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1 DIARIO DEL VIAGGIO di Pier Luigi Milani destinazione: Pennsylvania a " MONONGAHELA" OTTOBRE-NOVEMBRE 2000

Pennsylvania a MONONGAHELA · dove vivevano i minatori non esistono più. Riprendiamo la corsa. La stanchezza, il buio e l'abbondanza di immagini ci confonde le idee: entrambi cominciamo

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DIARIO DEL VIAGGIO

di

Pier Luigi Milani

destinazione: Pennsylvania a

" MONONGAHELA"

OTTOBRE-NOVEMBRE 2000

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28/10/2000

Finché non siamo arrivati non ci è sembrato vero!

Insomma, il viaggio in aereo ti conserva mentalmente in una dimensione di cose che hai

preparato da casa e poi tutto è già organizzato e, a parte i check-in, tutto è previsto e scorre

quasi come un viaggio qualsiasi. A 10 mila metri di quota non sembra neanche di volare, ma

di stare su un treno di quelli moderni.

Antonio ci ha accompagnati a Malpensa per l’imbarco. Ci siamo alzati alle 3 del mattino e

partiti alle 3 e 1/2. Tutto OK fino a Zurigo; breve scalo e poi via col Jumbo della Swissair in

direzione di Chicago. Rotta sulla Francia, Inghilterra, Islanda, Groenlandia, Canada,

Chicago.

Io e Alessandra siamo collocati nella corsia centrale di quattro file di sedili; poi ci sono altre

due corsie: una da tre file alla nostra sinistra e una da due alla nostra destra.

Così, per vedere il panorama, dobbiamo alzarci e guardare dagli oblò, anche se da 10 mila

metri si vede ben poco; solo sorvolando il confine Canada-USA si comincia a vedere un

territorio selvaggio e costellato di una miriade di laghi e laghetti.

Dietro di noi c'è una donna greca o slava vestita di nero con uno strano copricapo che le

avvolge la fronte e il mento, oltre alla testa. E' accompagnata da un omone più giovane,

corpulento. Lei non parla e sta in piedi mentre attendiamo l'imbarco a Zurigo. Ha lo sguardo

triste e castigato. Forse va ad un funerale. Quando arriviamo a Chicago si cambia il copricapo

nero sostituendolo con uno bianco, ma sempre coprendosi anche il mento.

Siede vicino a noi un indiano; trent'anni, ben vestito. Parliamo: è ingegnere informatico e va a

St. Louis nel Missouri. Viene da Bombay e ha già dieci ore di volo alle spalle. Ama l'Italia e le

auto FIAT. Mio fratello Leonardo è stato in India e ha conosciuto un "Baba". Allora lui ci

mostra una borsina che porta a tracolla sotto la giacca blu e ci dice che è un discepolo (nel

senso di "seguace" -"fan") di Sai-Baba; poi tira fuori una foto del santone e, con un grande

sorriso, me la regala.

Rao (questo è il suo nome o il cognome) è vegetariano e gli portano cibi particolari. Ci

scambiamo gli indirizzi e-mail e ci promettiamo di scriverci. Saluti amichevoli all'arrivo a

Chicago.

Nove ore di viaggio passano abbastanza rapide tra letture, chiacchiere, dormitine e spuntini

vari.

L'aeroporto di Chicago è difficile da descrivere, perché non riesci a capire quale è la parte che

vedi. Sicuramente è enorme. C'è un via vai di veicoli e capisci subito quanto sia abituale negli

USA spostarsi in aereo.

Una signora francese di nome Renate (una hostess) ci aiuta a telefonare a casa. Purtroppo

tutti gli apparecchi telefonici sono a gettoni e la nostra carta telefonica "Columbus" si rivela

inutilizzabile. Così lei prova e riprova un sacco di volte col telefono di servizio finché riesce a

trovare la connessione e riusciamo a farci sentire da Nadia.

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Lunga attesa di quasi quattro ore dell'imbarco per Pittsburgh: cediamo al sonno sulle

poltroncine d'attesa. Insomma sono le ore 17,00 locali quando ci imbarchiamo per Pittsburgh

e significa che siamo in viaggio da circa 21 ore (tra auto e aerei). Ci sono sette ore di

differenza di fuso orario tra noi (Italia) e Chicago; sei ore tra noi e Pittsburgh.

L'aereo per Pittsburgh è più piccolo; sembra un tubetto di Formitrol a confronto dell'altro:

una fila di sedili da un lato e due file dall'altro. Poche persone: una ventina, forse trenta.

L'impressione di viaggiare per una destinazione di provincia. Quando arriviamo all'aeroporto

di Pittsburgh dopo circa 2 ore (apparentemente 1 ora perché c'è la differenza di fuso) la realtà

è ben diversa. E' un aeroporto enorme, pieno di aerei di compagnie internazionali e locali.

Saloni e corridoi da perdersi. Anche qui "Limousines", lunghissime e mai viste, attendono la

clientela chic. Resto affascinato da queste macchine lucide e fantasiose.

Adesso sì che si comincia!

Bisogna ritirare le valigie, prenotare l'albergo e ritirare la macchina noleggiata attraverso

l'agenzia italiana.

Spero che Terry (il nostro contatto locale) ci sia ad attenderci, ma compiamo tanti di quei giri

per andare a ritirare i bagagli che comincio a dubitare che riusciremo a trovarci. Siamo lì che

ci guardiamo attorno nella Hall dell'aeroporto per trovare le indicazioni giuste. Alessandra

(che ha dormito sulla tratta Chicago-Pittsburgh) è assonnata e infreddolita. A Chicago faceva

caldo e tutti giravano in maniche corte; qui a Pittsburgh è sera e fa freddo. Lei indossa una

giacca a vento; io aspetto a tirare fuori la mia, ma sento fresco. Qui il carrellino porta valige si

paga: 2 dollari. Sono i primi soldi che spendiamo dopo il dollaro e 16 cents di un pacchetto di

patatine (chips) a Chicago.

Insomma, siamo lì col naso per aria ed ecco che vediamo entrare dalle vetrate scorrevoli un

tipo alto (uno spilungone) con capelli e barbetta fluente, rossiccio: è Terry, mi dico. Gli

andiamo incontro e lo chiamiamo.

E' proprio lui; abbracci e baci.

Le nostre preoccupazioni sono finite; ci accompagna a ritirare l'auto da AVIS: una bella

"Alero" Oldsmobile rossa fiammante col cambio automatico. Terry ci aiuta a chiamare Tito

Giorgi (il proprietario dell’albergo dove dobbiamo soggiornare) col suo telefonino. Dice che è

assai difficile riuscirci dai telefoni a gettoni, perché funzionano con "coins" da 1/4 di dollaro

(più di 500 lire l'uno!) e ce ne vogliono molti per chiamare fuori dal distretto. Cerca di

spiegarci che lì i distretti telefonici sono un po' particolari. Insomma è meglio chiamare da

casa. Anche il cellulare è costoso - dice. Infatti non si vede quasi nessuno usarlo, tranne

rarissimi casi (a differenza dell'Italia).

Saliamo sul piazzale-parcheggio e lui cerca di chiamare Tito, ma la linea è sempre occupata

("busy"). Tira un'aria fredda ma lui non dà segno di accorgersene, anche se indossa solo una

camicia.

Ci diamo l'appuntamento fuori dal parcheggio; scendiamo a recuperare la nostra "car" e si

parte. Appena usciti scopriamo di non trovarlo più ! Niente panico. Ci avventuriamo su

qualche strada e finalmente lo vediamo che ci aspetta accostato al bordo di una "fourlines"

(una strada a quattro corsie).

E' riuscito a rintracciare Tito al telefono e ci fa parlare con lui (in italiano). OK per la stanza.

Ci aspetta.

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Si parte per una visita notturna a Pittsburgh: Terry ce la vuol far vedere ad ogni costo, anche

se cominciamo a crollare dal sonno. Lui davanti e noi di dietro, più o meno a 100 Km/h, su

fasci di strade che si intrecciano e divaricano in continuazione.

Ponti, viadotti, tunnels, facciamo fatica a stargli dietro, ma abbiamo paura anche di perderlo.

Non sapremmo davvero dove siamo!

Dopo il tunnel ci appare la "city" coi classici grattacieli e il ponte a corde americani. E poi giù

per colline e su per quartieri. Sempre al suo seguito! Si ferma e ci dice che adesso ci mostrerà

la zona delle acciaierie di una volta: 20 Km. di acciaierie una dietro l'altra. Riprende la corsa;

costeggiamo un impianto industriale che promana una puzza micidiale, acida. Forse è la

fabbrica del carbon Coke di cui ci ha parlato: la più grande del mondo.

Gira di qua e di là, arriviamo in un piazzale. Si ferma e ci dice che adesso passeremo in una

zona di miniere di carbone, dove forse ha lavorato anche mio bisnonno Luigi. Adesso le case

dove vivevano i minatori non esistono più. Riprendiamo la corsa.

La stanchezza, il buio e l'abbondanza di immagini ci confonde le idee: entrambi cominciamo a

cedere al sonno e spero di arrivare all'albergo. Si ferma di nuovo; scende e ci fa vedere la casa

di Lucy Vaira Moreschi (emigrata camuna). Dice che lui la conosce bene, come conosce Susan

Corbelli, perché era lui il presidente della Società storica di Monongahela prima di lei.

Ripartiamo; ancora 15 minuti e arriviamo da Tito ("Rego's Restaurant and Hotel").

