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EVOLUZIONE E DEFINIZIONE DELLA GEOGRAFIAPROF.SSA EMILIA SARNO

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““EEVVOOLLUUZZIIOONNEE EE DDEEFFIINNIIZZIIOONNEE DDEELLLLAA

GGEEOOGGRRAAFFIIAA””

PPRROOFF..SSSSAA EEMMIILLIIAA SSAARRNNOO

Università Telematica Pegaso Evoluzione e definizione della geografia

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 GLI AMBITI EPISTEMOLOGICI DELLA GEOGRAFIA ------------------------------------------------------------ 3

2 LA GEOGRAFIA DALL’ETÀ ANTICA AL XVII SECOLO ---------------------------------------------------------- 4

3 LA GEOGRAFIA TRA SETTECENTO E OTTOCENTO ----------------------------------------------------------- 6

4 IL POSSIBILISMO VIDALIANO ------------------------------------------------------------------------------------------ 8

5 LA GEOGRAFIA NEL NOVECENTO ----------------------------------------------------------------------------------- 9

6 L’ INDIRIZZO IDIOGRAFICO ------------------------------------------------------------------------------------------- 10

7 L’INDIRIZZO NEOQUANTITATIVO O NEOGEOGRAFICO -------------------------------------------------- 12

8 LA PERCEZIONE DELL’AMBIENTE --------------------------------------------------------------------------------- 14

9 L’INDIRIZZO STORICISTICO-MARXISTA -------------------------------------------------------------------------- 16

10 LA GEOGRAFIA CULTURALE ------------------------------------------------------------------------------------------- 18

11 GLI ORIENTAMENTI PIÙ RECENTI --------------------------------------------------------------------------------- 19

12 CONCLUSIONI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21

BIBLIOGRAFIA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 22

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1 Gli ambiti epistemologici della geografia

La geografia è scienza antica e nel corso del tempo ha visto ampliare i suoi ambiti per cui, al

pari di altre discipline, se ne può ripercorrere l’ evoluzione. Il termine geografia deriva dalla lingua

greca e significa descrizione della Terra (geo= terra; graphein= descrivere). In relazione a questa

iniziale definizione la geografia è stata considerata dall’età antica fino a quella moderna una scienza

essenzialmente descrittiva, mentre per l’influenza illuministica e poi nel corso dell’Ottocento i

geografi hanno volto la loro attenzione alle cause dei fenomeni fisici e umani studiati. Come si

vedrà nei prossimi paragrafi, lo sviluppo degli studi geografici, soprattutto dal punto di vista

teorico, ha arricchito ed ampliato gli ambiti epistemologici della geografia dando spazio ad analisi

sempre più puntuali e approfondite. In tal modo la geografia da disciplina descrittiva è andata

proponendosi come scienza che interpreta i processi spaziali e analizza le relazioni territoriali. Essa

si occupa in modo principale dell’umanizzazione del pianeta Terra e delle complesse relazioni tra le

comunità umane e gli ambienti. Inoltre, non limitandosi alla sola descrizione, è sempre più

interessata ad essere prospettica nel senso di preoccuparsi del futuro assetto dei territori

partecipandone alla pianificazione. Per i diversi obiettivi che si è posta e si pone la geografia

interagisce continuativamente con la cartografia, la scienza che si occupa della rappresentazione

territoriale.

Già da queste iniziali indicazioni, si comprende che la storia del pensiero geografico sia complessa

ed è necessario ripercorrerla per comprenderne in modo puntuale lo sviluppo e gli ambiti

d’indagine1.

1 Per la definizione della scienza geografica si vedano: Capel, 1987; Claval. 1985; De Vecchis, 1999; Innocenti, 2004,

pp. 11-18; Luzzana Caraci, 1987; Rocca, 2008, pp. 9-23.

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2 La geografia dall’età antica al XVII secolo

L’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra ha dovuto preoccuparsi di conoscere ed esplorare

il contesto in cui vive, ha dovuto essere attento a tutti i segnali provenienti dall’esterno per

difendere la propria sopravvivenza. In questo processo di scoperta gli uomini antichi elaborano una

propria visione del mondo e la geografia comincia a costituirsi come sapere nell’alveo delle scienze

naturali e matematiche2. I filosofi presocratici (VI secolo a. C.) si interrogano sulla forma della

Terra anche per andare incontro ad un bisogno importante: individuare la localizzazione dei luoghi,

muoversi per terra e per mare. La conoscenza della terra diventa particolarmente vantaggiosa poiché

l’uomo ha bisogno di avere chiari punti di riferimento per organizzare la sua esistenza, per

commerciare e anche per fare la guerra.

Il primo ad utilizzare il termine Geografia è lo studioso greco Eratostene (284-203 a. C.) che scrive

un’opera3 intitolata appunto Geografia, suddivisa in tre libri, della quale però conosciamo solo

qualche frammento grazie ad un altro autore: Strabone. L’opera Geografia in 17 libri di Strabone (I.

secolo a. C.) ci è invece pervenuta quasi del tutto integra. Egli chiarisce che la geografia è

necessaria per descrivere paesi e genti. Si deve poi a Tolomeo (100-175 d. C.) e alla sua opera in

otto libri sempre intitolata Geografia la base della cartografia scientifica. Si salda così lo stretto

legame tra geografia e cartografia.

