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Secondo la legge della sopravvivenza, gli animali, nella loro natura talvolta avara e superba, manifestano fin dai primi mesi di vita il bisogno di dimostrarsi superiori ad un loro simile, al fine di poter godere singolarmente della propria superiorità ed esercitare il proprio dominio sugli altri. In alcuni casi però possiamo verificare come questo atteggiamento non sia insito al solo emisfero animale; infatti, così come possiamo ammirare, nella loro più totale ingenuità, due bambini contendersi con qualche smanac- ciata il giocattolo più bello, quello a cui tutti aspirano, vediamo anche numerosi ado- lescenti come noi che hanno già la mania di comandare su coeta- nei e non; risulta an- cora più amaro però sapere che l’uomo, nella sua più totale consapevolezza, sia stato capace di inneg- giare e accendere guerre su guerre, ge- nocidi, massacri, bar- barie, seminando terrore, panico e fiumi di la- crime semplicemente per dimostrarsi più forte di qualcun altro, magari anche temuto, ma che nulla può di fronte alla paura della morte. (segue a pagina 2) Ultimamente abbiamo assistito a… di Fabrizio Capecelatro Abbiamo assistito fiduciosi ai pri- mi passi concreti verso la fonda- zione del partito democratico. In- fatti non solo è stato redatto il ma- nifesto che spiega le posizioni poli- tiche che prenderà il partito nei problemi del nostro paese, ma DS e Margherita hanno riunito i loro iscritti per annunciare l’adesione a questo nuovo grande progetto. Quello che noi, da italiani, ci a- spettiamo è che il partito democra- tico segni la definitiva fine di que- sta crisi politica, che ci porta a votare il “meno peggio” e non il migliore, che ci restituisca, insom- ma, fiducia nel mondo politico. Da giovane italiano mi auspico, inol- tre, che grazie al partito democra- tico ci sia uno svecchiamento nel mondo politico e venga dato più spazio a noi giovani, futuro di que- sta Italia. Abbiamo assistito inorriditi ad una guerriglia urbana tra Cinesi e for- ze dell’ordine, dovuta ad un con- trollo della polizia municipale. Non è ancora chiara la dinamica della vicenda, in quanto le tesi delle due parti sono del tutto di- scordanti, certo è che questo è il primo caso di violenza da parte dei cinesi, popolo noto per essere tran- quillo e pacifico. Dopo la liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo, avvenuta sul finire di Marzo, abbiamo assi- stito schifati alle polemiche ed alle critiche su come siano state condot- te le trattative con i Talebani. Vorrei tanto poter chiede- re a questi specu- latori politici se concordano con me che la vita di un uomo non sia la cosa principale da salvare? Abbiamo assistito sbigottiti alla stra- ge avvenuta in una delle più impor- tanti università americane, dove uno studente, in preda ad un mo- mento d’ira, ha sparato su un gruppo di suoi compagni, intenti a seguire una lezione. Siamo ancor più spaventati sapendo che stragi di questo tipo potranno ancora avvenire fin quando il governo americano non si deciderà a mette- re delle limitazioni nell’acquisto di armi. Abbiamo assistito felici al ritorno in rai del più anziano ed autorevo- le giornalista italiano, Enzo Biagi. Egli, allontanato dalla televisioni per motivi politici dal governo Berlusconi, è potuto finalmente tornare a raccontarci l’attualità in modo spregiudicato e libero. Il fuoco del terrorismo .Immigrazione e razzismo Dopo i recenti fatti di via Paolo Sarpi lo Spleen si interroga sui problemi relativi al rapporto con gli immigrati, intervistano anche una giovane cinese. p. 4-6 Spleen Il giornale degli studenti del Tito Livio Anno 1 - Numero 4 www.quellideltito.it/spleen INCHIESTA La missione della scuola l compito principale della scuola è educare, educare tutti noi a vivere, ma siamo noi i primi a dover combattere per questo diritto p.10 SCUOLA INTERVISTA ESCLUSIVA LA FIGLIA DEL GIUDICE GALLI PARLA DELL’ASSASSINIO DEL PADRE servizio a pagina 3 ATTUALITA’ 25 Aprile La festa del 25 aprile. Solo un giorno di vacanza da scuola? Non dimentichiamo le origini di questa ricorrenza... p. 7 Intervista a p.5

Numero 4 Anno 1 Maggio 2007

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Page 1: Numero 4 Anno 1 Maggio 2007

Secondo la legge della sopravvivenza, gli animali, nella loro natura talvolta avara e superba, manifestano fin dai primi mesi di vita il bisogno di dimostrarsi superiori ad un loro simile, al fine di poter godere singolarmente della propria superiorità ed esercitare il proprio dominio sugli altri. In alcuni casi però possiamo verificare come

questo atteggiamento non sia insito al solo emisfero animale; infatti, così come possiamo ammirare, nella loro più totale ingenuità, due

bambini contendersi con qualche smanac-ciata il giocattolo più bello, quello a cui tutti aspirano, vediamo anche numerosi ado-lescenti come noi che hanno già la mania di comandare su coeta-nei e non; risulta an-cora più amaro però sapere che l’uomo, nella sua più totale consapevolezza, sia stato capace di inneg-giare e accendere guerre su guerre, ge-nocidi, massacri, bar-

barie, seminando terrore, panico e fiumi di la-crime semplicemente per dimostrarsi più forte di qualcun altro, magari anche temuto, ma che nulla può di fronte alla paura della morte.

(segue a pagina 2)

Ultimamente abbiamo assistito a… di Fabrizio Capecelatro

Abbiamo assistito fiduciosi ai pri-mi passi concreti verso la fonda-zione del partito democratico. In-fatti non solo è stato redatto il ma-nifesto che spiega le posizioni poli-tiche che prenderà il partito nei problemi del nostro paese, ma DS e Margherita hanno riunito i loro iscritti per annunciare l’adesione a questo nuovo grande progetto. Quello che noi, da italiani, ci a-spettiamo è che il partito democra-tico segni la definitiva fine di que-sta crisi politica, che ci porta a votare il “meno peggio” e non il migliore, che ci restituisca, insom-ma, fiducia nel mondo politico. Da giovane italiano mi auspico, inol-tre, che grazie al partito democra-tico ci sia uno svecchiamento nel mondo politico e venga dato più spazio a noi giovani, futuro di que-sta Italia. Abbiamo assistito inorriditi ad una guerriglia urbana tra Cinesi e for-ze dell’ordine, dovuta ad un con-trollo della polizia municipale. Non è ancora chiara la dinamica della vicenda, in quanto le tesi delle due parti sono del tutto di-scordanti, certo è che questo è il primo caso di violenza da parte dei cinesi, popolo noto per essere tran-quillo e pacifico. Dopo la liberazione del giornalista Daniele Mastrogiacomo, avvenuta sul finire di Marzo, abbiamo assi-stito schifati alle polemiche ed alle

critiche su come siano state condot-te le trattative con i Talebani. Vorrei tanto poter chiede-re a questi specu-latori politici se concordano con me che la vita di un uomo non sia la cosa principale da salvare? Abbiamo assistito sbigottiti alla stra-ge avvenuta in una delle più impor-tanti università americane, dove uno studente, in preda ad un mo-mento d’ira, ha sparato su un gruppo di suoi compagni, intenti a seguire una lezione. Siamo ancor più spaventati sapendo che stragi di questo tipo potranno ancora avvenire fin quando il governo americano non si deciderà a mette-re delle limitazioni nell’acquisto di armi. Abbiamo assistito felici al ritorno in rai del più anziano ed autorevo-le giornalista italiano, Enzo Biagi. Egli, allontanato dalla televisioni per motivi politici dal governo Berlusconi, è potuto finalmente tornare a raccontarci l’attualità in modo spregiudicato e libero.

