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Pacemaker e Defibrillatori Concetti base e guida pratica alla gestione

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Pacemaker e DefibrillatoriConcetti base e guida pratica alla gestione

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CONTENUTO

Concetti base 1.

Modi di stimolazione convenzionali 2.

Stimolazione Biventricolare (CRT) 3.

La gestione del paziente con device4.

Appendici:

Algoritmo di scelta del tipo di pacemaker

Algoritmo di selezione del candidato all’ ICD ed alla CRT

Riferimenti bibliografici

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1. COnCETTI baSE

Perchè usare un Pacemaker o un Defibrillatore

Diversi tipi di patologie (ad es. infarto, scompenso cardiaco,

ipertensione…) possono causare disturbi del ritmo cardiaco che

possono manifestarsi sia con episodi di rallentamento (bradicardia) che

di accelerazione (tachicardia) della frequenza cardiaca.

Una soluzione efficace per aiutare il cuore a mantenere un ritmo regolare,

in particolare in caso di bradicardia, è l’impianto di un Pacemaker (PM).

Simile come forma ma non come funzionalità e scopi, è il Defibrillatore

Impiantabile (ICD), dispositivo in grado di mantenere il cuore ad

un ritmo regolare in caso di bradicardia (esattamente come un PM)

oppure di riportarlo al ritmo sinusale in caso di tachicardie, che sono

potenzialmente fatali.

Cos’è il Pacemaker e come si impiantaIl sistema è composto da un generatore di impulsi (in inglese, “Pacemaker”)

e da uno o due fili (detti “elettrocateteri”) che lo connettono al cuore.

Se il cuore batte troppo lentamente il pacemaker emette deboli segnali

elettrici che vengono trasmessi al cuore attraverso gli elettrodi e lo

fanno battere più velocemente. Le impostazioni del pacemaker possono

essere modificate utilizzando un dispositivo di programmazione. La

comunicazione tra il pacemaker ed il dispositivo di programmazione

avviene appoggiando una testina magnetica sulla cute in prossimità

del pacemaker stesso. Grazie al costante sviluppo tecnologico esistono vari tipi di

PM disponibili per le diverse esigenze dei pazienti. Una distinzione fondamentale

è quella tra i dispositivi monocamerali e quelli bicamerali: nei pacemaker

monocamerali la punta dell’elettrodo è collocata nell’atrio o nel ventricolo destro (a

seconda del tipo di patologia); nei pacemaker bicamerali gli elettrodi sono collocati

uno nell’atrio destro e uno nel ventricolo destro (vd. figura).

Tale distinzione comporta anche una differenza in termini di durata del dispositivo:

infatti un dispositivo monocamerale, dovendo stimolare una sola camera

cardiaca, dura generalmente 9-10 anni, invece un dispositivo bicamerale

mediamente 7-8 anni.

L’impianto del pacemaker richiede un intervento in anestesia locale. Con

una piccola incisione cutanea fatta immediatamente sotto la clavicola

il medico introduce l’elettrodo nel cuore passando attraverso la vena

succlavia o cefalica. La procedura viene monitorata attraverso raggi X.

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Una volta identificata la corretta collocazione, l’elettrodo viene fissato alla parete

del cuore e connesso al PM. Il PM viene poi inserito in una tasca sottocutanea nella

zona del muscolo pettorale.

A seconda del metodo di fissaggio alla parete

intracardiaca, gli elettrodi si distinguono in elettrodi

“a barbe” o “a vite”: i primi presentano sulla punta del

catetere delle alette che consentono di stabilizzare

il catetere fissandolo sulle trabecole della parete

cardiaca, i secondi presentano invece una vite di 2-3

mm che si fissa direttamente avvitandosi alla parete

cardiaca. Normalmente tale vite è retrattile, cioè è

contenuta all’interno del corpo del catetere e viene

fatta fuoriuscire nel momento in cui l’elettrocatetere

è all’interno del cuore.

Un’ ulteriore distinzione tra gli elettrocateteri è quella tra “monopolare” e “bipolare”.

I primi erogano l’impulso di stimolazione facendo circolare una corrente elettrica

tra la punta dell’elettrodo e la cassa del dispositivo stesso. I secondi hanno invece

un dipolo sulla punta del catetere e quindi la corrente di stimolazione circola tra la

punta e un anello conduttore posto a circa 10mm dalla punta. I cateteri bipolari

possono essere utilizzati anche come monopolari attraverso un’opportuna

programmazione del dispositivo.

In passato i cateteri monopolari (contenendo un solo filo conduttore) risultavano

più sottili di quelli bipolari e venivano quindi preferiti; oggi la tecnologia permette

di costruire cateteri bipolari sottili e di conseguenza l’utilizzo di cateteri monopolari

sta via via scomparendo.

La differenza principale tra i due modi di stimolazione si nota all’ECG di superficie:

la stimolazione monopolare presenta degli impulsi (“spikes”) visibili sul tracciato,

viceversa gli impulsi bipolari si presentano di ampiezza molto ridotta e talvolta non

risultano visibili (in particolar modo all’Holter).

Cos’è il Defibrillatore e come si impiantaLa funzionalità più importante del defibrillatore è quella di interrompere aritmie

ventricolari sostenute che altrimenti potrebbero essere fatali per il paziente.

Per fare ciò, il defibrillatore può erogare due tipologie di terapie:

stimolazione ad alta frequenza (ATP)• : l’ICD cerca di stimolare il cuore ad una

frequenza più alta di quella della tachicardia che è in corso, in modo da

“catturarla” e quindi interromperla;

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shock/cardioversione• : l’ICD rilascia una forte scarica di corrente elettrica

attraverso il cuore del paziente che interrompe la tachicardia.

Tali terapie sono intrinsecamente legate ad un’altra funzione basilare del

defibrillatore che è il riconoscimento della presenza di tachicardie. Per fare ciò, l’ICD

monitorizza ogni battito cardiaco ventricolare attraverso gli elettrocateteri e ne

controlla la frequenza: quando tale frequenza supera un limite stabilito dal medico,

limite che è personalizzabile paziente per paziente,

il defibrillatore interviene con una delle terapie

descritte in precedenza. In termini di impianto il

Defibrillatore è praticamente analogo al Pacemaker:

i cateteri vengono introdotti attraverso la vena

succlavia o, più raramente, cefalica in ventricolo

destro e in atrio destro (in caso di monocamerale,

solo in ventricolo destro) e successivamente connessi

al dispositivo posizionato in una tasca sottocutanea

pettorale.

Anche gli elettrocateteri da defibrillazione si distinguono in cateteri a barbe e a

vite. Tali cateteri presentano però anche una o due spirali di filo conduttore (detti

in inglese “coil”) che servono ad erogare lo shock elettrico (in maniera analoga alle

piastre dei defibrillatori esterni).

La spirale principale è quella situata vicino alla punta del catetere; tale spirale al

termine dell’impianto si troverà all’interno del ventricolo destro.

Nel momento in cui il defibrillatore dovesse erogare uno shock per

interrompere un’aritmia ventricolare, la corrente elettrica verrebbe

fatta circolare tra questa spirale e la cassa stessa del defibrillatore

passando attraverso il cuore del paziente.

La maggioranza dei cateteri attualmente in uso prevede anche una

seconda spirale che viene situata all’imbocco della vena cava superiore.

In presenza di tale spirale aggiuntiva, la corrente di shock viene fatta

circolare contemporaneamente tra la spirale in ventricolo destro la

cassa dell’ICD e la spirale in vena cava.

Scopo di questo diverso percorso della corrente è quello di “coinvolgere”

la maggiore massa possibile del tessuto cardiaco e quindi facilitare la

scomparsa della tachicardia in atto ed il ritorno ad un ritmo normale.

