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1 PRINCIPI DI ECOLOGIA E SVILUPPO SOSTENIBILE DEL TERRITORIO DEFINIZIONE DI INQUINAMENTO CICLI BIOGEOCHIMICI DEGLI ELEMENTI Dott. ssa Elvira Tarsitano-

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PRINCIPI DI ECOLOGIA E SVILUPPO SOSTENIBILE DEL TERRITORIO

DEFINIZIONE DI INQUINAMENTO CICLI BIOGEOCHIMICI DEGLI ELEMENTI

Dott.ssa Elvira Tarsitano-

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INDICE 1. Definizione di ecologia e concetto di ecosistema

1.1 Introduzione 1.2 Riequilibrio degli ecosistemi naturali 1.3 Cicli Biogeochimici degli Elementi

1.3.a Ciclo dell'acqua 1.3b Ciclo dell'ossigeno 1.3c Ciclo del carbonio 1.3d Ciclo dell'azoto 1.3e Ciclo dello zolfo 1.3f Ciclo del fosforo

Bibliografia

2. Sviluppo sostenibile 2.1 Introduzione 2.2 Lo "Sviluppo sostenibile" come nuova "etica globale" 2.2a Principi base per la sostenibilità dello sviluppo 2.2b "Sviluppo sostenibile" ovvero "sviluppo consapevole": proposte 2.2b1 Capacità portante

2.2b2 Spazio ambientale 2.2b3 Impronta ecologica 2.3 Agenda 21

Bibliografia

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1. Definizione di ecologia e concetto di ecosistema 1.1 Introduzione L’ecologia è lo studio della vita, con particolare attenzione alle relazioni tra gli organismi ed il loro ambiente. La parola ecologia deriva dal greco “oikos”, che significa ‘casa’ o ‘posto per vivere’ o ‘ambiente naturale’ e “logos” che significa ‘discorso’, quindi “oikos”+ “logos” = ecologia. Letteralmente, l’ecologia è lo studio della “vita nella casa” con particolare enfasi su “tutte le relazioni o i modelli di relazione tra gli organismi ed il loro ambiente” (Definizione del Webster’s Unabridged Dictionary). In ecologia, l’ecosistema è l’unità funzionale di base che comprende gli organismi viventi (costituenti il comparto biotico), i quali interagiscono con l’ambiente fisico (comparto abiotico: aria, acqua, suolo) risultando, così, legati tra loro da un punto di vista funzionale e le cui proprietà si influenzano reciprocamente, essendo entrambi necessari per mantenere la vita sulla terra (E. P. Odum, 1988). Ogni ecosistema è in relazione con gli ecosistemi maggiori che lo comprendono, fino ai macroecosistemi terrestri o biomi (es.: tundra), i quali a loro volta compongono la biosfera. La biosfera è la parte più esterna della sfera terrestre, essa include la parte inferiore dell’atmosfera, gli oceani, il suolo e la litosfera fino a circa 2 Km di profondità. Essa rappresenta il massimo sistema biologico che include tutti gli organismi viventi sulla terra, interagenti con l’ambiente fisico in modo da formare un unico sistema. La biosfera è attraversata da un continuo flusso di energia che proviene dal sole, l’energia luminosa, che viene utilizzata da un gruppo di molecole, la clorofilla ed i pigmenti fotosintetici, che per primi trasformano la luce in nutrimento per l’intero ecosistema biosfera. Di tutta l’energia solare che giunge sulla Terra, solo una piccola quantità è disponibile per finalità biologiche: la luce solare assorbita dalle piante è circa l’1%; il 60% viene riflessa e la maggior parte di quella restante viene assorbita dagli oceani, dall’atmosfera e dalle terre emerse per essere subito irradiata nello spazio come calore. Il flusso di energia nella biosfera è di proporzioni enormi: ogni anno vengono utilizzate 1019 Kcal di energia solare dagli organismi fotosintetici. Questo flusso di energia biologica è ben venti volte maggiore del flusso di energia che passa attraverso tutte le macchine costruite dall’uomo esistenti sulla terra. Se il flusso energetico in uscita (i raggi infrarossi emessi dalla terra) viene in qualche modo rallentato, la superficie terrestre tende ad accumulare calore e quindi a riscaldarsi. E’ infatti ciò che sta accadendo nel così detto effetto serra: le modificazioni prodotte dall’uomo nella composizione dell’atmosfera provocano una maggiore riflessione dei raggi infrarossi in uscita dall’atmosfera e quindi un progressivo riscaldamento della superficie terrestre. L’energia segue i due principi della termodinamica:

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1° Principio della termodinamica o legge della conservazione dell’energia: nulla si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma; 2° Principio della termodinamica: tutto tende alla massima disorganizzazione, ma la vita riorganizza la materia sulla terra a spese dell’energia dell’universo. La materia tende, così, a portarsi a bassi livelli di energia; ogni trasformazione comporta una perdita di energia in forma di calore; la resa, però, non è mai del 100%. L’Entropia, tasso interno di spesa del sistema, indica il disordine associato alla degradazione dell’energia. L’energia solare è utilizzata dagli organismi detti autotrofi per produrre “lavoro” e trasformata. La sua componente luminosa, assorbita, viene infatti “degradata” a energia termica o calore e dispersa nell’universo, essenzialmente attraverso l’emissione di raggi infrarossi. La vita è una continua riorganizzazione della materia in forme complesse (le molecole organiche) ed ha quindi una direzione opposta a quella del massimo disordine. L’organismo vivente si oppone, quindi, al 2° principio della termodinamica, cercando di mantenere più ordine interno e pompare fuori il disordine, cioè l’entropia. Questo è possibile solo a spese del degrado di qualcos’altro e cioè dell’energia solare che passa da una forma biologicamente utilizzabile, la luce, ad una non più utilizzabile, il calore. Questo processo si arresterà quando il sole cesserà di emanare luce a sufficienza. La luce del sole viene catturata dagli organismi vegetali e trasformata in energia chimica, in forma di legame tra alcuni elementi chimici (i più importanti sono C, H, O) andando, così, a costituire la sostanza organica, (che contiene una quantità di energia maggiore di quella contenuta nella anidride carbonica e nell’acqua iniziali; la quota, così, guadagnata può essere recuperata e utilizzata con la respirazione). Questo primo passaggio viene definito produzione primaria e gli organismi vegetali produttori primari o organismi autotrofi (le alghe verdi, le piante superiori, ecc.), capaci di svolgere la fotosintesi clorofilliana. La categoria dei consumatori o organismi eterotrofi, si ciba degli autotrofi e utilizza parte della materia e dell’energia chimica contenuta nella sostanza organica vegetale per sintetizzare la sua struttura. Si suddivide in erbivori o consumatori primari e in consumatori secondari, predatori che si nutrono degli erbivori e così via, dando origine ad una serie di livelli trofici che formano la cosi detta catena alimentare. Lungo le catene alimentari si trasmettono i flussi di energia attivati dall’ambiente stesso. Queste catene, però, non si svolgono mai in forma lineare, ma si ramificano in un complesso intreccio di relazioni nutritive, dando origine alle reti alimentari, in un delicato equilibrio tra i diversi organismi viventi che le compongono. Le reti trofiche permettono una maggiore omeostasi dell’ecosistema, cioè una maggiore capacità di adattarsi alle modificazioni dell’ambiente esterno. I degradatori o microrganismi demolitori comprendono organismi eterotrofi di piccole dimensioni e microscopici (muffe, batteri, ecc.) che traggono l’energia per i loro processi vitali sia dalla degradazione dei tessuti organici morti sia assorbendo materia organica disciolta, secreta o estratta da piante o da altri organismi