Il fuoco del terrorismo

.Immigrazione e razzismo

Dopo i recenti fatti di via Paolo Sarpi lo Spleen si interroga sui problemi relativi al rapporto con gli immigrati, intervistano anche una giovane cinese.

p. 4-6

Spleen Il giornale degli studenti del Tito Livio

Anno 1 - Numero 4 www.quellideltito.it/spleen

INCHIESTA

La missione della scuola

l compito principale della scuola è educare, educare tutti noi a vivere, ma siamo noi i primi a dover combattere per questo diritto

p.10

SCUOLA

INTERVISTA ESCLUSIVA

LA FIGLIA DEL GIUDICE GALLI

PARLA DELL’ASSASSINIO DEL PADRE

servizio a pagina 3

ATTUALITA’

25 Aprile

La festa del 25 aprile. Solo un giorno di vacanza da scuola? Non dimentichiamo le origini di questa ricorrenza...

p. 7

Intervista a p.5

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IN PRIMO PIANO

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I l fuoco del terror ismo

Questa è sostanzialmente la leg-ge del più forte, di chi può uccide-re. Applicata al genere umano si può tradurre come “strategia del-la tensione”, ovvero l’imposizione di una condizione o di un’idea per mezzo di minacce e sangue. Da opinioni contrastanti infatti può derivare l’opposizione ideologica, ma quando si passa da opposi-zione a imposizione, quando le idee diventano univoche e incon-trastabili, quasi fossero legge di una mentalità un po’ troppo egoi-sta, allora si passa ad una politi-ca di repressione di tutto ciò che è diverso ed ostacolante. Così il dialogo si tramuta in armi, feroci, ma efficaci; la distruzione della vita degli uomini diventa una scorciatoia rapida per ottenere risultati immediati, altrimenti irrag-giungibili per via pacifica. Questa è l’intricata rete di aspirazioni, egoismi, sentimenti razziali, pro-vocazioni e sangue che ha inve-stito da sempre l’umanità e l’ha portata a farsi giustizia nel modo più rapido ed efficace: questo “metodo di giustizia” è chiamato terrorismo. Il terrorismo è un fe-nomeno che si è imposto a livello globale nel secolo appena tra-scorso, con un’intensità e una violenza sempre in crescendo. Di terrorismo internazionale ne sen-tiamo parlare ogni giorno, si svi-luppa in particolar modo nei Pae-si con un assetto politico meno stabile e più esposto alle influen-ze esterne come l’Afghanistan. Qui si sono venute a creare vere e proprie associazioni di vasta ramificazione, quali Al-Qaeda, spinte oltre che da un profondo senso di protezionismo della pa-tria dalle invasioni occidentali, anche da un’estremizzazione del-la religione musulmana che porta a considerare infedeli da elimina-re chiunque non creda o rinneghi

il nome di Allah. A questo terrori-smo di matrice medio-orientale, se ne affianca uno prettamente politico: il Terrorismo Italiano. Parlare di questo fenomeno che ci riguarda più da vicino vuol dire parlare quasi e s c l u s i v a -mente di sovversione di estremisti schierati; che ha come pe-riodo di ma-t u r a z i o n e interna la fine degli an-ni sessanta, e come pun-to di piena affermazione il 12 Dicem-bre 1969, giorno della strage di piazza Fon-tana a Mila-no. Negli anni imme-d ia tamente precedenti all’attentato, stava crescendo in Italia un movimento politico nuovo, quello del ’68, for-mato da studenti e operai che aveva come punto primo quello di accrescere politicamente il movi-mento e di elaborare strategie necessarie a pervadere l’intero t e s s u t o d e l l a S o c i e t à . L’esplosione di quella bomba a Milano porta il movimento a tro-varsi a confronto con il Golpe, l’idea di un Potere istituzionale che sia in grado di mettere in gio-co tutta la sua forza per contra-stare ogni indirizzo riformista o rivoluzionario. Sarà proprio la pa-ura di poter fronteggiare una rea-zione drastica e violenta del Go-verno, a far maturare la necessità di alcuni gruppi isolati di armarsi

per andare a creare altri gruppi selezionati pronti ad una nuova resistenza, che con il tempo si trasformerà in lotta armata. Ed ecco che fra la fine del ’69 e l’inizio del ‘70 in Italia si vennero

a formare i pri-mi gruppi terro-ristici, come le BR, i NAP al sud e Prima Linea al nord. Così fra una congregazione e un'altra, dal 1969 al 1984 l’Italia è stato un paese in-sanguinato dal-la logica del terrore, una logica stragista che, al fine di condizionare la natura demo-cratica della nostra Nazione, ha collezionato circa 150 morti, 652 feriti e 11

stragi, indefiniti i tentativi di mas-sacro. Pare difficile, leggendo queste cifre, trovare buone moti-vazioni per giustificarle: protezio-ne della Patria? Difesa del nome del Dio in cui si crede? O degli ideali? Messa in atto della volon-tà divina? Nessun Re nella storia avrebbe potuto mai desiderare una difesa così sanguinosa della propria terra, così come ritengo assurdo che un Dio avrebbe po-tuto mai permettere l’uccisione di chi non avesse creduto in lui in quanto infedeli. Solo la follia po-trà un giorno giustificare tali bar-barie. Il terrore deve essere ne-mico dell’uomo, non complice.

Alessio Pezzana

segue dalla prima

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IN PRIMO PIANO

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In una piacevole serata di Aprile abbiamo avuto la pos-sibilità di incontrare Alessandra Galli, magistrato presso il tribunale di Chiavari (GE) nonché figlia di Guido Galli, anch’egli magistrato e Professore di criminologia all’ università Statale di Milano, ucciso dalle Brigate Rosse il 19 Marzo del 1980. Chiacchierando con Alessandra abbiamo scoperto che il padre era entrato volontaria-mente a far parte del pool anti-terrorismo della procura di Milano, città dove viveva con la famiglia a cui era molto legato e alla quale dedicava la gran parte del suo tempo libero, nel momento in cui un collega si era rifiu-tato di portare avanti l’indagine istruttoria. Benché quel-lo fosse un periodo violento e sanguinoso, con numero-si attentati a persone e istituzioni da parte di giovani attivisti di movimenti estremisti di destra e di sinistra, il giudice Galli non riteneva di essere una possibile vitti-ma anche se, il timore degli ultimi mesi, lo ha portato a scrivere un appunto riguardo alla possibilità di essere colpito ma non certo ad abbandonare l’indagine. Ales-sandra ricorda, però, che il padre ha cercato sempre di non far vivere questa angoscia alla famiglia, solo la mo-glie Bianca, infatti, si era resa conto della possibilità che il marito venisse ucciso. Dalle parole di Alessandra si evince che il padre si sentisse in qualche modo abban-donato dallo Stato che non gli aveva fornito la protezio-ne probabilmente necessaria, anche se non era certo stato ostacolato nel suo lavoro. Alessandra Galli ha, inoltre, raccontato che se le fosse stato chiesto da suo padre, nel momento in cui il pericolo era più concreto, se continuare la difficile inchiesta e, quindi, accettare le gravi conseguenze, o ritirarsi ad indagini meno rischio-se, in quanto figlia gli avrebbe consigliato di preoccu-parsi soprattutto della propria vita, ma oggi, che anche lei è un magistrato, probabilmente, nella condizione del

