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PARTE SECONDA I beni e i diritti reali 1. I beni Di cosa parleremo Questo capitolo ci permette di: •  Conoscere la nozione ed i requisiti dei beni. •    Conoscere  la  nozione  di  «frutti»,  sapendo  distinguere  i  frutti  naturali  da  quelli  civili. 1) I beni: nozione e requisiti Nell’uso comune si è soliti impiegare indifferentemente i termini «bene» e «cosa», come se fossero sinonimi, intendendo per bene qualunque mezzo capace di soddisfare un bisogno umano (1). Tuttavia, dall’art. 810 c.c., che definisce i beni come «le cose che possono formare oggetto di diritti», discende un concetto più ristretto di bene, per cui non tutte le cose che ci circondano sono considerate «beni». I beni, in senso giuridico, sono solo le cose utili o utilizzabili delle quali l’uomo può appropriarsi. Per avere rilevanza giuridica, quindi, i beni devono essere: utili, cioè idonei a soddisfare un bisogno e capaci di arrecare utilità all’uomo; accessibili, cioè suscettibili di appropriazione da parte dell’uomo con i normali mezzi a disposizione; limitati, cioè disponibili in natura in quantità limitata rispetto ai bisogni dell’uo- mo. Rispetto ad uno stesso oggetto possono esservi più titolari che vantano diritti di contenuto diverso (ad esempio, su un determinato fondo può aversi (1) L’ossigeno presente nell’atmosfera è sì una cosa utile all’uomo per la sopravvivenza, ma non è una risorsa limitata tale da richiederne l’appropriazione da parte dell’uomo, dunque, non è un bene in senso giuridico. Diverso è il discorso quando si tratta di ossigeno racchiuso in una bombola: in questo caso esso ha una sua propria utilità, è appropriabile ed è in quantità limitata. Così diventa un bene in senso giuridico.

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Parte SeConDaI beni e i diritti reali

1. I beni

Di cosa parleremo

Questo capitolo ci permette di:•  Conoscere la nozione ed i requisiti dei beni.•   Conoscere  la  nozione  di  «frutti»,  sapendo  distinguere  i  frutti  naturali  da  quelli 

civili.

1) I beni: nozione e requisiti

Nell’uso comune si è soliti impiegare indifferentemente i termini «bene» e «cosa», come se fossero sinonimi, intendendo per bene qualunque mezzo capace di soddisfare un bisogno umano (1).

Tuttavia, dall’art. 810 c.c., che definisce i beni come «le cose che possono formare oggetto di diritti», discende un concetto più ristretto di bene, per cui non tutte le cose che ci circondano sono considerate «beni».

I beni, in senso giuridico, sono solo le cose utili o utilizzabili delle quali l’uomo può appropriarsi.

Per avere rilevanza giuridica, quindi, i beni devono essere:

• utili, cioè idonei a soddisfare un bisogno e capaci di arrecare utilità all’uomo;• accessibili, cioè suscettibili di appropriazione da parte dell’uomo con i normali

mezzi a disposizione; • limitati, cioè disponibili in natura in quantità limitata rispetto ai bisogni dell’uo-

mo.

Rispetto ad uno stesso oggetto possono esservi più titolari che vantano diritti di contenuto diverso (ad esempio, su un determinato fondo può aversi

(1) L’ossigeno presente nell’atmosfera è sì una cosa utile all’uomo per la sopravvivenza, ma non è una risorsa limitata tale da richiederne l’appropriazione da parte dell’uomo, dunque, non è un bene in senso giuridico. Diverso è il discorso quando si tratta di ossigeno racchiuso in una bombola: in questo caso esso ha una sua propria utilità, è appropriabile ed è in quantità limitata. Così diventa un bene in senso giuridico.

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un soggetto che vanta un diritto di proprietà, un altro soggetto che ne è usu-fruttuario ed un altro ancora che gode di una servitù di passaggio).

Non possono, perciò, essere considerati oggetto di rapporti giuridici sia i beni inaccessibili (ad esempio, i metalli al centro della terra) sia quelli presenti in natura in quantità illimitata e di cui tutti dispongono liberamente (aria, calore solare) sia quelli non commerciabili per legge (ad esempio, i beni demaniali di proprietà dello Stato).

2) Classificazione dei beni: beni mobili e beni immobili

Si fanno diverse classificazioni dei beni. La distinzione più importante dei beni è quella tra beni mobili e beni immobili.

L’art. 812 distingue due categorie di beni immobili:

• beni immobili per natura, sono quelli che non possono essere spostati normalmente da un luogo all’altro senza che ne venga alterata la struttura e la destinazione. Tali sono, secondo l’elencazione del codice, il suolo, le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite a scopo transitorio al suolo e, in genere, tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo (art. 812, 1° comma);

• beni immobili per determinazione di legge, sono quelli che per se stessi non sarebbero da considerare «immobili», ma tali sono reputati dalla leg-ge; essi sono i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo o sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione (art. 812, 2° comma).

