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Corso di Eccellenza, a.a 2012/13 Al di l ` a delle funzioni: introduzione alla teoria delle distribuzioni Corrado Mascia 7 giugno 2013 Lezione 1. Il rigore matematico Per iniziare, consideriamo un problema prototipo pseudo-concreto: il calcio di rigore. Obi- ettivo: descrivere il moto del pallone utilizzando il linguaggio matematico fornito dalla legge di Newton eeugualeemmea, che, tra poche righe, richiameremo nella sua versione pi` u edul- corata possibile. Supponiamo che il moto del pallone percorra una retta unidimensionale e che sia inizialmente collocato sul dischetto dell’area di rigore nella posizione y 0 = 0. Al tempo t = 0, il calciatore colpisce il pallone e questo comincia a muoversi con velocit` a v * , considerata costante (e positiva). Il grafico della funzione che al tempo t associa la velocit` a v = v(t)` e molto Figure 1. Un innocuo calcio di rigore. semplice: si tratta di una funzione costante a tratti che vale 0 per t < 0e v * per t > 0. Immaginando di essere molto aezionati alla legge di Newton per la dinamica di un punto e di suppore, per semplicit` a, che il pallone abbia massa unitaria, vorremmo scrivere un’equazione dierenziale del tipo (1) dv dt = f dove, in questo caso, il profilo della soluzione v ` e noto e il termine da determinare e la funzione a secondo membro f , che descrive la forza che determina il moto del pallone. Il problema salta all’occhio: la funzione v non ` e continua in t = 0 e quindi neppure derivabile in tale punto. L’equazione di Newton non pu` o essere scritta, punto e basta. A pensarci bene, l’equazione ha perfettamente senso per ogni t , 0, dato che la funzione v = v(t) ha derivata nulla per ogni t , 0. Tutto molto coerente: nessuna variazione della velocit` a per tempi stretta- mente negativi e per tempi strettamente positivi, ovvero accelerazione nulla, e, di conseguenza, nessuna forza. Tutto, come ` e evidente, avviene nell’istante t = 0, ma, con il linguaggio della derivazione in senso classico, non sembra esserci modo per descrivere la dinamica del pallone in termini dell’equazione di Newton. Non sembra esserci perch´ e, in eetti, non c’` e. A meno

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Appunti sulle distribuzioni, analisi

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Corso di Eccellenza, a.a 2012/13

Al di la delle funzioni: introduzionealla teoria delle distribuzioni

Corrado Mascia7 giugno 2013

Lezione 1. Il rigore matematico

Per iniziare, consideriamo un problema prototipo pseudo-concreto: il calcio di rigore. Obi-ettivo: descrivere il moto del pallone utilizzando il linguaggio matematico fornito dalla leggedi Newton effeugualeemmea, che, tra poche righe, richiameremo nella sua versione piu edul-corata possibile. Supponiamo che il moto del pallone percorra una retta unidimensionale e chesia inizialmente collocato sul dischetto dell’area di rigore nella posizione y0 = 0. Al tempot = 0, il calciatore colpisce il pallone e questo comincia a muoversi con velocita v∗, consideratacostante (e positiva). Il grafico della funzione che al tempo t associa la velocita v = v(t) e molto

Figure 1. Un innocuo calcio di rigore.

semplice: si tratta di una funzione costante a tratti che vale 0 per t < 0 e v∗ per t > 0.Immaginando di essere molto affezionati alla legge di Newton per la dinamica di un punto e

di suppore, per semplicita, che il pallone abbia massa unitaria, vorremmo scrivere un’equazionedifferenziale del tipo

(1)dvdt

= f

dove, in questo caso, il profilo della soluzione v e noto e il termine da determinare e la funzionea secondo membro f , che descrive la forza che determina il moto del pallone.

Il problema salta all’occhio: la funzione v non e continua in t = 0 e quindi neppure derivabilein tale punto. L’equazione di Newton non puo essere scritta, punto e basta. A pensarci bene,l’equazione ha perfettamente senso per ogni t , 0, dato che la funzione v = v(t) ha derivatanulla per ogni t , 0. Tutto molto coerente: nessuna variazione della velocita per tempi stretta-mente negativi e per tempi strettamente positivi, ovvero accelerazione nulla, e, di conseguenza,nessuna forza. Tutto, come e evidente, avviene nell’istante t = 0, ma, con il linguaggio delladerivazione in senso classico, non sembra esserci modo per descrivere la dinamica del pallonein termini dell’equazione di Newton. Non sembra esserci perche, in effetti, non c’e. A meno

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che non si decida di rilassare il concetto di derivazione e arrivare a formulare un linguaggio piuduttile.

Si possono muovere molte critiche alla maniera con cui e stato presentato il problema delcalcio di rigore. Tra le altre, e chiaro che immaginare che il pallone, inizialmente fermo, si troviistantaneamente dopo il calcio a velocita positiva e costante e una semplificazione eccessiva. Emolto piu ragionevole pensare che il pallone acquisisca gradualmente velocita in maniera stret-tamente crescente da 0 a v∗. In questo modo, la funzione v = v(t) si puo considerare derivabilein senso classico e tutto torna ad essere perfettamente sensato. L’intervallo [0, ε] in cui la ve-locita cresce da 0 a v∗ risulta essere il periodo in cui una forza viene esercitata sul pallone che,di conseguenza, acquisisce una certa velocita non nulla. Quanto dura l’impatto tra il piede edil pallone? Ovvero, quanto vale ε? Come il simbolo scelto suggerisce, il tempo di impatto ebreve, cioe ε e piccolo. Piccolo e un concetto relativo, quindi occorre precisare rispetto a cosa.Nel problema specifico che stiamo considerando, ε e sicuramente piccolo rispetto alla duratadel tiro stesso, tanto piccola da poter essere considerata, in concreto, nulla.

Esercizio. Sia t0 > 0. Dato ε > 0, sia fε : R → R una funzione continua tale che e con supportocontenuto in (t0 − ε, t0 + ε) e tale che

supp fε ⊆ [t0 − ε, t0 + ε],∫R

fε(t) dt = 1.

Sia uε = uε(t) la soluzione del problema di Cauchy u′ε(t) = fε(t), uε(0) = 0. Determinare il limitepuntuale di uε per ε→ 0. In quali intervallo chiusi di R la convergenza di uε e uniforme?

Soluzione. La soluzione uε e data da

uε(t) =

∫ t

0fε(τ) dτ.

In particolare, uε(t) = 0 per ogni t < t0 − ε e uε(t) = 1 per ogni t > t0 + ε. Di conseguenza, per la famiglia difunzioni uε si ha

limε→0+

uε(t) = sgn (t − t0) ∀t , t0.

Nel punto t0, in generale, i valori fε(t0) non convergono.

Il fatto che gli elementi della famiglia uε siano continui (in quanto derivabili) e la funzione sgn (t − t0) e

discontinua, indica che la convergenza non e uniforme in nessun intervallo chiuso contenente t0. Viceversa, se

l’intervallo [a, b] non contiene t0, allora o b < t0 oppure t0 < a. Di conseguenza, per ε sufficientemente piccolo, si

ha uε(t) = sgn (t − t0) per t ∈ [a, b] e la convergenza e uniforme in tale intervallo.

Non appena si considera ε = 0, come detto, il linguaggio della derivazione classico crollae, apparentemente, si cade al di fuori del regno del rigore matematico. Chi vuole puo fermarsiqui, restare aggrappato all’usuale limite del rapporto incrementale e considerare inaccettabileproseguire il discorso. Ma c’e un punto di vista particolarmente nuovo e molto interessante cheaspetta, invece, chi accetta di proseguire il percorso.

