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PER UNA STORIA DEL DISEGNO TECNICO Premessa E’ forse eccessivo parlare di “storia” per un settore della tecnica, importante ma limitato, quale il Disegno Tecnico: va anche detto che, anche se non c’è dubbio che la civiltà attuale sia saldamente basata sullo sviluppo tecnologico, la dignità culturale degli studi che si riferiscono alle tecnologie è spesso tutt’altro che riconosciuta, al di fuori dell’ambiente tecnico-scientifico,. Il motivo principale va ricercato in una formazione scolastica che, per lunga tradizione, privilegia gli studi umanistici (si pensi alla classica frase “di matematica nulla capisco e non mi interessa” enunciata con ingiustificabile orgoglio da personaggi qualificati in campo giuridico, letterario, artistico!). Si può pensare che ciò sia anche dovuto all’abitudine di trascurare nello studio della scienza, ed ancor più della tecnologia, gli aspetti umani e sociali, che vengono messi in evidenza quando si segua lo sviluppo storico di un’idea, di un progetto, di una tecnica. In verità si è notato in questi anni un certo interesse in tale campo anche nel nostro paese, pur con un notevole ritardo rispetto a quanto in altri avviene da decenni. Nello specifico settore della storia del disegno tecnico le poche opere presenti sono per lo più orientate sugli aspetti legati all’architettura e ciò grazie al maggior interesse dei cultori delle discipline architettoniche verso le loro radici storiche, mentre nei settori meccanici tale interesse appare piuttosto raro. Non volendo invadere settori di nostra minore competenza, anche se qualche riferimento si renderà necessario, si intende rimanere in queste note nell’ambito della meccanica e di quel “disegno di macchine” o “meccanico” nel quale negli ultimi secoli hanno operato schiere di tecnici di vario livello e che ha costituito e costituisce il collegamento indispensabile fra la creazione e l’esecuzione del progetto meccanico. Passato e presente Quando ci si avvicina alla storia del disegno, la prima considerazione che balza agli occhi è la carenza di documenti di un passato non recente. Per citare Petroski 1 , i tecnici, gli ingegneri, hanno lavorato al di fuori dell'attenzione dei "media": sappiamo tanto delle invenzioni di Leonardo perchè era considerato come artista, cosa che non si è verificata per la maggior parte dei tecnici suoi predecessori. Noi conosciamo attraverso i libri ed i manoscritti che le ospitano, “ le più fantasiose od errate teorie sull'universo e le irrealizzabili utopie di sognatori, piuttosto che le ingegnose e positive realizzazioni ingegneristiche” nel corso dei secoli. I disegni tecnici, che sono fase iniziale ed accompagnatoria di queste realizzazioni, soffrono di una ancor più scarsa considerazione, e ciò risulta poco giustificabile se si pensa che il disegno è per la tecnica il principale mezzo di comunicazione. In sintesi, il disegno tecnico intende infatti rappresentare la realtà, presente, passata o futura (allo stadio di progetto), allo scopo di studiarla, di conoscerne il funzionamento ma anche di eventualmente ricostruirla. 1 Petroski H., “The Pencil”, New York, 1998

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PER UNA STORIA DEL DISEGNO TECNICO

Premessa

E’ forse eccessivo parlare di “storia” per un settore della tecnica, importante ma limitato, quale il Disegno Tecnico: va anche detto che, anche se non c’è dubbio che la civiltà attuale sia saldamente basata sullo sviluppo tecnologico, la dignità culturale degli studi che si riferiscono alle tecnologie è spesso tutt’altro che riconosciuta, al di fuori dell’ambiente tecnico-scientifico,. Il motivo principale va ricercato in una formazione scolastica che, per lunga tradizione, privilegia gli studi umanistici (si pensi alla classica frase “di matematica nulla capisco e non mi interessa” enunciata con ingiustificabile orgoglio da personaggi qualificati in campo giuridico, letterario, artistico!). Si può pensare che ciò sia anche dovuto all’abitudine di trascurare nello studio della scienza, ed ancor più della tecnologia, gli aspetti umani e sociali, che vengono messi in evidenza quando si segua lo sviluppo storico di un’idea, di un progetto, di una tecnica.

In verità si è notato in questi anni un certo interesse in tale campo anche nel nostro paese, pur con un notevole ritardo rispetto a quanto in altri avviene da decenni.

Nello specifico settore della storia del disegno tecnico le poche opere presenti sono per lo più orientate sugli aspetti legati all’architettura e ciò grazie al maggior interesse dei cultori delle discipline architettoniche verso le loro radici storiche, mentre nei settori meccanici tale interesse appare piuttosto raro.

Non volendo invadere settori di nostra minore competenza, anche se qualche riferimento si renderà necessario, si intende rimanere in queste note nell’ambito della meccanica e di quel “disegno di macchine” o “meccanico” nel quale negli ultimi secoli hanno operato schiere di tecnici di vario livello e che ha costituito e costituisce il collegamento indispensabile fra la creazione e l’esecuzione del progetto meccanico.

Passato e presente

Quando ci si avvicina alla storia del disegno, la prima considerazione che balza agli occhi è la carenza di documenti di un passato non recente.

Per citare Petroski1, i tecnici, gli ingegneri, hanno lavorato al di fuori dell'attenzione dei "media": sappiamo tanto delle invenzioni di Leonardo perchè era considerato come artista, cosa che non si è verificata per la maggior parte dei tecnici suoi predecessori. Noi conosciamo attraverso i libri ed i manoscritti che le ospitano, “ le più fantasiose od errate teorie sull'universo e le irrealizzabili utopie di sognatori, piuttosto che le ingegnose e positive realizzazioni ingegneristiche” nel corso dei secoli.

I disegni tecnici, che sono fase iniziale ed accompagnatoria di queste realizzazioni, soffrono di una ancor più scarsa considerazione, e ciò risulta poco giustificabile se si pensa che il disegno è per la tecnica il principale mezzo di comunicazione.

