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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 131 Review Nefropatia da mezzo di contrasto: patogenesi e strategie preventive Rassegna della letteratura Contardo Alberti, MD Via Boves 17/E 12011 Borgo S. Dalmazzo (Italy) Tel. 335/6948342 Contrast medium-induced nephropathy: pathogenesis and preventive measures A review of the literature Summary Contrast-induced nephropathy (CIN) is an iatrogenic disorder due to contrast medium administration. CIN is an important cause of hospital-acquired acute renal failure. Patient with both diabetes mellitus and renal impairment are at the highest risk. The pathophysiology involves activation of the tubulo-glomerular feedback and vasoactive mediators such as renin-angiotensin-2, adenosine, ADH, etc. No effective treatment exists for this iatrogenic disorder; hence, preventive measures remain the key strategy. The risk of CIN can be reduced by the use of non ionic, low or isoosmolar, contrast material, adequate hydration-alkalinization and prophylactic pharmacological measures. In patients with chronic renal failure who are undergoing arteriography (e.g., coronary angiography, angioplasty), periprocedural hemofiltration appears to be effective in preventing fur- ther renal damage due to contrast agent. This literature review article is particularly focused on both the pathophysiological mechanisms and preventive measures. Alberti C. Contrast medium-induced nephropathy: pathogenesis and preventive measures. A review of the literature. Trends Med 2007; 7(3):131-141. © 2007 Pharma Project Group srl Key words: kidney acute renal failure contrast media nephrology radiology P uò sembrare paradossale che, parallelamente al mi- glioramento, negli ultimi de- cenni, del profilo di tollera- bilità dei mezzi di contrasto (MdC), si siano accentuati gli interessi di studio nei con- fronti della loro potenziale nefrotossicità. Concorrono a spiegare l’apparente contrad- dizione l’affinamento, da un lato, della ricerca, sempre più minuziosa e microsettoriale, intesa ad approfondire la comprensione dei diversi meccanismi nefrolesivi dei MdC e, d’altro lato, il cre- scente fervore di lavori volti a sviluppare efficaci strategie di prevenzione del danno re- nale da MdC (contrast-indu- ced nephropathy, CIN). Inol- tre, il consumo di MdC, lun- gi dal ridursi data la disponi- bilità attuale di tecniche dia- gnostiche alternative, in pa- recchie circostanze, alle con- trastografie (ecotomografia, risonanza magnetica, medici- na nucleare), è progressiva- mente aumentato sia per la più estensiva adozione di pro- cedure radio-interventistiche mininvasive in varie patolo- gie chirurgiche, prevalente- mente vascolari, sia per il più ampio ricorso, in tomografia computerizzata, al “contrast enhancement” finalizzato ad una maggior sensibilità e spe- cificità diagnostica. Guidata, nel suo impianto espositivo, da criteri di estre- ma concisione, questa rassegna della letteratura sulla CIN ne sottolinea, in particolare, i di- versi aspetti patogenetici e le varie strategie preventive.

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 131

Review

Nefropatia da mezzo di contrasto: patogenesie strategie preventive

Rassegna della letteratura

Contardo Alberti, MDVia Boves 17/E12011 Borgo S. Dalmazzo (Italy)Tel. 335/6948342

Contrast medium-induced nephropathy: pathogenesis and preventivemeasuresA review of the literature

SummaryContrast-induced nephropathy (CIN) is an iatrogenic disorder due to contrast medium administration. CIN isan important cause of hospital-acquired acute renal failure. Patient with both diabetes mellitus and renalimpairment are at the highest risk. The pathophysiology involves activation of the tubulo-glomerular feedbackand vasoactive mediators such as renin-angiotensin-2, adenosine, ADH, etc. No effective treatment exists forthis iatrogenic disorder; hence, preventive measures remain the key strategy. The risk of CIN can be reduced bythe use of non ionic, low or isoosmolar, contrast material, adequate hydration-alkalinization and prophylacticpharmacological measures. In patients with chronic renal failure who are undergoing arteriography (e.g.,coronary angiography, angioplasty), periprocedural hemofiltration appears to be effective in preventing fur-ther renal damage due to contrast agent. This literature review article is particularly focused on both thepathophysiological mechanisms and preventive measures.

Alberti C. Contrast medium-induced nephropathy: pathogenesis and preventive measures. A review of theliterature. Trends Med 2007; 7(3):131-141.© 2007 Pharma Project Group srl

Key words:kidneyacute renal failurecontrast medianephrologyradiology

Può sembrare paradossaleche, parallelamente al mi-

glioramento, negli ultimi de-cenni, del profilo di tollera-bilità dei mezzi di contrasto(MdC), si siano accentuati gliinteressi di studio nei con-fronti della loro potenzialenefrotossicità. Concorrono aspiegare l’apparente contrad-dizione l’affinamento, da unlato, della ricerca, sempre piùminuziosa e microsettoriale,intesa ad approfondire lacomprensione dei diversimeccanismi nefrolesivi deiMdC e, d’altro lato, il cre-scente fervore di lavori voltia sviluppare efficaci strategiedi prevenzione del danno re-nale da MdC (contrast-indu-ced nephropathy, CIN). Inol-tre, il consumo di MdC, lun-gi dal ridursi data la disponi-

bilità attuale di tecniche dia-gnostiche alternative, in pa-recchie circostanze, alle con-trastografie (ecotomografia,risonanza magnetica, medici-na nucleare), è progressiva-mente aumentato sia per lapiù estensiva adozione di pro-cedure radio-interventistichemininvasive in varie patolo-gie chirurgiche, prevalente-mente vascolari, sia per il piùampio ricorso, in tomografiacomputerizzata, al “contrastenhancement” finalizzato aduna maggior sensibilità e spe-cificità diagnostica.Guidata, nel suo impiantoespositivo, da criteri di estre-ma concisione, questa rassegnadella letteratura sulla CIN nesottolinea, in particolare, i di-versi aspetti patogenetici e levarie strategie preventive.

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C. Alberti

Nefropatia da mezzi dicontrasto organoiodati:epidemiologia e fattoridi rischio

E’ definito così il danno rena-le acuto che, entro 3 giornidalla somministrazione intra-vascolare di MdC, determiniincremento della creatinine-mia eguale o superiore al 25%dei valori basali o, in terminiassoluti, a 0.5 mg/dL (44µmol/L)1.Le stime d’incidenza dellaCIN si collocano in un range

Tabella 1. Profilo chimico-fisico dei mezzi di contrasto uroangiografici organoiodati.

Monomeri

Ionici Non ionici(iotalamato, iodamide, ioglicato) (iopamidolo, iohexolo, iomeprolo, ioversolo,

iopentolo, iobitridolo, iopromide)

• efficacia contrastografica: atomi di iodio/ • efficacia contrastografica: atomi di iodio/molecole di dissociazione=3/2=1.5 molecole di dissociazione=3/1=3

• alta osmolalità: 1500-2000 mOsm/Kg H2O • bassa osmolalità: 500-800 mOsm/Kg H

2O

• espressione di ioni, da dissociazione • non espressione di ioni, datamolecolare, donde interazioni elettriche l’indissociabilità molecolarecon potenziali di membrana cellulari

• limitata riduzione della lipofilia molecolare • soddisfacente riduzione della lipofilia(presenza di soli 3 ossidrili, atti a conferire molecolare (presenza di 5÷6 ossidrili)idrofilia alla molecola)

Dimeri

Ionici Non ionici(ioxaglato) (iodixanolo)

• efficacia contrastografica: atomi di iodio/ • efficacia contrastografica: atomi di iodio/molecole di dissociazione=6/2=3 molecole di dissociazione=6/1=6

• bassa osmolalità: 577 mOsm/Kg H2O • molecola, di per sé, iposmolale rispetto al

plasma; l’isosmolalità (290 mOsm/Kg H2O)

è ottenuta aggiungendo soluzionebilanciata di sodio e calcio

• espressione di ioni, donde interazioni • non espressione di ioni, dataelettriche con potenziali di l’indissociabilità molecolaremembrana cellulari

• biotossicità (chemiotossicità intrinseca • ottima riduzione della lipofilia molecolaremolecolare + osmotossicità + (presenza di 9 ossidrili) ma elevata viscosità.interazioni elettriche) poco inferiore a L’effetto combinato della notevole viscositàquella dei monomeri ionici e nettamente e della isosmolalità può determinaresuperiore a quella dei monomeri non ionici prolungamento del tempo di transito nel

microcircolo ed anche nel tubulo renale.La viscosità è riducibile al 50% se il prepara-to è preriscaldato a temperatura corporea.

molto ampio a seconda deicriteri di monitoraggio, siste-matico o riservato a situazio-ni critiche, prima o/e dopo laprocedura contrastografica, edin riferimento al variabile in-treccio di fattori di rischiocorrelati al MdC e condizionipredisponenti del soggetto sot-toposto alla contrastografia.Rientrano tra i primi: proprie-tà chimico-fisiche del MdC emodalità di somministrazione(arteriosa o venosa, per bolorapido o per infusione a goc-cia, quantità iniettata, interval-

lo tra procedure contrastogra-fiche consecutive). Dei quat-tro gruppi di MdC organoio-dati - monomeri e dimeri, io-nici o non ionici (tabella 1) - inon ionici presentano caratte-ristiche pressoché ottimali ditollerabilità biologica. La dif-ferenza di nefrotossicità traMdC ionici e non ionici risul-ta più significativa in condizio-ni di insufficienza renale cro-nica; in tale circostanza, infat-ti, l’incidenza di CIN può rag-giungere il 27% dei casi a se-guito dell’impiego di MdC

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Nefropatia da mezzo di contrasto

ionici rispetto al 12.6% peruso di MdC non ionici2-7.La farmacocinetica dei MdCè conforme ad un modello bi-compartimentale aperto, perpassaggio diretto, senza diffu-sione endocellulare e metabo-lizzazione, dal pool emato-in-terstiziale al compartimentourinario, tramite il rene, chesi configura come “target or-gan” emuntore: la maggiorparte del MdC, iniettato inarteria o in vena, è eliminatadal rene (approssimativamen-te il 75% in quattro ore ed il98% in ventiquattro ore),mentre una minima parte è di-smessa per via epato-biliare,salivare, lacrimale e tramite ilsudore 4. La loro emivita pla-smatica, in soggetti con nor-male filtrazione glomerulare,è di circa due ore, mentre ri-sulta prolungata, anche fino atrenta ore, in caso di insuffi-cienza funzionale renale. Laconcentrazione nel filtratoglomerulare è pari a quella pla-smatica; nell’urina definitiva è,invece, 50÷100 volte superio-re per effetto del riassorbimen-to tubulare di acqua, che è piùaccentuato per i MdC non io-

nici, in particolare dimerici, ri-spetto ai monomeri ionici,notevolmente osmoattivi4,7,8.La somministrazione intra-ar-teriosa, diagnostica o duranteprocedure radiointerventisti-che, espone a maggior rischiodi CIN, potendovi essere si-gnificativamente correlata nel2÷10% di casi in assenza diinsufficienza renale preesisten-te, e, molto più frequentemen-te, fino al 27% dei casi, in sog-getti affetti da nefropatia cro-nica7,8.In riferimento alle condizionipredisponenti proprie del sogget-to sottoposto a contrastografia(tabella 2), approssimazioniepidemiologiche depongonoper assenza, pressoché totale,di incidenza di CIN in sogget-ti sani, a fronte di un suo si-gnificativo incremento, infunzione dei valori creatinine-mici antecedenti la proceduracontrastografica, in individuiaffetti da nefropatia cronica,specie se anche diabetici (tabel-la 3 e 4). Nel diabete mellitodi tipo 2, infatti, varie altera-zioni correlate alla malattiadismetabolica - microangiopa-tia, iperfibrinogenemia, disli-

pidemia, ipertensione arterio-sa - accentuano il rischio diCIN1,3,6,9,10.In casistiche del Nord-Ameri-ca11,12, la CIN costituisce, perfrequenza, la terza causa diinsufficienza renale acuta insoggetti ricoverati in ospedale- hospital-acquired renal failu-re - incidendo, peraltro, inmodo rilevante (12.6%), tra lenefropatie da agenti chimici(MdC, glicole etilenico, idro-carburi alogenati, metalli pe-santi, cisplatino, aminoglico-sidi, FANS, ecc).

Patogenesi

Concorrono alla patogenesidella CIN diversi fattori varia-mente interconnessi, con ef-fetti lesivi prevalenti sull’epi-telio tubulare: alterazioniemodinamiche intrarenali, ditipo ischemico, atte ad indur-re tubulonecrosi, e chemiotos-sicità del MdC, diretta o me-diata dai ROS (reactive oxy-gen species), in grado di pro-muovere apoptosi delle cellu-le tubulari13-16.Alla somministrazione diMdC osmoattivi conseguono

Condizioni correlate al paziente• età avanzata (>75 anni)• insufficienza renale• diabete mellito, specie se associato ad insufficienza renale• disidratazione: condizione di rischio di per sé e cofattore aggravante il rischio correlato ad

altre condizioni• ipovolemia (ipoperfusione renale): oltre che a disidratazione, è riferibile a scompenso

cardiaco, cirrosi ascitogena, sindrome nefrosica• ipotensione arteriosa• trattamento concomitante con farmaci nefrotossici: aminoglicosidi, FANS, ciclosporina,

cisplatino, ecc.

Condizioni correlate alle modalità della procedura contrastografica• caratteristiche della molecola contrastografica: i mezzi di contrasto ionici sono potenzial-

mente più nefrotossici di quelli non ionici• somministrazione intrarteriosa• somministrazione in quantità elevata o ripetuta in esami consecutivi troppo ravvicinati nel

tempo

Tabella 2. Fattori di rischio per l’insorgenza di nefropatia contrastografica.

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C. Alberti

eventi emodinamici renali ditipo bipolare: iniziale fugacedilatazione arteriosa e, in se-quenza, vasocostrizione me-diata da varie sostanze (reni-na, angiotensina-2, endotelina,noradrenalina, adenosina, ecc)di durata correlata all’emivitaplasmatica del MdC. Per iMdC osmoattivi, in partico-lare per i monomeri ionici, ilmaggior carico di sodio, assie-me all’incremento del flussourinario, a livello della macu-la densa, induce attivazionedel feed-back tubulo-glomerula-re che, con la mediazione del-la angiotensina-2 e dell’adeno-sina, comporta vasocostrizio-

arteriosi peritubulari, determi-na condizioni ischemiche conconseguenze ipoossiche criti-che soprattutto nella zonamidollare, dove la richiesta diossigeno è più elevata a causadel trasporto attivo di sodio alivello del braccio ascendentespesso dell’ansa di Henle. Ag-gravano l’ischemia alterazioniemoreologiche microcircola-torie sostenute da sludging de-gli eritrociti che, raggrinziti edirrigiditi dai MdC osmoattivi,perdono elasticità e scorrevo-lezza intravascolare1,6,13,17,18.L’endotelina viene rilasciatadalle cellule endoteliali, dan-neggiate dal MdC sia diretta-mente per effetti osmotici siaindirettamente tramite i ROS,la cui produzione, a livellodell’endotelio, è correlata allachemiotossicità propria dellamolecola contrastografica19-21.Accentua le lesioni endotelia-li il perossinitrito, risultantedal legame dell’anione supe-rossido con l’ossido nitrico, lacui sintesi, da parte dell’endo-telio, è finalizzata, in condizio-ni fisiologiche, alla vasodilata-zione. Anche le cellule tubu-

Creatininemia Diabete mellito Incidenza (%) di CIN

Normale presente prossima a 0

1.5÷4.0 mg/dL assente 4÷10(133÷352 µmol/L)

idem presente 10÷38

4.0÷5.0 mg/dL anche se assente >50(352÷440 µmol/L)

Tabella 4. Incidenza di nefropatia contrastografica in rapporto avalori basali della creatininemia ed eventuale presenza di diabetemellito. (Dati dedotti da letteratura6,9,18,63).

Fattori di rischio Punteggio

•età superiore a 75 anni 4•ematocrito, <39% (uomo) o 36% (donna) 3•creatininemia >1.5 mg/dL (133 µmol/L) 4•filtrato glomerulare <60 ml/min/1.73 m2 sup. corp.(secondo l’entità del decremento) 2.40÷6

•diabete mellito 3•scompenso cardiaco congestizio 5•ipotensione arteriosa (P.A. < 80 mm Hg per 1 ora) 5•ricorso a IABP, intraortic balloon pump 5

Somma dei punteggi parziali Rischio di CIN Rischio di dialisi

≤5 7.5 0.046÷10 14.0 0.1211÷15 26.1 1.09

≥16 57.3 12.6

Tabella 3. Punteggio cumulativo dei vari fattori di rischio, quale criterio predittivo di nefropatiacontrastografica. (Modificata da Mehran et al9).

ne glomerulare e, quindi, ri-duzione del filtrato glomeru-lare1,6,17. Accentua tale effettol’aumento della pressioneidrostatica nella capsula diBowmann, dovuta, per i MdCosmoattivi, ad ingorgo endo-luminale tubulo-capsulare dasovraccarico (diuresi osmoti-ca) e, per i dimeri isoosmola-li, a rallentato transito tubu-lare della preurina, resa iper-viscosa ed iperdensa dalle loronotevoli dimensioni moleco-lari e dall’assenza di diuresiosmotica. Inoltre, l’incremen-to della pressione idrostaticatubulare, ripercuotentesi, coneffetti compressivi, sui vasi

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Nefropatia da mezzo di contrasto

lari, segnatamente della bran-ca ascendente spessa dell’ansadi Henle, quando siano dan-neggiate dal contatto col MdCpresente nella preurina, elabo-rano, ad opera delle ossidasidel reticolo endoplasmaticoliscio e mitocondriali, i ROSche, diffondendo, poi, nell’in-terstizio renale, intensificanola produzione di endotelina daparte dei vasi peritubulari,peggiorando l’ischemia e favo-rendo la tubulonecrosi20,21.L’attivazione del processo apop-totico delle cellule tubulari èriferibile sia ad interazionediretta del MdC con death re-ceptor di superficie15,16 - viaapoptotica estrinseca, recetto-re-dipendente - sia a meccani-smi intrinseci cellulari - viaapoptotica intrinseca, recetto-re-indipendente - innescatidalla ceramide, sfingolipide lacui sintesi è promossa, con lamediazione dei ROS sui lipi-di di membrana, dai MdC, conl’eccezione dello iodixanolo22.La ceramide determina, da unlato, ridotta espressione di Bcl-2 (B cell Lymphoma-2), pro-teina antiapoptotica, assiemea decremento di Akt fosfori-lata, fattore promitotico, e,per altro verso, attivazionedella cascata caspasica 9→3,mediata da Bax (Bcl-2 associa-ted-x-protein). Viene, comun-que, ipotizzato che la cerami-de possa anche attivare i “dea-th receptor” delle cellule tubu-lari - via apoptotica estrinseca- con la mediazione del TNF-α (tumor necrosis factor-α). Inprospettiva finora soltantospeculativa, gli inibitori dellaceramide-sintetasi potrebberotrovare impiego nella preven-zione della CIN22,23.Per spiegare la patogenesi del-la CIN sono stati addotti an-che meccanismi immunotossi-ci, nei quali il MdC o/e la ce-

ramide si configurerebberocome apteni atti a legare pro-teine autologhe “carrier” convalenza antigenica. Ai mecca-nismi immunomediati di tipoadattativo, antigene-dipenden-ti, in grado di alterare l’equili-brio tra T-cell helper (immu-no-attivatrici) e T-cell suppres-sor (immuno-inibitrici), se neaggiungono altri di tipo inna-to, antigene-indipendente, conliberazione, a livello intersti-ziale, sotto stress ossidativoper eccesso di ROS, di citochi-ne, interferon-γ e con attiva-zione del complemento24.La CIN è patogeneticamentecorrelabile pure a tubulopatiaostruttiva, realizzata da preci-pitati proteici intratubulari,costituiti da mucoproteina diTamm-Horsfall complessatacon MdC e da materiale cellu-lare necrotico3,4,18.