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‘depurandoli’ in molecole più semplici. Si rimette, così, a disposizione dei vegetali la componente abiotica (sostanza inorganica) per nuovi processi di sintesi. Queste tre categorie sono legate tra loro da un ciclo vitale che li rende indispensabili uno all’altro, i degradatori, con la loro azione, producono i nutrienti per le piante e queste, con il loro ciclo vitale, producono per i consumatori; piante ed animali producono le sostanze che alimentano i degradatori. Questo “ciclo della materia” comprende anche i cicli dei vari elementi (C, O, N, H2O, P ecc.). Ad ogni passaggio, solo il 10% della biomassa del gradino inferiore diventa biomassa di quello superiore. Ciò è dovuto al progressivo degrado dell’energia in calore che accompagna le reazioni metaboliche. Nella intricata rete alimentare non tutto il materiale prodotto a ciascun livello trofico della catena alimentare viene utilizzato dagli animali del livello successivo. Vi sono infatti perdite di materiale organico dovute a cause diverse, come ad esempio la morte degli organismi e la loro successiva decomposizione ad opera di batteri. Inoltre non tutto il materiale ingerito viene assimilato ma in parte eliminato con le feci; quello assimilato non è tutto utilizzato per formare nuova materia organica, ma in parte è demolito dai processi catabolici. L’efficienza del trasporto del materiale organico da un livello trofico all’altro è molto varia, ma in genere si considera che occorrono circa 100 gr di cibo per formare, ad esempio, 10 gr di tessuto animale. Pertanto, se si considera la biomassa degli organismi in una catena alimentare si osserva che essa si distribuisce secondo una piramide alimentare la cui base è rappresentata dai vegetali e i gradini successivi dagli animali dei diversi livelli trofici; ogni gradino è circa dieci volte più ampio di quello che lo segue, andando verso la sommità. 1.2 Riequilibrio degli ecosistemi naturali La forza degli ecosistemi consiste nel potersi autosostenere. Tutti gli ecosistemi, compresa la biosfera sono sistemi aperti: è necessario un flusso di energia in entrata e in uscita. Le relazioni tra i produttori e i consumatori, tra prede e predatori sono tutti limitati e controllati dal flusso di energia che si trasforma da un tipo concentrato ad un tipo disperso. Alla base della diversità genetica, che ha portato al differenziamento cellulare e genetico sulla terra, che a sua volta ha portato alla formazione di migliaia di specie diverse, c’è proprio l’utilizzazione di energia. Ciascun corredo genetico si adatta ad utilizzare una fetta diversa di energia. Diversità = stabilità dei sistemi. Stabilità = climax, cioè utilizzazione globale dell’energia in quella specie. Due sono i tipi di stabilità: 1. Stabilità di resistenza = capacità di un ecosistema di resistere ad una

perturbazione (es.: inquinamento) e mantenere la sua stabilità e funzioni intatte. 2. Stabilità di resilienza = capacità di recupero quando il sistema viene modificato da

una perturbazione, cioè una volta subito il danno quanto tempo occorre per recuperare, ricostruire il sistema. I sistemi naturali tendono ad avere vari stadi di equilibrio. Normalmente gli ecosistemi sono caratterizzati da una complessa rete

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di relazioni tra i vari fattori biotici e fra questi e i fattori abiotici, in un delicato stadio di equilibrio (climax), anche se in continua evoluzione.

Quanto più l’ecosistema è in climax tanto più l’omeosatsi funziona regolarmente. Solo negli ecosistemi immaturi (appena nati o degradati), i fenomeni di autoregolazione possono non funzionare a dovere. Questo è quello che si sta verificando, oggi, negli ecosistemi, a causa degli interventi dell’uomo sull’ambiente. Solo la lenta evoluzione naturale, a cui servono millenni per operare, può variare gli assetti di questi equilibri, ma sempre formandone di nuovi e di diversi. Nei sistemi naturali vi è un aumento della varietà della specie e non del numero degli individui, mentre negli ecosistemi artificiali, come quello agricolo, vi è un numero elevato di organismi della stessa specie, ma diminuisce la varietà delle specie eterotrofe ed aumenta la Produttività netta della comunità. Inoltre, l’omeostasi non è quasi mai frutto di equilibri semplici (preda-predatore, cibo-consumatore), bensì di intricate reti alimentari, dove ogni organismo può essere legato a molti altri; per questo, la scomparsa di una singola specie, in natura, può spesso essere compensata da altre, complementari, nella stessa nicchia ecologica. Gli ecosistemi sono l’insieme di più componenti perciò rispondono in maniera diversa ad uno stimolo. La diversità delle specie rende più stabile una comunità biotica. In ogni ecosistema, i fattori biotici o le diverse forme viventi che vi appartengono, sono legati in una rete alimentare che trae energia dalle risorse naturali presenti. Tali risorse rappresentano il principale fattore limitante delle biocenosi nelle quali, perciò, si innescano fenomeni di competizione. Questo ha portato, nel corso dell’evoluzione a differenziare gli organismi viventi per tipologia di consumo alimentare (biodiversità). Si definisce “capacità portante” di un ambiente la sua capacità di contenere un numero massimo di individui per ciascuna specie. Quindi la crescita di una specie si stabilizza grazie ai fenomeni di compensazione (omeostasi) che reggono gli equilibri naturali di un ecosistema. E’ legge per tutti i viventi avere un limite di crescita, in relazione alla densità, al quale si può giungere in modi diversi. I biotopi di un ecosistema stimolano e limitano contemporaneamente le comunità viventi, le quali a loro volta si alimentano e si controllano in una intricata rete di interrelazioni nelle quali ciascuno, alla fine, svolge una funzione fondamentale per l’equilibrio del sistema. Perturbare e interrompere questa rete significa alterarne l’equilibrio e innescare profonde, e spesso imprevedibili, reazioni a catena.