padre, deciderebbe proseguire nel suo lavoro. Infatti la cosa più importante che il padre le ha insegnato con la sua dedizione è il senso dello Stato e del lavoro. Alessandra ci descrive con voce sommessa quel giorno in cui era al bar dell’università ad aspettare l’inizio di una lezione, quando all’improvviso tutti intorno a lei ini-ziarono ad agitarsi per lo scoppio di una bomba, fu così che lei, pensando subito al padre, corse al piano supe-riore dove vide il corpo del padre a terra. Il giudice Galli aveva appena terminato la sua lezione quando venne colpito dallo scoppio di una bomba carta e tre pallottole sparate da un commando armato di Pri-ma Linea, associazione terroristica vicina per ideologia alle BR. Galli era colpevole, secondo queste persone, “di essere appartenente alla frazione riformista e garan-tista della magistratura”come scrivono nella rivendica-zione dell’omicidio. La curiosità di vedere negli occhi quegli uomini che le avevano portato via il padre e che avevano tolto a tutti noi un grande servitore dello stato, che mai avrebbe voluto diventare un eroe, spinse Alessandra a recarsi alle prime udienze del processo riguardo la morte del padre e se avesse potuto interrogarli avrebbe chiesto loro con quale criterio avessero preferito proprio lui e non un altro simbolo dello Stato, che loro volevano di-struggere. Alessandra resta perplessa quando vede che a questi assassini viene data dai mass-media la possibilità di far sentire la propria opinione e resta an-cor più delusa nel sentire le motivazioni fini a se stesse che costoro esprimono riguardo alla loro “rivoluzione”.

Iacopo Bissi & Fabrizio Capecelatro

Un magistrato , un uomo, un padre… Guido Galli

La redazione dello Spleen e in particolare noi che abbiamo avuto la possibilità di conoscere Alessandra, e di confrontarci con lei, la ringrazia per la sua cortesia e disponibilità nel ricordarci quanto è successo non solo a suo papà ma in generale in un periodo buio della storia del nostro paese. Vogliamo concludere riportando quello che di concreto resta di Guido Galli, quello che rinnova a chi passa davanti alla targa in memoria di Guido, al secondo piano del tribunale di Milano, il ricordo di un uomo che ha lasciato, alla sua famiglia e a tutti noi, un insegnamento importante: “A quelli che hanno ucciso mio marito e nostro padre. Abbiamo letto il vostro volantino: non l’abbiamo ca-pito. Sentiamo ugualmente il dovere di scrivere queste righe, anche perché altri possano leggerle. Capiamo solo che il 19 marzo avete fatto di Guido un eroe e lui non avrebbe mai voluto esserlo, in alcun modo: voleva solo continuare a lavorare nell’ anonimato, umilmente e onestamente come sempre ha fatto. Avete semplice-mente annientato il suo corpo, ma non riuscirete mai a distruggere quello che ha oramai dato per il lavoro, la famiglia, la società.

La luce del suo corpo brillerà sempre annientando le tenebre nelle quali vi dibattete.”

Bianca, Alessandra e Carlina Galli

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Nel 2050 ci vorranno tutti INCHIESTA

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Sin dalla preistoria interi gruppi di popolazioni hanno lasciato i territo-ri in cui vivevano stanzialmente per cercare nuove opportunità econo-miche e di vita, per effetto di grandi mutamenti climatici o per sfuggire a pericoli esistenti. La storia italia-na ha sempre assistito a fenomeni quali emigrazioni di massa, e im-migrazioni notevoli. Tra la fine del XIX sec. e i primi anni venti, circa 15 milioni di persone migrarono verso paesi dell’Europa settentrio-nale oppure nella maggior parte dei casi verso L’America. I fattori principali di questi spostamenti vanno innanzitutto divisi in fattori di “spinta” e fattori d’ “attrazione”, dunque ciò che spinse 15 milioni di persone a lasciare le proprie famiglie e la propria patria furono sostanzialmente motivi eco-nomici, considerando che i fattori d’ “attrazione” devo-no essere ricercati in un li-vello di vita ben più alto e opportunità lavorative mi-gliori che paesi come l’America o l’Inghilterra po-tevano offrire. Nasce nell’immaginario collettivo il così detto “sogno americano”, la speranza di guadagni e di ricchez-za che avvolge quel lontano pae-se, sogni e speranze che subirono un grave colpo con la grande crisi economica americana del 1929, ma che riaffiorarono più vive che mai dopo il New Deal nel 1933. Ecco che nel trentennio successi-vo alla seconda guerra mondiale, il nostro paese si è trasformato in ricettore di flussi migratori costituiti o da stranieri in cerca di lavoro o da italiani che, delusi dalla speran-za americana, rimpatriavano a te-sta bassa, oppure si manifestò in grande quantità quel fenomeno che fino ad allora aveva seguito un corso d’evoluzione omogeneo non presentando mai picchi quantitati-vi: la migrazione dal sud d’Italia

verso le regioni settentrionali che offrivano lavoro e un tenore di vita decisamente superiore. Dalla fine degli anni ’70 il quadro del movimento migratorio del no-stro paese cambia radicalmente. Da paese esportatore di mano d’opera, l’Italia diviene meta di uno spostamento di massa proveniente dai paesi poveri del bacino del Me-diterraneo quindi dall’Africa, da conglomerati urbani dell’Albania e dai paesi dell’Ex Iugoslavia. Cam-

biamenti politici e crisi economiche spingono numerosissimi cittadini ad intraprendere il viaggio della “speranza” verso paesi dell’Europa settentrionale e di conseguenza verso l’Italia. Rispetto ai paesi dell’Europa conti-nentale che avevano sperimentato già in passato flussi migratori con-sistenti, l’Italia ha una storia relati-vamente recente come paese di immigrazione. Anche sotto un pro-filo quantitativo, la popolazione straniera residente in Italia è infe-riore, anche se in notevole aumen-to, rispetto ad altri paesi europei. Dunque il passaggio da terra di emigrazione a paese di immigra-zione è avvenuto in un arco di tem-po troppo breve perché si possano assimilare le numerosissime con-

seguenze derivanti dalla presenza di immigrati: problemi di integrazio-ne sociale, messa in regola delle persone entranti, questioni riguar-danti lavoro, legge e salute. Que-sto ha ripercussioni sulla percezio-ne che i cittadini italiani hanno del fenomeno migratorio, e c’è stata una difficoltà oggettiva da parte dell’opinione pubblica nel valutare correttamente questo fenomeno. Sono sorti così dibattiti incentrati su posizioni diametralmente oppo-

ste, chi appoggia e apre le porte del Paese e chi si dichiara total-mente contrario, e chissà come gioiranno quest’ultimi nel leggere il dossier, non ancora interamen-te pubblicato, del Dipartimento affari economici e sociali delle Nazioni Unite nel quale si dichia-ra che, secondo calcoli e statisti-che, in un non troppo remoto 2050 l’Italia diverrà la quarta me-ta mondiale del immigrazione. Lo storico inglese Eric Hob-sbawm così scriveva nel suo li-bro dedicato al XX (narrato a partire dal 1914 fino al 1991) secolo intitolato “Il secolo bre-ve”: “Circondati dai paesi poveri con vasti eserciti di giovani che reclamano lavori modesti nei pa-

esi sviluppati,i paesi ricchi con una popolazione sempre più vecchia e con pochi bambini devono sceglie-re tra consentire un’immigrazione massiccia (che determina grossi problemi politici all’interno), barri-carsi contro gli immigrati di cui hanno bisogno per alcune attività (una scelta che a lungo termine potrebbe rivelarsi impraticabile) o trovare qualche altra soluzione”. E noi fieri abitanti addirittura del XXI siamo disposti a trovare una qual-che altra soluzione che porti a qualcosa di concreto senza conti-nuare a lamentarci e a discrimina-re?