Vecchia palazzina in mattoni e finestre tipo "Old Holand" ("Old Nederland"); american bar

al piano terra; un cuoco da 120-150 Kg. con la faccia da bambinone e poi lui Tito: un anziano

signore sulla ottantina d'anni; ben vestito e curato. Sorridente, gentile, ci diamo subito del tu e

ci abbracciamo come vecchi conoscenti. Prezzo speciale: due camere con bagno a 80 dollari

per ciascuna per sette giorni. Una miseria! Le camere sono vecchiotte, ma buone. Pavimento

in legno con moquette, mobili d'annata, letti a 1 piazza e 1/2, poltrona, TV. Insomma: cosa si

può volere di più dalla vita per 20 mila lire a testa a camera per giorno?!?

Quattro chiacchiere ancora con Terry che ci da un libretto (su un'esplosione in miniera a fine

'800 con quasi cento morti, tra cui vari con cognomi bresciani) e uno , scritto da lui, sui vecchi

edifici di Monongahela.

Lo riempiamo di libri del Circolo Culturale Ghislandi e di guide della Valle Camonica e ci

lasciamo con l'impegno di rivederci il 1° novembre a Pittsburgh in occasione della

presentazione della tesi di una studentessa del College dove studia anche sua moglie.

*Dimenticavo: tutt'intorno si festeggia Halloween; vetrine addobbate, gente truccata e

mascherata.

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29/10/2000

Sveglia alle nove, anzi alle otto perché tirano indietro l’ora (sarà quella “legale”, credo). Il bar

dell'albergo è chiuso. Facciamo quattro passi per cercare un "caffè"; l'aria è gelida,

invernale. La nostra macchina è coperta da una brina spessa mezzo centimetro. Sembra un

altro posto rispetto al caldo di ieri.

Entriamo in un localino dove c'è gente. Dentro sono esposti i dolci e si vede che c'è la

macchina che tiene in calda il caffè (chiamiamola così quella grossa boccia di liquido scuro e

beveroso). Prima difficoltà: la commessa (giovane e “obesotta”) non ci capisce quando le

chiediamo una tazza ("a cup") di latte caldo ("hot milk") per Alessandra, la quale rimane lì

imbambolata ancora dal sonno e impacciata (a sera non l’avrò mai sentita a rivolgere una sola

parola in inglese a qualcuno, tipo “goodbye”! Ma non c’è fretta). Alla fine riusciamo

nell'impresa ("Can you warm the milk?") e lei si beve il suo latte e io un caffè caldo, due paste

lei e una io. Due di queste sono brioches soffici piene di marmellata di lamponi (tanta!),

spruzzate di zucchero a velo.

"Sghiacciamo" la macchina, ancora velata di brina, e partiamo per Monongahela. La strada

mi era sembrata facile e inequivocabile nella corsa notturna di ieri con Terry. Inforchiamo

subito la salita per il Cimitero, che Terry ci aveva opportunamente indicato mettendo una

mano fuori dal finestrino mentre correvamo verso Charleroi. Si entra in macchina nei

cimiteri americani e le tombe ("burials") sono disposte nella terra, le lapidi ("tombstones")

sono fatte di pietra scura con i nomi incisi o in alto-rilievo. Sono disposte per file orizzontali e

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riposte in fazzoletti erbosi ben tagliati e curati . Moltissime sono le tombe con accanto una

bandierina a stelle e strisce: sono quelle dei caduti in guerra. Le più vecchie che ho osservato

risalgono al 1870 e forse si tratta della "silver war", quella tra Nordisti e Sudisti. Comunque

sono tantissime quelle dei caduti nel conflitto 1940-1945.

Ecco spuntare i primi cognomi italiani e soprattutto bresciani, mentre giriamo per i viali per

la macchina. Ci siamo solo noi, o quasi. Ecco cognomi noti: Moreschi, Partezana, Fratti,

Castagna, Vaira, ecc.. L'"Office" del cimitero è chiuso e così non riusciamo a farci indicare

dov'è "St. Mary", la vecchia porzione di cimitero cattolico dove dovrebbe esistere la tomba

del bisnonno Luigi. Pertanto giriamo a casaccio facendoci guidare dalla fortuna; Alessandra

filma tutto con la videocamera Una lapide più grande spicca in un lembo costellato di tombe.

Penso ad un colpo di fortuna. Abbandoniamo l'auto e cominciamo a scorrere le lapidi una per

una: tanti cognomi camuni, ma niente nonno. Dopo una mezzora abbondante riprendiamo il

giro (una signora anziana, a cui ci eravamo rivolti, ci aveva risposto qualcosa in inglese,

facendo segno con la mano di andare verso il basso e le avevamo risposto "O.K.", senza aver

capito niente!). Ci aggiriamo nella parte bassa, niente neanche qui. Il luogo è affascinante ed

induce alla spiritualità: piantoni secolari, foglie dappertutto, giochi di luce del sole tra gialli,

rossi e marroni dell'autunno sopra un prato ancora verdissimo. Verso le ore tredici ("1

o'clock") abbandoniamo il campo e scendiamo in paese.

Monongahela è un paesotto di casette di legno e/o mattoni, come quelle che si vedono nei film:

basse, colorate, senza ringhiera e cancelli davanti, ordinate e pulite. Colpisce subito il numero

incredibile di Chiese ("Churches"), decisamente spropositato per quattromila abitanti; c'è ne

per tutti i gusti: luterana, presbiteriana, metodista, cattolica, del settimo giorno, bizantina,

ecc. ecc.. Sono almeno venti.

C'è un locale con scritto "Lenzi"; lo filmo. Poi andiamo avanti e noto un'altra insegna di

locale italiano ("Oliver's"), con tanto di colori nazionali e insegna "italian food". Ci entriamo.

Sembra che non ci sia nessuno; non è certo il massimo come posto! Tavolini apparecchiati e

un po' sgangherati, sedie spaiate, vetrinette con dolci e sacchetti vari, un freezer per gelati,

scaffali con libri ( alcuni usati e a metà prezzo) e sacchetti di patatine di vario gusto e miscela.

Sulla destra le bocce del caffè e del thè tenuti in calda, ecc. Stiamo per uscire quando salta

fuori una signora traccagnotta che ci chiede se vogliamo qualcosa. Anche lei è italiana

(d'orgine) ed è anche parente di Terry Necciai. Suo padre era di Follonica e la madre di

Montecatini. Detto e fatto, ci porta un piatto di ravioloni fatti da lei affogati nel pomodoro. Io

preferisco un panino con carne e verdura. Coca Cola dalla vetrinetta-frigo. Quando le

chiediamo i bicchieri ("glass") ce li riempie di ghiaccio.

Qui il ghiaccio nelle bibite è ineliminabile, a quanto pare. Ida, questo è il suo nome (ma si

pronuncia "Aida", con l'accento sulla prima "a"), ci prende subito in simpatia e ci regala un

piatto di dolcetti gialli fatti da lei; sentono di anice e mandorle. Buoni, soprattutto intingendoli

nella tazzona di caffèlatte bollente che ci siamo presi. Non contenta, alla fine, ce ne regala un

sacchetto intero. Dice che suo figlio ha una figlia grande come Alessandra, ma "nineteen years

old". Arriva il figlio (Michael), un ragazzone ben messo e sicuro di sé; ci aiuta a telefonare a

casa con la tessera "Columbus". Nadia ed Arianna stanno cenando a Braone (sono le venti

passate in Italia). Gli piace Alessandra e dice che gli ricorda sua figlia; le da dei pizzicotti sulla

guancia e mi dice "pecenìna", ammiccando al complimento italiano (bresciano).

Usciamo dal locale e ci dirigiamo a piedi verso la casetta di Lucy Vaira che avevamo visto

passando in macchina. A fianco del locale di Ida c'è la sede della "Historical Society of

Monongahela", ma è chiusa (di domenica). Una casa più in là c'è la biblioteca ("Library")

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comunale. È aperta: entriamo. Ci avviciniamo al bancone dove c'è una signora magra e

occhialuta (probabilmente nata e cresciuta dentro la libreria). Dico qualche castroneria in

inglese circa il mio desiderio di fare delle ricerche storiche su mio nonno immigrato e mi

aspetto che ci fulmini. Macchè! È gentile e indulgente. Ci aiuta lei ponendoci delle domande;

vuol vedere i microfilms? I "newspapers" ? Ringraziamo e mio papà dice che torneremo

domani.

Andiamo verso la casa di Lucy; le case sono addobbate con zucche gialle intagliate,

fantasmini, scheletrini, finte ragnatele e canne e foglie di granoturco legate ai pilastrini

d'ingresso. Insomma, Halloween si fa sentire. Cerco di spiegarlo ad Alessandra: la fine del

ciclo della natura e l'inizio di quello nuovo, il solstizio, il ritorno della luce, il "vecchio" che

deve morire per lasciare spazio al "nuovo", ecc.ecc. Anche qui c'è la tradizione delle candele e

Alessandra dice di averla studiata anche a scuola e mi ricorda che Santa Lucia (come culto)

nasce appunto così.

Lucy non c'è. La casa è chiusa. Forse perché è domenica. Peccato. Forse è meglio rimandare

tutto a domani. Infatti regna una calma domenicale e non è consigliabile precipitare le cose.

Vedremo.

Riprendiamo la macchina e ripercorriamo la strada verso Pittsburgh, pian pianino, come ci

piace; guardandoci attorno. Alla faccia degli italiani che vogliono sempre copiare gli

americani, qui le auto vanno piano davvero e si fermano agli stop che intersecano e tagliano

(con frequenza esasperante) le strade diritte dei centri abitati, anche quando dall'altra parte

non viene nessuno (e si vede che non viene)!

I limiti sono variegati, ma in città è quasi sempre quello di 25 miglia/h ( circa 35/40 km/h) a

farla da padrone. Nessuno ci ha mai superato! Eppure hanno tutti macchinone e fuoristrada

lunghi da qui a là e dotati di motori potentissimi!

