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ORGANIZZAZIONE E PRODUZIONE ORGANIZZAZIONE E PRODUZIONE DELL'ARTE MEDIALE DELL'ARTE MEDIALE ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI CARRARA http://www.accademia.carrara.ms.it/ PROF. DOMENICO QUARANTA http://domenicoquaranta.com/ [email protected]

ORGANIZZAZIONE E PRODUZIONE DELL'ARTE MEDIALEdomenicoquaranta.com/public/TEACHING/Carrara.pdf · Conservare l'arte mediale. Esperienze e questioni aperte MODALITÀ DELLA DIDATTICA

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ORGANIZZAZIONE E PRODUZIONE ORGANIZZAZIONE E PRODUZIONE DELL'ARTE MEDIALEDELL'ARTE MEDIALE

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI CARRARAhttp://www.accademia.carrara.ms.it/

PROF. DOMENICO QUARANTAhttp://domenicoquaranta.com/[email protected]

Programma del corsoOBIETTIVI

1. Presa d'atto atto dei mutamenti che le nuove tecnologie on-line comportano nell’ambito della produzione, conservazione e divulgazione dell’arte dei nuovi media.2. Acquisizione della competenza pratica necessaria allo svolgimento dell'attività di curatore e conservatore della new media art.3. Approfondimento degli esperimenti portati avanti nella direzione della materializzazione dell'arte dei nuovi media, tanto in ambito artistico quanto in ambito curatoriale.

CONTENUTI E TEMATICHE

1. Caratteristiche dell'arte medialeBreve panoramica sulle caratteristiche principali dei media digitali, con una particolare attenzione a quelle che garantiscono la specificità di questi linguaggi e che rendono al contempo possibile e problematica la sua traduzione materiale (immaterialità/interfaccia, rimediazione, modularità, transcodifica etc.)

2. Curare onlineNuovi spazi per l'opera d'arte / L'artista come curatore / Ridefinire la figura del curatore / L'arte mediale negli spazi espositivi / Tentativi di traduzione – Proposta di una serie di case history, sia artistici che curatoriali / A chi spetta la traduzione?

3. Conservare l'arte mediale. Esperienze e questioni aperte

MODALITÀ DELLA DIDATTICA

Lezione frontale in presenza o a distanzaSviluppo guidato di un progetto d'esame

Bibliografia1. Testi d'esame:

- Dispensa del corso- Domenico Quaranta, Media, New Media, Postmedia, Postmediabooks, Milano 2010. Info

2. Testi consigliati:

Beryl Graham, Sarah Cook, Rethinking Curating. Art after New Media, The MIT Press 2010. InfoChristiane Paul (a cura di), New Media in the White Cube and Beyond, University of California Press, 2008. InfoLev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares 2001. InfoAlain Depocas, Jon Ippolito, Caitlin Jones (a cura di), Permanence Through Change: The Variable Media Approach, Solomon R. Guggenheim Museum, New York - Daniel Langlois Foundation, Montreal 2003 (estratti). Scaricabile all'indirizzo http://www.variablemedia.net/pdf/Permanence.pdfMaurizio Bolognini, Postdigitale. Conversazioni sull'arte e le nuove tecnologie, 2008. Info

In francese: Boutteville, Joël, Annick Bureaud, and Nathalie Lafforgue, Art et technologie: la monstration, http://www.olats.org/livresetudes/etudes/monstration/index.php .

1. New Media Art

«art that is made using electronic media technology and that display any or all of the three behaviours of interactivity, connectivity, computability in any combination». Beryl Graham and Sarah Cook (2010)

La definizione proposta da Graham e Cook riduce volutamente (oziosamente?) la questione della definizione di New Media Art a una pura definizione tecnica. In realtà, la questione è più complessa, come evidenzia questa frase di Andreas Broekmann:

«“Media art” is [...] such a problematic term, exactly because it is imprecise; it can refer to work that deals with so-called “new media”, or work that is simply made with such media technologies; in the latter case, however, a distinction from contemporary art is impossible to draw, since all art uses some sort of medium, and many modern and contemporary artworks have used media technologies without qualifying as “media art” in a narrower sense. It seems that, more than anything else, “media art” is a way of looking at works». Andreas Broeckmann 2005

Di fatto, non esiste una definizione condivisa di “New Media Art”: manca un accordo sui suoi limiti cronologici (anni Sessanta o Novanta?), semantici e culturali. La stessa definizione tecnica lascia aperte diverse questioni:

- perchè mantenere una definizione tecnica quando gran parte della critica d'arte si oppone ad essa?