Clinica

Nella maggior parte dei casi,la CIN non emerge in ambitoclinico in quanto asintomati-ca (assenza di oliguria, in par-ticolare) ed è reversibile nel-l’arco di 7÷10 giorni. Soltan-to la sistematica sorveglianzadi laboratorio nei giorni im-mediatamente successivi aprocedure contrastograficheconsente, per confronto con ivalori anteriori della creatini-nemia, uno screening attendi-bile sotto il profilo diagnosti-co ed epidemiologico25. L’ac-me d’incremento creatinine-mico si colloca, solitamente,a 3÷4 giorni dalla contrasto-grafia. Stime più precise dellafunzionalità renale possonoessere dedotte dalla determina-zione del GRF (glomerular fil-tration rate). Quando non si-ano disponibili le urine delle24 ore, l’applicazione dellaformula di Cockcroft-Gault

[Clearance creatinina = k (140- età) × peso corporeo/creati-ninemia (µmol/L)], dove k èuguale a 1.23 per l’uomo e1.04 per la donna, o MDRD(Modification of Diet in Re-nal Deseases), non offre datidel tutto affidabili, specie incaso di insufficienza renale lie-ve o moderata, se confrontatacol dosaggio plasmatico dellacistatina-C; tale proteina basi-ca non glicosilata, biologica-mente inerte, prodotta inces-santemente dalle cellule nucle-ate, essendo liberamente filtra-ta dal glomerulo e venendoquasi totalmente riassorbita emetabolizzata dal tubulo pros-simale, è idonea a definire, conbuona approssimazione, ilGRF. Indicativo di riduzionedel filtrato glomerulare è purel’incremento della concentra-zione sierica di β

2-microglobu-

lina o della frazione libera del-lo RBP (retinol binding pro-tein).Rara l’uremia grave. Incre-menti della creatininemia su-periori a 5 mg/dL presuppon-gono danni renali preesisten-ti2. Da valutazioni metanaliti-che risulta che nessun sogget-to con valori preprocedurali diGRF superiori a 47 mL/minè incorso in insufficienza re-nale acuta così grave da richie-dere l’emodialisi6,18.L’oliguria (diuresi inferiore a500 mL/die) si manifesta sol-tanto in un terzo dei casi diCIN23.La proteinuria è sovente mo-desta ma la sua completa as-senza, a fronte di eventualeoliguria, deve far sospettareuna patologia primitivamenteextrarenale mentre, se massi-va (oltre 2 g/L), deve orienta-re per trombosi della vena re-nale o per glomerulonefrite.Frequente, invece, la micro-proteinuria (eliminazione uri-

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136 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

C. Alberti

naria di proteine a peso mole-colare <45 kD, tra cui la β

2-

microglobulina), che conseguealla somma di alterazioni glo-merulari (interazioni elettri-che dei MdC ionici con i pro-teoglicani-anioni della mem-brana glomerulare) e ridottoriassorbimento tubulare pros-simale delle microproteinepresenti nel filtrato glomeru-lare; secondo alcune osserva-zioni, risulterebbe minore conl’impiego di dimeri non ioni-ci4.L’enzimuria, quasi sempre li-mitata alla fosfatasi alcalina edalla N-acetil-β-glicosidasi, è, disolito, lieve e cessa entro 48ore dalla somministrazionedel MdC12. L’eliminazioneurinaria di N-acetil-β-glicosi-dasi, espressione di lesione li-sosomica, è minore quando siimpieghino dimeri non ioni-ci, pur essendo questi respon-sabili di più consistente vacuo-lizzazione delle cellule tubu-lari rispetto ai monomeri io-nici o non ionici12,13,17,26. Tut-tavia la vacuolizzazione dellecellule tubulari prossimali nonè necessariamente associata asignificativo danno cellularené è implicata nella patogene-si della CIN26. Il dosaggio uri-nario degli enzimi tissutali ri-scuote, oggi, rispetto al passa-to, minor credito, considera-to il notevole numero di va-riabili preanalitiche (soprattut-to stabilità) ed analitiche (in-terferenze da parte di inibito-ri), e data la frequente discor-danza delle risultanze, circa lalocalizzazione del danno cel-lulare (citosolico, lisosomico,del bordo a spazzola), rispet-to ai più precisi reperti isto-chimici. Costituisce, invece,espressione molto precoce didanno renale da MdC, cosìcome avviene per altri agentinefrotossici, l’incremento uri-

nario di antigeni tubulari, cor-relabile a lesioni dell’orletto aspazzola27.L’esame del sedimento urina-rio fa talvolta rilevare cilindrigranulari, detriti amorfi e cel-lule tubulari2.Oltre agli esami di laborato-rio, nella sorveglianza sistema-tica dopo contrastografia,sono utili controlli radiologi-ci sui tempi di dismissione delMdC; un effetto nefrograficopersistente, in urografia, oltrele 24 ore, ed un “contrastenhancement” cortico-renale,in tomografia computerizzata,con valori densitometrici su-periori a 113 U.H. (UnitàHounsfield), al di là delle 24ore, depongono per CIN6,18.Differenziano la CIN dall’in-sufficienza renale acuta su baseatero-embolica (diaspora em-bolica colesterinica a parten-za da placche aterosclerotichea monte delle arterie lombari,dopo cateterismo arterioso) ildato anamnestico della proce-dura angiografica recente, ilrilievo clinico di concomitan-ti espressioni ischemiche me-taemboliche a carico di altridistretti corporei (acrociano-si, petecchie cutanee, bleedinggastro-enterico, deficit neuro-sensoriale settoriale, ecc.) e,quale accertamento diagnosti-co, il reperto bioptico di em-boli colesterinici nel microcir-colo renale2,28,29.

Evoluzione e prognosi

Nella maggior parte dei casi,il danno renale, prevalente-mente tubulo-interstiziale,viene riparato sollecitamentecon ripristino delle funzionirenali. Da recenti sviluppi co-noscitivi sulle modalità di ri-parazione dell’epitelio tubula-re dopo danno chemiotossicoo/e ischemico, emerge il ruo-

lo rigenerativo esercitato dauna piccola componente dicellule tubulari, dotata di pro-prietà staminali - tubular epi-thelial stem cell subset - cui siassocierebbe, probabilmente,il contributo di cellule stami-nali extratubulari, a partenzacioè dall’interstizio renale30,31.Verrebbe invece escluso ilconcorso riparativo tubularedi cellule staminali a derivazio-ne midollare ossea32,33.Solo raramente la CIN puòassumere, specie se associataad altre patologie renali o ex-trarenali (diabete, ipertensio-ne arteriosa, epatopatie, car-diopatie, ecc.), un decorsoevolutivo grave con esito inatrofia tubulointerstiziale esclerosi parenchimale.Prefigurano una prognosi gra-ve, nell’evoluzione della CIN,incrementi creatininemicicompresi tra 3÷4 mg/dL, pre-dittivi di mortalità, entro unanno dalla procedura contra-stografica, fino al 64% deicasi2. L’aggravamento di pato-logie extrarenali preesistenti,a seguito di somministrazionedi MdC, può talora assumereaspetti critici: accentuazionedell’emolisi nell’anemia falci-forme per ulteriore danno eri-trocitario da iperosmolalitàdel MdC, induzione di spikesipertensive nel feocromocito-ma, provocazione di sintoma-tologia d’allarme nella tireo-tossicosi e nella miastenia gra-vis.

Prevenzione

Tra le linee-guida della preven-zione della CIN assumonovalenza normativa l’appro-priatezza della prescrizionedella procedura contrastogra-fica, diagnostica o radiointer-ventistica, e l’identificazionepreliminare di condizioni pre-

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 137

Nefropatia da mezzo di contrasto

disponenti (tabella 2). In cir-costanze di rischio è dovero-so optare per tecniche di ima-ging alternative (CO

2-angio-

grafia, ecotomografia, riso-nanza magnetica, medicinanucleare) che consentano ef-ficacia diagnostica pari a quel-la della contrastografia5,6,9. IMdC non ionici (tabella 1)sono meno nefrotossici rispet-to a quelli ionici, per cui neviene consigliato l’impiego neisoggetti a rischio2,13,18,33-38. I di-meri non ionici, incapaci dipromuovere, per la loro isoo-smolarità, incremento delladiuresi e, quindi, diluizioneurinaria, consentono una buo-na opacizzazione delle vieescretrici anche in condizionidi insufficienza renale lieve omoderata38,39. Mentre alcuneesperienze depongono perequivalenza di tollerabilitàbiologica dello iodixanolo edello iobitridolo in soggetticon insufficienza renale croni-ca40, risultanze di uno studiomulticentrico in diabetici-ne-fropatici, sottoposti ad arterio-grafia coronarica o aorto-fe-morale, fanno rilevare, per loiodixanolo, minori effetti ne-frolesivi rispetto allo iohexo-lo36; ma un lavoro recente sug-gerirebbe minore incidenza diCIN con l’uso di iohexolo oioxaglato piuttosto che di io-dixanolo41. La quantità diMdC deve essere ottimizzataai fini delle esigenze della pro-cedura radiologica, interval-lando, il più possibile, contra-stografie consecutive, ondeevitare effetti dannosi cumu-lativi sulla funzione renale;per soggetti con funzionalitàrenale normale, la quantità diMdC organoiodato, a concen-trazione di 300 mg I/mL, puòraggiungere 400 mL, mentreper individui nefropatici è ne-cessario modularla in rappor-

to all’entità dell’insufficienzafunzionale, evitando di ecce-dere 150 mL per valori di cre-atininemia compresi tra1.3÷2.5 mg/dL e 80 mL quan-do la creatininemia superi 2.5mg/dL. Soggetti diabetici, concreatininemia sopra 5 mg/dL,possono incorrere nella CINanche a seguito di sommini-strazione di quantità esigue(20÷30 mL) di MdC4,37,38.Preliminarmente all’impiegodi MdC è opportuno promuo-vere l’espansione volemica,mediante congrua idratazione,per via orale o, più efficace-mente, venosa (soluzione iso-tonica cloruro-sodica 0.9%, 1mL/Kg/ora, da 6 ore prima a12÷24 ore dopo la sommini-strazione di MdC, o, meglio,soluzione isotonica di bicarbo-nato di sodio, bolo e.v. di 3mL/Kg un’ora prima dellaprocedura contrastografica eperfusione di 1 mL/Kg nellesei ore successive) onde incre-mentare la diuresi34,38,42 e, nelcontempo, con l’impiego delbicarbonato, alcalinizzare lapreurina, prevenendo così laproduzione di ROS, pH aci-do-dipendente, da parte dellecellule tubulari6. Il program-ma di idratazione e.v. è d’ob-bligo, qualora non siano pre-senti patologie che controin-dicano l’espansione volemica(scompenso cardiaco congesti-zio), per pazienti con creati-ninemia basale superiore a 1.5mg/dL o/e clearance della cre-atinina inferiore a 60 mL/min.Idratazione ed alcalinizzazio-ne urinaria prevengono, nelmieloma multiplo, la precipi-tazione intratubulare dellaproteina di Bence-Jones (castnephropathy) e, nei soggettiiperuricemici, quella dell’aci-do urico6,13,18.Per soggetti con creatininemiasuperiore a 2 mg/dL, candida-

ti a procedure diagnostiche e/o terapeutiche includenti l’im-piego di MdC per via arterio-sa (coronarografia, angiopla-stica, ecc), viene proposta, alloscopo di evitare aggravamentidel danno renale da parte delMdC, l’emofiltrazione peripro-cedurale (iniziata 4÷8 ore pri-ma, interrotta durante la pro-cedura contrastografica, ripre-sa immediatamente dopo eproseguita per 18÷24 ore),atta ad indurre rapida dismis-sione del MdC mantenendo,nel contempo, una soddisfa-cente stabilità emodinamica,senza rischio di ipovolemia dadeplezione idrica sotto gra-diente osmotico e, quindi, diipoperfusione renale, quale,invece, può occorrere a segui-to dell’emodialisi18,41,43,44. Peraltro verso, nei soggetti nefro-patici in dialisi cronica, speciese in assenza di diuresi residua,possibili “diselettrolitemietraslocative” (iponatriemia,iperkaliemia) e critica espan-sione volemica, dovute a som-ministrazione di MdCosmoattivo, non beneficianodi seduta emodialitica supple-mentare immediatamentedopo la contrastografia, madebbono essere, invece, preve-nute mediante impiego diMdC isosmolale ed evitandoil ricorso all’iperidratazionepreliminare18,45,46.Allo scopo di ostacolare i me-diatori chimici della vasocostri-zione renale è stato proposto,nei soggetti a rischio, l’impie-go di: calcio-antagonisti; anta-gonisti recettoriali dell’adeno-sina, quali teofillina ed amino-fillina; antagonisti recettoria-li dell’endotelina, come il bo-sentan; ACE-inibitori, antago-nisti del sistema renina-angio-tensina; agonisti selettivi recet-toriali DA-1 dopaminergici,come il fenoldopan; peptide

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C. Alberti

natriuretico atriale; prosta-glandina vasodilatatricePGE147,48. Ma, mentre inmodo univoco, viene validatal’utilità dell’idratazione6,42,49,50,non vi è omogeneità di parerisull’efficacia profilattica, neiconfronti della CIN, dei far-maci succitati4,51-53; in partico-lare, gli ACE-inibitori, inter-ferendo anche con la degrada-zione della bradichinina, pos-sono accentuare eventuali re-azioni allergiche al MdC, edil fenoldopan può aggravarel’ipossia renale midollare, inquanto atto ad indurre ipoten-sione addominale con redistri-buzione del flusso ematico re-nale6,18,51.Quanto all’efficacia nefropro-tettiva della N-acetil-cisteina,mediata sia dalla sua capacitàantiossidante - oxigen radicaladsorbance capacity - sia daisuoi effetti vasodilatativi, laletteratura riporta, a parità didosaggio (600 mg x 2/die, peros, dal giorno precedente a 3giorni successivi alla contra-stografia), sia riscontri positi-vi54-58 sia, d’altro lato, dati di-scordanti6,59-61, tali da suggeri-re qualche riserva circa l’inclu-sione tout court della N-ace-til-cisteina nei protocolli stan-dard di prevenzione dellaCIN, almeno per soggetti sen-za condizioni predisponenti alrischio specifico. In qualchelimitato trial è stata ricono-sciuta utilità profilattica, ver-so la CIN, all’acido ascorbico,in quanto antiossidante62. Ri-sultanze, recentemente pub-blicate, di un trial, condottocon particolare rigore metodo-logico, inteso a valutare, insoggetti a rischio medio-eleva-to di CIN, l’efficacia nefropro-tettiva, per confronto, di trediverse strategie farmacologi-che comprendenti, comun-que, l’impiego di N-acetil-ci-

steina (in associazione, rispet-tivamente, con: α, soluzionebicarbonatosodica; β, soluzio-ne clorurosodica 0.9%; γ, so-luzione clorurosodica 0.9% +acido ascorbico), deporrebbe-ro per più significativa attivi-tà profilattica della prima (α),rispetto alle altre due (β, γ)58.Accentuano il rischio di CINi diuretici osmoattivi (manni-tolo, etc), poiché aggravano glieffetti nefrolesivi dei MdC io-nici iperosmolari, ed i diureti-ci dell’ansa (furosemide), chepromuovono deplezione idri-ca extracellulare e riduzionedel flusso ematico renale63,65.In soggetti affetti da diabetetipo 2, è necessario interrom-pere, almeno 48 ore primadelle procedure contrastogra-fiche, la somministrazione dibiguanidi (metformina), poi-ché l’evenienza di CIN, com-portando ridotta eliminazionedel farmaco, dotato di clearan-ce esclusivamente renale, nefavorirebbe l’accumulo, ac-centuando l’induzione di aci-dosi metabolica; i biguanidi,infatti, attivando il metaboli-smo anaerobico, facilitano laproduzione di acido lattico.Deve essere, inoltre, evitata,con congruo anticipo rispet-to alle contrastografie, la som-ministrazione di farmaci po-tenzialmente nefrotossici(aminoglucosidi, polimixine,FANS, ciclosporina, cisplati-no, ecc.), i cui effetti possonofavorire o aggravare il dannorenale da MdC.

Mezzi di contrastocontenenti gadolinio esuperparamagnetici

Il gadolinio (Gd), utilizzatosotto forma di chelati diversi,può trovare impiego sia in ra-diodiagnostica dato il suo ele-vato numero atomico (Z=64

versus iodio, Z=53) ed il no-tevole assorbimento dei RX,sia nell’imaging in risonanzamagnetica (MRI) per il suoparamagnetismo (momentomagnetico da spin elettroni-co), in grado di indurre varia-zioni di segnale-RM nei tessu-ti in cui si distribuisce. Nel-l’uno e nell’altro caso, i MdCcontenenti gadolinio (Gd-MdC) possono avere caratte-ristiche ioniche (gadobenatodimeglumina, Gd-DTPA; aci-do gadoterico, Gd-DOTA;gadopentato dimeglumina,Gd-BOPTA, ecc) oppure nonioniche (gadodiamide, Gd-DTPA-BMA; gadobutrolo;gadoreticolo; ecc), presentan-do, comunque, analogie far-macocinetiche e di escrezione(filtrazione glomerulare) coni MdC organoiodati.Poiché l’impiego radiodiagno-stico di Gd-MdC, fino alla dose,attualmente ammessa, di 0.3mmol/Kg di peso corporeo,non consente di ottenere re-perti sufficientemente affida-bili, la ESUR, European So-ciety of Urogenital Radiology,lo disapprova, indipendente-mente dal grado di funziona-lità renale4.Quanto, invece, all’impiego diGd-MdC in MRI, dosi standardfino a 0.3 mmol/Kg di pesocorporeo, prive di effetti ne-frotossici sia in soggetti saniche nefropatici, offrono accu-rate acquisizioni diagnosticheparenchimali; per dosi mag-giori, sovente necessarie adottenere effetti RM-urografi-ci o RM-angiografici, sono sta-te talvolta documentate lesio-ni tubulari renali che suggeri-scono particolari cautele4,66.I MdC superparamagnetici,costituiti da nanoparticelle diossido di ferro - ultrasmall su-perparamagnetic iron oxide -rivestite di carbossidestrano,

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Nefropatia da mezzo di contrasto

dopo un’iniziale, abbastanzaprolungata, fase vascolare acausa della loro lunga emivitaplasmatica, vengono captatielettivamente dagli elementicellulari del sistema reticolo-endoteliale (SRE), accumulan-dosi nel fegato, nella milza enei linfonodi, senza significa-tiva eliminazione renale delferro. Per tali composti non èstata, pertanto, segnalata indu-zione di CIN67.

Conclusioni

Negli ultimi decenni, l’evolu-zione del disegno molecolaredei MdC organoiodati ha con-sentito di disporre di prepara-ti non ionici, sia a strutturamonomerica che dimerica,dotati di buon profilo farma-codinamico e di tollerabilità,anche renale.Pur a fronte di tali sviluppidella ricerca chimico-farmaco-logica, si sono intensificati,rispetto al passato, gli studiintesi a definire, con sempremaggiore accuratezza, i mec-canismi patogenetici della

CIN e si sono accentuati glisforzi volti a predisporre effi-caci strategie preventive. Men-tre l’utilità profilattica del-l’idratazione preliminare alleprocedure constrastografichetrova costante positivo ri-scontro nei lavori consegnatialla letteratura, non vi è omo-geneità di pareri, invece, cir-ca l’efficacia di farmaci diversi(calcio-antagonisti, antagoni-sti recettoriali dell’adenosinae dell’endotelina, ACE-inibi-tori, agonisti recettoriali do-paminergici, prostaglandinevasodilatatrici, peptide na-triuretico atriale) nel preveni-re la CIN4,51-53. Quanto aglieffetti nefroprotettivi dellaN-acetil-cisteina, la letteratu-ra riporta dati probativi inalcuni trial54-58 e contradditto-ri in altri59-61,65. Per soggetti arischio medio-elevato di CIN,risultanze, recentemente pub-blicate, di un trial articolatoin tre differenti strategie pre-ventive (impiego combinatodi soluzione bicarbonatosodi-ca e N-acetil-cisteina oppure disoluzione clorurosodica 0.9%

e N-acetil-cisteina oppure, an-cora, di soluzione cloruroso-dica 0.9%, acido ascorbico eN-acetil-cisteina) suggerisconouna maggiore efficacia nefro-protettiva della soluzione bi-carbonatosodica associata asomministrazione di N-acetil-cisteina58.In prospettiva per il futuro,ulteriori manipolazioni, a varilivelli, della struttura moleco-lare dei MdC, dirette a perfe-zionarne le proprietà chimico-fisiche e le caratteristiche tos-sicologiche, nonché acconcimiglioramenti dei liquidi disoluzione dei MdC (ottimiz-zazione delle varie componen-ti: agenti chelanti, sostanze-tampone, controioni, ecc.),tali da eliminare interferenzecon la omeostasi fisiologica,renderanno possibile il rag-giungimento dell’obiettivo te-orico sempre perseguito: “onlyone effect of contrast media isdesired and that is the attenua-tion of radiation”68, ossia ele-vata efficacia contrastograficaassieme ad inerzia biofarmaco-dinamica4,8,18,63,69,70.

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142 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

Il trattamento del dolore cronico di quasi tutte le con-dizioni cliniche non neoplastiche e di alcune formeneoplasia-correlate richiede una gestione integratache, oltre alle misure farmacologiche, prevede la fi-sioterapia, le modificazioni di alcuni comportamentied in alcuni casi la chirurgia. Il trattamento farmacolo-gico rimane comunque fondamentale per tutte le for-me dolorose croniche e presuppone un’approfonditaconoscenza del tipo di dolore che si intende trattare,delle modalità di espressione in quella determinatacondizione clinica e delle specifiche esigenze del pa-ziente. Tutti questi aspetti dovrebbero guidare il medi-co nella scelta del farmaco e delle modalità di sommi-nistrazione1.Ecco perchè, il farmaco scelto non deve soltanto es-sere di provata efficacia, ma va somministrato in modoappropriato, perchè, in caso contrario, si rischia di ri-solvere solo parzialmente il sintomo doloroso e con-temporaneamente peggiorare la qualità di vita del pa-ziente o indurre effetti collaterali pococontrollabili. Il farmaco ideale non è quin-di quello che abolisce il dolore nel mag-giore numero di pazienti, ma quello checonsente un rapido ritorno alla vita quo-

tidiana2,3.

Tramadolo e dolore cronico

Ma quali devono essere le caratteristi-che del farmaco ideale per il trattamen-to del dolore cronico? Deve essere di pro-vata efficacia, ben tollerato dal pazien-te, facilmente somministrabile, associa-bile ad altri farmaci e deve avere pocheinterferenze farmacologiche con altriprincipi attivi. Il tramadolo presenta que-ste caratteristiche:

1. E’ un analgesico ad azione centrale ben noto edapprezzato da molti anni per il suo doppio mecca-nismo d’azione (debole affinità per il recettore µ einibizione della ricaptazione della serotonina)4,5.

2. Si è dimostrato molto efficace su milioni di pazien-ti in tutto il mondo nel trattamento del dolore di gra-do moderato-severo sia centrale sia neuropatico6,7.

3. Può essere utilizzato da solo o in associazione coni FANS8.

4. E’ gravato da bassa incidenza di effetti collaterali,come comprovato dall’osservazione che, nel trat-tamento long-term, la maggior parte dei trattati pre-ferisce tramadolo alle precedenti terapie9,10,11.