Saliamo verso Elizabeth, poi Glassport (sembra che ci fossero molto italiani che lavoravano il

vetro) e poi Clairton, dove c'è quella grande e puzzolente fabbrica di lavorazione del carbone.

Al ritorno ci fermiamo in un market per acquistare una "map", ma compriamo regalini. La

cartina la troviamo più tardi in un distributore di benzina; anzi compriamo un "Atlas"

dell'area metropolitana di Pittsburgh.

Rientriamo a Charleroi che sono le sei di sera. Troviamo un foglietto sulla porta della camera

del papà; è in italiano (l'ha scritto Tito): dice che Terry ci ha cercato e desidera che lo

richiamiamo. Scendo a telefonare ma riesco solo a litigare con l'apparecchio pubblico. Vado

allora al vicino Mc Donald’s, cambio una banconota in moneta ("coins") e riprovo. Due

ragazzi stanno davanti a mei; entrambi con il cavallo delle braghe alle ginocchia e la cintura

sotto le chiappe! Me l’aveva già fatto notare Alessandra, ma poi scoprirò che è quasi una

divisa per i maschi giovani, bianchi o neri.

Perdo altri “coins” nel tentativo di telefonare e non riesco a parlare con Terry. Ritorno in

albergo e dico ad Alessandra che vado nella mia camera un momento. Scenderemo per cenare

alle 19,30.

Vado di là (le nostre camere sono dirimpettaie) e confronto la mia nuova mappa con quella

che mi ha prestato Terry. Cerco di capire come fare per raggiungere la sua casa a Pittsburgh

(Squirrell Hill) dopo domani. Nella stanza attigua alla mia c’è un vecchio che “bolsega” e

penso che, per fortuna, dormo di là con Alessandra. Passo un’oretta e mi preparo per

scendere.

Esco con il mio armamentario (la cartelletta col programma per domani da mostrare ad

Alessandra, la borsa con la videocamera e i documenti e lo zaino). Busso alla 101, ma

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Alessandra non risponde; sento che la TV è accesa e penso che non abbia sentito la mia voce.

Alzo progressivamente il volume, chiamandola; passo dal bussare al battere forte sulla porta.

Niente! Comincio a preoccuparmi. So che Alessandra ha il sonno pesante e che il volume della

TV potrebbe coprire la mia voce, ma comincio a lasciarmi prendere dal panico. Tento di

aprire la serratura con la mia chiave (la 141), ma ottengo solo di piegarla dentro! Sento un

rumore per le scale, scendo sperando di trovare Tito. Invece incrocio un negro che sale e mi

guarda sospettosamente quando gli chiedo del Direttore dell’Albergo. Risalgo e batto di nuovo

le mani sulla porta, temendo che Alessandra possa essersi sentita male. Sento finalmente una

voce; si era addormentata. Alla faccia! Lasciamo perdere … raddrizzo la mia chiave alla

meglio e riapro la mia porta (avevo in camera tutti i vestiti ed ero solo in maglietta e

pantaloni).

Andiamo al vicino Mc Donald a cenare e lì riprovo a telefonare. Scendendo per le scale

avevamo incontrato Tito Giorgi che portava a spasso il cane. Capisco che il numero di

telefono lasciatomi sul foglietto appeso alla porta era sbagliato; era il vecchio numero di

Terry, quando stava ancora di casa a Monongahela. Nel Mc Donald’s riprovo a chiamarlo,

ma nessuno risponde. Allora riprovo a chiamare John Vecho, perché Tito mi ha detto che

Terry gli aveva riferito che oggi John ci attendeva a casa sua per il pranzo. Ma John non

doveva essere nel Delaware per una visita all’altra sua figlia e relativa famiglia, come mi

aveva scritto Susan?

Chiamo a casa di John e mi risponde la moglie (Gery) che poi mi passa lui. Con qualche

difficoltà ci accordiamo per trovarci domani mattina alle 10 ("ten o'clock") all'ingresso

principale ("the main gate") del Cimitero di Monongahela. Ringrazio. Ceniamo. Cose da Mc

Donald’s, con Coca straghiacciata e “root bier” altrettanto gelida. Metà di entrambe le

buttiamo via. Fuori Alessandra ha sonno e freddo (nonostante la giacca a vento). Saliamo

nelle camere e poco dopo dormiamo. Adesso sono le 6 e ¼ del mattino del 30 ottobre; sono

sveglio dalle 4 e ho scritto queste 11 pagine di diario. Sono molto soddisfatto di come vanno le

cose.

Dimenticavo: Alessandra ha già scovato tutti i particolari tecnologici della nostra auto: una

“Oldsmobile” rossa fiammante, modello “Alero”, sportiva. Alessandra conferma così la sua

spiccata attitudine a impadronirsi dei meccanismi tecnologici-elettronici, un po’ come fa coi

computers. E ciò contrasto ancor più con la sua (giovanile?) ridotta “analogicità” nel

ragionamento astratto.

P.S. 1: E' veramente notevole la quantità di obesi che si incontra, a cominciare dal cuoco del

ristorante Rego's.

P.S. 2: Tito portava a spasso il cane ieri sera. Ha detto che è quello della figlia, morta tre anni fa

( a 47 anni) per un tumore. Da allora ha dovuto ricominciare a lavorare per aiutare l’altro figlio

a tirare avanti l’azienda (hotel, ristorante e bar).

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Monongahela

30.10.2000

Colazione al solito posto alle 8,30. Abbiamo dormito entrambe poco stanotte.Un po' per il

caldo eccessivo del calorifero, un po' per il rumore "spettrale" delle sirene dei treni che

passano in continuazione nella "rail road" che sta al di là della strada che costeggia il nostro

albergo. E' la ferrovia che affianca il fiume Monongahela e che trasporta il carbone e l'acciaio

prodotti in questa zona. Convogli di vagoni interminabili, molto più lunghi dei nostri. Dopo il

"breakfast" partiamo per andare all'appuntamento con John. Ancora non so che tipo può

essere e quanti anni può avere. Per evitare di ripetere la solita strada prendiamo la deviazione

per Monessen. Fuori Charleroi imbocchiamo il ponte metallico che attraversa il fiume:

metallico anche il fondo stradale del ponte. Giriamo quindi a sinistra e prendiamo la strada

306 per Monessen. Dal ponte si può rimirare il fiume, veramente maestoso; largo almeno 300

o 400 metri, navigabile e solcato discretamente dalle chiatte che trasportano su e giù carbone

e altro. A destra, verso Sud, si vede un'imponente diga, che probabilmente funge anche da

chiusa per regimentare il livello dell'acqua. Il "Monongahela River" è l'unico fiume nord-

americano che scorre da Sud a Nord; congiungendosi con l'"Allegheny River" da origine al

fiume "Ohio" proprio dove ora sorge il centro di Pittsburgh.

Monessen si presenta con due o tre chiese cristiane di varia dottrina e due o tre banche. Per lo

meno un po’ più di equilibrio. Poi acciaierie e carbonaie. Case trascurate nel "centro" (se così

si può chiamarlo, perché non ci sono veri e propri "centri città", ma strade principali e strade

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secondarie).

Molti locali commerciali al piano della strada risultano abbandonati, come avevo notato

anche a Monongahela e Chaleroi. Comunque, in generale, sono trascurati. Le vetrine sono

poco curate e i vetri non lavati (un po’ mi ricorda Budapest quando ci andai e c’era ancora il

regime comunista). Si capisce che questa gente dà poca importanza a questi aspetti, così come

all'abbigliamento e all'alimentazione.

Monessen si prolunga lungo la strada 906 tra belle e basse villette (qui le case sono invece ben

curate) con i giardini antistanti senza delimitazioni, staccionate o cose del genere. Pupazzi,

teschi e zucche di Halloween dappertutto. Quasi senza soluzione di continuità passiamo per

Donora, che sulla cartina è però ancora indicata come agglomerato di case separato da

Monessen. Nei brevi tratti ancora privi di case spuntano dall'erba dei cartellini con i nomi dei

candidati per le elezioni generali del prossimo 7 novembre. Sono grandi come un asciugamano

e recano solo il nome del candidato locale (uno si chiama "Mascara"; un altro "Mc Donald",

per citare solo i più originali).

All'improvviso tra Monessen e Donora, in un breve tratto privo di case ci appare la carcassa

di un cervo ai bordi della strada. Per terra due strisce nere attestano inequivocabilmente che

nella notte un'auto è andata a sbattere contro l’animale che attraversava la strada, forse per

andare ad abbeverarsi al fiume. Ieri sera avevamo visto un cartello stradale con l'effige del

cervo e Alessandra aveva commentato che cartelli simili ci sono anche da noi, ma cervi non se

ne vedono in fondo valle.

Alle dieci meno dieci siamo all'ingresso del cimitero di Monongahela. Nessuno ad attenderci.

Proviamo a salire con la nostra Alero verso il "Country Club". Sulla sinistra villette in legno e

mattoni ben curate e invidiabili; colori tenui e pastello, in mezzo al verde. Sulla destra si

dispiega il cimitero, poi un'area vuota (probabilmente destinata all'espansione del cimitero) e

poi un campo da golf. Ridiscendiamo, filmiamo e ci appostiamo davanti al "Main Gate", del

cimitero, come concordato con John ieri sera. Dopo qualche minuto arriva un'auto grigia e

subito dietro un'altra; scendono un vecchietto arzillo e sportivo (felpa e pantaloni di velluto)

dalla prima e un uomo alto e distinto (giacca blu, camicia e cravatta) dalla seconda: sono John

Vecho e un suo amico e dirimpettaio che si chiama Joseph Caruso, “Chair man” (presidente)

di non so cosa, ma disinvolto e sicuro di sé. Bel viso, da italoamericano, cordiale e sveglio;

parla qualche parola di italiano e ci tiene a dirmi che il cognome è del padre (siciliano),

mentre la madre è di Firenze. John invece è quasi commosso, più timido e impacciato.