Al termine dell’impianto, salvo controindicazioni, il defibrillatore viene normalmente

testato per assicurare il suo corretto funzionamento. Tale test, detto Test di Induzione

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di FV, consiste nell’induzione di un aritmia ventricolare (fibrillazione ventricolare),

attraverso stimoli ad alta frequenza abbinati ad uno shock di debole entità. Una

volta indotta tale aritmia, si verifica il corretto funzionamento del dispositivo ICD

e cioè il riconoscimento della presenza dell’aritmia, l’erogazione di uno shock

elettrico e la conseguente scomparsa dell’aritmia.

Tale test viene eseguito in anestesia totale per qualche minuto.

Il defibrillatore impiantabile, come detto, è in grado di fornire non solo protezione

dalle aritmie maligne ma anche supporto in presenza di bradicardie.

In tal senso, è da notare che i moderni defibrillatori contengono le stesse

funzioni e caratteristiche dei pacemaker, cui poi si aggiungono le funzionalità

anti-tachicardiche sopra descritte.

Tutte le considerazioni sul funzionamento antibradicardico di un pacemaker che

seguiranno potranno essere quindi traslate sul defibrillatore e viceversa.

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2. MODI DI STIMOlazIOnE COnvEnzIOnalI

ClassificazionePacemaker e defibrillatori possono effettuare diverse modalità di stimolazione.

Tali modalità sono classificate mediante un codice a 4 lettere.

La prima lettera corrisponde alla camera cardiaca che si sta stimolando:

A – atrio, V – ventricolo, D - sia atrio che ventricolo, O - nessuna delle due.

La seconda lettera corrisponde alla camera cardiaca che il PM/ICD “sente”, con le

medesime alternative della prima lettera (A, V, D, O).

Un PM/ICD monocamerale potrà sentire e stimolare unicamente nella camera a cui

è collegato mediante elettrocatetere, quindi, per esempio, un PM monocamerale

collegato in ventricolo potrà avere un modo di stimolazione, come prime due

lettere ,“VV” oppure “VO” ma non “AA”.

La terza lettera corrisponde all’azione che il PM/ICD effettua nel momento in cui

sente l’attività della camera a cui è collegato.

Tale lettera potrà essere:

I- inibizione, T- trigger, D- inibizione e trigger, O- nessuna azione.

Per esempio, se si vuole che un PM monocamerale connesso in atrio stimoli

l’atrio solo quando non c’è un’attività atriale autonoma del cuore, la modalità di

stimolazione dovrà essere AAI: si stimola l’atrio, si sente l’atrio e quando è presente

un’attività intrinseca, il PM non deve stimolare (quindi deve inibirsi). L’analoga

modalità per un PM monocamerale in ventricolo sarà VVI.

I primissimi pacemaker venivano costruiti per stimolare ad una frequenza fissa e

non erano in grado di sentire l’attività della camera cardiaca cui erano connessi,

pertanto i modi di stimolazione possibili erano unicamente VOO (se connesso in

ventricolo) o AOO (se connesso in atrio).

L’azione “T” (trigger) è un modo di funzionamento usato molto raramente nei

PM monocamerali e consiste nella modalità per cui il pacemaker, qualora senta

l’attività intrinseca del cuore, sincronizzi il suo stimolo su quella stessa attività. Per

esempio: modalità VVT, ad ogni contrazione del ventricolo, il pacemaker eroga una

stimolazione che viene quindi a sovrapporsi alla contrazione cardiaca.

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I modi di stimolazione monocamerali sono caratterizzati principalmente da un

parametro: la Frequenza minima (o “Lower rate”), cioè quella al di sotto della

quale il PM interviene.

In altre parole, un pacemaker programmato in VVI con frequenza minima a 60

bpm, controlla che ciascun battito sia almeno alla frequenza di 60 bpm rispetto

al precedente, cioè permette che tra un battito ventricolare e l’altro trascorrano al

massimo 1000ms. Al termine di questo intervallo, se non è stata sentita un’attività

ventricolare, il ventricolo viene stimolato.

Allo stesso modo per la stimolazione AAI, con la frequenza minima applicata in

atrio invece che in ventricolo...

La quarta lettera della codifica internazionale è opzionale ed è “R” (Rate Response)

qualora il dispositivo sia in grado di variare autonomamente la frequenza di

stimolazione per cercare di mimare le fisiologiche variazioni di frequenza che sono

presenti nel soggetto sano quando compie sforzi o effettua esercizio fisico.

Solo alcuni PM presentano tale modalità di funzionamento: sono quelli che

contengono un sensore (generalmente, accelerometrico) che è in grado di

percepire i movimenti del paziente. In presenza di movimenti aumenterà la

frequenza di stimolazione per fare fronte ai bisogni del paziente, la ridurrà poi

quando il soggetto tornerà ad essere fermo.

L’utilizzo di tali pacemaker (e dei modi di stimolazione Rate-Responsive) è

raccomandato in presenza di insufficienza cronotropa.

Tutti i defibrillatori in commercio sono dotati di tale funzione.

stimolazione VVI

Battitointrinseco

sentito1000 ms1000 ms

(freq. 60 bpm)

stimolazione AAI

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Modi di stimolazione bicamerali: DDDQuando si utilizzano PM/ICD bicamerali, connessi con un elettrodo all’atrio ed

uno al ventricolo, alle modalità di stimolazione monocamerali che sono ancora

disponibili (un dispositivo bicamerale può essere normalmente programmato in

modalità VVI o AAI) si aggiungono le modalità bicamerali.

Per rendere il funzionamento del PM più fisiologico possibile, le modalità

bicamerali permettono di sincronizzare la stimolazione ventricolare in base a

ciò che avviene in atrio.

In particolare, viene programmato dal medico un opportuno intervallo av in

modo tale che l’attività ventricolare avvenga sempre con un ritardo prestabilito

rispetto all’attività atriale.

Nella pratica, quando il PM stimola in modalità DDD esso monitora costantemente

sia le attività delle due camere cardiache sia il loro reciproco ritardo:

controlla l’atrio: se esso non si attiva autonomamente, lo stimola (come in •

modalità AAI); tale stimolazione avviene alla frequenza minima programmata

(per es., 60 bpm) oppure alla frequenza imposta dal sensore accelerometrico (in

caso di modo DDDR, se presente il sensore).

a seguito della contrazione dell’atrio (autonoma o indotta dal pacing), il •

PM controlla che avvenga l’attivazione del ventricolo entro l’intervallo AV

programmato, se ciò non avviene, stimola il ventricolo. In questo senso la terza

lettera della sigla è “D” perchè il PM è in grado, a seguito della contrazione

atriale, sia di inibirsi (se appare il ventricolo) sia di triggerare una stimolazione

ventricolare al termine dell’intervallo AV.

Negli esempi successivi sono riportate le quattro possibili combinazioni di

funzionamento del modo DDD.

È fondamentale notare che nei modi monocamerali (VVI, AAI) il pacemaker

varia il suo funzionamento in base alla sola frequenza intrinseca del cuore

del paziente: se la frequenza è elevata (al di sopra della frequenza minima

programmata), il PM non stimola; se invece la frequenza è minore di quella

minima, il paziente avrà un ritmo stimolato dal pacemaker.

Nei modi bicamerali, il pacemaker varia il suo funzionamento non solo

in base alla frequenza del paziente ma anche in base all’intervallo P-R

intrinseco: in presenza di un intervallo P-R corto (minore dell’intervallo

AV programmato) il ventricolo non sarà stimolato ma si contrarrà

autonomamente; in presenza di un intervallo P-R lungo o in presenza di

blocco atrio-ventricolare, il ventricolo sarà sempre stimolato dal PM.

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Modo DDD: esempi di funzionamento

Modo di stimolazione VDDEsistono alcuni modelli di Pacemaker che sono in grado di sentire l’atrio ma non di

stimolarlo, perchè utilizzano uno speciale catetere ventricolare che contiene anche

un dipolo in prossimità dell’atrio. Tale dipolo, quando l’elettrodo si trova nella sua

posizione finale, si viene a trovare “flottante” in atrio destro ed è generalmente in

grado di sentire l’attività atriale pur senza essere agganciato alla parete cardiaca.