5. E’ abbastanza maneggevole e dotato di un bassorischio di assuefazione12,13.

Per molti aspetti il profilo farmacodinamico del trama-dolo rispecchia quello dell’analgesico ideale. Uno deilimiti della molecola era, fino a qualche anno fa, ditipo farmacocinetico poiché con un’emivita relativa-mente breve necessitava di somministrazioni ripetuteogni 6-8 ore9,14.

Tramadolo once-a-day efarmacocinetica

Per migliorare il profilo farmacocinetico del tramado-lo, è stata sviluppata una formulazione once-a-day

(OAD), in grado di estendere l’azione analgesica per24 ore9,15,16. In questa formulazione, il rilascio gradua-le di tramadolo è regolato da un sistema brevettato dimembrane idrofile che, nel corso delle 24 ore, man-

Figura 1. Cinetica plasmatica di tramadolo once-a-day: la con-centrazione plasmatica è sempre al di sopra della soglia tera-peutica nell’arco delle 24 ore.

400

300

200

100

00 6 12 18 24 30

Tempo (ore)

Concentr

azio

ne p

lasm

atica

(ng/m

l) a

llo s

teady s

tate

Tramadolo OAD 200 mg

Dolore cronico e qualità della vitaFocus su tramadolo once-a-day

Franco De ConnoStruttura Complessa di Riabilitazione e Cure PalliativeFondazione Istituto Nazionale dei TumoriVia Venezian, 120133 Milano

Chronic pain and quality of life. Focus on tramadol once-a-day. Trends Med 2007; 7(3):142-143.© 2007 Pharma Project Group srl

Soglia terapeutica

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 143

tiene la concentrazione plasmatica di tramado-lo al di sopra della soglia terapeutica (figura 1).In questo modo sono stati raggiunti tre obiettiviprimari:1. garantire la copertura analgesica per 24 ore

con una solauna solauna solauna solauna sola somministrazione giornaliera;2. ridurre i picchi plasmatici che si presentano

ad ogni somministrazione e che sono colle-gati all’insorgenza di effetti indesiderati;

3. controllare in modo costante e continuo ildolore così da indurre una minor incidenzadi picchi algici.

Grazie a questa innovazione tecnologica, le ca-ratteristiche di farmaco ideale del tramadolosono state ampiamente rivalutate, tanto che sihanno nuovi risultati in termini di efficacia, tol-lerabilità e miglioramento della qualità di vitarispetto alle vecchie formulazioni.

Tramadolo once-a-day: efficacia etollerabilità

In uno studio crossover, condotto da Beaulieu, in cui122 pazienti sono stati trattati in sequenza con en-trambe le formulazioni (IR e once-a-day), è stato di-mostrato che dalla terza settimana, l’efficacia otteni-bile con tramadolo OAD è significativamente superio-re rispetto a quella ottenibile con l’assunzione al biso-gno di tramadolo IR17 (figura 2). Quindi, si ottiene unamiglior gestione del dolore utilizzando uno schema po-sologico controllato che garantisce l’efficacia per 24ore con una sola somministrazione. Un altro aspettoriconducibile all’innovazione tecnologica è il lento ri-lascio del principio attivo, grazie al quale viene ridottoil numero di picchi plasmatici e di conseguenza alcunidegli effetti collaterali, in particolare la nausea, il vo-mito e la sedazione; per tali ragioni la formulazione arilascio immediato richiede una titolazione progressi-va del dosaggio della durata di 3-10 giorni che, nellamaggior parte dei casi, non è necessaria con la for-

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TiM

mulazione once-a-day18,19. In studi di lunga durata, latollerabilità per questo tipo di formulazione è stata ri-tenuta buona/molto buona da oltre l’80% dei medicie dei pazienti10.

Tramadolo once-a-day e qualitàdella vita

Tramadolo OAD, oltre a garantire l’efficacia tipica deltrattamento tradizionale del dolore cronico, aggiungei benefici di uno schema posologico costante, control-la l’incidenza dei picchi algici e limita la comparsa dieventi avversi grazie al profilo cinetico più stabile.Inoltre, si va ad influire anche su altri aspetti della vitadel paziente con dolore cronico. In particolare il mi-glioramento della qualità del sonno in più di 1.000 pa-zienti artrosici20 e il miglioramento della qualità di vitafisica e psicologica21 sono stati possibili grazie all’intro-duzione di una formulazione ad elevata tecnologia chesi traduce, per il paziente, in una gestione più sempli-ce del sintomo dolore, con benefici sugli aspetti rela-zionali e sullo svolgimento delle attività quotidiane.Alla luce di questi risultati si può affermare che tra-madolo OAD migliora la qualità della vita10,11,20.

Figura 2. Confronto tra gli effetti del trattamento antalgicocon tramadolo once-a-day e con tramadolo IR al bisognoin pazienti con dolore cronico non neoplastico. (Dati daBeaulieu 200717).

50

40

30

20

Punte

ggio

VAS

Tramadolo OAD Tramadolo IR

1a 2a 3a 4a

Settimana*p<0.007

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146 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 147

Review

Gerardo NardoneDipartimento di Medicina Clinica eSperimentale,Università di Napoli “Federico II”Area Funzionale di Gastroenterologiaa Prevalente Indirizzo OncologicoVia Pansini, 580131 Napoli, ItaliaTel./Fax 081.746.42.93e-mail [email protected]

Ruolo degli Inibitori di Pompa Protonicanell’eradicazione dell’infezione da

Helicobacter pylori

Debora Compare, Patrizia DeColibus, Giovanni Autiero,Alba Rocco, Gerardo NardoneDipartimento di Medicina Clinica eSperimentaleArea Funzionale di Gastroenterologiaa Prevalente Indirizzo OncologicoUniversità degli Studi “Federico II” diNapoli

Key Words:Helicobacter pyloriproton pump inhibitor(s)eradication therapyrabeprazole

Proton Pump Inhibitors in H. pylori eradication

SummaryHelicobacter pylori (H. pylori) infection is the main etiological agent of inflammatory and neoplastic gastricdisease. In the clinical setting we usually search for H. pylori infection in dyspeptic patients, patients withgastritis, first-degree relatives of gastric cancer patients, and during upper endoscopy. The therapeutic regi-men currently available is characterized by two antibiotics (clarithromycin plus metronidazole or amoxicillin)and proton pump inhibitors (PPIs). PPIs are strong gastric acid secretion inhibitors which possess antibacterialactivity. At present, there are 5 different PPIs on the market: omeprazole, lansoprazole, pantoprazole, rabe-prazole and esomeprazole. They share the same basic chemical structure, though they have different pharma-cological properties. Rabeprazole shows a faster and stronger inhibition of gastric acid secretion, a morepotent inhibitory effect on the proliferation and motility of H. pylori than other PPIs and a primarily nonenzymatic metabolism. Therefore, it could be the most favourable drug to use in eradication regimens.

Compare D, De Colibus P, Autiero G, et al. Proton Pump Inhibitors in H. pylori eradication. Trends Med 2007;7(2):147-154.© 2007 Pharma Project Group srl

E’ ormai universalmente ri-conosciuto che l’infezione

da H. pylori è la principale cau-sa della patologia infiammato-ria e neoplastica gastrica1,2. Larilevanza di tale scoperta, av-venuta nel 1983, si desume dalfatto che già dopo pochi anniil numero delle pubblicazionirelative a questo argomento suprestigiose riviste internaziona-li si è implementato in manie-ra esponenziale (complessiva-mente circa 24.000 articolipubblicati ad oggi) (figura 1).Nel 2005, Robin Warren eBarry Marshall, i principali ar-tefici di tale sensazionale sco-perta, che ha letteralmente ri-voluzionato le conoscenzeeziopatogenetiche delle princi-pali patologie gastro-duodena-li, sono stati insigniti del pre-mio Nobel per la medicina.Nella pratica clinica quotidia-na è ormai divenuta prassi

consolidata la ricerca dell’in-fezione da H. pylori nel pazien-te dispeptico, nel paziente conpatologia infiammatoria ga-strica, nei familiari di primogrado dei pazienti con neopla-sia gastrica ed ogni qual voltasi esegua un esame endoscopi-co del tratto digestivo superio-re3.Accertata l’infezione, la tera-pia non è cosa semplice comesi può evidenziare dall’interes-se dei vari ricercatori su talespecifico argomento. Circa 1/3 dei lavori pubblicati in let-teratura ha come principaleobiettivo la terapia delle infe-zioni da H. pylori (figura 1). Ilbatterio, una volta ingerito,colonizza la mucosa gastricaformando una vera e proprianicchia impenetrabile tra lostrato di muco superficiale elo strato di cellule epitelialigastriche4. Inoltre, l’ambiente

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148 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

D. Compare, P. De Colibus, G. Autiero, et al.

Figura 1. Andamento cronologico del numero di pubblicazioni su Helicobacter pylori totali e relative aglischemi terapeutici.

6000

5000

4000

3000

2000

1000

0

H. pylori

H. pylori + terapia

1983-85 1986-88 1989-91 1992-94 1995-97 1998-2000 2001-03 2004-06

acido gastrico riduce l’attivitàdegli antibiotici condizionan-do la risposta in vivo rispettoa quanto osservato in vitro.

Schemi di terapiaeradicante

Già all’epoca della prima con-sensus effettuata a Maastrichtnel 1996 (Maastricht I) vennesottolineato il potenziale ri-schio dell’antibiotico-resisten-za e la necessità di utilizzaredue antibiotici (claritromicinae metronidazolo o amoxicilli-na) associati a potenti inibito-ri della secrezione acida gastri-ca (Inibitori della Pompa Pro-tonica - IPP) per 7 giorni; taleschema è stato definito “tripli-ce”5. Nel 2000 si è tenuta unanuova consensus (MaastrichtII), dove si è stabilito che i pa-zienti non responsivi alla tri-plice terapia dovevano esseretrattati con bismuto, metroni-dazolo, tetracicline associati aIPP per 14 giorni (quadrupli-ce)3.Tuttavia, nonostante le lineeguida e i successi dei trial cli-nici, quello che sempre più

tormenta la pratica clinicaquotidiana è l’inefficacia deglischemi terapeutici adottati nelsingolo paziente. Tale insuc-cesso è in parte conseguenzadi terapie inappropriate e inparte di una sempre più emer-gente antibiotico-resistenza.Questo argomento ha partico-larmente vivacizzato e carat-terizzato l’ultima consensusconference (Maastricht III) te-nutasi a Firenze nel 2005. Daquesta consensus emerge che,per quanto riguarda la duratadella terapia, sia per la tripliceche per la quadruplice sembrapreferibile un periodo di 14giorni versus 7 giorni6,7.

H. pylori ed inibitori dipompa

Il trattamento di prima sceltarimane l’uso di IPP associati aclaritromicina e metroinida-zolo o amoxicillina. La mag-gior parte dei protocolli adot-tati in Europa prevede unadurata di 7 giorni, come com-provato da numerosi trial con-trollati che hanno dimostratoanaloga efficacia per triplici

terapie di 7 e 10 giorni. Risul-tati migliori si ottengono dal-l’associazione claritromicina+ metronidazolo se la resi-stenza al metronidazolo è in-feriore al 40% e quella alla cla-ritromicina è inferiore al 15-20%8. In presenza di resisten-za, la quadruplice terapia rap-presenta il trattamento di scel-ta alternativo e, in caso di ul-teriori insuccessi, la terapia do-vrebbe essere personalizzatain base ai test di sensibilità agliantibiotici effettuati su cam-pioni bioptici di mucosa ga-strica6. Ad ogni modo, è op-portuno precisare che, indi-pendentemente dagli schemiantibiotici adottati, la sceltadell’IPP svolge un ruolo chia-ve nell’eradicazione dell’infe-zione da H. pylori.Gli studi in vitro hanno dimo-strato che la crescita dell’H.pylori è pH-dipendente e chel’attività battericida dell’amo-xicillina e della claritromicina,a differenza del metronidazo-lo e della tetraciclina, è in-fluenzata da variazioni delpH9. Sachs e colleghi hannodimostrato che sebbene la so-

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 149

Ruolo degli Inibitori di Pompa Protonica nell’eradicazione dell’infezione da H. pylori

Figura 2. Struttura chimica degli Inibitori di Pompa Protonica (IPP) attualmente in commercio.

IPP pKa

Lansoprazolo 3.83Pantoprazolo 3.83Omeprazolo 4.06Esomeprazolo 4.06Rabeprazolo 4.53

Omeprazolo Esomeprazolo(S-enantiomerodi omeprazolo)

Pantoprazolo

Rabeprazolo

Lansoprazolo

Tabella 1. Valori di pKa del-l’anello piridinico degli Inibitoridi Pompa Protonica (IPP). (Dati daRoche VF 200615).

pravvivenza dell’H. pylori pos-sa verificarsi con pH mucosa-le di 4-8, la crescita e la mitosidel batterio si verificano inampia misura a valori di pHpiù alti (pH di 6-8)10,11.Gli IPP, aumentando il pHgastrico, potrebbero agire si-nergicamente con antimicro-bici quali claritromicina eamoxicillina, oltre a potenzia-re l’effetto antimicrobico de-gli antibiotici stessi, dato chealcuni IPP possiedono unaspiccata attività antibattericaintrinseca12. Tale aspetto staassumendo sempre maggiorerilevanza clinica: un’immedia-ta e sostenuta soppressionedell’acidità gastrica potrebbefacilitare l’eradicazione preco-ce e ridurre di riflesso la dura-ta della terapia ed i costi per ilpaziente e per la comunità.

IPP: caratteristichefarmacodinamiche efarmacocinetiche

Attualmente vi sono in com-mercio 5 diversi IPP: omepra-zolo, lansoprazolo, pantopra-zolo, rabeprazolo ed esome-prazolo (S-enantiomero del-l’omeprazolo). Essi sono tutti

costituiti da due anelli etero-ciclici, uno piridinico ed unobenzoimidazolico, uniti me-diante un gruppo metilsulfini-lico, con però differenti sosti-tuenti (figura 2). Gli IPP sonobasi deboli che attraversano lamembrana e, una volta assor-biti nella porzione terminaledel piccolo intestino, vengo-no rilasciati a livello delle cel-lule parietali gastriche, dove siaccumulano come profarma-co. Lì vengono convertiti neiloro derivati attivi e si leganocovalentemente alla subunitàa della ATPasi H+/K+, pro-vocando un’inibizione irre-versibile della secrezione aci-da gastrica13.Tutti gli IPP sono potenti ini-bitori della secrezione acidagastrica; tuttavia, il grado dielevazione del pH dopo la pri-ma dose somministrata è diret-tamente correlato alla lorocostante di dissociazione aci-do-base (pKa)14,15 (tabella 1). Ilrabeprazolo, grazie a differentisostituenti piridinici e benzoi-midazolici, ha un elevato pKae può essere attivato in unampio range di pH rispetto adaltri IPP. Ciò, in termini prati-ci, si traduce in una veloce atti-

vazione farmacologica. Infatti,il rabeprazolo è convertito piùrapidamente nella sua formasulfenamidica attiva, con unpiù rapido controllo della se-crezione acida gastrica16.Gli studi in vitro su ATPasiH+/K+ di origine animalehanno mostrato che il rabe-prazolo è più potente del-l’omeprazolo ed ha un’insor-genza d’azione più rapida ri-spetto ad omeprazolo, lanso-prazolo e pantoprazolo17-19.Analogamente, studi sull’uo-mo hanno documentato (va-lutato mediante misurazionedel pH intragastrico) una piùelevata rapidità d’azione delrabeprazolo rispetto ad altriIPP20,21.

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150 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

D. Compare, P. De Colibus, G. Autiero, et al.

Per la loro breve emivita e peril ripristino della secrezioneacida attraverso la traslocazio-ne di nuove pompe a livellodella membrana, l’effetto de-gli IPP è graduale e sono ne-cessarie somministrazioni ri-petute per 3-4 giorni per man-tenere una concentrazionecostante (steady-state) ed unapersistente elevazione del pHintragastrico22,23. Rabeprazo-lo, alla dose di 20 mg/die, haridotto sin dalle prime orel’acidità gastrica del 66% ri-spetto al placebo mentre ome-prazolo 20 mg/die solo del35%, dimostrando un rapidis-simo esordio dell’effetto far-macologico20. Addirittura alladose dimezzata di 10 mg/dierabeprazolo è in grado, nelle24 ore, di mantenere il pHintragastrico a valore >3 peruna percentuale di tempo si-gnificativamente superiore ri-spetto alle dosi standard diomeprazolo 20 mg/die e lan-soprazolo 30 mg/die. Peresempio, dopo 3 giorni di te-rapia tale percentuale è del62,8% per rabeprazolo, del26,6% per lansoprazolo e del16,4% per omeprazolo24. Infi-ne, la biodisponibilità di rabe-prazolo non varia a seguito didosi ripetute, diversamente daquanto accade invece per ome-

prazolo ed esomeprazolo, incui si assiste ad un ritardo dicirca 5 gg nel raggiungimentodella biodisponibilità massi-ma25. Ne consegue un vantag-gioso utilizzo di rabeprazoloquando siano richiesti ciclibrevi di terapia, come peresempio nell’eradicazione,perchè la biodisponibilità mas-sima consente di ottenere uncontrollo massimale della se-crezione acida fin dalla primasomministrazione19.

Attività antibattericadegli inibitori di pompa

Gli studi in vitro hanno dimo-strato che gli IPP possono ini-bire direttamente la crescita diH. pylori . Il meccanismod’azione dell’attività antibat-terica degli IPP non è ben de-finito. Probabilmente, essibloccano i residui sulfidrilicidell’ATPasi H+/K+ dell’H.pylori, interferendo con il gra-

Figura 3. Confronto tra le concentrazioni minime inibenti (MIC90

)dei vari IPP vs H. pylori. (Dati da Fujiyama K et al 199433).

Tabella 2. Inibizione della motilità di H. pylori dopo incubazione condifferenti IPP. (Dati da Tsutsui N et al 200027).

Farmaco IC50

(µµµµµg/mL)

Rabeprazolo tioetere 0.25Lansoprazolo 16Omeprazolo >64

IC50

:concentrazione inibente la motilità del 50% dei ceppi testati

50

40

30

20

10

0

MIC

90 (

µg/m

L)

Rabeprazolo Lansoprazolo Omeprazolo

diente protonico transmem-brana e influenzando così lacapacità del batterio di soprav-vivere in ambiente acido26.L’H. pylori possiede diversifattori di virulenza e patoge-nicità, alcuni comuni a tutti iceppi, altri, come il CagA edil VacA, presenti nei cosiddetticeppi selvaggi “wild” provvi-sti di una maggiore patogeni-cità. Tra i fattori comuni ne-cessari per la sopravvivenzadel batterio, H. pylori possie-de l’enzima ureasi che, idro-lizzando l’urea a livello gastri-co e generando ammonio, ren-de meno acido o addiritturaalcalino l’ambiente e facilita lacolonizzazione della mucosa ela sopravvivenza del batte-rio29.Gli IPP inibiscono l’attivitàureasica dell’H. pylori in ma-niera dose-dipendente30. Seb-bene questi aspetti siano statiinvestigati per alcuni IPP manon per altri, essi potrebberoessere condivisi da tutti gliIPP, dato il loro simile mec-canismo d’azione.

Attività antibatterica dirabeprazolo

Accanto alle differenze chimi-che e fisiche, gli IPP mostra-no anche una differente atti-vità antibatterica. Studi in vi-tro hanno dimostrato che ra-beprazolo possiede una spic-cata attività antibatterica ver-so vari ceppi di H. pylori a dif-ferenza di altri IPP, come

1,56

6,25

50

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 151

Ruolo degli Inibitori di Pompa Protonica nell’eradicazione dell’infezione da H. pylori

Figura 4. Partecipazione del sistema CYP al metabolismo dei variInibitori di Pompa Protonica. Rabeprazolo, diversamente da altri IPPè convertito principalmente a tioetere attraverso una via nonenzimatica, con un ruolo minore del sistema CYP e una minore in-fluenza delle sue varianti genetiche. (Dati da Ishizaki T et al 199934 eAndersson T et al 200135).

Tabella 3. Inibizione in vitrodell’ureasi di H. pylori da partedegli IPP. Rabeprazolo possiedeuna IC

50 di gran lunga inferiore

agli IPP di confronto (Dati daTsuchiya M et al 199528).

IPP IC50

Rabeprazolo 0,29 µMOmeprazolo 5,4 µMLansoprazolo 9,3 µM

omeprazolo e lansoprazo-lo26,31-33. La concentrazione mi-nima inibente degli IPP sullacrescita dell’H. pylori è piùbassa per rabeprazolo, seguitada lansoprazolo e da omepra-zolo (figura 3)32.Rabeprazolo, e in particolareil suo metabolita, il rabepra-zolo tioetere, possiedono unanotevole azione inibitoria sucrescita e motilità dell’H. pylo-ri. Infatti, l’effetto sulla moti-lità di H. pylori osservato conil metabolita tioetere di rabe-prazolo è risultato di gran lun-ga superiore a quello degli al-tri IPP (tabella 2)27,31.Uno studio giapponese ha pa-ragonato l’attività di rabepra-zolo, omeprazolo e lansopra-zolo sull’attività ureasica di H.pylori e Proteus mirabilis. Ilrabeprazolo è risultato circa10 volte più potente nell’ini-bire l’attività ureasica rispet-to ad omeprazolo e lansopra-zolo (tabella 3). Verosimil-mente, questa spiccata attivi-tà del rabeprazolo è conse-guenza della formazione diponti disolfuro direttamentecon i siti ureasici dell’enzimabatterico28.