L’equazione di Newton (1) ammette una formulazione di tipo integrale

(2) v(t) = v(t0) +

∫ t

t0f (σ) dσ

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che ha due pregi principali: e equivalente alla formulazione originaria nel caso in cui la funzionev sia derivabil, non richiedere, per essere scritta, che la funzione v sia una funzione derivabile.Data la funzione v = v(t)

v(t) := 0 t < 0,

v∗ t ≥ 0,

esiste una funzione f tale che sia soddisfatta la relazione (2)? Per s < t < 0 e per 0 < s < t < 0,si ha

0 = v(t) − v(s) =

∫ t

sf (s) ds

Quindi la funzione f deve avere integrale nullo in ogni intervallo che non contenga il puntot = 0. Di conseguenza, e ragionevole assumere che la funzione f debba essere nulla in ognipunto t , 0. Nessuna sorpresa: ad eccezione dell’istante dell’impatto, t = 0, non c’e nessunaforza che agisce sul pallone, quindi f (t) = 0 per ogni t , 0. Resta da stabilire il valore dellafunzione f in zero: scegliendo s < 0 < t e ispirandosi al teorema della media integrale, si haqualcosa del tipo

v∗ = v(t) − v(s) =

∫ t

sf (s) ds ∼ f (0)(t − s)

da cui, per s, t → 0 si deduce che la funzione f deve valere +∞ nel punto 0. La qual cosamette in seria difficolta per vari motivi. Prima di tutto non e particolarmente agevole lavorarecon le quantita infinite; lo sforzo necessario per rendere rigorose le definizioni e gli argomentie sempre non irrilevante. Inoltre, negli integrali usuali, il valore della funzione in un punto eirrilevante: se le funzioni F e G sono integrabili secondo Riemann in [a, b] e coincidono in tuttol’intervallo escluso un numero finito di punti x1, . . . , xn ∈ [a, b] si ha∫ b

aF(x) dx =

∫ b

aG(x) dx.

Nel caso considerato, la funzione f coincide fuori da t = 0 con la funzione nulla e quindi il suointegrale dovrebbe essere sempre nullo.

Esercizio. Sia x0 ∈ (0, 1). Dato ε > 0, sia fε : R→ R una funzione continua tale che e con supportocontenuto in (x0 − ε, x0 + ε) e tale che

f (x) ≥ 0 ∀x, supp fε ⊆ [x0 − ε, x0 + ε],∫R

fε(x) dx = 1.

Sia uε = uε(x) la soluzione del problema di Cauchy

d2uεdx2 (x) = fε(x), uε(0) = uε(1) = 0.

Determinare il limite puntuale di uε per ε→ 0. In quali insiemi di R la convergenza di uε e uniforme?

Lezione 2. Un punto di vista diverso

Proviamo a rimettere in ordine le idee. Per semplificarci la vita, poniamo v∗ = 1. La funzionef che andiamo cercando (oltre a non esistere) deve godere della proprieta seguente: per ogni

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s < t, ∫ t

sf (σ) dσ =

0 se s < t < 0 o se 0 < s < t,

1 se s < 0 < t

Equivalentemente, possiamo scrivere∫R

f (σ) χ(s,t)(σ) dσ =

0 se s < t < 0 o se 0 < s < t,

1 se s < 0 < t

dove χI indica la funzione caratteristica dell’insieme I.Continuare ad usare la notazione dell’integrale e inappropriato perche, come detto, il miste-

rioso oggetto f non e una funzione. Da qui in poi, usiamo quindi la notazione

〈 f , φ〉

per indicare il risultato dell’azione di f sulla funzione test φ. Quindi, indicato con I l’intervallo(s, t), riscriviamo la proprieta come segue

(3) 〈 f , χI〉 =

0 se 0 < I,

1 se 0 ∈ I.

La scrittura (3) puo essere interpretata in una maniera significativa per il discorso che segue:– il simbolo f e l’oggetto “intrinseco” che si vuole definire o determinare, ma che va consid-

erato non osservabile direttamente, nel senso che non possiamo accedere in maniera diretta alvalore puntuale (perche tale valore, in realta, non e detto che ci sia!);

– la funzione χI e una sorta di esperimento che viene realizzato, o test, che, nel caso specifico,consta nel guardare cosa accade nel passaggio dall’istante s all’istante t;

– il simbolo 〈 f , χI〉 e un numero reale che descrive il risultato osservabile determinato da f ,in risposta alla scelta della funzione test χI .

Si tratta ora di chiarire un certo numero di cose: quali sono le proprieta significative che devesoddisfare l’operazione 〈 f , ·〉? Quali sono gli “esperimenti” che e ragionevole ritenere leciti,ovvero quali funzioni possono essere considerate funzioni test “ammissibili”?

Dato che siamo in vena di generalizzazioni, non abbiamo alcuna intenzione di perdere glioggetti con cui siamo familiari, cioe le funzioni nel senso usuale del termine, in particolarequelle continue a cui, confessiamolo senza pudori, siamo ben affezionati. Percio, data un in-sieme Ω ⊆ Rd aperto ed una funzione f : Ω → R, continua in tutto Ω, coerentemente conquanto visto in precedenza, analizziamo le proprieta dell’espressione

(4) 〈 f , φ〉 :=∫

Ω

f (x) φ(x) dx

dove φ indica una funzione con proprieta da precisare e da interpretare come una scelta di testammissibile.

Occorre prima di tutto garantire che l’integrale (esteso ad un insieme illimitato) sia bendefinito. Con questo obiettivo, introduciamo la definizione seguente.

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Definizione 1. Data una funzione continua φ : Ω ⊆ R→ R si chiama supporto di φ l’insieme,indicato con supp φ,

x ∈ Ω : φ(x) , 0

dove A indica la chiusura dell’insieme A (nella usuale topologia di Ω). Una funzione consupporto limitato si chiama funzione a supporto compatto. L’insieme delle funzioni continuea supporto compatto si indica con C0(Ω).

Per garantire che l’espressione a secondo membro in (4) sia ben definita, richiediamo che lafunzione test φ sia una funzione continua a supporto compatto. Tra poco, imporremo qualcheulteriore restrizione sulla regolarita della funzione test; per ora, per evitare inutili smarrimenti,consideriamo il caso φ ∈ C0(Ω).

La definizione (4) gode di due proprieta significative:

Linearita. per ogni α, β ∈ R e di φ, ψ ∈ C0(Ω), vale

〈 f , α φ + βψ〉 = α〈 f , φ〉 + β〈 f , ψ〉;

Continuita. se φn e una successione di funzioni in C0(Ω) convergente uniformemente ad unafunzione φ e tale che esista un compatto K ⊂ Ω che contiene tutti i supporti delle funzioni φn,allora

limn→∞〈 f , φn〉 = lim

n→∞〈 f , lim

n→∞φn〉.

La dimostrazione della prima proprieta e evidente; la seconda e conseguenza della stima

|〈 f , φn〉 − 〈 f , φ〉| ≤∫

K| f (x)| |φn(x) − φ(x)| dx ≤

(∫K| f (x)| dx

)sup

Ω

|φn − φ|

In effetti, in maniera del tutto analoga, si mostra che

|〈 f , φ〉| ≤ MK supΩ

|φ| dove MK :=∫

K| f (x)| dx.

per ogni funzione φ ∈ C0(Ω) con supporto contenuto nel compatto K ⊂ Ω.

La richiesta dell’esistenza di un compatto K che contenga tutti i supporti delle funzioni φn

potrebbe sembrare fuori luogo. Per sgomberare dalle mente dubbi di questo genere, pensiamoall’esempio seguente.

Esempio 2. Data ψ ∈ C0(R) con supporto dato dall’intervallo [−1, 1] e tale che∫Rψ(x) dx = 1,

consideriamo la successione di funzioni

φn(x) :=1nψ

( xn

).

che converge uniformemente a zero. Scelta f la funzione identicamente pari ad 1, si ha

〈 f , φn〉 :=∫R

f (x) φn(x) dx =1n

∫R

ψ( xn

). dx =

∫R

ψ (y) dy = 1

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per ogni n ∈ N. Quindi, nonostante la successione φn tenda alla funzione nulla, la successione〈 f , φn〉 non tende a 〈 f , 0〉 = 0. Eliminare la richiesta relativa ai supporti della successione φn

vorrebbe dire accettare che le funzioni costanti non sono continue.