«Being digital or made with digital tools doesn't really say much about the art itself. [...] digital art is a category of convenience that should be retired» Stefanie Syman

«Terms such us "Computer Art" don't really make sense. Art is not a car racing, where the car counts more than the driver.» Francesco Bonami

- perché artisti, critici e curatori rivelano tanta avversione per questa espressione?

«Every time you describe these artists by material, you are hurting, and not helping them [...] It's about ideas, not material. I don't give a shit about new media» Brody Condon

«the “new media” label [...] fits the genre like a straitjacket and sends it to a ghetto without even a flicker of compassion. Forget the new, drop the media, enjoy art.» Régine Debatty

«Entire artistic careers were ruined by the stigma of doing 'art with a plug'. (Others were made by the exclusivity which that stigma offered in certain circles.)» Andreas Broeckmann

- Perché c'è tanta asistematicità nell'uso del termine, applicato spesso a opere che non soddisfano la definizione tecnica proposta da Graham & Cook, e non usato per opere che la soddisfano appieno?

New Media Art?

«art worlds provoke some of their members to create innovations they then will not accept. Some of these innovations develop small worlds of their own; some remain dormant and then find acceptance from a larger art world years or generations later; some remain magnificent curiosities of little more than antiquarian interest». Howard S. Becker 1982

L'espressione New Media Art non ha un significato tecnico, ma manifesta lo “sguardo sull'arte” di una comunità, un mondo dell'arte che si identifica in questa espressione (con maggiore o minore convinzione).

Si tratta di un aspetto cruciale tanto per il curatore quanto per l'artista, perché pone la questione del contesto e del pubblico al di sopra di qualsiasi problematica tecnica.

Ma come si è arrivati a questo?

Breve storia della NMA

Anni Sessanta

Anni Settanta

Anni Ottanta

Gli anni Novanta

Contesto e pubblico

Un'opera di New Media Art si può dunque trovare ad essere proposta in due diversi contesti, e due diversi tipi di pubblico:

- un contesto in cui è prioritario l'interesse per le tecnologie, il loro uso creativo, le loro ripercussioni sociali, politiche, culturali. Potremmo chiamarlo Turing Land, o mondo della new media art

- un contesto più interessato al contenuto che al mezzo, più all'arte che alla tecnologia; poco alfabetizzato in termini tecnologici, e diffidente nei confronti di una eccessiva tecnofilia. Potremmo chiamarlo Duchamp Land, o mondo dell'arte contemporanea.

Ovviamente, anche la rete è ormai un contesto legittimo per la fruizione dell'arte, che si ritrova a fare i conti con un nuovo contesto materiale, e nuove esigenze culturali:

- pubblico culturalmente eterogeneo

- serendipity ed economia dell'attenzione

- assenza di regole, limiti, autorità.

La variabilità

É una delle caratteristiche più importanti dei nuovi media. Potremmo sintetizzarla in questi termini: a un unico CODICE possono corrispondere diverse INTERFACCE.

La variabilità, che è una caratteristica TECNICA dei nuovi media, è stata estesa CONCETTUALMENTE dai new media artist: a un unico CONTENUTO possono corrispondere diversi LAYOUT. In altre parole, i loro lavori possono assumere FORME diverse a seconda del CONTESTO in cui vengono presentati, e del PUBBLICO a cui si rivolgono.

L'arte del 900 ha progressivamente separato la nozione di opera da quella di oggetto chiuso e definito. In altre parole, la variabilità è una caratteristica dell'arte contemporanea. Ma la nozione di interfaccia ha aiutato gli artisti che operano con i media digitali a prendere molto sul serio questo aspetto, e la necessità di muoversi tra contesti diversi ha fatto il resto.