Metabolismo ed efficaciaeradicante degli inibitoridi pompa: ruolo dirabeprazolo

Tutti gli IPP sono metaboliz-zati per via epatica ed hanno

un’eliminazione più lentanell’anziano e nei pazienticon significative disfunzioniepatiche36-38.Nel fegato, il rabeprazolo èprincipalmente metabolizza-to attraverso una via non en-zimatica a rabeprazolo tioe-tere. Sebbene anche il meta-bolismo del rabeprazolo coin-volga l’eliminazione epaticavia citocromo P450, (isoenzi-mi CYP3A4 e CYP2C19), il

contributo di questa via è mol-to più basso rispetto agli altriIPP36 (figura 4). Il polimorfi-smo genetico di CYP2C19gioca quindi un ruolo mino-re nella variabilità inter-indi-viduale della farmacocineticadel rabeprazolo e nella rispo-sta al trattamento39,40. Questadifferenza di risposta tra i fe-notipi CYP2C19 potrebbeavere importanti implicazio-ni cliniche nei pazienti meta-

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152 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

D. Compare, P. De Colibus, G. Autiero, et al.

bolizzatori rapidi. Rabeprazo-lo assicura invece una certapredittività di risposta indi-pendentemente dal genotipometabolico36-40.I dati sperimentali relativi alrapporto fra metabolismoCYP-dipendente, polimorfi-smo genetico ed efficacia cli-nica sono stati ampiamenteconfermati da numerosi stu-di clinici controllati, nei qua-li venivano inclusi sia pazientimetabolizzatori rapidi sia me-tabolizzatori lenti. Nello stu-dio di Kawabata, 187 pazien-ti con infezione da H. pylorisono stati randomizzati altrattamento con rabeprazolo(10 mg b.i.d.) o lansoprazolo(30 mg b.i.d.) più amoxicilli-na (750 mg b.i.d.) e claritro-micina (400 mg b.i.d.) per unadurata di 7 giorni. I tassi dirisposta sono riportati in fi-gura 5. Come si può osserva-re, le percentuali di rispostacomplessiva sono risultatepiù alte per il protocollo con-tenente rabeprazolo rispettoa quello con lansoprazolo.Ancora più interessante èperò il rapporto fra rispostaclinica e genotipo metaboli-co: quando i pazienti sono

stati stratificati in metaboliz-zatori rapidi e lenti il tratta-mento con rabeprazolo nonha risentito assolutamente delgenotipo (86% vs 86%), men-tre l’efficacia del lansoprazo-lo è stata influenzata forte-mente del genotipoCYP2C19 (100% vs 74%),con una differenza del 26%fra i metabolizzatori lenti erapidi (figura 5)40.L’efficacia di rabeprazolo nel-la terapia eradicante indipen-dentemente dal genotipo me-tabolico è stata confermata re-

centemente da un ampio stu-dio clinico su 479 pazienti H.pylori-positivi trattati con ra-beprazolo (10 o 20 mg bid)più amoxicillina e claritromi-cina a differenti dosaggi perla durata di 7 giorni41. La per-centuale di risposta totale è ri-sultata pari all’86% nei meta-bolizzatori rapidi omozigoti,all’89% in quelli eterozigotied al 96% nei metabolizzato-ri lenti (figura 6). La selezio-ne dell’IPP da utilizzare nel-la terapia eradicante dovreb-be quindi tener conto anchedella dipendenza o meno del-la risposta dal genotipo me-tabolico del paziente da trat-tare, onde evitare che in unaquota non marginale di sog-getti il trattamento eradican-te fallisca (metabolizzatorirapidi circa il 97-98% dei cau-casici e l’80-85% degli asiati-ci)37. Infine, la rapida insor-genza d’azione di rabeprazo-lo sulla secrezione acida e labiodisponibilità massima findal giorno 1 di utilizzo del-l’inibitore fanno sì che le per-centuali di eradicazione conrabeprazolo siano elevate giàdopo 3 o 4 giorni di terapia,anche in pazienti non respon-

Figura 5. Influenza del genotipo CYP2C19 sui tassi di eradicazione.I valori riportati per i metabolizzatori rapidi si riferiscono ai pazientiomozigoti per il tratto genotipico in esame. (Dati da Kawabata H etal 200340).

100

80

60

40

20

0

Era

dic

azio

ne (

%)

Rabeprazolo Lansoprazolo

Tutti Metabolizzatorirapidi

Metabolizzatorilenti

8175

86

74

86

100

∆=-26%

100

80

60

40

20

0

Pazie

nti e

radic

ati (

%)

(ITT)

Metabolizzatorirapidi

86%89%

96%

Figura 6. Efficacia di rabeprazolo nell’eradicazione di H. pylori (tri-plice terapia). (Dati da Kuwayama H et al 200741).

Metabolizzatoriintermedi

Metabolizzatorilenti

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 153

Ruolo degli Inibitori di Pompa Protonica nell’eradicazione dell’infezione da H. pylori

der42-44, o usando la dose di-mezzata di inibitore45,46.

Conclusioni

Alla luce di tali considerazio-ni si evince che gli IPP svol-gono un ruolo chiave nellevarie strategie terapeutiche per

l’eradicazione di H. pylori. Ilrabeprazolo, a differenza de-gli altri IPP, mostra una piùrapida inibizione acida, unapiù spiccata attività anti-batte-rica ed un metabolismo pre-valentemente non enzimatico.Ciò comporta una maggiorpredittività di risposta in quan- TiM

to l’azione antisecretiva di ra-beprazolo non risente inmodo significativo del poli-morfismo genetico dell’isofor-ma 2C19 del CYP450. Per taliragioni il rabeprazolo potreb-be rappresentare il farmacoideale da utilizzare nei varischemi terapeutici.

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154 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

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RCP in a

llegato

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 155

Review

Itraconazolo in formulazione endovenosaRuolo nel trapianto di midollo osseo allogenico e nelle leucemie acute

Anna Candoni, Erica Simeone,Federica Florio, Renato FaninClinica di Ematologia e Sezione diTrapianto di Midollo Osseo “CarloMelzi”, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine

Anna CandoniClinica di EmatologiaAzienda Ospedaliero-UniversitariaUdineTel 0432-559662E-mail: [email protected]

Key words:itraconazolefungal infectionacute leukaemiabone marrow transplanta-tion

Intravenous itraconazoleUse in allogenic bone marrow transplantation and acute leukaemias

SummaryThe management of systemic fungal infections can be divided into four main strategies: prophylaxis, earlyempirical use, pre-emptive therapy and target therapy. This article addresses the use of itraconazole for fungalinfections in patients with haematological malignancies or receiving bone marrow transplantation (BMT). Itra-conazole is now available in both oral and intravenous formulations, with a broad spectrum of activity inclu-ding Aspergillus, and Candida albicans and non-albicans species. Plenty of controlled clinical trials have con-firmed that prophylaxis with itraconazole is effective in reducing rates of systemic fungal infections. In empiri-cal use, large randomized studies have supported the efficacy of itraconazole, while in the targeted therapyitraconazole can be used alone or in combination with other antifungal drugs such as caspofungin. Itracona-zole, when appropriately used, is a cost/effective choice for the management of fungal infections.

Candoni A, Simeone E, Florio F, et al. Intravenous itraconazole. Use in bone marrow transplantation and acuteleukaemias. Trends Med 2007; 7(2):155-163.© 2007 Pharma Project Group srl

In ambito ematologico, duecategorie di pazienti sono

riconosciute ad elevatissimorischio di Infezioni FungineInvasive (IFI): pazienti sotto-posti a trapianto di midollo os-seo allogenico (soprattutto seda donatore non correlato e/o con concomitante graft ver-sus host disease) e pazienti af-fetti da leucemia acuta. In que-sti casi le IFI hanno un’inci-denza superiore al 10-20%,sono causate prevalentemen-te da Aspergilli (oltre il 70%dei casi) e si presentano, piùfrequentemente, con un coin-volgimento polmonare1-5. LeIFI causate da altri miceti fila-mentosi (Mucor, Fusarium, Sce-dosporium spp.), pur essendoin lieve incremento, restanoinfrequenti in Italia; bassa èanche l’incidenza di infezioniinvasive da Candida spp. (conperò un documentato shifteziologico verso le Candide

non-albicans multiresistenti).La mortalità IFI correlata re-sta molto elevata, raggiungen-do picchi dell’80-90% in alcu-ni subset di pazienti ematolo-gici1-7. Inoltre, la diagnosi ezio-logica e precoce di queste in-fezioni è ancora problematica;infatti, nonostante vi sia statoun miglioramento delle meto-diche diagnostiche a disposi-zione (TAC ad alta risoluzio-ne, test galattomannano, β-Dglucano, PCR, etc), la maggiorparte delle IFI viene ancoraclassificata, alla diagnosi, comeprobabile o possibile secondoi criteri EORTC/MSG. Nonessendoci spesso una certezzadiagnostica, diventa più diffi-cile valutare l’esatto impattodelle strategie profilattiche eterapeutiche antifungine.In questi ultimi anni è aumen-tata notevolmente la disponi-bilità di farmaci antimicoticie delle corrispondenti formu-

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156 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

A. Candoni, E. Simeone, F. Florio, et al.

lazioni. Sino all’inizio deglianni 90 l’unico agente terapeu-tico utilizzabile nelle IFI erarappresentato dall’amfoterici-na B desossicolato; oggi abbia-mo a disposizione numerosiazolici quali il fluconazolo(orale ed endovena), l’itraco-nazolo (orale, in capsule ed insoluzione ed endovena), il vo-riconazolo (orale ed endove-na), il posaconazolo (sospen-sione orale), le formulazioniliposomiali e in complessi li-pidici dell’amfotericina B, leechinocandine (caspofunginae prossimamente micafunginaed anidulafungina)8-10. La di-sponibilità di tutti questi agen-ti antifungini sta creando unampio dibattito e in parte an-che un certo disorientamentosulla loro possibile collocazio-ne nell’approccio profilatticoe terapeutico delle IFI nel pa-ziente oncoematologico11.Di seguito vengono breve-mente sintetizzati i dati dispo-nibili in letteratura in meritoall’efficacia e alla tollerabili-tà di itraconazolo in formu-lazione endovenosa, nellaprofilassi e nella terapia delleIFI nel paziente sottoposto atrapianto di midollo osseo al-logenico o affetto da leucemiaacuta.

Itraconazolo in formu-lazione endovenosa

Itraconazolo, agente antifun-gino triazolico, è stato intro-dotto nella terapia delle mico-si invasive nel 1987 ed è attual-mente disponibile in 3 formu-lazioni: capsule, soluzione ora-le e formulazione endoveno-sa. La presenza di 3 formula-zioni rappresenta un sicurovantaggio per i malati oncoe-matologici, sia per la possibi-lità di iniziare una terapia pa-renterale passando poi a quel-

la orale, sia per il fatto che laformulazione in capsule, uni-ca disponibile per molti anni,può avere un assorbimentovariabile nei pazienti con nau-sea, vomito, concomitantemucosite da chemioterapia oin quelli con graft versus hostdisease intestinale post-trapian-to di midollo osseo allogeni-co. Il farmaco è dotato di am-pio spettro d’azione (lieviti edermatofiti, muffe, funghi di-morfici, dematiacee). Rispet-to a fluconazolo, itraconazo-lo è attivo anche su Candidakrusei e Candida glabrata, suAspergillus spp. ed altri micetifilamentosi e risulta 100 voltepiù potente, in vitro, nell’ini-bire l’enzima target12. Il suospettro d’azione risulta quin-di sovrapponibile a quello diamfotericina B e voriconazo-lo. I dati in vitro dimostranoattività fungistatica versusCandida species, fungicidaversus Aspergillus species,compreso A. terreus e A. fla-vus12-17.Il principale meccanismod’azione di itraconazolo con-siste nell’inibizione della 14alfa-demetilasi, enzima coin-volto nella sintesi dell’ergoste-rolo della membrana fungina.Itraconazolo è un potente ini-bitore del citocromo P450fungino; la coda lipofila, infat-ti, conferisce alla molecolaspecificità di legame col cito-cromo fungino, mentre è mi-nima l’attività sui citocromiP450 responsabili della steroi-dogenesi nei mammiferi18-20.Inoltre, rispetto a fluconazo-lo e voriconazolo, la lungacoda lipofila di itraconazoloconsente alla molecola un do-minio di legame aggiuntivosull’enzima 14 alfa-demetilasi,con possibilità di inibizioneenzimatica anche in caso dienzima mutato nel normale

sito di legame azolico e conse-guente possibile attività su spe-cie fluconazolo o voriconazo-lo resistenti21.Itraconazolo viene metaboliz-zato a livello epatico dall’iso-enzima 3A4 umano; pertantopuò interferire con la farma-cocinetica di agenti terapeu-tici metabolizzati attraversoquesta stessa via, tra i quali ci-closporina e tacrolimus14-16,20.L’itraconazolo è lipofilo e peressere solubilizzato viene in-corporato in un anello idro-filico costituito da 7 moleco-le di glucosio (idrossipropil-beta-ciclodestrina)15-16,32. La ci-clodestrina, internamente li-pofila ed esternamente idro-fila, quando usata per via en-dovenosa, permette di veico-lare l’itraconazolo nella circo-lazione ematica, dove le 2componenti si separano rapi-damente. L’utilizzo della ci-clodestrina incrementa la bio-disponibilità del farmaco, edessendo questa una sostanzainerte, viene completamenteeliminata per via renale, sen-za essere metabolizzata, in unperiodo compreso fra 2 e 12ore15,22. Itraconazolo, oltre adessere lipofilo, ha un legameproteico molto elevato(>99%), pertanto le sue con-centrazioni nel liquido cere-bro spinale e nel bulbo ocu-lare risultano subterapeuti-che. Le concentrazioni neitessuti cerebrali sono invecepari a quelle ematiche15. Inol-tre, le concentrazioni tissutalisono molto più elevate (da 2 a20 volte) rispetto a quelle pla-smatiche, soprattutto nel pol-mone, fegato, rene, ossa, mil-za, muscolo, cute, unghie,tratto genitale. Il volume di di-stribuzione, data la lipofiliadel farmaco, è molto ampio(circa 11 L/Kg)14-16,22,23 (figu-ra 1).

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 157

Itraconazolo in formulazione endovenosa

Figura 1. Ratio tra concentrazioni plasmatiche e concentrazionitissutali di itraconazolo dopo somministrazione di una dose singoladi 200 mg. (Tratta da Willems 200116).

12

10

8

6

4

2

0

Ratio (

tessuto

:pla

sm

a)

Cute Osso Fegato Polmone Milza Muscolo Rene

Dopo somministrazione en-dovenosa di itraconazolo, ilpicco di concentrazione pla-smatica viene raggiunto rapi-damente. La posologia endo-venosa necessaria per ottene-re adeguate concentrazioniplasmatiche è di 200 mg (in 1h) x 2 volte/die, per i primi 2giorni, seguita dalla sommini-strazione di 200 mg/die. Taleschema posologico permettedi raggiungere rapidamente,nella maggior parte dei casi, leconcentrazioni plasmaticheefficaci, che sono comprese tra250 e 500 ng/ml. Le concen-trazioni plasmatiche terapeu-tiche allo steady-state vengo-no raggiunte entro 1-2 giornidall’inizio della somministra-zione endovenosa e dopo unasettimana di terapia possonoessere mantenute utilizzandole formulazioni orali (itraco-nazolo 200 mg x 2 volte/diecome soluzione orale o capsu-le). Il metabolismo del farma-co è prevalentemente epaticoe l’eliminazione è bifasica, conuna emivita di 20-24 ore dopodose singola e di 30-34 ore allosteady-state. La maggior par-te dei metaboliti viene elimi-

nata attraverso la bile, le fecie le urine; l’escrezione renaledi itraconazolo immodificatoè inferiore all’1%. Il principa-le metabolita di itraconazolo,l’idrossi-itraconazolo, è dota-to anch’esso di attività antimi-cotica paragonabile a quella diitraconazolo ed è in grado diraggiungere concentrazioniplasmatiche efficaci. Infatti,allo steady-state, i livelli pla-

smatici di idrossi-itraconazo-lo sono circa il doppio di quel-li di itraconazolo, quindi lafrazione antimicotica attivadopo somministrazione delfarmaco è più alta della solaconcentrazione di itraconazo-lo. Il monitoraggio, in corsodi terapia endovenosa, delleconcentrazioni plasmatiche diitraconazolo e del suo princi-pale metabolita, tramiteHPLC (High PerformanceLiquid Chromatography), èopzionale e può essere utile incorso di terapia solo in pazien-ti particolarmente immuno-compromessi e con gravi in-fezioni micotiche intercorren-ti14-16,22-26,32,35,40 (figura 2).Come per gli altri azoli, i pa-rametri farmacocinetici mag-giormente predittivi di rispo-sta clinica sono AUC/MIC eT>MIC, pertanto un’elevatabiodisponibilità ed una buonapersistenza tissutale sono lecondizioni necessarie per ga-rantire l’efficacia del farma-co33.L’itraconazolo in formulazio-ne endovenosa è ben tollera-

Figura 2. Livelli plasmatici medi di itraconazolo e idrossi-itraconazolodurante somministrazione endovenosa in pazienti con IFI. (Tratta daCaillot 200140).

1500

1000

500

0

Concentr

azio

ni pla

sm

atiche (

ng/m

L) Itraconazolo

Idrossi-itraconazolo

Concentrazione minimaefficace (250 ng/mL)

0 2 7 14 Tempo (giorni)

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A. Candoni, E. Simeone, F. Florio, et al.

to. Gli eventi avversi sonopiuttosto rari e correlati prin-cipalmente con la fase di som-ministrazione del farmaco (ir-ritazioni nel sito di infusionee/o flebiti, legate più alla mo-dalità di somministrazione chealla molecola stessa); questiproblemi si possono ovviaresomministrando il farmacoattraverso un accesso venosocentrale (spesso disponibilenei pazienti oncoematologici).Lieve nausea, diarrea, cefalea,dolore addominale ed eritemasono stati segnalati in menodel 5% dei pazienti trattati conla formulazione endovenosa;tuttavia, nella maggior partedei casi, la diretta correlazio-ne di questi disturbi con il far-maco non è stata confermata.Va però sottolineato che itra-conazolo in formulazione en-dovenosa non deve essere uti-lizzato in pazienti con clearan-ce della creatinina inferiore a30 mL/min, dato che la ciclo-destrina viene interamente eli-minata per via renale14-16,22-24,32.

Studi clinici conitraconazolo in formu-lazione endovenosanel paziente leucemicoe trapiantato di midol-lo osseo

Profilassi

Recenti studi di metanalisi estudi clinici di confronto di-retto con fluconazolo dimo-strano la superiorità di itra-conazolo (in soluzione oraleo in formulazione endoveno-sa) nella profilassi dei pazien-ti affetti da leucemia acuta edin quelli sottoposti a trapian-to di midollo osseo allogeni-co27-32,34-36. In particolare que-sti studi hanno dimostrato chela profilassi nei pazienti ad altorischio con itraconazolo, ri-

spetto a quella con fluconazo-lo, è in grado di ridurre l’inci-denza di infezioni specificheda Aspergillus spp. del 48%,quella delle infezioni fungineinvasive del 53% e la mortali-tà IFI correlata del 47%35.Tra gli studi più recenti, inambito profilattico, va certa-mente ricordato lo studio pub-blicato da Winston su Annalsof Internal Medicine nel 2003;si tratta di uno studio in aper-to, randomizzato, multicentri-co (5 centri) che ha confron-tato l’efficacia e la tollerabili-tà di una profilassi a lungo ter-mine con itraconazolo endo-vena e successivamente per osversus una profilassi con flu-conazolo, in 140 pazienti sot-toposti a trapianto di midolloosseo allogenico. In questostudio, itraconazolo è risulta-to superiore a fluconazolonella profilassi a lungo termi-ne, con una riduzione signifi-cativa sia dell’incidenza di IFI(9% nel gruppo itraconazoloverso 25% nel gruppo fluco-nazolo) che della mortalitàfungo-correlata nel braccio

itraconazolo (9% vs 18%)29,34.Uno studio analogo al prece-dente, ma monocentrico (200pazienti sottoposti a trapian-to di midollo osseo o affetti daleucemia acuta), pubblicato suBone Marrow Transplanta-tion nel 2006, ha confermatola superiorità di itraconazoloformulazione endovenosa inprofilassi rispetto alla stessaformulazione di fluconazo-lo28.Un altro recente studio ran-domizzato di profilassi (AAC2006) ha confrontato itracona-zolo in formulazione endove-nosa versus caspofungina in200 pazienti ematologici, conleucemie acute (70%) e sindro-mi mielodisplastiche (30%),sottoposti a chemioterapiaaplastizzante, mostrando pariefficacia e tollerabilità dei 2farmaci37 (figura 3).Non sono ancora disponibilistudi diretti di confronto traitraconazolo formulazioneendovenosa e i nuovi azoli(voriconazolo e posaconazo-lo) nella profilassi dei pazien-ti ematologici ad alto rischio.

Figura 3. Efficacia e tollerabilità di itraconazolo e caspofungina nel-la profilassi di pazienti ematologici sottoposti a chemioterapiaaplastizzante. (Tratta da Mattiuzzi 200637).