La modalità di stimolazione è quella VDD: può stimolare cioè solamente il ventricolo

e tale stimolazione avviene quando a seguito dell’attività atriale è trascorso

l’intervallo AV senza comparsa dell’attività ventricolare.

Tale tipologia di pacemaker ha un utilizzo numericamente significativo, pur se

limitato, per il beneficio di poter sincronizzare l’attività ventricolare in base a quella

atriale senza dover impiantare due distinti elettrocateteri.

L’atrio si attiva autonomamente; il PM stimola il ventricolo al termine dell’intervallo AV

L’atrio non si attiva e quindi viene stimolato; al termine dell’intervallo AV anche il ventricolo non si è attivato e quindi viene stimolato

L’atrio si attiva autonomamente ed il ventricolo si attiva autonomanente entro il termine dell’intervallo AV: il PM non interviene

L’atrio non si contrae e quindi viene stimolato, il ventricolo invece si attiva autonomanente entro il termine dell’intervallo AV, quindi non viene stimolato

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Dall’altra parte è necessario che il paziente abbia un’attività atriale autonoma

perchè, se ciò non avviene, il PM non sarà in grado di stimolare l’atrio e funzionerà

come se fosse un PM monocamerale (cioè in VVI).

Minimizzazione del Pacing VentricolareAlcuni importanti studi (MOST, DAVID, SAVEPACe) hanno inequivocabilmente

dimostrato come la stimolazione in ventricolo destro non necessaria si correli ad

una maggiore incidenza di Scompenso Cardiaco, Fibrillazione Atriale persistente e

conseguenti ospedalizzazioni ed eventi avversi.

Tale effetto è stato in particolare imputato alla dissincronia che il pacing apicale

destro induce sia tra ventricolo destro e sinistro, sia tra il setto e la parete laterale

del ventricolo sinistro.

Gli studi precedentemente citati hanno altresì dimostrato che, in pazienti

con malattia del nodo del seno (indicati quindi ad un PM bicamerale) senza

blocchi AV di II/III grado, minimizzare la stimolazione in ventricolo limitandola

al minimo necessario, permette una riduzione più che significativa di FA

persistente e Scompenso.

Tale minimizzazione si potrebbe ottenere attraverso una modalità di stimolazione

AAI, ma in caso di comparsa di blocchi AV, non sarebbe possibile mantenere la

sicurezza del paziente.

Alternativamente si può pensare di allungare il più possibile l’intervallo AV prima

citato, in modo da favorire la comparsa dell’attività ventricolare, mantenendo la

sicurezza in caso di comparsa di blocco AV.

In passato le varie ditte costruttrici di pacemaker hanno proposto algoritmi che

attuavano in automatico una “ricerca” dell’AV ottimale per favorire la conduzione

intrinseca (ad es. Search AV™).

D’altra parte tale soluzione non è sempre praticabile per motivi tecnici (si rischiano

tachicardie mediate da PM ed altri malfunzionamenti), e inoltre, pur riducendo la %

di pacing in ventricolo (% di battiti stimolati rispetto ai battiti totali), non risolve del

tutto il problema.

Medtronic ha introdotto sul mercato (2005) una nuova modalità di stimolazione

detta MvP (Minimal ventricular Pacing™) che risolve questo problema: con

questa modalità attiva, il pacemaker è programmato in modalità AAI (quindi stimola

e sente unicamente l’atrio) ma mantiene monitorata anche l’attività ventricolare.

In tal modo, se il paziente ha un’attività ventricolare intrinseca, il pacemaker

permetterà che questa emerga indipendentemente dall’intervallo AV; se invece,

l’attività ventricolare non è presente (compare un blocco AV), il PM cambia

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automaticamente modalità da AAI a DDD (oppure da AAIR a DDDR se è attiva la

Rate Response).

Tale cambio automatico di modalità è reversibile, quindi in caso di mancata attività

ventricolare (e quindi cambio AAI-->DDD), il pacemaker si manterrà in DDD

fintanto che, mediante alcune prove ad intervalli di tempo programmati, non

vedrà di nuovo un’attività intrinseca ventricolare.

La modalità MVP (indicata anche come “AAI<--->DDD”) è stata avallata anche dalle

linee guida AIAC per la Cardiostimolazione (GIAC Dic2005, vol. 8), come la modalità

più efficace per minimizzare il pacing non necessario in pazienti con malattia del

nodo del seno.

In generale, per tutti i pazienti portatori di pacemaker, ma ancor più per quelli con

defibrillatore (che hanno generalmente disfunzione ventricolare sistolica e quindi

sono a maggior rischio di scompenso e possono subire maggiormente gli effetti della

dissincronia indotta) è opportuno monitorare ai follow-up e/o con diagnostiche

dedicate interne ai dispositivi stessi, che la percentuale di battiti stimolati sia la più

bassa possibile, in base alle caratteristiche di ciascun paziente.

I pacemaker Medtronic offrono una diagnostica automatica dedicata a lungo

termine che permette di controllare, nel corso del follow-up, se il ventricolo è o

meno stimolato.

EsempioIl PM funziona in AAI (l’intervallo AV non conta) ma monitorizza il ventricolo; se tra un atrio e l’altro non vede l’attività ven-tricolare cambia modalità in DDD.

% di battiti stimolati in ventricolo rispetto al totale

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In tutti i dispositivi non-CRT, il goal della terapia di pacing nei pazienti con

malattia del nodo del seno, dovrebbe essere quello di azzerare la percentuale

di pacing in ventricolo destro, mantenendo inalterata quella in atrio (che risulta

terapeutica per la MNS).

Si noti che tale approccio non si applica, o si applica più limitatamente, qualora

la stimolazione in ventricolo destro non avvenga nel sito convenzionale

(apice) ma in siti alternativi, quali il fascio di His, la zona para-hissiana ed il setto

interventricolare.

Sebbene i vantaggi di questi approcci rispetto a quello convenzionale non siano

ancora stati dimostrati da grossi trials, i presupposti fisiopatologici, le esperienze

monocentriche ed i primi studi mostrano come, in pazienti selezionati, una

stimolazione più fisiologica possa far superare le problematiche illustrate,

permettendo di stimolare il ventricolo evitando o limitando la dissincronia

indotta precedentemente descritta.

nOTa TECnICa: Intervallo av

Nella programmazione dell’intervallo AV, viene distinto l’intervallo AV successivo

ad un atrio spontaneo da quello successivo ad un atrio stimolato. Il primo

è detto SAV (Sensed AV), il secondo è detto PAV (Paced AV). La regola generale

vuole che l’intervallo PAV sia sempre 30 ms maggior e del SAV. Questo perchè

la conduzione inter-atriale di un impulso stimolato è generalmente più lenta di

quella dell’attivazione spontanea, quindi è necessario più tempo prima di poter

stimolare il ventricolo.

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3. STIMOlazIOnE bIvEnTRICOlaRE (CRT)Dalla fine degli anni ‘90, si è sviluppata una nuova tipologia di Pacemaker

(e successivamente di Defibrillatori impiantabili) detti “biventricolari”. La Terapia

di Resincronizzazione Cardiaca (CRT), che si ottiene attraverso questi dispositivi,

si applica a pazienti con Scompenso Cardiaco Cronico Sistolico caratterizzato da

un’importante dissincronia ventricolare.

I pazienti indicati a tale terapia hanno infatti una severa disfunzione sistolica

(caratterizzata da una Frazione di Eiezione del ventricolo sinistro inferiore al

35%) cui si accompagna un ritardo di conduzione ventricolare che provoca un

allargamento del complesso QRS all’Elettrocardiogramma di superficie ed una

dissincronia meccanica tra le pareti intracardiache.

Tale dissincronia riduce l’efficienza della contrazione ventricolare e peggiora

conseguentemente lo stroke volume.