Francesca Tosarini

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INCHIESTA

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L’immigrazione secondo i titoliviani

Tra i 100 studenti che abbiamo intervistato la maggior parte dichiara di non avere pregiudizi nei confronti degli immigrati,anche se il 40% degli studenti intervistati afferma che sono o potrebbero essere un pericolo,dato emer-so soprattutto tra le ragazze. Molti sono incerti ,affermano che non li ritengono un pericolo,ma dipende dalle si-tuazioni;una minima parte(28%) ritiene che gli immigrati non sono un pericolo,in quanto anche i cittadini italiani possono esserlo per il loro paese. Quasi tutti sono concordi nel dire che è compito dello Stato integrarli,anche se noi cittadini dobbiamo fare di meglio per farli sentire integrati e parte della società. Come ultima domanda “Credi che l’immigrazione possa essere occasione di scambio culturale?” 57 ragazzi su 100 hanno risposto di sì,dicendosi favorevoli ad interagire con persone di diverse culture e ad avere compagni di classe di altre nazioni.

Glenda Campolunghi & Mariachiara Leteo

Immigrazione quindi razzismo? Non è facile parlare di un tema im-portante come il razzismo. Non solo perché è un argomento complicato, ma anche perché è triste parlarne, dato che tutti sanno cos’è, tutti ne parlano, tutti lo rinnegano, eppure esiste ancora, come prima, forse più di prima. Vocabolario alla mano, il razzismo è “teorie, parole e azioni volte a giustificare la supremazia di una razza sulle altre, discriminando-le in quanto inferiori”, ovvero, non solo credersi superiori a un altro, ma considerarlo inferiore a causa della sua nazionalità o della sua cultura. Dopotutto, il razzismo è una piaga antica, nata insieme all’Uomo: Ro-mani e Greci non si credevano su-periori agli altri popoli? E la segrega-zione del popolo ebraico? E dove mettiamo le varie guerre religiose fra cristiani e musulmani? Anche la sto-ria più o meno recente è piena di gravi fenomeni di discriminazione: come la tratta degli schiavi neri, il massacro degli indiani d’America, il

colonialismo, il razzismo diffuso ne-gli USA di cinquant’anni fa, alle di-scriminazioni religiose di alcuni pae-si arabi e asiatici e, soprattutto, al nazismo. Sembrano fatti lontani, ma non lo sono. È impressionante pen-sare che l’Apatheid, uno degli ultimi regimi coloniali razzisti, sia stato de-finitivamente annullato meno di vent’anni fa. Oggi, almeno in Europa e in America, non esistono più leggi di stampo razzista, e tutti i governo sono ufficialmente impegnati nella lotta contro le discriminazioni; ma è così anche fra la gente comune? Ovviamente no. Basta guardare in casa nostra, lasciando perdere pae-si stranieri; è vero, non ci sono for-me violente di discriminazione, co-me è successo solo poco tempo fa in Francia, ma di certo ci sono tanti, piccoli problemi fra italiani e immi-grati. La maggior parte sono solo forme di diffidenza, di xenofobia, come direbbero gli Ska-p, ma ho paura che finiranno per peggiorare,

anziché per migliorare; già ora esi-stono diversi gruppi, politici e non, dichiaratamente contro varie mino-ranze etniche, e gli ultimi sconti nella Chinatown nostrana non migliorano certo le cose. Ma stanno soprattutto nascendo forme di razzismo più mo-derne, che non badano più al colore della pelle: sto parlando delle discri-minazioni contro gli omosessuali. Cosa dobbiamo fare quindi? Per prima cosa, gli stranieri che vivono nel nostro paese, dovrebbero impa-rare ad adattarsi un minimo alla no-stra cultura, senza necessariamente dimenticare la loro, mentre noi dob-biamo usare un po’ più di tolleranza, e non solo verso gli immigrati. Tolle-ranza; che non vuol dire credere di essere tutti uguali, ma vuol dire capi-re di essere tutti diversi, e saperlo accettare.

Andrea Calaresi

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hai pregiudizi? deve essere lo stato adintegrare gliimmigrati?

sono un pericolo? offrono un'occasionedi scambio culturale?

si

no

non so/dipende

non risponde

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Una giovane cinese si racconta Abbiamo intervistato una ra-gazza cinese di 15 anni che si trova nel nostro paese da quando ne aveva 7. Hai avuto d i f f i co l tà d’integrazione inizialmente? Non ho avuto particolari diffi-coltà all’inizio, grazie anche al fatto che ero capitata in una classe bella forte ed unita. Sta di fatto che mi sentivo diver-sa , non esclusa ma differente da tutti gli altri. E quali sono state le conse-guenze di questo disagio? Mi sono chiusa in me stessa e non mi sentivo libera di espri-mermi perché impaurita dal giudizio altrui e temevo di es-sere criticata perché la mia provenienza e le mie origini erano comunque altre. E per quanto riguarda il tuo rapporto con gli estranei sei mai stata vittima di spiace-voli episodi di razzismo? Si, per esempio nella casa do-ve vivevo prima i miei anziani vicini guardavano in malo mo-do me e la mia famiglia e pe-stavano la scopa sul muro ac-cusandoci di fare rumore an-che quando non lo facevamo e lanciandoci occhiate truci ogni volta che ci incrociavano. Inoltre a volte sul tram “sento” le persone che mi fissano e borbottano tra di loro. E poi-ché i miei genitori hanno un ristorante, a volte passa la gente, lancia occhiate sospet-te e insistenti all’interno e va via subito...

E nel periodo in cui dilagava la SARS? In quel periodo poi mi sentivo perennemente accusata e una volta è capitato che alcuni ra-gazzi avessero gridato in mia presenza: “SARS! SARS! SARS!” Ma quale è la tua arma di di-fesa? Divento indifferente e faccio finta di non sentire. Cosa ne pensi del fatto che i cinesi siano chiamati in mo-do dispregiativo gialloni? Ahahah! Quando a dirmelo sono i miei amici nessun pro-blema perché so che lo dicono ironicamente ma quando a dir-melo sono sconosciuti, magari della Lega.. A proposito di quest’ultima cosa mi dici? Non credo che sia giusto e normale che ai tempi d’oggi esistano ancora persone che facciano discorsi di questo ge-nere, come Bossi, Calderoli, Borghezio e la loro bella com-pagnia. L’odio che provano e che non fanno nulla per nascondere nei confronti degli stranieri è dovuto a una generale paura del diverso che giudicano re-sponsabile di tutti i mali e che non riescono a vedere come qualcosa di positivo. Sono persone ignoranti e do-vrebbero sparire dalla scena politica con i loro discorsi in-farciti di violenza e razzismo. Per loro la parola straniero e-quivale a minaccia e criminali-

tà, ma sbaglio o la maggior parte di coloro che svolgono lavori pesanti ma utili per la società sono stranieri? E naturalmente di criminali ita-liani non ce ne sono… per loro i “nordici” sono superiori a tut-to e tutti. Cosa ne pensi di quello che è recentemente successo a Chinatown? Sicuramente i miei connazio-nali hanno esagerato e su questo non si discute ma se-condo me la multa è stata un pretesto, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso in un clima di tensione preesi-stente e aggravato dalle leggi Moratti. Essi una volta per tutte hanno espresso il loro disagio e sicu-ramente hanno sbagliato a farlo in modo così violento. Inoltre erroneamente la comu-nità cinese in Italia è sempre stata molto chiusa e la non apertura verso gli altri forse ha contribuito a non renderli un popolo amato. Per chiudere… come si vive in Italia? Ho frequentato tutte le scuole qua, ho gli amici qua… Insomma questa la considero casa mia, anzi il mio secondo paese. Cercherò di combatte-re il razzismo sperando che un giorno la società odierna superi questi disagi. In Italia si vive bene! Martina Zigiotti & Irene Calbi