Questi autori stabiliscono i cardini della geografia che diventeranno la base degli studi nell’età

moderna, quando la geografia acquista nuova vitalità4. L’interesse per i classici, specifico

dell’Umanesimo e del Rinascimento, fa riscoprire appunto i testi antichi di Strabone e di Tolomeo,

ma l’impulso agli studi geografici è dato pure dai viaggi e dalle scoperte geografiche. I classici

vengono tradotti e interpretati per recuperare le conoscenze del passato, mentre le scoperte

geografiche imprimono una svolta decisiva nella conoscenza del mondo. La scoperta di nuovi

territori e nuovi mondi valorizzano le conoscenze cartografiche utili per la costruzione di mappe

attendibili. L’opera di Tolomeo diventa popolare ed utile per la navigazione. Sono inoltre affrontati

2 L’interesse e anche la necessità di misurare la terra richiedono l’utilizzo della matematica, mentre l’osservazione della

natura è punto di partenza per la geografia. 3 Dai frammenti sappiamo che Eratostene tratta questioni di geografia astronomica e fisica, la posizione nello spazio,

ma fornisce anche notizie sulle popolazioni. 4 Nel Medioevo la geografia registra scarso interesse proprio per l’attenzione rivolta principalmente alle questioni

teologiche e non alle altre scienze.

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alcuni problemi fondamentali: la forma e le dimensioni della Terra, la distribuzione dei mari e delle

terre emerse.

In relazione a questi fattori il termine geografia si diffonde e gradatamente questo sapere acquista

una sua rilevanza, sempre in relazione con la cartografia. Questa relazione è evidenziata nei Paesi

Bassi da Gerhard Kremer (1512-1594), noto anche Mercatore, e da Abraham Oertel (1528-1598),

italianizzato in Ortelio, che predispongono interessanti rappresentazioni cartografiche. Il primo è

notissimo per la sua proiezione cartografica isogona particolarmente utile per navigare5, il secondo

è autore di un celebre atlante Theatrum Orbis Terrarum (1570), una raccolta di carte di tutto il

mondo.

In Italia Giovanni Antonio Magini (1555-1617) si preoccupa di curare un’edizione italiana della

Geografia di Tolomeo e di realizzare l’Atlante Geografico d’Italia, poi stampato dopo la sua morte

nel 1620.

Il Seicento raccoglie le sollecitazioni dell’Umanesimo e del Rinascimento. Infatti, Philipp Clüver

(1580-1622) è il fondatore della geografia storica, poiché si dedica alla descrizione del paesaggio

dei tempi classici. Bernhardt Varen, o Varenio (1622-1650), è autore di un’importante opera

Geographia Generalis, sintesi del sapere geografico del tempo. Per Varenio la Geografia si articola

in universale o generale e in speciale o corografia. La prima considera la Terra nei suoi diversi

componenti, la seconda tratta gli aspetti specifici di ogni singola regione. Egli quindi chiarisce i

compiti della geografia: descrivere la Terra nei suoi tratti generali, ma anche illustrare in modo

approfondito le diverse regioni. Si dà cosi impulso alla corografia, appunto alla descrizione di

ambiti specifici.

Sempre nel Seicento grazie al rinnovato interesse per gli studi sperimentali, si va affermando la

geodesia, cioè la scienza che si occupa della misurazione della Terra in base a precise misurazioni

sul terreno6.

5 Per proiezione cartografica si intende un insieme di regole che permettono di riportare sul piano della carta ogni punto

della superficie terrestre rappresentata; una carta isogonica mantiene rispetto alla realtà conserva inalterati gli angoli.

Grazie a questa caratteristica la proiezione elaborata da Mercatore è utile per la navigazione. Per la cartografia si veda

lo specifico opuscolo. 6La nascita della geodesia si deve a Willebrod Snell (1591-1626).

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3 La Geografia tra Settecento e Ottocento

L’Illuminismo accresce l’interesse per l’ambiente e per le scienze ponendo anche il

problema del rapporto fra l’uomo e la natura, tra le società umane e l’ambiente. Sebbene gli

illuministi risolvano questa relazione in modo semplicistico, tuttavia la geografia conosce nuovi

sviluppi. Naturalisti, botanici, viaggiatori contribuiscono a mettere a punto un patrimonio di

conoscenze. Per questi motivi la geografia si coniuga con la statistica, questa nuova scienza che

dalla Francia si propaga in Europa. Nella Francia napoleonica7 la statistica e la pubblica

amministrazione diventano un tutt’uno, anche perché qui si mettono a punto gli strumenti necessari

per la rilevazione scientifica.

Passi avanti si realizzano anche nella cartografia con Guillaume Delisle (1675-1726) e Cesare

Francesco Cassini (1714-1784). Il primo è noto per la sua proiezione prospettica di sviluppo conica

modificata8, utile per rappresentare carte generali di Paesi europei ed extraeuropei. Cassini progetta

la carta topografica della Francia.