Inizialmente, il principale marker di dissincronia era considerata la presenza del

Blocco di Branca Sinistra, a tutt’oggi le linee guida internazionali identificano

più generalmente la presenza di dissincronia con una durata del complesso

QRS maggiore o uguale a 120 ms.

Inoltre, se inizialmente si presupponeva che tale dissincronia fosse deleteria

principalmente perchè creava un ritardo di contrazione tra ventricolo destro

e sinistro (ritardo interventricolare), studi più recenti hanno evidenziato

come in realtà sia il ritardo di contrazione tra le pareti del ventricolo sinistro

stesso (ritardo intraventricolare) a giocare un ruolo primario nella riduzione

dell’efficienza di pompa, in particolare la dissincronia tra il setto (precoce) e

la parete laterale (tardiva).

Funzionamento ed impianto dei dispositivi biventricolariLa Terapia di Resincronizzazione Cardiaca consiste nella stimolazione

contemporanea del ventricolo destro e del ventricolo sinistro attraverso due distinti

elettrocateteri posizionati l’uno in ventricolo destro (spesso in apice ma recentemente

anche sul setto interventricolare) e l’altro sulla parete laterale o postero-laterale del

ventricolo sinistro, che come detto è generalmente la più ritardata.

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Questi due elettrodi consentono di sincronizzare tra loro

la contrazione della parete laterale e del setto; inoltre

consentono di temporizzare correttamente queste

contrazioni sulla base dell’attività atriale programmando

opportunamente l’intervallo AV (analogo a quello dei

pacemaker/defibrillatori DDD).

Il posizionamento del catetere sinistro avviene per via

endovenosa percorrendo a ritroso l’albero venoso coronarico:

si incannula cioè il seno coronarico a partire dall’atrio destro,

si percorre il tronco del seno coronarico fino alla zona laterale

da cui di incannula una vena che porti in posizione laterale

media o postero-laterale. La punta dell’elettro-catetere verrà

quindi a trovarsi in una posizione epicardica della parete

libera del ventricolo sinistro. La procedura viene monitorata,

come per i dispositivi tradizionali, mediante raggi X.

L’impianto del catetere sinistro è critico per la riuscita della terapia ed il suo

posizionamento ottimale è condizionato da molteplici fattori anatomici e

non: in primis, la presenza di un seno coronarico accessibile e percorribile

con l’elettrocatetere; secondariamente, la presenza di almeno una vena nella

zona target (laterale/posterolaterale) anch’essa accessibile e percorribile;

infine, l’assenza di tessuto cicatriziale nella zona target per permettere la

stimolazione elettrica.

Per ovviare alle difficoltà di impianto di questo elettrocatetere, la tecnologia ha

sviluppato nuovi prodotti e tools di impianto: in particolare, elettrodi sempre più

sottili (ad oggi il diametro minimo è 4.1 Fr) o cateteri guida più manovrabili che

permettono di selezionare più facilmente le vene laterali dove poi far arrivare

l’elettrocatetere.

Gli studi più recenti, e numericamente più rilevanti, indicano una percentuale di

riuscita dell’impianto tra 89% e 95%.

L’ultimo aspetto, a livello di impianto, riguarda la fissazione dell’elettro-

catetere.

La maggioranza degli elettrodi per il ventricolo sinistro hanno una

sorta di fissazione passiva che non si basa sulla presenza di alette di

fissaggio come nei cateteri “destri” (non essendo ovviamente presenti

trabecole all’interno delle vene coronariche), ma su una precurvatura

della parte finale dell’elettrodo, che facendo pressione sulle pareti

della vena, stabilizza il catetere.

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Fa eccezione un elettrocatetere specifico (Attain StarFix™) che attua

una fissazione attiva all’interno della vena mediante un sistema di lobi

retrattili.

Tali lobi vengono fatti espandere una volta raggiunta la posizione

desiderata, fissando l’elettrodo mediante pressione sulle pareti della vena.

Indicazioni alla Terapia di ResincronizzazioneLe recenti linee guida comuni dell’European Society of Cardiology (2008) indicano,

in classe I, l’utilizzo della Terapia di Resincronizzazione per pazienti con le seguenti

caratteristiche:

Scompenso cardiaco cronico nonostante terapia medica ottimale•

Classe funzionale nYHa III-Iv•

Frazione di Eiezione del ventricolo sinistro ≤ 35%•

Durata del QRS ≥ 120ms•

È da notare come la CRT resti indicata per pazienti che, oltre a queste caratteristiche,

presentino Fibrillazione Atriale oppure la necessità di pacing con elevata percentuale

di stimolazione (indipendentemente dalla durata del QRS e/o dal ritmo atriale).

Quest’ultima indicazione è strettamente correlata a quanto riportato nel precedente

paragrafo “Minimizzazione del pacing ventricolare”: se un paziente con scompenso

cronico avanzato e Frazione di Eiezione depressa viene sottoposto a stimolazione

convenzionale (pacing in apice del ventricolo destro), la dissincronia indotta da

tale stimolazione (simile a quella legata ad un blocco di branca sinistra) ha elevate

probabilità di peggiorare lo stato clinico e di aumentare la ricorrenza di fibrillazione

atriale e ospedalizzazioni per scompenso.

Pertanto, quando per questi pazienti si rende necessaria una stimolazione

ventricolare (per presenza di blocchi AV o bradicardie), è opportuno ricorrere ad

una stimolazione biventricolare e non limitarsi a quella convenzionale.

Alternativamente, come già accennato, moderni approcci risolvono il problema

evitando di stimolare in apice ma posizionando il catetere destro in siti non

convenzionali (quali fascio di His, zona parahissiana, setto).

Tali approcci non sono però ancora stati formalizzati all’interno delle linee guida.

Stimolazione Biventricolare: caratteristiche e particolaritàI dispositivi biventricolari vengono generalmente identificati come CRT-P

(pacemaker biventricolare) o CRT-D (defibrillatore biventricolare). Essi hanno

funzionamento e modi di stimolazione analoghi a quelli dei PM/ICD convenzionali

ed una durata di circa 6 anni (CRT-P) o 4-5 anni (CRT-D).

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In particolare, se è presente il ritmo sinusale, sono programmati in DDD o DDDR e

quindi viene posizionato un elettrodo anche in atrio. Se il paziente è in fibrillazione

atriale cronica invece, vengono programmati in VVI o VVIR e quindi non viene

posizionato il catetere atriale.

Per i dispositivi biventricolari, una stimolazione AAI/AAIR non ha senso visto che il

fulcro della terapia è la stimolazione dei due ventricoli.

Programmazione dell’intervallo av

Nella terapia di resincronizzazione, lo scopo principale è quello di ottenere la

sincronia tra le pareti intracardiache. Tale risultato è strettamente legato all’effettiva

stimolazione dei due ventricoli, in altre parole, per poter resincronizzare

efficacemente è necessario che la percentuale di stimolazione dei ventricoli

sia prossima al 100%.

Tale filosofia è diametralmente opposta a quella vista nella malattia del nodo del

seno per i PM/ICD tradizionali. In quel caso era necessario minimizzare il pacing

(non necessario); per una CRT efficace è invece necessario massimizzarlo.

In tal senso gioca ancora un ruolo fondamentale l’intervallo av programmato:

esso determina la distanza temporale tra l’attività atriale (stimolata o spontanea) e

la stimolazione dei due ventricoli.

Nei dispositivi CRT tale intervallo deve essere sufficientemente corto per

evitare che la contrazione ventricolare intrinseca (dissincrona) avvenga, ma

anche sufficientemente lungo per massimizzare il riempimento diastolico

ventricolare. Generalmente questo parametro è fissato nominalmente a 100ms.

È però necessario assicurarsi che questa programmazione

sia ottimale e variarla se non lo è.

Tale verifica viene possibilmente effettuata mediante

ecocardiografia verificando al doppler transmitralico la

posizione reciproca dell’onda E e dell’onda A.