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INCHIESTA

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25 aprile: per ricordare

ATTUALITA’

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E’ questo quello che afferma Bradley Smith nel suo dibattito,portavoce di quella che viene defi-nita corrente del revisionismo storico”, nata già nei pirmi mesi dopo la fine della guerra. Una guerra atroce,un susseguirsi di massacri,di de-portazioni,di stragi e di violenza gratuita contro esseri umani: il più grande genocidio che la sto-ria abbia mai conosciuto,scaturito dalla follia di un solo uomo. Eppure, contro documenti, prove e persino fil-mati e fotografie, c’è chi riesce ad affermare che questo non sia mai esistito:sono i figli, i discen-denti diretti dei nazisti i revisionisti storici. Quelli che hanno combattuto contro i nostri partigiani. Quelli che hanno perso. I nemici. Ed è per que-sto che Primo Levi ci descriveva, nel suo libro, quello che era accaduto davvero;non per rac-contare,ma per non dimenticare. Di giorno in giorno, di anno in anno anche la più grande delle tragedie potrebbe scivolarci addos-so inosservata, soprattutto tra i giovani e tra co-loro che non sono stati protagonisti di questi an-ni atroci. E’ fondamentale il ricordo della guerra e ancora di più per noi italiani il giorno della no-stra liberazione, il 25 aprile,una data storica che segnò la fine della resistenza partigiana italiana

contro l’occupazione nazista e la caduta del fa-scismo italiano. Il 25 aprile significò per i tede-schi la loro sconfitta; ma per gli italiani, la vitto-ria. Ci rimane solo una data, unica prova con-creta che non ci può essere strappata dalla me-moria, unica testimone della storia di ogni sin-golo partigiano, ogni uomo che con il suo corag-gio ha dato un senso a ciò che per noi italiani significa ancora oggi libertà. Basti pensare a quanto sangue è scorso sui nostri territori e sul-le strade che ogni giorno attraversiamo, a quan-ti figli in Italia nel dopo guerra siano rimasti sen-za un cognome e a quante mogli confortate dal solo metallo di una fredda targhetta... Dobbiamo dare a tutto questo un senso. Dob-biamo fare tutto ciò che è in nostro potere per non far zittire tutte le voci dei nostri e-roi...dobbiamo far passare giorno per giorno il messaggio di libertà che li ha portati a sacrifica-re la vita stessa... Solamente il ricordo non renderà vani i loro sfor-zi e le loro voci non smetteranno mai di parlarci di coraggio e di democrazia.

Martina Ioppolo & Ludovica

“Da parte tedesca, non fu mai attuata, in nessuno dei campi, una politica vol-ta intenzionalmente a procurare la morte degli internati. In campi come Bu-chenwald, Dachau e Bergen-Belsen furono liberate decine di migliaia di inter-nati che apparivano ancora relativamente in buona salute. C'erano anche loro quando "le fotografie" vennero scattate. Esistono documenti filmati che mo-strano queste persone camminare, parlare e scherzare tra loro.”

“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità,

andate li o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.

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ATTUALITA’

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Strage alla Virginia University

In una splendente giornata primaverile, il 16 Aprile, gli universitari della Virginia Tech University si stavano svegliando co-me tutti gli altri Lunedì mattina, inconsape-voli della tragedia che sarebbe accaduta nei minuti successivi. Verso le 7.15 uno studente coreano di 23 anni, Cho Seung-Hui, irruppe armato in uno dei dormitori più grandi dell’università, uccidendo due stu-denti, Ryan Clark, ufficiale della banda musicale della Virginia Tech e Emily Hil-scher, studentessa veterinaria al suo pri-mo anno. L’allarme fu mandato a tutti gli studenti via e-mail, raccontando l’accaduto e consi-gliando cautela. Nel frattempo la polizia stava indagando e interrogando uno dei sospettati killer quando, due ore dopo, alle 9.40 precise ci fu un nuovo attacco da parte dello studente coreano. Entrò in va-rie classi sparando agli studenti e ucciden-do. Un insegnante di Ingegneria romeno, il prof. Librescu salvò gran parte delle vite dei suoi studenti bloccando la porta della classe mentre gli studenti scappavano dalla finestra. Sacrificò la sua vita cosic-ché gli studenti del Virginia Tech lo consi-derano un eroe. Prima di suicidarsi, il serial killer tolse la vita a trentatré persone e consegnò alla rete americana NBC un video violento in cui imitava alcuni perso-naggi ripresi dai film come Tomb Raider. Dopo questo secondo attacco un’altra e-mail fu mandata a tutti gli studenti ordinan-do di rimanere barricati nelle classi e nelle stanze. Le lezione erano state annullate. Perché? Questa è la domanda che tutti si pongono da una settimana. Perché ucci-

dere tante persone innocenti? Perchè gli studenti non sono stati avvisati di rimanere nelle camere fino a quando l’università era sicura? Come è possibile che Seung-Hui sia riuscito ad attaccare a due ore di di-stanza? Perchè l’intervento della polizia tardò? A molte di queste domande non si è anco-ra riusciti a dare una risposta e forse non l’avremo mai da parte del governo ameri-cano. Anche otto anni fa, all’università di Colombine la polizia arrivò tardi e il suo intervento fu molto caotico. Io ho cono-sciuto un ex-studente di Colombine che era a scuola durante l’attacco e fece una presentazione riguardo al terribile massa-cro davanti ad un gruppo di 50 persone, nostri coetanei inclusa me stessa. La sua presentazione rimane ancora adesso inde-scrivibile: sentire i fatti raccontati da uno che li ha vissuti in prima persona, percepi-re la sua rabbia e il suo dolore verso un atto così insensato e crudele commuove. Commuove perché ragazzi dai 20 ai 23 anni, che dovrebbero avere tutta la vita davanti a loro vengono uccisi da loro coe-tanei che si sentivano esclusi dalla comu-nità dell’università. Furono uccise 19 per-sone alla Colombine University ma, come diceva l’ex studente, c’erano moltissimi feriti: un suo amico rimase in carrozzella e il suo migliore amico si suicidò qualche anno dopo perché non riusciva ad andare avanti dopo questa terribile strage. Ci so-no alcune persone spettatrici che ricorda-no solo i morti e non pensano agli incubi avuti anno dopo anno dagli studenti dell’università, alla forza d’animo che que-

sti ragazzi hanno dovuto cercare dentro di sé per andare avanti e riuscire a condurre la propria vita. Alcuni ce l’hanno fatta dopo vari anni, altri no. Questa è stata la peggiore uccisione di massa avvenuta negli Stati Uniti. Su Internet circolano le foto degli studenti e professori uccisi, per avvisare le rispettive famiglie ma anche per ricordare l’atrocità degli eventi a cui abbiamo assistito sotto shock e rattristati. Gli Stati Uniti dovrebbe-ro riconsiderare la facilità d’acquisto delle armi da fuoco: il porto d’armi oggigiorno è inesistente e chiunque compiuti i 21 anni di età può entrare in un negozio d’armi e acquistare una pistola. Queste uccisioni di massa accadono soprattutto negli Stati Uniti proprio perché c’è troppa liberalizza-zione nel commercio delle armi. Quelli speranzosi tra di noi hanno fiducia che il governo americano attuerà una legge per il porto d’armi, rendendo il suo paese più sicuro. Non si può continuare ad assistere impotenti a queste stragi ma si deve reagi-re e prevenirle. Una prima iniziativa imme-diata potrebbe essere sottoporre la vendi-ta delle armi negli stati Uniti alle stesse restrizioni e limitazioni che ci sono in Italia e nei maggiori paesi europei. Fino a quando si potranno comprare fucili di pre-cisione e pistole automatiche nelle catene dei supermercati americani alla stessa facilità con cui si compra una cassa di birra, sarà difficile evitare il ripetersi di queste uccisioni di massa.

