime timide iniziative nel campo dellerinnovabili, anche con progetti con forte innovazione, di alcune amministrazioni o di exmunicipalizzate da noi “sensibilizzate”, che insieme ad aziende private di un piccolo“distretto dell’idrogeno” presente tra Pisa e Livorno, stanno sperimentandol’industrializzazione della filiera eolico/idrogeno. Vi sono poi diverse esperienze di ESCO(Energy Save Company), ancora poco indirizzate sull’innovazione tecnologica maprobabilmente ben impostate sui necessari servizi finanziari per interventi diffusi dirisparmio ed efficienza energetica nel residenziale e terziario. Se quindi ha ancora unsenso la proprietà (a maggioranza) pubblica di società di servizi energetici presenti nelterritorio, è certamente in queste direzioni che le stesse devono operare svolgendo un ruoloche può essere determinante nel territorio e occorre quindi sollecitare iniziative in questadirezione da parte della Regione e delle amministrazioni locali proprietarie delle società amaggioranza pubblica.

Spetta quindi alle amministrazioni pubbliche, come alla stessa società civile attivareiniziative o vere e proprie campagne come quella promossa in diversi paesi europei dallaChiesa cattolica, con la sua opera Misereor, che ha convinto centinaia di amministrazionicomunali in Germania e Nord-Europa ad aderire formalmente all'Alleanza per il clima,con impegni a ridurre le emissioni di CO2 del 50% entro il 2010 e prevedendo strumenti diverifica e controllo delle azioni per il raggiungimento degli obiettivi.

3.f) INNOVAZIONE TECNOLOGICA E POLITICHE INDUSTRIALI

In Italia l’industria è storicamente contraddistinta da una polarizzazione della strutturadimensionale tra piccole e piccolissime imprese da un lato e grande impresa dall’altro,mentre il peso delle medie rimane limitato.Anche in Toscana lo sviluppo industriale è stato in larga misura fondato sui sistemi localidi piccole accanto ad un ruolo non ignorabile delle grandi imprese, oggi soprattuttometalmeccanica, siderurgica e chimica (a Firenze, Pistoia, Pontedera, Livorno, Piombino).Ciò che ha caratterizzato il processo di industrializzazione regionale non è stata tanto laprevalenza delle imprese minori, quanto il fatto che centinaia di piccole e piccolissimeimprese hanno fatto sistema, hanno cioè costruito un insieme localizzato di attivitàproduttive, tra loro fortemente integrate, radicate in un determinato contesto territoriale,che da questo radicamento locale hanno tratto forza e alimento, valorizzando le peculiaririsorse che la società locale possedeva. Ad ogni centro o area della regione corrispondeuna specializzazione economica: dal tessile di Prato alle concerie del Valdarno inferiore;dai mobili di Poggibonsi, Cascina e Quarrata, all'abbigliamento e alla pelletteriadell'empolese e dell'area fiorentina; dalle calzature della Val di Nievole e della provincialucchese all'industria orafa aretina. Accanto ai sistemi locali di piccola impresa, ilperdurare di antiche tradizioni artigianali, dall'alabastro di Volterra ai cristalli di ColleValdelsa. La presenza della grande industria nell’area costiera invece, (per ragionistoriche) non è riuscita ad innescare né gemmazione d’imprese né politiche di sistema.

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Per cui è vero che la Toscana è tra le regioni industriali forti del nostro paese; tra le regioniricche, come mostrano le statistiche sul reddito, ed anche tra le regioni a più elevataqualità della vita, come mostrano le classifiche periodicamente stilate, ma offre unpanorama della struttura produttiva così differenziato da indurre a parlare di “Toscanadelle Toscane”.Se un tratto unificante fra i diversi sistemi industriali della Toscana è rintracciabile, questoè riferibile al suo rapporto con l’ambiente. Infatti, sia i sistemi locali di piccola impresa(che hanno sperimentato la flessibilità ben prima che questa assurgesse agli onori dellecronache), che le aree con presenza di grande industria, hanno storicamente basato la loroevoluzione, anche, su forti esternalità ambientali. Per acclarare questa affermazionebasterebbe leggere la mappa della produzione (e dei mancati smaltimenti) dei rifiutispeciali e pericolosi contenuta nel Piano regionale di gestione dei rifiuti. Questoindicatore, quello dei rifiuti, è interessante anche per osservare la costante crescita deiconsumi di materia ed energia dell’industria toscana e della conseguente insufficienzanell’implementazione di innovazione tecnologica applicata ai processi e ai prodotti.

Nel Programma Regionale di Sviluppo viene affermata ( le affermazioni non sono dasopravvalutare ma neanche da sottovalutare) l’idea della sostenibilità come criteriodirettore delle politiche regionali. Un concetto di sostenibilità ampio che non si riferisceesclusivamente agli aspetti ambientali e paesaggistici ma anche a quelli economici efinanziari. E’ una impostazione giusta, che richiama alla responsabilità le generazioni dioggi e che introduce una attenzione forte alla continuità della specie e alla durabilità deiprocessi economici e sociali di una comunità. La sostenibilità nell’accezione usata nel PRSè un concetto complesso e integrato: una buona politica deve farsi carico di tenere assiemei tre tipi di sostenibilità (ambientale, economica e finanziaria).Ma al di là delle enunciazioni, mentre la sostenibilità economico/finanziaria ha indicatori epratiche decennali cui fare riferimento, la sostenibilità ambientale è, nella sostanza,rimasta al palo delle declamazioni convegnistiche o poco più. Indicatori e praticheoperative per la sostenibilità ambientale non riescono a superare una confusa e, oramailunga, fase sperimentale (vedi la recente assunzione nel PRAA dello strumentodell’Impronta Ecologica che rischia di sovrapporsi maldestramente con Agenda XXI).

Proprio la sperimentazione regionale di Agenda XXI locale doveva innescare una torsioneambientalista nella programmazione locale dello sviluppo. Invece ha pesato e continua apesare una grave incapacità nell’integrare la programmazione economica con quellaterritoriale e ambientale. La schizofrenia di pratiche istituzionali oscillanti fra ecumenismoe comitatismo ha fatto registrare una sostanziale ininfluenza dello strumento Agenda XXIin quanto leva cogente per integrare localmente economia ed ecologia.

I limiti più seri registrabili nello sforzo di attuazione del concetto di sostenibilità, cosìcome espresso in Piani e Programmi delle istituzioni toscane, sono sommariamente cosìriassumibili:

• il non sovraordinamento dell’Agenda XXI sui Piani e Programmi settoriali;

• gli strumenti metodologici per l’analisi ambientale (gli indicatori) e per la valutazione strategica,sono poco applicati e, soprattutto, non comparati con quelli economici e finanziari;

• il coinvolgimento dei soggetti pubblici incaricati della protezione ambientale è spesso marginaleo attuato soltanto nella fase finale di approvazione dei piani;

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• il coinvolgimento dei soggetti sociali è limitato a quelli più tradizionalmente riconosciuti e non siallarga al più vasto mondo dell’associazionismo;

• la partecipazione è praticata (quasi sempre sui progetti e non sui piani) più come ricerca diconsenso (decidi/annuncia/difendi) che non come metodo decisionale allargato per garantire unapiù efficace e condivisa determinazione degli obiettivi (costruzione delle decisioni condivise);

• è ignorata la necessità da parte delle istituzioni di agire in prima persona il principio dellaresponsabilità, delle soluzioni innovative e delle azioni positive, relegando così l’ambiente, nellaconsiderazione di troppi soggetti istituzionali e sociali, ad un vincolo da rispettare, ad un fastidioprocedurale o, addirittura, come argomento specioso per impedire l’introduzione di innovazioni;

• le normative, i piani e i programmi spesso vanno in direzioni diverse tra di loro o si ostacolano avicenda, rendendo difficile o spesso nulla la verifica della loro applicazione e/o efficacia. Si fannoi bilanci economici e finanziari ma si evitano sistematicamente quelli ambientali (perfino delleleggi e dei piani di settore);

• così, non viene praticato, ancorché lo si enunci, l’obiettivo di orientare lo sviluppo verso unmodello qualitativo piuttosto che quantitativo purchessia. La competitività, di fatto, viene ricercatasui versanti della flessibilità e della riduzione del costo del lavoro, l’innovazione e la qualità diprocesso e di prodotto dovrebbero essere un imperativo. Dovrebbero, poiché è acclarato che non èpossibile competere sulla flessibilità e sul costo del lavoro con i Paesi cosiddetti emergenti;