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1.3 Cicli biogeochimici degli elementi Gli elementi chimici, compresi tutti gli elementi essenziali che costituiscono il protoplasma, tendono a circolare nella biosfera seguendo percorsi caratteristici, dall’ambiente agli organismi e dagli organismi all’ambiente. Questi percorsi sono i cicli biogeochimici. Degli oltre 90 elementi chimici naturali, una quarantina sono essenziali per il mondo vivente, alcuni come il C, O, N, H sono richiesti in gran quantità, altri solo in tracce, ma tutti essenziali ed ognuno con un ciclo ben definito. Secondo il principio che nulla si crea né si distrugge, ma tutto si trasforma, gli elementi chimici, sottoposti ai cicli, variano il loro stato di ossidazione in seguito a reazioni di ossido-riduzione, catalizzate dagli organismi viventi. Questo garantisce il trasferimento degli elementi da un punto all’altro sulla terra. Possiamo considerare quattro diversi compartimenti in cui gli elementi si muovono: atmosfera, superficie terrestre, oceani, crosta terrestre. Il movimento di un elemento sulla terra avviene nell’atmosfera sotto forma di gas e nell’acqua sotto forma sospesa o disciolta. Quando l’elemento raggiunge l’atmosfera esso viene mosso dalla circolazione atmosferica, in modo relativamente veloce. Passano da questo stadio molti elementi, i più importanti dei quali sono: C, N, S, gassificati dagli organismi viventi. Il movimento di un elemento nell’acqua è più lento ma sempre abbastanza veloce. Gli elementi sono trasportati dai fiumi nel mare dove le correnti li distribuiscono su tutta la terra. Quando l’elemento sedimenta e viene incorporato nei sedimenti oceanici rallenta di molto il suo ciclo. Incorporato come roccia sedimentaria tornerà alla superficie solo per effetto tettonico o vulcanico; per effetto erosivo delle acque tornerà nell’oceano in un ciclo di milioni d’anni. La velocità di movimento da un compartimento all’altro viene definita flusso. 1.3a Ciclo dell’acqua (H2O) E’ un ciclo molto semplice, in natura, con una modesta riserva gassosa aerea e una grande riserva liquida, dotato di un grande potere di autoregolazione. L’energia proveniente dal sole muove il ciclo tramite l’evaporazione e i venti che trasportano l’umidità sulle terre emerse le quali ricevono poi, per condensazione dell’umidità, le precipitazioni. Appare evidente che l’evaporazione è inferiore alle precipitazioni sulle terre emerse mentre è superiore sugli oceani. Dalla terra continuamente si libera vapore acqueo nell’atmosfera sia per evaporazione dalle superfici come laghi, mari, fiumi, ghiacciai, nevai, terreno, bacini idrici artificiali ecc., sia per la traspirazione degli organismi viventi; il vapore acqueo, così, si condensa a formare nubi. Attraverso le precipitazioni l’acqua torna sulla terra e grazie ai corsi d’acqua e ai percorsi sotterranei torna agli organismi e ai bacini. Quando l’acqua giunge al suolo raccoglie alcuni elementi chimici sciolti o erosi al suolo e li distribuisce agli organismi o li riversa nei corpi recettori dai quali poi, torneranno al suolo grazie agli specifici cicli. L’acqua in fase gassosa passa nell’atmosfera dalla superficie terrestre per rientrarvi in fase liquida (pioggia) o in

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fase solida (neve, grandine). Sulla superficie terrestre l’acqua in parte è trattenuta, in parte scorre per evaporare di nuovo in atmosfera. Così, tra atmosfera e superficie terrestre si stabilisce un continuo scambio di energia che determina la circolazione dell’acqua in un ciclo continuo. 1.3b Ciclo dell’ossigeno (O2) Questo ciclo è legato a quello dell’acqua. Le sue principali riserve sono l’atmosfera in cui è allo stato molecolare (O2) e l’acqua in cui è legato all’idrogeno (H2O). L’ossigeno è un gas disciolto in aria e acqua. La vita degli organismi viventi è condizionata dalla presenza di ossigeno necessario alla respirazione cellulare: in ogni istante sulla terra una grande quantità di ossigeno è ridotta ad acqua. Inoltre, una grande quantità di ossigeno è consumata dall’uomo anche nelle combustioni industriali e domestiche. In questo modo grandi quantità di ossigeno vengono consumate, ma subito ripristinate con la fotosintesi clorofilliana che produce ossigeno immettendolo in atmosfera. Si deduce che l’ossigeno è sottoposto ad un ciclo: nella respirazione cellulare delle piante e degli animali l’ossigeno è ridotto ad acqua; nella fotosintesi clorofilliana l’acqua è ossidata ad ossigeno molecolare (O2) che ritorna all’atmosfera. 1.3c Ciclo del Carbonio (C) Il carbonio è il principale costituente della sostanza organica. Tre sono gli stadi di ossidazione del carbonio: metano (CH4), lo stato più ridotto; sostanza cellulare (CH2O)n anidride carbonica (CO2), lo stato più ossidato. La circolazione del carbonio nella biosfera avviene attraverso due cicli abbastanza distinti, uno sulla terra ferma, l’altro nel mare, che si collegano dinamicamente lungo la superficie di separazione tra mare e atmosfera. Il ciclo del carbonio inizia con la fissazione della CO2 atmosferica attraverso il processo di fotosintesi, in aerobiosi, che ha sede nelle piante, alghe e alcune specie di batteri. Nel corso di questo processo la CO2 e l’acqua reagiscono formando carboidrati e liberano O2 che entra in atmosfera. Una parte dei carboidrati prodotti viene direttamente consumata per rifornire le piante di energia e la CO2 derivante dalla loro combustione, ritorna all’atmosfera attraverso le foglie e le radici. Un’aliquota del carbonio fissata dalle piante viene consumata sotto forma di cibo, dagli animali che, respirando, rimettono in circolazione CO2. Le piante e gli animali dopo la morte vengono decomposti dai microrganismi presenti nel terreno, il carbonio contenuto nei loro tessuti viene ossidato ad CO2 e restituito all’atmosfera. In atmosfera giunge anche quella che deriva dalle combustioni. A questa quota di CO2 si aggiunge quella dovuta alla ossidazione del CH4 proveniente dagli ambienti anaerobici ad opera dei microrganismi metano-ossidanti o di reazioni fotochimiche dell’atmosfera.