In sintesi, il disegno tecnico intende infatti rappresentare la realtà, presente, passata o futura (allo stadio di progetto), allo scopo di studiarla, di conoscerne il funzionamento ma anche di eventualmente ricostruirla.

1 Petroski H., “The Pencil”, New York, 1998

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«Il disegno costituisce per il meccanico un mezzo mediante il quale egli può rappresentare con chiarezza, acutezza e rigore i suoi pensieri e le sue riflessioni, in modo da non lasciare niente da desiderare. Una macchina disegnata è come una realizzazione ideale della stessa, ma fatta con un materiale di minor costo e più facile trattamento del ferro o dell’acciaio.

Ma il disegno non è solo estremamente importante per il progetto, bensì anche per la costruzione vera e propria, in quanto con questo metodo le dimensioni e la forma di tutte le parti sono fissate in modo esatto e sicuro fin dal principio, di modo che la costruzione consiste nel riprodurre con il materiale di costruzione esattamente tutto quanto il disegno rappresenta. Ciascuna parte costituente la macchina può in generale venire costruita indipendentemente dalle altre: in tal modo è possibile suddividere il complesso del lavoro fra un gran numero di operai ed organizzare l’intera costruzione in modo che tutti i lavori possano venire eseguiti a tempo debito, nel luogo più appropriato con il minimo impiego di tempo e materiale, con esattezza e sicurezza. Con simile procedura non è possibile che si compiano errori molto gravi e qualora capitasse di trovare un errore si può subito individuare a chi è dovuto».2

Così scriveva il Redtenbacher, uno dei fondatori della disciplina della Costruzione di Macchine, nel 1852 e ben poco vi è da aggiungere a questo scritto, che inquadra il disegno meccanico nel suo significato e nella sua importanza e da cui si comprende come non sia accidentale il fatto che in parallelo con la definizione, la codificazione e la riproducibilità del disegno meccanico, avanzi e s’espanda il progresso tecnico, proprio dall’800 ad oggi.

Tornando indietro nei secoli, fra le diverse considerazioni sui motivi del mancato sviluppo di idee e procedimenti tecnici già noti a Greci e Romani, non mancano quelle che sottolineano la mancanza di capacità di raffigurare e riprodurre informazioni costruttive comprensibili e precise.

Quel che si può ancora notare è che, come accade anche per documenti precedenti, in questo testo ottocentesco sono già contenuti gli sviluppi attuali, dovuti a strumenti e tecnologie allora impensabili, anche se per anni la definizione fondamentale veniva così espressa:

«Disegno meccanico = rappresentazione grafica, generalmente su carta, di organi meccanici isolati o di intere macchine, accompagnata da tutti i dati necessari per la costruzione dei singoli organi e del loro corretto montaggio. Il disegno meccanico, soggetto a precise norme di unificazione di carattere generale, viene eseguito in genere tracciando i contorni delle superfici esterne e interne dell’organo, ricorrendo alla proiezione ortogonale o assonometrica e alla sezione ideale con piani ortogonali o inclinati. I dati più importanti che devono figurare sul disegno sono quelli riguardanti la forma e le dimensioni dell’oggetto, i materiali da impiegare, il grado di finitura delle superfici e le tolleranze».3

Si è così andato definendo il disegno come pura tecnica di tracciatura grafica, mettendo in ombra il suo reale significato di modello della costruzione, chiaramente espresso nel testo prima citato.

2 in Klemm, “Storia della Tecnica”, Milano, 1966 3

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Il disegno tecnico fino al ‘700 Quando la costruzione di un meccanismo viene eseguita direttamente da chi l’ha ideato, il progetto non ha necessità assoluta di esser trascritto, perché è archiviato nella mente dell’esecutore. In modo analogo ciò accade quando l’esecuzione sia affidata a specialisti che hanno anch’essi, per la loro esperienza individuale o col-lettiva (trasmessa per tradizione nell’ambito di una corporazione o da un maestro di bottega), sia un archivio mentale personale sia un insieme di modelli di riferimento. È ovvio che in tale situazione non mancano gli inconvenienti, opposti agli aspetti positivi messi in evidenza dalle citate frasi del Redtenbacher. Sono documentate ad esempio le liti di Leonardo con artigiani tedeschi suoi collaboratori, che ora non capivano quel che egli desiderava si facesse, ora non lo volevano eseguire perché non conforme alla loro esperienza.

Il problema della trasmissione di dati costruttivi si pone perciò solo quando non vi sia coincidenza fra ideatore e costruttore: si giustifica così il fatto che il disegno di tipo tecnico, dagli albori della civiltà al XVIII secolo, si richiami all’arte figurativa e segua un’evoluzione parallela a questa, proprio perché ne rappresenta un’applicazione specifica, a scopo di illustrazione informativa e non di prescrizione costruttiva. Solo l’illustrazione realistica ha infatti efficacia nella trasmissione di dati ai non esperti, perchè fa appello alla loro esperienza e non richiede la conoscenza di codici interpretativi specifici: basta consultare una qualsiasi opera di divulgazione per vedere come nella maggior parte dei casi l’esemplificazione e la descrizione di apparecchi e meccanismi non compaia secondo le norme tipiche del disegno meccanico ma

sia affidata a disegni prospettici, ad assonometrie, generalmente con uso del colore.(Fig.1) In tali casi si può parlare di disegno “tecnico” solo perché riguarda oggetti tecnici.

