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MARLON DE AZAMBUJA (Brasile) ELENA MAZZI (Italia) ESTEFANÍA PEÑAFIEL LOAIZA (Ecuador) JUAN ESTEBAN SANDOVAL (Colombia) ÓSCAR SANTILLÁN (Ecuador) a cura di Rosa Jijón, Segretaria Culturale IILA PARADISO In collaborazione con Si ringrazia: IRI Real Estate | Investimenti e compravendite immobiliari Galerie Mario Mazzoli GmbH Galleria Ex-Elettrofonica Casale del Giglio AlbumArte Via Flaminia 122, 00196 Roma www.albumarte.org 8 marzo | 21 aprile 2018 AlbumArte Via Flaminia 122, 00196 Roma T/F +39063243882 E [email protected] W www.albumarte.org Orari | dal martedì al sabato ore 15:00 – 19:00 o su appuntamento 8 marzo | 21 aprile 2018

PARADISO - albumarte.org · PARADISO Il paradiso è generalmente localizzato in una regione lontana e indefinita, rigorosamente separata dal mondo ... sensuale e dal Paradiso perduto

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MARLON DE AZAMBUJA (Brasile) ELENA MAZZI (Italia)ESTEFANÍA PEÑAFIEL LOAIZA (Ecuador)JUAN ESTEBAN SANDOVAL (Colombia)ÓSCAR SANTILLÁN (Ecuador)

a cura di Rosa Jijón, Segretaria Culturale IILA

PARADISO

In collaborazione con

Si ringrazia:

IRI Real Estate | Investimenti e compravendite immobiliariGalerie Mario Mazzoli GmbHGalleria Ex-ElettrofonicaCasale del Giglio

AlbumArteVia Flaminia 122, 00196 Roma www.albumarte.org

8 marzo | 21 aprile 2018

AlbumArteVia Flaminia 122, 00196 Roma T/F +39063243882E [email protected] W www.albumarte.org

Orari | dal martedì al sabato ore 15:00 – 19:00 o su appuntamento

8 marzo | 21 aprile 2018

PARADISO

Il paradiso è generalmente localizzato in una regione lontana e indefinita, rigorosamente separata dal mondo dei mortali e raggiungibile solo correndo rischi terribili.

Molto spesso si trova ai confini della terra, in genere a occidente (così nel buddhismo cinese e giapponese); spesso è al di là dei mari, nelle Isole dei beati, l'accesso alle quali, secondo la religione assiro-babilonese, è riservato ad alcuni privilegiati; si trovano anche nella religione greca e romana.

www.treccani.it

IILA – Organizzazione internazionale italo-latino americana è un Organismo internazionale intergovernativo con sede in Roma. Ne sono membri l’Italia e le venti Repubbliche dell’America Latina (Argentina, Stato Plurinazionale di Boliv-ia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salva-dor, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay e Repubblica Bolivariana del Venezuela) ai sensi della Conven-zione Internazionale �rmata il 1° giugno 1966 ed entrata in vigore l’11 dicembre dello stesso anno a seguito alla rati�ca degli Stati Membri.L’IILA è Osservatore Permanente presso l’Assemblea Gener-ale delle Nazioni Unite e per lo svolgimento delle sue attività collabora con organismi intergovernativi, istituzioni ed enti specializzati che si occupano dell’America Latina: Commissi-one Europea, Unesco, Banca Interamericana di Sviluppo, Organizzazione degli Stati Americani, Associazione Latino-Americana di Integrazione, Unione Latina, Sistema Economico Latinoamericano, Segreteria Generale Iberoamericana, ed altri.In conformità delle �nalità istituzionali, l’IILA organizza manifestazioni e svolge attività che illustrano e promuovo-no il processo evolutivo dell’America Latina nei campi sociale, economico, culturale e tecnico-scienti�co, realizza programmi di cooperazione allo sviluppo con l’appoggio del Ministero A�ari Esteri d’Italia, costituendo, allo stesso tempo, attraverso speci�che strutture – Centro Studi, Docu-mentazione e Biblioteca – un’importante fonte di informazi-one sull’America Latina.La missione della Segreteria Culturale dell’IILA è il sostegno ad iniziative culturali e la produzione di conoscenza per la costruzione ed il ra�orzamento di società libere e solidali. L’IILA promuove e di�onde la cultura latinoamericana e caraibica, ed al contempo incentiva l’apertura della regione latinoamericana verso l’Italia e l’Europa, attraverso i suoi principali punti di forza, la sua diversità, la sua appartenenza al presente, la sua storia magni�ca, i suoi artisti, il suo sguar-do verso il futuro. Arti visive, sceniche, musica, architettura, design, cinema, letteratura, fotogra�a, sono alcune delle forme espressive di cui ci occupiamo. Il lavoro congiunto di squadra è la nostra modalità di gestione, il nostro �ne la partecipazione degli attori culturali italiani, latinoamericani e caraibici.

SIAMO ANCORA IN PARADISO?

Sono stati numerosi gli artisti internazionali invitati in questi anni ad AlbumArte e arrivavano da vari Paesi, non solo europei, portando insieme alle loro opere, sempre site speci�c o inedite, uno sguardo molto interessante, che arrivava da angolazioni diverse di realtà, producendo visioni sensibilmente di�erenti. Gli artisti stranieri sono sempre entusiasti di lavorare in Italia e parlano di Roma con lo sguardo incantato. Ogni volta che un artista arriva ad allestire la sua mostra in questi luoghi, dove, specialmente nel campo dell’arte, molta della storia di tutti è accaduta nei secoli, è felice e sembra godere di uno stato di quasi infan-tile eccitazione. A vederli sembra che lo sguardo sia rimasto lo stesso di quello che posavano su Roma all’epoca del Grand Tour, quando per un intellettuale, venire in Italia e visitare le sue preziose città, era assolutamente fondamen-tale per la sua formazione. Riguardo agli artisti provenienti dall’America Latina, nel 2015 AlbumArte ha ospitato una giovanissima artista colombiana all’interno della mostra dei �nalisti di un concorso internazionale, che poi vinse il secon-do premio, María Jimena Herrera. Nel 2017 invece, l’incontro con l’artista messicana Teresa Margolles, che ha portato la sua preziosa e so�erta testimonianza, riguardo alla violenza subita da moltissime donne in alcune zone del Messico. Questa è però la prima volta che da quella parte del mondo, così vitale e in trasformazione, accogliamo quattro artisti insieme e ne sono molto �era, ringraziando le istituzioni che hanno supportato il progetto: l’IILA – Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana e le Ambasciate di Brasile, Colombia ed Ecuador in Italia.