60

50

40

30

20

10

0

Itraconazolo

Caspofungina

Efficaciadella

profilassi

IFIdocumentate

Necessitàdi terapiaempirica

Interruzioneper AE

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 159

Itraconazolo in formulazione endovenosa

Terapia empirica e mirata

Uno studio controllato, ran-domizzato, multicentrico,pubblicato su Annals of Inter-nal Medicine nel 2001, hacomparato itraconazolo informulazione endovenosa per14 giorni, ed a seguire comesoluzione orale, versus amfo-tericina B desossicolato, in te-rapia empirica, in 384 pazien-ti neutropenici febbrili (oltreil 60% dei quali affetti da leu-cemia acuta). Lo studio ha do-cumentato un’equivalenza dei2 farmaci in termini di effica-cia (risposta nel 47% dei casitrattati con itraconazolo e nel38% dei casi trattati con amfo-tericina B), di incidenza di IFIintercorrenti e in termini dimortalità nella popolazionestudiata. L’itraconazolo, inquesto studio, si è inoltre di-mostrato significativamentemeglio tollerato rispetto al far-maco comparatore; infatti lapercentuale di eventi avversicorrelabili al farmaco è statadel 5% per itraconazolo e del54% per amfotericina B, men-tre il tasso di abbandono è sta-to del 19% per itraconazolo edel 38% per amfotericina B. Inconclusione, questo studiosupporta l’efficacia e la tolle-rabilità di itraconazolo in for-mulazione endovenosa nellaterapia antifungina empiricain pazienti neutropenici adalto rischio di IFI38.Risultati analoghi sono deriva-ti anche da un recente studiomonocentrico in 96 pazientineutropenici febbrili con leuce-mia acuta (oltre 80%) e sindro-me mielodisplastica (10%)39.In terapia mirata, itraconazo-lo in formulazione endoveno-sa è risultato efficace nel trat-tamento dell’aspergillosi inva-siva in pazienti oncoematolo-gici severamente immuno-compromessi. In uno studio

condotto su 31 pazienti conaspergillosi polmonare invasi-va trattati con itraconazolo ev(400 mg/die per i primi 2 gg,quindi 200 mg/die sino al 14°giorno e successivo passaggioall’orale), è stata osservata unarisposta clinica (completa oparziale) nel 48% dei pazientitrattati, con un buon profilodi sicurezza del farmaco e conil raggiungimento di concen-trazioni plasmatiche terapeu-tiche entro il secondo giornodi terapia in oltre il 90% deipazienti trattati40.Itraconazolo si è dimostratoefficace anche come terapia disalvataggio, seppur in uno stu-dio di piccole dimensioni, inpazienti ematologici severa-mente immunodepressi conaspergillosi polmonare giàtrattati con amfotericina B.L’itraconazolo è stato sommi-nistrato endovena alla poso-logia standard di 400 mg/diex 2 giorni, quindi 200 mg/dieper altri 12 giorni e successi-vamente, a partire dal 15°giorno di terapia e sino alla12° settimana, come orale(400 mg/die); 11/21 pazientitrattati (52%) hanno ottenutouna risposta (completa o par-ziale)41.Va sottolineato inoltre che,evidenze in vitro e dati preli-minari in vivo, dimostrano uneffetto sinergico e la fattibili-tà di una associazione itraco-nazolo–echinocandine neltrattamento dell’aspergillosiinvasiva42-44.

Interazionifarmacologiche

Anche itraconazolo, come glialtri azoli, interferisce con lesostanze metabolizzate dal ci-tocromo CYP3A4. E’ pertan-to necessario evitare la conco-mitante somministrazione diitraconazolo e dei seguenti far-

maci: terfenadina, astemizolo,mizolastina, cisapride, dofeti-lide, chinidina, pimozide, si-mvastatina, lovastatina, ator-vastatina, eletriptan, alcaloididella vinca, midazolam e tria-zolam orale. E’ necessaria cau-tela nella co-somministrazio-ne di calcio antagonisti. Inol-tre, in corso di terapia con itra-conazolo, e’ necessaria una ri-duzione posologica di nume-rosi altri farmaci, tra i qualisono di interesse in ambitoematologico: anticoagulantiorali, inibitori delle proteasi,alcaloidi della vinca, busul-fan, digossina, carbamazepi-na, rifabutina, metilpredniso-ne, ciclosporina, tacrolimus,rapamicina32-34,45.Altri antimicotici azolici qua-li il voriconazolo ed il fluco-nazolo coinvolgono nel lorometabolismo ben 3 citocro-mi, il CYP3A4, il CYP2C9ed il CYP2C19 e pertantoquesti farmaci possono indur-re interferenze farmacologi-che maggiori rispetto a quel-le indotte dall’itraconazolo20.Inoltre, per voriconazolo, vatenuto presente, in termini dipotenziale d’interazione e divariabilità farmacocinetica in-ter-individuale, il polimorfi-smo genetico del CYP2C19,particolarmente diffuso fra lepopolazioni asiatiche (45%nella forma eterozigote e 20%nella forma omozigote di me-tabolizzatori lenti) e quellodel CYP2C9, prevalente in-vece fra la popolazione cau-casica20,46. Non è invece docu-mentato, in letteratura, unpolimorfismo genetico clini-camente significativo a cari-co del CYP3A420,46. Nella ta-bella 1 sono riassunte le prin-cipali raccomandazioni perun uso appropriato di itraco-nazolo nel paziente ematolo-gico.

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Interazioni diitraconazolo in formu-lazione endovenosacon tacrolimus eciclosporina

Ciclosporina A e tacrolimus,inibitori della calcineurina,estesamente usati come im-munosoppressori nel trapian-to di midollo osseo allogeni-co, sono metabolizzati preva-lentemente attraverso l’isoe-nzima CYP3A4. E’ stata do-

cumentata un’interazione traquesti immunosoppressori ei composti azolici, compresivoriconazolo, fluconazolo eposaconazolo20. Per quantoriguarda itraconazolo, unostudio recentemente pubbli-cato (2006) ha valutato le in-terazioni farmacocinetichedurante la somministrazioneendovenosa di itraconazolo edi ciclosporina o tacrolimusin pazienti sottoposti a tra-pianto di midollo allogenico.

Si tratta di uno studio con-trollato, monocentrico, con-dotto in 2 fasi45. Nella primafase sono state valutate le con-centrazioni allo steady-state ela clearance di ciclosporina otacrolimus somministrati dasoli; nella seconda fase sonostate valutate, negli stessi pa-zienti, le concentrazioni sie-riche e la clearance di ciclo-sporina e tacrolimus in corsodi somministrazione endove-nosa di itraconazolo. Nei 17

Posologia 2,5 mg/Kg per 2 volte/die (=200 mg bid) per i primi 2giorni quindi 2,5 mg/Kg per 1 volta/die (=200 mg od) pertutta la durata della neutropenia, poi possibile passaggio aformulazioni orali (200 mg x 2/die).

Durata terapia Dal giorno 0 (chemioterapia o reinfusione) sino alla risolu-zione della neutropenia, a seguire mantenimento con leformulazioni orali. In caso di trapianto allogenico profilassiconsigliata (ev o orale) fino al giorno 100 dalla reinfusione,ed anche oltre se il paziente assume corticosteroidi.

Monitoraggio concentrazioni OpzionaleConcentrazione plasmatica minima efficace (esclusi imetaboliti attivi) = 250-500 ng/ml.

Interazioni farmacologiche Controindicazioni: terfenadina, astemizolo, mizolastina,cisapride, dofetilide, chinidina, pimozide, simvastatina,lovastatina, atorvastatina, midazolam e triazolam orale,concomitanti alte dosi di ciclofosfamide. Farmaci chenecessitano di riduzione posologica: ciclosporina A,tacrolimus, digossina, warfarin, nifedipina, verapamil,busulfan, alcaloidi della vinca.

Tabella 1. Principali raccomandazioni per la profilassi e la terapia antifungina con itraconazolo endovenanel trapianto di midollo osseo allogenico e nella leucemia acuta. (Tratta da Glasmacher 200535 e RCPOS/IV).

Figura 4. Concentrazioni sieriche di tacrolimus ( ) e ciclosporina ( ) durante terapia ev conitraconazolo. (Tratta da Leather 200645).

30

25

20

15

10

5

350

300

250

200

150

100

50-4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6

Giorni dall’inizio della somministrazionedi itraconazolo

-3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6Giorni dall’inizio della somministrazione

di itraconazolo

Concentr

azio

ni di ta

cro

lim

us

(ng/m

L)

Concentr

azio

ni di cic

losporina

(ng/m

L)

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 161

Itraconazolo in formulazione endovenosa

pazienti studiati (9 riceventitacrolimus e 8 riceventi ciclo-sporina), che avevano com-pletato entrambe le fasi dellostudio, l’incremento mediodelle concentrazioni sierichedi ciclosporina e tacrolimus èrisultato pari all’80 ed all’83%rispettivamente, con una no-tevole variabilità interindivi-duale. In tutti i soggetti stu-diati le concentrazioni sieri-che medie dell’immunosop-pressore sono risultate au-mentate. L’incremento delleconcentrazioni di ciclospori-na o tacrolimus si è manife-stato entro 48-72 h dall’iniziodella concomitante sommini-strazione di itraconazolo45 (fi-gura 4).Questo studio è molto impor-tante in quanto chiarisce, nelsetting specifico del trapian-to di midollo osseo allogeni-co, l’entità delle interazionifarmacologiche tra itracona-zolo e questi due importantie ampliamente usati immuno-soppressori. Lo studio stabi-lisce inoltre la necessità diuno stretto monitoraggio del-le concentrazioni sieriche diciclosporina e tacrolimus el’opportunità di una loro ri-duzione posologica media (al-meno del 50%) quando som-ministrati in concomitanzacon itraconazolo endovena,ai fini di evitarne un sovra-dosaggio e i conseguenti effet-ti collaterali. Ciclosporina e

tacrolimus non alterano leconcentrazioni plasmatiche diitraconazolo45.L’interazione dell’itraconazo-lo con gli immunosoppresso-ri è reversibile ed il dosaggiodell’immunosoppressore puòessere riportato alle posologiestandard dopo circa 7-10 gior-ni dalla sospensione dell’anti-micotico azolico20. Le riduzio-ni posologiche raccomandatedei principali immunosopres-sori, in corso di concomitan-te terapia con azolici, sono ri-portate in tabella 2.

Conclusioni

Itraconazolo in formulazioneendovenosa, per la sua tolle-rabilità, lo spettro d’azione, lapossibilità di passaggio allaformulazione orale nella fasedi mantenimento, i costi con-tenuti, si propone sicuramen-te come farmaco ampiamenteutilizzabile e con la possibili-

tà di un approccio flessibile,sia in profilassi che in terapia,nel paziente sottoposto a tra-pianto di midollo osseo allo-genico o affetto da leucemiaacuta (tabella 3).L’utilizzo e l’efficacia dell’itra-conazolo nei pazienti emato-logici ad alto rischio, è suppor-tata da un’ampia letteraturascientifica e da studi di meta-nalisi. L’itraconazolo, in for-mulazione endovenosa, si pro-pone inoltre come farmacoantimicotico utile nelle terapiedi associazione soprattuttocon le echinocandine, con lequali è documentato, in vitroe in vivo, un effetto sinergico.Il farmaco può infine rappre-sentare un’importante opzio-ne terapeutica in pazienti conaspergillosi invasiva, comeconsol idamento/manteni-mento dopo una terapia di pri-ma linea o come salvataggio.Nei pazienti in concomitanteterapia con ciclosporina, ta-

Azolico Ciclosporina Tacrolimus Sirolimus

Ketoconazolo 70-80 50-60 80-90Fluconazolo (≥200 mg/die) 21-50 40* 50-70*Itraconazolo 50-60 50-60 No DataVoriconazolo 50 66 90**Posaconazolo 0-30* 75-80* No Data

*Dati disponibili limitati **Concomitante somministrazione è controindicata

Tabella 2. Riduzioni posologiche raccomandate (%) per gli immunosoppressori durante terapiaconcomitante con azolici. (Tratta da Saad 200620).

• Ampio spettro d’azione

• Disponibilità in formulazione orale ed endovena

• Elevata lipofilia, ampio volume di distribuzione

• Efficace penetrazione tissutale

• Steady-state a concentrazioni terapeutiche in 48 h conformulazione endovena

• Buona tollerabilità

• Basso potenziale di resistenza

Tabella 3. Profilo antimicotico di itraconazolo. (Dati da Winston200316, Willems 200117 e Pfaller 200529).

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162 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

A. Candoni, E. Simeone, F. Florio, et al.

crolimus, rapamicina, è ne-cessario un adattamento po-sologico di questi farmaci eun monitoraggio delle loro

concentrazioni sieriche. Inogni caso, tali interazioni, co-muni a tutti gli azoli, risulta-no gestibili dal punto di vista

clinico e non rappresentanouna limitazione all’uso del-l’itraconazolo in formulazio-ne endovenosa36.

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 163

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164 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 165

Review

L’acido urico come fattore di rischiocardiovascolare e renale

Implicazioni cliniche del trattamento con losartan

Roberto PontremoliDipartimento di Medicina InternaUniversità di GenovaViale Benedetto XV, 616132 Genova

Key- words:serum uric acidcardiovascular risklosartan

Serum uric acid as a cardiovascular and renal risk factorClinical impact of losartan treatment

SummaryOver the last several years, hyperuricemia has been associated to cardiovascular and renal events in thegeneral population as well as in several high risk subgroups such as patients with hypertension and diabetes.Nonetheless, serum uric acid is still too often underestimated as a prognostic factor and its independent role inpromoting cardiovascular and renal damage is debated. New, exciting clinical data from the LIFE study suggestthat in patients with primary hypertension changes of serum uric acid over time may significantly contribute tocardiovascular outcome. Losartan, due to its peculiar uricosuric properties, may thus provide additional car-diovascular and renal protection even beyond blood pressure lowering effect.

Pontremoli R. Serum uric acid as a cardiovascular and renal risk factor. Clinical impact of losartan treatment.Trends Med 2007; 7(2):165-172.© 2007 Pharma Project Group srl

L ’iperuricemia lieve è unreperto non raro nei pa-

zienti con ipertensione arte-riosa. Numerosi studi clinicihanno evidenziato una asso-ciazione tra livelli di acidourico e incidenza di eventicardiovascolari, soprattuttonei soggetti ad alto rischio enelle donne. I meccanismi pa-togenetici dell’effetto sfavore-vole dell’acido urico a livellotissutale e vascolare sono sta-ti oggetto di molti studi spe-rimentali. Tuttavia, poichél’iperuricemia lieve è spessoassociata ad altri tradizionalifattori di rischio quali dislipi-demia, diabete o sindromemetabolica, il suo ruolo indi-pendente nel promuovere losviluppo di danno vascolareè stato a lungo dibattuto. Re-centemente, i risultati dellostudio LIFE hanno risveglia-to l’interesse per questo argo-

mento, confermando che nonsolo l’uricemia ha un ruoloprognostico cardiovascolaresfavorevole ma che anche levariazioni di acido urico incorso di terapia antipertensi-va sono importanti e posso-no influenzare significativa-mente la prognosi del pazien-te. La maggior protezione ce-rebro e cardiovascolare osser-vata nello studio LIFE duran-te trattamento con losartanrispetto ad atenololo, a pari-tà di effetto antipertensivo, èinfatti, almeno in parte attri-buibile agli effetti uricosuricied ipouricemizzanti di losar-tan. Questa particolare pro-prietà del farmaco è dovutaalla struttura chimica del suoprecursore e non è riscontra-bile negli altri farmaci anti-pertensivi, neanche nelle mo-lecole della stessa classe far-macologica.

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166 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

R. Pontremoli

L’iperuricemia, unfattore di rischio spessotrascurato

Acido urico ed eventicardiovascolari

E’ stato dimostrato che unaumento anche lieve dell’uri-cemia si associa ad una mag-giore incidenza di eventi car-diovascolari, soprattutto nel-le donne e nei sottogruppi adalto rischio1-3. Gueyffier ecoll., analizzando il databaseINDANA (Individual DataAnalysis of AntihypertensiveIntervention Trials), hannoriscontrato che la prevalenzadi eventi cardiovascolari asso-ciati con l’aumento dei livellidi acido urico è paragonabilea quella attribuibile alla pre-senza di ipercolesterolemia oallo stato ipertensivo di per sè4.L’associazione tra acido uricoed eventi cerebro-vascolari èancora più forte nei pazientisottoposti a trattamento an-tipertensivo ed è indipenden-te dai livelli di pressione arte-riosa5 (figura 1). La relazionetra acido urico ed incidenzadi eventi è particolarmenteevidente nei pazienti con ma-lattie cardiovascolari concla-mate6. Anker e coll. hanno in-fatti osservato una correlazio-ne tra uricemia e mortalità incorso di scompenso cardiaco.Risultati analoghi sono de-scritti in pazienti con malat-tia coronarica, con infartomiocardico o pregresso ictuscerebrale7. Sebbene in questicasi l’aumento dei valori diuricemia possa essere attribu-ito ad una alterazione subcli-nica della funzione renale,l’associazione tra acido uricoe morbilità cardiovascolare ri-sulta essere indipendente daivalori di creatininemia. Osser-vazioni preliminari indicano

Figura 1. In uno studio osservazionale condotto su 7.978 pazienticon ipertensione lieve-moderata, nell’arco di un follow-up di 20 annii valori di uricemia registrati al basale correlavano con l’incidenza dieventi cardiovascolari. I pazienti con valori di uricemia più elevati(quarto quartile) mostravano un rischio di eventi cardiovascolari, ag-giustato per età e sesso, significativamente maggiore (RR 1.48, IC1.18-1.86) rispetto ai pazienti con valori di uricemia più bassi (primoquartile). (Modificato da Alderman et al. 19995).

Figura 2. I pazienti con ipertensione arteriosa essenziale e dannod’organo subclinico (ipertrofia ventricolare sinistra (IVS), ateroclerosicarotidea (ATS) e microalbuminuria) mostrano più elevati valori diuricemia. (Modificato da Viazzi et al. 200512).

14

12

10

8

6

4

2

0

Eventi CV

Eventi non CV

I II III IV

Quartili di uricemia

Tasso d

i eventi p

er

1.0

00 p

z/a

nno

360

340

320

300

280

260

Assente

Presente

SU

A µ

mol/

L p<0.05p<0.05

p<0.01

IVS (ECO) ATS carotidi Microalbuminuria

che l’associazione tra uricemiae incidenza di eventi cardio-vascolari persiste anche in pa-zienti con insufficienza rena-le sottoposti a trattamentoemodialitico cronico8. Percontro, altri studi condotti perlo più su popolazione genera-le, non hanno confermato l’as-sociazione tra acido urico emortalità cardiovascolare dopocorrezione per i fattori di ri-schio tradizionali9.

Numerosi studi trasversalihanno valutato i rapporti trauricemia e presenza di dannod’organo subclinico a livellovascolare, cardiaco e renale.Una associazione tra acidourico e presenza e gravità del-le lesioni aterosclerotiche a li-vello carotideo è stata spessoevidenziata in letteratura, seb-bene essa non fosse sempreindipendente da altre variabi-li10. Più solide le evidenze a

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 167

L’acido urico come fattore di rischio cardiovascolare e renale

favore di una associazione tradanno cardiaco (ipertrofiaventricolare sinistra, corona-ropatia) ed iperuricemia nelledonne11. Anche la presenza dialbuminuria è stata messa inrelazione con i livelli di urice-mia sia in pazienti con diabe-te mellito di tipo 2 sia in cor-so di ipertensione essenziale.In uno studio condotto su ol-tre 400 pazienti ipertesi nontrattati, abbiamo riscontratoun’associazione indipendentetra livelli di uricemia e presen-za di danno d’organo iperten-sivo nelle donne12 (figura 2).Questa associazione può ren-dere ragione della maggioreincidenza di eventi cardio ecerebrovascolari osservata neipazienti con iperuricemia lie-ve.

Acido urico e dannorenale

Un aumento dei valori di uri-cemia è assai frequente neipazienti nefropatici e può es-sere una conseguenza direttadella riduzione del filtrato glo-merulare. Tuttavia non èescluso che l’acido urico con-tribuisca esso stesso allo svi-luppo o alla progressione deldanno renale13. Sono infattinumerose le condizioni clini-che nelle quali l’effetto pato-geno dell’acido urico sullestrutture renali è documenta-to: dalla nefropatia uraticaacuta in corso di sindrome da

lisi tumorale, al danno nefro-angiosclerotico spesso associa-to a diatesi gottosa. Recente-mente il ruolo indipendentedell’acido urico nel promuo-vere il deterioramento del fil-trato glomerulare a lungo ter-mine è stato documentato sianella popolazione generale siain pazienti con glomerulone-frite cronica. In una coorte dioltre 48.000 soggetti giappone-si, i valori di uricemia si sonodimostrati predittivi di insuf-ficienza renale terminale an-che dopo aggiustamento peralcuni importanti fattori con-fondenti come la presenza diproteinuria, ipertensione e di-slipidemia14 (figura 3). In unostudio condotto su pazienticon glomerulonefrite cronicaa depositi mesangiali di IgA15,la presenza di iperuricemiacomportava un rischio quasicinque volte superiore di pro-gressione anche dopo corre-zione per le possibili variabiliconfondenti. I livelli di urice-mia erano inoltre correlati inmodo indipendente con la pre-senza e la gravità delle lesionivascolari e tubulointerstiziali

riscontrate mediante biopsiarenale. Altri studi, tuttavia,non hanno confermato questirisultati16,17. Nello studio Mo-dification of Diet in Renal Di-sease (MDRD) ad esempio,dopo aver aggiustato per i tra-dizionali fattori di rischio car-diovascolare e renale, i valoridi uricemia non mostravanocorrelazione con la prognosirenale.Nel complesso, dunque, i datipresenti in letteratura sugge-riscono, ma non provano de-finitivamente, un ruolo del-l’acido urico come fattore pro-gnostico indipendente di ma-lattia renale, specialmente nel-le donne e nella popolazionegenerale.

Meccanismi patogenetici

Gli studi condotti in vitro esull’animale da esperimentohanno consentito di identifi-care diversi meccanismi attra-verso i quali l’acido urico po-trebbe contribuire alla patoge-nesi del danno vascolare.Dopo essere entrato nella cel-lula muscolare liscia della pa-

L’iperuricemia è stata asso-ciata ad una maggiore in-cidenza di eventi cardiova-scolari e renali, tuttaviaessa è spesso sottostimatacome fattore di rischio nel-la pratica clinica, ed il suoruolo prognostico indipen-dente è ancora dibattuto.