Parliamo (cioè, proviamo a capirci); mi dicono che loro due hanno un programma per la

ricerca della tomba del mio nonno.

Si comincia dall'"office" del cimitero, dove lavora un altro italoamericano, che però non ne

parla una solo parola di italiano: è un certo Marc Affinito.

Tra di loro discutono su come individuare l’area di Saint Mary nell’intreccio di strade che

attraversano l'intero cimitero. Poi si parte.

John mi dice che prima di mezzogiorno ci raggiungerà un certo "Pizzonalli" che conosce

Giuseppe Domenighini e che è già stato con lui al Saint Mary.

Si tratta in realtà di Dominik (Domenico) Pesognelli, originario (anzi discendente di originari)

di Losine.

Cerchiamo per un'ora, ma senza risultato. Poi arriva Joseph e a mezzogiorno anche

Pesognelli. In cinque ci aggiriamo in una zona in cui le lapidi ("head stone") sono quasi tutte

italiane, e in special modo di cognomi bresciani e camuni. Filmiano e fotografiamo, ma, dopo

un'altra mezz'oretta arriviamo alla fine della collina e della tomba del nonno nessuna traccia.

E' davvero commovente vedere come John, Joseph e Dominik si prendono a cuore il nostro

problema. Quando abbiamo cominciato faceva freddo tanto e mi dispiaceva un po' per John

che gocciolava dal naso. Alla fine ci salutiamo e promettiamo a Dominik di incontrarlo

se/quando verrà in Italia.

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Jonh ci ha invitati a mangiare a casa sua; Gery ci attende. Arriviamo a casa loro: una bella

villetta in cima alla collina del Country Club. Dentro, una splendida casetta con ampia sala

soleggiata e luminosa; carta da parato coi fiori rosa, colori tenui dei mobili, soprammobili in

stile nordico, gli acquarelli (di John) alle pareti conferiscono quell'aspetto accogliente delle

case dei telefilms americani. Ecco Gery, una giovanile nonnina in gonna jeans e gilet rosa,

veramente dolce, occhi azzurri, capelli grigi, minuta. Cerca di colloquiare con noi, parla con

John, discutono delle difficoltà di trovare la tomba; e assicurano che dopo pranzo proveranno

a telefonare ad un prete ("priest") di una chiesa cattolica o riformata (di cui non ricordo il

nome - forse la "Transfiguration Church”) e lui proverà a contattare il suo superiore a

Pittsburgh, dato che lì dovrebbero avere tutti gli elenchi dei morti di quel periodo.

Veniamo a sapere che il cognome originario di John era "Vecchio" e proveniva da Brescia e

poi si è trasformato in Vecho (non "Vecio", come erroneamente ritenevo) .

Mangiamo: un panino (panone) per ciascuno con "bacon", prosciutto e formaggio; a volontà

si può aggiungere qualche foglia di insalata, qualche fetta di pomodoro e maionese. Niente

bibite Gery ci chiede se preferiamo caffè (io) o latte (Alessandra). Loro non bevono. Alla fine

una coppa (gigante) di gelato per ciascuno.

Mentre mangiamo arriva Joseph con una sorpresa: è riuscito a fotocopiare la pagina del

certificato del funerale di mio nonno, presso la biblioteca comunale. Sono riportati vari

particolari, ma non la posizione della tomba. Il funerale costò 140 $ ("all included"); Joseph

dice che oggi ne occorrono almeno seimila di dollari.

Riprende la discussione; per fortuna Joseph sa qualche parola di italiano.

Si decide di scendere alla "Library" di Monongahela per continuare le ricerche. Tutti e

quattro nella macchina di John. Eccoci alla "Library"; gli addetti ci riconoscono e si prestano

volentieri. Purtroppo la macchina per l'esame dei microfilms è occupata e Joseph non può

trattenersi. Ritorniamo a casa di Jonh, salutiamo, lasciamo una videocassetta sulla Valle

Camonica e diversi libri a Joseph e John e ridiscendiamo in paese.

Prima di entrare in biblioteca tentiamo un accesso alla "Historical Society" lì a fianco, per

cercare Susan Corbelli.

Non c'è, ma una gentile signorina la chiama al telefono e lei arriva quasi subito. Scura di

capelli, viso mediterraneo (sua madre è napoletana), familiarizziamo quasi subito.

Capisce al volo il nostro problema e ci accompagna in biblioteca. Sta con noi un'oretta e ci

aiuta con le macchine dei microfilms. Nessuna traccia del nonno tra i morti riportati sui

quotidiani locali intorno al 23/11/1918.

Ci fa capire che gli italiani erano povera gente e i quotidiani se ne occupavano poco. Resta

stupita nello scoprire che il bisnonno è morto nella casa di sua zia Caterina Corbelli- Vogini,

quando le mostriamo la lettera di Caterina Pezzoni Vecho che dice questa cosa. Idem quando

le diciamo che Corbelli è un cognome originario di Brescia e della Valle Camonica. Ci

salutiamo e proseguiamo le ricerche nei libri storici della stanzetta, ma senza risultato.Prima

di cominciare appena entrati con Susan, ci avevano detto che Terry mi aveva cercato e aveva

chiesto che lo richiamassi da lì.

Detto, fatto: me lo chiamano al telefono e parte così una lunga conversazione; lui sa un sacco

di cose che gli altri non conoscono. Ci dice di riferire a Susan di cercare questo e quello, ma

per noi risulterà difficile farlo. Poi chiudo la telefonata, dicendo a Terry che mi sembra di

essere guardato male, anche se non è vero, ma mi faccio dei problemi ad occupare così a lungo

la linea telefonica della biblioteca.

Terry è il vero perno su cui si potrebbe costruire una collaborazione culturale; è

lui la memoria storica della zona.

12

Ah, dimenticavo: Gery ha voluto invitarci a cena giovedì due novembre. Ho accettato,

naturalmente. Terry mi ha detto che c’era rimasta male perché non eravamo stati a pranzo da

lei; aveva comperato molta roba da mangiare. Ha detto che giovedì prossimo cucinerà un

tacchino come per la Festa del Ringraziamento (anche se in anticipo) e che la preparazione di

questo piatto richiede anche nove ore di cottura. Non ho capito se giovedì anche Terry farà

parte della squadra e se saremo in dieci intorno al tovolo.

A sera torniamo a Charleroi e mangiamo in pizzeria. Un bel localino ("pizza hut") con self

service. Alle nove dormiamo tutti e due. Finito anche il terzo giorno. Alessandra è stanca e ha

la faccia piena di foruncoli, mangia solo insalata; io mi prendo una pizza, tipo casalinga,

intera, più una birra “Bud Wieser” che mi fa subito girare la testa. Niente ghiaccio stavolta.

Alle nove dormiamo tutti e due. Concluso anche il terzo giorno.

Monongahela River

31/10/2000

Colazione alle 8.30. Stavolta il latte di Alessandra è caldo. Io ordino un “muffin”, ma era

meglio il “krapfen” con crema di lamponi di ieri. Alessandra prende invece un krapfen con

crema al limone. Telefoniamo a casa da un apparecchio lungo la strada: caspita funziona (ma

il numero che mi avevano dato alla Telecom in sostituzione di quello della AT&T era

sbagliato; andava bene quello stampato sulle istruzioni)!

Passeggiamo per le strade di Charleroi e ritraiamo persone, cose, case e chiese. Entriamo in

un market e compriamo qualche regalino: costano pochissimo (one dollar, two dollars…).

Siamo al giorno-clou di Halloween e le case sono invase dai simboli della festa; in una scuola

elementare (cattolica!) spiamo attraverso i vetri delle finestre i bambini travestiti che giocano

con maestre travestite da streghe (non c’è più religione!).

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Quando ridiscendiamo, proviamo a visitare un centro commerciale. Scarpe e abbigliamento.

Compro un giaccone impermeabile "made in China" (49,99$) e una giacchetta in stile tirolese

(39,99$) per Nadia. Alla fine, con lo sconto, avrò speso solo 65 $ cioè 130.000 lire in tutto. In

effetti è vero quello che ci avevano detto: qui la vita costa meno che da noi.

Dimenticavo: al ritorno dalla colazione (neanche tre dollari in due) troviamo un biglietto sulla

porta: David Partesana vuol parlare con noi al numero di telefono scritto sul biglietto. Chiedo

al figlio di Tito (un bell’uomo alto e smilzo, con i baffetti ben curati, tipo tenente colonnello

dei fucilieri di Sua Maestà la regina d’Inghilterra), ma non sa che dirmi. Prova a chiamarlo,

ma il numero è occupato. Dice di riprovare più tardi. Così decidiamo di andare a pranzare al

"Pizza hut": è un self service di quelli "a volontà". Spendiamo 12,85$. Mamma mia quanti

obesi! Donne e uomini, grandi e bambini. Qui negli USA l'obesità è davvero una malattia

sociale! Probabilmente loro non ci fanno più neanche caso.

Finito di mangiare decidiamo di fare ancora una capatina al "Market" della mattina prima di

andare a Monongahela per passare là la serata e vedere cosa succede nella notte di Halloween.

Compriamo una bottiglia di acqua minerale, la mettiamo in macchina e mentre io sto

armeggiando alle cose … Alessandra chiude la porta con la sicura, lasciando dentro (“inside”)

la chiave. Siamo appiedati! L’autonoleggio è a Pittsburgh e adesso che facciamo?