Carlo Zanni, Altarboy, 2003 - http://www.zanni.org/

John F. Simon Jr., Every Icon, 1996. Versione web e “art appliance” (wall hanging - Macintosh PowerBook170 and plastic acrylic). http://www.numeral.com/

UBERMORGEN.COM feat A. Ludovico e P. Cirio, GWEI - Google Will Eat Itself, 2005. Il sito internet (http://www.gwei.org/ ) e uno dei formati di installazione (The Premises Gallery,

Johannesburg, March/April 2005)

La NMA nello spazio fisico

Scott Snibbe, Blow Up, 2005 Dirk Eijsbouts, TFT Tennis, 2005

E' chiaro, a questo punto, che curare la new media art per gli spazio reali pone alcune problematiche specifiche, che potremmo riassumere così:

1. SCELTA: selezionare che cosa presentare in un determinato contesto e a un determinato tipo di pubblico

Frank Fietzek, Uli Winters (DE), Watschendiskurs, 2005; Vim Delvoye, Cloaca, 2000 – 2007; Cory Arcangel, F1 Racer Mod (Japanese Driving Game, 2004; Boredomresearch, Ornamental Bug Garden, 2004

2. ADATTAMENTO AL CONTESTO ESPOSITIVO

Il contesto non è neutro. L'opera viene esposta nel mondo dell'arte contemporanea o in quello della New Media Art? In un contesto attardato e provinciale o in un ambiente giovane, aggiornato e dinamico? In un museo tradizionale, in una galleria commerciale o in un coraggioso spazio no profit?

Una volta che si è deciso di portare una determinata opera in un determinato contesto, bisogna adattarla ad esso, al suo livello culturale, alla sua familiarità o estraneità ai temi trattati e ai media utilizzati.

3. QUESTIONI ECONOMICHE

Valutare i costi dell'hardware; costi e possibilità di connessione a Internet; difficile rapporto con gli sponsor; etc.

4. QUESTIONI TECNICHE

Presenza e limiti della corrente elettrica; trasporto e installazione; necessità di un responsabile tecnico; compatibilità tra le opere; etc.

NB. Queste questioni sono strettamente legate tra di loro e variano molto a seconda che il contesto espositivo appartenga alla Turing Land o alla Duchamp Land. Ad esempio, un festival ha di solito una certa disponibilità di hardware, connessione garantita, persone dotate di competenze tecniche a disposizione di artisti e curatori, ma anche per questo può essere meno disposto a portare le opere fuori dallo spazio virtuale. Viceversa, uno spazio artistico è di solito privo di connessione; non ha spine dappertutto, e la tecnologia preferisce nasconderla; preferisce di gran lunga un oggetto a un computer connesso in rete; scarseggia di tecnici, e non sa a chi rivolgersi per affrontare certi problemi; deve affittare l'hardware, e quindi affrontare spese ingenti.

5. ADATTAMENTO ALLO SPAZIO ESPOSITIVO

Conflitto fra l'audio di diverse opere; scarsa o eccessiva luminosità; intangibilità delle pareti; etc.

Il vero problema nasce quando si tratta di portare nello spazio espositivo lavori concepiti per un ambiente informatico, sia esso internet o il desktop del computer (game art, software art, etc.). è a questo punto che interviene il grande problema della TRADUZIONE. La traduzione, tuttavia, non spetta sempre e solo al curatore, anzi: sarebbe auspicabile che l'adattamento di un lavoro a un contesto espositivo restasse nelle mani dell'artista. Tuttavia, nella pratica si possono presentare, normalmente, le seguenti casistiche:

La traduzione

1. LA TRADUZIONE VIENE ATTUATA, A MONTE, DALL'ARTISTA.

Al curatore non resta che scegliere tra i diversi modi di “formalizzazione” dell'opera previsti dall'artista per lo spazio espositivo.

0100101110101101.org: Nikeground, 2003Nessuno di questi oggetti è l'opera Nikeground, una performance mediale che si è svolta in uno spazio e in un tempo determinati: sono fasi della performance (il sito), documentazione (il video), opere derivate (le scarpe), in analogia con altri fenomeni analoghi nel mondo dell'arte (si pensi a Vanessa Beecroft). Si noti che il progetto viene ricondotto a forme familiari al mondo dell'arte, facilmente esponibili e commercializzabili.

UBERMORGEN.COM: Vote-Auction (2000 – 2004) - tps3http://www.vote-auction.net/Caso sostanzialmente analogo: una performance di media hacking viene archiviata online (il sito), e formalizzata per lo spazio espositivo attraverso il video (più che documentazione, un ready-made concettuale, un frammento della performance), la scultura di carta, la stampa a grande formato dei loghi.