L’Illuminismo favorisce gli studi geografici grazie all’interesse che vi è per la natura e l’agricoltura,

per cui si dà maggior rilievo alla geografia fisica. Nell’Encyclopédie è inserita la voce geografia

curata da M. Desmarest che scrive: “ la geografia è la descrizione della terra”. La geografia fisica

sembra predominare e si presenta come la descrizione ragionata della terra nelle sue partizioni. In

questo quadro diventa fondamentale l’impulso dato da Immanuel Kant (1724-1894) che

nell’introduzione all’opera Geografia fisica (1802) chiarisce che essa insegna a conoscere l’officina

della terra. Secondo Kant essa permette una visione globale della natura ed è propedeutica alle

seguenti branche della geografia9:

la geografia matematica (che studia forma, dimensioni e movimenti della Terra e dei suoi

rapporti con il sistema solare);

la geografia politica (che studia la struttura politica degli stati);

la geografia morale (usi dei popoli);

la geografia commerciale (che si occupa dei traffici commerciali);

la geografia teologica (che si occupa della distribuzione delle religioni).

7 Così chiariscono Batson et al., 2011, p. 2: «The development of historical statistics was encouraged by the needs of

the Napoleonic state and its increasing sophistication with public administration». 8 E’ un proiezione che utilizza come figura geometrica il cono.

9 Lo schema è tratto da De Vecchis, 1999.

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Come illustra Quaini (2008, p. 329), “la funzione che Kant assegnava alla geografia risulta dunque

molto chiaramente: essa si rivolge alla formazione del cittadino del mondo10

”. Sempre Quaini

precisa che proprio i processi storico-culturali di fine Settecento danno un particolare impulso alla

disciplina perché essa non è solo utile per la descrizione del paesaggio terrestre, ma comincia ad

essere funzionale alla progettazione del territorio.

Tale progresso diventa evidente nel corso dell’Ottocento grazie a geografi come Alexander von

Humboldt, Karl Ritter e Friedrich Ratzel. Alexander von Humboldt (1769-1859) ha una

formazione naturalistica ma si preoccupa di dare slancio all’impostazione metodologica della

geografia, considerando fondamentali alcuni principi nell’analisi geografica: la localizzazione, la

distribuzione dei fenomeni spaziali, ma anche la reciprocità e la causalità. Scrive un’opera

importante in cinque volumi Kosmos (1828) nella quale sottolinea l’importanza del clima e dà

spazio all’analisi della popolazione, economia, commercio.

Karl Ritter (1779-1859) si interessa alla relazione tra la superficie terrestre e l’uomo. La sua visione

religiosa considera il rapporto uomo-natura secondo un disegno provvidenziale, ma nello stesso

tempo egli si pone problemi metodologici per individuare la relazione tra la terra e i suoi abitanti;

inoltre intuisce l’importanza della comparazione geografica sia dal punto di vista spaziale sia

temporale.

Friedrich Ratzel (1844-1904) è inserito nel clima filosofico del positivismo e ha una visione

deterministica dell’ambiente. Egli scrive un’opera importante Anthropogeographie, studiando i

modi di distribuzione dei gruppi umani e osservando l’influenza determinata dall’ambiente naturale

sui gruppi umani. A Ratzel di deve anche un’altra opera fondamentale per la geografia Politische

Geographie, che segna la nascita della geografia politica moderna, benché lo studioso tratti gli Stati

alla stregua delle piante e degli organismi naturali. Il suo determinismo ambientale non è stato

apprezzato, ma la sua posizione va contestualizzata perché influenzata dal positivismo; comunque

egli ha saputo dare importanza ai tratti culturali dei gruppi umani.

10

In altro passo così illustra Quaini, 2008, p. 332 “Si comprende dunque come allora la geografia, in veste civile o

militare, si collocasse al centro e al livello più alto dei problemi e delle preoccupazioni del cittadino, del cittadino del

mondo”.

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4 Il possibilismo vidaliano

Il determinismo fisico-ambientale dell’Ottocento entra in crisi perché in Francia, alla fine

del secolo, si sviluppa una nuova corrente presso l’Ecole Normal Supérieure, formata da sociologi

e geografi, tra i quali si distingue Vidal de La Blache (1845-1918). Egli non si pone in opposizione

rispetto al determinismo, ma ne riprende il fattore principale, cioè la piena considerazione della

realtà, però si differenzia dal momento che non si limita a trarre conclusioni univoche e

predeterminate. Il suo metodo si basa su due aspetti: l’analisi dei rapporti spazio-temporali del

fenomeno studiato e la ricerca delle cause che li provocano. Egli dà particolare importanza allo

studio dei generi di vita che egli definisce come i comportamenti abituali dei gruppi umani, i quali

si concretizzano nelle forme di insediamento e di utilizzazione dello spazio. In tal senso egli dà vita

ad una concezione poi indicata come possibilismo vidaliano, per cui i gruppi umani sono liberi di

utilizzare le risorse a loro disposizione e, a parità di risorse, due comunità diverse possono trarre

benefici differenti. La natura quindi non pone vincoli ma offre all’uomo un ventaglio di possibilità.