PARADISO è una mostra che riunisce quattro artisti latino americani che vivono e lavorano in Europa, Estefanía Peña-�el Loaiza e Óscar Santillán dall’Ecuador, Marlon de Azam-buja dal Brasile, Juan Esteban Sandoval dalla Colombia e un’artista italiana a�ne alla loro poetica, la giovane Elena

Mazzi. La curatrice della mostra, Rosa Jijón, che è anche artista e viene dall’Ecuador, vivendo ora a Roma, dov’è Segretaria Culturale dell’IILA, per questa mostra prende spunto, come lei stessa cita, dai vari concetti che si riferiscono al Paradiso: dalla cantica del Paradiso nella Divina Commedia di Dante, dov’è sacro, dal Paradiso di José Lezama Lima, dove è sensuale e dal Paradiso perduto di John Milton, volendo in questa occasione, introdurre e rovesciare parte del concetto di luogo ideale. La parola Paradiso rimanda al concetto che i colonizzatori avevano dell’America Latina, un territorio vergine dove la natura era meravigliosamente inviolata e rigogliosa, dove la gente viveva secondo schemi semplici e tutto accadeva secondo altri parametri da quelli rigidi del vecchio conti-nente. Per chi viveva in Europa, quei luoghi sono stati interpretati per secoli, principalmente come i luoghi del sogno, dell’idea della vita perfetta, dell’abbondanza e della semplicità, oltre che come idea di fuga dalle imposizioni e dalle regole della civiltà conosciuta. Poco interessava la reale condizione di chi ci viveva perché nell’immaginario collettivo, o di chi poteva arrivare a immaginarlo, quella parte del nuovo continente, doveva continuare ad assomi-gliare all’Eden, appunto, il Paradiso terrestre, un luogo e uno stato di indisturbata felicità. In nome di quel Paradiso molte ingiustizie furono compiute dai colonizzatori, che nel sedicesimo secolo, combatterono contro popolazioni praticamente inermi. Quando sono stata in Perù, in Cile, in Brasile e in Argentina, ho visto testimonianze di come all’epoca, solo il luccicare dell’ arma-tura dei soldati conquistatori, inibisse a tal punto la popolazione, da non voler combattere, pensando che quel riverbero fosse la luce di un Dio. E non fu paradisiaco neanche lo sfruttamento delle risorse, specialmente miner-arie, da parte dei nuovi padroni, che, come sempre in queste storie, depredarono quanto poterono. E non furono certo

un Paradiso le tragiche dittature che si sono imposte nell’era moderna, delle quali mi auguro sia sempre vivo il ricordo delle vittime e dell’e�erata violenza dei regimi.Oggi che l’America Latina vive un’epoca di fermento, cercan-do di liberarsi dalle imposizioni economiche delle superpo-tenze straniere e che tenta di istaurare varie forme di democrazia, forse non è più un Paradiso naturale o immagi-nario, ma senz’altro un luogo di rinascita delle idee. Quel luogo che per secoli abbiamo ritenuto essere uno speciale Paradiso terrestre, è diventato oggi un insieme di nazioni indipendenti che stanno costruendo un momento speri-mentale di democrazia partecipata e progresso della società, pur convivendo con molti problemi irrisolti e tante contraddizioni, come le incongruenze sociali e ambientali.

In questo stesso continente pieno di aspettative, pulsioni e contraddizioni, si produce una parte importante del pensie-ro e del fermento artistico internazionale. In un contesto di ideologie che stanno scomparendo, relazioni complesse tra esseri umani e natura ci sono idee e pensiero, interpretati qui dalle opere di questi cinque artisti che presentano una mostra composta da vari linguaggi, legati tra loro dall’inso�-erenza etico politica per l’uso arbitrario dell’ambiente e dello sfruttamento incongruo delle risorse umane, rappre-sentata attraverso un linguaggio forte e delicato insieme e molto poetico. In mostra i video, le istallazioni, i lavori a tecnica mista e le opere realizzate con reperti naturali, parla-no di questo. Tutti gli interventi nella mostra Paradiso, ci fanno ri�ettere su dove stiamo andando e come stiamo compiendo il viaggio, dopo la globalizzazione dell’econo-mia e l’alterazione del tessuto sociale economico, sociologi-co e politico delle nazioni e delle città. I quattro artisti latino americani in mostra, hanno tutti una vasta esperienza internazionale e collaborazioni con impor-tanti musei come il Jeu de Paume di Parigi o il MUAC di Città del Messico, e sono presenti in collezioni prestigiose come CAAM e Helga de Alvear, mentre l’esordiente Elena Mazzi,

che sta arricchendo il suo curriculum di valenti premi e residenze, nel 2016/17 è stata artista tutor presso la fonda-zione Spinola Banna di Torino.