L’individuazione dei beni mobili si effettua per esclusione: sono beni mobili «tutti gli altri beni» (art. 812, 3° comma), cioè tutti quelli che non rientrano nelle categorie di immobili indicate dai primi due commi dell’art. 812. Si considerano, inoltre, beni mobili le energie naturali che hanno valore economico (art. 814 c.c.).

3) Il regime giuridico dei beni

Forma, pubblicità e garanzia sono tre aspetti fondamentali del regime giuridico dei beni, cioè delle modalità con cui il diritto regola la vita di essi.

Per forma intendiamo le caratteristiche che devono avere gli atti giuridici perché possano essere considerati validi e vincolanti fra le parti.

Per pubblicità intendiamo riferirci ad alcune incombenze a cui siamo tenuti se vogliamo far conoscere a tutti un nostro diritto su un bene (renderlo pubblico appunto) in modo da poterlo far valere nei confronti di chiunque altro avanzi delle pretese sul medesimo bene.

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Infine le garanzie sono diritti costituiti su un bene con cui si rafforza la possibilità di vedere soddisfatto un diritto di credito.

Per quanto concerne la forma degli atti, mentre per gli atti relativi ai beni mobili (2) vige il principio della libertà della forma, si richiede l’atto scritto per i contratti che si riferiscono ai diritti reali immobiliari. Ad esempio se voglio vendere una casa il diritto mi impone di stendere il contratto per iscritto non potendo ritenere sufficiente che per un atto di tale rilevanza basti una semplice stretta di mano o un accordo a voce fra chi vende e chi compra (art. 1350).

Relativamente alla pubblicità, va evidenziato che mentre per i beni mobili è sufficiente il possesso, perché il passaggio materiale di un bene mobile consente ai terzi di venire a conoscenza del trasferimento di esso, le vicende giuridiche riguardanti i beni immobili sono trascritte in pubblici registri, in modo da porre i terzi in condizione di conoscerle. Ad esempio, se acquisto un appartamento sarà mio interesse far trascrivere l’avvenuto acquisto sull’apposito registro, visionabile da chiunque, in modo da ren-dere pubblico che io sono il proprietario legittimo di quell’appartamento (art. 2643).

Per quanto riguarda le forme di garanzia, infine, mentre i beni mobili sono, di regola, oggetto di pegno (diritto che si costituisce mediante la consegna della cosa: art. 2786), i beni immobili sono oggetto di ipoteca (diritto di garanzia che si costituisce mediante iscrizione nei registri im-mobiliari: art. 2808). Ad esempio se ricevo un prestito per acquistare un appartamento posso rafforzare le possibilità che il mio creditore ha di vedersi restituita la somma dando garanzia attraverso l’iscrizione di una ipoteca sullo stesso immobile.

Non va dimenticato, infine, che mentre i beni mobili possono non ap-partenere a nessuno (ed essere, come si dice, nullius) e, come tali, essere suscettibili di appropriazione mediante occupazione (3), i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno diventano automaticamente di proprietà dello Stato (art. 827 c.c.).

4) Altre principali distinzioni

Oltre alla distinzione tra beni mobili e immobili, espressamente enunciata dal codice, altre distinzioni sono frutto del lavoro degli studiosi.

(2) Esistono però alcune categorie di beni mobili (automobili, navi, aerei) che per il loro parti-colare valore economico vengono assoggettati ad un regime giuridico simile a quello degli immobili (pensa, ad esempio, all’iscrizione al Pubblico Registro Automobilistico previsto per le automobili). In questi casi parliamo di beni mobili registrati.

(3) L’occupazione è la materiale presa di possesso di un bene mobile che non è mai stato di proprietà di alcuno o che è stato abbandonato dal suo vecchio proprietario.

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Secondo la loro struttura, i beni si distinguono in beni materiali e beni immateriali.

Sono beni materiali tutti i beni dotati di materialità corporea, che occu-pano uno spazio o che sono percepiti dai sensi; i beni immateriali, invece, consistono in un’idea, frutto di un processo creativo (tali sono, ad esempio, le opere dell’ingegno e le invenzioni).

Una distinzione che ha notevole rilevanza nel campo dei rapporti obbli-gatori è quella tra beni fungibili e beni infungibili.

Si dicono fungibili i beni identici gli uni agli altri o che possono consi-derarsi equivalenti per utilità e valore. In particolare, sono tali le cose che si pesano, si contano, si misurano e che, per ciò, possono essere sostituite con altre dello stesso genere (ad esempio, grano, stoffa, danaro). Infungibili sono, invece, quelle cose che non possono essere indifferentemente sostituite con altre, in quanto individuate dalle parti in relazione a un dato rapporto.

La cosa fungibile si distingue da quella generica che è la cosa individuata per la sua appartenenza a un genere e non per le sue qualità specifiche (ad esempio un ca-vallo). Se le cose generiche sono tutte fungibili, non è vero il contrario (ad esempio un libro tra quelli scritti da Pirandello indica una cosa fungibile ma non generica).