Questa impostazione valorizza due concetti importanti per la geografia: il concetto di paesaggio,

come insieme dei tratti materiali e immateriali di un territorio, e il concetto di regione come

porzione di un territorio con proprie componenti differenti da quelle di altre regioni.

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5 La geografia nel Novecento

Nell’excursus ora proposto la geografia è venuta definendosi e affinandosi, proponendosi

come la scienza della descrizione della terra nei suoi tratti fisici e nella distribuzione della presenza

umana. Ciò ha dato vita a studi che hanno mirato a rappresentare la terra e le sue partizioni,

fornendo così delle sintesi che si accompagnassero alla produzione cartografica. In qualche modo

l’impostazione positivistica e vidaliana dura nel tempo, ma viene messo in crisi a metà del secolo

scorso anche da parte di un importante geografo italiano - Lucio Gambi - autore di un’opera

fondamentale: Una geografia per la storia del 1973.

Egli chiarisce che l’analisi del genere di vita, secondo la concezione di Vidal de La Blache, fosse

possibile per comunità elementari o conservative, ma che fosse poco adeguato per esaminare società

evolute. Il geografo italiano pone in evidenza i limiti dell’impostazione tradizionale e individua

nella geografia tre diversi ambiti: la geografia fisica, intesa come studio dei fenomeni naturali,

l’ecologia, che è lo studio degli esseri viventi, la geografia umana, che è lo studio

dell’organizzazione socio-economica della terra. La novità di Gambi consiste nel superamento della

concezione degli oggetti geografici come luoghi da descrivere e nella necessità di differenziare la

metodologia a seconda di ciascun ambito prima citato. Egli valorizza lo studio della geografia

umana e coglie la stretta relazione con la storia, cosa che considera necessaria per comprendere le

scelte umane. Inoltre, egli ritiene riduttiva la semplice descrizione dei fenomeni geografici, ma

ritiene che il geografo debba porsi dei problemi e provare a risolverli. Nel corso del Novecento

diversi studiosi avvertono l’esigenza di rinnovare la geografia e si sviluppano alcuni filoni che

esamineremo:

l’indirizzo idiografico

l’indirizzo quantitativo

la geografia della percezione

l’indirizzo storico-marxista

la geografia culturale.

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6 L’ indirizzo idiografico

E’ uno degli orientamenti più importanti degli anni Cinquanta del secolo scorso. L’autore più

rappresentativo è Richard Hartshorne (1899-1992), geografo americano11

. Le sue opere forniscono

indicazioni per il metodo idiografico, soprattutto la più nota Perspective on the Nature of

Geography12

. Egli si pone il problema di definire la natura scientifica della geografia e analizza il

metodo scientifico di questa scienza ponendola a confronto con le altre. Egli distingue le discipline

scientifiche da quelle umane perché solo le prime hanno una vera e propria sistematicità ed

esprimono delle regole, dei principi e anche delle leggi che in modo uniforme spiegano i fenomeni.

Poi egli si pone il problema di dove si collochi la geografia dal momento che non è in grado di

esprimere delle leggi universali, tuttavia egli difende la scientificità della disciplina perché ritiene

che non contino solo i risultati ma i criteri utilizzati. Poiché egli ritiene che la geografia utilizza dei

metodi sistematici e scientifici essa è pari alle altre discipline scientifiche. Da un punto di vista

metodologico, egli ritiene che sia necessario cominciare con l’osservazione, poi che si debba

continuare con l’analisi anche considerando le connessioni tra le parti, successivamente si

formulano delle ipotesi sui rapporti tra gli elementi spaziali e i processi che li innescano. Egli così

puntualizza come analizzare fenomeni geografici complessi:

“Si può scomporre la complessità globale dell’integrazione costituita da fenomeni interconnessi in

un luogo e interconnessi fra luoghi diversi, attraverso una suddivisione per argomenti d’indagine in

segmenti, ciascuno dei quali consiste di un’integrazione meno complessa e più serrata; e si può

scomporre la complessità delle variazioni spaziali, ciascuna caratterizzata da una gamma più

ristretta di variazioni del segmento d’integrazione in esame e da una più stretta interconnessione dei

fenomeni di un luogo con quelli di altri13

”.

Inoltre, Hartshorne mette in evidenza la significatività della geografia. Egli spiega che la

significatività della geografia si debba misurare in relazione all’uomo, per questi motivi la geografia

studia la terra in quanto casa dell’uomo e quindi il suo raggio d’azione è rivolto alla sottile crosta

più esterna della terra che costituisce il mondo dell’uomo.

11

Hartshorne rappresenta il punto di riferimento dal punto di vista metodologico per diversi decenni dagli anni

Quaranta agli anni Ottanta. 12

Si fa riferimento all’edizione tradotta in italiano con il titolo Metodi e prospettive della geografia e pubblicata dalla

Franco Angeli nel 1983. 13

Hartshorne, 1983, p. 164.

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Ecco uno specifico enunciato: “La geografia è quella disciplina che cerca di descrivere e

interpretare il carattere mutevole, da luogo a luogo, della terra, concepita come il mondo

dell’uomo14

”.