La letteratura europea e nord americana, ci abituò a un falso concetto dell’America Latina, �no a Cent’anni di solitudine di García Márquez, che fu quasi una rivoluzione perché fu il primo libro sudamericano arrivato al grande pubblico internazionale e quel libro ci fece capire molte cose, inseg-nandoci a interpretare molte sfumature di quella parte di mondo. Altri bellissimi romanzi e raccolte di poesie furono in seguito pubblicati e tradotti in tante lingue, raggiungen-do i primi posti delle classi�che di vendita internazionali e forse grazie a queste letture, oltre a una consistente cinematogra�a di autore, spesso molto virtuosa, che è arrivata con successo ai grandi festival nel mondo, oggi siamo pronti a vedere con altri occhi quel Paradiso e a giudi-care con più consapevolezza anche questa mostra. L’arte serve a conoscere, porre domande, scoprire i nostri pensieri più intimi e in certi casi a restituirci l’immagine reale di Paesi lontani da noi, con i quali, nell’essere compresi in qualcosa di così spirituale, entriamo in profonda sintonia, �nalmente con un concetto non più solo nostro, ma comune.

Cristina Dinello Cobianchi, Presidente AlbumArte

SIAMO ANCORA IN PARADISO?

Sono stati numerosi gli artisti internazionali invitati in questi anni ad AlbumArte e arrivavano da vari Paesi, non solo europei, portando insieme alle loro opere, sempre site speci�c o inedite, uno sguardo molto interessante, che arrivava da angolazioni diverse di realtà, producendo visioni sensibilmente di�erenti. Gli artisti stranieri sono sempre entusiasti di lavorare in Italia e parlano di Roma con lo sguardo incantato. Ogni volta che un artista arriva ad allestire la sua mostra in questi luoghi, dove, specialmente nel campo dell’arte, molta della storia di tutti è accaduta nei secoli, è felice e sembra godere di uno stato di quasi infan-tile eccitazione. A vederli sembra che lo sguardo sia rimasto lo stesso di quello che posavano su Roma all’epoca del Grand Tour, quando per un intellettuale, venire in Italia e visitare le sue preziose città, era assolutamente fondamen-tale per la sua formazione. Riguardo agli artisti provenienti dall’America Latina, nel 2015 AlbumArte ha ospitato una giovanissima artista colombiana all’interno della mostra dei �nalisti di un concorso internazionale, che poi vinse il secon-do premio, María Jimena Herrera. Nel 2017 invece, l’incontro con l’artista messicana Teresa Margolles, che ha portato la sua preziosa e so�erta testimonianza, riguardo alla violenza subita da moltissime donne in alcune zone del Messico. Questa è però la prima volta che da quella parte del mondo, così vitale e in trasformazione, accogliamo quattro artisti insieme e ne sono molto �era, ringraziando le istituzioni che hanno supportato il progetto: l’IILA – Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana e le Ambasciate di Brasile, Colombia ed Ecuador in Italia.

PARADISO è una mostra che riunisce quattro artisti latino americani che vivono e lavorano in Europa, Estefanía Peña-�el Loaiza e Óscar Santillán dall’Ecuador, Marlon de Azam-buja dal Brasile, Juan Esteban Sandoval dalla Colombia e un’artista italiana a�ne alla loro poetica, la giovane Elena

Mazzi. La curatrice della mostra, Rosa Jijón, che è anche artista e viene dall’Ecuador, vivendo ora a Roma, dov’è Segretaria Culturale dell’IILA, per questa mostra prende spunto, come lei stessa cita, dai vari concetti che si riferiscono al Paradiso: dalla cantica del Paradiso nella Divina Commedia di Dante, dov’è sacro, dal Paradiso di José Lezama Lima, dove è sensuale e dal Paradiso perduto di John Milton, volendo in questa occasione, introdurre e rovesciare parte del concetto di luogo ideale. La parola Paradiso rimanda al concetto che i colonizzatori avevano dell’America Latina, un territorio vergine dove la natura era meravigliosamente inviolata e rigogliosa, dove la gente viveva secondo schemi semplici e tutto accadeva secondo altri parametri da quelli rigidi del vecchio conti-nente. Per chi viveva in Europa, quei luoghi sono stati interpretati per secoli, principalmente come i luoghi del sogno, dell’idea della vita perfetta, dell’abbondanza e della semplicità, oltre che come idea di fuga dalle imposizioni e dalle regole della civiltà conosciuta. Poco interessava la reale condizione di chi ci viveva perché nell’immaginario collettivo, o di chi poteva arrivare a immaginarlo, quella parte del nuovo continente, doveva continuare ad assomi-gliare all’Eden, appunto, il Paradiso terrestre, un luogo e uno stato di indisturbata felicità. In nome di quel Paradiso molte ingiustizie furono compiute dai colonizzatori, che nel sedicesimo secolo, combatterono contro popolazioni praticamente inermi. Quando sono stata in Perù, in Cile, in Brasile e in Argentina, ho visto testimonianze di come all’epoca, solo il luccicare dell’ arma-tura dei soldati conquistatori, inibisse a tal punto la popolazione, da non voler combattere, pensando che quel riverbero fosse la luce di un Dio. E non fu paradisiaco neanche lo sfruttamento delle risorse, specialmente miner-arie, da parte dei nuovi padroni, che, come sempre in queste storie, depredarono quanto poterono. E non furono certo

un Paradiso le tragiche dittature che si sono imposte nell’era moderna, delle quali mi auguro sia sempre vivo il ricordo delle vittime e dell’e�erata violenza dei regimi.Oggi che l’America Latina vive un’epoca di fermento, cercan-do di liberarsi dalle imposizioni economiche delle superpo-tenze straniere e che tenta di istaurare varie forme di democrazia, forse non è più un Paradiso naturale o immagi-nario, ma senz’altro un luogo di rinascita delle idee. Quel luogo che per secoli abbiamo ritenuto essere uno speciale Paradiso terrestre, è diventato oggi un insieme di nazioni indipendenti che stanno costruendo un momento speri-mentale di democrazia partecipata e progresso della società, pur convivendo con molti problemi irrisolti e tante contraddizioni, come le incongruenze sociali e ambientali.