Per secoli il disegno di costruzioni, macchine, attrezzi, non si è allontanato da queste rappresentazioni figurative, in genere idonee a comunicare un’idea generale dell’oggetto, ma prive dell’esattezza necessaria per fornire indicazioni costruttive, che è lo scopo principale del disegno tecnico. Le tavole dei trattatisti del ‘5-600, ad esempio, sono piacevoli illustrazioni che richiedono uno studio interpretativo per portare ad una concreta realizzazione degli oggetti rappresentati. D’altra parte il loro scopo principale era quello di dimostrare le conoscenze e le capacità degli autori, eventualmente da incaricare direttamente della costruzione delle macchine raffigurate. Tornando a tempi più antichi, non manca invero qua e là un accenno che può far pensare a realtà quotidiane diverse da quel che la documentazione rimastaci consente di riconoscere. Se frammenti di papiro volenterosamente interpretati, qualche tavoletta mesopotamica, per non parlare di vasi e bassorilievi, dalla Grecia classica al tardo impero romano, ci danno idee su costruzioni e meccanismi ma non si possono certo

Figura 1 . Illustrazione, da una pubblicazione DeA

Figura 2 - Carro a propulsione eolica (da Valturio, De Re

Militari, 1483)

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definire documenti idonei alla ricostruzione degli stessi, pure ad esempio gli schemi in scala dei capitelli di Dendera, il papiro di Gur-Ab, altri disegni egizi in cui appaiono piante ed alzate, portano a ritenere che qualche documentazione grafica di progetto preliminare alla costruzione potesse esistere. Per epoche più tarde anche Vitruvio accenna a disegni esecutivi predisposti dagli architetti, definisce la rappresentazione in pianta (icnografia) ed in alzata (ortografia) e richiama con il termine scenografia l’insieme di viste, frontale e laterali, di un edificio convergenti in un’unica raffigurazione. Analogamente sembra che nell’antica civiltà cinese si utilizzassero disegni di viste e piante di edifici civili e militari per valutarne la possibile realizzazione. Come già accennato in premessa disegni e documentazioni si riferiscono però, almeno per quanto disponibili, a realizzazioni architettoniche, mentre per i meccanismi si hanno tutt’al più illustrazioni semplifica-tive.

Così solo sulla descrizione a parole si basano le conoscenze dei meccanismi di Filone di Bisanzio e di Erone di Alessandria e le ricostruzioni rinascimentali degli stessi. Anche i disegni esplicativi, siano di autori arabi del sec. XI (fig.4) , siano i famosi taccuini di Villard de Honnecourt (fig.5) degli inizi del XIII secolo, lasciano piuttosto perplessi, e non avrebbero la minima possibilità di essere compresi se non accompagnati da una prolissa descrizione scritta. Ancora sulla differenza fra il disegno, espressione artistica, il disegno come illustrazione ed il disegno come strumento di lavoro è interessante notare che proprio a proposito del Medioevo alcuni autori riten-gono che fosse considerato unicamente uno strumento di lavoro utilizzato temporaneamente e poi distrutto (anche in considerazione dei mezzi usati tipo tavolette cerate) mentre i casi di conservazione riguardano non

tanto precise indicazioni costruttive ma dei modelli ideali per cui, ad esempio, la pianta di un monastero non rappresenta tanto «quel» monastero ma uno schema generale, come promemoria, al pari di motivi decorativi e figure di vario genere conservati in numerosi codici. Più avanti, tra la fine del Trecento ed il Quattrocento, il disegno, sempre a carattere architettonico, si sviluppa con precisi disegni, in scala e con particolari, per alcune grandi cattedrali, in cui l’esecuzione dei lavori che si protraeva per generazioni richiedeva una documentazione attendibile, utilizzabile da diverse persone. Nella seconda metà del ‘400 una vera esplosione grafica, in particolare nell’ambiente culturale toscano, anche se prevalgono i disegni ideali di prospettive e edifici, non lascia vuoto il settore del disegno architettonico esecutivo, che da allora segna uno sviluppo costante. Per il disegno meccanico non ci sono invece documenti paragonabili ai disegni esecutivi attuali. Non ponendosi evidentemente il problema delle grandi costruzioni metalliche, per le quali bisogna attendere il XIX secolo, un caso in cui l’esecuzione parte da un progetto iniziale per passare attraverso il lavoro di operatori diversi e

Figura 3 . Il disegno di un carro da un vaso attico del VI sec.aC

Figura 4 . Disegno di una pompa, nel trattato di Al-Jazari

Fig.5- Meccanismi, da Villard de Honnecourt

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Fig7.. Leonardo: particolari di catene (dal Cod. Atlant.)

Fig.6. Leonardo: motore con peso a caduta (dal Cod. Atlant.)

Figura 8 . Fabbricazione di campane ( dall'Encyclopedie, fine '700)

quindi presenta la necessità di trasmissione di informazioni, analogo a quello ri-chiesto dalle opere architettoniche, è quello delle costruzioni navali in legno (non a

caso si usa il termine «architettura navale»). I dati disponibili parlano però di grande uso di modelli fisici e soprattutto di sagome, basate sull’esperienza di generazioni di carpentieri. Ed un discorso simile si può fare per le altre grandi costruzioni in cui sono presenti meccanismi cioè i mulini, ad acqua prima e a vento poi, per tralasciare le ruote idrauliche di vario tipo note fin dall’antichità. L’inevitabile riferimento a Leonardo non può nascondere il fatto che buona parte dei disegni leonardeschi appare più un appunto per la

memoria dell’autore che un’indicazione per terzi esecutori, come ben riprova la fatica di chi ha voluto, in varie occasioni, ricostruirne

le invenzioni. Ciònonostante si deve riconoscere che in Leonardo si ritrova un’attenzione fino allora non riscontrata ai particolari meccanici e di questi particolari esistono in qualche caso dei disegni che possono facilmente condurre alla pratica realizzazione in officina. (figg. 6-7) Nel caso delle costruzioni navali lo sviluppo rapido che si segnala fra il 1500 e il 1700 non è pensabile senza l’aiuto del disegno: una conferma si trova in una raffigurazione inglese datata 1568 in cui si vede un ufficio di cantiere navale con strumenti e disegni . Probabilmente si potrebbe trovare anche qualche interessante documentazione in arsenali italiani, in particolare a Venezia. Spesso i disegni che abbiamo a disposizione, pur apparendo come documenti costruttivi, in realtà non lo sono, in quanto, come già detto, sono da considerare piuttosto come cataloghi dell’abilità costruttiva dei compilatori, che tale