È altresì importante verificare che l’intervallo AV ottimale così

stabilito sia tale anche al variare della frequenza cardiaca.

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Non è infrequente, infatti, che all’aumentare della frequenza cardiaca (per esempio

in caso di attività fisica), l’intervallo AV spontaneo del paziente si accorci al punto

da diventare più breve dell’AV ottimale programmato.

In tale situazione la stimolazione biventricolare viene inibita dalla comparsa della

contrazione spontanea e, paradossalmente, proprio nel momento di maggiore

necessità vengono persi i benefici della CRT.

Tutti i moderni PM e ICD biventricolari contengono una funzione detta “AV adattabile

alla frequenza” che automaticamente riduce l’intervallo AV programmato al salire

della frequenza in modo da mimare la fisiologica riduzione del P-R spontaneo e

quindi evitare che venga persa la stimolazione biventricolare.

D’altra parte, se il paziente riportasse sintomi durante sforzi fisici, sarebbe

opportuno verificare (per esempio durante un test ergometrico) che la stimolazione

biventricolare sia mantenuta per tutta la durata dello sforzo.

Come per i PM/ICD convenzionali, anche nei dispositivi CRT esistono diagnostiche,

memorizzate dal dispositivo stesso, che prevedono il monitoraggio della % di

pacing a lungo termine. Tale diagnostica permette di verificare che la terapia

di Resincronizzazione venga effettivamente erogata, cioè che la % di pacing

ventricolare sia sempre più vicina possibile al 100%.

Programmazione dell’intervallo vv

I moderni dispositivi CRT-P e CRT-D hanno la possibilità di stimolare con tempistiche

diverse nei due elettrodi ventricolari sinistro e destro.

Per esempio, un dispositivo potrebbe essere programmato in DDDR con un intervallo

AV di 100 ms ed un intervallo VV di 12 ms, anticipando la stimolazione a sinistra.

Questo comporta che la sequenza di stimolazione non sia più Atrio-Ventricoli ma

diventi Atrio-VentricoloSinistro-VentricoloDestro.

E’ necessario verificare che l’intervallo AV sia sufficientemente corto da precedere l’attivazione spontanea (dissincrona) dei ventricoli (in fig. negli ultimi 3 battiti l’AV programmato è troppo lungo)

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Tale funzione ha diverse utilità. La principale è legata alla differenza tra l’attivazione

elettrica delle pareti cardiache e quella meccanica. Può infatti capitare che

un’attivazione simultanea dei due elettrodi ventricolari non si tramuti in una

conseguente contrazione simultanea delle pareti (in particolare setto e parete

libera del ventricolo sinistro), sia per i fisiologici diversi ritardi di attivazione elettro-

meccanica, sia per le diverse posizioni dei cateteri all’interno del cuore.

Per ottimizzare la contrazione meccanica e massimizzare l’effetto della CRT, è quindi

possibile variare la tempistica con cui i due elettrodi stimolano le relative zone di

impianto, verificando la sincronia delle pareti del ventricolo sinistro. Tale procedura

viene generalmente effettuata mediante guida ecocardiografica, puntando a

massimizzare la gittata cardiaca.

Un altro aspetto inerente l’intervallo VV è legato al posizionamento

dell’elettrocatetere sinistro. Non essendo infatti sempre possibile raggiungere la

zona ottimale di impianto, la possibilità di anticipare la stimolazione sinistra può

permettere di migliorare comunque la contrazione cardiaca variando la sequenza

di attivazione delle varie pareti.

Nominalmente, in ogni caso, la stimolazione dei due ventricoli avviene

simultaneamente (Intervallo VV = 0). E’ poi programmabile, anticipando l’uno o

l’altro canale, fino a 80ms.

aritmie atriali e loro impatto sulla CRT

La presenza di fibrillazione atriale cronica o parossistica non è di per sè un criterio

di esclusione per la terapia di Resincronizzazione, diversi studi hanno infatti

dimostrato che gli effetti della CRT sono analoghi a quelli che si ottengono su

pazienti in ritmo sinusale.

La problematica principale in questo contesto è legata all’effettiva erogazione

della stimolazione biventricolare: il ritmo caotico atriale, l’irregolare conduzione

in ventricolo dell’attività atriale e l’innalzata frequenza cardiaca possono infatti

ridurre significativamente la percentuale di intervento del dispositivo.

Recenti studi hanno evidenziato come i pazienti in FA cronica ottengano esattamente

lo stesso beneficio di quelli in ritmo sinusale se si riesce a portare la percentuale di

stimolazione biventricolare vicina al 100% mediante Ablazione del Nodo AV.

In generale, un opportuno controllo in frequenza (farmacologico o mediante

ablazione) è assolutamente indispensabile in questa tipologia di pazienti, unito ad

un costante monitoraggio della percentuale di pacing.

In caso di aritmie atriali, il dispositivo si programma automaticamente in VVIR (se

non lo è già) ed il parametro critico è la frequenza minima. Il dispositivo è infatti

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generalmente programmato con una frequenza minima di 60 bpm: in caso di FA

condotta in ventricolo, è probabile che la frequenza ventricolare superi spesso tale

soglia e di conseguenza il dispositivo non stimoli.

In passato, l’unica soluzione praticabile era quella di programmare una frequenza

minima più elevata (per es. 75 bpm). Questa soluzione, riduceva il problema solo

in parte e, di contro, impediva al paziente di avere frequenze basse quando era a

riposo o in assenza di aritmia atriale.

I dispositivi attuali sono invece dotati di algoritmi in grado di favorire il pacing anche

in presenza di aritmie atriali condotte in ventricolo. In particolare, l’algoritmo detto

“Risposta alla FA condotta”, per controbilanciare l’innalzamento della frequenza

media, incrementa automaticamente la frequenza di stimolazione in presenza di

aritmie atriali con conduzione in ventricolo. La riduce poi in assenza di conduzione

veloce della FA.

Bisogna comunque tenere presente che l’effetto di questo e di altri algoritmi con lo

stesso scopo è significativo però non elimina completamente il problema. Quindi,

abbinare il funzionamento di tali algoritmi ad un’opportuna terapia medica o

interventistica è necessario per non vanificare l’impianto del dispositivo CRT.

Il ruolo del follow-up nella terapia di resincronizzazione

COnTROllO E OTTIMIzzazIOnE DElla TERaPIa MEDICa POST-CRT

Titolazione Beta-bloccanti•

Ottimizzazione diuretici•

Riabilitazione fisica•

RICOnOSCIMEnTO aRITMIE aTRIalI E RIDUzIOnE DEl PaCInG

Insorgenza FA e gestione controllo in frequenza (eventuale indicazione ad •

ablazione nodo AV)

Verifica stimolazione biventricolare a riposo e sottosforzo (controllo cattura •

ventricolo sinistro e/o programmazione AV ottimale)

vERIFICa DElla nECESSITa’ DI OTTIMIzzaRE la PROGRaMMazIOnE

Valutazione risposta ecocardiografica a medio termine•

Valutazione della necessità di ottimizzare gli intervalli programmati AV e VV•

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Programmazione delle uscite e loro impatto sulla CRT

La programmazione delle uscite atriali e ventricolari, cioè dell’energia erogata nelle

camere cardiache per stimolare attraverso i cateteri, è generalmente semplice nei

dispositivi convenzionali mono e bicamerali perchè si basa unicamente sulla soglia

di stimolazione misurata all’impianto o durante i controlli di routine. A tale soglia

misurata (generalmente inferiore ad 1 Volt, con una durata di impulso di 0.4 ms)

viene applicato un fattore moltiplicativo di sicurezza (di solito x1.5 o x2) e questa

sarà l’uscita programmata per il canale che si sta verificando.

Nei dispositivi CRT, questa procedura si applica in maniera identica agli elettrodi

“destri” (atrio e ventricolo destro) ma può essere differente per l’elettrodo che

stimola il ventricolo sinistro.