In questo stesso continente pieno di aspettative, pulsioni e contraddizioni, si produce una parte importante del pensie-ro e del fermento artistico internazionale. In un contesto di ideologie che stanno scomparendo, relazioni complesse tra esseri umani e natura ci sono idee e pensiero, interpretati qui dalle opere di questi cinque artisti che presentano una mostra composta da vari linguaggi, legati tra loro dall’inso�-erenza etico politica per l’uso arbitrario dell’ambiente e dello sfruttamento incongruo delle risorse umane, rappre-sentata attraverso un linguaggio forte e delicato insieme e molto poetico. In mostra i video, le istallazioni, i lavori a tecnica mista e le opere realizzate con reperti naturali, parla-no di questo. Tutti gli interventi nella mostra Paradiso, ci fanno ri�ettere su dove stiamo andando e come stiamo compiendo il viaggio, dopo la globalizzazione dell’econo-mia e l’alterazione del tessuto sociale economico, sociologi-co e politico delle nazioni e delle città. I quattro artisti latino americani in mostra, hanno tutti una vasta esperienza internazionale e collaborazioni con impor-tanti musei come il Jeu de Paume di Parigi o il MUAC di Città del Messico, e sono presenti in collezioni prestigiose come CAAM e Helga de Alvear, mentre l’esordiente Elena Mazzi,

che sta arricchendo il suo curriculum di valenti premi e residenze, nel 2016/17 è stata artista tutor presso la fonda-zione Spinola Banna di Torino.

La letteratura europea e nord americana, ci abituò a un falso concetto dell’America Latina, �no a Cent’anni di solitudine di García Márquez, che fu quasi una rivoluzione perché fu il primo libro sudamericano arrivato al grande pubblico internazionale e quel libro ci fece capire molte cose, inseg-nandoci a interpretare molte sfumature di quella parte di mondo. Altri bellissimi romanzi e raccolte di poesie furono in seguito pubblicati e tradotti in tante lingue, raggiungen-do i primi posti delle classi�che di vendita internazionali e forse grazie a queste letture, oltre a una consistente cinematogra�a di autore, spesso molto virtuosa, che è arrivata con successo ai grandi festival nel mondo, oggi siamo pronti a vedere con altri occhi quel Paradiso e a giudi-care con più consapevolezza anche questa mostra. L’arte serve a conoscere, porre domande, scoprire i nostri pensieri più intimi e in certi casi a restituirci l’immagine reale di Paesi lontani da noi, con i quali, nell’essere compresi in qualcosa di così spirituale, entriamo in profonda sintonia, �nalmente con un concetto non più solo nostro, ma comune.

Cristina Dinello Cobianchi, Presidente AlbumArte

Si ringrazia: IRI Real Estate | Investimenti e compravendite immobiliariCasale del GiglioGalleria MazzoliGalleria Ex-Elettrofonica

Paradiso

“Paradiso” è una mostra collettiva di artisti latinoamericani che vivono in Europa e di un’artista italiana.

Dalla Cantica del “Paradiso” nella Divina Commedia di Dante, �no al “Paradiso” sensuale di José Lezama Lima, passando dal “Paradiso perduto” di John Milton, la mostra ha dei riferimenti letterari e una valenza contemporanea che mette in discussione i concetti di luogo ideale, punto di osservazione privilegiato, disincanto, utopia. Luoghi immaginari nella mente e nella memoria, e così concreti se calati nelle contraddizioni e nei con�itti che caratterizzano la nostra era. Nell’illusione di costruire un paradiso sulla Terra, fatto di benessere, crescita, consumi, se ne sta distruggendo ed alterando l’equilibrio, alla ricerca sfrenata di valore materiale ed immateriale da estrarre dalle viscere del pianeta e dalle vite di chi lo abita. Attratti da un paradiso immaginario, coltivato nelle proprie speranze e sogni, milioni di persone si spostano da un luogo all’altro del pianeta, espulsi dalle loro terre, da guerra, miseria, o oppressione, o semplicemente alla ricerca di una nuova vita. Questo paradiso, o questa moltitudine di paradisi sfugge ad una de�nizione univoca, è plurale quanto plurali sono le sue rappresentazioni. Eppure se oggi si dovesse immaginare quali siano alcuni elementi comuni, s�de e opportunità, indubbiamente la questione della mobilità umana e dell’e- spansione della frontiera estrattiva sono le spinte che ne tracciano i contorni. Oggi quel paradiso, in passato descritto come stato di natura, dove gli esseri viventi vivevano in perfetta armonia, in una sorta di Eden laico, viene rielaborato, plasmato, ride�nito dalla mano dell’uomo. Non a caso oggi si parla di Antropocene, fase secondo alcuni ineluttabile, una nuova era geologica da accompagnare e governare. Non è questo necessariamente il destino al quale andiamo incontro, e gli esperimenti, le pratiche, le proposte che provengono dall’America Latina lo dimostrano con eviden-

za. Questo continente considerato �n dai tempi della colonizzazione un territorio vergine in cui tutto può succe- dere, ai nostri giorni spazio sperimentale di democrazia partecipata e progresso della società, è stato esso stesso concepito come un paradiso. In questo stesso continente pieno di aspettative e contraddizioni, si produce una parte importante del pensiero critico del nostro tempo. Borges diceva che “Non passa giorno in cui non ci troviamo, per un instante, in paradiso”, riferendosi alla possibilità di azzeccare uno scritto poetico, in cui tutti possiamo trovare un momen-to perfetto, in cui tutti siamo capaci di generare mostri, ma anche in cui la bellezza non sia un privilegio di qualche nome illustre.