Provo a telefonare a Terry, Niente. Allora entro da Tito; lui non c’è; spiego il problema alla

cassiera che, gentile, chiama Nino. Lui si prodiga: telefona al numero verde e mi dice di

tornare alle tre che ci sarà la chiave di riserva. La porteranno da Pittsburgh (come da Brescia

a Malegno). Bel colpo!

Ma in questo viaggio le emozioni non sembrano destinate a finire mai. Un omaccione ci porta

(gratis) la chiave di riserva e così possiamo partire per Monongahela. Sono le quattro e mezza

p.m. ed è nostra intenzione tirare sera girolando per le strade. Sono le quattro e mezza p.m.

ed è nostra intenzione tirare sera gironzolando per le strade in attesa di vedere in che cosa

consiste la festa di Halloween. Invece, arrivati in paese, finiamo un’altra volta da Ida Gori

perché io ho voglia di una tazza di caffè e Alessandra ha bisogno del bagno. Prima di entrare

provo ancora a telefonare a Partesana, ma niente da fare. Ida ci accoglie a braccia aperte e ci

impone di mangiare due “fettane” della sua torta di ciliegie (squisita) e poi ci propina un

piattone dei suoi biscotti. Le dico che non riesco a trovare David Partesana e le chiedo se può

indicarmi dove abita. Me lo spiega e poi si mette a telefonare, dicendo di aspettare perché poi

lui dovrebbe richiamare lì. Intanto Alessandra può andare nel gabinetto di suo figlio Michael

che ha un negozio di cellulari AT&T. Michael è gioviale e “americano”; seduto nella sua

piccola scrivania, col computer davanti, sembra lo sceriffo del paese. Robusto e spiccio, parla

velocemente una lingua piena di “waa”, “wae …” che costituisce per noi una strana

pronuncia. Gli è simpatica Alessandra. Viene Ida a chiamarci: David Partesana verrà lì al

negozio alle cinque e mezza. Me lo aveva già descritto a parole (capelli lunghi sulle spalle), ma

non lo avrei immaginato così com’è: sembra Sean Connery da giovane, capelli d’argento

raccolti a codino sulla schiena. E’ sicuramente “un tipo”, un bell’uomo davvero. Cos’hanno

perso le donne della Valle Camonica! In tutta la serata non lo vedrò mai sorridere una volta.

E’ un tipo molto serio nella sua stranezza. Giubbino di pelle nera e jeans, non ha lo stile del

candidato sindaco (si era candidato), anche se l’America è l’America, ragazzi!

Parliamo. Si interessa del mio caso. Ida ci aiuta a superare le prime difficoltà di linguaggio;

lui però mi dice che forse sua madre Lucy, di 92 anni, potrà aiutarci perché lei parla ancora

l’italiano. Però bisogna aspettare di arrivare da lei perché c’è Halloween e lui deve fare

qualcosa. Eravamo passati dalla casa di Lucy anche nel pomeriggio e l’avevamo chiamata a

voce alta (non c’è il campanello), ma nessuno aveva risposto.

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Insomma, salutiamo Ida, che ci mette in mano un altro sacchetto di biscotti, e usciamo.

Raggiungiamo un negozietto di cose vecchie; fuori campeggia una bacheca di legno verniciato

bianco lucido su cui campeggia la scritta “Piazza by David Partesana”. Arrivano Barbarasua

donna, una bionda robustona che dovrebbe chiamarsi Iole di cognome – forse di origine

romana come una “Di Rosa” che c’è il vicino) e la loro figlia (“I don’t remember her name”),

robustona pure lei e con la tipica faccia pulita e sorridente della teen-ager americana

cicciottella. Saluti e baci e ….. distribuzione di dolci ai bambini che passano mascherati con i

sacchetti per la raccolta. Un altro decisivo impulso al diabete!

Passa poca gente però (l’epicentro della festa forse è altrove) e così David ci carica sul suo

furgone Pick-up e con lui andiamo da Lucy. E' una vera emozione incontrare questa donnina

che ha 92 anni, ma ne dimostra 20 di meno. Gira ancora per casa e parla come una donna

completamente autonoma. Ci fa sedere e si comincia a discutere; David pone delle domande

("questions"), agitando l'indice (un "indicione"), scandendo le parole come se fosse l'Accusa o

la Difesa che interrogano un testimone in uno dei tanti films americani. Occhialini monofocali

da presbite sulla punta del naso. Lucy traduce un po' in italiano e un po' in dialetto. Non ha

conosciuto il mio nonno ma dice che suo fratello Valentino (morto qualche anno fa) deve

averlo conosciuto di sicuro, perché lui conosceva tutti gli italiani che abitavano qua. Ci

raggiunge Barbara. David la "usa" come segretaria e le detta gli appunti per le ricerche che

compiremo domani dalle 9.30 in avanti, cosicché nel pomeriggio possiamo partire

tranquillamente per Pittsburgh, dove ci attende Terry. Andremo a cercare il fotografo

"Scott" in Main Street 303 e anche la First N. Bank, e soprattutto ci porterà al cimitero. Lucy

ci assicura che David troverà la tomba del nonno, perché lui ha mostrato a Giuseppe

Domenighini tutte le tombe che "Jo" (Joseph) mi ha mostrato sul notes su cui aveva riportato

l'elenco contenente anche quella di mio nonno. Mostro loro tutte le carte storiche che abbiamo

e David è molto incuriosito. E’ anche interessato circa il mio lavoro e mi chiede con una certa

insistenza se mi occupo anche di divorzi (!?). Non approfondisco, ma poi Lucy mi dirà che

David e Barbara non sono sposati (“com el se dis ….”). Discutiamo di molte cose. Lucy dice

che ha già votato (per corrispondenza) per Al Gore, il candidato democratico alla Presidenza

dell’Unione (anche se i sondaggi apparsi sui giornali di oggi lo danno per perdente!). Parlo

loro di Carol e del suo discorso sulla miniera dei suoi nonni. Ci scambiamo le e-mail con

Barbara, in modo da tenerci in contatto quando saremo ritornati in Italia. Lucy ci invita a

cena per venerdì sera. Torniamo in albergo alle 20,30. Ceniamo nel ristorante di sotto. Alle

21.30 a nanna.

P.S.: guardo un po’ la TV prima di chiudere gli occhi. Mostrano le immagini di un disastro

aereo. Penso che sarebbe un vero peccato se dovesse capitare anche a noi e, oltre alle nostre vite,

finisse perduto anche il racconto di questo viaggio, il diario in cui ho cercato di raccontare

questa esperienza. A scanso di rischi, ne farò una fotocopia che spedirò per posta prima di

ripartire.

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Monongahela River (1951)

01/11/2000

C'è nebbia! Solita colazione: sorridono vedendoci entrare. Oramai ci aspettano:"Warm milk

and coffee"? Sì, con tre paste: due al limone e una alla mela. Poi via verso la casa di Lucy

dove David ci attende. C'è un cane lupo di nome Eden (si pronuncia "Aidm" - ma ce ne

mettiamo a capirlo, perché prima bisogna scomodare Dio, la Bibbia, Eva e così via … !).

Oramai anche il cane ci conosce E’ pacifico e pigro, nonché vecchio (15 anni). E’ pur sempre

un buon deterrente; più tardi David ci dirà che c’è un problema di furti nelle case, che

attribuisce ai negri (non approfondisco).

Arrivano Barbara e figlia: si parte per il cimitero. Cerchiamo per mezz'ora nello stesso posto

delle altre due volte; rivedo le stesse lapidi con i cognomi camuni; spero proprio di trovarla

quest'oggi: "Pi-er", mi chiama David ad un certo punto; l'ha trovata!

Eccola lì, piccola e abbastanza ben conservata (parecchie lapidi hanno la superficie ormai

abrasa e illeggibile, alcune altre sono spezzate). Una povera tomba come aveva previsto John

Vecho; vicinissima a quella di certi Domenighini, di un Castagna (benestante, visto il tipo di

lapide) e di vari Guarinoni. L'ultima volta che avevamo visitato Saint Mary con John, Caruso

e Pesognelli c'eravamo soffermati su quella di questi Domenighini perché loro dicevano che

doveva essere lì vicino, ma nessuno l'aveva vista a pochi metri di distanza. Così piccola! Siamo

commossi. David mi guarda profondamente agita il suo ditone e mi chiede: "Pi-er, Tu senti lo

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spirito di tuo nonno adesso?". Sempre come se fossi un bambino, mi invita a dire una

preghiera (idem con Alessandra) e lui si discosta raggiungendo Barbara e Nicole, per lasciarci

in stato di raccoglimento.

Scaduto più o meno il minuto si gira e dice che dobbiamo fare delle foto. Vuole ritrarci lui

vicino alla tomba; spero che siano uscite e che abbia saputo ben usare la mia macchina

fotografica (“camera”). Visitiamo un gruppo di tombe lì vicine: sono quelle della famiglia

Partezana, i suoi parenti. Poi David mi chiede se voglio portare dei fiori e dice che giù in

paese c'è Rocco (un veneziano) che li vende. Passiamo dall'"office" per una consultazione

(sembra di capire che David sia interessato a recensire e conservare l'area di Saint Mary che

versa in stato di evidente abbandono) e poi giù da Rocco che ha il negozio lì vicino ad Ida

Prima però facciamo una foto con Ida, giusto per ricordarcela.