Ad ogni funzione continua e possibile associare un funzionale lineare utilizzando la regola(4). Sorge spontanea la domanda: tale mappa e iniettiva?

Esercizio. Siano f e g due funzioni continue da R in R tali che∫R

f (x) φ(x) dx =

∫R

g(x) φ(x) dx

per ogni φ ∈ C0(R). Dimostrare che f (x) = g(x) per ogni x.

In definitiva, quindi, una funzione continua e individuata univocamente a partire dai valori diuscita del funzionale associato. In altre parole, e possibile identificare una funzione continuacon il corrispondente funzionale.

Oltre a quelle descritte dalla definizione (4), esistono anche altre funzioni definite su C0(Ω) avalori in R. Ad esempio, fissato x0 ∈ Ω, consideriamo l’applicazione δx0 definita da

〈δx0 , φ〉 := φ(0).

La funzione δx0 e lineare: infatti,

〈δx0 , αφ + βψ〉 = αφ(0) + βψ(0) = α〈δx0 , φ〉 + β〈δx0 , ψ〉.

Inoltre, la funzione δx0 e continua, dato che vale la stima∣∣∣〈δx0 , φ〉∣∣∣ = |φ(0)〉| ≤ sup

x∈Ω|φ|.

Utilizzando le proprieta di linearita e continuita e quindi possibile introdurre un concetto chepermette di generalizzare, in un certo senso, il concetto di funzione, dato che, all’interno diquesta nuova categoria che andremo a considerare, sono contenute, in maniera naturale, quantomeno le funzioni continue (ma anche ben di piu di queste) ed, in aggiunta, altri elementi chenon sono funzioni in senso classico. Tali oggetti vengono chiamati distribuzioni.

Lezione 3. Cos’e una distribuzione

Nella teoria delle distribuzioni, il principio fondante nella generalizzazione del concetto difunzione sta nel considerare lo spazio duale topologico di un opportuno spazio di riferimento,detto spazio delle funzioni test, e identificare le funzioni tradizionali (per lo meno quelle dotatedi un certa regolarita minimale) con elementi di tale spazio duale attraverso una relazione dellaforma

〈 f , φ〉 =

∫Ω

f (x) φ(x) dx

dove φ indica una funzione test. L’elemento base e quindi dato dalla scelta dell’insieme dellefunzioni test e dalla struttura di spazio vettoriale topologico di cui e dotato. In precedenza,per semplicita, abbiamo considerato funzioni test continue e a supporto compatto. Nell’ottica

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di estendere il piu possibile l’insieme in cui immergere le funzioni classiche con l’obiettivo dipervenire alla generalizzazione piu ampia che ci possa essere concessa, vale la pena considerareun insieme di funzioni test piu piccolo.

Esercizio 3. Sia X uno spazio vettoriale topologico e sia Y un suo sottospazio. Dimostrare che X′ ⊆ Y ′.In quale caso X′ , Y ′?

Il principio generale, in quel che segue, e di definire operatori sulle distribuzioni (traslazione,derivazione...) scaricando, in maniera opportuna, l’operatore sulla funzione test. Da questopunto di vista, volendo avere la liberta di derivare un numero arbitrario di volte ogni distribu-zione, e indispensabile scegliere uno spazio di funzioni test che ammettano esse stesse infinitederivate.

Definizione 4. Dato un aperto Ω ⊆ Rd, si indica con D(Ω) (o con C∞0 (Ω)) lo spazio vettorialedelle funzioni φ derivabili infinite volte e a supporto compatto in Ω.

In aggiunta, per definire in maniera rigorosa il concetto di distribuzione, occorre stabilireun concetto di convergenza per successioni inD(Ω). La nozione di convergenza proposta nellaSezione precedente e ormai obsoleta dato che siamo passati dal considerare funzioni continue (asupporto compatto) a funzioni infinitamente derivabili (a supporto compatto). Una successioneφn di funzioni test determina, in maniera naturale, infinite altre successioni di funzioni chesi ottengono per derivazione. Nel caso unidimensionale, ad esempio, data la successione φn

e possibile considerare le successioni φ′n, φ′′n ,. . . , φ(k)

n ,. . . che costituiscono, a loro volta,ancora successioni in D(Ω). La richiesta di convergenza di una successione di funzione teste la richiesta di convergenza uniforme di ciascuna di queste successioni (oltre al vincolo sulsupporto degli elementi della successione di cui si e gia discusso).

Definizione 5. Una successione φn in D(Ω) e infinitesima se esiste un compatto K ⊂ Ω checontiene tutti i supporti delle funzioni φn e se la successione φn e le successioni di tutte lesue derivate convergono uniformemente a zero per n → +∞. Una successione φn in D(Ω)converge alla funzione φ ∈ D(Ω) se la successione φn − φ e infinitesima.

La richiesta e fortissima, senza ombra di dubbio. L’unico spazio di liberta e lasciato al fattoche fissata una derivata, la successione delle derivate deve essere uniforme, ma non c’e richiestadi uniformita rispetto all’indice di derivazione. In altre parole, derivate di ordine alto possonoconvergere in maniera arbitrariamente lenta (ma sempre uniformemente).

Esempio 6. Tanto per fornire un esempio (a dire il vero non esaltante) di successione infinites-ima, consideriamo una fissata funzione φ ∈ D(Ω) ed una successione di numeri reali an in-finitesima. Allora la successione φn := an φ converge a zero seconda la Definizione . A voi ilgusto di trovare altri esempi (e controesempi) piu significativi.

La definizione della nozione di convergenza permette di introdurre, mimando quanto notonel caso dell’insieme dei numeri reali, la nozione di insieme chiuso ed insieme aperto. Precisa-mente,

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– un insieme C ∈ D(Ω) si dice chiuso se per ogni successione φn ∈ C convergente ad unafunzione φ ∈ D(Ω), si ha che φ ∈ C;

– un insieme A ∈ D(Ω) si dice chiuso se il suo complementare Ac e un insieme chiuso.

Con queste definizioni, si hanno le usuali proprieta degli insiemi chiusi e degli insiemi aperti:l’unione finita di insiemi chiusi e un chiuso e l’intersezione di un numero qualsiasi di insiemichiusi e un chiuso; l’unione di un numero qualsiasi di insiemi aperti e un aperto e l’intersezionedi un numero finito di insiemi aperti e un aperto. In definitiva, quindi, la nozione di convergenzafornisce lo spazio vettoriale D(Ω) di una struttura topologica. Vale la pena comunicare che latopologia definita in questo modo su D(Ω) non e metrizzabile, nel senso che questa topologianon e indotta da nessuna distanza. La dimostrazione di questa affermazione non e affatto banalee si basa sul Teorema della categoria di Baire. Nessun dettaglio ulteriore verra dato a riguardoin questa sede.

Siamo ora ben attrezzati con tutto il necessario per definire in maniera rigorosa la nozione didistribuzione.

Definizione 7. Dato un insieme aperto Ω ⊆ Rd, si chiama distribuzione su Ω un funzionalelineare e continuo su D(Ω), ovvero una funzione f : D(Ω) → R tale che, indicato con 〈 f , φ〉l’immagine di φ tramite f , valgano le due seguenti proprieta:

– linearita. per ogni α, β ∈ R e di φ, ψ ∈ D(Ω), si ha

〈 f , α φ + βψ〉 = α〈 f , φ〉 + β〈 f , ψ〉;

– continuita. per ogni successione φn in D(Ω), convergente nel senso della Definizione 6ad una funzione φ ∈ D(Ω) si ha

limn→∞〈 f , φn〉 = lim

n→∞〈 f , lim

n→∞φn〉.

L’insieme delle distribuzioni e dunque il duale topologico dello spazio topologico D(Ω) e, diconseguenza, si indica con il simboloD′(Ω).