Rebecca Solnit, nel suo libro “Hope in The Dark”, ci invita invece ad abbandonare l’idea del paradiso e riscattare il cammino che ci conduce utopicamente ad esso, riservando uno spazio di dignità all’attivismo, al pensiero critico e alla domanda in�nita di cui ci parla Simon Critchley nel libro “In�nitely Demanding: Ethics of Commitment, Politics of Resistance”. In �n dei conti, la costruzione ideale degli scenari paradisiaci ha provocato solo marginalità, disperazione e decadenza: basta vedere le periferie lussuose delle città intelligenti e le sue derive post industriali ed escludenti. Sono i paradisi arti�ciali delle “smart cities” e delle “smart drugs”, come se l’alienazione o la fuga oggi fossero sinonimi di intelligenza e conoscenza. In questo contesto di ideologie che stanno scomparendo, relazioni complesse tra esseri umani e natura ed esclusioni di ogni tipo, per dirla con Saskia Sassen, ci sono gli spazi di tensione delle opere di Marlon de Azambuja, Óscar Santi- llán, Estefania Peña�el Loaiza, Juan Esteban Sandoval ed Elena Mazzi.

Un paradiso in costruzione, quindi sospeso tra il passato dal quale trarre ispirazione ed un futuro incerto che si costrui- sce passo per passo.

Rosa JijónSegretaria Culturale IILA

ELENA MAZZI / ROSARIO SORBELLO

Il progetto riguarda una speci�ca ri�essione sull’apicoltura nomade, realizzata in collaborazione con Rosario Sorbello. L’installazione è costituita da una serie di sei telai per api sulla cui super�cie cerea sono impresse le mappe di alcune città

europee. I luoghi scelti rappresentano quei Paesi in cui statisticamente è in corso una rapida trasformazione dell’economia interna per conto della nuova forza lavoro migrante. I rilievi nella cera sostituiscono la normale trama “ad alveare” impressa nel telaio per guidare le api nella produzione del favo.

En route to the South, 2015 Arnie in cornici di legno, cera d’api, 47x30 cm ciascuna

MARLON DE AZAMBUJA

Herencia 2017

Testo di Beatriz Alonso in “Hacer lo cotidiano” (fare il quotidiano), 2013.Convenzioni impartite e comportamenti attesi, di questo parla Herencia – (ensayo) [Eredità – (saggio)], una pianta tropicale su cui l’artista ha realizzato un intervento, la cui sopravvivenza è messa alla prova durante l’esposizione.Mediante il colore del cemento, così presente nell’architettura del Brasile moderno di cui l’artista è erede, si intensi�ca la plasticità dell’elemento quotidiano, mentre la nostra percezione di fronte ad una natura che sembra morta viene alterata. Cemen-to armato che subisce il passare del tempo, le crepe che questo apre e la nascita di nuovi germogli che colorano in altro modo la realtà a cui apparteniamo.Un’ode alla resistenza, sia poetica che attuale, ci ricorda l’importanza di sfruttare qualsiasi interstizio per generare altri modi di fare che sostituiscano quelli preceden-ti.

Herencia (Eredità)

La cultura, in molti sistemi di utilizzo, rappresentazioni ed espressioni, include negli individui che formano una comunità una varietà limitata di modelli di relazione. Questi modelli formano parte dell’eredità che si trasmette ed evolve, generando nuove forme, adattandosi a nuove necessità. All’interno di questo sistema ineludibile, è sempre interessante osservare la lotta dell’individuo per non essere assorbito dalla collettività. È una lotta eterna nella quale cerchiamo il �ne equilibrio che ci permetta di conservare la nostra autonomia mentre facciamo parte dei sistemi culturali a cui apparteniamo.

Herencia (eredità) ci parla di convenzioni culturali e aspettative attraverso un intervento realizzato su una pianta tropicale, la cui capacità di sopravvivenza è messa alla prova nel corso dell’esposizione. Facendo uso del colore del cemento, così onnipresente nell’architettura del Brasile moderno, di cui l’artista è erede, l’artista cerca di alterare la nostra percezione di un elemento quotidiano, intensi�-cando la sua organicità attraverso il suo potenziale plastico. La poetica della resistenza è incarnata dalla lotta per la sopravvivenza che la pianta ingaggia contro il materiale versato su di essa, e disegna un parallelismo con la lotta dell’individuo per liberarsi dal bagaglio culturale che lo costituisce.

Il processo crudo e naturale che attraversano le piante si giustappone al meticoloso

processo di disegno che Azambuja sviluppa nei lavori basati sull’opera di Bernd e Hilla Becher. Qui l’artista si muove su due fronti: da un lato copre la �gura centrale enfatizzando la forma più pura e riconoscibile che queste strutture mostrano: la loro sagoma. Dall’altro, ricostruisce l’immagine ridisegnando accuratamente ogni dettaglio all’interno della sagoma, costringendo lo spettatore ad avvicinarsi ed osservare ogni �gura presentata.

Questo secondo approccio all’opera evidenzia che in realtà il metodo impiegato non vuole cancellare l’immagine, si tratta di un gesto di ricostruzione, reinterpre-tazione e reinvenzione di un’opera chiave per la comprensione della fotogra�a europea ed internazionale, qui trasformata da un pensiero latino americano, brasiliano, periferico ed antropologico che cerca di o�rire un’altra possibilità di comprendere e di relazionarsi con la storia dell’arte e l’architettura del XX secolo.

Testo critico mostra realizzata dal 4 giugno 2016 all’8 gennaio 2017 al Museo Patio Herreriano di Valladolid, Spagna

Herencia, 2015Pittura spray su pianta tropicale viva.