La cosa infungibile va distinta dalla cosa specifica: le cose specifiche sono quel-le prese in considerazione nella loro individualità (es. quel quadro). Una cosa spe-cifica non è sempre infungibile ad es. se viene venduta una certa maglietta di un cer-to colore e taglia, il contratto ha ad oggetto una cosa specifica ma comunque fungi-bile.

Altra distinzione è quella tra beni consumabili e beni inconsumabili.Beni consumabili sono quelli che non possono essere utilizzati senza

essere consumati, fisicamente (ad esempio, il cibo o i combustibili) o eco-nomicamente (ad esempio, il denaro); tali beni sono anche detti beni ad utilità semplice appunto perché si prestano ad essere usati una sola volta. Beni inconsumabili, invece, sono quelli che si prestano ad una utiliz-zazione continuata, senza che restino distrutte o alterate (ad esempio, un fondo) ed indipendentemente dal fatto che, con l’uso, si deteriorino (ad esempio, i vestiti).

Si distinguono, inoltre, i beni divisibili da quelli indivisibili.Beni divisibili sono i beni che possono essere frazionati in modo omo-

geneo, senza che se ne alteri la destinazione economica, ed in modo che ciascuna delle parti rappresenti una porzione del tutto (ad esempio, il denaro, bene divisibile per eccellenza; un edificio diviso in piani); individisbili sono tutti gli altri beni (ad esempio un cavallo vivo è un bene indivisibile poiché una zampa non rappresenta una porzione del tutto).

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La indivisibilità di un bene può derivare dalla natura dello stesso (ad esempio, un orologio funzionante), dalla volontà delle parti o dalla legge (ad esempio, le scale comuni di un edificio in condominio).

5) Rapporti tra beni: pertinenze

Sotto il profilo del rapporto con gli altri beni, occorre distinguere cose semplici, cose composte (4) e cose connesse.

Cose semplici sono beni unici, dotati di una propria autonoma utilità (ad esempio, una pianta, un animale); cose composte sono quelle formate da più cose semplici, unite tra loro in modo da perdere la propria autonomia e in modo che non possono essere più godute separatamente (ad esempio, una casa, un’automobile).

Si ha, invece, connessione quando due o più cose vengono poste in rela-zione tra loro, ma è possibile distinguere una cosa principale ed una accessoria. Figure di connessione sono l’incorporazione e la pertinenza.

Si ha incorporazione quando una cosa mobile è naturalmente o artificial-mente compenetrata in un’altra (immobile). Il termine sta ad indicare, dunque, un processo di «immobiliazione», in virtù del quale le cose mobili incorporate perdono la propria individualità economica e giuridica e seguono il regime giuridico del bene immobile cui sono incorporate (art. 812 c.c.).

L’art. 817 del codice civile definisce le pertinenze come «le cose destinate in modo durevole al servizio o ad ornamento di un’altra cosa».

Due elementi caratterizzano la pertinenza (5):

• uno oggettivo, che è dato dalla destinazione della cosa al servizio e ornamento di un’altra cosa;

• uno soggettivo, che è dato dalla volontà di operare questa destinazione. È legit-timato ad effettuare tale destinazione il proprietario della cosa principale o chi è titolare di un diritto reale sulla medesima.

La destinazione, a sua volta, presenta due requisiti:

• deve essere «al servizio o ornamento» della cosa principale: la pertinenza può essere adibita all’utilità della cosa principale (ad es. area riservata a

(4) Una pianta o una porta sono cose semplici. Un’automobile è una cosa composta: è il risultato, infatti, dell’assembramento di numerosi elementi complementari fra loro (freno, pedali, volante, leva del cambio, carrozzeria, pneumatici etc.) e quindi necessari perché l’automobile possa definirsi tale.

(5) La cornice è una pertinenza del quadro, gli attrezzi, i macchinari, le sementi e il bestiame da lavoro sono pertinenze del fondo agricolo, il box per le auto e il giardino sono pertinenze della casa.

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parcheggio), se al servizio di questa, o soltanto a bisogni voluttuari, se di ornamento;

• deve essere «durevole», deve, cioè, durare per tutto il tempo necessario a soddisfare la finalità obiettiva per cui la pertinenza è stata posta in essere.

La pertinenza forma, con la cosa principale, un’unità in senso econo-mico; ne consegue che essa è sottoposta allo stesso regime giuridico della cosa principale, senza però escludere che possa formare oggetto di autonomi rapporti (art. 818, 1° e 2° comma). Pertanto, la compravendita di un bene si riferisce anche alle pertinenze, pur se di queste non si fa riferimento nel contratto purché le parti non manifestino una diversa volontà.

Il rapporto di pertinenza cessa col venir meno della destinazione, col perimento della cosa principale o della pertinenza o con la sopravvenuta inidoneità della pertinenza ad adempiere alla sua funzione.