abilità desideravano

“vendere” ai potenti dell’epoca. Ancora una

volta si tratta di illustrazione di prototipi e non di disegni per la costruzione, magari in numerosi esemplari simili, che caratterizza un certo grado di sviluppo industriale. Opifici in cui si superava il livello artigianale per un’organizzazione da piccola industria, con una rudimentale unificazione di elementi costruttivi, una certa specializzazione di funzioni e la necessità di un’elaborazione di progetti teorici, possono essere ritenuti i diversi arsenali militari e in particolare le officine per la fusione di cannoni. In queste (come in quelle per campane, fino ai giorni nostri) l’elaborazione teorica portava per lo più alla costruzione di modelli in scala (fig.9) e di sagome di costruzione e controllo, con propor-zionamenti modulari che in alcuni casi si

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rifacevano all’antichità classica. In realtà, come affermato da molti autori, anche il disegno può essere considerato un modello,sia pure bidimensionale, e di conseguenza meno efficace del modello fisico nel rendere una realtà spaziale. Sarebbe allora possibile definire il disegno come un modello virtuale, e viceversa assimilare l’uso del modello per ricavare istruzioni costruttive ad una procedura di Reverse Engineering. Il rilevamento eventuale di quote dai modelli avveniva mediante compassi, diretti o di proporzione, e questo sistema risulta venisse usato anche nei casi in cui si disponeva di disegni. A partire dal XVII secolo si trovano sui disegni anche delle scale di riferimento dimensionali (fig.10), espresse nelle unità di misura corrente . La rilevazione di quote da misurazioni effettuate sul disegno (oggi rigorosamente vietata dalle norme) è stata la regola fino all’800, quando in relazione all’elaborazione da un lato di precise regole di proiezione e dall’altro dalla nascente organizzazione industriale della produzione,

compaiono le indicazioni numeriche delle quote direttamente sul disegno. Anche per le tolleranze dimensionali, le indicazioni a disegno compaiono quasi un secolo dopo (e per le tolleranze geometriche solo nella seconda metà del XX secolo ) anche se evidentemente una certa valutazione delle tolleranze doveva essere effettuata mediante calibri e profili di controllo, per lo più basati anch’essi sull’esperienza.

Ammettendo che la progettazione si basasse in primo luogo sulla ripetizione di modelli noti, con qualche piccola modifica (è pensabile che le modifiche negative sotto l’aspetto funzionale non abbiano lasciato traccia!) pur tuttavia con una paziente e faticosa ricerca d’archivio dovrebbero trovarsi dei disegni funzionali alla costruzione. In questa sede si può ora proseguire il discorso solo basandosi su un esame di quanto è stato finora pubblicato. Per ovvi motivi didascalici appare privilegiata l’iconografia descrittivo figurativa, talvolta talmente attenta all’aspetto «artistico» da rendere del tutto incomprensibili le figure e da costringere ad acrobazie interpretative gli eventuali tentativi di ricostruzione. E ciò non soltanto per le già citate lezioni medioevali o rinascimentali degli autori classici o delle

parzialmente originali opere di meccanica applicata soprattutto a scopi militari (con un accoppiamento fra progresso tecnico ed opere destinate alla distruzione che non pare purtroppo

superato). Fra le illustrazioni di un Valturio o di un Ramelli, anche se è passato più di un secolo, a parte una variazione di stile in complesso trascurabile, la differenza non è poi molta. Le stesse tavole dell’Encyclopedie, maggiore riferimento dell’iconografia tecnica settecentesca, non mancano di prestar fianco ad ampie critiche. Non interessa qui la polemica sull’originalità o meno delle tavole stesse, in molti casi semplice riedizione

Figura 9. Modello del mulino di Edam (sec.XVII)

Fig. 10- Disegno di un cannone con sezione e scala di riferimento per le misure (inizio XVIII sec.)

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Figura 12. Ricerca della vera grandezza ( da Monge, Geometrie descriptive, 1799)

Figura 11. Macchina a vapore (1806)

di illustrazioni talora già vetuste (ed in campo divulgativo ciò non è pregio) quanto la scarsa aderenza con la realtà tecnica del tempo. Certamente, allora come oggi, i repertori enciclopedici raccolgono quanto già è ampiamente accertato e codificato, ma ciò deve avvenire almeno a livello di contemporaneità con la pubblicazione; e non si deve dimenticare che l’opera in questione si presentava anche come un operazione di progresso culturale proiettata verso l’avvenire. La critica perciò che si può fare alle illustrazioni dei periodi precedenti è quindi ancora valida: macchine considerate come fonte di meraviglia e non strumenti di lavoro, attenzione agli aspetti di divertimento per le classi dominanti, principi ed aristocrazia prima, ricchi borghesi poi, attenzione alla macchina nel suo complesso, macchina a se stante, senza riconoscimento della sostanziale identità dei componenti (gli esempi del solito Leonardo giacciono dimenticati) . Per tornare all’Encyclopedie non va dimenticato che mentre si pubblicavano le tavole che erano dedicate per gran parte all’artigianato, talora con la leziosità di una recita avulsa dalle reali condizioni di lavoro (e ciò può essere compreso e giustificato in considerazione dell’ambiente primo di elaborazione e destinazione) può esser meno comprensibile il fatto che fra le fonti d’energia si parli solo di vento e acqua, quando è passato oltre mezzo secolo dai disegni di Papin e soprattutto mentre in Inghilterra le macchine a vapore di Newcomen e di Watt in piena funzione hanno già iniziato quella rivoluzione che più di quella dell’89 ha cambiato la vita dell’umanità.