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In anaerobiosi, tipica dei sedimenti acquatici e degli strati più profondi del terreno, la CO2 è trasformata parte in CH4 dai microrganismi metanogeni CO2-riduttori e parte in sostanza organica dai microrganismi fototrofi. La fermentazione e la respirazione, tipiche dei microrganismi eterotrofi, degli autotrofi in assenza di luce, trasformano la sostanza organica proveniente dalla sedimentazione dei detriti degli organismi aerobi, parte in CO2 e parte in altro CH4. Il carbonio per essere riciclato deve passare dalla forma CO2. Un analogo ciclo ha luogo nel mare, in cui si autosostiene: il fitoplancton fissa la CO2 disciolta in H2O e rimette in soluzione O2, che viene utilizzato per la respirazione dai pesci e dallo zooplancton. La decomposizione finale degli organismi marini provvede a riportare in soluzione CO2, fissata dal fitoplancton. Tra atmosfera e superficie del mare si ha uno scambio dinamico di CO2 e O2, promosso dall’azione dei venti e del moto ondoso. Gli oceani sono una riserva di CO2, in cui è disciolta; per diffondere alle piante deve trovarsi allo stato gassoso in atmosfera. Questi due compartimenti sono in equilibrio tra loro. In seguito alla combustione dei materiali fossili dei 2/3 di CO2 liberati in atmosfera, una parte finisce in mare, una parte va ad aumentare la massa della vegetazione terrestre. 1.3d Ciclo dell’azoto (N) Questo elemento costituisce l’80% dell’atmosfera, in cui si trova sotto forma di gas inerte e non può essere utilizzato direttamente dalle piante e animali, almeno ché non viene ‘fissato’, cioè trasformato in composti organici da organismi specializzati. L’azoto entra a far parte delle proteine, degli acidi nucleici e di altre biomolecole organiche importanti e viene riciclato attraverso gli organismi viventi della biosfera. Il ciclo dell’azoto, come gli altri cicli, si svolge in tutti gli ambienti della biosfera. La più importante fonte naturale di azoto è costituita dai microrganismi del terreno, o meglio dalla simbiosi tra questi microrganismi fissatori d’azoto e le piante superiori (leguminose). L’azoto combinato è scarso in acqua e nel terreno superficiale e costituisce spesso un fattore limitante per lo sviluppo degli organismi viventi. L’N2 è fissato dai microrganismi azotofissatori (Azotobacteriaceae) e trasformato in NH3 (ammoniaca). In aerobiosi NH3 in parte è assimilata dalle piante e dai microrganismi, in parte è ossidata a nitriti (NO2) e nitrati (NO3) da microrganismi nitrificanti (batteri). Questo viene chiamato processo di nitrificazione. Il NO3 a sua volta è in parte assimilato dalle piante e in parte entra nel ciclo anaerobico. L’azoto assimilato, diventa gruppo-NH2 delle proteine e per deamminazione ritorna ad NH3 dopo la morte degli organismi o tramite gli escrementi. Altro azoto (15%) presente in atmosfera viene fissato dal terreno come NO3 grazie all’energia delle radiazioni solari o dei fulmini o per le combustioni, prima di poter essere assimilato dalle piante superiori che a loro volta vengono consumate dagli animali. L’uomo è intervenuto nel ciclo naturale coltivando su larga scala leguminose fissatrici d’azoto e mediante i processi industriali. Le quantità d’azoto fissate con questi due metodi supera il 10% di quello fissato dagli ecosistemi terrestri prima dell’avvento dell’agricoltura. In anaerobiosi i NO3 provenienti dagli ambienti aerobici vengono denitrificati a N2 dai microrganismi

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denitrificanti (es: Pseudomonas denitrificans). Questo viene chiamato processo di denitrificazione. A sua volta N2 in parte torna in atmosfera e in parte fissato ad NH3 dai microrganismi azotofissatori anaerobici. L’NH3 è assimilata dai microrganismi anaerobici diventando NH2 delle proteine. In seguito ritorna ad NH3 per deamminazione assieme ai gruppi -NH2 del detrito. Il trasferimento di azoto da e per l’atmosfera è essenzialmente come N2. Il trasferimento tra terra e acqua è essenzialmente come ione ammonio (NH4

+) e ione nitrato (NO3-).

1.3e Ciclo dello Zolfo (S) Lo zolfo è un costituente essenziale della materia vivente, è un costituente di due aminoacidi metionina e cisteina e delle vitamine biotina e tiamina (vitamina B1); non è disponibile in grandi quantità nel terreno, in cui è presente in forma organica ed inorganica come minerale (solfati e solfuri di metalli). Viene ininterrottamente trascinato via dall’acqua di percolazione, ma le perdite vengono continuamente reintegrate in seguito all’alterazione di minerali contenenti zolfo come le piriti. Nelle regioni industriali, lo zolfo viene portato al terreno dalle precipitazioni, poiché la pioggia è in grado di assorbire l’anidride solforosa che viene prodotta dall’inquinamento industriale. Nell’atmosfera lo zolfo è poco presente e lo si trova soprattutto come acido solfidrico (H2S). Nell’acqua si trova soprattutto come ione solfato (SO4²-). 1.3f Ciclo del Fosforo (P) Il fosforo è un costituente degli acidi nucleici e di numerose molecole che prendono parte al trasporto di energia, ma è necessario solo in piccole quantità. E’ un elemento più raro rispetto agli altri componenti la sostanza organica e spesso è il fattore limitante la crescita degli organismi vegetali (infatti, il fosforo è relativamente stabile nel terreno e la sua disponibilità dipende dal pH del terreno). Il ciclo del fosforo è semplice poiché negli organismi viventi esso è sempre allo stesso stato di ossidazione sia come fosfato libero (PO4³-) che come fosfato organico. La sua importanza è determinante sia come costituente cellulare che come intermedio energetico grazie al suo legame. I composti organici vengono demoliti fino a fosfati, che diventano poi disponibili per le piante. La grande riserva di fosforo è data dalle rocce e da altri sedimenti formatisi nelle ere geologiche. Questi vengono continuamente erosi, liberando fosfati nell’ecosistema. La maggior parte di essi finisce in mare, dove si depositano sia nei sedimenti poco profondi, sia in quelli profondi: i fosfati depositati nei sedimenti profondi non possono tornare in circolo. C’è un trasferimento di fosforo e di altri materiali ad opera degli uccelli dal mare alla terra. In sostanza, la quantità di fosforo riciclata non compensa quella perduta nei sedimenti profondi.