• il concetto di sostenibilità viene quasi ovunque declinato, a livello territoriale, con la paroladiversificazione, vero passepartout per schivare l’onere della misurabilità qualitativa dellosviluppo che c’è e di quello che si vorrebbe;

• i termini, piccolo, disseminato, polverizzato, non industriale, hanno assunto nell’immaginariocollettivo, anche degli amministratori locali, una accezione aprioristicamente positiva che vienedeclinata come sostenibilità e invece sono spessissimo sinonimi di mancanza di qualità, flessibilitàesasperata, precarietà, evasione normativa, incapacità-impossibilità dei controlli e, in ultimaanalisi di maggiore insostenibilità ambientale e sociale anche quando non economico-finanziaria;

• l’industria (in tutte le sue varianti hard e soft), anche per la miopia dei soggetti che l’hannorappresentata (ma non solo), ha finito così per seguire le sorti del lavoro manuale: una crescenteed ottusa svalorizzazione sociale, anche quando è evidente la sua funzione di mitigatrice di impattio, peggio ancora, quando è indispensabile per praticare concretamente la sostenibilità ambientale;

• la politica industriale, a tutti i livelli, si è così ridotta ad accolita di provvedimenti eterogenei disostegno, quasi mai finalizzati coerentemente alla sostenibilità ambientale condannando se stessaad una piagnucolosa osservazione delle performances altrui. Non a caso la certificazione sociale eambientale ricercata e promossa dalla Regione Toscana, non decolla;

• la ricerca applicata e l’innovazione, così a livello nazionale, ma anche a livello regionale, quandovengono praticate, sono indirizzate quasi sempre al segmento del marketing, anche internazionale,quasi mai ai processi e ai prodotti. I casi emblematici (che pure esistono) non vengono socializzatiné disseminati.

Per superare questo stato di cose, la politica (intesa come governo delle contraddizionisecondo obiettivi) non può in alcun modo limitarsi ad “accompagnare le dinamicheautonome dell’economia” bensì deve interagire con le comunità locali e integrare le azionivolontarie con gli strumenti di programmazione e di pianificazione. Tale politica devedunque costruire la cornice per il mercato locale, certamente in modo consensuale, maemancipandosi dai criteri del marketing e non rifuggendo dal suo dovere di orientamento,di scelta, di decisione. In ultima analisi di assunzione di responsabilità e di pratica in primapersona di ciò che predica. Ciò richiede il superamento della ideologia (generata dallaegemonia liberista) che sottende le politiche dei governi a livello globale e nazionale:l’illusione circa le capacità del mercato di autoregolarsi razionalmente rispetto all’impattoambientale, all’uso delle risorse, all’equa distribuzione della ricchezza. Ma va superato

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anche l’equivoco del “siamo tutti ambientalisti”. Questo equivoco va disvelato prima esuperato poi, attraverso la pratica integrazione fra economia ed ecologia che è l’esattoopposto di una concezione dell’ambiente quale quella presentata ancora recentemente dalMinistro Matteoli in occasione della presentazione del Piano Regionale di AzioneAmbientale: mitigare e riparare i guasti di una crescita economica che non solo non puòessere messa in discussione, bensì neanche criticata.

Non è un caso che la fortuna incontrata dal concetto di “sviluppo sostenibile” è pari allasua acquisita “debolezza”. Tale debolezza nasce dai fondamenti stessi del concetto, chenon hanno consentito di reggere l’urto di quel processo di globalizzazione economica e deimercati, che è stato particolarmente accelerato nell’ultimo decennio. A fondamento delconcetto di “sviluppo sostenibile” c’è, infatti, il principio del mantenimento dello stockdelle risorse naturali che vengono consumate nel processo economico e che possono essererestituite all’ambiente solo attraverso l’impiego crescente di tecnologia innovativa. Questoprincipio dunque, se e quando è condiviso, non può eludere tre assunti:

1 ) che la tecnologia (così come la ricchezza) non si trasferisce spontaneamentesecondo “giustizia ed equità”;

2) che qualunque tecnologia, anche la più soft, consuma risorse naturali che restituisce,dalla originaria forma disponibile, in forma dissipata, non disponibile;

3) che non può darsi tecnologia innovativa senza ricerca e senza industria innovativa.

L’innovazione industriale e l’industria innovativa cui noi guardiamo ha i suoi riferimentinel superamento definitivo delle esternalità, che producono impatti ambientali e umani nonpiù sostenibili e punta, al contrario, a sfruttare al massimo il fattore della conoscenza. Talefattore è rintracciabile nei diversi “luoghi” della ricerca e della applicazione della Toscana:dalle università alle imprese consapevoli, dai centri di ricerca al sistema delle professioni eva connesso, fatto interagire con quei nuclei regionali di produzione e di domanda in gradodi assorbire e di sollecitare l’innovazione (dai beni culturali alla sanità, dalla formazione alrestauro, dai prodotti tipici dell’agricoltura ai nuovi materiali, ecc...). E’ in questaconnessione il pur difficile banco di prova della sostenibilità e della innovazioneindustriale.

Ma anche quando, pure nella nostra regione, avessimo messo felicemente in pratica questaconnessione (e oggi ne siamo certamente lontani), non avremmo in tasca la pietrafilosofale. Anzi, già oggi, e già per indirizzare l’innovazione tecnologica e industriale,dobbiamo fare i conti con una tendenza fortissima che riguarda l’accrescimento delledimensioni operative delle aziende. Questo accrescimento passa ora attraverso fenomeni dioutsorcing che si impongono in termini diversi rispetto a quanto avvenuto negli annipassati. L'outsorcing che si sta affermando a livello internazionale e di cui è impossibilenon tener conto nelle dimensioni regionali, non è più mirato alla esternalizzazione deiservizi secondari, con l’obiettivo di concentrarsi sulle funzioni strategiche di produzione.Prevale invece l’affidamento all’esterno (più spesso all’estero) proprio delle fasi “core”della lavorazione, mentre l’attenzione è focalizzata su alcune fasi soft e ad elevato valoreaggiunto, che nel passato venivano ritenute relativamente secondarie (design, packaging,marchio, servizi di assistenza e di post vendita ecc...). I rapporti del Comprensorio delCuoio con i Paesi asiatici, già oggi, ci parlano di questa tendenza.

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L’industrialismo, così come storicamente è stato inteso dagli ambientalisti, oggi rischia diincrociare “positivamente” l’anti/industrialismo proprio nell’allontanamento (non già nelsuperamento) delle esternalizzazioni ambientali.

L’idea che circola, per la quale “si tratta di far restare in Toscana il cervello e il cuore diquesta industria e di dislocare nel sistema globale le braccia al fine di consentire unacompetizione che sia nello stesso tempo su livelli elevati di qualità e compatibile in terminidi prezzo; in tal modo anche qualificando la domanda di lavoro che deve tendere adincontrarsi con una offerta endogena della regione sempre più istruita eprofessionalizzata”, non è una idea infondata e può incontrare i consensi di larghe areedell’ambientalismo.

Si tratta di stabilire se per “l’ambientalismo scientifico” è una idea sostenibile. Si tratta diprendere coscienza del fatto che opporsi o sostenere tale idea, comporta un approccioradicalmente diverso alle nostre battaglie ambientaliste.

3.g) EDUCAZIONE AMBIENTALE E POLITICHE PER LA FORMAZIONE

Quali sono su scala globale i problemi dei sistemi formativi? Come vengono visti? Comesi pensa di organizzarli? Per noi ambientalisti la qualità dei sistemi formativi è strategica,come è strategica la qualità della democrazia, perché abbiamo bisogno di informazionicorrette che circolino, di conoscenza e cultura, di capacità di ricercare e innovare. Laconoscenza, i saperi, sono un valore sociale, un bene pubblico, un bene che va difeso etutelato come si fa con un valore prezioso.Purtroppo la tendenza, diciamo globale, è un po’ diversa. Emergono ipotesi ma ancherealtà, nel mondo, dove il valore sociale della conoscenza viene negato e viene negatoanche il fatto che esso sia garantito da un sistema pubblico di istruzione. Nei paesi poveridel mondo la scolarizzazione non decolla, anzi rallenta e nei paesi ricchi non stiamo moltomeglio nel senso che si assiste ad un incremento dell’analfabetismo di ritorno, ad unsempre minore investimento di danaro e ad una maggiore de-responsabilizzazione degliStati verso i sistemi pubblici di istruzione, ad una conoscenza sempre più legata allaeconomia ed al mondo del lavoro. Si tratta quindi, di produrre conoscenza che serveall’economia, di trasformare e frammentare i luoghi collettivi di apprendimento in mododa renderli, come fossero merci, vendibili al miglior offerente. Si smontano i sistemipubblici, si riducono i costi, si sostituiscono con servizi a domanda individuale a gestioneprivata, come se il mercato fosse il vero regolatore sociale, la scala di valori di riferimento.La complessità crescente delle nostre società, i rapidi cambiamenti, le relazioni sociali, laricchezza del confronto tra valori e culture diverse si appiattisce e si semplifica tra mercatoe individualizzazione. Questo il quadro globale ma anche della nostra Italia, dove ilGoverno, come spesso gli accade in fatto di politiche liberiste, più realista del re, hapensato bene di approvare la cosiddetta “Riforma Moratti” ovvero la Legge 53/’03.Che tipo di scuola e soprattutto quale tipo di società tratteggia la “Riforma”?Innanzitutto riduce. Riduce i finanziamenti alla scuola pubblica a favore di quelli per lescuole private, riduce l’autonomia delle scuole dal sistema politico e dal Ministero, riduceil tempo scuola obbligatorio in tutti gli ordini, riduce il numero di insegnanti, riduce le sedi