Figura 3. Uno studio osservazionale condotto in Giappone su oltre48 000 soggetti, nel corso di un follow-up di sette anni, ha mostratouna correlazione tra valori di uricemia elevati e rischio di ESRD (EndStage Renal Disease). Tale associazione era particolarmente eviden-te nelle donne e rimaneva significativa anche dopo aggiustamentoper le variabili confondenti. (Modificato da Iseki K et al. 200114).

10

8

6

4

2

0Incid

enza c

um

ula

tiva d

i ESRD

per

10.0

00 p

z s

crinati

AU, mg/dl <7.0 ≥7.0 <6.0 ≥6.0N pz valutati 15.617 7.332 21.795 3.433

N pz con ESRD 19 34 19 31

UominiNS

Donnep=0.0002 RR 5.7

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168 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

R. Pontremoli

rete vascolare, l’acido urico èin grado di attivare varie pro-tein-kinasi e fattori trascrizio-nali con effetti pro-mitogeni(figura 4). Successivamentevengono stimolati vari media-tori di infiammazione, la ci-clossigenasi 2, il Platelet Deri-ved Growth Factor (PDGF),la proteina C e la proteina adazione chemioattrattiva suimonociti (MCP-1). L’insiemedi questi eventi porta all’iper-trofia della cellula muscolareliscia vascolare e ad attivazio-ne linfomonocitaria a livellointerstiziale. Altri meccanismipatogenetici sono all’opera neldeterminare la disfunzioneendoteliale e conseguentemen-te favorire lo sviluppo di ate-rosclerosi. E’ stato infatti di-mostrato che l’acido urico è ingrado di inattivare l’ossido ni-trico (NO) ed arrestare la pro-liferazione delle cellule endo-teliali18. La capacità di eserci-tare simultaneamente un’azio-ne proliferativa sulle cellulemuscolari lisce ed una inibito-ria sulle cellule endoteliali ren-de ragione degli effetti vascu-lotossici dell’acido urico osser-

vati in vari modelli sperimen-tali. Nell’uomo è stata descrit-ta una relazione tra acido uri-co ed alterazione della vasodi-latazione flusso mediata, unindice dell’attività in vivo del-l’ossido nitrico. Questi risul-tati tuttavia, non sono staticonfermati in un recente stu-dio che non ha evidenziatoalcun effetto immediato sul-l’endotelio dopo infusionee.v. di acido urico. D’altraparte è stato osservato chel’acido urico può produrreeffetti potenzialmente favore-voli grazie alla sua capacità diinteragire preferenzialmentecon i perossinitriti, producen-do così una stabilizzazionedell’attività dell’ossido nitri-co sintasi endoteliale. E’ sta-to inoltre dimostrato chel’acido urico può esercitareuna azione antiossidante sti-molando l’espressione del-l’enzima superossido dismu-tasi (SOD) extracellulare19.In conclusione, gli effetti sfa-vorevoli dell’acido urico a li-vello vascolare sono la risultan-te di una complessa combina-zione di meccanismi in parte

contrastanti. A livello renale,invece, l’acido urico è in gra-do, almeno nell’animale daesperimento, di stimolare l’at-tività del sistema renina-angio-tensina, favorendo l’insorgenzadi alterazioni ischemiche e scle-rotiche a livello glomerulare.

Acido urico come targetterapeutico nell’iper-tensione: lo studio LIFE

I dati ad oggi disponibili suglieffetti a lungo termine dellariduzione farmacologica del-l’acido urico sono assai limi-tati. A questo proposito, i ri-sultati dello studio LIFE han-no aperto nuove prospettiveterapeutiche per i pazienti conipertensione arteriosa.Lo studio LIFE (Losartan In-tervention For Endpoint re-duction) è stato disegnato alloscopo di confrontare gli effet-ti dell’uso del losartan rispet-to all’atenololo in pazientiipertesi con ipertrofia ventri-colare sinistra documentataall’elettrocardiogramma. Tra i9.193 partecipanti, 1.195 sog-getti erano diabetici al mo-mento dell’inclusione nellostudio20. I pazienti sono statirandomizzati a ricevere losar-tan o atenololo, entrambi auna dose di 50 mg al giorno.Allo scopo di raggiungere va-lori pressori inferiori a 140/90 mmHg era previsto un gra-duale adeguamento della tera-pia: aggiunta di 12.5 mg diidroclorotiazide (HCTZ), suc-cessivamente raddoppio delladose di atenololo o losartan edinfine, se necessario, ulterioredose di 12.5 mg di HCTZ o dialtro farmaco antipertensivoin aperto (ad eccezione diACEI, ARB, o β-bloccanti).L’end-point composito prima-rio era costituito dalla morta-lità per cause cardiovascolari,

Figura 4. Dopo essere entrato nella cellula muscolare liscia dellaparete vascolare, l’acido urico è in grado di attivare varie protein-kinasi e fattori trascrizionali con effetti pro-mitogeni e pro-infiam-matori. Il risultato finale è l’ipertrofia delle cellule muscolari liscedella parete vascolare (VSMC), l’infiammazione interstiziale e la di-sfunzione vascolare.

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 169

L’acido urico come fattore di rischio cardiovascolare e renale

ictus ed infarto miocardiconon fatali. End-point seconda-ri erano la mortalità totale,l’ospedalizzazione per anginapectoris o scompenso cardia-co, e la necessità di proceduredi rivascolarizzazione. Il fol-low-up medio è stato di 4.8anni. La pressione arteriosa altermine dello studio era 144/81 (±18/10) mmHg nel brac-cio trattato con losartan e 145/81 (±19/10) mmHg in quellotrattato con atenololo21. Afronte di una efficacia antiper-tensiva sovrapponibile nei duebracci terapeutici, nel gruppotrattato con losartan si è os-servata una riduzione del ri-schio relativo (RRR) dell’end-point composito del 14.6% ri-spetto ad atenololo (p=0.009).Tale risultato rimaneva alta-mente significativo anche ag-giustando per diversi fattoriconfondenti quali età, generemaschile o femminile ed i va-lori di pressione al basale(RRR del 13%, p=0.02). Inol-tre, il trattamento con losar-tan ha comportato una ridu-zione dell’incidenza di ictus(rischio relativo 0.75, p=0.001) rispetto ad atenololo. E’interessante osservare che ilmaggior beneficio osservatocon losartan rispetto ad ateno-lolo si è confermato anche aduna analisi condotta su sotto-gruppi di pazienti con svaria-te caratteristiche cliniche.Così, ad esempio, nei pazien-ti diabetici si è registrata unariduzione dell’end-point com-posito del 24% (p<0.03 vs ate-

nololo), mentre nei soggettisenza precedenti complicanzecardiovascolari la riduzione diictus è stata del 34% (p<0.001vs atenololo). Nei pazienti conipertensione sistolica isolata,un sottogruppo a rischio par-ticolarmente elevato di eventicerebrovascolari, la maggiorriduzione di ictus associata aterapia con losartan è stata del40% (p<0.02 vs atenololo), eaddirittura del 49% nei pazien-ti con fibrillazione atriale(p<0.02). A ciò si aggiungache nello studio LIFE, losar-tan ha mostrato maggiore ef-ficacia di atenololo nel preve-nire l’insorgenza di fibrillazio-ne ex novo (RRR 33%, IC0.59-0.89, p<0.001), un risul-tato che impone di considera-re seriamente le proprietà an-tiaritmiche di questa moleco-la anche nella pratica clinica.A questo proposito, in un re-cente studio condotto su 250pazienti ipertesi con recenteepisodio di fibrillazione atria-le parossistica, l’associazionedi losartan e amiodarone si èdimostrata superiore a quelladi amlodipina e amiodarone

nel prevenire la recidiva diepisodi di fibrillazione22.Quanto sopra descritto è an-cora più rilevante quando siconsideri che il trattamentocon losartan è dotato di unprofilo di tollerabilità e sicu-rezza nettamente superiore aquello di atenololo; caratteri-stica che è stata confermataanche nei confronti delle altreclassi di farmaci antipertensi-vi e che è ritenuta propria del-la classe degli inibitori recet-toriali dell’angiotensina.Nello studio LIFE, i valori diuricemia hanno mostrato unatendenza ad aumentare neltempo in misura significativa-mente maggiore nei pazientitrattati con atenololo rispettoa quelli trattati con losartan(figura 5). Per la prima volta èstato inoltre dimostrato chevariazioni di uricemia nel tem-po comportano altrettante si-mili variazioni di mortalitàcardiovascolare. Infatti, sia ivalori di uricemia registrati albasale sia quelli riscontrati incorso di trattamento eranopredittivi per quanto riguardal’end-point primario. Ciò era

I risultati dello studio LIFEsuggeriscono che le varia-zioni di uricemia in corso ditrattamento antipertensivocontribuiscono in modo si-gnificativo alla prognosicardiovascolare.

Figura 5. Nello studio LIFE, a parità di effetto antipertensivo, il trat-tamento con losartan si associava ad un minor aumento dei valori diuricemia nel tempo rispetto ad atenololo. La miglior protezione cardioe cerebrovascolare osservata con losartan era attribuibile alle varia-zioni di uricemia in misura non trascurabile (circa il 30%). L’effettouricosurico di losartan è dovuto alla particolare struttura chimica dellasua molecola e non si associa ad aumento di calcolosi uratica. (Mo-dificata da Hoieggen A et al. 200423).

400

375

350

325

300

275

Uricem

ia,

µm

ol/

L

0 1 2 3 4 5 6 7 Anni

Losartan

Atenololo

p<0,0001

N=9193

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170 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

R. Pontremoli

particolarmente manifestonelle donne, anche dopo ag-giustamento per i principalifattori confondenti. Inoltre, aparità di effetto antipertensi-vo, il trattamento con losar-tan si associava ad un minoraumento dei valori di uricemianel tempo rispetto ad atenolo-lo. La miglior protezione car-dio e cerebrovascolare osserva-ta con losartan era attribuibilealle variazioni di uricemia inmisura non trascurabile (circail 29%, p=0.004)23 (figura 6).Inoltre, l’effetto uricosuricoed ipouricemizzante di losar-tan, dovuto alla particolarestruttura chimica della suamolecola, non si associa adaumento di calcolosi uratica.

Peculiarità dell’effettodi losartan sul metabo-lismo uratico

I risultati per alcuni versi sor-prendenti dello studio LIFEhanno risvegliato l’interesseper il ruolo dell’acido uricocome fattore di rischio cardio-vascolare ed in particolare cir-ca la possibilità di indurre far-macologicamente la riduzionedell’uricemia a lungo termine

Figura 6. Nello studio LIFE, sia i valori di uricemia registrati al basa-le sia quelli riscontrati in corso di trattamento erano indicativi diprognosi sfavorevole, particolarmente nelle donne, anche dopo ag-giustamento per i fattori confondenti. (Modificata da Hoieggen A etal. 200423).

95% CI

0.5 1 1.02

Tutti p<0.0001

Tutti (agg.) p=0.09

Donne p<0.0001

Donne (agg.) p=0.03

Uomini p<0.065

Uomini (agg.) p=0.41

al fine di migliorare la progno-si del paziente iperteso. L’au-mento dei valori di acido uri-co è infatti un riscontro nonraro nei pazienti ipertesi conprofilo di rischio elevato e laterapia antipertensiva costitui-sce generalmente un ulteriorefattore di peggioramento diquesto condizione. Pertanto,la possibilità di ottenere unariduzione clinicamente signi-ficativa dei valori di uricemiacome effetto ancillare di unaterapia antipertensiva di pro-vata efficacia, quale è l’impie-

go di losartan, costituisce unsignificativo avanzamento nel-l’armamentario terapeuticocardiovascolare. Negli ultimianni sono stati quindi condottialcuni studi per verificare laspecificità dell’effetto uricosu-rico ed ipouricemizzante dilosartan anche rispetto ad al-tri farmaci della classe degli A2antagonisti.Wurzner e coll. hanno valu-tato l’effetto di 50 e 100 mg/die di losartan rispetto a irbe-sartan (150-300 mg/die) inuno studio randomizzato,controllato, in doppio cieco,con cross over24. Un totale di13 pazienti con ipertensioneessenziale, con iperuricemia ogotta hanno completato lo stu-dio. Nell’arco di 16 settimanedi terapia losartan, ma non ir-besartan, ha determinato unaumento significativo dell’uri-cosuria ed una consensuale ri-duzione dell’uricemia (figura7). Tale effetto era già eviden-te alla dose di 50 mg/die e rag-giungeva il plateu dopo circadue mesi di terapia. In un al-tro studio randomizzato diconfronto tra losartan e val-sartan, condotto su 495 pa-zienti ipertesi per un periodo

Figura 7. L’effetto uricosurico ed ipouricemizzante di losartan è tipi-co della molecola e non è condiviso da altri farmaci della stessaclasse. In questo studio ad esempio losartan, ma non irbesartan, è ingrado di ridurre l’uricemia a breve-medio termine. (Modificata daWurzner et al. 200624).

600

500

400

200

Uricem

ia (

µm

ol/

L)

Basale 4 settimane 8 settimane

Losartan, n=162

Irbesartan, n=163

p<0.001p<0.001

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 171

L’acido urico come fattore di rischio cardiovascolare e renale

di 12 settimane, a fronte di unsimile effetto antipertensivonei due bracci di studio, sololosartan ha determinato unasignificativa riduzione del-l’uricemia (da 6.0 a 5.7 mg/dL, p <0.001)25 (figura 8). Piùrecentemente Rayner e coll.hanno riportato i risultati diuno studio randomizzato,controllato, in aperto nel qua-le 59 pazienti ipertesi con ipe-ruricemia sono stati rando-mizzati a ricevere losartan ocandesartan in associazionead un diuretico tiazidico perun periodo di sei mesi26. An-cora una volta a fronte di unsimile effetto antipertensivo,solo losartan è stato in gradodi ridurre significativamentei valori di uricemia. Infine,Puig ha studiato il metaboli-smo uratico in 58 pazientiipertesi, randomizzati a rice-vere per quattro settimane lo-sartan 50 mg/die o eprosar-tan 600 mg/die27. Al terminedello studio non si sono evi-denziate differenze di urice-mia rispetto al basale in en-trambi i bracci, ma il tratta-mento con losartan si associa-va ad un significativo aumen-to dell’escrezione urinaria diacido urico. In conclusione,la maggior parte degli studi pre-senti in letteratura evidenzia

una specifica azione uricosuri-ca ed ipouricemizzante di losar-tan, che si attua mediante unariduzione dell’assorbimento diurati a livello tubulare renale.Tale effetto è dovuto alla strut-tura chimica di losartan precur-sore e non è riscontrabile neglialtri farmaci antipertensivi,neanche nelle molecole dellastessa classe farmacologica.

Conclusioni

Il ruolo dell’acido urico comefattore di rischio cardiovasco-lare e renale è stato a lungodibattuto nella letteraturascientifica ed il significatoprognostico sfavorevole del-l’uricemia è spesso trascura-to nella pratica clinica. Lo stu-dio LIFE ha dimostrato, perla prima volta, che i valori diacido urico hanno un ruoloindipendente nel favorire l’in-cidenza di eventi cerebro ecardiovascolari, ma soprattut-

to che le variazioni di urice-mia a lungo termine in corsodi trattamento antipertensivosi accompagnano ad analoghevariazioni dello stato di rischiodel paziente. Circa il 30 % delmaggior beneficio riscontratocon losartan rispetto ad ateno-lolo nel corso dello studioLIFE sembra attribuibile allevariazioni di uricemia indotteda losartan. Losartan infatti,unico tra i farmaci attualmen-te impiegati nel trattamentodell’ipertensione, associa un ef-fetto uricosurico ed ipourice-mizzante all’azione antiper-tensiva. Questi risultati sonoancora più rilevanti per la pra-tica clinica, quando si consi-deri che, soprattutto nei pa-zienti ad elevato rischio, ilcontrollo pressorio è spessodifficile da raggiungere e l’im-piego dei farmaci antiperten-sivi è spesso limitato dalla pre-senza di comorbilità o effetticollaterali.

Losartan, grazie alla suaspecifica attività uricosuri-ca, può conferire protezio-ne cardio- e cerebrovasco-lare addizionale, in parteindipendente dall’effettoantipertensivo.

Figura 8. In uno studio randomizzato di confronto tra losartan evalsartan, condotto su 495 pazienti ipertesi per un periodo di 12settimane, a fronte di un simile effetto antipertensivo nei due braccidi studio, solo losartan era in grado di determinare una significativariduzione dell’uricemia. (Modificato da Elliott WJ et al. 200125).

0.2

0.1

0

-0.1

-0.2

-0.3

-0.4

Variazio

ni m

edie

ris

pett

o a

lbasale

(m

g/d

SEM

)

Losartan

Valsartan

p<0.001

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 173

Review

Efficacia e tollerabilità della capecitabina, da solaed in associazione, nel trattamento dei pazienti con

tumore del colonRevisione delle evidenze cliniche

Claudia Sandomenico,Rossana Casaretti, LucaFranco, Pasquale ComellaOncologia Medica A, Istituto Nazionaledei Tumori “ G. Pascale”, Napoli

Claudia SandomenicoU.O.C. Oncologia Medica AINT “G. Pascale”via M. Semola80131 NapoliTel 081-5903591, Fax 081-5903821e-mail [email protected]

Efficacy and tolerability of capecitabine, alone and in combination, in themanagement of colon cancer patientsA review of the evidence

SummaryCapecitabine, a pro-drug of 5-fluorouracil (5FU) that can be assumed orally, has shown an efficacy, in terms ofprogression-free and overall survival, at least equivalent to standard leucovorin (LV)-modulated 5FU regimensin metastatic colorectal cancer patients. Moreover, capecitabine has shown a better tolerability profile, produ-cing significantly lower occurrence of severe stomatitis than 5FU/LV, rendering this drug particularly attractivefor treating elderly patients. In addition, capecitabine can be easily combined with other active drugs as irino-tecan or oxaliplatin. Indeed, the combination of capecitabine plus oxaliplatin (XELOX regimen) now representsa new standard of care for the metastatic disease, and is also under evaluation in the adjuvant setting. Thecombination of new biologic therapies such as bevacizumab to the XELOX regimen was shown to furtherprolong the time to progression of metastatic patients, and might reduce the risk of recurrence for resectedcolon cancer patients with poor risk factors.

Sandomenico C, Casaretti R, Franco L, et al. Efficacy and tolerability of capecitabine, alone and in combination,in the management of colon cancer patients. A review of the evidence. Trends Med 2007; 7(2):173-180.© 2007 Pharma Project Group srl

Key words:capecitabine5-fluorouracilcolon cancercolorectal

I l cancro del colon-retto(CCR) è uno dei più comu-

ni tumori maligni che colpi-sce sia gli uomini che le don-ne in Occidente1. Nonostan-te il grande impegno dedica-to alla prevenzione e/o alladiagnosi precoce del cancrodel colon, in circa il 50% deipazienti la malattia viene giàdiagnosticata in fase avanza-ta e la chirurgia non rappre-senta un approccio curativo.Infatti, la sopravvivenza glo-bale (SG) a 5 anni dopo lachirurgia è di circa il 67% deipazienti con coinvolgimentodei linfonodi regionali, ed èsolo del 10-30% se sono giàpresenti metastasi a distanza.Per questo gruppo di pazien-ti, la chemioterapia, sebbenenon curativa, può aumentarela sopravvivenza libera da

progressione (SLP) e la SG.Il 5-fluorouracile (5FU) è sta-to il primo farmaco disponi-bile per il trattamento delCCR metastatico. Esplica lasua principale attività citotos-sica attraverso il legame delsuo metabolita, il 5-fluori-de-os s i -u r id in -monofos f a to(5FdUMP), con l’enzima timi-dilato sintetasi (TS). Questolegame inibisce l’attività enzi-matica della TS che è necessa-ria per la sintesi del DNA. Illegame del 5FdUMP alla TSviene aumentato e stabilizza-to dalla presenza del leucovo-rin (LV), da qui il razionaleper la somministrazione con-comitante dei due farmaci.Questa combinazione aumen-ta significativamente il tasso dirisposte globali (RG) e prolun-ga in modo significativo anche

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174 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

C. Sandomenico, R. Casaretti, L. Franco, et al.

la SLP e la SG rispetto al 5FUda solo in pazienti con malat-tia metastatica2.Il regime standard nel tratta-mento adiuvante dei pazienticon cancro del colon operatiradicalmente, in stadio II adalto rischio e stadio III, è statofino a poco tempo fa il regi-me Mayo Clinic, che includeil 5FU 450 mg/mq + LV 20mg/mq, entrambi sommini-strati per 5 giorni consecutiviogni mese per 6 cicli3. Negliultimi anni, almeno in Euro-pa, il trattamento bisettimana-le con LV 200 mg/mq infusoin due ore più 5FU sommini-strato in bolo (400 mg/mq) edin infusione (600 g/mq in 22ore) per due giorni consecuti-vi (LV5FU2) ha sostituito,nella pratica clinica, il regimein bolo, sulla base dell’eviden-za della sua migliore tollera-bilità4.