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Bibliografia - Odum E. P. (1988). Basi di ecologia. A cura di Loreto Rossi, Edizioni Piccin. - Rifkin J. (1982). “Entropia. Una nuova concezione del mondo. Ed. Mondatori. - Sachs W. (2000). Ambiente e diritti umani. In Gaia, Anno I, n°3, estate 2000,

pp.5-6. - Savignano A. (1997). Etica dell’Ambiente. Franco Angeli, Milano. F. Angeli.

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2. Sviluppo sostenibile 2.1 Introduzione Le continue emergenze ambientali e sociali, sia a scala locale sia planetaria, ci inducono ad una riflessione e cioè che alle soglie del terzo millennio, per invertire la tendenza in atto, che di sicuro non apporta benefici né al nostro pianeta né alla maggioranza degli esseri viventi, si pone in maniera chiara e inconfutabile l’esigenza di uno sviluppo equo e solidale, col rispetto della diversità etnica e culturale, della salvaguardia della biodiversità di flora e fauna. E’ imperativo un nuovo approccio allo sviluppo ed alla gestione delle risorse del pianeta, con quanto di buono la scienza e la tecnologia hanno prodotto, per permettere il pieno sviluppo delle potenzialità di ogni essere del pianeta e quindi del nostro territorio. E’ necessario, perciò, intensificare gli sforzi per il passaggio da una visione del mondo e della nostra società fondata sull’antropocentrismo ad una visione biocentrica, superando i paradigmi scientifici ed economici dell’attuale visione del “modernismo”, come lo definisce Teddy Goldsmith, uno dei padri fondatori dell’ambientalismo mondiale, per cui la biologia intesa come bioetica, bioeconomia, bioarchitettura, biomedicina dovrà essere centrale nello scorrere del terzo millennio. Utopia? Un nuovo ordine mondiale, una società eticamente orientata, è possibile! Solamente una cittadinanza “attiva”, informata e culturalmente preparata, può gestire il cambiamento verso una società eticamente orientata, per capire il nesso tra economia, ecologia ed evoluzione culturale della nostra specie. Il territorio, essendo un insieme armonico, va considerato come tale in una seria programmazione a lungo termine. Ogni azione deve fare riferimento ai principi dello “sviluppo ecocompatibile - consapevole” ovvero ad un sviluppo territoriale che sia il meno insostenibile. 2.2 Lo “Sviluppo Sostenibile” come nuova “etica globale” Il concetto di "sviluppo sostenibile" è stato coniato dalla Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo (WCED) nel 1987, dopo due anni di riunioni, dibattiti, conferenze in vari paesi del mondo con rappresentanti del mondo politico, economico, scientifico, imprenditoriale, sindacale e con i rappresentanti di popoli di varie parti della terra. La necessità di creare questa commissione dell'ONU e di analizzare i legami tra modello di sviluppo dominante e ambiente affonda senz'altro le sue radici nella conferenza dell'ONU di Stoccolma del 1972 (sull'ambiente umano) e sul dibattito apertosi a partire da quegli anni sulla durabilità del modello di sviluppo contemporaneo. Le preoccupazioni che affiorarono a Stoccolma e che erano già ben presenti nel dibattito sui limiti della crescita erano di due ambiti principali: - le ripercussioni negative di un modello di crescita economica quantitativa sull'ambiente naturale;

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- il sottosviluppo di gran parte dell'umanità (la maggioranza) ovvero la dimostrata incapacità da parte di molti paesi del Sud del mondo a seguire il modello di sviluppo dominante. Dal 1987 ad oggi il termine di “sviluppo sostenibile” ha dato luogo ha due fatti importanti: 1) un infinito dibattito nella letteratura economica, politica e scientifica sul

significato e sulle implicazioni;

2) una diffusione universale (nel senso geografico) e trasversale (nel senso dell'adozione del termine da parte di partiti politici, associazioni, istituzioni anche con visioni e punti di vista contrastanti).

Questi due fatti hanno portato a due risultati sostanzialmente divergenti: da una parte la grande bagarre intorno al significato di sostenibilità sembra aver svuotato il concetto di riferimenti certi e quindi della sua potenzialità innovativa, dall'altra la grande diffusione del termine rafforza proprio la potenzialità che questo concetto può avere per andare verso un nuovo modello di sviluppo. La parola "sostenibile" è stata inizialmente applicata nel campo delle scienze naturali: si parla infatti di sostenibilità fisica rispetto all'uso di una certa risorsa, come

quell'uso della risorsa che ne mantiene intatte le caratteristiche di riproducibilità e integrità per l'uso futuro;

poi di sostenibilità fisico-biologica allargando lo spettro da una risorsa ad un intero ecosistema;

infine il termine è stato allargato alla sfera delle relazioni sociali: la sostenibilità fisico-biologico-sociale ovvero lo sviluppo sostenibile.

L'utilizzo sostenibile è dunque una condizione necessaria per parlare di sostenibilità dello sviluppo, ma non è una condizione sufficiente. Lo sviluppo sostenibile, infatti, va oltre la sfera delle mere relazioni fisico-naturali incorporando principi etici rivolti sia al riconoscimento della vita non-umana, sia all'imperativo di soddisfare i bisogni di tutta l'umanità. 2.2a Principi base per la sostenibilità dello sviluppo La definizione della WCED è la prima (e universalmente riconosciuta) definizione della sostenibilità fisico-biologica-sociale. In essa si possono individuare tre principi di base: - il riconoscimento della sostenibilità fisica: laddove lo sviluppo umano deve

considerare i limiti della natura; - il principio di equità intragenerazionale, ovvero di equità tra le generazioni

presenti; - il principio di equità intergenerazionale, ovvero di equità tra generazioni