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scolastiche (drammatica la situazione nei piccoli Comuni), riduce la durata della scuolaobbligatoria (la Legge 9/99 per l’obbligo a 15 anni è già stata cancellata e siamo incontrotendenza rispetto a tutta l’Europa), riduce la libertà di scelta degli studenti(anticipando la scelta a 12 anni e mezzo aumenta il peso della origine familiare), riduce leopportunità di formazione e di autoformazione in servizio affidando tutto alle Università,riduce gli spazi di ricerca, sperimentazione ed attuazione di buone pratiche, riduce i dirittisindacali (proposta di legge sullo stato giuridico, azioni sul precariato, immissione in ruolodegli insegnanti di religione, proposte di chiamata diretta), riduce la dimensione collegiale(maestro prevalente, contratti a prestazione d’opera, riforma degli Organi Collegiali),riduce la funzione educativa verso quella istruttiva attraverso la certificazione dicompetenze apprese altrove, riduce l’attenzione verso l’integrazione, la multiculturalità, ladispersione e l’insuccesso scolastico, riduce l’attenzione ed il rispetto verso i ritmi dell’etàevolutiva (anticipi delle materne e delle elementari), riduce la dimensione trasversale tradiscipline, l’importanza delle competenze trasversali cognitive e socio-relazionali(andando nella direzione di una deriva nozionistica).Una scuola dunque che di “pubblico” inteso come bene collettivo non ha più nulla, chesepara in base al censo ed alle condizioni sociali, che privilegia l’addestramento ed i saperispecializzati al posto di un sapere di base, culturale, critico, che permetta di orientarsi inuna società che si trasforma, dove le vite sono più aperte rispetto al passato (si cambianopiù cose nel corso della vita), che non è più il luogo dove si apprende insieme tra diversi,dove si fa esperienza di partecipazione e cittadinanza. Quella del Governo è dunque unascuola per una società di individui, soli, ognuno occupato a scegliersi i propri pezzi dipercorso, senza possibilità di aspirare a qualcosa di meglio o di diverso, senza diritti. E’ lascuola di uno Stato che non investe sulla qualità, sulla solidarietà e nella equità, e chediffonde l’ignoranza andando contro gli interessi ed i bisogni delle persone che ci vivono.Come si risponde? E in Toscana? Da quanto detto dovrebbe emergere chiaramente chele politiche formative italiane non sono un incidente di percorso di un Governo pocoattento, ma che si inseriscono invece in un quadro internazionale preciso ed in un disegnoche prefigura un certo tipo di società, che noi ambientalisti non possiamo condividere.Sul piano internazionale le speranze ed il lavoro sono nelle mani del Forum SocialeEuropeo che si sta tenendo in questi giorni a Parigi e che guarda e discute intorno allepolitiche europee ed alla Carta Costituzionale. L’idea che verrà percorsa rispetto ai temidelle politiche formative è quella di confrontare i vari sistemi nazionali, le varie forme diautonomia, le buone pratiche, i progetti contro l’esclusione, i tentativi di privatizzazione edi mercificazione del sapere e delle istituzioni scolastiche ed infine la costruzione di unnetwork permanente tra movimento, sindacati, associazioni di studenti ed insegnanti,partiti. Inoltre si cercherà di stabilire un calendario di incontri, iniziative politiche,campagne. Attualmente la difesa dei sistemi pubblici di istruzione europei diventa unimportante baluardo contro l’estendersi delle politiche neoliberiste che hanno comeobiettivo quello di cambiare le finalità delle politiche formative. Riforme analoghe allanostra vengono portate avanti da altri governi europei tra i quali Francia o Spagna.Sul piano nazionale da quasi due anni ormai l’associazione si batte insieme a cartellisempre più ampi, che comprendono altre associazioni professionali, tante associazionidella cosiddetta Società Civile, i sindacati, le associazioni dei genitori, tutte le associazioni

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studentesche e altri per informare, confrontarci, provare a formulare ipotesi alternative diriforma della scuola, decidere iniziative e forme di resistenza. Vari sono stati i nomi deigruppi, uno per tutti i coordinamenti di “PIùSCUOLAPERTUTTI”, attivati spesso dallastessa Legambiente, dalla Sicilia al Piemonte, che hanno visto in Toscana due esperienzeforti: Livorno e Firenze. La strada della mobilitazione certo non va abbandonata ed ilbisogno di informazione è comunque forte anche perché la “Riforma” viene non a casoattuata a piccoli pezzi, in modo da non suscitare contraccolpi evidenti. Lo sciopero del 24ottobre scorso, per quanto riguarda il comparto scuola può definirsi uno dei più riusciti ditutti i tempi, segno che la presa di coscienza è in atto, ma resta un punto problematico.Non si riesce a trovare una sintesi soddisfacente che permetta alle forze che si oppongonoalla “Riforma Moratti” di presentare una proposta compiuta alternativa.A Firenze, proprio in questi giorni, il gruppo sulle “Politiche formative” del Forum perFirenze al quale partecipiamo come associazione sta provando a farlo. Ne sta uscendo unquadro molto interessante che va dalla riforma del Titolo V della Costituzione, ai problemilegati agli anticipi nelle scuole dell’infanzia e nelle elementari, alla scelta precoce con ildoppio canale per i ragazzi delle medie; ragiona inoltre intorno al Protocollo firmato dallaRegione Toscana con il MIUR, alle politiche per il Diritto allo studio, passando dallaUniversità e dalla educazione non formale per gli adulti. Sembrano tante coseapparentemente molto distanti tra loro, in realtà ci si rende conto che tutto è fortementecollegato. Le prime proposte vanno nella direzione del rafforzamento delle autonomiescolastiche, consistendo nello sganciarle dalle politiche del Ministero e delle Regioni,creando reti di scuole e reti culturali (e multiculturali) sul territorio anche con il sistemanon formale. Su queste basi la nostra associazione ha molto da dare, sia per esperienzadiretta, sia come progetti di ricerca. Il progetto SETA (Scuola e Territorio nell’Autonomia)del 2000/2001 agiva sul rapporto tra le scuole dell’autonomia ed il proprio territorio, sulleforme possibili di progettazione partecipata del P.O.F. (piano di offerta formativa).Abbiamo esperienze di azioni e campagne di educazione alla cittadinanza, la Rete diScuole Capaci di Futuro, la Rete dei Circoli, che in Toscana si sta ampliandonotevolmente, il Coordinamento dei Centri di Educazione di Legambiente Toscanaattualmente formato da: Asqua (Foreste Casentinesi), Vinca (Lunigiana) e Cave (Prato).Questi Centri hanno la caratteristica principale di agire in stretto contatto con le vicendepolitiche, culturali e di sviluppo della società nel territorio in cui operano, con attività ditipo educativo e formativo. Le recenti evoluzioni e gli sviluppi delle normative in materiadi “Formazione ed Educazione non formale” messe in atto dalla Regione Toscana hannosicuramente dato un input positivo all’azione di queste strutture. La Regione ha infattiattivato un integrazione a unico sistema di azione tra Piano di indirizzo per il Diritto alloStudio e alla Educazione Permanente delibera C.R. 128 del 19/06/’01, delibera 120 del24/07/’02 e il sistema INFEA delibera G.R. 537 del 27/05/’02, documento regionale per lapartecipazione al progetto informazione-formazione educazione ambientale 2002-2003.Tale importante e lungimirante azione ha permesso ai Centri di accreditarsi sui bandiprovinciali e di divenire strutture riconosciute dal sistema di integrazione tra l’educazionee formazione non formale permanente degli adulti e le attività di educazione ambientale.Va inoltre sottolineato che le associazioni ambientaliste e l’ottimo lavoro svolto ai tavolidi confronto dai nostri rappresentanti ha influenzato in modo positivo questo risultato.