In relazione a queste indicazioni di metodo si comprende il significato del termine idiografico, cioè

studio delle peculiarità di ciascun luogo, ma da effettuarsi con una metodologia sistematica e chiara.

La visione, che la geografia si interessi della superficie terrestre come spazio dove si manifestano

dei fenomeni, apre la strada all’unicità di ogni contesto perché le relazioni o i processi che si

realizzano in ciascuno di essi sono unici e irripetibili.

Questo indirizzo ha dato impulso al ragionamento metodologico in geografia e ha cercato di

collocare la disciplina alla pari di altre, tuttavia la critica più evidente è quella di interessarsi

principalmente alla geografia umana. Ancora ha dato vita ad una serie di studi di ambiti territoriali

analizzati nella loro specificità, ma anche questa scelta è stata criticata perché mancano visioni di

carattere generale.

In definitiva, il metodo teorizzato da Hartshorne intende descrivere ciò che di irripetibile e di

originale si presenta nella realtà e ha offerto una serie di studi e contributi riguardanti diverse

regioni geografiche per metterne in evidenza i tratti peculiari.

14

Hartshorne, 1983, p. 59.

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7 L’indirizzo neoquantitativo o neogeografico

Negli anni Sessanta del secolo scorso si è affermato un indirizzo geografico che voleva

superare le impostazioni tradizionali con l’obiettivo di puntare su modelli teorici di tipo analitico e

normativo, anche rifacendosi ad altre discipline come la statistica, la matematica, l’economia:

l’indirizzo neoquantitativo o neogeografico. Esso ha ricevuto largo consenso nei paesi di cultura

anglosassone dove è stata denominato new geography. Questo indirizzo si apre ad altre discipline

per avere a disposizione metodi efficaci per analizzare le dinamiche territoriali. “La rivoluzione sta

nel punto di partenza, il metodo deduttivo, a cui si collega l’applicazione di procedimenti

matematici e statistici, nel tentativo di utilizzare gli sviluppo della tecnologia elettronica e

informatica, già introdotti nelle cosiddette scienze esatte e che ora si vogliono porre alla base degli

studi di geografia umana ed economica15

”.

L’obiettivo è quello di effettuare analisi territoriali che diano risultati chiari e comparabili. Ma

obiettivo ancora più importante è quello di avere a disposizione dei modelli per descrivere la realtà.

Insomma il geografo non deve come riteneva Hartshorne o ancora di più la geografia tradizionale

osservare e raccogliere informazioni qualitative per ricostruire un’unità spaziale, ma dove avere a

disposizione dei modelli o schemi per ricostruire la realtà. Perciò, questo filone è denominato

neoquantitativo in quanto vuole provare a quantificare i processi geografici.

Esempio basilare per questo indirizzo è la teoria delle località centrali elaborata da W. Christaller,

geografo tedesco, negli anni Trenta del secolo scorso. Il suo modello ha poi generato una serie di

ricerche utili e ha avviato ampie discussioni sulle potenzialità ma anche sulle criticità dell’indirizzo

neoquantitativo. Il modello di Christaller si propone di indagare l’esistenza di leggi che regolano la

dimensione, il numero e la distribuzione delle città nello spazio. Egli spiega la distribuzione di beni

e servizi offerti dai centri urbani ispirandosi al concetto di gerarchia urbana; individua le regole con

cui interpretare i sistemi urbani, spiegando dimensione, frequenza e distanza dei centri urbani di

ogni livello gerarchico16

. In pratica, un centro maggiore fornirà maggiori servizi e beni servendo un

territorio più ampio a differenza di un piccolo centro dotato di pochi servizi, utili solo a chi vi vive.

In tal modo secondo Christaller i servizi si dispongono sul territorio in modo virtualmente ordinato

e si assiste ad una divisione del territorio all’interno del quale si può individuare per ogni centro

l’area di gravitazione, che è maggiore per un centro maggiore, minore per un centro minore.

15

Caldo, 1987, pp. 43-44. 16

Gerarchia urbana: Differenziazione delle città sulla base di criteri che possono essere demografici o economici.

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Questo modello è apparso utile per studiare le relazioni territoriali, ma ha dei limiti per la sua

dimensione ideale, infatti non considera le situazioni reali e presenta una visione uniforme dello

spazio.

Tuttavia proprio a partire da questo modello il geografo italiano Turco17

chiarisce che nell’indirizzo

neoquantitativo vi siano elementi propositivi: l’importanza data a procedure metodologiche

statistiche e matematiche, l’utilità di modelli che permettano comunque di descrivere la realtà. I

modelli secondo Turco stabiliscono una norma ma consentono anche di conoscere le eccezioni,

inoltre sono vantaggiosi per ragionare sulle funzioni e sui processi territoriali. In tal modo questo

indirizzo non vuole solo descrivere ma vuole comprendere situazioni e processi geografici.

17

Si veda la discussione proposta da Turco, 1984, pp. 194-217.