presenti e future. 1° Definizione di sviluppo sostenibile

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Il Rapporto della Commissione Brundtland (in cui si trova la prima definizione di sviluppo sostenibile dell’allora Primo Ministro norvegese Gro Harlem Brundtland), istituita nell’ambito dell’UNEP, Programma per l’Ambientale delle Nazioni Unite (WCED, 1987) è un documento che si propone di prefigurare una politica mondiale verso uno sviluppo sostenibile sia sul piano ambientale sia sul piano sociale. Secondo questo testo, l’umanità dovrà impegnarsi nei prossimi anni per: “Rendere lo sviluppo sostenibile, assicurando il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Il concetto di sviluppo sostenibile implica dei limiti, non limiti assoluti ma quelli imposti dal presente stato dell’organizzazione tecnologica e sociale nell’uso delle risorse ambientali e della capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane”. Questa definizione è ormai largamente usata proprio perché si riferisce soltanto alla specie umana senza rendere esplicite le interazioni fra questa e il resto del mondo. Esso contiene due concetti chiave: il concetto di "bisogni", in particolare i bisogni primari dei poveri del mondo, ai quali

deve essere data assoluta priorità; l'idea di limiti imposti dallo stato della tecnologia e dell'organizzazione sociale

sulla capacità dell'ambiente di soddisfare i bisogni presenti e futuri. 2° Definizione di sviluppo sostenibile Una seconda definizione, più corretta, si è avuta nel 1991, con il rapporto “Caring for the Earth (Prendersi cura della Terra, strategia per un vivere sostenibile)” curato dal Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), dalla World Conservation Union (IUCN) e dal WWF. Secondo questo rapporto lo sviluppo sostenibile permette il soddisfacimento dei bisogni, ma solo nei limiti della capacità di carico degli ecosistemi che lo sostengono. Vengono qui introdotti due termini molto importanti “ecosistemi” e “capacità di carico”. La menzione degli ecosistemi come base su cui ci si deve fondare per la soddisfazione dei nostri bisogni stabilisce con chiarezza che la nostra vita è dipendente da quella degli altri esseri viventi e quindi dalle loro esigenze. Stabilisce anche che gli ecosistemi e l’intera biosfera di cui fanno parte può resistere solo fino ad un certo punto (la capacità di carico) oltre il quale si ha un collasso non necessariamente reversibile. E’ per evitare quel collasso, per noi letale, che dobbiamo quindi porre dei limiti alle nostre azioni, progettando i nostri interventi sulla base di ciò che sappiamo, ed è molto, del funzionamento degli ecosistemi o, più in generale, della vita. I limiti della capacità di carico si manifestano nei termini dei flussi di energia e di materia resi disponibili dai sistemi ecologici per essere trasformati dai processi economici. In questo modo la sostenibilità viene caratterizzata da un elemento essenziale: quello del rispetto dei limiti della natura e della capacità che essa ha di sopportare un certo livello di assorbimento di emissioni e rifiuti da noi prodotti senza compromettere le capacità metaboliche e rigenerative degli ecosistemi naturali.

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Oggi, il flusso di materiali ed energia, nell’economia umana mondiale, è superiore alla capacità di carico dei sistemi ecologici e che quindi, tale flusso debba essere ridotto, secondo alcuni studiosi, almeno della metà. Le attuali analisi interdisciplinari ci dimostrano l’insostenibilità dei nostri modelli di sviluppo socio-economico e ci dimostrano l’insostenibilità ecologica, economica e sociale. Per questo occorre adottare percorsi verso una minore insostenibilità e, quindi, verso un minore impatto per cercare di vivere entro i limiti della natura. Ogni essere umano ha una quota di natura a disposizione, sia nel senso di risorse utilizzabili che di capacità della natura di assorbire rifiuti e ha diritto, quindi, ad un ambiente sano e alla disponibilità di una quota di risorse. Si ha sviluppo sostenibile se vengono seguiti due principi: 1. impiegare le risorse con un tasso di sfruttamento minore del tasso di

rigenerazione; 2. emettere inquinanti a un tasso pari a quello con cui l’agente può essere riciclato,

assorbito o reso inoffensivo dall’ambiente. Per questo è necessario seguire un nuovo percorso: dallo “sviluppo consapevole” allo “sviluppo sostenibile”. 2.2b Dallo “sviluppo consapevole” allo “sviluppo sostenibile”: proposte I vincoli alla crescita economica attuale non sono determinati tanto dalla limitata disponibilità di risorse quanto semmai dalla limitata capacità ricettiva dell'ambiente, che dimostra chiari segni di insostenibilità. Il termine chiave da prendere come riferimento è quello di "capacità di carico", ovvero la capacità che hanno i diversi ecosistemi dal livello locale a quello globale di sostenere l'attività economico-sociale dell'umanità tutta. 2.2b1 Capacità portante In ecologia la capacità portante (carrying capacity) indica il numero di individui di una popolazione che le risorse di un habitat sono capaci di sostenere indefinitamente. La capacità portante del pianeta è la capacità di alimentare, di sostenere la popolazione e tutte le altre forme viventi (vegetali e animali) di cui l’uomo e la natura hanno bisogno per sopravvivere ed essa stabilisce i limiti dello sviluppo. Ci dice che se vogliamo vivere in modo sostenibile dobbiamo essere sicuri che il nostro utilizzo di prodotti e processi della natura non sia più rapido del tempo che è loro necessario per rinnovarsi, e che il carico inquinante non deve essere superiore alla capacità di assorbimento e di adattamento del sistema.