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Ultimo punto, il Protocollo firmato dalla Regione Toscana, insieme ad altre, durantel’ultima estate, con il Ministero (MIUR). Su questo punto siamo molto perplessi. Anche seda una prima lettura, la proposta di sistema integrato (tra istruzione e formazioneprofessionale) della nostra regione ci sembra uno dei più illuminati - e la versione ufficialeè che è stato firmato per dare una risposta concreta alla cancellazione della Legge 9/99 -rimaniamo dubbiosi sul fatto che questa firma possa contemplare la proposta del doppiocanale previsto dalla Riforma e dunque sospettiamo che non si opponga affatto ad essa (alsolito c’è più realismo del re!). Ciò che si evince è che si cerca di mitigare la separazionetra i sistemi, proponendo esperienze di alternanza scuola/lavoro anche per i Licei (ma alsolito: per quali ragazzi dei Licei? Forse per quelli meno bravi?) Non continueremmoforse a dare lo stesso tipo di segnale verso chi mostra delle difficoltà a scuola? Invece diproporre nuove strategie e nuovi modi di comunicazione, invece di aiutare a costruiresenso intorno ad un progetto culturale, continuiamo a farli uscire dalle aule e a mandarli alavoro quasi fosse l’unica loro possibilità. Una sconfitta di proporzioni epocali per unascuola che avrebbe l’ambizione di formare i cittadini di domani.

3.h) SULLA SOLIDARIETA’

Dal 1994, tra le campagne di Legambiente, è presente Progetto Chernobyl, una iniziativadi solidarietà nei confronti dei bambini colpiti dal fall out radioattivo ricaduto su Russia,Bielorussia ed Ucraina dopo l’incidente alla centrale di Chernobyl dell’aprile 1986. Unacampagna che in dieci anni ha permesso di ospitare in Italia oltre 20.000 bambini, haradunato attorno al progetto centinaia di gruppi locali e migliaia di famiglie e volontari. Alcontempo, i circoli di Legambiente si sono scoperti forti di questa esperienza, che di annoin anno si è arricchita di nuove progettualità, e si sono misurati con nuove forme diintervento in altre aree del mondo: dalla costruzione di un FAP in Panshir realizzata conEmergency alla raccolta fondi per la campagna “Seminiamo il futuro” in Mozambico, finoalla collaborazione con l’Associazione Vivamazzonia che opera in Brasile.Sono stati “esperimenti” importanti che hanno dato prova sia della capacità di confrontocon situazioni nuove, che della possibilità di saggiare “altri” fronti di solidarietà nelle zonecontaminate (progetto Humus, Ambulatorio Mobile, gemellaggi). Del resto LegambienteSolidarietà è nata come settore di Legambiente in grado di intervenire in situazioni dovecoesistono il degrado ambientale ed il disagio sociale. Proprio da qui è nato tuttol’entusiasmo per andare oltre e per valutare quelli che possono essere i campi d’azione suiquali insistere. Progetto Chernobyl rimane sempre il principale piano di intervento diLegambiente Solidarietà, ma è comunque necessario aprirsi a nuovi compiti. E qualunquesia il contesto, non bisogna dimenticare che quanto si vuole proporre non è un aiuto “fine asé stesso”, ma uno scambio, un confronto con le realtà locali, con le quali si viene incontatto, perché la nostra azione non sia di puro assistenzialismo ma permetta un passo inavanti verso una possibile autonomia delle comunità interessate. Sta tutto qui il nostroumanesimo ambientalista, nella capacità di confrontarsi con gli uomini, di natura e culturadiversa, per instaurare un legame di interconnessione e di arricchimento reciproco. Nonc’è subalternità nel Progetto Chernobyl, non c’è nemmeno atteggiamento compassionevoleverso i bambini o gli adulti coinvolti: c’è un senso alto di dignità e di stima reciproca. C’è

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quella che in matematica viene definita corrispondenza biunivoca, applicata questa volta airapporti umani. Si tratta di un ambientalismo che amiamo definire solidale epropositivo, che lega la ragione al cuore, in nome di una buona globalizzazione realmentecapace di perseguire i fini di miglioramento individuale e collettivo.Come Comitato Regionale Toscano, viene riconosciuto il valore di questo settoredell’associazione che, grazie anche alla nascita del Dipartimento Internazionale e alrinnovato impegno all’interno dei Fori Sociali, ha trovato un punto di contatto con tutte lealtre realtà che Legambiente nel corso di questi anni ha conosciuto, sia attraverso progettidi cooperazione che con iniziative di salvaguardia dell’ambiente: un ponte con comunità ePaesi di tutto il mondo. Ma un ponte anche tra le anime di Legambiente, che a vario titolosono presenti sulla scena internazionale: basti pensare alla florida situazione dellaToscana, dove convivono e si intersecano le esperienze di Progetto Chernobyl e quelle deiCircoli di Viareggio e Arezzo, impegnati in Africa e in Sudamerica. Anche dentro la stessaLegambiente quindi è importante mettere a fuoco le potenzialità, le conoscenze acquisite,proprio per rendere ancora più efficace l’impegno che ci contraddistingue comeassociazione ambientalista. Nello scambio reciproco, sia dentro che fuori di noi, dobbiamotrovare la chiave di accesso a nuove progettualità, sia nel campo della solidarietà ecooperazione che più in generale per la difesa e tutela dell’ambiente.Legambiente Toscana crede nella forza dell’umanesimo ambientalista espressa attraversola rete solidale dei gruppi che in questi anni hanno realizzato Progetto Chernobyl e confidache le buone pratiche della reciprocità individuate nelle iniziative di LegambienteSolidarietà possano essere un buon esempio da riproporre anche all’interno di altrecampagne. L’incontro con la società civile è infatti una formula che di per sé è garanzia discambio e di piena consapevolezza delle problematiche di una comunità. Lo stessoumanesimo di cui ci facciamo promotori a livello locale, nazionale ed internazionale haquesta stessa matrice: quella che vuole l’uomo come essere naturale più evoluto, che sposal’assioma secondo cui non si può pretendere di salvare la natura distruggendo l’uomo né sipuò pensare di salvare l’uomo distruggendo la natura.

Legambiente Toscana guarda quindi con soddisfazione al patrimonio di LegambienteSolidarietà, lanciando proprio dal Congresso Regionale un invito: quello di investire suProgetto Chernobyl, perché esso porta in sé una ricchezza da poter sviluppare in altriambiti, si fa portavoce delle istanze del nostro umanesimo ambientalista, permette dicondividere con istituzioni, altre associazioni, famiglie quelli che sono i principi fondantidel nostro pensiero politico. Ripartiamo dunque dai sei gruppi di Legambiente Solidarietàche negli ultimi anni hanno ben rappresentato l’associazione in Toscana. Oltreall’accoglienza, infatti, questi circoli hanno messo in atto progetti di cooperazione inBielorussia, hanno mobilitato centinaia di persone per portare aiuti umanitari, hannostretto collaborazioni con le Università e le municipalità delle aree contaminate, al fine direndere più efficace l’intervento.

Infine, in un delicato momento storico come quello attuale, in cui il nucleare rischia ditornare clamorosamente alla ribalta, e alla vigilia dell’anno internazionale dell’energia,l’accoglienza e le iniziative nelle aree colpite dal tragico incidente del 1986 assumono unvalore politico ancora più forte: sono la testimonianza diretta della scelleratezza umana,oltre che di una emergenza ormai latente che rischia di essere totalmente dimenticata.

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3.i) SUI BENI CULTURALI E STORICO/ARTISTICI"... la città di sabbia dei sogniquella del desideriopotrebbe chiamarsi storiase fosse certa somma di materialie costruisse il tempoma solo sarai libero arrivando a memoriala città dove abita il tuo unico destino.L’architettura trasformerà le agonie?Nessun labirinto altera il risultato...”