Flavia Faccio

Fra le tante sfaccettature delle incoeren-ze dell'uomo vi è anche quella del vo-lontariato: infatti nonostante le banali liti quotidiane o le sanguinose guerre a cui prende parte o assiste, ha da sempre cercato di collaborare con gli altri, di dare e ricevere aiuto, forse in nome di quella vocina chiamata misticamente "Coscienza", che ogni tanto, quando meno ce lo si aspetta si fa sentire, e oggi, sempre in un numero maggiore, sono numerosi i cittadini attenti al socia-le che si adoperano spontaneamente al volontariato. Il volontariato è, in tutte le sue forme e manifestazioni, espressione del valore della relazione e della condivisione con l’altro in quanto attività libera e gratuita che non risponde alle logiche del profit-to, che incarna e testimonia con i fatti la parte solidale della nostra società e ne r a l l e n t a i l p r o c e s s o d i "disumanizzazione" avviato dalla conti-

nua ricerca di un benessere non tenente conto delle esigenze altrui, sollecitando la conoscenza ed il rispetto dei diritti, rilevando i bisogni e i fattori di emargi-nazione e degrado,proponendo idee e progetti. Esso quindi, svolge anche un ruolo politico, partecipando attivamente ai processi della vita sociale e favoren-do la crescita del sistema democratico. Il volontariato è presente ove vi è soffe-renza, nonostante i rischi e i pericoli cui spesso va incontro e soprattutto nono-stante l'ingratitudine e l'indifferenza che circonda la sua opera. Bisogna quindi rilevare quanto quest'attività fondamen-tale non sia sufficientemente pubbliciz-zata in particolare dai mezzi d'informa-zione. Chiunque può decidere di presta-re soccorso, scegliendo se farlo indivi-dualmente e in modo piu' o meno spora-dico o associandosi ad altri volontari all'interno di un' organizzazione garante sia della formazione e della coordinazio-

ne di questi, sia della continuità dell'atti-vità intrapresa. Molti tra coloro che deci-dono di fare parte del cosidetto "esercito del Bene", imboccano questa via spinti da una motivazione interiore e dalla voglia di poter essere utile, in altri aspi-ranti invece - forse i più? - prevalgono motivazioni inconsce che fanno soprat-tutto riferimento a se stessi ( bisogno di una gratificazione, d'autorealizzazione, ecc.) piuttosto che ai destinatari dei ser-vizi. Può darsi che storcerete il naso nel leg-gere ciò e che pensiate non siano per-sone davvero 'pure di cuore', ma trovo comunque sia un bel modo di essere 'egoisti' e che indipendentemente dal movente, praticare volontariato comporti ad un arrichimento interiore oltre che essere un valido aiuto al fine di migliora-re la società in cui viviamo.

Elena ganci e Vittoria

Il volontariato nel XXI secolo

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SPORT

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Con Arte marziale s’intende una disciplina legata al com-battimento che raccoglie al su-o interno determinate pratiche e tecniche codificate fondate a loro volta su particolari principi fisici, culturali e filosofici.Il ter-mine è entrato nell'uso agli ini-zi degli anni sessanta quando furono introdotte in occidente le arti marziali orientali. Oggi le arti marziali vengono studiate per varie ragioni: ottenere abi-lità di combattimento, autodife-sa, sport, salute fisica, auto-controllo, meditazione, acqui-sire confidenza col proprio corpo, sicurezza nelle pro-prie capacità e consapevo-lezza dei propri limiti. Negli ultimi anni la pratica delle arti marziali è aumen-tata esponenzialmente si so-no formate molte nuove pa-lestre. Ma perché questa nuova passione per questi sport? I motivi sono molte-plici; ad esempio per il for-te legame che s’instaura all’interno della pale-stra. Penso che il reale motivo si debba alla cre-scente ondata di violenza e crimi-

nalità,soprattutto sulle donne e sui bambini, con il fenomeno d e l b u l l i s m o . È molto diffusa l'opinione che la difesa personale sia solo un insieme di tecniche ed inse-gnamenti atti ad atterrare un avversario prima che sia lui a farlo, come si può vedere in alcune pellicole cinematografi-c h e confondendo l'auto-

difesa con lo street-fighting. La difesa personale comprende sia tecniche fisiche per la dife-sa dalle aggressioni, sia un profondo lavoro psicologico. È ovvio che per imparare a fon-do e sfruttare nel modo giusto questi insegnamenti bisogna essere seguiti da ottimi istrut-tori. Molte arti marziali racchiu-dono al loro interno princìpi come autocontrollo e rispetto per gli altri, per questo la dife-sa personale prende molto spunto da esse. Le arti mar-ziali non solo rendono chi le prat ica più forte, con

l’educazione del corpo e della mente, ma infon-dono maggiore sicu-

rezza di sé e delle proprie capacità, cosa sicuramente

indispensabile nei bambini.

Glenda Campolunghi

Autodifesa: arte marziale o semplice lotta?

LA REDAZIONE Coordinatore: Fabrizio Capecelatro - IB

Vice-coordinatrice: Francesca Tosarini - IB Responsabile grafico: Gabriele Petronella - IIC

Indirizzo e-mail: [email protected]

Chi volesse scrivere un articolo su un argomento a scelta ma restare anonimo potrà lasciare il suo articolo nella scatola “per eccellenza” che sarà posizionata nel corridoio al secondo piano.

Un ringraziamento alla prof. Gabbini

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SCUOLA

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La sfida della scuola

Il vignettista: Un insolito lavoro Nome: Silvestro Nicolaji Età: 28 anni Professione: fumettista e illu-stratore In che cosa consiste il tuo lavo-ro? Come illustratore, disegno spes-so copertine e immagini per alcuni libri. Quella di fumettista però è un’altra cosa. Io ho sem-pre pensato che i fumetti fossero un linguaggio con cui si vuole comunicare qualcosa. Nello stesso modo in cui un quadro o un libro ci possono far provare delle emozioni, così anche io, fumettista, posso farlo. Le mie non sono solo storie disegnate, i miei fumetti vogliono e devono raccontare qualcosa a chi li legge. Qual’è stato il tuo percorso di studi? Ho studiato a Palermo in un liceo classico. Ho poi iniziato l’università, provando varie facoltà: prima scienze biologi-che, poi medicina e infine lettere moderne, ma non era quello che volevo fare. Così alla fine sono