PROBLEMATICA: la scelta di una formalizzazione tradizionale, di forme familiari e “analogiche” è un modo per andare incontro alle esigenze del mondo dell'arte. Ma cosa si perde in questo processo?

Vuk Cosic, Deep Ascii, 2006

Altra soluzione possibile: l'oggetto è l'opera, non un suo derivato; l'opera mantiene una sua natura new media, rimane “into the screen” e digitale anche nel processo di trasformazione in oggetto unico, esponibile e vendibile: rivendica un suo specifico e chiede al sistema dell'arte di accettarlo.

2. LA TRADUZIONE VIENE CONCORDATA E DISCUSSA CON L'ARTISTA

Se l'artista non ha ancora proposto una soluzione, resta probabilmente la via migliore e più interessante: quella di chiedere a un artista abituato a lavorare nello spazio dello schermo a confrontarsi con lo spazio reale. Il ruolo del curatore è, in questo caso, discutere con l'artista, mettere a sua disposizione risorse tecniche ed economiche, fare da mediatore e da facilitatore nel suo incontro scontro con il contesto e lo spazio.Nello stesso tempo questa seconda via – quello che Mark Tribe chiama l'approccio “Data Dynamics”, è la soluzione più difficile, soprattutto per ragioni economiche.

Marek Walczak and Martin Wattenberg, Apartment, 2001 – http://turbulence.org/Works/apartment/

3. DECISIONISMO CURATORIALE

Quando va male, è un semplice piegarsi ai limiti di budget o, peggio ancora, a limiti di visione. Quando va bene significa una progettualità solida che può produrre soluzioni originali e affascinanti.

La sezione net art a Documenta X (1997); il Net Art Browser di Jeffrey Shaw (Net Condition, 1999)

Net.ephemera - Moving Image Gallery, New York, a cura di Mark Tribe.

http://www.marktribe.net/curating/net-ephemera/

Connessioni Leggendarie – Milano, 2005, a cura di Luca Lampo – http://ilribaltatore.net/connessionileggendarie/OpeningANDpeople/

Ovviamente, dato che il budget è quasi sempre troppo limitato, si assiste a una convivenza di questi approcci, a soluzioni intermedie. La soluzione più semplice resta ancora la presentazione onscreen, e se necessario online. Senza contare che alcuni lavori non possono essere esposti in altro modo. Se possibile, dotare almeno il computer di un buon monitor, ed EVITARE di far convivere più lavori sulla stessa macchina - ma se si può portare un lavoro fuori dallo schermo, personalmente tendo a farlo senza esitazione.

LA NEW MEDIA LOUNGE

Come il black box per i video, così la "new media lounge" sta diventando la norma quando si hanno molte opere screen based: l'ambiente con luce soffusa, un allestimento ben disegnato e confortevole, il riferimento implicito alla sala giochi: una soluzione che spesso funziona, ma di cui conviene non abusare: rischia di diventare invadente, scontata e fuorviante come la metafora dell'ufficio adottata a Documenta X.

The Wonderful World of irational.org, HMKV, Dortmund 2006

Un ottimo esempio di mostra che ha messo in scena un complesso, ma riuscito processo di traduzione di lavori net based, discusso e concordato dai curatori con gli artisti

Da sempre, uno degli aspetti più sexy della net art è la sua capacità di sondare vie non convenzionali per raggiungere il pubblico, costruire senso, generare comunità. In un certo senso, questa tendenza è connaturata a una pratica che ha scelto di rifiutare il ruolo mediatore delle istituzioni, posizionandosi in uno spazio pubblico dove è, al contempo, incredibilmente vicina e terribilmente lontana. Mi raggiunge a casa, a circa quaranta centimetri dal mio sguardo, ma come posso scovarla, in quel mare di informazione, senza una guida?Ovviamente, le istituzioni sono intervenute presto a farci da guida, e altrettanto presto si sono ritirate. Ma sono stati soprattutto gli artisti a dare vita ai nodi di aggregazione più vitali e ai formati espositivi più interessanti. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati proposti da due artisti europei, e sono una contagiosa boccata d'aria fresca in questi tempi di crisi, che richiedono auto-organizzazione e iniziative low budget. Entrambi i concept sono “open source” - possono, cioè, essere ripresi e riproposti da chiunque; entrambi hanno costi vicini allo zero, ed entrambi avvengono in uno spazio di aggregazione reale. Quest'ultimo aspetto è molto importante, per una comunità che si conosce e si frequenta soprattutto attraverso la rete.Concepito dall'artista tedesco Aram Bartholl, lo Speed Show è una mostra di una serata organizzata in un Internet Cafe. Il curatore ne contatta uno e se lo fa mettere a disposizione per una serata, noleggiando tutti i computer alla consueta tariffa oraria. Ogni computer diventa la postazione d'accesso a un lavoro, e il pubblico si muove da un computer all'altro guidato da una mappa distribuita all'ingresso. La mostra, tuttavia, non si sostituisce all'attività tradizionale dell'Internet Cafe, ma si sovrappone ad essa. Chi viene per navigare in rete o per telefonare a un parente può anche vedere dell'arte; e chi viene per la mostra, può anche controllare la sua email.