(Manuel Vazquez Montalban, 1997)

Far “cassa”Non si rimanga allibiti di fronte a questa espressione che appare tanto inopportuna inapertura di un documento congressuale di settore, perché essa riassume in sé il cuore dellanostra indignazione, del nostro fare denuncia, del nostro fare movimento di resistenzacivile contro l’attacco più vile ed esteso al patrimonio artistico e monumentale che ilnostro paese abbia mai subito nella sua storia.Alle devastazioni territoriali e urbane che rispondevano alle logiche del “progressopostmoderno”, e che si identificano oggi in infrastrutture ed insediamenti insostenibili,nella dequalificazione morfologica e funzionale delle città, dobbiamo ora aggiungere, conpalese sconcerto, il bieco tentativo di legalizzare gli scempi, una sorta di “beatificazionedel Lanzichenecco di turno”, una cupa strategia dove, sulla base di assurdi principi difinanza creativa, l’importante è far cassa svendendo il patrimonio pubblico per permetterea governanti sorridenti di pareggiare improbabili bilanci e continuare a… sorridere.

Questo raccapricciante fronte ci appare dunque estremamente composito, ma unito neltentativo di operare sul nostro Paese in maniera sistematica e con i sigilli dell’Autorità, lapiù grande devastazione ambientale e territoriale che la nostra storia recente ricordi. Learmi dei nuovi barbari, come sono sempre gli strumenti degli ordalici invasori, fannopaura e sono mortali per il patrimonio storico/culturale del Paese, e pongono per di più laToscana in primissima linea, rispetto all’attacco: condono edilizio, alienazione ecartolarizzazione del Patrimonio immobiliare dello Stato, disattenta gestione deiflussi turistici, ritardo nel censimento del beni culturali minori (o presunti tali...).

Si parte dunque dal condono edilizio, il terzo in 20 anni, che comporta, oltre agli effettividanni sul territorio e sulle città, l’affermazione di stravolgenti principi etico/morali,annullando, di fatto, gli sforzi per la diffusione della cultura della legalità, del rispettodelle regole, della tutela di un territorio dotato di inestimabili valori storici e paesaggistici.Non accetteremo nessuna sanatoria che condoni abusi e scempi, tanto meno unprovvedimento che taluni definiscono leggero, perché i piccoli ecomostri sono in ognicaso figli di un pensiero movente semplicemente mostruoso; ed ecco così il festival dellesuperfetazioni, dei balconi comparsi nello spazio di una notte, delle taverne underground edi improbabili finestre trilobate, magari in aree a forte valenza paesaggistica o tra i miseriresti di un antico e rigoglioso bosco, incenerito da qualche “provvidenziale” saetta.Come un’analoga e perversa operazione monetizzatrice, bisogna poi leggere l’assurdastrategia di valorizzare il patrimonio pubblico cedendo una parte del sistema dei beniculturali ad una società di diritto privato, inserendo di fatto tale sistema in una logica digestione privatistica. Infatti, con le due società nate dalla L.112/2002, la “Patrimonio

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dello Stato S.p.A” e la “Infrastrutture S.p.A”, sono nati gli strumenti per consentire ilpiano di risanamento finanziario, utilizzando, tra l’altro, anche procedure dicartolarizzazione (tramite le Società di Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici, lecosiddette SCIP). Con questa proposta il Ministro Tremonti pare sia riuscito anche aquantificare economicamente il valore storico/culturale del patrimonio collettivodemandato alla svendita, facendo poi temere a tutti i noi il periodo dei… saldi!!!E tutto ciò ancora non basta a rendere l’idea della ecatombe ambientale e territoriale che ciaspetta, se non si menziona il fatto che nessuna vera campagna sistematica dicensimento del patrimonio è stata ancora avviata, rendendo così impossibile la redazionedi uno strumento conoscitivo, sulla base del quale poi classificare il valore del bene: comeattribuire dunque alle due suddette società i beni di minor valore, giudicati alienabili? Visarà certo nei prossimi mesi una campagna mediatica che cercherà di convincerci dellabontà dell’operazione, ma potrebbe essere utile ed opportuno attivare la rete dei nostricircoli sul territorio, affinché comincino a censire, con tutti gli strumenti possibili a lorodisposizione, una realtà che tenteranno di farci credere diversa dal sedimentato della nostramemoria storica, oltre che dal nostro stesso senso comune.Su tutto ciò viene proposto, a mo’ di garanzia, la supervisione del Ministero dei Beni edelle Attività culturali, che ci appare ben poca cosa, se osserviamo la scarsa incisività dicui godono sul territorio le Soprintendenze in Italia, dato anche il complicatissimointreccio di competenze sulla materia. I siti ed i beni (per ora) inalienabili, intanto,continuano a subire loro malgrado il solito attacco, non meno devastante, che vede tra gliaggressori: l’ inquinamento atmosferico, l’incuria, l’utilizzazione impropria e unaincapacità di gestione dei flussi turistici, sempre più improntati a rispondere arichieste di quantità piuttosto che di qualità.A questo stato di cose, la Regione Toscana intende rispondere con un progetto diAutonomia Speciale in materia di Beni Culturali. Claudio Martini, recentemente, in un suointervento sul quotidiano la Repubblica, ha definito meglio i contorni di questo progetto.Si tratterebbe, in sostanza, di devolvere al livello regionale (che ha già competenza – inbase al dettato del T.U.490/99 e dell’art.9 della Costituzione – sulla valorizzazione e sullagestione dei bb.cc.) anche la delicatissima funzione della tutela. In sostanza, dunque,l’operazione configurerebbe l’autonomia delle Soprintendenze dal livello statale, di fattoconnotandole come delle vere e proprie Authority super partes. Il modello perseguito èquello con cui analogamente si è sottratta allo Stato la competenza sul Genio Civile.Decentrare, dunque, per rendere più efficiente ed efficace l’azione sul territorio. E fin quiniente di strano o di particolarmente allarmante. Tanto più che un’autonomia speciale dital fatta potrebbe essere giustificata dalla specialità della Toscana in materia. 20.000 sitid’interesse storico/artistico, oltre 400 musei, un patrimonio paesaggistico neanchestimabile per varietà e qualità, fanno in effetti della nostra regione una sorta di collezioneunica al mondo. Eppure, fatte queste doverose premesse, nonostante tutto, le intenzioni delnostro Governatore non ci convincono. La ragione della nostra preoccupazione è semplice.Se passa il principio per cui la funzione della tutela può essere devoluta, allora si presumeche tutte le regioni, dato il precedente, potrebbero adeguarvisi. Con le conseguenze che sipossono immaginare. Disparità di indirizzo, eterogeneità delle classificazioni e dei vincoliecc... Insomma: un bel problema, che se ha il pregio di rispondere nel brevissimo periodoai Lanzichenecchi, non ha certo la dignità ed il respiro per superare la prova del tempo.

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Legambiente Toscana, sulla base delle asserzioni sopra esposte, ritiene dunque urgenteimplementare una rete regionale di gruppi e/o circoli impegnati nella salvaguardia delpatrimonio culturale, nella convinzione che un’associazione ambientalista, nel considerareun ecosistema come un sistema complesso, fatto di elementi interagenti tra loro, consideriin modo più consapevole l’approccio culturale, ritenendolo parte integrante delle nostregrandi battaglie in difesa del territorio, del verde, degli animali, di un’idea di città vivibiledove, purtroppo frequentemente, i monumenti e le opere d’arte appaiono come queicanarini, utilizzati come sensori di guardia dagli attacchi del gas Nervino.

3.l) SULL’URBANISTICA ED IL GOVERNO DEL TERRITORIODella L.R.5/95 e del suo processo di revisione abbiamo già detto nel

paragrafo 2.3. Qui di seguito, vorremmo aggiungere qualche considerazione a margine, invirtù soprattutto delle aspettative che questo particolare contesto politico e amministrativosuggerisce alla nostra associazione. Si è parlato a più riprese di devoluzione. Il governo delterritorio è in capo al livello regionale. In modo irreversibile. Ecco, da questo punto divista, pare corretta l’implementazione di misure drastiche di tutela contro provvedimenti acarattere nazionale davvero straordinariamente pericolosi, come il Condono Edilizio.Legambiente Toscana accoglie con favore la proposta di legge regionale n.302/03(Accertamento di conformità delle opere edilizie eseguite in assenza di titoli abilitativi, intotale o parziale difformità o con variazioni essenziali, nel territorio della RegioneToscana). In effetti, tale disposizione in materia di edilizia è del tutto afferente allecompetenze regionali, come recentemente stabilito peraltro dalla stessa CorteCostituzionale (sentenza n.303/2003). Dopo le leggi nazionali n.47/85 e n.724/94, cheavevano istruito due condoni nell’arco di soli otto anni, non sentivamo certo il bisogno diun terzo provvedimento del genere. Ma tant’è...