La capecitabina comeagente singolo neltrattamento del CCRmetastatico

La capecitabina è stata sinte-tizzata come profarmaco del5FU, che può essere sommi-nistrata oralmente. La sua bio-disponibilità è quasi del 100%e la C max plasmatica e l’AUCsono proporzionali in modolineare alla dose orale. Dopouna dose singola standard di1.250 mg/mq, il picco di con-centrazione plasmatica è rag-giunta in 1,5-2 ore. La capeci-tabina viene poi metabolizza-ta in 5FU in tre passaggi me-tabolici. Una volta che il far-maco è stato assorbito attra-verso la parete intestinale eraggiunge il fegato, la capeci-tabina viene trasformata in 5’-deossi-5-fluorocitidina (5’-DFCR) dall’enzima carbossilesterasi. Il 5’-DFCR viene

quindi metabolizzato in 5’-deossi-5-fluoridina (5’-DFUR)dalla citidina deaminasi, unenzima ubiquitario con alteconcentrazioni nel fegato, nelplasma e nel tessuto tumora-le. Alla fine, il 5’-DFUR è tra-sformato in 5FU dalla timidi-na fosforilasi, che è presentein concentrazioni da 3 a 10volte superiori nei tumori so-lidi rispetto ai tessuti normaliadiacenti. La maggiore con-centrazione di timidina fosfo-rilasi nei tessuti tumorali per-mette di avere una concentra-zione finale circa 3 volte su-periore rispetto ai tessuti nor-mali5,6.La capecitabina è stata studia-ta prima di tutto in pazientiaffetti da CCR metastatico.Studi preliminari di fase I-IIhanno definito la dose racco-mandata, che è risultata esse-re 1.250 mg/mq due volte algiorno (ogni 12 ore) per duesettimane consecutive ed unasettimana di riposo, ripetendoil ciclo ogni 3 settimane7.Successivamente, due studirandomizzati di fase III han-no confrontato la capecitabi-na orale con il trattamentostandard con 5FU/LV e.v.(Mayo Clinic) in pazienti conCCR metastatico. In entram-bi gli studi, l’obiettivo prima-rio era dimostrare che la ca-pecitabina era efficace almenoquanto il 5FU/LV in terminidi tasso di risposte (RR). Lacapecitabina è stata sommini-strata in entrambi gli studi alladose totale raccomandata di2.500 mg/mq al giorno perdue settimane ogni tre, con-frontata con il trattamentostandard Mayo Clinic sommi-nistrato ogni 4 settimane. Inuno di questi studi, la capeci-tabina ha ottenuto una RGsignificativamente più alta delregime Mayo Clinic (25,8% vs

11,6%). Tuttavia la mediana ditempo al fallimento della te-rapia (4,1 vs 3,1 mesi), la SLP(4,3 vs 4,7 mesi), e la SG (12,5vs 13,3 mesi) non erano diffe-renti in modo significativo.Questi risultati hanno dimo-strato che la capecitabina è ef-ficace quanto il regime MayoClinic nei pazienti metastati-ci8. Inoltre i pazienti trattaticon capecitabina hanno pre-sentato una percentuale mino-re di tossicità di grado 4 rispet-to al 5FU/LV (2,7% vs 4,8%).Più in dettaglio, i pazienti trat-tati con 5FU/LV hanno pre-sentato una percentuale piùalta di stomatite grave (16% vs3%), mentre la capecitabina haprovocato una maggiore inci-denza di sindrome mani-piedi(18% vs 1%) e l’incidenza didiarrea severa è stata simile(14% vs 15%). Nello studiocondotto da Van Cutsem etal.9, la RG è stata 18,9% per lacapecitabina e 15% per il5FU/LV (differenza non sta-tisticamente significativa), di-mostrando che la capecitabi-na è almeno equivalente al re-gime Mayo Clinic. Anche inquesto studio non si sono os-servate differenze nella SLPmediana tra i due gruppi (5,2vs 4,7 mesi). Anche la SG eraequivalente, con una medianadi 13,2 mesi per il gruppo trat-tato con la capecitabina e 12,1mesi per il gruppo 5FU/LV.Anche in questo studio le sto-matiti severe sono state osser-vate con frequenza maggiorenei pazienti trattati con 5FU/LV (13,3% vs 1,3%) e la sin-drome mani-piedi di grado 3è stata osservata solo nei pa-zienti trattati con capecitabi-na (16,2% vs 0,3%); la compar-sa di diarrea severa è stata si-mile con entrambi i trattamen-ti (10,7% vs 10,4%). Un’anali-si più approfondita dei due

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 175

Efficacia e tollerabilità della capecitabina, da sola ed in associazione, nel trattamento dei pazienti con tumore del colon

studi ha mostrato che sonostati necessari meno ricoveriospedalieri per gli effetti col-laterali legati alla terapia(11,6% vs 18,8%) ed un nume-ro minore di visite medichenei pazienti trattati con la ca-pecitabina rispetto al 5FU/LV10.Considerato il miglior profi-lo di tossicità ed la possibilemaggiore accettabilità da par-te del paziente nei confrontidi una terapia orale11,12, la ca-pecitabina è stata valutata inuno studio a braccio singoloper il trattamento dei pazien-ti anziani (età ≥70 anni) affet-ti da carcinoma del colon me-tastatico. La dose di capecita-bina utilizzata in questo stu-dio è stata 1.250 mg/mq duevolte al giorno nei giorni 1-14ogni 3 settimane, a meno chenon fosse stata evidenziata unaclearance della creatinina di30-50 ml/min. In questo casoè stata somministrata una doseridotta (950 mg/mq due volteal giorno). In questo studio,che ha arruolato 51 pazienti,la RG è stata 24% e la SLP e laSG mediane sono state di 7 ed11 mesi rispettivamente. La ca-pecitabina è stata tolleratamolto bene, perchè le tossici-tà di grado 3 e 4 (diarrea, sin-drome mani-piedi e trombo-citopenia) sono comparse soloin 6 pazienti (12%). Tra i 35pazienti valutabili per il bene-ficio clinico, 14 pazienti (40%)hanno mostrato questo bene-ficio per un tempo medianodi 4 mesi13.Dal punto di vista farmaco-economico, la capecitabina hamostrato un vantaggio costo-beneficio rispetto al 5FU/LVanche nella malattia metasta-tica14,15. In considerazione delbasso profilo tossico, la cape-citabina è stata considerata percombinazioni sia con l’irino-

tecano che con l’oxaliplatinonella prima linea di trattamen-to del carcinoma del colon-ret-to metastatico.L’irinotecano è stato il primofarmaco nuovo che ha dimo-strato una rilevante attività inmonoterapia nei pazienti concarcinoma del colon ed haprodotto una maggiore RG epiù lunghe SLP ed SG dei pa-zienti quando è stato utilizza-to con il 5FU/LV. Saltz et al.hanno confrontato l’irinoteca-no 125 mg/mq più 5FU 500mg/mq e LV 20 mg/mq, datinello stesso giorno una voltaalla settimana per 4 settimaneogni 6, con il regime di 5FU/LV dato ogni giorno per 5giorni ogni 4 settimane(Mayo Clinic)16. Il regime dicombinazione ha dato unaRG significativamente supe-riore (39% vs 21%) ed un pro-lungamento significativo del-la SLP (mediana 7,0 vs 4,3mesi) e della SG (mediana 14,8vs 12,6 mesi) rispetto al 5FU/LV. Douillard ed al. hannoconfrontato l’aggiunta dell’iri-notecano (80 mg/mq o 180mg/mq) al 5FU/LV in infu-sione settimanale (regimeAIO) o bisettimanale (regimeLV5FU2), rispettivamente. Lamaggior parte dei pazienti èstata trattata con il regimeLV5FU2, mentre il 25% diloro ha ricevuto il regime AIO(con o senza irinotecano)17.L’irinotecano aggiunto ad en-trambi i trattamenti ha au-mentato significativamente lapercentuale di RG conferma-te (41% vs 23%), la SLP me-diana (6,7 vs 4,4 mesi) e la SGmediana (17,4 vs 14,1 mesi).Nello stesso tempo altri ricer-catori hanno valutato la com-binazione dell’oxaliplatinocon il LV5FU2. de Gramontet al. hanno dimostrato che ilFOLFOX4 (oxaliplatino 85

mg/mq nel giorno 1 piùLV5FU2) ha ottenuto un si-gnificativo aumento della RG(51% vs 22%), e della SLP (9,0vs 6,2 mesi) rispetto al regimeLV5FU218. Pluzanska et al.hanno ottenuto un incremen-to significativo della RG (54%vs 30%) e della SLP (8,0 vs 6,0mesi) aggiungendo l’oxalipla-tino al regime LV5FU2 infu-sionale19. Inoltre Grothey etal. hanno riportato una RG(48,3% vs 22,6%) ed una SLP(7,9 vs 5,3 mesi) significativa-mente maggiori con la com-binazione di oxaliplatino ed ilregime AIO 5FU/LV rispet-to al regime Mayo Clinic20.Tuttavia, in nessuno di questistudi, la SG era prolungata inmodo significativo probabil-mente per l’efficacia della te-rapia di salvataggio.

La capecitabina incombinazione per iltrattamento del CCRmetastatico

In considerazione dei pregressirisultati dei regimi di combi-nazione, uno studio multicen-trico di fase II ha valutato lacapecitabina in combinazionecon l’oxaliplatino: l’oxalipla-tino a 130 mg/mq è stato som-ministrato il giorno 1, e la ca-pecitabina 2.000 mg/mq è sta-ta assunta ogni giorno per duesettimane, ripetendo il cicloogni 21 giorni. Questo regimeXELOX ha ottenuto una RGdel 55%, una SLP mediana di7,7 mesi, ed una SG di 19,5mesi. Il regime XELOX è sta-to estremamente ben tollera-ta, provocando una tossicitàematologica severa in pochipazienti (neutropenia 7%,trombocitopenia 4%). I prin-cipali effetti collaterali nonematologici sono stati diarrea(16%), vomito (13%) e neuro-

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C. Sandomenico, R. Casaretti, L. Franco, et al.

patia (16%)21. Un’analisi retro-spettiva sull’attività e la tossi-cità di questo regime non hamostrato differenze tra i pa-zienti con meno di 65 anni edi pazienti più anziani22. La tol-lerabilità e l’attività del regi-me XELOX nei pazienti an-ziani (età ≥70 anni) è stata con-fermata da uno studio succes-sivo, usando un aumento didose intra-paziente sia dellacapecitabina che dell’oxalipla-tino nei primi tre cicli, inizian-do con 85 mg/mq di oxalipla-tino e 2000 mg/mq/die di ca-pecitabina. Dopo aver tratta-to 35 pazienti, la dose dellacapecitabina non è stata au-mentata nei pazienti successi-vi, mentre l’oxaliplatino è sta-to aumentato da 85 mg/mqnel primo ciclo fino a 130 mg/mq nel terzo ciclo. La RG èstata del 40%, la SLP medianaè stata di 8,5 mesi e la SG me-diana è stata 14,4 mesi. Conla dose di 2.000 mg/mq/die dicapecitabina, solo il 7% deipazienti ha presentato diarreasevera23.Altri ricercatori hanno ripor-tato risultati simili con la com-binazione di capecitabina edoxaliplatino in studi di fase II,indipendentemente dall’etàdei pazienti24,25. Sulla base diquesti risultati, sono stati con-dotti degli studi di fase III perconfrontare la capecitabinacon il 5FU/LV in combina-zione con l’oxaliplatino.Infatti, il regime FUFOX, nelquale 5FU 2000 mg/mq (ininfusione continua di 24 ore),LV 500 mg/mq e oxaliplatino50 mg/mq sono somministra-ti settimanalmente per 4 setti-mane e 2 settimane di riposo,è stato confrontato con il re-gime CAPOX, nel qualel’oxaliplatino 70 mg/mq ilgiorno 1 e 8 e la capecitabina2000 mg/mq/die per 2 setti-

mane, sono stati somministra-ti ogni 3 settimane: non è sta-ta osservata alcuna differenzasignificativa tra RG (47% vs49%), SLP mediana (7,0 vs 8,0mesi) o SG (16,3 vs 17,2mesi)26.In uno studio spagnolo, il re-gime settimanale con 2.250mg/mq di 5FU in infusionecontinua di 48 ore più oxali-platino a 85 mg/mq dato ognidue settimane, è stato confron-tato con il regime XELOXstandard dato ogni 3 settima-ne. La SLP e la SG medianedei due regimi sono state com-parabili (8,9 vs 9,5 e 18,8 vs21,2 mesi, rispettivamente) mail regime XELOX ha provo-cato una percentuale lieve-mente inferiore di diarrea se-vera (14% vs 24%)27.Nello studio TREE-1, 147 pa-zienti sono stati randomizza-ti a ricevere il regime mFOL-FOX (oxaliplatino 85 mg/mqe LV 350 mg/mq il giorno 1,5FU 400 mg/mq in bolo e.v.e 2.400 mg/mq in infusionecontinua di 44 ore) ogni 2 set-timane, il regime bFOL (oxa-liplatino 85 mg/mq il giorno1, ed il 5FU 500 mg/mq più ilLV 20 mg/mq e.v. i giorni 1 e8, ogni 2 settimane), oppure ilregime XELOX ogni 3 setti-mane. In questo studio sonostati arruolati 213 pazienti. LaRG ottenuta da ciascun regi-me è stata 43%, 22% e 35%rispettivamente. Le SLP me-diane sono state di 8,7, 6,9 e5,9 mesi, mentre le SG corri-spondenti sono state di 19,2,17,9 e 17,2 mesi, rispettiva-mente. Tuttavia è stato osser-vato che il regime XELOXprovocava più spesso una se-vera disidratazione (27%) ri-spetto ai regimi mFOLFOX(8%) o bFOL (12%), mentrela diarrea di grado severo ave-va una frequenza simile con

tutti i trattamenti (31%, 33%,26%), e la frequenza di neu-tropenia di grado ≥3 è statainferiore con lo XELOX(15%) rispetto agli schemimFOLFOX (53%) o bFOL(18%). Quindi, quando è sta-to aggiunto il bevacizumab aquesti tre trattamenti (5 mg/kg e.v. ogni 2 settimane con iregimi mFOLFOX e bFOL,7,5 mg/kg e.v. ogni tre setti-mane con lo XELOX), nellaseconda parte dello studio(studio TREE-2), la dose dicapecitabina in combinazionecon l’oxaliplatino è stata ridot-ta da 2.000 a 1.750 mg/mq/die per due settimane. L’ag-giunta di bevacizumab ha mi-gliorato tutti i parametri diefficacia nei 213 pazienti ar-ruolati nello studio TREE-2rispetto al TREE-1 (mFOL-FOX + bevacizumab: RG53%, SLP 9,9 mesi, SG 26,0mesi; bFOL + bevacizumab:RG 41%, SLP 8,3 mesi, SG20,7 mesi; XELOX + beva-cizumab: RG 48%, SLP 10,3mesi, SG 27,0 mesi). La com-parsa di disidratazione severa(8%) causata da XELOX +bevacizumab in questa coortedi paziente, è stata notevol-mente ridotta (tabella 1)28.I risultati dello studioNO16966 sono stati presentatiall’ ASCO GastrointestinalCancer Symposium nel 2007.Questo studio aveva comeprimo obiettivo quello di di-mostrare la non-inferiorità intermini di PFS del regimeXELOX rispetto al regimeFOLFOX4 nel CCR metasta-tico. Quando il bevacizumabè divenuto disponibile per usoclinico, il disegno dello studioè stato modificato, ed i pazien-ti sono stati randomizzati an-che a ricevere bevacizumab (5mg/kg ogni due settimane conil FOLFOX4 oppure 7,5 mg/

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 177

Efficacia e tollerabilità della capecitabina, da sola ed in associazione, nel trattamento dei pazienti con tumore del colon

Pazienti (%) TREE-1 TREE-2

mFOLFOX bFOL XELOX mFOLFOX bFOL XELOX(n=49) (n=50) (n=48) + beva + beva + beva

(n=71) (n=70) (n=72)

Neutropenia 53 18 15 49 19 10Disidratazione 8 12 27 6 14 8Diarrea 33 26 31 13 26 19Ipertensione 0 0 2 7 13 15ET*, arteriosi 2 0 0 0 0 3ET*, altri 10 4 2 10 10 4Nausea 16 14 19 6 11 11Vomito 14 10 19 1 13 10Neurotossicità 18 10 23 14 11 15Sindrome mano-piede 8 2 19 0 0 10Ogni grado 3/4 96 76 85 85 74 76

*eventi tromboembolici; Beva=bevacizumab

Tabella 1. Confronto delle tossicità severe dei due studi TREE-1 e TREE-2.

kg ogni tre settimane con loXELOX) o placebo in aggiun-ta ai regimi assegnati. Questostudio emendato ha permessodi dimostrare anche la superio-rità in termini di SLP dei trat-tamenti contenenti bevacizu-mab in confronto a quelli conil placebo. La non-inferioritàdello XELOX rispetto alFOLFOX4 è stata dimostra-ta, perchè la SLP è stata 8,0mesi vs 8,5 mesi, e l’hazardratio (HR) di progressione èstato 1,05 (97,5%, CI 0,94-1,18). Inoltre, lo XELOX haridotto il rischio di severa neu-tropenia ( 7% vs 44%), ma pro-vocato più casi di diarrea se-vera (20% vs 11%) rispetto alregime FOLFOX429. L’ag-giunta di bevacizumab sia alloXELOX che al FOLFOX4,non ha aumentato la RG diquesti regimi (47% vs 49%),ma ha prolungato significati-vamente la SLP mediana da8,0 a 9,4 mesi (HR=0,83,P=0,0023). Il bevacizumabnon ha aumentato in modosignificativo la tossicità rispet-to al placebo, con la sola ecce-zione dell’insorgenza di iper-tensione severa (3,7% vs1,2%)30.

Altri ricercatori hanno valu-tato la combinazione della ca-pecitabina con l’irinotecano inpazienti con CCR metastati-co. Bajetta et al. hanno valu-tato, in uno studio randomiz-zato di fase II, due regimi disomministrazione di questacombinazione: 140 pazientihanno ricevuto capecitabina a2.500 mg/mq/die dal giorno2 al giorno 15, più irinoteca-no a 300 mg/mq il giorno 1(braccio A) oppure a 150 mg/mq i giorni 1 e 8 (braccio B)ogni tre settimane. Tuttavia,durante lo studio, per ridurrel’incidenza di diarrea severa,la dose della capecitabina è sta-ta ridotta a 2.000 mg/mq/diein entrambi i bracci e l’irino-tecano è stato ridotto a 240mg/mq (braccio A) oppure a120 mg/mq (braccio B). LaRG è stata del 47% nel brac-cio A, e del 44% nel braccioB, mentre la SLP mediana èstata simile nei due bracci (8,3vs 7,6 mesi)31. Il gruppo sviz-zero per la ricerca clinica sulcancro ha valutato in modorandomizzato due diversi re-gimi di irinotecano, 70 mg/mq settimanale per 5 settima-ne consecutive (braccio A),

oppure 300 mg/mq (ridotto a240 mg/mq nella seconda par-te dello studio) ogni 3 settima-ne (braccio B), in combinazio-ne con la capecitabina a 1.000mg/mq due volte al giorno,nei giorni 1-14 e 22-35, ogni 6settimane. La RG è stata con-frontabile nei due bracci (34%vs 25% rispettivamente). Tut-tavia, la SLP (6,9 mesi vs 9,2mesi) e la SG (17,4 vs 24,7mesi) mediane sono state en-trambe in favore del braccioB, che ha anche provocato unapercentuale minore di diarreagrado 3/4 (braccio A: 34%,braccio B: 19%)32.La combinazione di capecita-bina ed irinotecano è stata va-lutata anche in studi di fase III.In uno studio, 430 pazientisono stati randomizzati a ri-cevere uno di tre regimi: FOL-FIRI (irinotecano bisettimana-le 180 mg/mq, LV 400 mg/mq, 5FU 400 mg/mq e.v. inbolo più 2400 mg/mq in infu-sione di 46 ore); mIFL (irino-tecano 125 mg/mq, LV 20mg/mq e 5FU 500 mg/mq per2 settimane ogni tre), o CapI-RI (irinotecano 250 mg/mq ilgiorno 1 e la capecitabina2.000 mg/mq per 14 giorni,

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178 Trends in Medicine Luglio 2007 Volume 7 Numero 3

C. Sandomenico, R. Casaretti, L. Franco, et al.

Risultati Senza bevacizumab ± celecoxib Con bevacizumab ± celecoxib

FOLFIRI mIFL CapIRI FOLFIRI + mIFL +(n=144) (n=141) (n=145) bevacizumab bevacizumab

(n=57) (n=60)

Risposta globale 47% 42% 38% 54% 53%SLP mesi 7.6 5.8 5.5 9.9 8.3SG mesi 23.1 17.6 18.9 NR 18.7Diarrea 13% 19% 48% 11% 12%Disidratazione 6% 7% 19% 5% 2%Neutropenia 40% 39% 31% 52% 29%Mortalità a 60 gg 2.9% 5.8% 3.5% 1.8% 6.8%

Tabella 2. Confronto dell’attività e della tossicità degli schemi indicati prima e dopo l’aggiunta delbevacizumab.

ogni tre settimane). In tutti ibracci, i pazienti sono anchestati randomizzati a ricevere ono celecoxib (un anti-COX-2)dato oralmente a 400 mg duevolte al giorno. L’aggiunta delcelecoxib non ha avuto alcuneffetto né sull’attività né sullatossicità dei tre regimi. Tutta-via, è importante sottolineareche lo schema CapIRI ha pro-vocato un aumento inaccetta-bile della comparsa di diarreasevera e disidratazione (48% e19%) rispetto ai regimi FOL-FIRI (13% e 6%) e mIFL (19%e 7%). Questa osservazione haportato alla chiusura di que-sto braccio di trattamentoquando è stato aggiunto il be-vacizumab (5 mg/kg ogni duesettimane, 7,5 mg/kg ogni tresettimane) agli schemi in stu-dio. Quindi, nella secondaparte dello studio, sono statirandomizzati 117 pazienti aricevere FOLFIRI + beva-cizumab o mIFL + bevacizu-mab. Entrambi gli schemihanno mostrato un’attivitàmaggiore rispetto agli stessischemi senza bevacizumab(RG 57% e 68% e SLP 9,9 e8,3 mesi, rispettivamente (ta-bella 2)33.Uno studio simile è stato con-dotto dall’EORTC: 85 pazien-ti sono stati randomizzati aricevere FOLFIRI o CapIRI

± celecoxib. Lo studio è statochiuso precocemente perl’evento di 8 morti non asso-ciate a progressione di malat-tia. Sei morti (5 correlate altrattamento) si sono verifica-te nel braccio CapIRI, e 2morti (entrambe correlate altrattamento) nel braccio FOL-FIRI. Inoltre, il 61% dei pa-zienti in terapia con lo sche-ma CapIRI ha richiesto la ri-duzione della dose rispetto alsolo 7% nel braccio FOLFI-RI34.