Dal ‘700 ad oggi

Proprio i disegni delle macchine a vapore danno inizio alla tecnica moderna di disegno (fig. 11) anche se gli schizzi di un Huygens o di un Leibniz appaiono già quasi altrettanto «moder-ni». In un contratto fra la ditta Boulton e Watt ed i fratelli Perier in Francia, del 1779, si trova il riferimento certo a disegni tecnici costruttivi che passano da un progettista ad un esecutore, addirittura da un paese all’altro, per la fabbricazione di particolari che andranno assemblati con altri costruiti separatamente in diverse officine. Siamo giunti all’epoca in cui Monge definisce

la geometria descrittiva (fig. 12) e in cui tale codificazione ne consente l’introduzione, intorno al 1810, proprio nel disegno di macchine, a partire dalla stessa Ecole Polytechnique organizzata da Monge. D’altra parte si è già visto che i disegni con viste frontali, piante, viste laterali, sezioni e così via esistevano dagli albori della civiltà, magari con scopi diversi, ad esempio fiscali o catastali, come in certi papiri egizi, magari con viste laterali disposte tutt’intorno alla pianta, con viste «attaccate» fra loro e non proiettate e con sezioni arditamente sovrapposte (anche se si può sostenere che questo

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Figura 13. Metodo di rappresentazione secondo Dürer (1525)

corrisponde ad una visione “infantile” e non ad una scelta tecnica) e non vanno dimenticato le definizioni di Vitruvio. Regole precise di proiezione sono comunque precedenti alla stessa trattatistica che culmina nell’Alberti, grazie alla ricerca dei grandi maestri del ‘400 italiano, ed in Dürer nel 1525 troviamo proiezioni e linee di richiamo ben precise. (fig. 13) A parte queste codificazioni ad alto livello, si trovano infatti prospettive intuitive fin dal basso medioevo, e gli impieghi dell’assonometria cavaliera per uso militare datano dal ‘400. Per un lungo periodo le relazioni fra oggetto reale e rappresentazione trovarono nella prospettiva, studiata dall’inizio del Rinascimento, il campo di indagine per le elaborazioni teoriche e le applicazioni pratiche.(fig.14). Le difficoltà di ancorare la rappresentazione prospettica agli esatti rapporti dimensionali degli oggetti, non disgiunta dall’obiettiva necessità di possedere buone capacità di illustratore, ne limitarono comunque la diffusione al campo della raffigurazione e non a quello delle indicazioni costruttive. Per le necessità pratiche di visualizzazione di dimensioni e di rapporti, ai fini di costruire oggetti conformi a determinate prescrizioni, la soluzione più efficace rimaneva quella dell’uso di modelli, in scala, realizzati spesso con particolare cura nei dettagli e non limitati al campo architettonico, dove ebbero maggiore sviluppo e significato, ma utilizzati anche per la rappresentazione di macchine ed oggetti, talora costruibili in officina. Nella seguente fig. 15 (Arsenale di Torino, 1825).sono presenti tre aspetti della rappresentazione tecnica ottocentesca: Il modello (in alto), il disegno d’insieme (a sin.) ed i particolari (a destra). I disegni hanno già l’aspetto che per i decenni successivi non muterà sostanzialmente, se non per semplificazioni e convenzioni

Figura 14. Da S.Marolois “Opticae sive Perspectivae”, Amsterdam, 1647

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Figura 16 Cavallo a vapore (1876)

Figura 17. Macina domestica, 1850

Figura 18. Agitatore per saponificazione (1880)

Solo dall’inizio dell’800 infatti il disegno di macchine in proiezione ortogonale, con ribaltamenti e sezioni è praticamente quello attuale.

Gli aspetti artistici si rifugiano nelle forme esteriori, talora con aspetti grotteschi (fig. 16), talora semplicemente non conformi al gusto attuale (fig. 17), e non investono più la funzionalità della macchina come in secoli precedenti. Un disegno

tecnico ottocentesco è

immediatamente interpretabile

oggi, a livello di insieme. Qualche difficoltà può nascere per disegni esecutivi, dove le norme di semplificazione e la standardizzazione della simbologia grafica hanno subito un’evoluzione lenta ma continua di pari passo con la standardizzazione degli elementi di macchina e dei processi produttivi: è anche questo un settore di indagine che presenta una certa difficoltà data la logica tendenza alla conservazione di disegni d’insieme piuttosto che di particolari.

Nelle figure da 18 a 21, che coprono oltre un secolo, si nota una sostanziale omogeneità: varia la rappresentazione delle ruote dentate, ma le indicazioni delle sezioni, la quotatura, i posizionamenti risultano dello stesso tipo e conformi alla pratica attuale, così come attuali risultano le illustrazioni di tipo prospettico, gli

Figura 19. Dispositivo taglia-reti, Venezia 1895

Figura 20. Macchina per fiammiferi, 1881 Figura 21. Macchina a vapore Cyclop, 1903

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Figura 25. Scatola di proiezione (Pillet, 1906)

Figura 24. Evoluzione nelle norme di rappresentazione di viti e ribattini (da Deforge)

spaccati (pur con qualche nota di gusto pittorico, che tuttavia si trova ad esempio anche in un testo russo recente (fig. 22)), ed in particolare la vista esplosa (fig. 23).

Disegno tecnico e insegnamento L’evoluzione del disegno tecnico risulta anche rilevabile studiando lo sviluppo del suo insegnamento. Dalle prime raccolte medioevali di elementi decorativi ad uso di costruttori e carpentieri, attraverso le opere rinascimentali sul disegno, fino alle raccolte di istruzioni per i vari mestieri sempre più ampie, dall’introduzione della stampa al periodo dell’illuminismo, l’attenzione si posava essenzialmente sugli oggetti e secondariamente sul modo di rappresentarli. Da Monge in poi ogni corso o trattato di disegno sviluppa ampiamente i presupposti teorici della rappresentazione, accompagnati dalle norme di rappresentazione semplificata o convenzionale: questi argomenti sono trattati in altra sede, insieme con l’organizzazione dell’insegnamento stesso e dei suoi scopi, di supporto alla teoria o di formazione professionale esecutiva.