Così, la Regione Toscana sembra voler spostare tutto ciò che può essere assimilato alGoverno del Territorio alle sue strette competenze. Un’altra dimostrazione di questoatteggiamento è costituita dalla materia paesaggistica. Nella recentissima bozza direvisione della L.R.5/95 (cominciata a circolare negli ambienti degli addetti ai lavori dasettembre), all’art.26 si trova un corpus normativo sulla disciplina paesaggistica davveroimponente. Non vogliamo qui entrare nei dettagli dell’articolato di legge, ma semmaivorremmo segnalare ancora un rischio analogo a quello già segnalato nel precedenteparagrafo. Se, cioè, dal punto di vista ideale, è comprensibile che un Testo Unico sulgoverno del territorio si occupi anche di paesaggio (nell’accezione di ambiente culturalestoricizzato), preoccupa invece non poco la sua sinergia con le normative nazionalivigenti. Infatti, fino ad oggi, la materia paesaggistica è regolata dal T.U. 490/99 (Testounico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali...), che a suavolta ordina e integra tra loro le vecchie L.1089/39 e L.1497/39 con la più recenteL.431/85 (detta Galasso). La domanda che ci poniamo è: quando ci saranno diversevalutazioni su di un bene paesaggistico e sul relativo regime vincolistico, quale delle duelegislazioni prevarrà, quella nazionale o quella regionale? E poi: se la Regione Toscanaprocede con una propria definizione di paesaggio, cosa faranno, ad esempio, il Veneto, laSicilia o la Sardegna? Domande puntute che esigono risposte tanto chiare quanto urgenti.

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Quello che pare evidente al Comitato regionale toscano di Legambiente è che occorre faredei distinguo. Mentre sul governo del territorio che ha immediata applicazione sul regimepianificatorio ed edilizio tradizionale (pianificazione classica, programmazionecomplessa, pianificazione attuativa e/o di settore, intervento diretto) pare assolutamentecorretta l’impostazione devolutiva che è già nello spirito dell’art.117 della nostraCostituzione, su quelle materie che rimandano invece (vedi il paesaggio, come i beniculturali) al senso profondo dell’identità nazionale, l’istinto decentratore pare più debole emeno condivisibile. Il paesaggio, che è il bene culturale per eccellenza del nostro Paese (edella Toscana in particolare), non può essere normato in modo discreto e differenziato aseconda delle latitudini. Esso informa, infatti, il concetto stesso d’identità del nostro Paesee rafforza, virtuosamente, il senso di coesione sociale ed il senso di appartenenza a quellamedesima Comunità allargata che è il Belpaese.

Quindi, riassumendo, Legambiente accompagna la riforma del Governo del Territorioaugurandosi: 1) chiarezza ed efficacia nelle metodologie che dovrebbero favorire lapartecipazione; 2) incisività nell’integrazione delle politiche valutative e loropotenziamento sistemico (Valutazione Ambientale Strategica, Valutazione EffettiAmbientali, V.I.A.); 3) maggiore controllo della fase gestionale della pianificazione che,finora, ha spesso tradito lo spirito della fase strutturale; 4) prudenza nell’accorpamento difunzioni e ruoli che spettano autenticamente al livello istituzionale statale.Box: In difesa degli usi civici e delle proprietà collettive. Gli usi civici hanno nomi diversi a secondadelle zone: regole, vicinanze, legnatico ecc... Si tratta di proprietà collettive che appartengono dasempre alle comunità locali, e che per secoli sono state utilizzate per soddisfare bisogni collettiviessenziali. Pascoli, campi, boschi, da cui ricavare materiali da costruzione, selvaggina, acqua per sé eper il proprio bestiame. Di questo modo antico di possedere, nel nostro Paese è rimasta tracciaimportante e la nostra regione non fa certo eccezione. I fondamenti normativi di questa materiarisalgono alla nostra più antica tradizione giuridica ed hanno ancora piena validità e attualità. Oggi,più che mai, istituti di proprietà condivisa interpretano al meglio una corretta e sostenibile gestionedel territorio.Ebbene, la proposta di legge attualmente al vaglio del Parlamento, rischia di snaturare completamentequesta antica e nobile consuetudine, di fatto abolendo gli usi civici e quindi inserendo nelle logichedel mercato un patrimonio di inestimabile valore storico, ambientale e paesaggistico. Il passaggio diquesti beni nel novero delle proprietà comunali, vista la cronica debolezza dei bilanci degli entilocali, favorirebbe di fatto la loro definitiva alienazione ai privati. Gli usi civici, per Legambiente,debbono invece rimanere proprietà esclusiva e condivisa delle Comunità locali. Essi, così come sisono strutturati nei secoli, hanno infatti svolto un importantissimo ruolo di presidio territoriale, diprevenzione del dissesto idrogeologico e di manutenzione del sistema agro/silvo/pastorale.In Toscana, tali proprietà interessano complessivamente un’area di oltre 110.000 ha. Si trattadell’ordine di grandezza di una provincia di media entità. Sono concentrate soprattutto nelle areemontane, in Lucchesia e in Maremma. Fra le realtà esemplari e consolidate citiamo il caso di Zeri, inLunigiana. Qui la presenza delle proprietà collettive è strettamente connessa all’allevamento dellapecora zerasca e alla conseguente produzione dell’ormai noto agnello di Zeri. Un prodotto, tra l’altro,oggetto di presidio da parte di Slow Food. In Maremma, invece, molto forti e consolidate sono lecomunità di Montepescali e di Roccastrada, quest’ultima legata alla produzione di gesso nelle cave diproprietà ad uso civico.Contro questo disegno di legge, dunque, va combattuta una battaglia dura e consapevole. E’ una battagliacoerente con quanto stiamo già facendo contro il Condono edilizio (sul versante dell’edilizia) e contro laPatrimonio S.p.A. (nel campo dei beni culturali). Una battaglia contro il pensiero unico del neoliberismoberlusconiano, che riduce stoltamente tutto a merce.

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3.m) SULLE INFRASTRUTTURE E LA MOBILITÀ

La più grande bufala me tropolitana: il defic it infrastr uttur ale sare bbe l’antic ame ra del s ottos viluppo! Appa re scontato, ma è il cas o di ribadirlo con chiarezz a e forz a che Le gambiente noncondivide la te oria del de ficit infrastrutturale della Tos ca na, se condo cui la nos tra Regione,ma soprattutto il suo sviluppo sarebbero limita te da una carenz a di infras trutture . Se cime ttess ero di fronte la lista di que l centinaio di grandi opere infrastrutturali che una qua lsiasiAs socia zione re giona le di ca tegoria o il relativo ce ntro studi potre bbe produrre senza alc unaes itazione dalla mattina alla sera , il nos tro punto di vis ta diverge rebbe su molte cose ;ce rc hia mo di riass umerne le principa li. La prima ed unica evide nte pena liz za zione che la mancata rea liz zaz ione delle grandiinfrastrutture comporta è quella connes sa con la mancata spe sa pubblica , oss ia lo stato e le sue articola zioni funziona li e territoriali spe ndono me glio in gra ndi opere. La nostra opinione è invec e che se si rius cis se a mette re in ca mpo una divers a dis tribuzione de i fina nz iamenti esi individua sse ro piccole opere a ba sso impa tto ambientale s i potrebbe delineare una sc elta disviluppo non solo diversa, ma molto più vicina a que l c onc etto di soste nibilità che dic iamo divole r pers eguire.La seconda rifless ione rigua rda l’ordine di priorità de lle opere; pe r fare un esempio conc re topa rlando di mobilità , cui appartengono per la verità la ma ggioranz a delle opere di ques toipotetico elenc o, noi proporremo di privilegiare le ope re re lative al cabota ggio, alla mobilità su ferro sia alla me dia distanz a sia ne lle aree urba ne (vogliamo o no raggiunge re gli obie ttividi Kyoto, anzi di più, vogliamo ridurre il contributo del nostro Pae se all’e ffe tto serra?).Inve ce la lista de lle priorità è genera lme nte un’a ltra. Sicuramente, molte delle ope re hanno previsioni di costo molto sottostimate per omis sionede llo studio de gli impa tti e de lla loro compens azione; una più corre tta stima delle spe sere ndere bbe evidente che molte delle ope re ha nno costi imposs ibili e, a fronte della sempre minore dis ponibilità di risorse pubblic he, non tutte sa rebbe ro finanzia bili. Infine, molte grandi ope re non si fermano alla fine della loro rea liz zaz ione proge ttuale , ma induc onospes so la ne ces sità di altre grandi ope re pe na la loro non usufruibilità e funz ionalità . Que sto èevidenteme nte il cas o, sempre parlando di mobilità , degli interventi sull’Autos ole : non sica pisce se viene prima la va ria nte di valico, la terza corsia o le varie bre telline, chi delle tre gius tifica le altre. Pa rados salmente non sono frutto di logiche alte rna tive, ma impleme nta tivee automoltiplic ative .