Quanto alle figure più note di pertinenza, sono da ricordare le pertinenze del fon-do agricolo (strumenti rurali, utensili, sementi) e le pertinenze industriali (suppellettili dell’albergo, arredi dei cinematografi, cabine, ombrelloni e sedie di uno stabilimento balneare). Quanto agli immobili urbani, ne sono pertinenze le serrature e le chiavi, gli ascensori ed i montacarichi, le pompe antincendio etc.

Sono pertinenze anche le cose mobili poste a servizio o ornamento di altre cose mo-bili. Se Francesco vende la sua nave a Gianluca senza stabilire altro, Francesco avrà ven-duto anche la scialuppa che ne è pertinenza ma Francesco e Gianluca possono anche accordarsi perché Francesco tenga la scialuppa.

6) Le universalità

Le universalità sono costituite da un complesso di cose che appartengono alla stessa persona ed hanno una destinazione unitaria (ad esempio, un gregge, una biblioteca) (art. 816 c.c.) (6).

Le universalità di mobili costituiscono un’entità nuova dal punto di vista economico-sociale; infatti, l’universalità ha nel suo insieme un va-lore economico maggiore rispetto alla somma dei valori di ciascun bene isolatamente considerato. Se vendo la mia collezione completa di fumetti, ad esempio, riceverò una somma di danaro maggiore che se vendessi i singoli numeri (7).

(6) Una collezione di francobolli o di monete, un gregge, una biblioteca.Il proprietario di una collezione di francobolli può, infatti, vendere l’intera collezione o anche

solo un francobollo.(7) Altra cosa è la universalità di diritto (in latino universitas iuris), che si verifica quando

una pluralità di rapporti giuridici (non di cose) è considerata e regolata unitariamente dalla legge.L’esempio più importante di universitas iuris è l’eredità che è costituita dal complesso di diritti

ed obblighi che in precedenza facevano capo al defunto.

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Si distinguono sia dalle cose composte, perché mancano di quella coesione fisica tra loro (che è, invece, caratteristica delle cose composte) sia dalle pertinenze, in quanto non è configurabile quel rapporto di subordinazione (ornamento o servizio) tipico dei complessi pertinenziali.

Tre sono gli elementi che caratterizzano l’universalità:

• una pluralità di cose mobili;• una destinazione unitaria, nel senso che le cose che compongono l’univer-

salità, pur avendo ciascuna un proprio distinto valore economico assolvono una funzione comune (così i libri di una biblioteca);

• l’appartenenza al medesimo soggetto.

Le singole cose che compongono l’universalità non perdono, per effetto dell’unitarietà della destinazione, la loro autonomia, per cui possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici (art. 816, 2° comma c.c.).

Il patrimonio

Il patrimonio è costituito da un insieme di rapporti giuridici attivi e passivi (diritti ed obblighi) facenti capo ad una persona (c.d. titolare) e valutabili economicamente.La nozione giuridica di patrimonio è, dunque, più vasta di quella di uso comune; infatti, in senso giuridico è titolare di un patrimonio anche colui che ha solo debiti, in quanto è soggetto passivo di rapporti giuridici.

7) I frutti

I beni produttivi sono quelli che danno vita a nuove cose che vengono definite frutti (8).

Per frutto si intende il prodotto derivante da un bene (cosa madre, che resta inalterata).

Distinguiamo due tipi di frutti: i frutti naturali e quelli civili.

Frutti naturali. Sono quelli che provengono direttamente dalla cosa, indi-pendentemente dall’opera dell’uomo (ad esempio, i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere); essi diventano beni autonomi solo al momento della separazione dalla cosa madre. Sono sottoposti ad una particolare disciplina, in quanto:

• appartengono al proprietario della cosa che li produce (art. 821 c.c.);

(8) Gli interessi che una banca percepisce per aver concesso un mutuo sono frutti civili (del danaro dato in prestito), i canoni di locazione percepiti dal proprietario di una casa concessa in fitto sono frutti civili dell’immobile.

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• la loro proprietà può essere attribuita ad altri, dalla legge (ad esempio, all’usufruttuario: art. 984) o in base ad un contratto. In questo caso la proprietà si acquista con la separazione;

• possono essere oggetto di disposizione, come beni futuri, indipendente-mente dalla cosa-madre, anche prima della separazione. In questo caso, però, l’efficacia dell’atto di disposizione è subordinata alla separazione, cioè al momento in cui i frutti acquistano esistenza autonoma (art. 1472).

Frutti civili. Sono quelli che derivano dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri soggetti ottengono dalla cosa stessa (ad esempio, interessi, pigioni, canoni).

I frutti civili debbono presentare il carattere della periodicità; essi si acqui-stano col decorso del tempo («giorno per giorno», cioè con la maturazione) in proporzione alla durata del diritto.