Figura 22 . Da Mechanical Design (Bogolyubov, 1968)

Figura 23. Esploso del teletipografo Siemens (1898)

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Il percorso del disegno tecnico

Evitando in questa sede di allontanarsi troppo dalle considerazioni limitate al disegno tecnico “industriale”, operante cioè nel settore della produzione di manufatti più o meno complessi, si potrebbero definire cinque periodi, su oltre due secoli, da Monge in poi, caratterizzati da metodi e strumenti diversi, ma sempre finalizzati a fornire le indicazioni più efficaci per la fabbricazione di oggetti, a costante conferma del significato del disegno come ponte fra la progettazione concettuale e la concreta relizzazione.

PERIODO TIPOLOGIA STRUMENTI TECNICHE DI RIPRODUZIONE

seconda metà del XVIII sec.

disegno manuale

Tradizionali (righe, squadre, compassi)

Copie manuali

fine del XIX sec

Disegno manuale

Strumenti ausiliari (tecnigrafi)

Copie per trasparenza, microfilmatura

seconda metà del XX sec.

Disegno automatizzato 2D

Elaboratori elettronici

File su memorie esterne (nastri, dischetti )

fine XX sec

Modellazione 3D

Personal computer

File su dischetti, CD e DVD, collegamenti Web

inizio XXI sec

Realtà virtuale Stazioni di lavoro, strumenti di immersione operativa

c.s.

Tab. I . Il cambiamento nel tempo dei tipi di rappresentazione è collegato all’evoluzione degli strumenti per la rappresentazione e la sua riproduzione

Come tutti gli schemi, quello proposto rappresenta una semplificazione di una realtà complessa, in cui l’interazione fra metodi e strumenti si presenta variabile nei tempi e nei luoghi e nella quale l’accelerazione dei fenomeni evolutivi delle tecnologie, caratteristica del nostro tempo, è particolarmente avvertita. Nel periodo iniziale il disegno tecnico ha visto quindi il progressivo affermarsi delle proiezioni ortogonali, con gli sviluppi delle basi geometriche della rappresentazione, tuttora valide (e necessarie!). L’esecuzione degli elaborati grafici su queste basi continuava a richiedere un addestramento che solo lentamente nell’Europa continentale si è esteso a livello delle scuole di livello secondario, ovviamente in questo caso con particolare attenzione agli aspetti pratici ed applicativi. Verso la prima metà dell’800 il disegno tecnico si presentava già come uno dei pilastri della formazione del tecnico, ai diversi livelli, dall’operaio specializzato

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(aritmetica e disegno), ai tecnici superiori (matematica e disegno di macchine), giungendo al riconoscimento già ricordato in precedenza. Il disegno restava tuttavia un documento tracciato in unico esemplare: le necessità di disporre di più copie erano soddisfatte da esecutori di repliche, e si sviluppa di qui la gerarchia delle diverse figure professionali legate al disegno, dal disegnatore progettista, che conosce caratteristiche e funzioni degli elementi da assemblare in una macchina complessa, al particolarista, che di tali elementi conosce quanto basta per disegnare degli esecutivi mirati alle esigenze d’officina, al “lucidatore”, cui spetta il compito di ricopiare il disegno. In questa fase, per rendere più efficace la trasmissione delle informazioni, si utilizza anche il colore, che viene codificato opportunamente per indicare caratteristiche particolari, ad esempio i materiali. Ovviamente si procede colorando manualmente le singole copie, e non mancano nei testi le indicazioni per ottenere i colori prescritti, con opportune dosature di colori base.

La riproduzione basata sul contrasto (eliografica o cianografica) partendo da trasparenti, toglie ogni significato all'uso di diversi colori, che possono essere presenti solo negli originali. Con tecniche mutuate dalla tipografia e dall'araldica, il colore è allora sostituito dal tratteggio per le campiture e dallo spessore e continuità per le linee. In una fase di transizione, fino agli anni 30, permangono tuttavia possibilità di diversi colori nel tracciamento degli originali a china. Nei testi si trovano prescritti in alternativa colori (limitati a tre) o tratti: linea blu continua o nera a tratto e punto per tracciare gli assi, linee a punti rossi o neri per spigoli non in vista, rosse o nere fini continue le linee di quota. Dovrebbe già essere in vigore la norma UNIM sull'esecuzione delle

linee (datata 1924), ma la tradizione resiste: nello stesso periodo i disegni delle scuole serali per disegnatori meccanici mantengono assi e linee di quota in rosso, ma anche un tratto nero più spesso per i contorni "in

ombra" rispetto alla sorgente di luce posta in alto a sinistra del foglio! E’ stato fatto cenno alle norme, infatti con l’inizio del XX secolo lo sviluppo industriale si estende ad un buon numero di paesi, non esclusa l’Italia, e porta con sé la necessità di documentazione progettuale da inserire nei cicli produttivi senza ambiguità o difficoltà interpretative, anche nello scambio di informazioni fra paesi diversi. La standardizzazione delle informazioni si accompagna alla standardizzazione dei prodotti, nascono le organizzazioni nazionali ed internazionali

Figura 26 . Colori convenzionali per indicare i materiali (1881)

Figura 27. Tavole di allievi della Scuola d’Applicazione per Ingegneri, Torino, 1880 ca.