Lezione 4. Esempi di distribuzioni

Il primo esempio di distribuzione e gia noto ed e quello che ha scatenato tutta la costruzione.Data una funzione continua f ∈ C(Ω), e possibile porre

〈 f , φ〉 :=∫

Ω

f (x) φ(x) dx.

La validita delle proprieta descritte nella Definizione 7 e gia stata verificata in precedenza.In effetti, per quel che riguarda le funzioni continue, si puo affermare di piu.

Proposizione 8. Siano f , g ∈ C(Ω) due funzioni tali che∫Ω

f (x) φ(x) dx =

∫Ω

g(x) φ(x) dx

per ogni funzione φ ∈ D(Ω).

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Quindi, le funzioni continue definiscono, in maniera naturale, distribuzioni e funzioni con-tinue diverse corrispondono a distribuzioni diverse. Detto in altre parole, l’applicazione dallospazio delle funzioni continue allo spazio delle distribuzioni ι : C(Ω) → D′(Ω) e iniettiva.Quindi, a tutti gli effetti, l’insieme delle funzioni continue puo essere pensato come un sottoin-sieme dello spazio delle distribuzioni.

Oltre alle distribuzioni determinate da funzioni continue, ne esistono molte altre. Con-tinuiamo la carrellata di esempi.

Esempio 9. Definire distribuzioni a partire da funzioni definite da un valore puntuale tramitel’uso dell’integrale puo essere effettuato anche senza necessita che la funzione sia continua. Adesempio, consideriamo una funzione f della forma

(5) f (x) =

N∑i=1

αi χΩi

dove α1, . . . , αN sono costanti reali e Ωi sono insiemi misurabili (secondo Peano-Jordan o sec-ondo Lebesgue, in base al gusto e alle competenza personali). Di conseguenza e possibiledefinire

〈 f , φ〉 :=∫

Ω

f (x) φ(x) dx =

N∑i=1

αi

∫Ωi

φ(x) dx

La linearita e evidente. Per quanto riguarda la continuita, basta osservare che

|〈 f , φ〉| ≤N∑

i=1

|αi| · mis(Ωi ∩ K

)) · sup

x∈Ω|φ|

dove K e un insieme compatto che contiene il supporto della funzione φ.Nulla cambia se si sostituiscono le costanti αi con funzioni αi = αi(x) continue su Ωi, chiusura

dell’insieme Ωi. Aver considerato la chiusura degli insiemi Ωi e stata una inutile precauzione ouna indispensabile pedanteria?

Esempio 10. In definitiva, quindi per definire una distribuzione a partire dalla nozione di inte-grale, basta che l’integrale sia ben definito. Quindi, sono ammissibili anche funzioni che sianoillimitate, a patto che ammettano un integrale improprio convergente in valore assoluto. Adesempio, data la funzione

f (x) :=1|x|α

x ∈ Rd

con α < d, la posizione

〈 f , φ〉 :=∫Rd

φ(x)|x|α

dx.

definisce una distribuzione inD′(Rd). Infatti, l’integrale e ben definito e la proprieta di linearita,di nuovo, e evidente; inoltre, data una funzione test con supporto in x ∈ Rd : |x| ≤ R con R > 0,

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vale la stima

|〈 f , φ〉| ≤∫Rd

|φ(x)||x|α

dx ≤∫|x|≤R

1|x|α

dx supx∈Ω|φ|

= ωd−1

(∫ R

0ρd−1−α dρ

)supx∈Ω|φ| =

ωd−1 Rd−α

d − αsupx∈Ω|φ|

dove ωd indica la misura della sfera unitaria d-dimensionale.In generale, ogni funzione f che sia localmente assolutamente integrabile, cioe tale che, per

ogni insieme compatto K ⊂ Ω, valga ∫K| f (x)| dx < +∞,

definisce una distribuzione, dato che

|〈 f , φ〉| ≤∫

K| f (x)||φ(x)| dx ≤

(∫K| f (x)| dx

)supx∈Ω|φ|,

per ogni funzione φ ∈ D(Ω) con supporto contenuto in K.

A differenza del caso delle funzioni continue, nel caso delle funzioni integrabili non e possi-bile definire una applicazione iniettiva inD′(Ω), per il semplice fatto che il valore di un integralenon cambia se si cambia il valore della funzione in un insieme di misura nulla (ad esempio, inun numero finito di punti). Di conseguenza, ci sono funzioni diverse che corrispondono allastessa distribuzione.

Esempio 11. Abbiamo gia proposto in precedenza un esempio di distribuzione che non si basasull’uso dell’integrale. Consideriamolo di nuovo, in dettaglio: poniamo

〈δ0, φ〉 := φ(0) φ ∈ D(Ω)

dove Ω e un aperto di Rd contenente l’origine 0. Sulla linearita non c’e nessun dubbio:

〈δ0, αφ + βψ〉 = (αφ + βψ)(0) = αφ(0) + βψ(0) = α〈δ0, φ〉 + β〈δ0, ψ〉.

La continuita e conseguenza della stima (evidente)

|〈δ0, φ〉| ≤ supx∈Ω|φ|.

La distribuzione δ0 viene generalmente chiamata delta di Dirac, specificando, se necessario,che e concentrata nel punto x = 0 ad indicare il fatto che la funzione δ e valutata in 0. Allastessa maniera, dato x0 ∈ Ω, e possibile definire la distribuzione

〈δx0 , φ〉 := φ(x0) φ ∈ D(Ω),

che viene quindi denominata delta di Dirac concentrata nel punto x0.

Esempio 12. Valutare una funzione test in un punto assegnato fornisce un esempio di distribu-zione. In maniera analoga si puo considerare la distribuzione fornita dalla valutazione di una

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derivata della funzione test in un punto assegnato. Ad esempio, dato un aperto Ω ⊆ Rn ed unpunto x0 ∈ Ω, la formula

〈 f , φ〉 :=∂φ

∂xi(x0)

per qualche i ∈ 1, . . . , d, definisce una distribuzione. La proprieta di linearita e una immediataconseguenza della linearita dell’operazione di derivazione; la continuita discende dalla stima

|〈 f , φ〉| ≤ supx∈Ω

∣∣∣∣∣ ∂φ∂xi

∣∣∣∣∣A differenza degli esempi precedenti, in questo caso, la continuita della distribuzione e ot-tenuta a partire da una stima sull’estremo superiore del modulo di una derivata della funzionetest, e non della funzione stessa. La definizione di convergenza nello spazio delle funzioni testgarantisce anche in questo caso che se φn tende a φ, allora 〈 f , φn〉 tende a 〈 f , φ〉. Se avessimo ac-cettato di rimanere con la definizione di convergenza data dalla sola convergenza uniforme dellasuccessione di funzioni φn (senza richiedere quella delle successioni delle derivate), l’oggettoconsiderato in questo esempio non sarebbe stato ammissibile. Piu restrittiva e la richiesta rela-tiva alla convergenza, meno successioni verificano tale condizione, e maggiore e il numero deifunzionali lineari continui.

Esempio 13. Altri esempi di distribuzioni in cui la stima di continuita faccia comparire laderivata della funzione test, possono essere generati anche utilizzando la nozione di integrale.Ad esempio, data una funzione f continua in Ω ⊂ R, possiamo definire

〈g, φ〉 :=∫

Ω

f (x)dφdx

(x) dx.

Dato che si tratta della distribuzione f applicata alla derivata della funzione test φ, si ha

|〈g, φ〉| ≤(∫

K| f (x)| dx

)supx∈Ω

∣∣∣∣∣dφdx

∣∣∣∣∣ ,per ogni funzione test φ con supporto nel compatto K contenuto in Ω.

Nel caso in cui la funzione f sia derivabile con derivata continua (basterebbe localmenteintegrabile, in realta), e possibile integrare per parti, ottenendo

〈g, φ〉 =

∫R

f (x)dφdx

(x) dx = −

∫R

d fdx

(x) φ(x) dx = 〈−d fdx, φ〉,

che indica il fatto che, a livello di distribuzioni, g e −d fdx

coincidono. Si tratta di un fattosignificativo che riprenderemo tra non molto.