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8 La percezione dell’ambiente

Negli anni Settanta del secolo scorso le scienze sociali hanno messo in crisi gli approcci

razionalisti e hanno cominciato ad esaltare quello fondato sull’esperienza anche individuale. Si è

quindi formato l’indirizzo della geografia umanistica che propone un approccio centrato sugli

aspetti qualitativi dell’uomo. Questo approccio è influenzato da correnti filosofiche, come

l’esistenzialismo e la fenomenologia, basate sull’analisi dell’esistenza umana e sullo studio dei

fenomeni. Secondo queste concezioni filosofiche non serve fermarsi all’apparenza ma è opportuno

andare all’essenza delle cose soffermandosi sul mondo soggettivo di ogni individuo. In tal senso

non bisogna limitarsi solo allo studio dell’uomo raziocinante, ma anche ai sentimenti e emozioni

che prova. Questa visione ha influenzato la geografia umanistica, benché secondo Vallega, già nei

geografi dell’Ottocento troviamo questa visione sorretta dal Romanticismo18

. In relazione alla

geografia umanistica si è sviluppata l’attenzione dei geografi per la letteratura. “Le opere letterarie

possono essere lette non solo per il loro contenuto letterario ma anche per il modo con cui

presentano un’esperienza capace di trasmettere lo spirito, il tradizionale significato, il valore storico

dei fatti territoriali” (Lando, 1994, p. 111). Le fonti letterarie esprimono il punto di vista dei gruppi

sociali sulla territorialità, mentre ogni autore, a sua volta, sceglie la forma simbolica per esprimerla

e trasfigurarla19

.

Nell’ambito umanistico si è sviluppato il filone della geografia della percezione o in inglese

behavioral revolution. Esso va a studiare la percezione individuale e collettiva dello spazio. Questo

indirizzo vuole mettere a fuoco i comportamenti umani, studiando i concetti e le immagini che gli

uomini elaborano del mondo reale. Si rivolge agli aspetti psicologici e sociali del comportamento

nell’ambiente. Uno schema significativo è proposto da Downs (1970) che studia il rapporto uomo-

ambiente. “Tale rapporto viene considerato un processo di interazione in cui l’ambiente costituisce

la sorgente delle informazioni percepite dal soggetto. (..:) La rilevanza per la ricerca geografica

dell’analisi psicologica sta nel fatto che gli uomini prendono decisioni circa la strutturazione dello

spazio e dell’ambiente sulla base delle conoscenze di cui dispongono che a loro volta derivano

18

Vallega, 2003, tratta nel primo capitolo i prodomi della geografia culturale. 19

Il confronto tra letteratura e geografia è ampiamente discusso; sono di riferimento il saggio di Lando, 1994, per la

sintesi dei diversi punti di vista sull’argomento.

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dall’accuratezza con cui le condizioni ambientali sono percepite”20

”. Ogni soggetto quindi rielabora

in modo personale le informazioni e produce specifiche elaborazioni e visioni.

Questa posizione trova molti riscontri ad esempio nello studio di Lynch (1960) che analizza le

immagini percettive degli abitanti di alcune grandi città americane e dimostra i differenti punti di

vista. Ciò mostra che ognuno venga formandosi proprie immagini mentali; le differenze sono

dovute a diverse cause: età, esperienze, scolarizzazione, provenienza sociale. In virtù di questi studi

alcune ricerche geografiche hanno esaminato il concetto di mappa cognitiva. Il termine mappa

cognitiva fu coniato da Tolman (1948): essa indica le configurazioni mentali dell’ambiente, ma è

anche uno schema percettivo che è di orientamento per ciascuno di noi ed è suscettibile di

modifiche. Saarinen (1966) ha studiato ad esempio la percezione del rischio della siccità da parte

degli agricoltori residenti in una regione situata tra le montagne rocciose e la pianura del

Mississippì. I risultati della ricerca dimostrarono che la percezione del rischio variava a seconda

dell’individuo.

Questo filone di ricerche ha avuto un buon successo e lo spazio maggiormente studiato è stato

quello urbano per osservare come fosse vissuto. Il geografo francese A. Fremont nell’opera La

regione spazio vissuto sostiene che ogni ricerca geografica deve tener presente le rappresentazioni

mentali dei gruppi sociali, cioè lo spazio vissuto e non solo fattori economici e amministrativi.

E’ dunque un filone interessante e nuovo che ha offerto l’opportunità di analizzare le cosiddette

micro-geografie e di comprendere come sia utilizzato lo spazio dagli individui trovando grande

riscontro in didattica. Le critiche mosse a questo indirizzo come ingenuità e empirismo non

tengono conto che bisogna valorizzare aspetti socio-psicologici.

20

Muzi, 1983, p. 46-49.

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9 L’indirizzo storicistico-marxista

Sempre negli anni Settanta del secolo scorso si afferma negli Stati Uniti e poi in Francia,

l’approccio storicistico-marxista. Questo indirizzo mette in crisi l’impostazione razionalista che

cerca modelli e schemi per rappresentare la realtà, mentre ritiene importante comprendere che ogni

struttura socio-territoriale costituisca un prodotto storico e non un dato naturale. Inoltre, ogni

trasformazione che avviene in un territorio, ha una valenza storica, è l’esito di un conflitto sociale

per cui il territorio assume una funzione rilevante nelle questioni sociali. Insomma il territorio non è

uno spazio asettico e neutrale ma è parte integrante dei processi socio-politici. Secondo Harvey

(1969) gli altri indirizzi geografici non sono in grado di spiegare i problemi reali presenti nella

società ed è quindi necessaria una diversa impostazione. Si apre così il confronto con

l’epistemologia marxista e sono avviati diversi studi sul rapporto tra fabbrica e città, sul

sottosviluppo, sui contrasti tra gruppi sociali, sui problemi ambientali. Lo stesso concetto di spazio

viene rivisitato in quanto non è più visto come uno sfondo, ma è considerato come spazio

relazionale nel quale interagiscono azioni o attività ed è impregnato di contraddizioni storiche.