Si ringrazia: IRI Real Estate | Investimenti e compravendite immobiliariCasale del GiglioGalleria MazzoliGalleria Ex-Elettrofonica

Dall'alto in basso:

Et ils vont dans l’espace qu’embrasse ton regard: ça nous regarde, 2016Video HD, sonoro, 38 min 57, loop Produzione Jeu de Paume, Parigi

Et ils vont dans l’espace qu’embrasse ton regard: signaux de fumée, 2016 Video HD, 37min 10, loopProduzione Jeu de Paume, Parigi

ESTEFANÍA PEÑAFIEL LOAIZA

Et ils vont dans l’espace qu’embrasse ton regard: ça nous regarde, 2016(e vanno nello spazio che abbraccia il tuo sguardo: ci riguarda).

Per dire che qualcosa non ci riguarda, in francese si dice “ça ne nous regarde pas” (letteralmente: “non ci guarda”). Qui la telecamera percorre il Centro di Detenzione Amministrativa Parigi 1 (CRA), ubicato ai margini del bosco di Vincennes: è un lungo travelling, �lmato in piano sequenza, che adotta il punto di vista dell’edi�cio che si confonde con il bosco. La notte del 21 giugno 2008 scoppia una rivolta in questo centro, a causa della morte in cella di Salem Essouli, un migrante senza documenti, detenuto nonostante una grave malattia. Nel corso della sommossa, i “detenuti” bruciano due padiglioni del CRA. Ma non è stato possibile documentare visiva-mente dall’esterno niente di tutto questo. Ciò che osserviamo qui è, quindi, la nostra impossibilità di vedere quanto accaduto – o ciò che ancora accade, dato che recentemente c’è stata un’altra sommossa, l’1 giugno 2016 – anche se questo ci riguarda, (“o ci guarda”), sia eticamente che politicamente.

Et ils vont dans l’espace qu’embrasse ton regard: signaux de fumée, 2016(e vanno nello spazio che abbraccia il tuo sguardo: segnali di fumo).

Immagini posizionate su un tavolo luminoso vengono rese visibili quando una mano passa sopra di queste, grazie al ri�esso della luce sul palmo. Un’altra mano toglie le immagini con un movimento lento che ci consente di intravederle ancora per poco, prima che queste scompaiano dall’inquadratura. La serie mette insieme immagini che rimandano a di�erenti usi dello spazio che circonda il Centro di Detenzione Amministrativa Parigi 1 (CRA) nel corso dell’ultimo secolo (il bosco, l’esposizione coloniale del 1931, l’ippodromo...), con foto dell’edi�cio e frasi tratte dalle testimonianze dei “detenuti” presenti nel centro durante la rivolta del 21 e 22 giugno del 2008, testimonianze raccolte nel libro Feu au centre de rétention. Des sanspapiers témoignent (Fuoco nel Centro di Detenzione. Alcuni clandestini danno la loro testimonianza), Parigi, edizioni Libertalia, 2008.

JUAN ESTEBAN SANDOVAL

earth / �eld / land / clayA proposito della ricerca in corso / da Novembre 2015

La mia attività è profondamente legata al luogo, e ciò è possibile proprio in relazi-one a un luogo speci�co e pubblico. Nella ricerca che sto portando avanti, la relazione fra argomento e luogo è fondamentale. Ho raccolto argilla, sabbia e terriccio da luoghi che hanno una storia importante dal punto di vista dello svilup-po industriale e delle sue conseguenze sulle comunità locali. Sto sviluppando progetti in cui la presenza dell’oggetto di ceramica o il processo di lavorazione della ceramica costituisce la linea guida che racchiude la mia posizione artistica.I miei progetti attuali, che hanno tutti, in maniera di�erente, delle implicazioni politiche, fanno riferimento alla relazione fra la società e la terra. In tutti, il materiale – terriccio o argilla – è l’elemento di congiunzione fra la storia di un particolare luogo e il suo presente, il che mi permette di espandere e raggiungere l’ampio concetto di terra, inteso come luogo culturale, il campo dei con�itti dove le battag-lie sociali e politiche contemporanee vengono messe in scena.

Paraíso en Tierra, 2017

Nelle serie Paraíso en Tierra (Paradiso in Terra), ho utilizzato terriccio e argilla raccolti nell’area compresa fra Napoli e Caserta, dove nel corso degli anni ri�uti tossici sono stati sepolti in discariche illegali. Da questo terriccio e questa argilla ho estratto pigmenti che, mescolati con carbone e polvere di mattone, ho utilizzato per dipingere le riproduzioni di manifesti pubblicitari del Golfo di Napoli e le sue isole creati da Mario Puppo negli anni ’50 e ’60. Questi manifesti delle vacanze italiane costituivano una nuova estetica per promuovere il paesaggio e rappresentavano la trasformazione culturale della società italiana, quando le vacanze smisero di essere un privilegio dei ricchi e l’idea di godere della bellezza del territorio divenne una consuetudine popolare. La società italiana contemporanea è combattuta fra la promozione del territorio e il suo patrimonio culturale per il turismo, una delle principali fonti di reddito del Paese, e la salvaguardia dello stesso territorio dagli e�etti negativi dello sviluppo dell’industria pesante e l’uso della terra per �ni illegali. Questa ambivalenza è particolarmente presente nei territori della regione Campan-ia.

Paraíso en TierraTerra e medium acrilico su carta Cinque immagini 60 x 50 cm2017/18

ÓSCAR SANTILLÁN

SOLARIS

Il Deserto di Atacama, Cile, è il deserto più arido al mondo. Le sue condizioni atmosferiche lo rendono il luogo perfetto per le osservazioni astronomiche.Nel corso della storia questo immenso territorio ha ospitato diversi popoli, tra cui gli Incas, e al giorno d’oggi vi sono installati imponenti telescopi.Per Solaris, la sabbia raccolta dal Deserto di Atacama è stata prima fusa, poi trasfor-mata in vetro, successivamente levigato �no ad ottenere una lente fotogra�ca. Questi “occhi del deserto” sono stati riportati ad Atacama ed utilizzati per fotografare questo paesaggio.Le immagini catturate non sono una rappresentazione del paesaggio. In Solaris il deserto è un soggetto che osserva, non un oggetto passivo da guardare. Solaris si ispira all’omonimo classico della fantascienza dello scrittore russo Stanislaw Lem, che esplora un potenziale tipo di intelligenza che non proviene dal cervello ma, piuttosto, dal mare di un pianeta lontano chiamato Solaris.