Per aumentare il numero di esempi, basta ora utilizzare il seguente risultato, conseguenzaimmediata della linearita dell’operazione di limite.

Proposizione 14. Se f , g sono due distribuzioni e α, β due numeri reali, la combinazione lineareα f + β g definita in maniera naturale da

〈α f + β g, φ〉 := α〈 f , φ〉 + β〈g, φ〉

Page 12: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

12

definisce una distribuzione.

In aggiunta, un ulteriore modo per generare nuove distribuzione e quello di moltiplicare peruna funzione ψ di classe C∞, ponendo

〈ψ f , φ〉 := 〈 f , ψ φ〉 ∀ φ ∈ D(Ω).

La definizione ha senso perche il prodotto di una funzione di classe C∞(Ω) con un elemento inD(Ω) appartiene aD(Ω).

Lezione 5. Funzioni test

Nella teoria delle distribuzioni, il principio fondante nella generalizzazione del concetto difunzione sta nel considerare lo spazio duale topologico di un opportuno spazio di riferimento,detto spazio delle funzioni test, e identificare le funzioni tradizionali (per lo meno quelle dotatedi un certa regolarita minimale) con elementi di tale spazio duale attraverso una relazione dellaforma

〈 f , φ〉 =

∫Ω

f (x) φ(x) dx

dove φ indica una funzione test. L’elemento base e quindi dato dalla scelta dell’insieme dellefunzioni test e dalla struttura di spazio vettoriale topologico di cui e dotato. In precedenza,per semplicita, abbiamo considerato funzioni test continue e a supporto compatto. Nell’otticadi estendere il piu possibile l’insieme in cui immergere le funzioni classiche con l’obiettivo dipervenire alla generalizzazione piu ampia che ci possa essere concessa, vale la pena considerareun insieme di funzioni test piu piccolo.

Esercizio 15. Sia X uno spazio vettoriale topologico e sia Y un suo sottospazio. Dimostrare cheX′ ⊆ Y ′. In quale caso X′ , Y ′?

Il principio generale, in quel che segue, e di definire operatori sulle distribuzioni (trasla-zione, derivazione...) scaricando, in maniera opportuna, l’operatore sulla funzione test. Daquesto punto di vista, volendo avere la liberta di derivare un numero arbitrario di volte ognidistribuzione, e indispensabile scegliere uno spazio di funzioni test che ammettano esse stesseinfinite derivate.

Definizione 16. Dato un aperto Ω ⊆ Rd, si indica conD(Ω) (o con C∞0 (Ω)) lo spazio vettorialedelle funzioni φ derivabili infinite volte e a supporto compatto in Ω.

Esempio 17. Consideriamo l’aperto Ω = (0, 1) ⊂ R. Nessuna delle funzioni seguenti appartieneallo spazioD(Ω)

(1 − 2|x|)+, 1 − x2, . . .

In effetti, un elemento D(Ω) deve essere regolare e deve annullarsi in tutto un intorno dellafrontiera di Ω.

Scrivere una formula esplicita per un elemento di D(Ω) non e facile e il dubbio che oggettidi questo genere non esistano proprio (a parte il caso banale della funzione nulla) e lecito.

Page 13: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

13

Esercizio 18. i. Dimostrare che la funzione

f (x) = 0 per x ≤ 0, f (x) = e−1/x per x > 0

e derivabile infinite volte in R.ii. Utilizzando la funzione f definita in i., dati a < b, costruire una funzione g : R → [0, 1] che siainfinitamente derivabile e tale che

g(x) = 0 in (−∞, a], g strettamente crescente in [a, b], g(x) = 1 in [b,+∞).

iii. Utilizzando la funzione g definita in ii., dati a < b e ε > 0, costruire una funzione h : R→ [0, 1] chesia infinitamente derivabile e tale che

h(x) = 0 in (−∞, a] ∪ [b,+∞), h(x) = 1 in [a + ε, b − ε].

A partire da questi esempi e possibile costruire altri elementi di D(Ω) tramite alcune oper-azioni elementari

– traslazione: φ1(x) := φ(x + x0) con x0 tale che supp φ1 ⊂ Ω;– dilatazione verticale: φ2(x) := a φ(x) con a ∈ R;– dilatazione orizzontale: φ3(x) := φ(a x) con a ∈ R.

La classe viene estesa ulteriormente grazie alla struttura vettoriale dello spazio che stiamoconsiderando: anche le combinazioni lineari di elementi diD(Ω) sono elementi diD(Ω).

Per costruire esempi a volonta nel caso di Ω ⊆ Rd, basta considerare funzioni del tipo

φ(x1, . . . , xd) = φ1(x1) · · · φd(xd)

dove φ1, . . . , φd sono elementi di D(R) con supporto contenuto nella proiezione di Ω sulla di-rezione coordinata corrispondente.

Figure 2. Il grafico di due funzione test in dimensione d = 2..

Tornando a ritroso, si ricordera che le prime funzioni test proposte erano state funzioni carat-teristiche χI con I intervallo limitato. Si tratta di funzioni chiaramente non continue e quindinon ammissibili nel senso che stiamo esplorando qui. Che ne e allora di tutto il ragionamentoeuristico proposto in avvio? In effetti, e possibile costruire senza particolare difficolta elementidiD(R) che “somigliano” alla funzione caratteristica di un intervallo.

Page 14: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

14

Esercizio 19. Dati a < b e ε > 0, costruire una funzione h : R→ [0, 1] che sia infinitamente derivabilee tale che

h(x) = 0 in (−∞, a] ∪ [b,+∞), h(x) = 1 in [a + ε, b − ε].

Costruire approssimazioni in D di funzioni caratteristiche di insiemi multidimensionali epossibile, ma richiede un impegno maggiore rispetto a quello utilizzato fin qui.

Figure 3. Il grafico delle funzioni test date dalla somma e differenza delle funzioni test dellaFigura 2 (i disegni non sono in scala tra loro).

Lezione 6. La derivata distribuzionale

Oltre agli esempi considerati nella Sezione precedente, esistono altre strade per generare altredistribuzioni che si basano sull’idea di identita aggiunta. Vale la pena spendere qualche riga peruna rapidissima spiegazione dell’uso dell’aggettivo “aggiunta”. Dato lo spazio n−dimensionaleCn ed una matrice A ∈ Cn×n, e ben definita l’espressione

Ax · y :=n∑

i, j=1

ai j x j yi,

dove ai j sono i coefficienti della matrice A e z indica il numero complesso coniugato di z.Riorganizzando i termini, l’espressione a secondo membro si puo riscrivere nella forma

n∑j=1

n∑i=1

ai j x j

yi =

n∑i, j=1

x j ai j yi =

n∑i=1

xi

n∑j=1

a ji y j

= x · A∗y

dove A∗ = (a ji) e la matrice complessa coniugata della trasposta della matrice A. Indicando ilprodotto scalare · di Cn con il simbolo 〈·, ·〉, vale la relazione aggiunta

〈A x, y〉 = 〈x,A∗y〉

Mutatis mutandis, lo stesso tipo di identita viene utilizzato nell’ambito che stiamo indagandoper dare senso ad operatori T che trasformano una distribuzione f in una nuova distribuzioneT f . La strategia e la seguente: consideriamo un operatore T che agisca su funzioni f in sensoclassico e per cui valga una relazione del tipo

〈T f , φ〉 = 〈 f ,S φ〉 ∀ φ ∈ D(Ω)

Page 15: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

15

per un opportuno operatore S e utilizzare tale relazione per definire l’operatore T . Un esempiochiarira meglio la strategia.

Consideriamo l’operatore di traslazione: dato h ∈ Rd, sia

(τh f )(x) := f (x − h) x ∈ Rd,

definita per una qualsiasi f da Rd a valori in R. Assumendo che la funzione f sia localmenteassolutamente integrabile (o, per semplicita, che sia continua), e considerandola come distribu-zione inD′(Rd), si ha∫

Rd(τh f )(x) φ(x) dx =

∫Rd

f (x − h) φ(x) dx

=

∫Rd

f (x) φ(x + h) dx =

∫Rd

f (x) (τ−δφ)(x) dx.