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che operano in questo campo. In Italia l’UNI nasce nel 1921. ed è significativo che i primi documenti normativi riguardino il disegno tecnico. Da tale anno ogni discorso sul disegno non può prescindere dalla normativa, che diventa l’asse portante dell’insegnamento a tutti i livelli, talvolta con scontri con una realtà spesso restia, soprattutto nelle più piccole strutture aziendali, ad adeguarsi alle prescrizioni UNI. E’ una situazione che si ritrova anche oggi, in un momento in cui la normativa deve far fronte sia alle esigenze di rinnovamento connesse alle nuove realtà politiche, sia all’evoluzione rapida dei mezzi di elaborazione delle informazioni. Già si e fatto qualche cenno all’influenza degli strumenti per l’esecuzione e la riproduzione dei disegni sulle modalità di rappresentazione. E’ chiaro che se per la prima tracciatura manuale dei disegni gli strumenti essenziali, riga, squadre, compassi, non cambiano essenzialmente nei secoli , anche se strumenti di più comodo uso si affiancano ad essi negli studi ed uffici tecnici, culminando con i tecnigrafi, sempre più perfezionati. Anche le matite sempre più affidabili nella loro anima di grafite lasciano il posto ai portamine a scatto ed alle mine calibrate, mentre l’uso dell’inchiostro di china passa dal tiralinee alle penne a serbatoio e poi a cartuccia. I processi di copiatura per contatto, basati su processi fotochimica legati alla sensibilità alla luce di composti ferrocianici, per cui in corrispondenza delle linee tracciate in originale su fogli traslucidi, restavano sulla copia sviluppata delle linee bianche su un fondo uniformemente blu di Prussia, sono comparsi intorno al 1840 e per decenni hanno caratterizzato i disegni d’officina, di cui il termine blueprint è divenuto in inglese sinonimo, mentre in Italia si usa il più scientifico cianografia.

Figura 28 . A destra un disegno a china su carta semitrasparente che puo essere riprodotto come a sinistra, riproduzione cianografica (blueprint)

Negli anni ’40 dello scorso secolo le esigenze di maggior efficienza qualitativa, di riduzione degli spazi di archiviazione e di riduzioni di costo (ovviamente sempre presenti nel mondo della produzione, ma esaltate dal periodo bellico) portarono ad uno sviluppo di tecniche di riproduzione ancora in uso, anche se in rapido abbandono di fronte alle tecniche informatiche. I processi diazotipici, nati negli anni ‘20, lasciano permanere sui fogli di materiale da riproduzione la traccia scura di quanto su lucido è disegnato o scritto, schiarendo tutto il rimanente, (whiteprint), consentendo la riproduzione di dettagli anche minimi e dagli anni ’50 hanno sostituito i processi precedenti. La possibilità di copiatura di fogli di grandi dimensioni rendono questi processi riproduttivi ancora di largo impiego, specialmente nel campo del disegno civile, e spiegano la più lenta introduzione di mezzi informatizzati in tale settore. Nella seconda parte del secolo scorso il massimo successo nella riduzione degli ingombri è stato però rappresentato dalla microfilmatura (in realtà nata nell’ 800), grazie alla sensibilità del materiale fotografico ed all’uso di validi apparecchi

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ingranditori, la lettura (ed anche la riproduzione in formati standard) di immagini raccolte in pellicole da 35 od anche 16 mm. Anche in questo caso il mezzo ha influito sul codice: sono ben note le norme relative allo spessore delle linee da impiegare nella microfilmatura, che a loro volta hanno portato alla costruzione dei corrispondenti tracciatori a china calibrati. Le figure da 29 a 32 rappresentano una rapida sintesi dei due secoli. La prima, illustrazione di un rapporto “tecnico”, settecentesco, mostra un’attenzione ai particolari costruttivi non sostenuta da tecniche di rappresentazione adeguate alla trasmissione di esatte informazioni. La seconda, ottocentesca, raffigura gli oggetti (particolari di una macchina a vapore), secondo codifiche ed indicazioni parzialmente ancora valide La terza , datata 1931, ma che potrebbe anche essere di oggi in molte officine, è una copia da lucido a china, di un particolare completo di indicazioni costruttive e tolleranze. Infine un disegno d’impianti, anch’esso della metà degli anni ’30, accanto all’ abilità esecutiva, accompagnata dall’uso dei diversi colori in funzione di codice interpretativo, dimostra quale livello di complessità possa essere raggiunto da un disegno tecnico e come questa complessità potrà trovare nelle nuove tecniche uno strumento di semplificazione esecutiva.

Figura 29. Da Raccolta di tutti li disegni relativi……sulle miniere e macchine della Sassonia… del cap. Nicolis di Robilant (Bibl. Accadema delle Scienze di Torino, ms. o391)

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Figura 32- Archivio di Stato di Trieste, Fondo Museo Henriquez, n. 197