I danni ambientali delle grandi opere viarieIn ques ti anni è cambia ta la se nsibilità intorno ai valori del territorio e dell’a mbiente, ques tonon vale solo per l’opinione pubblic a in genera le, ma anche per gli enti scientifici e le stess eis tituz ioni politiche. Abbia mo, ora, a dis posiz ione studi e ric erc he , anche con ca ra tte ris tiche origina li ed innovative , che discutono, rice rca no e dimostra no gli effe tti e i danni provoca tida lle grandi opere nel nos tro paes e e nella nos tra regione e spess o le conclusioni a cui que stiarrivano s ono molto pre occ upanti.Non è vero che gra n parte di questi danni non siano evitabili, è vero inve ce che que ste operesono re alizz ate in spre gio ad ogni evidente norma di sicurez za e buon sens o. Non a caso cheuno degli as petti problema tici rigua rda proprio la sicurez za de i lavora tori e il numero elevatode gli incide nti mortali.

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La stes sa Re gione Tosca na ne l Piano Regionale di Azione Ambientale (l’A genda XX I dellaRe gione Tosc ana ) qua ndo pa rla di are e a criticità ambie nta le e cerca il modo di individuarle e di dire quali sono gli a spetti c he sa ranno più pre occ upa nti, spe ss o parla delle grandi ope re. A fronte di questa situazione, quello che dobbiamo dire è che gli strumenti di governo, diopposizione, di controllo e di denuncia sono stati molti, ma la loro efficacia è stata di granlunga sotto le aspettative. Per tutti, vale la pena di ricordare l’applicazione della proceduradi Valutazione d’Impatto Ambientale nel caso dell’Alta Velocità ferroviaria nel Mugellocome esempio di impatti non analizzati in sede preventiva (deresponsabilizzando lapolitica dal compiere scelte).

Il caso MugelloLe gallerie ape rte per la re alizza zione de ll’Alta Ve loc ità nel Mugello hanno ca usa to unduplice impa tto sulle risors e a mbientali:

• il primo riguarda lo smaltimento dei te rre ni di sc avo che non è avve nuto in sic ure zz a,pe r que sto si è anche dovuto modific are la legge con misure ad hoc, per ve nireincontro a lle e sigenze dei c antieri del Muge llo;

• il secondo, i cui effetti sono particolarmente gra vi e già evidenti, è que llo dellasc omparsa de lle fa lde idriche in una fa scia superiore ai 5km lungo l’as se fe rrovia rio incors o di rea liz zaz ione da Borgo Sa n Lorenz o a Fire nz uola; le condizioni di squilibrioambientale che si sono verifica te avranno presumibilmente una dura ta anche maggiorede lla vita dell’opera c he è sta ta re alizza ta .

Come ambie ntalisti, non siamo mai stati pregiudizialmente contrari al pote nz iamento deicollega menti fe rroviari Nord-Sud. Siamo contrari, invec e, alle proce dure di ges tione e diautoriz zaz ione sce lte per questa ope ra. La Regione ha cerc ato di porre rimedi ad una pa rte diques ti problemi, ma è evidente che la sua az ione è graveme nte condiz ionata dai limiti diimposta zione de l provve dimento che mette rattoppi a valle de i danni provoc ati dai ca ntieri.La sovrappos izione , con l’apertura dei lavori della Variante di Va lico, sa re bbe pa rticolarme nte ve ss atoria . Legambie nte chie de qua nto meno che, a fronte di una emergenza, non si ina ugurino, prima della conclusione di quelli in cors o, altri ca ntieri.

Il C orr idoio Tirre nicoLa Regione Tosc ana ha aperto con forza, anche in parte sulla sc orta della nostra azione e diquella di un forte movimento locale, una vertenza con il Governo Berlus coni ed il Minis troLuna rdi pe r blocca re il progetto governativo di prolungame nto del tracc iato Autostra dale daRosigna no a Civita ve cchia. Abbiamo supportato l’az ione della Re gione ne lla convinz ioneche il punto di arrivo dell’acc ordo con l’allora Pre mie r Ama to (ampliamento in sede propriade l tra cciato esis te nte con svincoli di ca ra tte re autos tra da le) foss e una buona soluzione cheotte mpe ras se a molte es ige nz a dive rs e: supporta re la viabilità e tutela re l’ambiente rispettando anc he i vincoli di bilancio. Oggi però la Regione, propone una soluzione inte rme dia tra que lla del pe ssimo Minis tro Luna rdi, che prevede la tras forma zione di questaviabilità in autos trada ca mbiando tracc iato intorno al nodo di Orbetello. Più o me noes plicitamente, siamo anche tac cia ti di fa re una battaglia di retroguardia dife nde ndo il dirittode gli automobilisti a non pa gare il tic ket autostradale . Le nos tre preoccupa zioni pe rò res ta nodue: conte ne re il ca ric o di via bilità, evita re che contestua lme nte alla tras formaz ionede ll’Aurelia in Autostrada s i debba anc he re alizza re una nuova strada c ompla nare.

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Il Pres ide nte Claudio Martini, anc he re cente mente, ha insistito sulla sua posiz ione, ac cusandoc i di saper dire solo no. Anche in ques to ca so, vorremmo semplicemente far nota real Gove rna tore che noi sia mo attes ta ti sulla ve cchia proposta della Regione Tos cana e chequando dic ia mo dei no cre dia mo di poterli motivare con civiltà e ade gua te zza . Infine , un datodi cronaca che definire mmo quas i umoris tic o, se non ste ssimo pa rla ndo di una ve rte nz ate rritoria le che ha ass unto una va le nza stra tegica naziona le . Graz ie ad un improvvis o colpo dima no, Regione Lazio, Socie tà Autos trade e i Comuni di Montalto di Ca stro e Tarquinia ha nno firmato nei giorni scorsi un accordo che fa torna re in ca mpo l’ipote si diattrave rsa me nto collina re e di fatto strac cia l’ac cordo Ma rtini-Storace sul tra cciatointe rme dio. Un bel guaio fidars i di Storac e, non c ’è che dire, Pre sidente!

Trasporto Pubblico LocaleUna chiosa sul problema che in aree metropolitane come quella fiorentina èsemplicemente il problema. La prima, cioè, delle criticità ambientali percepite dallasocietà civile. Una criticità capace di far saltare maggioranze politiche e di bruciareassessori anche volenterosi. Il perché è presto detto. Non esiste una seria politica dipotenziamento e tutela del Trasporto Pubblico Locale. In ritardo i progetti di metropolitanaleggera di superficie, assente la pianificazione e l’innovazione delle linee nellemunicipalizzate cittadine. Insomma un disastro, al quale il cittadino risponde prendendol’auto e quindi, di fatto, con un’azione che aggrava il problema che vorrebbe aggirare.Firenze, ad esempio, sta rinnovando sé stessa coi grandi lavori (ascrivibili al passaggiodella TAV e alla costruzione della nuova tramvia), ma non fa abbastanza per uno sforzoprogettuale nuovo che leghi la problematica della mobilità con l’istanza dell’accessibilità.

3.n) SULLE POLITICHE DI GESTIONE DEI RIFIUTI

Il problema può essere risolto solo attraverso una azione integrata che, pone alcentro della questione la RIDUZIONE A MONTE, con quel che comporta di critica almodo di produzione e di consumo delle merci. (altro che dematerializzazione!). Unpercorso quindi di profonda revisione del modello economico e produttivo, che mettainnanzitutto la “natura nel conto”. Questo percorso può partire anche “dal basso”; da unamodifica dei comportamenti, dello stile di vita e dei consumi, del cittadino lavoratore,imprenditore, produttore, consumatore, utente, contribuente, lettore, scrittore, autore,spettatore, protagonista, paziente, trasportatore, viaggiatore, automobilista, pedone,ciclista, e quant’altro. I Rifiuti sono attorno a noi, noi li produciamo e noi liimplementiamo. Solamente quando vengono gestiti e smaltiti nel nostro giardino, ce neaccorgiamo e ne prendiamo coscienza; in massa (come comunità locali) diventiamoecologisti, difendiamo il paesaggio, la salute, l’aria ed il resto. Le raccolte differenziateassumono pertanto valore di imperativo. Le merci, perso velocemente il loro valore discambio ed il loro valor d’uso, si materializzano nella neo categoria delle metamerci, irifiuti appunto, destinati all’abbandono (il legno del tavolo di Trier prosegue nelle suemetamorfosi...). Siamo noi stessi che con i nostri comportamenti, con la nostra concezionedi ricchezza (il PIL sale con la produzione di rifiuti) induciamo a produrre rifiuti, che poinon sappiamo neanche processare (gestire – smaltire) in modo appropriato.