Quindi, per ogni f localmente assolutamente integrabile, si ha

〈τh f , φ〉 = 〈 f , τ−h φ〉 ∀ φ ∈ D(Rd).

Questa relazione puo ora essere utilizzata per definire la traslazione di un elemento diD′(Rd).

Definizione 20. Dato h ∈ Rd, si chiama operatore di traslazione (di vettore h) l’applicazioneτh : D′(Rd)→ D′(Rd) definita da

〈τh f , φ〉 := 〈 f , τ−h φ〉 ∀ φ ∈ D(Rd).

per f ∈ D′(Rd).

Per costruzione, l’operazione di traslazione di una distribuzione estende l’operazione ditraslazione usuale. Vediamo come agisce tale operatore nel caso di una distribuzione che non edeterminata da una funzione.

Esempio 21. Dato il vettore h ∈ Rd, la traslazione della distribuzione delta di Dirac δ0 di vettoreh e data da

〈τhδ0, φ〉 = 〈δ0, τ−hφ〉 = 〈δ0, φ(· + h)〉 = φ(h),

ovvero coincide con la distribuzione δh.

Le traslazioni si sono definite solo nel caso di distribuzioni in Rd perche la traslazione τhφ

di una funzione φ : Ω ⊆ Rd → R e definita nella traslazione dell’insieme di definizione dellafunzione φ, cioe nell’insieme Ω + h. Affinche τhφ sia una funzione test, occorre quindi cheΩ + h coincida con l’insieme Ω. Tale condizione e verificata nel caso Ω = Rd per ogni scelta dih ∈ Rd. Esistono comunque anche insiemi Ω tali che Ω = Ω + h solo per qualche scelta di h (avoi immaginarne la forma specifica).

Si puo procedere in maniera del tutto analoga per definire l’operazione di derivazione anchenell’ambito delle distribuzioni. Infatti, data una funzione f ∈ C1(Ω) con Ω aperto di Rd, si ha

(6)∫

Ω

∂ f∂xi

(x) φ(x) dx = −

∫Ω

f (x)∂φ

∂xi(x) dx

Page 16: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

16

grazie alla formula di integrazione per parti e grazie al fatto che le funzioni test φ ∈ D(Ω) sononulle su ∂Ω. Utilizzando la notazione delle distribuzioni, la precedente relazione diviene

〈∂ f∂xi

, φ〉 = −〈 f ,∂φ

∂xi〉.

Seguendo la filosofia proposta in precedenza, questa relazione puo essere utilizzata per definirela derivata di un distribuzione.

Nel seguito, per evidenziare la differenza tra il concetto classico e quello generalizzato, de-notiamo le derivate usuali con i simboli d

dx ,∂∂xi

e quelle distribuzionali con i simboli dx, ∂xi .

Definizione 22. Data f ∈ D′(Ω), si chiama derivata distribuzionale di f rispetto a xi ladistribuzione definita da

(7) 〈∂xi f , φ〉 := −〈 f ,∂φ

∂xi〉.

per f ∈ φ ∈ D(Ω).

Il fatto che la posizione (7) definisca effettivamente una distribuzione e conseguenza dellalinearita dell’operazione di derivazione usuale e della nozione di convergenza nello spazio dellefunzioni test.

L’operazione di derivazione distribuzionale mantiene alcune delle proprieta ben note nel casoclassico. Prima di tutto, si tratta di una operazione lineare; infatti, per ogni coppia di distribu-zioni f , g e per ogni coppia di scalari α, β vale

〈∂xi(α f + β g), φ〉 = −〈α f + β g,∂φ

∂xi〉 = −α〈 f ,

∂φ

∂xi〉 − β〈g,

∂φ

∂xi〉 = α〈∂xi f , φ〉 + β〈∂xig, φ〉

Inoltre, vale un’affermazione analoga a quella, relativa al caso unidimensionale, che recita leuniche funzioni a derivata nulla sono le funzioni costanti.

Anche la formula di derivazione del prodotto, in parte, si preserva. Precisamente, data f ∈D(Ω) ed una funzione ψ di classe C∞, si ha

〈∂xi(ψ f ), φ〉 = −〈ψ f ,∂φ

∂xi〉 = −〈 f , ψ

∂φ

∂xi〉 = −〈 f ,

∂xi(ψφ)〉 + 〈 f ,

∂ψ

∂xiφ〉

= 〈∂xi f , ψ φ〉 + 〈∂ψ

∂xif , φ〉 = 〈ψ∂xi f +

∂ψ

∂xif , φ〉

Brevemente, nel senso delle distribuzioni vale la relazione

∂xi(ψ f ) = ψ∂xi f +∂ψ

∂xif ∀ f ∈ D(Ω), ψ ∈ C∞(Ω).

Il problema essenziale che impedisce di affermare una proprieta analoga nel caso di due distri-buzioni sta nel fatto che, in generale, il prodotto di due distribuzioni non e ben definito.

Proposizione 23. Sia Ω ⊆ R. Tutte e sole le distribuzioni f ∈ D′(Ω) che hanno derivata nullasono le distribuzioni costanti.

Page 17: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

17

Dimostrazione. Dividiamo la dimostrazione in tre passi.1. Vale l’identita

H(Ω) :=ψ ∈ D(Ω) :

∫Ω

ψ(x) dx = 0

=

ψ ∈ D(Ω) : ψ =

dφdx

per qualche φ ∈ D(Ω)

Infatti, sia ψ ∈ D(Ω) della forma ψ = con φ ∈ D(Ω). Allora, si ha∫Ω

ψ(x) dx =

∫Ω

dφdx

(x) dx = φ(b) − φ(a) = 0

Viceversa, se ψ ∈ D(Ω) e tale che∫

Ωψ(x) dx = 0, si puo definire

φ(x) :=∫ x

aψ(ξ) dξ.

Tale funzione e di classe C∞ dato che la sua derivata ψ e di classe C∞. Inoltre, grazie all’ipotesisull’integrale della funzione ψ in Ω, essa ha anche supporto compatto in Ω.2. Fissiamo una funzione φ0 ∈ D(Ω) tale che∫

Ω

φ0(x) dx = 1.

Ogni elemento φ diD(Ω) puo essere descritto in maniera unica nella forma

(8) φ = ψ +

(∫Ω

φ(x) dx)φ0

con ψ ∈ H(Ω), α ∈ R. Infatti, ponendo φ = ψ + αφ0 ed integrando su Ω, si ottiene

=

∫Ω

ψ(x) dx + α

∫Ω

φ0(x) dx = α,

che individua in maniera univoca il valore di α. Data la funzione test φ e il corrispondentevalore α, la funzione ψ e quindi data da ψ := φ − αφ0. La verifica dell’appartenenza di ψ aH(Ω) e immediata.

3. Se f ∈ D′(Ω) con Ω = (a, b) ⊆ R e una distribuzione con derivata nulla, allora

〈 f , ψ〉 = 0 ∀ψ ∈ H(Ω).

Decomponendo una generica funzione test nella forma ψ+αφ0 con α :=∫

Ωφ(x) dx, e ponendo

κ := 〈 f , φ0〉, si ottiene

〈 f , φ〉 = 〈 f , ψ + αφ0〉 = 〈 f , ψ〉 + κ α = κ

∫Ω

φ(x) dx = 〈κ, φ〉.

La distribuzione f e quindi data alla costante κ.

La derivata distribuzionale, oltre a godere di molte delle proprieta tipiche della derivazioneclassica riesce ad andare ben oltre per quel che riguarda la classe di oggetti derivabili. Graziealla Definizione 22 possiamo affermare che ogni distribuzione e derivabile infinite volte. Proprioin questa affermazione si manifesta la necessita di aver scelto funzioni test molto regolari e unanozione di convergenza inD cosı stringente.