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Parte QuartaIl contratto

1. Il contratto in generale

Di cosa parleremo

Questo capitolo ci permette di:•  Conoscere la distinzione tra fatti, atti e negozi giuridici.•  Definire l’autonomia contrattuale e i suoi limiti.

1) Fatti, atti e negozi giuridici

Non tutti i comportamenti umani sono rilevanti per il diritto: alcune azioni possono avere rilievo sotto un profilo morale, sociale o religioso ed essere però completamente ignorate dalla legge (cedere il posto ad una persona anziana nell’autobus è sicuramente lodevole sul piano sociale e morale, ma è totalmente irrilevante per il diritto).

Quando invece ad un determinato evento la legge riconduce uno o più effetti allora si parla di fatto giuridico. Possiamo perciò definire il fatto giuridico come qualsiasi fatto al quale una norma giuridica collega un de-terminato effetto.

Nell’ambito dei fatti giuridici si distingue tra fatti giuridici in senso stretto, intesi come quegli eventi il cui verificarsi è del tutto indipendente dalla volontà umana e che pure hanno conseguenze rilevanti sul piano del diritto (ad esempio la morte di una persona comporta la successione nel suo patrimonio) ed atti giuridici in cui rientrano, invece, gli eventi derivati da una attività umana consapevole e voluta, posta in essere da un soggetto capace di intendere e di volere, cui l’ordinamento attribuisce valore giuridico.

Quando i comportamenti umani sono conformi alle prescrizioni di diritto si parla di atti leciti, mentre, al contrario, se il comportamento è vietato dalla legge si parla di atti illeciti.

Nell’ambito della categoria degli atti giuridici leciti si distingue, ulterior-mente, fra atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici. Ciò che li distingue è la volontà della persona che pone in essere quel comportamento, poiché nell’atto giuridico in senso stretto l’agente vuole solo porre in essere

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l’atto, mentre gli effetti giuridici sono prodotti dalla legge indipendentemente dalla volontà del soggetto.

Nel negozio giuridico, invece, il soggetto vuole non solo porre in essere un atto, ma avvalersi proprio degli effetti che la legge riconduce a quel de-terminato comportamento.

Il negozio giuridico, pertanto, può essere definito come ogni manifestazio-ne di volontà dell’uomo finalizzata ad avvalersi degli effetti che l’ordinamento giuridico ad essa riconduce.

Il contratto è un tipo di negozio giuridico, un negozio giuridico plurila-terale e dal contenuto patrimoniale.

2) La nozione di contratto

Il contratto è, tra le fonti delle obbligazioni, di preminente importanza, al quale frequentemente si ricorre per l’attuazione dei più diversi scopi della vita economica.

Il codice civile del 1942 non definisce la categoria generale del negozio giuridico, ma parla solo di «contratto». L’art. 1321 definisce il contratto come «l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale».

Il contratto è un negozio giuridico, necessariamente bilaterale o pluri-laterale con la funzione di costituire (nel senso di incidere sulla situazione e sugli interessi delle parti introducendo un nuovo rapporto), regolare (cioè apportare una qualsiasi modificazione ad un rapporto già esistente) o estinguere (nel senso di porre fine ad un rapporto preesistente) un rapporto giuridico patrimoniale.

Il requisito della patrimonialità distingue il contratto da altri negozi giuri-dici, quali quelli relativi ai rapporti di famiglia come ad esempio, il matrimonio.

3) Gli elementi del contratto in generale

Relativamente agli elementi costitutivi del contratto si distingue tra elementi essenziali, elementi accidentali ed elementi naturali.

Elementi essenziali sono quelli che debbono necessariamente sussistere perché un contratto possa ritenersi esistente e sono perciò comuni a tutti i con-tratti; ne consegue che la loro mancanza incide, come si dirà più ampiamente in seguito, sulla loro validità, consentendo di dichiararne la nullità (1). Gli elementi essenziali del contratto sono indicati nell’art. 1325 c.c.

(1) La dichiarazione di nullità rende il contratto totalmente improduttivo di effetti come se non fosse mai venuto ad esistenza. Essa consegue ad una pronuncia del giudice su richiesta di chiunque abbia interesse a porre nel nulla il contratto.

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Elementi accidentali, invece, sono quelli che non debbono necessaria-mente essere presenti, ma che le parti, in base al principio dell’autonomia contrattuale, sono del tutto libere di inserire o meno nel contratto (2).

Elementi naturali del contratto

Si parla anche di elementi naturali (così, ad esempio, nella compravendita è elemento naturale la ). Anche se, non si tratta di veri e propri elementi, quanto piuttosto di effetti impliciti di particolari figure con-trattuali, come è dimostrato dalla circostanza che non dovranno essere richiamati dalle parti.

4) Gli elementi essenziali del contratto

L’art. 1325 c.c. enuncia gli elementi essenziali del contratto, individuandoli nell’accordo delle parti, nella causa, nell’oggetto e nella forma (quando è richiesta dalla legge a pena di nullità).