venuto a Milano a 19 anni e ho studiato alla scuola di fumetto che c’è qui e che è anche la più antica d’Italia. Cosa ti ha spinto a diventare fumettista e a venire a Mila-no? Non saprei, un po’ è stata mia madre,un po’ la grande passio-ne che ho sempre avuto per i fumetti, ma anche il fatto che ho cominciato a disegnare dando un senso a quello che facevo. Quali sono i lati positivi del tuo mestiere? Sicuramente il fatto che la mia passione è anche il mio lavoro e che quindi faccio quello che mi piace. Inoltre posso tranquilla-mente lavorare a casa, ascol-tando la musica che amo. E quelli negativi? Il fatto che la mia passione coincide con il mio lavoro. In-fatti essendo i fumetti la mia professione devo guardarli in maniera fredda e distaccata. Inoltre devo rispettare i tempi di c o n s e g n a ; s e f a c c i o un’illustrazione o mi limito a

disegnare una storia senza aver-la scritta io stesso, come spesso capita a molti fumettisti, devo farla come vuole il committente, il che non sempre coincide con la mia visione delle cose. Inoltre devo disegnare quando me lo dicono, anche se non ne ho vo-glia. Hai mai pensato di smettere? No…Non proprio. Cosa è successo? Una volta avevo trovato un la-voro in Francia, e il mio agente mi aveva fatto fare già molti disegni, ma alla fine non ho firmato nessun contratto e sono rimasto senza lavoro. È stata per me una grossa delusione e mi sono anche arrabbiato mol-to. Ma non ho mai pensato di smettere, amo troppo questo lavoro. E poi è normale subire qualche colpo basso: sono an-cora giovane e sto facendo ga-vetta. Però alcuni tuoi lavori sono stati pubblicati vero? Sì certo. Un po’ di tempo fa è uscito un mio libro che io stesso

ho illustrato(Orfeo) e adesso in edicola c’è un fumetto per cui disegno le copertine che sta riscuotendo un certo successo(Sol mirror) e sto lavorando ad un idea per un fumetto su Paolo Borsellino, che spero mi pubbli-cheranno. Inoltre faccio molte illustrazioni per il Battello a vapore. Cosa consiglieresti a un ragaz-zo che vuole fare il fumettista? Da un punto di vista tecnico gli consigliere di iniziare a copiare dai fumetti e di iscriversi alla scuola di fumetto, per imparare il mestiere. Ma da un punto di vista sentimentale gli direi che se vuole fare il fumettista deve saper rischiare ed essere co-sciente che con questo lavoro per molto tempo non avrà nes-suna certezza. Dovrà essere paziente e soprattutto determi-nato. Ma alla fine penso cha la cosa più importante sia avere tantissima passione per quello che si fa.

Giulia Russo

Io vado a scuola perché questa società me lo impone o se preferiamo, me lo con-cede. È ma è un lungo percorso, la scuo-la, che mi apre e mi chiude molte porte. Terminate le tappe obbligatorie delle ele-mentari e delle medie si incomincia da entrare nello specifico perché bisogna incominciare a fare delle scelte: Classico? Scientifico? Istituto tecnico? Alberghiero? Scuola per apprendisti maghi? ….superata quest’ultima fare, se vuoi e se puoi, ti separi da quel regalo che la socie-tà ti ha fatto, la scuola, e decidi se andare a fare l’università o se andare a lavorare, e per chi può stare a casa a girarsi i polli-ci. Poiché sono ancora all’interno della scuola anche se tra poco, spero, me ne dovrei uscire, sto riflettendo sugli strumen-ti che essa mi ha fornito per un futuro la-voro, per il mio modo di pensare, per la mia formazione culturale e soprattutto sul suo significato più strettamente educativo. Lucrezio spiega il senso della poesia uti-lizzando la suggestiva immagine dell’amara medicina che beve il bambino assieme al miele, per addolcirla, così la poesia deve educare e quindi essere utile come deve anche dilettare. Anche la

scuola dovrebbe essere una dolce medici-na; oggi però è soltanto un colorato lecca-lecca. La scuola deve combattere contro l’ignoranza, cercando di farti scoprire i più svariati aspetti del sapere, i quali devono, come ci hanno sempre detto i nostri geni-tori, farci aprire la mente. Questa è una funzione importantissima della scuola, ma non è quella principale, perché prima di tutto il percorso scolastico ti deve formare e aiutare per farti diventare un buon citta-dino che dovrà vivere regolandosi ai mec-canismi di questa società. Osservando l’italiano medio, cito gli Articolo 31 non a caso, ti accorgi che gli strumenti che la scuola, come la famiglia ti offre sono in-sufficienti. I contenuti della scuola devono essere le fondamenta solide per la nostra crescita verso una vita sociale e politica in cui si deve formare in noi una mentalità critica e indipendente. Non esagero se dico che non ci dobbiamo meravigliare se un ragazzo uccido un poliziotto allo stadio o se fra gruppi di giovanissimi ci si accol-tella per una ragazza o se uno, perché gay, si suicida; infatti la responsabilità è anche della scuola che non agisce, che non sa alzare la voce, ma che convive

con l’ignoranza: la vera ignoranza non è quella dei quattro in latino o in greco… E se la scuola non è abbastanza forte, sia-mo noi studenti che dobbiamo lottare con-tro l’ignoranza: contro i violenti, i maledu-cati, i famosi bulli insomma, contro tutti coloro che non hanno avuto una buona educazione in famiglia e che la scuola non ha cambiato, ma anzi peggiorato! Purtroppo vedo che già nel mondo dei ragazzi sono gli ignoranti a dettare legge. Ma cosa succede? Cosa fanno gli altri? Succede che gli altri, me compreso, non hanno la forza di agire, perché il timore reverenziale ti blocca e al contrario, ti por-ta a mitigare i peggiori elementari, che sono sempre temuti e rispettati. Se voglia-mo che i peggiori abbiano la meglio allora ci dovremmo accontentare di vedere certa gente in parlamento altrimenti, con una scuola che fa finta di non vedere, dobbia-mo essere noi i protagonisti, noi ad avere coraggio anche a costo di qualche brutta figura, perché come la storia e la vita di tutti i giorni insegnano per ottenere qual-cosa ci vuole sacrificio.

Niccolò Tominetti

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RECENSIONI

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300: Serse torna a sfidare re Leonida 480 a.C, Termopili: re Leonida (Gerard Butler) difende la porta d’ingresso per la Grecia a capo di 300 esaltatissimi Spartani, vestiti alla buona e armati di lan-cia, spada e scudo. Contro di loro, l’intero esercito persiano, composto da milioni di guerrieri, maghi, giganti e bestie varie. Gli Spartani resistono a colpi di spadate al rallentatore, finché, traditi dal gobbuto Efialte, ven-gono circondati e sterminati. Questo è Sparta! Questo è “300”, ovvero l’ultimo film di Z a c k S n y d e r , t r a t t o dall’omonimo graphic novel del buon Frank Miller, che rivede a modo suo la celebre battaglia

fra Greci e Persiani. Come già per “Sin city”, questo film ha di-viso sia critica che pubblico pa-gante, tanto che per alcuni è quasi un capolavoro, per altri è solo l’ennesimo splatter made in USA. I contrari non hanno parti-colarmente gradito il fattore esa-gerazione: guerrieri capaci solo di farsi ammazzare dai 300, ele-fanti e rinoceronti sconfitti come ridere, milioni di frecce che o-scurano il sole, un Serse alto più di due metri, depilatissimo e coperto di catene d’oro, un E-fialte che sembra un Gollum ve-nuto male e altro ancora. Non sono stati apprezzati neanche il sangue a fiotti e il fatto che i 300

si trovino ad affrontare poco per volta nemici sempre più forti, come in un videogioco. Per altri invece, “300” è un gran film, con un’ottima fotografia, dei bei combattimenti e con frasi dav-vero esaltanti sparate a raffica, alcune delle quali già di culto. Per me, è comunque un film che incrocia felicemente diversi generi, fra cui azione, splatter, peplum, storico e fantasy, da vedere se non altro per poter dire la propria opinione e per gasarsi un po’ (‘Spartani! Qual è il vostro mestiere?’)…