Lente fotografica ottenuta dalla fusione della sabbia del deserto di Atacama; proiezione di 24 immagini del deserto di Atacama realizzate con la suddetta lente; audio.Video HD (4’ colore, 4:3, audio) e lente (6cm)2016-2017

La realizzazione di quest’opera è stata resa possibile grazie alla partecipazione di: Frans Snik, astronomoRik ter Horst, specialista in fabbricazione di parti ottiche per telescopiDurk Valkema, mastro vetraioZahel Quezada Lima, guida nel desertoSteve Haveneers, ingegnereWitho Worms, consulenza fotografica Raúl Masu, compositore dell’audio di quest’operaMatteo Gatti, post-produzioneLa produzione di quest’opera è stata possibile grazie a MUAC (MX) e all’apporto finanziario di: Galerie Mazzoli (DE/IT), Copperfield (UK), NoMíNIMO (EC); nonché al supporto logistico della Galería Metales Pesados (CL) e ai collezionisti Pedro Montes e Rocío Chávez. Inoltre, al generoso contributo intellettuale di Alexia Tala, Sergio Parra e Ramón Aldunate.

MARLON DE AZAMBUJAPorto Alegre, Brasile, 1978.

Ha studiato presso il Centro Edilson Viriato di Arte Contemporanea a Curitiba, Brasile. Vive e lavora a Madrid.

Le sue esposizioni personali più recenti includono: Brutalismo America-no, Kadist, San Francisco, 2017; Cuerpo presente, Espacio Cultural El Tanque, Gran Canaria, 2017; Herencia, Museo Patio Herreriano, Vallado-

lid, 2016; Air And Light And Time And Space, Espaci Odeon, Bogotà, 2016; Brutalismo, Galería Max Estrella, Madrid, 2014; La Construcción del Icono, CAAM (Centro Atlántico de Arte Moderno), Las Palmas di Gran Canaria, 2011; Niveles, Casal Solleric, Palma di Maiorca, 2010; Proyecto Moderno, Galería Luisa Strina, San Paolo del Brasile, 2009 e Potencial Escultórico, Matadero, Madrid, 2009.

Fra le esposizioni collettive alle quali ha preso parte si ricordano: Three positions. Six directions, König Galerie, Berlino, 2017; Hacia una nueva orilla, NC Arte, Bogotà, 2016; Theorema, Mana Contemporary, New York, 2015; On Painting, CAAM, Las Palmas di Gran Canaria, 2013; 11. Biennale de L’Avana, Cuba, 2012; 11. Biennale di Cuenca, Ecuador, 2011; 8. Biennale del Mercosur, Porto Alegre, Brasile, 2011; 12. Biennale del Cairo, 2010.

I suoi lavori fanno parte di diverse collezioni, sia pubbliche che private, come CAAM, Helga de Alvear o il Ministero di Cultura spagnolo, il Museo Oscar Niemeyer e Itau Cultural di San Paolo (Brasile), Fondazione Nomas (Italia) o Kadist (USA).

ELENA MAZZIReggio Emilia, Italia, 1984.

Ha studiato Storia dell’Arte presso l’Università di Siena. Nel 2011 si è laureata in Arti Visive presso lo IUAV di Venezia. Ha trascorso un periodo di studi all’estero presso la Royal Academy of Art (Konsthog-skolan) di Stoccolma. Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive, tra cui: 16° Quadriennale di Roma, GAM di Torino, 14° Biennale di Istanbul. Ha partecipato a diversi programmi di

residenza in Italia e all'estero. È vincitrice del Thalie Art Foundation grant 2017, VISIO Young Talent Acquisi-tion prize, premio Eneganart, nctm e l’arte 2016, m-cult media and technology program 2016. È artista tutor per l’anno 2016-2017 presso Fondazione Spinola Banna per l’arte, in collaborazione con GAM, Torino.

ROSARIO SORBELLO, Catania, Italia, 1978. Ha studiato curatela presso la facoltà IUAV di Venezia laureandosi in Progettazione e produzione delle arti visive nel 2011. Ha realizzato mostre a Roma, Venezia, Stoccolma e Firenze. Ha fatto parte del collettivo curatoriale Trial Version lavorando sul tema del riuso di spazi abbandonati. Il suo lavoro è caratterizzato da un’attività di collaborazione con giovani artisti nella quale la pratica curatoriale spesso si combina a quella artistica senza una distinta e prestabilita separazione. Dal 2014 fa parte del collettivo artistico Gli Impresari, impegnato in un lavoro di ricerca su quelle forme della produzione artistica che a partire dall’età moderna, hanno contribuito all’a�ermazione del processo di spettacolarizzazione del sistema politico e della società.

ESTEFANÍA PEÑAFIEL LOAIZA Quito, Ecuador. Vive e lavora a Parigi.