Accordo delle parti. Primo e fondamentale elemento costitutivo di qualsiasi contratto è l’accordo o consenso delle parti. Per la nascita di un contratto occorrono, infatti, due o più concordi manifestazioni di volontà (sul meccanismo di perfezionamento del vincolo contrattuale diremo più ampiamente in seguito).

Occorre cioè una proposta e un’accettazione della proposta (su cui vedi Cap. 2).

Causa. La causa è prevista dal secondo punto dell’art. 1325 come uno degli elementi essenziali del contratto.

Essa viene definita come la funzione economico-sociale che il contratto persegue ovvero lo scopo obiettivo del contratto (così, ad esempio, nel contrat-to di compravendita: lo scambio del bene in cambio del corrispettivo; nella locazione: il godimento del bene locato contro il corrispettivo etc.).

Non vanno confusi con la causa i motivi, cioè gli scopi individuali che hanno indotto le parti alla conclusione del contratto.

A differenza della causa, elemento tipico e costante di ogni fattispecie contrattuale, i motivi possono essere i più vari; ad esempio, nella compraven-dita, la causa è unica ed è rappresentata dallo scambio della cosa venduta con il prezzo, i motivi sono rappresentati dai diversi possibili impieghi del

(2) A differenza degli elementi essenziali, non incidono sul piano della validità del contratto, ma ne condizionano l’efficacia, nel senso di incidere sulla produzione o meno dei suoi effetti. I principali elementi accidentali, prevedibili dalle parti in occasione della stipulazione di qualsiasi fattispecie contrattuale, sono la condizione e il termine.

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denaro ottenuto da parte del venditore e della cosa acquistata da parte del compratore.

Mentre la causa, in quanto elemento essenziale del contratto, incide sulla sua validità (l’art. 1418, 2° comma, precisa che produce nullità del contratto la mancanza o la illiceità della causa), i motivi sono normalmente irrilevanti, salvo che in alcuni casi eccezionali espressamente previsti dalla legge.

L’illiceità dei motivi produce nullità del contratto, come si dirà in seguito, nel caso previsto dall’art. 1345, il quale stabilisce che «il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe».

Oggetto. Oggetto del contratto è la cosa o, più in generale, il diritto (reale o di credito) che il contratto trasferisce da una parte all’altra ovvero la prestazione che una parte si obbliga ad eseguire in favore dell’altra (così, ad esempio, nel contratto di compravendita abbiamo un duplice oggetto: la prestazione del venditore di consegnare la cosa e quella del compratore di pagarne il prezzo).

I requisiti dell’oggetto sono indicati nell’art. 1346, ai sensi del quale l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito e determinato o determinabile.

L’oggetto è possibile quando nella realtà fisica la cosa già esiste o può comunque venire ad esistenza (l’art. 1348 precisa, infatti, che anche un bene futuro può formare oggetto di un contratto) ovvero, se si tratta di un compor-tamento umano, quando questo è idoneo a conseguire il risultato dedotto nel contratto. È ad esempio impossibile oggetto di compravendita dal punto di vista giuridico un bene demaniale (es. beni dello Stato), è invece impossibile materialmente l’impegno di vedere un bene distrutto.

L’oggetto è lecito quando non è contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Anche la cessione di un certo quantitativo di stupefacenti è, in sé, una vendita, ma è evidente che si tratta di un contratto nullo per illiceità dell’oggetto.

L’oggetto, infine, è determinato quando è indicato dalle parti nella qua-lità e nella quantità in modo esauriente, mentre è determinabile quando i criteri di individuazione della sua qualità e quantità sono enunciati nel con-tratto stesso o altrimenti ricavabili (ad esem pio, facendo riferimento al prezzo corrente di mercato).

I requisiti dell’oggetto sono richiesti al momento della produzione degli effetti del contratto stesso. Dispone, infatti, l’art. 1347 che «il contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine è valido, se la prestazione ini-zialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine».

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L’art. 1349 prevede, infine, che le parti possano conferire ad un terzo il potere di determinare l’oggetto del contratto (ad esempio, la misura del prezzo); si parla, in questo caso, di «arbitraggio» ed il terzo viene detto «arbitratore».

Forma. Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della for-ma, in base al quale le parti sono libere di scegliere il modo di manifestazione della volontà.

La forma è un requisito (o elemento) essenziale del contratto «quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità» (art. 1325, 4° comma).

La forma, dunque, non è un elemento essenziale di tutti i contratti, ma soltanto di quelli per la validità dei quali la legge richiede ed impone una determinata forma; si parla, in tal caso, di forma «ad substantiam», perché riguarda l’essenza del contratto.

La forma «ad substantiam» richiesta per alcuni contratti (perciò detti formali o solenni), rappresenta un onere per le parti, poiché senza di essa non possono realizzare il loro intento poiché il contratto privo della forma necessaria è nullo.