Andrea Calaresi

Diario di uno scandalo Drammatico e ai confini del thriller , “Notes of a Scandal” trapianta nella dotta e austera cronaca del diario di Barbara Covett, Judi Dench, un’inflessibile insegnante over 50 che galoppa con rigore nella sua illimitata solitudine. Ad allacciare rapporti ben sconfinanti dalla reciproca stima con la cor-rucciata Barbara, è Sheba Hart, Cate Blanchett, snella novizia insegnate approdata quasi per caso alla St. George, la medesima scuola disastrata dove impera la tatcheriana professoressa. Presto le due colleghe sono legate da una solida amicizia cementata dall’autorevolezza dell’anziana e dalla soggezione innocente di Sheba, ma quando Barbara scopre che l’amica, alla quale aveva segreta-mente riservato una collocazione eterna nella sua vita è implicata in una relazione sessuale con un prestante quindicenne, il legame gerarchico che subordina la volontà della candida novella a quella dell’ambigua confidente si muta intorbido incastro di ricatti e debiti morali. Così, quando al letale bivio tra famiglia e amicizia pericolosa Sheba imbocca la strada per rimarginare le ferite coniugali, la Covett accende la sua devastante miccia vendicativa scatenando una bufera giornalistica circa la vicenda sentimentale tra Sheba ed il suo livello. Ingenuamente, lei imputa la scandalizzante con-fessione all’amato adolescente, riducendola ad un cedimento adolescenziale e così, momentanea-mente radiata dal marito, trova rifugio dalla nauseante scarnificazione mediatica presso la com-prensiva Barbara. Presto però la giovane, leggendo frammenti del suo diario, sbarra gli occhi alla destabilizzante realtà e comprende finalmente il diabolico intento di controllo sentimentale attuato da Barbara. Un film in bilico fra il thriller psicologico e la tragedia familiare, “Diario di uno Scandalo” annovera nel cast due perle di immensa bravura: Judi Dench dall’impeccabile e composta recita-zione minimal, e Cate Blanchett che manifesta il suo talento sprigionando una profondità esempla-re. Il regista affida lo svolgimento della pellicola alla costante lettura del diario di Barbara che rita-glia la vicenda in episodi, alimentando un crescendo di tensione che culmina nell’enigmatico epilo-go.

Salpetra

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Grazie! !

RINGRAZIAMENTI

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Francesca Tosarini per avermi aiutato a coordinare il giornalino, ma soprattutto per avermi sopportato, spinto ad andare avanti e per avermi ricordato le scadenze e gli impegni. Gabriele Petronella per aver dato un aspetto gradevole al giornalino e per essere rimasto con me fino a notte inoltra-ta ad impaginare gli ultimi articoli che arrivavano. Alessandro Audino non solo per gli articoli realizzati, ma soprattutto per essere stato il senso critico della redazione, fondamentale per migliorarci. Iacopo Bissi per aver scritto degli articoli così eccelsi , spesso degni della prima pagina, e per aver creduto sin dall’inizio in questo giornalino e per essersene affezionato come pochi. Andrea Calaresi per aver accettato, per il bene del giornalino, di fare articoli su argomenti spesso indegni della sua eclettica intelligenza e delle sue capacità scrittorie. Alessio Pezzana per essere stato disposto a fare carriera persino nello Spleen, partendo con articoli semplici fino ad aver utilizzato a pieno le sue capacità, realizzando gli articoli di prima pagina degli ultimi due numeri. Federica Ioppolo per aver donato una firma autorevole al giornalino e per averci supportato moralmente e burocrati-camente dall’alto del suo incarico. (colgo anche l’occasione per ringraziare lei e la sua collega-amica Maddalena Mo-ranti per quanto fatto quest’anno) Martina Ioppolo & Ludovica Brignola per aver portato un accento di allegria nella redazione e per aver realizzato sempre articoli impegnativi con molta semplicità. Martina Zigiotti & Irene Calbi per aver realizzato della magistrali interviste e per aver sopportato i miei nervi spesso scossi. Edoardo per aver realizzato delle divertenti vignette, rendendo così più giocoso l’aspetto del giornalino. Daniele Gavazza per aver messo da parte la sua vena poetica ed aver scritto interessanti articoli sulla società mo-derna. Mario Nardone per essersi occupato, sia pur sempre in ritardo, della pagina sport. Mariachiara Leteo & Glenda Campolunghi per aver collaborato alla realizzazione di questo giornalino, scrivendo articoli sui più vari argomenti. Francesco Borrelli, Alessandro Peregalli, Enea Moscon, Giulia Fossi, Giorgio E. Ausenda, Giulia Gillo e Diana Faccio, Niccolò Tominetti, Giulia Russo, Vittorie ed Elena Ganci, Flavia Faccio e tutti coloro che hanno lascia-to lettere anonime nella scatola “per eccellenza” per aver voluto dare il loro aiuto alla realizzazione del giornalino. Gli amici dell’Agisco per averci consigliato, dall’alto delle loro esperienze, sul come portare avanti un giornalino sco-lastico. La signora Mena e tutte le sue colleghe per aver stampato rapidamente il giornalino.

Un grazie particolare a Il preside Prof. Carlo Vincenzo Manzo, che ci ha consentito di realizzare questo nostro progetto La prof. O. Gabbini per aver accettato, nonostante i suoi già numerosi impegni, di correggere e controllare gli articoli dello Spleen. La prof. A. Riboldi per aver corretto il primo numero dello Spleen, la prof. Rusconi per averci permesso di rilegare il giornalino durante alcune ore di lezione e il prof. Wholfard per aver sempre commentato il giornalino, mostrando un interessamento verso questo progetto anche da parte del corpo docenti. Voi lettori che, prendendo il giornalino e talvolta discutendo di qualche articolo, ci avete spinto a continuare, nono-stante le difficoltà, nel nostro lavoro, consci di star facendo qualcosa di interessante ed utile per noi stessi e per gli altri. In quest’anno di lavoro non solo mi sono divertito ma spero di aver realizzato un buon prodotto, che vi abbia per-messo di riflettere su tutti gli avvenimenti più importanti dell’anno. Spero che l’anno prossimo questa iniziativa continui, semmai con qualcun altro, semmai con più collaboratori, ma l’importante è che lo Spleen non resti l’esperimento di un anno ma diventi una realtà di sempre.

Fabrizio Capecelatro

E i n f i n e . . . ...un ultimo istante di attenzione! Manca infatti il ringraziamento più importante, dedicato a colui che ha permesso a tutti noi di realizzare ciò che da un po’ di tempo sognavamo, colui che ha concretizzato le mil-le parole e i mille progetti che volavano per la scuola: Fabrizio, alias Cape. Già, il nostro caro direttore al quale noi personalmente dedichiamo queste ultime righe. Grazie per essere stato un grande compagno in questo progetto, un serissimo coordinatore e, come sempre nella vita, ma soprattutto nei momenti difficili, un grandissimo amico. E quindi grazie Direttore, grazie per averci spronato a non abbandonare tutto, gra-zie per i consigli e per la franchezza, grazie per le serate passate al computer a completare lo Spleen, gra-zie per averci dato finalmente un giornalino degno di essere definito tale.

Con immenso affetto Francesca e Gabriele