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E’ il megastore, l’ipermercato, il comportamento rispetto ai consumi (alimentato dalmegamercato dell’inganno della pubblicità), la fonte prima dei rifiuti stessi, che alimentasenza sosta il sistema “pattumiera” –“cassonetto” – “autocompattatore” –“discarica”.

Si osservano volumi conferiti sempre maggiori: secchio del domestico attorno ai 30litri (il rifiuto pro capite è attorno ad 1,8 Kg/giorno, dato per la Toscana per RSU, intendenziale aumento ca. del 5% all’anno mediamente nell’ultimo lustro, mentre la densitàè decrescente e quindi a parità di peso il rifiuto occupa più volume), cassonetto per 5 m3,autocompattatore per 100 m3, discarica per 3-5 milioni di m3, esaurimento medio delladiscarica in 5-10 anni, invece dei molti decenni per i quali magari era stata progettata. Insintesi: in Toscana si producono oltre 2.3 Milioni t/a di Rifiuti Solidi Urbani ed almeno6.2 Milioni t/a di Rifiuti Speciali, di cui il 10% Pericolosi. Le raccolte differenziate perRSU (raccolte differenziate obbligate), sono attorno al 25%; le pur buone performances diqueste (su cui c’è ancora molto da lavorare), non coprono l’incremento annuo dei RSU(ca. 3 – 5% all’anno). Si smaltisce in discarica ca. il 60% del RSU, al netto della FOS(frazione organica stabilizzata) che torna nelle discariche ed al netto delle ceneri dainceneritore (che almeno occupano poco posto; ca. 6-7% del volume originario del RSUtal/quale) ed al netto dei fanghi dei depuratori civili (la maggior parte dei quali non ha lecaratteristiche per poter essere usata in agricoltura o convertita a compostaggio).Ogni anno La Toscana consuma dai 1.5 ai 2.0 milioni di m3 di discarica per i soliRSU. Inoltre degli oltre 6 Milioni di t/a di Rifiuti Speciali, di cui il 10% Pericolosi,nessuno si cura; essi sono lasciati al cosiddetto “libero mercato”... Ed ecco quindi la nostradenuncia storica: non è eticamente accettabile che i nostri rifiuti pericolosi possano andaread alimentare le ecomafie campane e pugliesi. Come non è scientificamente sostenibile eaccettabile il fatto che nessun distretto industriale toscano abbia le capacità di processare,gestire, smaltire i propri rifiuti (eccezion fatta per l’orafo, per ovvi motivi), in modoappropriato ed endogeno. Nel frattempo sono almeno due anni che si concentrano icontrolli a tappeto sugli impianti di trattamento e di smaltimento autorizzati, mentre iproduttori di rifiuti (e di impatti) rimangono assolutamente incontrollati. Anzi (vedi il casodella Lucchini di Piombino), si tende ad ignorarli completamente. Anche quandodenunciano sul MUD 40.000 tonnellate e, per calcolo della stessa ARPAT (0,5 Kg dirifiuto x 1 Kg di acciaio), ne producono più di un milione.

In particolare nel settore dei rifiuti i comportamenti virtuosi suggeriti dal VIprogramma di azione ambientale UE sono incentrati su:

1) Prevenzione e Riduzione come cardini per tutte le strategie di gestione. Si deve ridurre la quantitàdei rifiuti prodotti. L’obiettivo è la diminuzione delle quantità di rifiuti del 20% ad orizzonte 2010 e del50% ad orizzonte 2050 (!).

2) Riuso ed Riciclaggio, in particolare per i rifiuti da imballaggio, rifiuti di veicoli a fine vita, rifiutida materiale elettrico ed elettronico obsoleto, batterie, rifiuti da edilizia. Molti paesi dell’Unione riciclanogià otre il 50% dei rifiuti da imballaggio (!). Si dovrà ridurre inoltre la pericolosità dei rifiuti con unapolitica integrata sui prodotti e le sostanze chimiche pericolose. Infine si dovrà ridurre anche il volumedei rifiuti pericolosi del 20% entro il 2010 e del 50% entro il 2020 (su base 2000).

3) Migliorare lo smaltimento finale ed implementare i controlli. Quando non sia più possibile ilriuso, il riciclo di materia o di energia con incenerimento in sicurezza (l’U.E. ha ridotto ulteriormente ilimiti per le emissioni di diossina e dei gas acidi come NOx, SOx, HCl, HF etc. in modo tale che nonsiano dannosi per la salute), lo smaltimento in discarica controllata rimane l’ultima “risorsa”. La recente“direttiva discariche” (recepita nell’ ordinamento come discariche per rifiuti inerti, non pericolosi e

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pericolosi) stabilisce rigorose linee guida per ridurre ed eliminare lo smaltimento in discarica frazioni dirifiuto come gli pneumatici usati, la frazione biodegradabile, ecc.

4) Attuare il principio di prossimità per la gestione e lo smaltimento finale (facendo salvo il criteriodella efficacia).

La situazione toscana, pur non essendo “drammatica”, nel senso che non siamoall’emergenza totale, non si può certo definire rosea. Per i Rifiuti Solidi Urbani, come giàdetto, la maggior parte dello smaltimento avviene in discarica, si incenerisce poco e male:vi sono infatti piccoli impianti e per di più a basso rendimento. Firenze non ha impianti(Case Passerini, potremmo dire, che pesta l’acqua nel mortaio), la riaccolta differenziataSECCO/UMIDO, chiave del successo nella gestione rifiuti, non ha cittadinanza, ilpassaggio al sistema tariffa (quella vera!) non è stato mai attuato. Inoltre: parte dei rifiutiindustriali sono smaltiti fuori regione ed alimentano il flusso verso le ECOMAFIE, laveridicità dei MUD è tutta da dimostrare ecc…

In Toscana, per certi versi, abbiamo una situazione a corrente alternata; dal punto divista normativo, la situazione è buona; dal Decreto Ronchi (in via di delegificazione), allacollegata Legge Regionale - con i suoi tre momenti pianificatori: 1) urbani, 2) speciali, 3)bonifiche - ai piani provinciali (e qui iniziano le prime lacune), alla creazione degli AmbitiTerritoriali Ottimali per rifiuti, con relativi piani industriali. I Piani Provinciali, intanto,non sono affatto completi, e salvo poche province, hanno forti ritardi di attuazione e diintegrazione; inoltre dividere la pianificazione degli Urbani, da quella degli Speciali, comegià affermato, è fonte di squilibri. I flussi di rifiuti in uscita dagli impianti di gestione degliurbani, peraltro, sono formalmente considerati rifiuti speciali; tutte queste frazioni amaggior ragione debbono stare assolutamente nella pianificazione.La creazione degli ATO ed i relativi piani industriali (salvo lodevoli eccezioni) sono ingrave ritardo. I soggetti gestori, invece di fare sistema, spesso si fanno “concorrenza” traloro. In realtà, invece di essere soggetti attuatori, determinano la pianificazione reale ed isoggetti pubblici spesso ne fanno mera ratifica.

Se la politica è l’offerta e i cittadini, i movimenti, le associazioni, determinano ladomanda, più la domanda proviene da cittadini consapevoli, formati, informati, consci deipropri diritti e dei propri bisogni, più l’offerta della politica sarà adeguata.

LEGAMBIENTE può e deve trovare alleati nel movimento dei consumatori e nelmondo sindacale (la CGIL in questo senso ha promosso interessanti incontri nel 2002),oltre che stare correttamente nel movimento new global dei Social Forum territoriali.Dobbiamo quindi stare dalla parte della domanda di ambiente, della domanda di salute,della domanda di efficacia dei cittadini, tutte istanze legittime e condivisibili che civengono poste in modo sempre più stringente e che, come associazione ambientalista,abbiamo il dovere di fare nostre.

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Finito di stampare nel novembre 2003presso la Tipografia

L’ImmagineCooperativa Sociale a r.l.

Firenze