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L’obiettivo deve essere, quindi, quello di promuovere la salvaguardia, la valorizzazione e l’ottima allocazione delle risorse territoriali/ambientali, quindi deve essere vietata qualsiasi azione che degradi, deturpi o elimini tali risorse intese come entità singole o come equilibri complessi; tutelarne l’identità storica e culturale; salvaguardare la qualità del sistema paesistico, delle sue componenti ambientali e il suo uso sociale e produttivo, nell’ambito del principio di sviluppo durevole e meno insostenibile. Lo sviluppo economico deve essere compatibile con la capacità di carico degli ecosistemi del pianeta ed armonico con gli obiettivi di una società democratica, giusta, equa e solidale. La sostenibilità ecologica è una condizione fondamentale di esistenza; oggi purtroppo si continua a credere che l’esistenza dei limiti ecologici alla crescita possa essere considerata irrilevante perché può essere superata dai progressi tecnologici. Nell'arco di 250 anni, un intervallo temporale molto ristretto rispetto ai tempi biologici della vita sulla terra, l'atmosfera terrestre è stata fortemente modificata, l'uomo è giunto ad appropriarsi del 40% della produzione primaria netta degli organismi capaci di fotosintesi (Vitousek et al., 1986), più della metà della superficie terrestre è stata trasformata dall'attività umana (in coltivazioni, pascoli o desertificata), ovvero, a circa il 99% delle specie del mondo vivente è rimasta solo meno della metà della superficie terrestre a disposizione (Turner et al., 1990). Tutto questo ha portato ricchezza e benessere solo nei paesi che hanno preso parte al processo di industrializzazione cioè a solo circa il 20-25% dell'umanità; è facile capire dunque il teorema dell'impossibilità prima indicato se questo processo di crescita fosse esteso al rimanente 75-80% della popolazione mondiale. Questi dati sono stati sufficienti alle organizzazioni internazionali per porre con forza la necessità di un cambiamento, lo sviluppo sostenibile, che richiede scelte e azioni che possono ovviamente comportare conseguenze economiche e sociali onerose, soprattutto per quell'isola di umanità (il Nord del mondo) ancorata ai modelli di sovra-produzione e di sovra-consumo. 2.2b2 Spazio ambientale Si cerca di definire qual’è lo Spazio Ambientale utilizzato dai diversi popoli della terra, attualmente, e quale dovrà essere fra 50-100 anni per rientrare in un'ottica di sostenibilità. In origine questo concetto fu sviluppato nelle sue linee fondamentali dall’economista olandese Johannes Opschoor, Università di Amsterdam, e sta ad indicare quello “spazio” di natura che ogni essere umano può utilizzare nell’ambiente naturale senza danneggiare permanentemente le caratteristiche essenziali che consentono la sua evoluzione, cioè quanto “ambiente” un paese può “consumare” senza alterazioni ecologiche. Lo Spazio ambientale è quindi il quantitativo di risorse, energia, acqua, territorio, materie prime non rinnovabili che può essere consumato da ogni persona rispettando l’ambiente e i diritti degli altri essere umani.

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Questa metodologia introduce il principio di “equità”, secondo cui ogni abitante della Terra ha diritto di accesso ad uno stesso quantitativo di spazio ambientale, o quota di risorse. Questo significa che l’uso di risorse fatto dai paesi più industrializzati deve ridursi drasticamente per consentire una crescita equa ai paesi in via di sviluppo senza ulteriormente superare la capacità del pianeta di rigenerarsi e di assorbire l’inquinamento. La teoria dello spazio ambientale viene anche utilizzata per valutare la sostenibilità delle politiche nel campo ambientale ed energetico. Secondo il rapporto “Verso un’Europa sostenibile”, curato dal Wuppertal Institute, per restare nei limiti, a livello mondiale, il prelievo di quasi tutte le risorse naturali deve essere ridotto della metà e che, a livello europeo, la riduzione è dell’80-90%. Ogni paese europeo si trova ad eccedere di molto l’uso “sostenibile” delle risorse. Per ovviare a tutto ciò il primo obiettivo può essere l’efficienza. Per il caso tedesco i valori medi di riduzioni richieste sono del 77% da oggi al 2050 in termini di emissioni di CO2, dall'80% al 90% per l'uso dei principali materiali (cemento, ghisa, metalli). Per ottenere questi valori, occorre: - il miglioramento tecnologico nell'uso delle risorse, - la riduzione dei livelli di consumo dei paesi del Nord. 2.2b3 Impronta ecologica Il metodo dell’impronta ecologica, elaborato inizialmente da William Rees e Mathis Wackernagel, Ecological footprint, Centre de Estudes para la Sustentabilida dell’Università Auahuac de Xalapa, Messico, cerca di quantificare nazione per nazione, comunità per comunità, città per città la superficie pro-capite di area biologicamente produttiva necessaria a provvedere continuamente alle nostre necessità e assorbire i nostri rifiuti. L’impronta ecologica consente di misurare la superficie del territorio necessaria a supportare a lungo termine i consumi di un individuo, di un gruppo o di un determinato sistema socio-economico, come una città, una regione, uno stato o un continente. L’impronta ecologica è l’impronta lasciata dalle classe consumistica del mondo (20-25% della popolazione mondiale ovvero la classe onnivora). Tutti i paesi, in particolare i paesi ricchi, lasciano un’impronta e questo vuole dire che utilizzano uno spazio ambientale che per i paesi ricchi è più grande dello spazio dei loro rispettivi territori nazionali (W. Sachs, 2000). I calcoli dimostrano che l’attuale modello di consumo di prodotti agricoli, fibra di legno e combustibili fossili comporta una impronta ecologica che eccede la quantità di terra ecologicamente produttiva di quasi il 30%. In altre parole, avremmo bisogno di un pianeta più grande per sopportare gli attuali consumi senza impoverire gli ecosistemi. Nel 1997, Mathis Wackernagel con un gruppo di studiosi, ha presentato uno studio che calcola, per la prima volta, l’impronta ecologica di 52 nazioni, fra cui anche l’Italia, abitate dall’80% della popolazione.

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Dallo studio emerge il deficit ecologico: cioè l’umanità nel suo insieme utilizza risorse e servizi della natura in quantità di più di 1/3 rispetto alla capacità di rigenerazione della natura stessa. L’impronta ecologica degli italiani risulta di: 4,5 ettari pro-capite; la nostra disponibilità di capacità ecologica sarebbe di 1,4 ettari pro-capite. Il nostro deficit ecologico è, quindi, di 3,11 ettari pro-capite: 2,21 ettari di sistemi ecologici terrestri 0,9 ettari di sistemi produttivi marini. I 2,21 ettari sono una superficie produttiva oltre cinque volte quella disponibile entro il territorio nazionale, che ammonta a 0,44 ettari pro-capite. Da ciò si deduce che l’Italia dipende largamente dalle risorse di altri paesi. A livello mondiale l’impronta ecologica è di: 2,3 ettari pro-capite, la disponibilità di capacità ecologica sarebbe di 1,8 ettari pro-capite. Il deficit ecologico è, quindi, di 0,5 ettari pro-capite. 2.3 Agenda 21 La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 ha visto l'adozione di quattro documenti: la Dichiarazione di Rio, l'Agenda 21, le convenzioni sul clima e sulla biodiversità. Uno dei principali strumenti per l'implementazione della sostenibilità è senz'altro l'Agenda 21. Si tratta di un documento-fiume, di più di 500 pagine, spesso ripetitivo e non sempre chiaro nel linguaggio, che però cerca di affrontare tutti i possibili campi di attuazione rispetto ad una politica di sviluppo sostenibile. Si deve scontare il fatto che è un documento di compromesso tra tutti (almeno virtualmente) i rappresentanti dei popoli della terra e come tale su alcuni temi non è stato possibile trovare un accordo tra tanti punti di vista diversi. In particolare, le aree dove l'accordo non è stato raggiunto sono state quella del controllo demografico (per l'opposizione dei movimenti religiosi), quella della riduzione dell'uso dei combustibili fossili (per l'opposizione di alcuni paesi del Nord e dei paesi esportatori di petrolio), e quella dei danni derivanti dal debito dei paesi del Sud e dal commercio internazionale (per l'opposizione dei paesi industrializzati). Un importante aspetto da considerare è che le indicazioni e i temi presenti nell'Agenda 21 riguardano tanto la parte ambientale quanto quella politica, economica e finanziaria dello sviluppo sostenibile: 25 dei 40 capitoli dell'Agenda 21 sono infatti dedicati a tematiche diverse rispetto a quella della protezione o del degrado dell'ambiente. Questa visione è poi ripresa fortemente dalla Commissione per lo Sviluppo Sostenibile (CSD), creata nel dopo-Rio, con lo scopo non solo di monitorare e registrare gli sforzi a livello nazionale verso l'Agenda 21, ma soprattutto di portare avanti la questione cruciale dell'aiuto finanziario e del trasferimento di tecnologie al Sud. La CSD ha definito infatti una serie di linee guida per monitorare i passi in avanti degli stati