Page 18: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

18

Lezione 7. Esempi di derivate distribuzionali

La validita delle formula (6), nel caso di funzioni derivabili con derivata continua, indica ilfatto che la derivata distribuzionale coincide con la derivata classica nel caso in cui la derivatasia una funzione continua. La nozione di derivata distribuzionale, pero, permette di definirederivate di funzioni anche nel caso in cui la definizione classica non e applicabile.

Ogni funzione continua definisce una distribuzione e in quanto tale ammette una derivata(distribuzionale). Affermazione ben diversa da quanto imparato nei corsi di Analisi di base, incui si e sicuramente incontrata la funzione reale di variabile reale f (x) = |x| che e continua, manon derivabile nel punto x = 0. Quale distribuzione definisce dunque la derivata distribuzionaledella funzione modulo? Utilizziamo la definizione: indicando con f la distribuzione in D′(R)corrispondente alla funzione valore assoluto, si ha

〈dx f , φ〉 = −〈 f ,dφdx〉 =

∫R

|x|dφdx

(x) dx = −

∫ 0

−∞

xdφdx

(x) dx +

∫ +∞

0x

dφdx

(x) dx.

Integrando per parti in entrambi gli integrali e ricordando che la funzione φ, e nulla fuori da uncompatto, si ottiene

〈dx f , φ〉 = −

∫ 0

−∞

φ(x) dx +

∫ +∞

0φ(x) dx =

∫R

sgn(x) φ(x) dx = 〈sgn, φ〉,

dove sgn indica la funzione segno definita da

sgnx := − 1 x < 0,

+ 1 x > 0

Il valore della funzione in x = 0 (generalmente posto pari a 0), non ha alcun ruolo in questasituazione, dato che un insieme costituito da un solo punto ha misura nulla e, di conseguenza,non contribuisce al valore dell’integrale. Quindi, nel senso della distribuzioni, la funzione valoreassoluto e derivabile e la sua derivata e la funzione segno.

Il caso della derivata della funzione valore assoluto puo essere esteso a quello delle funzionif ∈ C(R) derivabili in R \ I, dove I ⊂ R e un insieme discreto (o localmente finito), cioe taleche in ogni compatto di R cadono solo un numero finito di punti di I. In questo caso, quindi, edefinita la funzione d f

dx da R \ I in R. Se tale funzione e localmente assolutamente integrabile,essa definisce la derivata distribuzionale della funzione f .

La derivata della distribuzione definita dalla funzione valore assoluto e la distribuzione definitadalla funzione segno. Quale e la derivata distribuzionale della funzione segno? Ovvero, qualee la derivata seconda nel senso delle distribuzioni della funzione valore assoluto? Di nuovo,basiamo sulla definizione: sia g la distribuzione definita dalla funzione sgn

〈dxg, φ〉 = −〈g,dφdx〉 = −

∫R

sgn(x)dφdx

(x) dx =

∫ 0

−∞

dφdx

(x) dx −∫ +∞

0

dφdx

(x) dx.

Page 19: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

19

Utilizzando il Teorema fondamentale del calcolo integrale e ricordando che la funzione φ hasupporto compatto, si deduce

〈dxg, φ〉 = φ(0) − φ(−∞) −(φ(+∞) − φ(0)

)= 2 φ(0) = 〈2δ0, φ〉.

Quindi, la derivata distribuzionale della funzione segno e 2δ0, dove δ0 indica la distribuzionedelta di Dirac concentrata in 0.

Piu in generale, dato un intervallo aperto Ω = (a, b) in R, consideriamo una funzione f :Ω→ R tale che si scriva nella forma

(9) f (x) =

N∑i=0

fi(x) χIi(x)

dove I0, I1, . . . , IN sono intervalli aperti contenuti in Ω e a due a due disgiunti, e le funzioni fi

sono funzioni di classe C1 in Ii. Grazie alla linearita, il calcolo della derivata della funzionef descritta in (9) puo essere effettuato su ogni singolo termine della somma separatamente. Apartire dalla definizione, posto gi := fi χIi

e Ii = (ai, bi), si ha

〈dxgi, φ〉 = −〈gi,dφdx〉 = −

∫ bi

ai

fi(x)dφdx

(x) dx = − fi(x) φ(x)∣∣∣bi

ai+

∫ bi

ai

d fi

dx(x) φ(x) dx

= fi(ai) φ(ai) − fi(bi) φ(bi) +

∫ bi

ai

d fi

dx(x) φ(x) dx

= 〈 fi(ai) δai − fi(bi) δbi +d fi

dx, φ〉.

Sommando i vari contributi da 1 ad N, si ottiene

(10) dx f =

N∑i=0

dxgi =

N∑i=0

(fi(ai) δai − fi(bi) δbi

)+

d fdx

dove d fdx indica la derivata classica della funzione f calcolata nei punti diversi dagli estremi degli

intervalli Ii (dove la derivabilita non e garantita), cioe

d fdx

(x) =

N∑i=1

d fi

dx(x) χIi

(x)

Supponendo che per gli estremi ai, bi degli intervalli Ii valga

a = a0 < b0 = a1 < b1 = a2 < · · · < bN−1 = aN < bN = b,

i valori f (ai) della formula (10) descrivono i limiti destri della funzione f nei punti ai e i valorif (bi) i limiti sinistri della funzione f . Quindi, si ha

(11) dx f =

N∑i=1

dxgi =

N∑i=1

[f]aiδai +

d fdx

dove δx indica la delta di Dirac concentrata in x e[f]

x := f (x+) − f (x−) = limε→0+

f (x + ε) − limε→0+

f (x − ε)

Page 20: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

20

indica il salto della funzione f nel punto x. In definitiva, la derivata distribuzionale di unafunzione regolare a tratti e data dalla somma di un contributo relativo alla derivata usuale dellafunzione (nelle zone in cui tale derivata esiste) e di altri contributi che “pesano” la presenza disalti della funzione considerata. Si noti che la presenza di uno punto angoloso non contribuiscein alcuna maniera nell’espressione della derivata distribuzionale (come nel caso della funzionevalore assoluto).

Saliamo di dimensione e consideriamo il caso di un aperto Ω contenuto in R2. Ispirati dalladecomposizione (9), consideriamo il caso di una funzione della forma

g(x, y) = f (x, y) χΣ(x, y)

dove f e una funzione di classe C1 e Σ e un sottoinsieme aperto di Ω che supponiamo abbiafrontiera ∂Σ orientata nella direzione “positiva”, cioe sia tale che l’interno del dominio Σ giacciaalla sinistra della frontiera ∂Σ quando quest’ultima venga percorsa nel senso prescelto. Poni-amoci l’obiettivo di calcolare la derivata distribuzionale della funzione g rispetto alla variabilex e quella rispetto alla variabile y. A questo scopo, saranno utili le formule di Gauss–Green

(12)"

Ω

∂ f∂x

dx dy =

∫∂Ω+

f dy,"

Ω

∂ f∂y

dx dy = −

∫∂Ω−

f dx.

Per definizione, si ha

〈∂xg, φ〉 = −〈g,∂φ

∂x〉 = −

f∂φ

∂xdx dy

Utilizzando la prima delle due formule di Gauss–Green (12), si ottiene

〈∂xg, φ〉 = −

∫∂Σ+

f φ dy +

∂ f∂x

φ dx dy.

In maniera analoga, si mostra che

〈∂yg, φ〉 =

∫∂Σ+

f φ dx +

∂ f∂y

φ dx dy.

Come nel caso uni-dimensionale, la derivata distribuzionale e composta da un termine dato dalladerivata classica della funzione considerata e da un termine che e concentrato su un insieme didimensione inferiore: nel caso unidimensionale, di dimensione zero (cioe concentrato su punti),nel caso bidimensionale, di dimensione uno (cioe concentrato su curve).