Nell’art. 1350 sono elencati gli atti che devono «farsi per iscritto» sotto pena di nullità (si tratta, in massima parte, dei contratti relativi ai beni immobili, come ad esempio il contratto di compravendita di una casa). L’espressione «atti che devono farsi per iscritto» si riferisce o all’atto pubblico (3) (art. 2699) o alla scrittura privata (4) (art. 2702), ossia alle due forme scritte previste nel nostro ordinamento.

L’obbligo di una forma «ad substantiam» risponde ad una duplice esigenza: richiamare l’attenzione del dichiarante sull’importanza dell’atto che compie e predisporre una documentazione per dare certezza all’atto che si compie.

In alcuni casi la forma è richiesta non ai fini della validità ma «ai fini della prova»: si usa, in tal caso, l’espressione latina «ad probationem». Ciò significa che il contratto, anche se non è stipulato nella forma richiesta, è valido ed efficace e la forma scritta è necessaria solo per provarlo.

I principali casi di forma richiesta «ad probationem» riguardano il contratto di assicurazione (art. 1888, 1° comma), al contratto di transazione (art. 1967), ai contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda (art. 2556).

(3) L’atto pubblico è il documento redatto seguendo particolari formalità da un pubblico uf-ficiale (es. il notaio).

(4) La scrittura privata è il documento scritto e sottoscritto dagli autori della dichiarazione.

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Un esempio significativo di forma scritta ad probationem è rappresentato dai con-tratti di trasferimento di beni mobili registrati (automobili, navi). Come si desume dall’art. 1350, per tali atti non è richiesta forma scritta a pena di nullità. Tuttavia, poiché si trat-ta di atti relativi a beni che sono soggetti ad un particolare regime di pubblicità, l’one-re del rispetto della forma scritta è determinato dalla esigenza di poter trascrivere l’at-to e di conseguirne i corrispondenti benefici.

La necessità del rispetto di una determinata forma a pena di nullità può dipendere dalla stessa volontà delle parti (c.d. forma convenzionale), le quali intendano impegnarsi ad osservare modalità particolari nel concludere un successivo contratto.

5) L’autonomia contrattuale (art. 1322)

La possibilità riconosciuta ai soggetti privati di curare i propri interessi attraverso la conclusione di contratti viene definita «autonomia contrattuale».

Il significato dell’espressione emerge con chiarezza dalla lettura dell’art. 1322 c.c., secondo il quale «le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge».

Malgrado l’esclusivo riferimento alla libertà di determinare il contenuto del contratto, l’art. 1322 concede una vasta gamma di libertà ai privati: la libertà di concludere il contratto, la libertà di determinarne il contenuto, la libertà di scegliere il contraente, la libertà di concludere contratti non appartenenti alle categorie previste dalla legge (cd. contratti atipici), la libertà di determinare la forma dell’atto, la libertà di agire a mezzo di sostituti, la libertà di inserire nel contratto elementi accidentali etc.

6) Limiti all’autonomia contrattuale

Va tenuto presente che il principio dell’autonomia contrattuale può essere ridimensionato da numerosi limiti all’esplicazione della libertà contrattuale dei privati, il primo è nell’obbligo a contrarre.

Tale obbligo può provenire dalla volontà delle parti (come, ad esempio, nel caso del contratto preliminare che, una volta stipulato, impegna le parti a porre in essere, in un momento successivo, il contratto definitivo: art. 1351), ovvero può derivare dalla legge (c.d. obbligo legale a contrarre) con riguardo alle sole imprese che operano in regime di monopolio legale (art. 2597) e, specificamente, nel settore dei pubblici servizi (si pensi alle imprese assicuratrici, che non possono rifiutarsi di stipulare un contratto per l’assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e dei natanti). In questi casi, anzi, alla parte cui viene rifiutato il contratto è concessa dalla legge la

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possibilità di ottenere una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso (art. 2932).

7) La classificazione dei contratti

Al riguardo esiste una molteplicità di criteri distintivi. Con riguardo alle modalità di perfezionamento del vincolo contrattuale,

si distingue tra contratti consensuali e contratti reali.I contratti consensuali, che costituiscono la maggioranza, si perfezio-

nano con il semplice consenso, mentre i contratti reali richiedono, per il loro perfezionarsi, oltre al consenso delle parti, anche la consegna (in latino traditio) della cosa che, pertanto, si presenta non come un effetto obbligatorio del contratto, ma come un elemento costitutivo dello stesso.

La legge stabilisce per questi ultimi il numero chiuso (numerus clausus), per cui le parti non possono creare altre figure oltre quelle tipicamente pre-viste dalla legge tra cui si ricordano: la donazione di modico valore (art. 783, 1° comma), il contratto estimatorio (5) (art. 1556), il comodato (art. 1806), il mutuo (art. 1813), il contratto costitutivo di pegno (art. 2786, 1° comma), il deposito (art. 1766).