In primis, perchè la soglia di stimolazione del ventricolo sinistro, generalmente più

elevata di quelle “destre”, può variare nel breve-medio termine a causa di leggeri

sposizionamenti del catetere o a causa del rimodellamento che la CRT provoca.

In secondo luogo, perchè la posizione finale dell’elettrodo sinistro può essere

vicina al nervo frenico o al diaframma e di conseguenza può dare luogo ad una

stimolazione diaframmatica in particolare nel caso in cui la programmazione

dell’uscita sia elevata.

La corretta programmazione dell’uscita sinistra, che è cruciale per permettere la

stimolazione biventricolare, deve perciò basarsi sul bilanciamento tra l’esigenza

di stimolare in qualsivoglia condizione e quella di limitare l’ampiezza dell’impulso

per evitare la stimolazione diaframmatica.

Bisogna peraltro notare che l’evenienza della stimolazione diaframmatica è limitata

e che, per quanto fastidiosa per il paziente, non ha conseguenze cliniche. Inoltre,

il rimodellamento inverso che spesso avviene a seguito della CRT può contribuire

a ridurla.

Al momento dell’impianto di un elettrodo in ventricolo sinistro, vengono

generalmente testate due soglie: quella di stimolazione vera e propria (sopra la

quale bisogna porsi per ottenere la stimolazione sinistra) e quella diaframmatica

(sotto la quale bisognerà porsi per evitare contrazioni diaframmatiche).

Se tra le due esiste un margine sufficiente, il catetere è in una buona posizione,

altrimenti dovrà essere spostato.

Normalmente la soglia di stimolazione si attesta tra 0.5 e 2 V, quella diaframmatica

al di sopra dei 4-5V, permettendo un sufficiente margine di programazione anche

in caso di successive variazioni nel tempo.

Questi stessi test vengono poi riverificati ai controlli periodici.

Nei più recenti dispositivi, la soglia di stimolazione viene automaticamente

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calcolata dal dispositivo giorno per giorno; in base a tale test, il dispositivo varia

autonomamente l’uscita programmata.

Grazie a questa tecnologia, ovvero alla sicurezza di un controllo giornaliero

automatico, non è più necessario avere margini di sicurezza elevati ma è sufficiente

porsi 0.5V o 1 V al di sopra della soglia.

Ciò facilita la gestione della soglia diaframmatica aumentando il margine tra l’uscita

programmata e tale soglia ed inoltre, limitando l’uscita, permette un risparmio

della batteria.

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4.1 la GESTIOnE DEl PazIEnTE COn DEvICEI defibrillatori impiantabili condividono con i Pacemaker le medesime piattaforme

tecnologiche per quanto riguarda la programmazione anti-bradicardica. Pertanto

tutte le informazioni fornite fino ad ora sono applicabili indifferentemente agli uni

ed agli altri (incluse quelle relative alla CRT).

Il seguente capitolo vuole sinteticamente descrivere alcune differenze e peculiarità

di defibrillatori e pacemaker, e fornire una panoramica delle possibilità che i

dispositivi forniscono per una gestione ottimale dei pazienti portatori.

Pacemaker o Defibrillatore?Per quanto massa e volume dei due dispositivi siano significativamente diverse,

non è sempre possibile distinguere “a vista” un paziente portatore di un pacemaker

da quello portatore di un defibrillatore.

Il cartellino/tessera che il paziente dovrebbe avere sempre con sè permette di

distinguere il tipo ed il modello di dispositivo di cui è portatore.

In linea generale, possono essere utili alcune osservazioni, soprattutto se il paziente

non è cosciente, non ha documenti o in altre situazioni:

il defibrillatore viene impiantato nella zona pettorale sinistra (salvo particolari •

problematiche), quindi un dispositivo impiantato nella zona pettorale destra è

probabilmente un pacemaker;

i defibrillatori sono muniti di allarmi acustici atti ad allertare medico e paziente •

in alcune situazioni (vd. successivo paragrafo); i pacemaker ne sono privi, quindi

se un dispositivo emette un suono è un defibrillatore;

gli elettrocateteri impiantati con i defibrillatori sono unicamente bipolari •

quindi i loro impulsi di stimolazione non sono visibili (o lo sono minimamente)

ad un ECG di superficie, pertanto un ECG che presenti “spikes” di stimolazione

è probabilmente un pacemaker. Fanno eccezione i dispositivi CRT per i quali

l’elettrodo sinistro può essere monopolare anche nei defibrillatori. L’aspetto

dell’ECG però dovrebbe consentire di cogliere la differenza di asse del QRS

(stimolazione convenzionale in apice ventricolo destro --> aspetto da BBS).

Stimolazione DDD in un PM con cateteri monopolariStimolazione DDD in un ICD (cateteri solo bipolari)

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Effetto MagnetePacemaker e Defibrillatori si comportano in maniera diversa se sopra il dispositivo

viene posto un magnete.

I pacemaker si programmano temporaneamente in modalità asincrona, cioè in

AOO/VOO se sono monocamerali, in DOO se sono bicamerali. Inoltre vanno alla

frequenza fissa di 85 bpm se la batteria è carica, a 65 bpm se il PM è a fine vita e

deve essere sostituito.

Tale programmazione rimane attiva fintanto che il magnete è sopra il

pacemaker; alla sua rimozione, viene ripristinata la programmazione

precedente.

I defibrillatori impiantabili, invece, non attuano modifiche

alla programmazione anti-bradicardica, ma sospendono

temporaneamente quella anti-tachicardica. Pertanto, ponendo un magnete sopra

un defibrillatore, esso non interverrà in caso di aritmie e, se stava erogando terapie

(shock o ATP), si interrompe.

Anche in questo caso, la rimozione del magnete ripristina la programmazione

iniziale, riattivando la programmazione antitachicardica.

Nei defibrillatori impiantabili, il posizionamento del magnete attiva anche l’allarme

acustico che suonerà per alcuni secondi.

Interventi chirurgici ed interferenzePacemaker e Defibrillatori sono suscettibili di interferenze elettromagnetiche

dovute a campi elettromagnetici ambientali o a passaggi di corrente di lieve entità

attraverso il corpo del paziente.

In particolare, molti interventi chirurgici possono dare luogo a questo tipo di

interferenze. Esse generalmente possono essere interpretate dal dispositivo come

reali segnali cardiaci (ventricolari o atriali).

In queste situazioni, se il dispositivo è un pacemaker, il rischio è che il PM

“sentendo” un’attività intrinseca (fittizia), si inibisca. Il paziente, quindi, corre rischi

esclusivamente se è pacemaker-dipendente e se l’interferenza, e quindi l’inibizione,

viene prolungata nel tempo (oltre i 3-4 secondi).

Utilizzare un magnete, in questo caso, può risolvere con semplicità il problema,

perchè il dispositivo si programmerà in un modo asincrono e quindi continuerà a

stimolare indipendentemente dai segnali che sente.

Se invece il dispositivo è un ICD, le interferenze non solo possono provocare

inibizione della stimolazione, ma possono essere interpretate anche come aritmie

ventricolari e di conseguenza trattate (con ATP o shock).

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Distanza > ½ metro

Anche in questo caso, il magnete può risolvere in parte il problema perchè la sua

presenza esclude il trattamento antitachicardico evitando shock inappropriati.

Di contro, a causa dell’assenza di effetto sulla stimolazione anti-bradicardica, tale

soluzione non copre il rischio di inibizione del pacing e quindi è sicura solamente

in presenza di pazienti non pacemaker-dipendenti.

Oltre alle precauzioni da adottare durante gli interventi chirurgici, ci sono altre

situazioni in cui la presenza di un device è una eventuale controindicazione, ad

esempio in procedure quali:

Risonanza Magnetica Nucleare•

Terapie con ultrasuoni (in prossimità del device)•

Radioterapia•

Diatermia•

A questo proposito, Medtronic ha per prima introdotto sul mercato (2008)

il pacemaker compatibile con la Risonanza Magnetica nucleare.