Poi di nuovo da Lucy, dove pranziamo con insalata e tonno e pane, qualche biscotto. David mi

fa un sacco di domande che Lucy traduce opportunamente in dialetto e un po' anche in

italiano. Gli mostro gli assegni e lui prende nota; dice di conoscere una persona che lavora

nella banca che ha assorbito la First National Bank. Ha bisogno di un giorno per pensarci su.

Intanto ci regala la guida del telefono e lì ci sono tanti cognomi inconfondibili. David è il tipico

uomo di una volta, autorevole, sputa ordini, pone questioni e taglia corte le discussioni. Fa

scattare le sue donne e anche Alessandra che sprepara la tavola come se fosse il suo mestiere!

Non ci lascia più partire, anche se sa che abbiamo fretta di avviarci verso Pittsburgh, dove

Terry ci aspetta alle 17.

Infatti arriveremo in ritardo di 3/4 d'ora! Un po' perché David ci molla solo alle due e 3/4, un

po' perché c'è una fila interminabile per dei (banali) lavori in corso sulla strada, un po'

perché, una volta entrati in città, non vediamo il bivio per "Homestead" e tiriamo dritti per

circa 4 miglia (così ci tocca tornare indietro) e un po' perché facciamo "stop and go" per

trovare la casa di Terry. Alla fine però ci arriviamo. L'ingresso di Pittsburgh non è

romantico: città e fabbriche si succedono senza interruzione lungo in Monongahela River e la

837 Road Nord che lo costeggia. Fiumi d'altri tempi e impianti industriali imponenti e un po'

obsoleti danno esattamente il segno di ciò che resta di una città industriale.

La casa di Terry è in "Murry Ave." sulla collina "Squirrel Hill" (Collina dello Scoiattolo).

L'ingresso è tra il dimesso e l'abbandonato, una trentina di gradini ci portano su ad una

porticina di una casa molto popolare. Lui ci aspettava giù all'angolo in maglietta estiva in

maniche corte, nonostante il freddo (noi con le giacche a vento).

Si capisce subito che Terry è uno di quei tipi geniali, che non danno importanza alle comodità

(e, quindi, non sentono neanche il freddo). All’interno, la casa è un collage di oggetti vari,

soprattutto d'antiquariato povero, affratellati nel poco spazio disponibile. Vasi e vasetti con

piante e piantine dappertutto; pile di libri rubano lo spazio a scatole e schedari. In centro al

tavolo, un piatto strano; Terry dice che è una pietanza siriana e che si mangia calda. Lui ha

fretta perché siamo arrivati in ritardo, ma non ne fa un problema. Dice che deve concentrarsi

per finire di preparare la cena; ci fa vedere delle fotocopie che ha preparato e ci consegna

cinque o sei libri da consultare, dai quali ha tratto quelle fotocopie. Parlano di miniere e di

italiani a Monongahela. Due articoli di un quotidiano di fine '800 trattano due questioni

rilevanti per noi. Terry si mette il grembiulone e va in cucina. Dopo un po' torna con una serie

di piatti (verdure e pollo) e si cena così, frugalmente, chiacchierando di italiani, storia,

miniere ed altro.

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Poi Terry sale di corsa al piano di sopra, dove ci sono il bagno e le camere e ritorna dopo un

po' vestito in abito da cerimonia che non sembra più lui: abito nero, camicia e cravatta giallo

dorata. Adesso sì che sembra proprio un professore universitario (dice che gli manca ancora

la 2° laurea per diventarlo, ma si sta impegnando!).

Saltiamo sulla nostra auto e via di corsa verso il piccolo College dove deve tenere la

"conversazione". È la zona "in" della città: alberi secolari, giardini e case stile nordico come

si vedono solo nei film. Dice Terry che la famiglia Mellon (banchieri) e altri "riccastri" di

Pittsburgh donarono al Comune il palazzo dove ora c'è il College per farci un luogo

d'istruzione.

L'ingresso è gotico e un po’ "horror": legni pregiati e vetri riquadrati al piombo, se uno passa

di lì da solo può avere l'impressione che da un momento all'altro salti fuori Dracula! Saletta

attrezzata per diapositive. Terry è brillante; parla per 2 ore e 1/4 circa, avvalendosi delle

diapositive. Dopo un’oretta, Alessandra cede al sonno. Anch’io faccio fatica a resistere, dato

che non riesco a seguire il discorso.

All'inizio Terry ci presenta alle 16 persone presenti e ci prendiamo anche un applauso. Alla

fine una giovane ragazza dal volto tipicamente italiano si siede vicino a noi e ci parla in

inglese. Cerco di tessere le lodi di Terry: non sapendo che è sua moglie! Lo scopriremo più

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tardi accompagnandolo a casa. Lei è molto giovane; gioca con me con gli stampini e altri

giochini di una volta. Si chiama Sharyn e sembra ancora una ragazzina. Oggi ha lavorato

come "dimostratrice" di qualche prodotto in occasione della inaugurazione di un nuovo

centro commerciale all'interno di un vecchio edificio della Mellon Bank. Terry taglia uno

"strudel" cucinato da lui (ottimo). Parliamo dell'Italia (di Montecatini), delle origini di Terry,

della sua madre irlandese e protestante, della Guerra del Wiskey e della rivolta dei "farmer"

produttori dello wiskey contro Jefferson e gli altri di Washington, ecc.ecc..

Ripartiamo per Charleroi che sono le ore 24 passate. In un'ora siamo in albergo. Dopo poco

dormiamo come sassi. Risalendo lungo la Valle del Monongahela River mi suggestionano i

fumi che escono dalle ciminiere, facendomi tornare alla mente certe scene del film “Il

cacciatore”. Il buio conferisce ai getti di vapore e di scarico (la puzza si avverte) delle

industrie la sinistra immagine di un viaggio nell’inferno dantesco.

Monongahela (1950)

02.11.2000

Colazione alle 9 (il solito); telefono in studio e a Nadia.

Dico a Fausta di mandare una e-mail a Carol Nunes e a Nadia di avvertire mio papà che ho

trovato la tomba del nonno e di telefonare alla zia Mary di Malonno per vedere se sa dirmi

qualcosa su suo padre “Peter” che stava qui col fratello Luigi.

Mattina di shopping. Passiamo in rassegna i tre markets che stanno nel piazzalone oltre la

ferrovia. Costa tutto pochissimo (1 dollaro, 2 dollari, 4 dollari …) e ci diamo dentro con i

souvenirs. Alessandra “pretende” qualcosa per lei e così prendo qualcosa anche per Arianna.

Ci sono dei mazzi di fiori recisi, dai colori vivaci e a buon prezzo: ne prendiamo due da

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portare a casa di John questa sera per la cena. Fortuna che poi nel pomeriggio mi capita di

sentire il profumo e di accorgermi che si tratta di crisantemi mischiati ad altri fiorellini. La

facevamo bella a portarli a casa di John e Gery!

Pranziamo al Pizza Hut (11 dollari in due) verso le ore 14-14,30, saliamo un momento in

camera e poi via verso Monongahela per comprare un vaso di fiori “’n dema” per John e

Gery, lasciare i crisantemi al cimitero ed essere puntuali per la cena alle 17,00. Il vaso è bello,

ma costa parecchio (40 dollari) rispetto a quello che si spende in genere. Eh sì che Rocco mi ha

fatto un prezzo da “compaesano” e mi ha anche offerto una birra! Mi fa vedere la

composizione di fiori secchi che mi ha preparato per domani: è bella e se tanto mi da tanto, mi

costerà ancora di più!

Facciamo un salto al cimitero (che ormai conosco come le mie tasche), lasciamo un mazzo di

fiori al “nonno” e uno alla famiglia Partezana, sperando di far cosa gradita a David e Lucy

quando torneremo qua domani.

Alle 17,02 siamo a casa di John Vecho e di Gery; lei è indaffaratissima in cucina. Terry ci ha

detto ieri che la preparazione di un "pranzo" ("dinner") come questo richiede anche 20 ore di

lavoro perché si tratta del famoso pranzo del "Giorno del Ringraziamento" ("Thanks giving

day"), che John e Gery hanno deciso di anticipare dal 23 novembre ad oggi, apposta per noi.

Sarà un caso, ma il 23 novembre sarebbe stato l'82° anniversario del funerale del bisnonno!

Il pranzo è veramente speciale e variopinto. John tira fuori per l'occasione una bottiglia di

vino fatto da lui, con etichetta personalizzata. E' un vino semi-dolce (secondo a me poco

adatto al tipo di cibo propostoci, che richiederebbe un vino più fruttato o “rotondo”,

comunque non dolciastro); John lo mesce con grande prudenza. Insomma, alla fine, ne sarà

rimasta ancora mezza bottiglia quantunque fossimo in quattro a berlo. Per i colori e i tipi di

vivande serviti rimando al video. Un cenno ancora lo merita la torta di zucca con panna

(anche questa fa parte del menù della festa): veramente delicata. Faccio i complimenti a Gery.

Naturalmente discutiamo tutto il tempo di cena: un po' in inglese e un po' (tanto) in italiano.

Domenico fa da interprete, anche se il suo italiano sembra più la lingua di Jar-Jar in "La

minaccia fantasma" del ciclo di "Star Wars" . Arriva Joseph Caruso con un vasone di

"Biscotti" e una bottiglia di vin santo toscano. Poi, più tardi, arriva anche Reno Nones, di

origine trentina; anche lui parla un po' l'italiano. Curioso: dice che anche suo nonno si

chiamava Luigi Milani (!?!), aggiungendo però che non era la stessa persona del mio nonno e

che il suo è morto in Italia quarant’anni fa all’incirca. Si parla dell'Italia, degli immigrati in

USA (affiora dalle parole di Nones un certo fastidio per il fatto che "il 95%" degli immigrati

in USA sono meridionali), delle mie ricerche e del perché io credo sia arrivato il momento di

curare la ricostruzione della vicenda dell'emigrazione dal Nord Italia, del perché una società

ricca e smemorata, come la nostra attuale, e al contempo alle prese con fenomeni nuovi come

quelli dell'emigrazione dall'Est e dal Sud del mondo, abbia bisogno di conoscere la storia dei

propri padri e madri che partirono a migliaia e migliaia dal Nord Italia in cerca di una vita

migliore (per chi se ne andava e per chi restava).