Figura 31. Particolare di motore FIAT tipo 108

Figura 30-Da H.Haeder, Dampfmaschinen, Zeichnungen, 1890

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Oggi e domani Lo sviluppo degli strumenti e dei metodi di riproduzione ha portato a disporre, alla fine del XX secolo, dei mezzi più idonei per tracciare con rapidità, precisione e nel numero di copie voluto i disegni realizzato con le tecniche di rappresentazione codificate dalla geometria descrittiva e dalle norme derivate dalle esigenze della produzione industriale. In altri termini il disegno tecnico aveva raggiunto nel miglior modo possibile il suo scopo di essere ponte fra la progettazione concettuale e la pratica costruttiva. A questo punto scoppia la bomba che incrina il ponte, e probabilmente lo porterà a crollare, quanto meno nella sua struttura attuale! La cosiddetta “rivoluzione informatica” fa sentire i suoi effetti sul disegno, inizialmente come efficace ausilio, ma poi come sconvolgimento di metodi e concezioni stabilizzate. Dapprima infatti ci siamo trovati di fronte all’automatizzazione del disegno: tracciamento di linee, esecuzione di curve e raccordi, tratteggi e quotature, venivano realizzati con la pressione di pulsanti e lo spostamento di cursori. E’ il periodo del cosiddetto “tecnigrafo elettronico”, con programmi di tracciamento bidimensionale e visualizzazione su schermo, con tutte le possibilità di correzione, ingrandimento, archiviazione che rendevano obsoleti i mezzi precedenti, per quanto perfezionati. Un esempio di possibilità offerte dal nuovo mezzo per rispondere ad esigenze già presenti nel passato ma poi tralasciate per esigenze tecniche è relativa all’uso del colore. In questo caso non cambia nulla nell’impostazione dei disegni, per quanto riguarda i metodi di rappresentazione, ma si aggiunge una ulteriore codificazione, in grado di fornire informazioni su specifiche caratteristiche, siano esse indicazioni di lavorazione o classificazioni funzionali dei componenti (fig. 33) Poi in considerazione che ai punti dello spazio tridimensionale non erano più associati soltanto dei punti sul piano, ma coordinate che li collocavano in uno spazio anch’esso tridimensionale, ma virtuale, esistente negli algoritmi del calcolatore, si è aperto uno scenario completamente diverso. Gli oggetti continuano infatti ad essere rappresentati sul piano, ma in modo dinamico: la raffigurazione può cambiare continuamente, variando il punto di vista, muovendo l’oggetto nello spazio, sezionando con piani mobili anch’essi. E poi, trattandosi di correlazioni matematiche che definiscono gli elementi dell’oggetto, si può associare ad esse altre formulazioni, consentendo la valutazione di caratteristiche, il comportamento in determinate condizioni.

Figura 33. L’uso del colore per indicare diverse condizioni

funzionali in un complessivo

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Si può in sintesi operare sull’oggetto rappresentato come se fosse realmente esistente, verificarne il comportamento, studiarne le relazioni con altri in un montaggio, modificarne parti. Basta a questo punto rileggere l’elogio del disegno fatto dal Redtenbacher, sostituendo al termine “disegno” il termine “modello virtuale” e si ritrova già tutto descritto. A questo punto non resta che ribadire che quanto già percorso dal disegno tecnico, verrà ripercorso, con le dovute modifiche, dalla modellazione solida. Un ritorno alle origini, all’uso dei modelli, mediato ancora una volta dalle tecniche di rappresentazione (non dimentichiamo che sono ancora le relazioni matematicizzate della geometria degli oggetti che stanno dietro alle immagini che vediamo) ed il cui sviluppo è nel complesso ancora nelle fasi iniziali. Si è appena detto come le nuove possibilità possano cancellare il significato del disegno come ponte fra idea e fabbricazione: ad un esame più approfondito si vede come ciò non sia affatto vero. Può infatti via via ridursi la necessità del disegno come trascrizione di prescrizioni costruttive, mediatrice fra l’uomo e la macchina: il futuro dovrebbe vedere il collegamento diretto fra il modello definitivo e la macchina che lo realizza, in un colloquio fra algoritmi che non coinvolge più l’uomo. Rimane piena la validità della rappresentazione come modello, su cui direttamente possono essere sperimentate le modifiche, le condizioni di montaggio e di uso, le tolleranze ed i processi costruttivi. Il modello a sua volta può però raggiungere livelli di simulazione tali da superare ciò che per secoli lo ha caratterizzato, indipendentemente se rappresentazione bidimensionale o modello spaziale, cioè la visualizzazione, l’uso della vista come strumento di valutazione. La realtà virtuale coinvolge infatti anche gli altri sensi, in primo luogo le sensazioni tattili, ma negli sviluppi ipotizzabili anche gli altri sensi, verso un realismo che effettivamente consente una sperimentazione completa. In sintesi oggi il disegno si trova ad operare fra tradizione e futuro, con diversi metodi interagenti e con possibilità di applicazione da esplorare (tab. II)

CAMPO DI SVILUPPO

TIPO DI ATTIVITA’

ESEMPLIFICAZIONE DI PRODOTTO

Rappresentazione bidimensionale dinamica

Processi di fabbricazione

Disegni esecutivi

Modellazione tridimensionale

Elaborazione progettuale

Digital Mock-up

Acquisizione di forme ed immagini

Reverse Engineering

Rapid Prototyping

Realtà virtuale Sperimentazione ergonomica

Customer test

Tab. II - Lo sviluppo del disegno

Gli esecutivi verranno ricavati direttamente dai modelli 3D, elaborati nelle varie fasi progettuali, con l’indicazione delle particolarità costruttive, tolleranze ed indicazioni operative.

La modellazione a sua volta coinvolge le diverse fasi del progetto, dai primi abbozzi

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iniziali (che a livello creativo continueranno però probabilmente a vedere l’uso dello schizzo manuale del progettista), al modello finale definitivo, analogo all’attuale “disegno come costruito”, passando attraverso diverse fasi di visualizzazione che consentono di valutare non solo l’aspetto, ma condizioni di sollecitazioni, di montaggio, di alternative funzionali. Un altro aspetto che abbiamo già detto può concettualmente trovare le sue radici nel passato nell’interpretazione dei modelli come base per la costruzione è legato alla Riverse Engineering, in cui il modello informatico (e di conseguenza il disegno da esso derivato) nasce dalla rilevazione con strumenti di digitalizzazione ottica o di rilevazione numerica di oggetti esistenti o fisicamente modellati ad hoc. Anche la costruzione di modelli mediante tecniche di prototipazione rapida, derivino da rilevazioni dell’esistente o da elaborati puramente digitali, costituisce una forma di rappresentazione, al di là della possibilità di essere considerato un processo di fabbricazione vero e proprio. Naturalmente è facile estendere questo tipo di elaborazioni a settori diversi dalla produzione industriale e le tecniche di rappresentazione tendono quindi ad operare in campi che finora non coinvolgevano gli operatori del disegno, ma che aprono certamente nuove prospettive di ricerca ed applicazione.

Fig. 34. Applicazioni di disegno e modellazione in campo biomedico