Tramite opportune modifiche ai circuiti interni, alla struttura del

dispositivo e alla geometria del corpo delgi elettrocateteri si sono

eliminati i possibili effetti pericolosi che una scansione MRI può avere sui

pazienti e i loro dispositivi cardiaci impiantabili.

E’ quindi possibile, con questo nuovo pacemaker, sottoporre il paziente

(previa programmazione ad hoc del device) ad una indagine diagnostica con MRI

(esclusa la zona compresa tra le vertebre da C1 a T12).

Nella vita di tutti i giorni i pazienti portatori di device possono venirsi a trovare in

situazioni “a rischio” in cui sono soggetti ad interferenze elettromagnetiche (EMI).

Nella tabella che segue vengono indicate le principali problematiche ambientali e

legate al luogo di lavoro:

Nessun Problema Attenzione!Lavatrici, asciugatrici,lavastoviglie, bollitori

Aspirapolveri, piccolielettrodomestici

Sistemi antifurto di banchee negozi (non sostare)

Telefoni cellulari(tenere a distanza > 10cm)

TV, riproduttori audio-video,videoregistratori, cuffie

Radio amatoriali, CB,altoparlanti potenti

Trapani e altri utensili elettricida banco

Attrezzi elettrici da giardinaggio

Magneti di particolareintensità

Saldatrici ad arco oresistenza

Forni a induzione o sistemidi riscaldamento elettrici per

la fusione di materie plastiche

Grossi generatori e centralienergetiche

Trasmettitori radio

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Allarmi acusticiI Defibrillatori impiantabili sono da sempre dotati di allarmi acustici che permettono

al paziente di essere allertato in caso di situazioni problematiche. Alcuni defibrillatori

hanno introdotto anche una funzione di vibrazione, simile a quella dei cellulari, con

il medesimo scopo.

Questi allarmi possono essere principalmente di due tipi:

allarmi di integrità del sistema•

allarmi clinici•

ALLARMI DI INTEGRITà DEL SISTEMA

Sospetta rottura catetere•

Esaurimento batteria•

Malfunzionamento•

ALLARMI DI UTILITà CLINICA

Insorgenza di FA•

Mancato controllo della frequenza durante FA•

Possibilità di congestione polmonare•

I primi suonano in caso di comparsa di problematiche del sistema quali: esaurimento

della batteria, problematiche agli elettrocateteri (possibili rotture), problematiche

ai condensatori (tempi di carica troppo lunghi). E’ necessario gestire questi allarmi

in tempi brevi perchè potrebbero riflettersi sulla sicurezza del paziente.

I secondi, invece, sono allarmi che tendono ad allertare il paziente in caso

di problematiche cliniche quali la comparsa di congestione polmonare o di

fibrillazione atriale oppure il mancato controllo in frequenza di aritmie atriali. Il

grado di urgenza di questi allarmi è pertanto minore rispetto ai primi e potrebbe

essere gestito anche da un medico non elettrofisiologo, in quanto inerente

problematiche cliniche e non tecniche.

E’ possibile programmare l’orario in cui questi allarmi potrebbero suonare

distinguendo gli uni dagli altri (programmando per esempio quello di integrità alle

9.00 e quello clinico alle 15.00).

Si consideri, comunque, che la probabilità che il primo tipo di allarme si verifichi è

molto ridotta.

nECESSITanO DEll’InTERvEnTO DEll’ ElETTROFISIOlOGO

POSSOnO ESSERE UTIlIzzaTI nElla GESTIOnE ClInICa DEl PazIEnTE

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Dati diagnosticiGli attuali dispositivi consentono di monitorare a lungo termine (12-14 mesi) vari

dati inerenti sia il funzionamento stesso del dispositivo, sia lo stato clinico del

paziente.

Ad ogni controllo ospedaliero o remoto la disponilità di questi dati consente

di avere un quadro oggettivo dello stato del device e del paziente che aiuti il

medico a valutare correttamente la clinica del paziente e/o a risolvere eventuali

problematiche.

Le diagnostiche dei device sono infatti dati oggettivi, continui e non dipendono

dalla compliance del paziente e, se integrati con allarmi, permettono la prevenzione

del peggioramento dello stato di congestione.

Nelle pagine seguenti è riportato un esempio di stampa di queste diagnostiche e

una spiegazione di come esse possano essere di aiuto nella gestione del paziente.

In generale, i principali dati forniti dai device a disposizione del medico si possono

suddividere in:

Dati tecnici

Impedenze, soglie e sensing giornalieri in atrio e in/nei ventricolo/i•

Stima della durata residua della batteria•

Dati clinici per il monitoraggio aritmico (trend aritmici)

Ore/Minuti al giorno di Fibrillazione atriale•

Frequenza ventricolare durante fibrillazione atriale•

Episodi di aritmie ventricolari sostenute e non sostenute e relativi dati•

Percentuale di pacing atriale e ventricolare•

Chi e quando?Tipologia di monitoraggio Affidabilità (PPV)Monitoraggio peso

Monitoraggio telefonico dei sintomi

Visita clinica

Esame Turgore giugulari

Variazione BNP o NT-proBNP

Impedenziometria total-body o toracica

Variazione EcoDoppler(transvalvolare, vena cava...)

Cateterismo (PCWP)

Paziente, ogni giorno

Paziente + infermiere, ogni 1-2 settimane

Ambulatorio, al Follow-Up

Ambulatorio, al Follow-up

Ambulatorio, al Follow-Up

Ambulatorio, al Follow-Up

Ambulatorio, al Follow-Up

Ospedale, in day-h ~100%

23%

32 – 83%

elevata

42 – 75%

~ 70

70-90%

80-95%

~100%

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Dati clinici per il monitoraggio dello scompenso cardiaco

Attività del paziente (ore al giorno di movimento, così come individuate dal •

sensore accelerometrico)

Frequenza media giornaliera notturna e diurna•

Heart Rate Variability•

Impedenza intratoracica e stima dei fluidi a livello polmonare (per monitorare il •

grado di congestione)

Dalle informazioni alla gestione del pazienteTutte queste informazioni possono aiutare il medico a raggiungere la terapia più

efficace per il paziente. Ogni singola diagnostica è infatti indicatrice di elementi

importanti sullo stato del paziente e suggerisce provvedimenti terapeutici

possibili. È però fondamentale una valutazione complessiva di tutti i dati che sono

fortemente correlati tra loro.

Nelle prossime pagine, per ognuna delle diagnostiche che saranno prese in

considerazione, si specificheranno le informazioni che esse possono fornire

e si elencheranno una serie di possibili soluzioni terapeutiche da prendere in

considerazione per migliorare lo stato del paziente.