Con riguardo agli effetti, si distingue tra contratti ad effetti reali e contratti ad effetti obbligatori. I contratti ad efficacia reale (o traslativi) sono quelli che producono come effetto il trasferimento della proprietà di un bene o la costituzione o il trasferimento di un diritto reale su cosa altrui ovvero il trasferimento di un altro diritto; i contratti ad efficacia obbligatoria (o obbligatori) sono quelli che danno luogo alla nascita di un rapporto ob-bligatorio, cioè non fanno sorgere diritti reali, ma solo diritti personali di obbligazione (pensa, ad esempio, ad un contratto di locazione, di appalto, di mandato ecc.).

Con riguardo al momento di produzione degli effetti contrattuali ed al loro perdurare nel tempo, si distingue tra contratti ad esecuzione istantanea e contratti di durata.

I contratti ad esecuzione istantanea sono quelli che esauriscono i loro effetti in un solo momento.

I contratti di durata sono quelli la cui esecuzione si protrae nel tempo per soddisfare un bisogno del creditore che si estende anch’esso nel tempo. Essi si distinguono in contratti ad esecuzione continuata, in cui la prestazione è unica ed ininterrotta nel tempo (ad esempio, locazione, affitto, comodato), e contratti ad esecuzione periodica, in cui si hanno più prestazioni, che sono

(5) È il contratto con cui una parte consegna una o più cose mobili all’altra e questa si obbliga a pagare il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito.

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ricorrenti a date prestabilite (ad esempio, rendita, contratto vitalizio) oppure saltuarie, su richiesta di una delle parti (ad esempio, consegna di bevande ad un bar).

In considerazione della esistenza o meno di un corrispettivo alla pre-stazione di una delle parti, si distingue tra contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito. I contratti a titolo oneroso, o più semplicemente onerosi, sono quelli in cui all’attribuzione in favore di un soggetto fa riscontro un corrispettivo a carico dello stesso (ad esempio, compravendita); i contratti a titolo gratuito, o gratuiti, sono quelli in cui manca tale corrispettivo, essendo il contratto diretto ad accrescere il patrimonio altrui senza controprestazione (ad esempio, donazione).

La distinzione tra contratti onerosi e contratti gratuiti incide sulla loro disciplina. Infatti, l’acquirente a titolo gratuito è generalmente protetto meno intensamente rispetto a quello a titolo oneroso.

Riguardo al rapporto tra prestazione e controprestazione, si distin-guono contratti a prestazioni corrispettive (o sinallagmatici), contratti con obbligazioni a carico di una sola parte (o unilaterali).

I contratti a prestazioni corrispettive sono caratterizzati dal fatto che il contratto genera due attribuzioni patrimoniali contrapposte e ciascuna delle parti è tenuta ad una prestazione (vi è, cioè, prestazione e contropre-stazione); inoltre tra le due prestazioni si stabilisce un nesso di corrispettività (sinallagma) che consiste nella interdipendenza fra esse, per cui ciascuna parte non è tenuta alla propria prestazione se non è effettuata la prestazione dell’altra parte.

I contratti con obbligazioni a carico di una sola parte (o unilaterali) sono quei contratti che, pur implicando l’esistenza di due parti e di due distinte dichiarazioni di volontà, generano l’obbligo della prestazione per una sola parte, che si trova nella posizione esclusiva di debitore (ad esempio, donazione, mutuo senza interesse).

Riguardo al carattere dell’equilibrio fra le prestazioni in taluni contratti, si distingue tra contratti commutativi e contratti aleatori.

I contratti commutativi sono quelli in cui non solo vi è un nesso di corrispettività tra le prestazioni, ma anche fra il valore economico di esse. Tali contratti hanno, pertanto, la funzione di attuare uno scambio tra prestazioni considerate economicamente equivalenti, per cui ciascuna parte conosce l’entità del vantaggio e del sacrificio che riceverà dal contratto.

I contratti aleatori sono quelli nei quali alla prestazione certa di una parte corrisponde una prestazione incerta dell’altra (ad esempio, assicurazione) o nei quali vi è incertezza per entrambe le parti (ad esempio, scommessa). Pertanto,

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all’atto della stipulazione, non è nota l’entità del sacrificio o del vantaggio cui ciascuna parte si espone. L’incertezza può, di volta in volta, riguardare una delle prestazioni (ad esempio, assicurazione), l’individuazione della parte che deve eseguire la prestazione (ad esempio, scommessa), la misura della prestazione (ad esempio, rendita vitalizia).

In relazione alla forma, si distinguono contratti solenni (o formali) e contratti non solenni. I contratti solenni sono quelli per i quali la leg-ge impone il rispetto di una determinata forma (così, ad esempio, per la compravendita di immobili è richiesta la forma scritta a pena di nullità); i contratti non solenni, invece, sono quelli per i quali le parti sono libere di scegliere qualsiasi modalità di esternazione della volontà, senza il rispetto di alcuna formalità.