Formule analoghe si possono scrivere anche nel caso di dimensione d > 2. Il risultato esempre dello stesso genere: la derivata distribuzionale e composta dalla somma di un terminedi tipo classico e di un termine concentrato su un insieme di dimensione d − 1.

Lezione 8. Soluzioni distribuzionali di equazioni differenziali

La nozione di derivata distribuzionale permette di ottenere soluzioni di equazioni differen-ziali anche nel caso in cui le funzioni abbiano una regolarita ben piu ridotta rispetto a quellanecessaria per effettuare le operazioni di derivazione in senso classico. Esploriamo due esempi.

Page 21: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

21

Equazione delle onde nel piano. Data una funzione f integrabile secondo Riemann e κ ∈ R,la funzione u(x, y) = f (x − κ y) risolve l’equazione

κ2 ∂2xu − ∂

2yu = 0 in R2

nel senso delle distribuzioni. Infatti, per definizione di derivata distribuzionale, si ha

(13) 〈(κ2 ∂2

x − ∂2y

)u, φ〉 = 〈u,

(κ2 ∂2

x − ∂2y

)φ〉 =

"R2

u(x, y)(κ2 ∂2

xφ − ∂2yφ

)(x, y) dx dy

per ogni funzione test φ ∈ D(R2). Introducendo le coordinate

ξ = x − κ y, η = x + κ y,

si ottiene〈(κ2 ∂2

x − ∂2y

)u, φ〉 = 2κ

"R2

f (ξ)∂ξ∂ηφ dξ dη

Considerando un rettangolo R = [a, b] × [c, d] nel piano (ξ, η) tale che supp φ ⊂ R, si ha

〈(κ2 ∂2

x − ∂2y

)u, φ〉 = 2κ

∫ b

a

∫ d

c∂η

(f (ξ) ∂ξφ

)dη dξ = 2κ

∫ b

a

[f (ξ) ∂ξφ

]d

η=cdξ = 0,

che mostra la conclusione.

Equazione di Poisson in Rd con d ≥ 3. Data u(x) = |x|2−dd

, quanto vale ∆u nel senso delledistribuzioni? Procedendo come nel caso precedente, si ha

〈∆u, φ〉 = 〈u,∆φ〉 =

∫Rn

u ∆φ dx = limε→0

∫|x|≥ε

u ∆φ dx

Posto |x| = r, integrando per parti, si ottiene∫r≥ε

u ∆φ dx =1ε

∫r=ε

u∇φ · x dσ −∫

r≥ε∇u · ∇φ dx

=1ε

∫r=ε

u∇φ − φ∇u · x dσ +

∫r≥ε

∆u φ dx

Un verifica diretta mostra che, per (x, y) , (0, 0)

∇u = (2 − d)|x|−d x, ∆u = 0,

quindi ∫r≥ε

u ∆φ dx = ε1−d∫

r=ε

∇φ · x dσ + (d − 2)ε1−d∫

r=ε

φ dσ

Indicata con ωd la misura della sfera unitaria d−dimensionale, si hanno∣∣∣∣∣ε1−d∫

r=ε

∇φ · x dσ∣∣∣∣∣ ≤ ε2−d

∫r=ε

|∇φ| dσ ≤ ωd−1(sup |∇φ|)ε∣∣∣∣∣ε1−d∫

r=ε

φ dσ − ωd−1φ(0)∣∣∣∣∣ ≤ ε1−d

∫r=ε

|φ − φ(0)| dσ ≤ ωd−1(sup |∇φ|)ε.

Di conseguenza, passando al limite per ε→ 0+, si ottiene

limε→0

∫r≥ε

u ∆φ dx = ωd−1φ(0).

Page 22: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

22

In definitiva, la funzione u(x) = |x|2−dd

verifica

∆u = ωd−1δ0

nel senso delle distribuzioni.

Esercizi di verifica finale

Esercizio 1. Sia x0 ∈ (0, 1). Dato ε > 0, sia fε : R → R una funzione continua tale che econ supporto contenuto in (x0 − ε, x0 + ε) e tale che

f (x) ≥ 0 ∀x, supp fε ⊆ [x0 − ε, x0 + ε],∫R

fε(x) dx = 1.

Sia uε = uε(x) la soluzione del problema di Cauchy

d2uεdx2 (x) = fε(x), uε(0) = uε(1) = 0.

Determinare il limite puntuale di uε per ε → 0. In quali insiemi di R la convergenza di uε euniforme?

Esercizio 2. Fissato Ω ⊆ Rd aperto, siano f , g ∈ C(Ω) tali che 〈 f , φ〉 = 〈g, φ〉 per ognifunzione φ ∈ C∞0 (Ω). Dimostrare che f ≡ g.

Esercizio 3. Data la curva regolare C con supporto in Ω ⊂ Rd. Mostrare che l’integrale

〈FC, φ〉 :=∫

Cφ ds

definisce una distribuzione in Rd. Dimostrare che non esiste nessuna funzione continua f ∈C(Ω) tale che 〈FC, φ〉 = 〈 f , φ〉 per ogni funzione test φ ∈ C∞0 (Ω).

Esercizio 4. i. Dati a < b, costruire una funzione g : R→ [0, 1] di classe C∞ tale che

g(x) = 0 in (−∞, a], g strettamente crescente in [a, b], g(x) = 1 in [b,+∞).

ii. Dati a < b e ε > 0, costruire h : R→ [0, 1] che sia infinitamente derivabile e tale che

h(x) = 0 in (−∞, a] ∪ [b,+∞), h(x) = 1 in [a + ε, b − ε].

Esercizio 5. Sia Ω ⊆ R2 aperto. Dato Σ, insieme aperto tale che Σ ⊂ Ω, sia

f (x, y) = f− χΣ(x, y) + f+(1 − χ

Σ)(x, y)

dove f± sono funzioni di classe C1 in Ω. Calcolare le derivate distribuzionali di f rispetto ad xe rispetto ad y. In quali casi, la derivata distribuzionale e rappresentabile tramite una funzione?

Esercizio 6. Data una funzione f ∈ C(R) e κ ∈ R, dimostrare che la funzione u(x, t) =

f (x − κ t) risolve l’equazione ∂2t u = κ2 ∂2

xu − 0 in R2 nel senso delle distribuzioni.

Page 23: Note Distribuzioni - Corrado Mascia

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Esercizio 7. i. Dimostrare che, se u e v sono funzioni di classe C2 in |(x, y)| ≥ ε > 0, si ha"|(x,y)|≥ε

u ∆v dx dy =1ε

∫|(x,y)|=ε

u∇v − v∇u · (x, y) dσ +

"|(x,y)|≥ε

v∆u dx dy

dove · indica il prodotto scalare.ii. Utilizzare la relazione precedente per dimostrare che, indicata con δ0 la delta di Dirac con-centrata in 0, la funzione u(x, y) = ln(x2 + y2) verifica l’equazione

∆u = −4πδ0

nel senso delle distribuzioni.Suggerimento: Calcolare 〈∆u, φ〉 come limite dell’integrale effettuato sulla regione (x, y) :|(x, y)| ≥ ε > 0.

Bibliografia

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[2] Hormander, L.; “The analysis of linear partial differential operators. I. Distribution theory and Fourier analy-sis.”, Reprint of the second (1990) edition. Classics in Mathematics. Springer-Verlag, Berlin, 2003.

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[4] Schwartz, L.; “Mathematics for the physical sciences.” Hermann, Paris; Addison-Wesley Publishing Co.,Reading, Mass.-London-Don Mills, Ont. 1966.

[5] Schwartz, L.; “Theorie des distributions.” (French) Publications de l’Institut de Mathematique de l’Universitede Strasbourg, No. IX-X. Nouvelle edition, entierement corrigee, refondue et augmentee. Hermann, Paris1966.

[6] Strichartz, R.S.; “A guide to distribution theory and Fourier transforms” Reprint of the 1994 original [CRC,Boca Raton; MR1276724 (95f:42001)]. World Scientific Publishing Co., Inc., River Edge, NJ, 2003.