Mostre “open source”

Il progetto è ricchissimo di implicazioni: consente di conciliare la natura pubblica e privata della net art, innestandosi in uno spazio pubblico di accesso a internet; la sottopone al giudizio di un pubblico non specializzato, e probabilmente non interessato all'arte; fa convivere, con esiti imprevedibili, due comunità diverse, e due diversi rituali; ed esplora la funzione sociale degli Internet Cafe, che spesso cambia di paese in paese. Finora, Bartholl ha organizzato quattro Speed Show (a Berlino, Vienna, Amsterdam e New York), ma l'idea si presta a diffondersi viralmente. Cosa che succederà presto, come sta già accadendo per BYOB (Bring Your Own Beamer), frutto di un'idea dell'olandese Rafaël Rozendaal. Il titolo, ispirato alle feste in cui i presenti sono invitati a portarsi la birra (bring your own beer), dice tutto: gli artisti coinvolti (anche qui, per l'evento di una serata) sono invitati a portarsi il loro proiettore, da usarsi come display per un'opera “screen based” o in qualsiasi altro modo. In questo caso, il curatore trova lo spazio, e gli artisti invitati arrivano con l'opera e il proiettore, allestiscono e smontano a fine serata. L'allestimento non è predeterminato: ciascuno si sceglie uno spazio di proiezione (le pareti, il pavimento, il soffitto, gli interstizi, i pilastri), rispettando il lavoro degli altri ma anche dialogando con esso.Il primo BYOB è stato organizzato da Rozendaal e Anne de Vries a Berlino, nello studio di quest'ultima; il secondo, curato dall'artista Angelo Plessas, si è svolto alla Kunsthalle di Atene; il terzo ha avuto luogo in una grande galleria commerciale di Soho, la Spencer Brownstone (a cura di Rafaël Rozendaal); e il quarto, curato dagli artisti Chris Coy e Guthrie Lonergan, in una galleria universitaria di Los Angeles. Molti altri sono già in gestazione. Rispetto allo Speed Show, il concept è evidentemente più spettacolare e più flessibile, non essendo vincolato a uno spazio specifico (peraltro molto caratterizzato come quello degli Internet Cafe) né a un determinato linguaggio. Rozendaal dichiara di aver tratto ispirazione, da un lato, dalle quadrerie ottocentesche e, dall'altro, dall'idea che l'informazione, che oggi fruiamo prevalentemente attraverso uno schermo, ci circonderà, diventando presto il nostro spazio di vita. Ma se Internet, e la sua peculiare tribù, sono all'origine del progetto, il BYOB non è vincolato a loro: chiunque contempli l'uso del proiettore nella sua pratica artistica può prendervi parte.

Ovviamente, sia lo Speed Show che il BYOB hanno dei limiti, se confrontati con i formati espositivi convenzionali. Più che di mostre, si tratta di piattaforme, fortemente legate al lavoro di chi le ha ideate, eppure capaci di imprevedibili derive. La loro forza sta nel fatto di cogliere appieno lo spirito di una pratica e di una generazione, e di proporsi come autentiche piattaforme relazionali, basate sul DIY, la comunità, il rispetto e la competizione. La lezione di Internet si innesta su quella di Rirkrit Tiravanija e delle mostre d'appartamento di Obrist, comunità online e etica open source ridanno slancio alle teorie di Bourriaud. Il cocktail è irresistibile, e se volete arricchirlo, le regole sono semplici: attribuzione, non commerciale, condividi allo stesso modo.

In Flash Art, Febbraio 2011

http://www.byobworldwide.com/

http://speedshow.net/