Dopo gli studi in arti plastiche presso la Ponti�cia Universidad Católica del Ecuador, si è trasferita in Francia nel 2002 per proseguire la sua formazione alla Scuola Nazionale di Belle Arti di Parigi (ENSBA), dove si è diplomata nel 2007, per poi terminare con la formazione post-lau-ream alla stessa ENSBA di Parigi e in quella di Lione. Oltre a numerose mostre collettive, alle quali ha partecipato sia in Francia che in Ecuador e in altri Paesi, si segnalano le mostre personali realizzate al FRAC Franche-Comté (à rebours, Besançon, 2016); La Maison Salvan (casa

tomada, Labège, 2016), CPIF (fragments liminaires, Pontault-Combault, 2015); Crédac (l’espace épisodique, Ivry-sur-Seine, 2014); Villa du Parc (la dix-huitième place, Annemasse, 2013). Ha esposto in diversi centri d’arte in Ecuador, in città come Cuenca (en valija, Sala Proceso, 2013) e Quito (exposición, Arte Actual, 2012). Ha esposto anche alla Al Ma’mal Foundation (la visibilité est un piège, Nuit Blanche, Gerusalemme Est, Palestina, 2012); The hangar (no vacancy, Beirut, 2011); Centro d’arte Bastille (à perte de vue, Grenoble, 2009). Tra le esposizioni più recenti si segnalano: Insurrecciones al Museu Nacional d'Art de Catalunya (Barcellona, 2017) e al MUNTREF (Buenos Aires, 2017), Soulèvements al Jeu de Paume (Parigi, 2016), Horizon en Magasin (Grenoble, 2016), Les propriétés du sol all’Espace Khiasma (Les Lilas, 2015), C’est pas la mort! al Museo Etnogra�co (Neuchâtel, 2015), Nouvelles Vagues al Palais de Tokio (Parigi, 2013).

Ha partecipato anche a numerosi seminari, colloqui e residenze artistiche: nel deserto di Tassili in Algeria con Triangle France (Marsiglia), a Noisy-le-Sec con La Galerie, a Beirut con The hangar e a Pontault-Com-bault con il Centre photographique d’Île-de-France. Le sono state commissionate due opere pubbliche nel 2014-2015: una per l’istituto scolastico superiore “Barbara” di Stains (récoltes), l’altra per il municipio di Chazeleuze, con la DRAC Franche-Comté (oeuvreuses).

www.fragmentosliminares.net

JUAN ESTEBAN SANDOVALMedellín, Colombia, 1972. Vive e lavora fra la Colombia e l’Italia.

Nella sua ricerca Sandoval ha sviluppato progetti partecipativi in collaborazione con associazioni culturali che si occupano dei temi dell'immigrazione, economia e cultura locale. Ha realizzato lavori con i membri delle comunità indigene della regione amazzonica e delle Ande. La sua attuale ricerca è incentrata sulla manodopera e sul ruolo dell'operaio all'interno del processo di trasformazione del contesto

sociale. Nel 2003 Sandoval ha fondato il collettivo artistico elpuente_lab (www.elpuentelab.org), che opera tra la Colombia e l'Europa. Il gruppo lavora sulla costruzione di una rete di connessioni e scambi tra luoghi distanti tra loro dal punto di vista geogra�co e culturale, attraverso lo sviluppo di progetti artistici nello spazio pubblico. A partire dal 1994 ha esposto in numerose mostre internazionali.www.elpuentelab.org

ÓSCAR SANTILLÁNMilagro, Ecuador, 1980. Vive tra l’Ecuador e i Paesi Bassi. Il lavoro di Santillán presuppone l’esistenza di un territorio dove i limiti di ciò che è possibile può essere oltrepassato: cosa è successo, cosa sarebbe potuto succedere, e cosa sta accadendo sono termini equivalenti. Accadono eventi inaspettati, un rullo dei tamburi si sincronizza con la sudorazione abbondante di un individuo, si realizza il sogno nel cassetto di un morto, si ricostitu-

isce un’isola fantasma e il peso di tutta la luce del sole sul pianeta Terra è perfettamente rappresentato da una pietra. Santillán ha ottenuto un Master of Fine Arts in scultura alla Virginia Commonwealth Universi-ty-VCU (US) ed è stato artista in residenza di Davido� International AIR (DO), Del�na Foundation (UK), Janvan Eyck (NL), Fondazione Ratti (IT), Skowhegan (US), and Seven Below (US). Ha esposto il suo lavoro alla Witte de With (NL), Irish Museum of ModernArt (IE), IV Poli/graphicTriennial (PR), Centraal Museum(NL), Museo ‘Carrillo Gil’ (MX), STUKBE), Fundación ODEON (CO), The Southeastern Center for Contemporary Art-SECCA (US), Nest (NL), Sala Miró Quesada (PE), Galleria Mazzoli (IT), Copper�eld (UK), Bonnefanten Museum (NL), NoMINIMO (EC), Marilia Razuk Gallery (BR), XIII Bienal de Cuenca (EC), Kröller-Müller Museum (NL), Vogt Gallery (US), Bienal de Arte Paiz (GT), tra gli altri. L’opera di Santillán è stata oggetto di articoli, riviste e interviste pubblicate su Frieze magazine, Art Pulse, Art Forum, Art Nexus, Art News, Art Monthly, Exibart, Metropolis M, The Blank, tra gli altri.

www.oscarsantillan.com Paradiso

Marlon de Azambuja (Brasile) Elena Mazzi / Rosario Sorbello (Italia)Estefanía Peña�el Loaiza (Ecuador)Juan Esteban Sandoval (Colombia)Óscar Santillán (Ecuador)

Opening mercoledì 7 marzo 2018, ore 18:308 marzo | 21 aprile 2018

A cura di Rosa Jijón, Segretaria Culturale IILA

IILA – Organizzazione internazionale italo-latino americanaVia Giovanni Paisiello, 24 – 00198 RomaTel. 06 [email protected] | www.iila.org@culturaliila

AlbumArteVia Flaminia 122, 00196 Roma T/F +39063243882E [email protected] W www.albumarte.org

Orari | dal martedì al sabato ore 15:00 – 19:00

In collaborazione con

Si ringrazia: IRI Real Estate | Investimenti e compravendite immobiliariGalerie Mario Mazzoli GmbHGalleria Ex-ElettrofonicaCasale del Giglio