Partendo da questi presupposti i geografi marxisti hanno rifiutato l’indirizzo idiografico ritenendo

limitato il solo obiettivo di comprendere i fenomeni geografici, volendo invece considerare la

geografia come la scienza che collabora alla pianificazione territoriale. Secondo questi geografi la

disciplina deve assumersi responsabilità sociali, comprendere le conflittualità territoriali e indicare

strategie per risolverle. Come chiarisce il geografo italiano Dematteis (1980) la geografia marxista

vuole dare “una risposta a drammatici problemi politici, sociali, economici ed ecologici21

”.

In Francia questa impostazione ha ottenuto molto successo perché, come chiarisce Yves Lacoste, la

geografia è poco considerata se non fornisce una descrizione del mondo che risponda alle nostre

preoccupazioni22

. La rivista francese che ha maggiormente seguito questa impostazione è

Hérodote.

In Italia Massimo Quaini ha dato un particolare contributo in tale direzione rimodulando

anche l’impostazione della geografia storica23

. Secondo Quaini il geografo dovrebbe privilegiare

21

Dematteis , 1980, tratteggia l’indirizzo marxista nella geografia italiana. 22

Lacoste, 1975, p. 171. 23

La geografia storica studia la storia dell’organizzazione sociale dello spazio e la storia delle strutture territoriali. Si

veda Rombai, 2002.

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l’analisi del mutamento geografico nel tempo e la geografia storica deve porsi compiti interpretativi

senza poter prescindere dalla dimensione temporale .

La geografia deve dunque accogliere la componente temporale e non solo muoversi sul piano

spaziale; deve comprendere le ragioni storiche che agiscono sul territorio e descrivere le

trasformazioni e i cambiamenti che avvengono. Tutto ciò non va fatto nell’ottica del passato ma in

quella del futuro, guardando alla pianificazione territoriale, dal momento che senza conoscere la

storia di un territorio e la sua identità non si può operare il recupero dei centri storici o la tutela di

zone degradate.

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10 La geografia culturale

Nel corso del Novecento i geografi non solo hanno riflettuto sugli aspetti metodologici ma

hanno anche valutato le possibili interazioni con le problematiche culturali. Nel 1931 il geografo

statunitense Carl Sauer pubblica un breve saggio che segna l’inizio della geografia culturale. Per

Sauer la geografia culturale consiste appunto nell’applicazione dell’idea di cultura ai problemi

geografici e in modo specifico ai seguenti ambiti:

alla distribuzione sul territorio di elementi culturali come le abitazioni o i toponimi;

all’ecologia culturale che si occupa dello sfruttamento delle risorse naturali;

all’identificazione delle regioni culturali attraverso lo studio dei componenti del paesaggio.

In tal senso cultura rimanda alle costruzioni materiali, ai manufatti e ai prodotti realizzati dall’uomo

e il geografo ne studia la localizzazione, la distribuzione e la diffusione.

Questa impostazione che negli anni Trenta fu considerata innovativa si è poi rinnovata nel tempo;

infatti negli ultimi decenni del Novecento si è sviluppata la “nuova geografia culturale”, attenta non

solo agli aspetti materiali ma anche immateriali e simbolici. Importanti sono gli studi di Denis

Cisgrove sul paesaggio, ma si è affermato anche l’indirizzo spiritualista, che si rivolge alla disamina

dei valori spirituali che le culture hanno attribuito ai luoghi.

La geografia culturale nei suoi diversi indirizzi è un ambito affascinante e Paul Claval, il più noto

esponente europeo di essa, così illustra: “L’approccio culturale capovolge la prospettiva geografica:

la disciplina era generalmente concepita come una scienza naturale, il cui scopo principale era

quello di cogliere un mondo la cui esistenza oggettiva non era messa in dubbio. Oggi si occupa di

come gli uomini percepiscono e vivono il mondo, lo investono delle loro passioni, lo caricano dei

loro interessi e vi sviluppano le loro strategie poggiandosi su luoghi e territori e modellando il

paesaggio24

”.

24

Si veda Claval, 2002, p. 288.

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11 Gli orientamenti più recenti

L’affermarsi della società post-moderna ha dato l’avvio a nuove impostazioni dagli anni

Ottanta del secolo scorso. Il Postmodernismo è una corrente di pensiero che si contrappone al

Modernismo, inteso come razionalità, obiettività e progresso. Il Postmodernismo mette in crisi le

diverse concezioni che si rifanno all’Illuminismo e al Positivismo. La globalizzazione, voluta dalla

presenza dei media, ha creato una società decentralizzata nella quale non vi sono centri dominanti.