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nazionali nell'implementazione dell'Agenda 21, e tra questi un ruolo centrale è affidato proprio alla considerazione del rapporto Nord-Sud. Lo sviluppo sostenibile potrà attuarsi solo se specificamente pianificato. Piani e strategie sono richiesti ad ogni livello di governo. Viene rifiutata l'idea che le forze di mercato da sole possano portare verso la sostenibilità: esse possono essere utili, ma solo dopo che è stata programmata una cornice entro cui lasciarle libere di agire. Altro aspetto importante è il ruolo del livello locale: all'interno dell'Agenda 21, infatti, sono individuati nove diversi settori della società civile, i cosiddetti "gruppi principali" e a tutti questi gruppi viene attribuito il dovere di responsabilizzarsi rispetto all'implementazione del programma. Questi gruppi sono: le donne, i giovani e i bambini, i popoli indigeni, le organizzazioni non-governative, i sindacati, le autorità locali, le imprese, la comunità scientifica, e gli agricoltori. Le autorità locali sono dunque uno dei "gruppi principali" ed hanno un preciso potenziale rispetto alla implementazione della sostenibilità: - le autorità locali sono più vicine e più in contatto con le comunità locali che non lo

stato nazionale o le organizzazioni internazionali; - sono le strutture amministrative al livello in cui le politiche sono effettivamente

attuate. Per questi motivi rappresentano un motore fondamentale nel processo di implementazione dell'Agenda 21. Se l'Agenda 21 rappresenta lo strumento per attuare i contenuti dello sviluppo sostenibile, le Agende 21 Locali rappresentano la struttura attraverso la quale gli obiettivi globali sono tradotti in azioni locali (Piani d’azione ambientale). I singoli piani locali d’azione contribuiranno all’attuazione del Quinto Programma di azione a favore dell’ambiente dell’Unione Europea “Per uno sviluppo durevole e sostenibile”. Inoltre l'Agenda 21 Locale, tramite la partecipazione delle comunità locali, è l'anello fondamentale nella catena del processo di cambiamento invocato dallo sviluppo sostenibile: le azioni intraprese a livello locale verso la sostenibilità hanno una forza ben maggiore di quella fornita sulla carta dai negoziati internazionali. E' questo l'approccio "dal basso verso l'alto": le soluzioni sperimentate a livello locale da comunità diverse in diverse parti del mondo (con l'obiettivo della sostenibilità) integrano e arricchiscono la visione programmatica definita a livello internazionale. In questo importante processo dal basso non deve però essere mai persa di vista la sfuggevole dimensione globale: come sostiene l'Istituto Internazionale per l'Ambiente e lo Sviluppo (IIED, 1993) molte comunità locali del mondo sviluppato hanno fatto dei considerevoli progressi nel raggiungere gli obiettivi della sostenibilità dentro i propri confini ma solo alle spese del capitale naturale di altre comunità lontane o della capacità globale di assorbimento dell'ecosistema terrestre. Da questo punto di vista allora, nell'ambito delle Agende 21 Locali, la Regione come ente sub-nazionale viene ad assumere un ruolo strategico: essa, tramite la legislazione e la programmazione, dovrà funzionare da raccordo tra la dimensione locale ristretta degli enti territoriali inferiori e la dimensione globale dei problemi. La Regione cioè,

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pur non avendo le competenze dello stato nazionale, ha una sufficiente dimensione territoriale per poter raccordare le diverse politiche locali orientate alla sostenibilità, e mantiene comunque una vicinanza alle comunità locali senz'altro superiore rispetto allo stato centrale. Nell’Agenda 21 locale grande importanza viene data al ruolo delle città. L’ambiente urbano è un territorio particolarmente critico per quanto riguarda l’inquinamento legato al sistema energetico. La città, inoltre consuma, spesso in modo inefficiente grandi quantità di materie prime, energia e acqua che preleva dai territori esterni, a volte anche molto lontani. E proprio perché è una consumatrice inefficiente, la città produce emissioni e rifiuti che non è in grado di contenere o riutilizzare, ma che esporta in aree esterne (ad esempio: le discariche per i rifiuti solidi urbani). Le città possono assumere un ruolo chiave nella transizione verso uno sviluppo sostenibile, poiché sono il luogo dove va ripensato in modo realistico e concreto un diverso rapporto fra sviluppo e ambiente. Bisogna partire dalle esigenze dei cittadini e favorire la loro partecipazione nelle scelte di politica ambientale locale, per poter formulare le migliori strategie e riqualificare da un punto di vista ambientale e sociale le aree urbane. In quest’ottica le “Agende 21 locali” diventano uno strumento per realizzare lo sviluppo sostenibile migliorando la qualità della vita (Tratto da: http://www.architettura.it/alt/altss_sind.htm).

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Bibliografia - Bettini V. (1996). Elementi di ecologia urbana, Einaudi, Torino. - Clark B.D. (1988). L'energia e l'ambiente (dalla rivoluzione industriale agli anni

'80). In: Uomo Ambiente Energia. Vol. 2 (a cura di F.Quilici e M.Pizzigallo). Pp. 199-213.

- Scandurra E. (1995). L'ambiente dell'uomo. Verso il progetto della città sostenibile. ETAS Libri, Milano.