I TREnD aRITMICI

Ore/Minuti al giorno di Fibrillazione atriale

Riscontro nuove aritmie ( e FA asintomatica)•

Valutazione efficacia terapia di controllo del ritmo•

Valutazione del rischio tromboembolico e gestione dell’anticoagulante•

Antiaritmico

Anticoagulante

Cardioversione

Ablazione

AT/AF total hours/day

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Frequenza ventricolare durante fibrillazione

Valutazione della efficacia della terapia di controllo •

della frequenza

Correlazione tra Frequenza Ventricolare e sintomi dei pazienti•

Percentuale di pacing atriale e ventricolare

Nei dispositivi CRT... • essenziale che la % di

pacing(bi)ventricolare sia la più elevata possibile

Nei dispositivi VR o DR... essenziale che la % di pacing •

ventricolare (apicale) sia la più bassa possibile

MOnITORaGGIO DElllO SCOMPEnSO CaRDIaCO

attività del paziente

Monitoraggio dello scompenso•

Monitoraggio dell’attività fisica del paziente•

Relazione fra cambi di terapia e attività del paziente•

Frequenza media

Monitoraggio degli episodi di scompenso: un’alta •frequenza notturna può essere indicazione di

disfunzione

P

V. rate during AT/AF(bpm) max/day avg/day

% Pacing/day

Atrial

-- -- Ventricular

Patient activity

hours/day

Beta

Antiaritmico

Adeguare laprogrammazionedel device

Adeguare laprogrammazionedel device(MVP,AV e VVtiming, algoritmiper aumentare ilpacing biv)

Ablazione,cardioversione,beta bloccanti,terapiaantiaritmica

Verificareimpedenza

Esercizio fisico

Risposta delsensoredi movimento

Beta Bloccante

Ace-I

Diuretici

Verificareimpedenza

P

P

Avg V. ate (bpm)

Day

-- -- Night

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Heart rate variability

La HRV è più bassa in pazienti con alta mortalità e alto rischio di ospedalizzazioni

(decrementa parallelamente ad un peggioramento dello stato di compenso)

HRV è indice di scompenso e di disfunzione •

autonomica

Predittore delle ospedalizzazioni •

Controllo delle terapia farmacologica: l’HRV aumenta quando •

la terapia è corretta

Monitoraggio dell’impedenza intratoracica

Il paziente con scompenso cardiaco ha un evento acuto che è dovuto nel 55% circa

dei casi a congestione, che è quindi causa di un peggioramento prognostico.

I dispostivi Medtronic per questo tipo di pazienti sono dotati di un sistema di

monitoraggio dell’impedenza intratoracica per controllare l’accumulo di fluidi nei

polmoni (OptivolTM).

Il trend delle impedenze è una diagnostica quotidiana non invasiva che completa

il quadro diagnostico di un paziente difficile da gestire.

L’impedenza intratoracica è strettamente correlata con PCWP, principale predittore

di ospedalizzazione per scompenso e morte per scompenso cardiaco.

L’ Impedenza transtoracica è quindi un valido marker dell’accumulo di fluidi nei

polmoni.

Polmoni più “asciutti” corrispondonoad impedenze più alte

Polmoni più “umidi” corrispondonoad impedenze più basse

L’impedenza (Z)aumenta

L’impedenza (Z)diminuisce

Beta Bloccante

Ace-I

Diuretici

Verificareimpedenza

Heart rate variability(ms)

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Il monitoraggio dell’impedenza diventa fruibile prospetticamente perchè

il dispositivo è automaticamente in grado di riconoscere la diminuzione di

impedenza. Inoltre, tramite lo sviluppo di un algoritmo automatico (Fluid Index),

identifica situazioni pericolose di accumulo di liquidi e allerta il paziente/medico

che può adottare la strategia migliore (es. aumentare i diuretici) tenendo comunque

sempre conto del quadro clinico completo fornito da tutte le diagnostiche.

La gestione remotaLa telemedicina applicata ai device impiantabili è un potente strumento che porta

vantaggi sia organizzativi che clinici, al paziente e ai medici.

Il telemonitoraggio permette infatti di sfruttare la potenzialità del dispositivo

impiantato quale strumento diagnostico presente 24 ore su 24, 7 giorni su 7,

in grado di controllare dati aritmici e clinici oggettivi, indipendentemente dal

paziente e/o dai famigliari.

Il sistema di monitoraggio a distanza CarelinkTM di Medtronic

Il medico visiona ed analizza i dati su Pc tramite internet, sul Medtronic CareLink WebSite

il medico stabilisce le date dei controlli mediante sito web

il device “scarica” automaticamente i dati mediante modem su un sito web protetto, senza intervento da parte del paziente.Se il dispositivo rileva un potenziale problema sul funzionamento dello stesso o di natura fisiologica, può trasmettere automaticamente alert personalizzabili ai medici (sms, e-mail)

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Tra i principali benefici per il paziente c’è :

il la possibilità di effettuare comodamente i follow-up di routine direttamente •

dalla propria casa;

il paziente può trasmettere i dati mentre è in viaggio; •

iI paziente e i suoi familiari possono vivere nella tranquillità di essere sempre •

connessi con il proprio ospedale.

I benefici del personale medico si traducono in:

una maggiore attenzione verso il paziente con cui si mantiene un contatto •

continuo, con una maggior compliance e soddisfazione da parte dello stesso;

i dati del device e le diagnostiche sono sempre disponibili; •

una notevole riduzione dei tempi dei controlli di routine.•

Ma il controllo remoto dei device permette soprattutto di ottenere dei vantaggi

clinici. Grazie ai dati (diagnostiche) sempre accessibili e agli allarmi è possibile

prevenire gli eventi acuti e verificare l’appropriatezza delle terapie in atto; i dati

possono essere condivisi in ogni momento ed ovunque tra l’elettrofisiologo,

che verifica il corretto funzionamento del dispositivo, e l’eventuale cardiologo

che gestisce clinicamente il paziente. Per aver accesso ai dati è infatti sufficiente

connettersi da qualsiasi computer con un accesso ad internet standard.

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Vediamo un esempio di un pazien-

te con dispositivo CRT con ultimo

controllo ambulatoriale effettuato

a inizio anno:

1 (fine aprile) L’innesco della FA

coincide con l’inizio dell’aumento

dell’indice dei fluidi ed è causa di

FV elevata e di riduzione della % di

stimolazione biventricolare

2 (metà luglio) In un dispositi-

vo comune senza monitoraggio

dell’impedenza e con follow-up

semestrale programmato si ha

una visione retrospettiva e inter-

pretativa dei dati: il paziente può

gia essere in fase acuta

3 (inizio maggio) In un dispositivo

dotato di monitoraggio dell’impe-

denza (OptivolTM con allarmi e mo-

nitoraggio remoto si ha una visio-

ne prospettica per la prevenzione

di episodi acuti.

Si possono adottare variazioni te-

rapeutiche con molte settimane di

anticipo.

CaSO ClInICO

1 23

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aPPEnDICE a

algoritmo di scelta del tipo Pacemaker

Pazienti con blocco atrioventricolare

Epstein A, et al. ACC/AHA/HRS 2008 Guidelines for Device-Based Therapy of Cardiac

Rhythm Abnormalities J Am Coll Cardiol 2008

blOCCO av

PM vvI PM vvI-R

Fibrillazione atriale Cronica,impossibilità di riportare a ritmo

necessitàdi sincronia

necessitàdi pacing atriale

necessità dirate response

PM vvI

PM DDD

PM vvI-R

PM DDD-R

PM vDD(monocamerale)

necessità dirate response

necessità dirate response

nO

nO

nO

nO

nO

nO Sì

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algoritmo di scelta del tipo Pacemaker

Pazienti con disfunzione del nodo del Seno

Epstein A, et al. ACC/AHA/HRS 2008 Guidelines for Device-Based Therapy of Cardiac

Rhythm Abnormalities J Am Coll Cardiol 2008

Disfunzione nododel Seno

PM aaI PM aaI-R

Conduzione av compromessa opossibilità di sviluppare blocchi av

necessitàdi sincronia

necessità dirate response

nO Sì

nO Sì

nO Sì

PM vvI PM vvI-R

necessità dirate response

nO Sì

PM DDD PM DDD-R

necessità dirate response

nO Sì

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aPPEnDICE b

algoritmo di selezione del candidato all’ICD

ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic Heart Failure

2008. Dickstein et al. Eur Heart J. 2008

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algoritmo di selezione del candidato alla CRT

ESC Guidelines for the diagnosis and treatment of acute and chronic Heart Failure

2008. Dickstein et al. Eur Heart J. 2008

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Riferimenti bibliografici

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Bristow MR, Saxon LA, Boehmer J, Krueger S, Kass DA, De Marco T, et al. for the Comparison of Medical Therapy, Pacing and Defibrillation in Heart Failure(COMPANION) investigators.Cardiac-resynchronization therapy with or without an implantable defibrillator inadvanced chronic heart failure.N Engl J Med 2004; 350: 2140-50.

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