La stessa organizzazione sociale è oggi molto complessa per i tanti flussi migratori e per la

dinamicità dei nostri tempi nei quali i mezzi di trasporto e di comunicazione azzerano le distanze

spaziali. Inoltre, il crollo del sistema sovietico e i continui cambiamenti dello scenario geopolitico

rendono il quadro internazionale contraddittorio. Lo stesso concetto di sviluppo è entrato in crisi dal

momento che ha finito per danneggiare l’ambiente, per cui la crescita determinata

dall’industrializzazione è oggi soggetta a revisione. In relazione ad un contesto così complesso,

appunto postmoderno, la comunità scientifica si pone interrogativi diversi. Come chiarisce Minca

(2001) emergono tre filoni possibili nella geografia postmoderna: un filone è impegnato a porre in

discussione i testi e i discorsi geografici, il secondo si apre a nuovi approcci come la geografia

femminista, la politica dell’identità o le geografie postcoloniali, il terzo si occupa principalmente

dell’evoluzione attuale della città come luogo nevralgico del cambiamento25

.

Ovviamente solo alcuni geografi si riconoscono nell’impostazione postmodernista, altri

continuano a privilegiare la geografia umanistica volendo dare spazio alla dimensione individuale

nell’interazione uomo-ambiente. D’altra parte, le problematiche ambientali sono quanto mai attuali

per cui studi recenti sono rivolti alle interazioni tra paesaggio e mutamenti climatici. Ancora il

quadro economico e politico prima delineato richiede oggi la continua attenzione del geografo.

Rimane poi attuale l’interesse per la pianificazione territoriale e quindi per l’analisi e la

progettazione tanto degli ambiti urbani quanto di quelli rurali.

Particolare interesse riscuotono oggi le comunicazioni. Geografia delle Comunicazioni, Geografia

delle Telecomunicazioni, Geografia della Società dell’Informazione: le diverse denominazioni

indicano la rapida evoluzione di un settore di ricerca e contemporaneamente la rapidissime

trasformazioni tecnologiche26

. Le telecomunicazioni, che hanno acquisito particolare rilievo nelle

25

Per la geografia postmoderna è di riferimento il volume curato da Minca, 2001. 26

La geografia delle comunicazioni prende in considerazione l’insieme di diverse modalità tecnologiche, ma anche

i movimenti tanto di beni e persone quanto di informazioni. La geografia delle Telecomunicazioni e della Società

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relazioni umane, rappresentano uno dei fattori infrastrutturali essenziali della società

contemporanea, poiché la produzione massiccia di informazioni e la loro diffusione sono diventate

basilari per l’economia odierna, nonché per l’intera organizzazione sociale, grazie al telelavoro, alle

televendite, all’erogazione di servizi online 27

.

Peraltro, se la radio, la televisione e il telefono fisso sono ormai mezzi classici, la rapida

evoluzione della società dell’informazione, fondata sulla telefonia mobile, sulle reti wireless, sui

sistemi informatici ha lanciato una sfida scientifica che è stata già raccolta. Maria Paradiso,

coordinatrice del Network Italiano di Geografia della Società dell'Informazione28

, così

sintetizza le fasi recenti degli studi: una prima rivolta alle tecnologie dell’informazione di per sé,

ossia reti e telecomunicazioni; una seconda indirizzata ai contenuti; «una terza dimensione di

studio, aperta di recente, riguarda le politiche e la pianificazione territoriale nell’era

dell’informazione» (Paradiso, 2009, p. 35).

dell’Informazione tengono conto delle più avanzate formule tecnologiche. Corna Pellegrini e Paradiso (2009)

suggeriscono di ragionare nei termini di una geografia della comunicazione globale. 27

L’informazione è divenuta così preponderante rispetto ad altri fenomeni che, agli inizi degli anni Ottanta del

secolo scorso, Claude Raffestin (1981) discuteva le differenze epistemologiche tra il termine circolazione, volto a

indicare la mobilità spaziale di beni e persone, e il termine comunicazione specifico per le informazioni. 28

Il gruppo, a cui hanno aderito diversi studiosi è coordinato dalla prof.ssa Maria Paradiso (Università degli Studi

del Sannio), mentre il prof. Massimiliano Tabusi (Università per Stranieri di Siena) ne è il segretario.

Cfr http//.www.societageografica.it/network/index.html.

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12 Conclusioni

Come dunque si anticipava all’inizio, la geografia da scienza descrittiva si è evoluta e si

colloca oggi come una scienza dinamica e interpretativa.

Uno dei più importanti geografi italiani Giacomo Corna Pellegrini (2009, p. 23) così scrive: “la

metodologia della ricerca geografica sembra dunque doversi adeguare alle nuove circostanze,

introducendo una più sistematica osservazione del variabile dinamismo degli eventi territoriali, oltre

alla tradizionale attenzione per la loro localizzazione”.

Egli invita a riflettere sui caratteri di una geografia dinamica e interpretativa che sappia cogliere le

principali tendenze al mutamento, dovuto alle comunicazioni, ai fattori socio-economici o culturali.

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