Sembrano tutti molto colpiti e affascinati dalle mie parole; capiscono che non siamo venuti

qua solo per trovare la sepoltura del nonno Luigi e comprendiamo che sono un po' commossi.

Parliamo anche d’altro: della quantità di obesi (ma svicolano l’argomento e anzi Pesognelli

dice che quando è stato in Italia il “gelato” era molto, troppo dolce!), del “dialetto” (Nones

dice che i bresciani sono “PATAHI’-PATAHU’” e la definizione lo diverte molto), di industrie

e inquinamento (quanto alle prime mi dicono che adesso non c’è nemmeno paragone con la

situazione preesistente; quanto al secondo aspetto dicono che adesso è rosa e fiori rispetto allo

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smog di prima, che toglieva ogni visuale notte e giorno e che ha provocato tanti morti per

malattie respiratorie). Parliamo anche del mio lavoro; Gery vuol sapere se mi occupo di

“divorzi” e resta stupita (non so dire in quale senso) sentendo che anche da noi sono molti i

divorzi. Quando dico che Brescia ha circa 1 milione e 200 mila abitanti e che la Lombardia ne

ha quasi 10 milioni, sia Gery che John restano molto sorpresi. Caruso racconta una

barzelletta acida sugli avvocati (“c’è un ebreo, un musulmano e … un avvocato che ….”) e

allora ci tengo a precisare che in Italia noi avvocati non siamo così mal-considerati come negli

USA e come li ha descritti John Grisham nei suoi romanzi.

Telefona Terry che mi annuncia che forse domani sarà a Monongahela con uno di una casa

editrice interessata a pubblicare i suoi studi. Terry parla, parla, parla … molto più di me!! Mi

tiene al telefono almeno dieci minuti (forse di più) e ci a accordiamo per vederci da Ida Gori

domani alle ore 15. Lo vediamo volentieri e ci dispiace il fatto che, in fondo, è la persona a cui

abbiamo dedicato meno tempo, quantunque sia la più importante e la più cara. Gli annuncio

un regalino per lui e sua moglie, anche se non so ancora cosa.

Alle 10,30 ci alziamo da tavola; Alessandra è già da un’ora sulla poltrona. Purtroppo si

annoia in mezzo a tutti questi “grandi”; come non capirla! Del resto, non era una “vacanza”

la mia e penso (spero) che per lei sia stata comunque interessante come esperienza. Infatti,

adesso è già più attiva e reattiva rispetto ai primi giorni: saluta, scherza, sorride.

Torniamo in albergo. Problema: quando siamo partiti abbiamo lasciato la chiave della

camera 101 (quella di Alessandra) nella (“inside”) camera e abbiamo richiuso la porta. Non

bastava la figura della chiave della macchina!

Per fortuna, giù alla Reception hanno la chiave di riserva e tutto si risolve. Alessandra crolla

sul letto; io comincio a sistemare la valigia; leggo, studio il percorso per sabato (mi piacerebbe

rivisitare il centro di Pittsburgh prima di accedere all'aeroporto), completo il diario di questa

giornata. Domani ci attende una giornata intensa; dimenticavo: sulla guida telefonica ho

trovato un Sever Guarinoni. Era quello della lettera del 1973 della mamma di John a mio

papà. Nones e Pesognelli mi dicono che abitava lì vicino e che però è morto.

Aggiungono che suo figlio Luigi è ancora vivo, ma non parla l’italiano. Dico loro che la moglie

di mio nonno era una Guarinoni e che una signora (la “Dirce”) di Malegno mi ha incaricato di

fare ricerche su un Luigi Guarinoni nato a Monongahela alla fine dell’800. Domani mattina

alle 9,00 Nones mi aspetta al McDonald di Monongahela, dove ci sarà anche Luigi Guarinoni.

Nones mi farà da interprete.

Alle 9,30 sarò da Lucy; David mi accompagnerà in vari posti e poi andremo a fare shopping, il

grande passatempo degli americani. Alle 15,00 incontretò Terry. Alle 17,00 saremo a cena da

Lucy. Mamma mia! Qui ci vorrebbe un’agenda degli appuntamenti: come al lavoro!

Buona notte a tutti. Chiudo gli occhi verso l’una di notte.

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Monongahela Incline

03/11/2000

Alle 6 e 1/4 sono sveglio; mi ritrovo a pormi domande in inglese o a pensare come parlo in

inglese. Meglio alzarsi, tanto non riuscirei a dormire. Preparo un po’ di cose e leggo. Non so

ancora che ci attende la giornata più intensa e commovente dell'intero viaggio.

Alle 8,00 scendo a telefonare a Nadia: a casa tutto è ok. Passo dall’ufficio postale a fotocopiare

un pezzo di questo diario per poterlo spedire per posta prima della partenza per il rientro in

Italia. Poi, colazione e partenza per Monongahela. Al Mc Donald ci aspetta Reno Nones per

presentarci Guarinoni Luigi. Credevo di aver capito che Guarinoni lavorasse al McDonald,

invece è un vecchietto che si ritrova lì ogni mattina con Reno e altri sette o otto anziani a

consumare un thè o un caffè, più o meno pasticciato con latte e/o creme. Mostro a Guarinoni il

certificato di famiglia di un certo Luigi, nato a Monongahela nel 1892 o 1893 e lui cade dalle

nuvole. Non ricorda assolutamente niente delle origini della sua famiglia. Crede di essere

originario del Nord Italia, forse Milano, e quando gli dico che una donna del nostro paese ci

ha incarico di compiere delle ricerche si commuove un poco. Aggiunge che suo padre Severo

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non voleva che i figli parlassero italiano! Così lui adesso non sa più capirlo e parlarlo e invidia

quelli come Reno che invece sanno farlo ancora.

Reno mi presenta altri vecchi italiani seduti intorno ai tavolini del Mc Donald: un toscano

(Borrelli), un napoletano (Lignelli), fratello del Sindaco attuale di Donora e un altro toscano

di cui non ricordo il nome (forse Maraccini). Tutti mi salutano calorosamente, anche quelli

non oriundi italiani che sono seduti lì con loro. Chissà cosa sembrerà loro? Che penseranno di

un tipo come me che viene fin lì con una figlia di 13 anni a rispolverare queste vecchie storie?

Sono le 9,30: devo andare da Lucy dove ci attende David. Fuori dal Mc Donald’s si consuma il

rito del breakfast in macchina: in diligente fila le auto (tutte pulite e lucide) si presentano al

"check-point" dove ordinano scegliendo tra le varie offerte esposte sul tabellone mediante

tasti da pigiare. Poi girano l'angolo, quando viene il loro turno, e ritirano il cabaret dalla

apposita finestrella.

David ci aspetta; un saluto a Lucy e poi via con la sua mastodontica Chevrolet anni ’50 alla

Bank dove parliamo con Karen Conti (o Quinto?), una funzionaria originaria di Spoleto.

All’inizio sembra un po’ scettica circa gli “check” che David le mostra; poi lui le dice una

serie di cose che la sciolgono e si prende a cuore il mio caso. Eseguirà le opportune indagini

per vedere se, attraverso la serie di fusioni che hanno trasformato via via la First National

Bank, è rimasto qualcosa del conto di mio nonno. Karen mi manderà una e-mail o un fax al

termine delle ricerche. Poi si presta a fotocopiare una ventina di pagine del mio diario, così

riesco a spedirne almeno 36 dall’ufficio postale di Monongahela, situato di fronte alla banca.

Sia la banca che la posta usano ancora vecchi mobili di legno, vecchi arredi affiancati da

computer e macchine d'ufficio nuovi, non particolarmente sofisticati, come ormai è da noi in

Italia.

E’ questo un dato costante del panorama strumentale degli uffici pubblici e privati e contrasta

con le avveniristiche apparecchiature dei McDonald’s e delle pompe di benzina. Dopo la

spedizione del plico postale, via fin da Rocco per ritirare i fiori per il nonno: si tratta di una

bella composizione di fiori secchi (40 $). Quattro chiacchere con lui e Ida Gori, la quale ci

abbraccia e ci bacia (oggi c’ha una stramba parrucca nera sulla testa) e ci regala due

bottigliette d’acqua. Dopo averle fatto vedere la foto con Nadia e le bimbe devo prometterle

che torneremo, che tornerò con tutta la famiglia. Dovrò prometterlo a tanti altri pima di sera!

Via verso il cimitero; scaviamo a fianco della tomba e impiantiamo il vasetto con i fiori di

Rocco. Raccoglimento, foto e film. Dimenticavo: con noi ci sono anche Barbara (“Ba-ba-ra”) e

Nicole ("Nick"), la figlia. Staranno tutti e tre con noi tutto il giorno - veramente squisiti.

David dice che vuol farmi conoscere un avvocato (“attorney”) di Charleroi: un certo Bigi.

Telefona: OK. Si parte e si arriva, chiacchierando come si può, ma ci si capisce. Bigi ci

accoglie nel suo ufficio, ben reclamizzato sulla facciata. Tre stanzette in successione. Due

segretarie e lui (Herman) è in quella in fondo: una piccola scrivania di impiallacciato, due

poltroncine per i clienti, una poltrona alta per lui, due divanetti a lato finestra, attestati

incorniciati su tutta la parete alle sue spalle. Scatoloni di cartone sembrano contenere delle

pratiche, niente computer e altre macchine nel suo ufficio (fuori sì). E’ originario di Orvieto e

la sua famiglia produce per l’appunto il vino “Orvieto” che ci mostra orgogliosamente in

bottiglia. Dice che torna due volte all’anno in Italia e raccomanda ad Alessandra di studiare

l’inglese perché a Orvieto tutti i ragazzi lo parlano correttamente.

23

Ci facciamo filmare e fotografare come grandi amici; invita me e la mia famiglia a tornare

l’anno prossimo e dice che ci offre la sua grande casa gratis! Cosa si può rispondere a fronte

di una generosità così spontanea? “May be”, “OK”, “I hope “ …

Devo incontrare Terry alle 15,00 da Ida; lo dico a David perché so che lui ci vorrebbe portare

subito a Pittsburgh per lo “shopping”. Spuntino veloce al distributore di benzina-store.

Manca ancora mezz’ora; penso che sarebbe carino comprare un regalino (“gift”) per Terry e

sua moglie e che sarebbe ancor più carino comprarlo nel negozietto di David e Barbara

(anticherie). Così infatti si fa e ci scappa qualcosa anche per noi (50 $).

Sono le 3 p.m., ma Terry non arriva e nemmeno risponde al telefono. Neppure ha telefonato a

David per disdire l’appuntamento (come eravamo d’accordo, nel caso ci fossero stati degli

inconvenienti).

Allora, via per Pittsburgh: David prende la 88 Rd; passiamo per "farm" e ville. Arriviamo in

un grande centro commerciale alla periferia della città: colmo di prodotti di ogni genere.

Contrariamente alle convinzioni più diffuse in Italia gli scaffali e i negozi sono pieni di bei

vestiti e i prezzi sono abbordabili e parecchi capi sono decisamente scontati (20,30, 40%).

David vorrebbe che comprassi parecchio; forse pensa che da noi ci sia penuria di questi

generi. Fatico a fargli capire che i gusti di mia moglie sono alquanto difficili e diversi dai miei

e che non mi azzardo a prenderle delle cose che poi mi tirerebbe dietro. Per fortuna

Alessandra mi conforta. Compro ancora un po’ di roba per le mie tre donne e poi si torna a

Monongahela. Lucy ci attende per la cena e siamo in ritardo di un’ora. Durante il viaggio di

ritorno una gradita sorpresa: Nicole sfodera una voce da cantante operistica veramente

"shokkante". Canta canzoni della lirica italiana e poi ci chiede il senso delle parole. Quando

arriviamo da Lucy consumo gli ultimi minuti della videocassetta per registrarla. Dimenticavo:

mi sembra di aver capito che David fa il poliziotto. La sua strana vecchia auto (“Impala”) ha i

sedili posteriori divisi da una robusta rete d’acciaio da quelli anteriori (ma questo potrebbe

essere solo collezionismo) e poi mi chiede se ho un “gun” (pistola) e mi mostra un distintivo

simil-poliziesco. Questo spiegherebbe meglio (forse) il suo portamento e le sue conoscenze a

360 gradi, altrimenti inspiegabili per un tipo strano come lui. Comunque sia, Lucy ci

aspettava un po’ seccata; con lei c’erano anche i genitori di Barbara: Michael (di origine

cecoslovacca) e la madre, di origine italiana. Si cena (bene) e si parla. Dimenticavo anche che

in mattinata David mi aveva fatto consegnare da Nicole un testo preparato da lui (tradotto

anche in italiano) dove si dice che con il mio viaggio nella terra su cui aveva camminato mio

nonno il cerchio si è chiuso e la famiglia è tornata a riunirsi. Se servirà aiuto a me e alla mia

famiglia, lui e la sua saranno pronti a darcelo. Si può fare a meno di commuoversi?

Alla fine della cena Lucy che ci invita a tornare (ma la litania è continua da parte di tutti) e ci

mette a disposizione la sua casa, almeno fintanto che è viva. Le rispondo che mi piacerebbe

farlo e che forse anche mia moglie potrebbe essere della stessa idea dopo che avrà visto le

immagini del video e i risultati del viaggio. Lucy aggiunge che c'è stato Terry alle 16,00 con

altri due e che si è dimenticata di dargli il regalo che le avevo lasciato. Allora proviamo a

telefonargli: segreteria telefonica. Lascio un messaggio.

Alessandra dorme di là, in sala, da mezzora. Dobbiamo proprio andare adesso, perché devo

ancora pagare l’albergo e preparare le valigie. Ci abbracciamo e salutiamo; David ci stringe

a sé e ci fa commuovere; mi prende insieme a Barbara e ci stringiamo in un cerchio di “

lucciconi”. Basta (“enought”)! Sveglio Alessandra, che saluta tutti come se fosse uno “zombie”

e partiamo.

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Nel ritorno a Charleroi passiamo davanti alla casa dei Vecho; mi ricordo che ieri avevo

promesso di passare a salutarli prima di ripartire per l’Italia. Torno indietro, lascio

Alessandra in macchina ed entro in casa per salutarli. Vogliono sapere come è stata la nostra

giornata.

John è in pigiama e Gery è assonnata. Scambiamo qualche chiacchiera. Gery ci mostra sul

tavolo della sala il vaso di fiori che le abbiamo regalato. Baci e abbracci. Dico di salutarmi

Susan e via

Porto Alessandra in camera; scendo a pagare (170 $) e Nino Giorgi mi dice che Nadia ha

telefonato due volte. Ormai è tardi per richiamarla; in Italia sono le 4,00 del mattino. Poi Nino

mi porta un bigliettino: un certo Lynn Guarinoni (forse il figlio di Luigi) ha telefonato

all’hotel perché vorrebbe parlare con me. Ormai è tardi anche per questo.

Preparo le valige. Scrivo queste ultime pagine. E’ mezzanotte passata. Domani dobbiamo

alzarci alle 8,00.

P.S.: prima di cenare da Lucy, David mi porta nel garage e mi consegna il pezzo di carbone che

avevamo raccolto nella visita a Factory St. e i due cartellini elettorali di Bush e Gore che mi

aveva proposto di appendere nel mio studio (!), da lui estirpati sul bordo della strada all’uscita

del Cimitero. Secondo David vincerà Gore. Mi chiede un pronostico; gli rispondo che non so, che

i sondaggi li danno alla pari. La vedo una cosa molto “commerciale” quella delle elezioni

presidenziali USA, ancor più di prima, adesso che ho potuto toccare con mano un pezzetto di

America.

Monongahela (2000)

04.11.2000

Si parte alle 8,30. Direzione Pittsburgh; 51 Road. Nei sobborghi imbocchiamo la 279.

Autostrade davvero americane innervano la città e si snodano sopra, sotto e a fianco di noi.

Qui le auto corrono di più che in provincia e molti sorpassano sulla destra come se niente

fosse; forse non è proibito, come da noi. L’asfalto non è dei migliori, ma si capisce subito che

non ci si fa problemi con le strade qui.

25

Ecco che ci appare la "down-town": grattacieli stile Manhattan svettano all'improvviso, tra

ponti di ferro ad arco e viadotti di cemento. Sotto di essi passano i due fiumi (il Monongahela

e l'Allegheny) che lì si congiungono e danno vita all'OHIO River. Mi sembra di ricordare che

a Pittburgh ci siano qualcosa 120 o 200 ponti. Purtroppo non possiamo filmare perché proprio

ieri sera è finita la seconda cassetta. Compreremo qualche cartolina all’aeroporto per colmare

il vuoto.

Ci affrettiamo all'aeroporto, perché dobbiamo riconsegnare l'auto, fare il pieno e passare al

check-in. Si parte con un bireattore ad elica; faccio coraggio ad Alessandra che ha qualche

timore per alcuni scossoni e contraccolpi dovuti al vento. Si arriva in due ore al J.F.K. di New

Jork, per la verità senza rendercene bene conto perché non si vedono i grattacieli classici che

evocano l'immagine canonica della "Grande Mela".

L'aeroporto di New York è un crogiuolo di genti, colori e abbigliamenti diversi. Sto leggendo

un libro di G. Sartori “Pluralismo, multiculturalismo ed estranei” e lo sento ancor più falso e

ideologico vedendo quello che vedo qui.

Vediamo solo un pezzettino dell'aeroporto che dev'essere veramente enorme. Africani,

asiatici, europei scorrono davanti a noi e noi a loro. Compro un traduttore elettronico

simultaneo in cinque lingue. Mentre attendiamo il volo per Zurigo, Alessandra passa al

setaccio il negozio di articoli elettronici di fronte al McDonald’s e io continuo la lettura del

libro.

Ci si imbarca ("shipping") e si vola, finalmente. Sotto di noi la "Grande Mela" offre di sé un

immagine notturna avvincente: un immenso formicaio di lucine. Come una base spaziale con

le luci ben ordinate. Il volo è breve: 6 ore e mezza circa. Scalo e cambio all'aeroporto di

Zurigo e l'ultima tratta su un aereo ad elica della Gandalf.

Partenza da Zurigo alle 8,50, arrivo a Orio al Serio alle 9,50.

Le Alpi sono innevatissime sul versante svizzero, meno su quello italiano. Il comandante dice

che fuori la temperatura, a 6 mila metri di altezza, è meno 37 gradi.

Eccoci arrivati. Fine della meravigliosa avventura!

by Pier Luigi Milani

* “Grazie a Maurizio Ricci per la scelta della cartina iniziale e delle foto distribuite nel testo, eccezion fatta

per quella di Terry Necciai”