La capecitabina neltrattamento adiuvantedel cancro del colon

Per circa 15 anni, lo schemaMayo Clinic somministratoper 6 mesi, è stato considera-to il trattamento adiuvantestandard dei pazienti operatiper cancro del colon stadio IIalto rischio e stadio III. Que-sto trattamento si è dimostra-to attivo sia nei pazienti gio-vani che in quelli anziani, seb-bene i pazienti anziani sianotrattati meno frequentementecon la terapia adiuvante per lapreoccupazione riguardo latollerabilità di questo gruppodi pazienti.In base all’evidenza della mag-gior RG e della maggiore tol-lerabilità della capecitabina nei

pazienti metastatici, questotrattamento orale è stato va-lutato anche nella terapia adiu-vante. Il “Capecitabine Adju-vant Chemotherapy for Co-lon Cancer Trial” (X-ACT) haconfrontato la capecitabina1.250 mg/mq due volte al gior-no, dal giorno 1 al giorno 14,ogni 21 giorni con il regimeMayo Clinic nei pazienti concancro del colon operato sta-dio III. La durata totale deltrattamento è stata 24 settima-ne in entrambi i gruppi dipazienti. L’obiettivo primariodello studio è stato di dimo-strare che la sopravvivenza li-bera da malattia dei pazientitrattati con la capecitabina eraalmeno equivalente a quelladei pazienti trattati con loschema Mayo Clinic. Lo HRè stato 0,87, con il limite diconfidenza superiore =1,00,che è stato inferiore in modosignificativo (p<0,001) al li-mite superiore di 1,20 stabili-to per accettare l’equivalenzatra la capecitabina e il regime5FU/LV. Inoltre, a tre anni,il 3,6% in più dei pazienti trat-tati con la capecitabina eranoliberi da malattia rispetto algruppo trattato con 5FU/LV,e questa differenza si è dimo-strata marginalmente signifi-cativa (p=0,0528), mentre lasopravvivenza libera da reci-

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 179

Efficacia e tollerabilità della capecitabina, da sola ed in associazione, nel trattamento dei pazienti con tumore del colon

diva è stata superiore in modosignificativo (p=0,047). An-che la sopravvivenza globaleha mostrato una tendenza allasuperiorità con la capecitabi-na (HR=0,84, p=0,0706)35.Inoltre, l’analisi farmaco-eco-nomica dello studio ha mo-strato che, sebbene la capeci-tabina sia più costosa del regi-me 5FU/LV, l’utilizzo com-plessivo di risorse sanitarie èstato significativamente ridot-to dall’uso della capecitabinarispetto al 5FU/LV36.Successivamente, lo schemaXELOX è stato confrontatocon gli schemi standard Mayo

Clinic e Roswell Park nel trat-tamento adiuvante del cancrodel colon stadio III. L’analisidella tollerabilità di questo stu-dio è stata riportata recente-mente: la comparsa di tossici-tà di grado ≥3 è stata a favoredello schema XELOX per laneutropenia (5,3% vs 10,9%),le neutropenia febbrile (0,2%vs 3,8%) e la stomatite severa(0,6% vs 7,9%); tuttavia, loXELOX ha provocato mag-giore tossicità cutanea (3,6% vs0,2%) e neurologica (8,1% vs0%)37.Inoltre, sulla base dei recentidati dello studio MOSAIC,

che ha mostrato che il regi-me FOLFOX4 per 12 cicli ri-duce il rischio di recidiva a 3anni rispetto allo stesso regi-me infusionale LV5FU2 sen-za l’oxaliplatino in pazienticon cancro del colon opera-to stadio II-III38, lo schemaFOLFOX4 è stato utilizza-to in recenti studi sulla tera-pia adiuvante. Infatti, lo stu-dio AVANT sta valutandol’aggiunta del bevacizumab(ogni due o tre settimane) alFOLFOX4 oppure allo XE-LOX nel trattamento adiu-vante del cancro del colonstadio II-III.

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Original article

Trattamento della nevralgia post-herpeticacon l’associazione di tramadolo, paracetamolo,

gabapentin ed anestetico locale:esperienza clinica su 26 pazienti

Marco PieriU.O. Anestesia e Rianimazione 1Azienda Ospedaliero-Universitaria PisanaStabilimento Ospedaliero di CisanelloVia Paradisa, 256124 Pisa (PI)Tel. 050/[email protected]

Treatment of post-herpetic neuralgia with a combination of tramadol,paracetamol, gabapentin and local anaesthetic: clinical trial on 26patients

SummaryThe aim of this trial was to assess the efficacy and tolerability of an analgesic treatment protocol for post-herpes neuralgia using a combination of tramadol, paracetamol, gabapentin, local anaesthetics and regionalelectroanalgesia. Even with a numerically limited sample, it is possible to state on the basis of the data gathe-red that the treatment protocol proposed is effective and safe, since it led to a decrease in pain symptoms andan improvement in quality of life, without significant side effects.

Pieri M. Treatment of post-herpetic neuralgia with a combination of tramadol, paracetamol, gabapentin andlocal anaesthetic: clinical trial on 26 patients. Trends Med 2007; 7(3):181-188.© 2007 Pharma Project Group srl

Introduzione

La neuropatia post-herpetica è una patologiadel sistema nervoso periferico conseguente l’in-fezione da Herpes Zoster, caratterizzata dadolore che permane da 1 a 3 mesi dopo la riso-luzione dell’eruzione cutanea.La neuropatia post-herpetica tende a risolversispontaneamente nei soggetti più giovani, men-tre rappresenta un’importante sfida terapeuti-ca nei soggetti di età avanzata. Si stima che il50% dei pazienti ultrasessantenni e il 15% ditutti i pazienti che hanno contratto la malattiariferisca persistenza o progressione del doloreo la sua ricomparsa dopo remissione clinica.Tali pazienti riferiscono un dolore continuo,urente e lancinante lungo il dermatomero coin-volto, spesso esacerbato dal contatto della cutelesionata1.L’Herpes Zoster si manifesta come un’eruzio-ne cutanea vescicolare caratterizzata da infiam-mazione del derma, presenza di corpi inclusiintranucleari, edema delle cellule dell’epider-mide, formazione di cellule giganti; le lesioniiniziali possono diventare secondariamenteinfette con eventuali processi necrotici edemorragici locali. La lesione guarisce attraver-so un processo di crostificazione e può lascia-

Key words:post-herpetic neuralgiatramadol

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re aree cutanee ipopigmentate e cicatriziali; levescicole generalmente crostificano in circasette giorni e guariscono in un mese2. L’eru-zione vescicolare è spesso preceduta e poi ac-compagnata da dolore locale anche molto se-vero, parestesie e/o disestesie a distribuzionedermatomerica3.Accurate descrizioni sulle caratteristiche cli-niche dell’infezione da Herpes Zoster sonopresenti già negli antichi annali. Nel 1831Bright suggerì l’origine neurologica dell’Her-pes Zoster per la caratteristica distribuzionedell’eruzione cutanea che richiamava il coin-volgimento nervoso segmentario; nel 1892von Bokay stabilì che Herpes Zoster e vari-cella erano differenti manifestazioni dello stes-so processo eziologico, ma si deve ad Hope-Simpson nel 1965 la teoria che lo Zoster siadeterminato dal virus della varicella latentenei gangli sensitivi e riattivato in condizionidi immunodepressione. Il virus varicella-zo-ster è stato poi isolato negli anni ’70 nei gan-gli dorsali di pazienti deceduti per linfomamaligno o per morbo di Hodgkin associatiad Herpes Zoster acuto, confermando la teo-ria precedente.In letteratura, l’incidenza dell’Herpes Zosterè stimata attorno ai 120-140 casi ogni 100.000persone, con una predisposizione progressiva-mente più alta con l’aumentare dell’età e unariduzione della capacità immunitaria cellulo-mediata4.La nevralgia post-herpetica è la più frequentee impegnativa complicanza della patologia her-petica e rappresenta una condizione di parti-colare impegno terapeutico.L’incidenza della nevralgia, comunemente de-finita come dolore persistente per un periodosuperiore ad un mese dalla manifestazione delcaratteristico rash cutaneo segmentale, è varia-mente stimata tra il 9 ed il 15% dei casi; l’inci-denza e la gravità sono direttamente correlatecon l’età, così come accadeva per la patologiadi base, tanto da far definire la nevralgia comeuna delle problematiche geriatriche rilevanti ein evoluzione nei paesi sviluppati5. La distri-buzione dermatomerica della nevralgia riflet-te quella dell’originario Herpes Zoster, conpredilezione per la regione toracica e per labranca oftalmica del nervo trigemino. Unavolta guarito il rash cutaneo, può residuare undolore sordo, continuo ed urente o anche undolore parossistico e lancinante; la sintomato-logia viene aggravata da ogni contatto con la

cute coinvolta (allodinia), dall’attività fisica, daicambi di temperatura, dallo stato emozionalee può associarsi a prurito anche forte ed a dise-stesie, con inevitabili ripercussioni sulla quali-tà della vita6-8. La morbilità di questa malattiaè condizionata, oltre che dall’età dei pazienti edalle loro situazioni generali ed immunitariespesso alterate o compromesse, dalla limitataefficacia e dagli effetti collaterali dei farmacicomunemente impiegati.Alcuni studi evidenziano come un trattamen-to precoce della patologia erpetica acuta conl’utilizzo di farmaci antivirali, così come untrattamento antalgico efficace iniziato conte-stualmente allo sviluppo del rash vescicolare,possano ridurre l’incidenza o attenuare l’inten-sità dell’insorgenza della neuropatia post-erpe-tica; d’altra parte, una volta insorta, la neuro-patia appare una vera sfida terapeutica, poichépuò evolvere verso una patologia dolorosa cro-nica9.I protocolli di trattamento proposti per la ne-vralgia post-herpetica sono molteplici e varie-gati, con un denominatore comune rappresen-tato dalla convinzione che un buon controllodel dolore acuto dell’herpes è importante perridurre il rischio e/o per attenuare gli effetti diun’eventuale neuropatia secondaria. L’approc-cio terapeutico alla neuropatia post-herpeticaprevede un approccio multimodale compren-dente gli antidepressivi triciclici, gli anticon-vulsivanti, i trattamenti topici con FANS e/oanestetici e gli analgesici oppioidi10–14. In parti-colare, alcune molecole hanno ricevuto un ri-conoscimento internazionale nella gestione diquesta complessa sintomatologia dolorosa. Iltramadolo, grazie al suo duplice meccanismod’azione, di analgesico oppioide con azioneagonista sui recettori µ, e di non oppioide coninibizione del reuptake di noradrenalina e se-rotonina, ha dimostrato la sua efficacia in nu-merosi studi clinici nel trattamento sintomati-co delle neuropatie periferiche13, 14.Poiché la neuropatia post-herpetica colpisceprevalentemente pazienti anziani in polifarma-coterapia, il tramadolo presenta alcuni vantag-gi, quali lo scarso rischio di interazioni farma-cologiche e la posologia semplice (nessun ade-guamento posologico fino a 75 anni d’età)15.Purtroppo molto spesso il paziente giunge al-l’osservazione dello specialista antalgico tardi-vamente e lontano dalla fase acuta vescicolare,con conseguente disomogeneità di trattamen-to pregresso.

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Trattamento della nevralgia post-herpetica con l’associazione di tramadolo, paracetamolo, gabapentin ed anestetico locale

Scopo della presente osservazione è quello divalutare efficacia e tollerabilità di un protocol-lo di trattamento antalgico su pazienti ambu-latoriali con neuropatia post-herpetica, giuntiin tempi diversi all’osservazione specialisticadopo guarigione dalla fase acuta.

Materiali e metodi

É stato condotto uno studio aperto prospetti-co allo scopo di valutare efficacia e tollerabili-tà di un trattamento combinato di tramadolo,paracetamolo, gabapentin e anestetico localein pazienti affetti da neuropatia post-herpeti-ca.Il protocollo di terapia antalgica applicato sututti i pazienti prevedeva un’infiltrazione conanestetici locali nella regione interessata dallanevralgia utilizzando ropivacaina 2% 5-8 ml,con ripetizione ogni 4 giorni per 16-32 giorni;l’infiltrazione era seguita da una seduta di elet-troanalgesia locale con l’utilizzo di correntifaradiche (FAR III 2-10 mA) alternate a TENS(15-50 mA) ogni 3 minuti per 20 minuti. Ognipaziente associava al trattamento locale unoschema terapeutico farmacologico che preve-deva l’assunzione di tramadolo (1,5–2,5 mg/kg/24 ore in tre somministrazioni os), parace-tamolo (500 mg ogni 8 ore os) e gabapentin(300 mg ogni 8 ore os); in caso di insorgenza dieffetti collaterali correlabili ai farmaci utiliz-zati, era prevista la modifica dei dosaggi in corso(tabella 1).Per ogni paziente sono stati registrati la duratadel trattamento farmacologico, gli eventualieffetti collaterali correlabili al trattamento stes-

so, l’intensità del dolore utilizzando la ScalaNumerica Verbale a 10 punti a partire dallaprima valutazione ed ogni 4 giorni per 32 gior-ni; successivamente l’intensità del dolore è sta-ta valutata mensilmente per i successivi 8 mesi.E’ stata inoltre effettuata una valutazione deldolore su base multidisciplinare, con l’osser-vazione degli effetti determinati dal dolore sulleprincipali attività quotidiane e le sue ricadutesull’umore secondo la scala del Brief Pain In-ventory (BPI); è stato infatti valutato, utiliz-zando una scala a 10 punti, quanto il dolorecondizionava nel paziente in esame le attivitàquotidiane, lo stato dell’umore, le attività mo-torie e quelle lavorative o domestiche, le rela-zioni sociali, il sonno, le attività ludiche16. Lavalutazione multidisciplinare è stata effettuatanegli stessi tempi di osservazione previsti perla valutazione dell’intensità del dolore. I datiraccolti sono stati analizzati secondo una stati-stica di tipo descrittivo.

Risultati

La casistica presentata è costituita da 26 pazientiosservati in regime ambulatoriale tra il giugno1998 ed il settembre 2005, tutti affetti da neu-ropatia post-herpetica con fase acuta vescico-lare superata; si tratta di soggetti in prevalenzadi sesso maschile (61,5%), con età media pari a58,6 anni e con distribuzione della patologiaerpetica iniziale e della nevralgia secondaria alivello toracico (53,8%), lombare (38,5%) e cer-vicale (7,7%). La popolazione osservata è statadistinta in due gruppi, diversificando i pazien-ti che risultavano essere guariti dalla fase acuta

Tabella 1. Protocollo di trattamento antalgico. Sono schematizzati i dettagli del trattamento antalgicosuddivisi in terapia locale e farmacologica.

Infiltrazione di anestetico locale nella regione interessata dalla nevralgia con ropivacaina

2% 5-8 ml, ripetuti a distanza di 4 giorni per 16-32 giorni

Elettroanalgesia locale con correnti faradiche (FAR III 2-10 mA) alternate a TENS (15-50

mA) ogni 3 minuti per 20 minuti, dopo l’iniezione di anestetico locale

Terapia farmacologica

• tramadolo (1,5–2,5 mg/kg/24 ore in tre somministrazioni os)

• paracetamolo (500 mg ogni 8 ore os)

• gabapentin (300 mg ogni 8 ore os)

In caso di insorgenza di effetti collaterali era prevista la modifica dei dosaggi

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vescicolare da meno di 60 giorni (61,5%) ri-spetto a quelli nei quali il rash cutaneo era gua-rito da più di 60 giorni (38,5%) e che eranogiunti quindi alla nostra osservazione per lanevralgia più tardivamente (tabella 2). Nellatabella viene inoltre riassunta la casistica con-siderata nello studio mettendo in evidenza lesedi di distribuzione della patologia herpetica.L’elaborazione dei dati raccolti mostra unadurata media della terapia farmacologica paria 55,6 giorni con un range di 27-75 giorni,mentre la durata media della terapia locale (in-filtrazione di anestetico locale ed elettroanal-gesia successiva) è risultata pari a 19,6 giornicon range di 16-36 giorni. I pazienti che aveva-no iniziato il trattamento antalgico per la ne-vralgia più precocemente, cioè che erano gua-riti dalla patologia acuta da meno di 60 giorni

(rash <60 giorni), hanno presentato una dura-ta media sia della terapia farmacologica che deltrattamento locale inferiori rispetto a quelli cheavevano iniziato il protocollo per la nevralgiapiù tardivamente. Nello specifico per quantoriguarda il trattamento farmacologico, se que-sto risultava iniziato in un periodo inferiore ai60 giorni dalla guarigione della fase acuta del-l’herpes, presentava una durata media di 47,9giorni (range 32-60 giorni), contro i 58,9 gior-ni di terapia (range 42-75 giorni) necessari aipazienti che avevano iniziato il trattamento piùtardivamente (rash guarito da più di 60 gior-ni). Il trattamento locale, invece, presentavauna durata media di 21 giorni (range 16-36 gior-ni) nei pazienti trattati più precocemente (rash<60 gg) e di 26 giorni (range 24-36 giorni) neitrattamenti più tardivi (rash >60 gg).

Periodo di osservazione: Giugno 1998-Settembre 2005

Numero di pazienti osservati: 26 (tutti in regime ambulatoriale)

Età media: 58,6 anni (range: 42-79 anni)

Sesso: M = 61,5% (n=16)F = 38, 5% (n=10)

Peso medio: 74,8 kg (range: 54-93 kg)

Caratteristiche della patologia herpetica

• Distribuzione dell’herpes zosterToracica: 53,8% (n=14)Lombare: 38,5% (n=10)Cervicale: 7,7% (n=2)

• Tempo di inizio della terapia vs scomparsa del rash cutaneorash guarito da meno di 60 giorni = 61,5% (n=16)rash guarito da più di 60 giorni = 38,5% (n=10)

Tabella 2. Casistica.

Tabella 3. Risultati dello studio: viene evidenziata, per ciascuna terapia adottata, la durata in giornisuddivisa in trattamento antalgico precoce (rash <60 gg) e trattamento tardivo (rash >60 gg).

• Durata media della terapia farmacologica

55,6 giorni (range 27-75 giorni)rash > 60 gg → 58,9 giorni (range 42 – 75 giorni)rash < 60 gg → 47,9 giorni (range 32 – 60 giorni)

• Durata media della terapia locale (anest. loc.+ elettroanalg.)

19,6 giorni (range 16-36 giorni)rash > 60 gg → 26 giorni (range 24 – 36 giorni)rash < 60 gg → 21 giorni (range 16 – 36 giorni)

• Necessità di ripetere terapia locale entro 8 mesi

38,9% (n=7)rash > 60 gg → 60% (n=6 pz su 10)rash < 60 gg → 31,2% (n=5 pz su 16)

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Trattamento della nevralgia post-herpetica con l’associazione di tramadolo, paracetamolo, gabapentin ed anestetico locale

Il 38,9% dei pazienti esaminati (n=7) ha avutonecessità di ripetere la terapia locale entro gli 8mesi per recrudescenza della sintomatologianevritica; anche in questo caso, i soggetti mag-giormente esposti sono risultati quelli che ave-vano iniziato tardivamente il primo trattamen-to anti-nevritico (rash >60 gg), con il 60% deicasi di recidiva (6 pazienti su 10), mentre tra itrattamenti più precoci (rash <60 gg) la neces-sità di ripetere la terapia locale è stata riscon-trata nel 31,2% dei casi (5 pazienti su 16) (ta-bella 3).Per quanto riguarda il controllo antalgico, èstata osservata una riduzione della sintomato-logia dolorosa nell’80,7% dei casi (21/26), conVNS dopo 32 giorni inferiore del 45% circarispetto al valore di partenza. L’intensità me-dia registrata della sintomatologia dolorosa ten-de a ridursi progressivamente nel tempo, conVNS medi pari a 4-5 dopo 32 giorni di tratta-mento. Il trattamento dei pazienti con episo-dio acuto più recente (rash<60 giorni) è risul-tato più efficace e stabile nel tempo, mentre ipazienti nei quali l’episodio acuto era menorecente (rash>60 giorni) hanno presentato unarisposta antalgica meno efficace, con un VNSmedio registrato mai sceso sotto il 5 (figura 1).Per quanto riguarda la valutazione degli effettidel dolore sulle funzioni multiple (attività ge-nerali, umore, attività motorie, lavoro, rela-zioni interpersonali, sonno, svago), effettuatatramite la Scala BPI, si è osservato un costantemiglioramento della qualità della vita nei pa-

Figura 1. Intensità della sintomatologia dolorosa rilevata mediante Scala Numerica Verbale a 10 punti(0 → 10) ogni 4 giorni per 32 giorni e successivamente valutata mensilmente per altri 8 mesi. É evidenziatol’andamento dei pazienti entrati in trattamento precocemente (rash <60 giorni) e quello dei pazientitrattati tardivamente (rash >60 giorni).

10

8

6

4

2

0T0 T4 T8 T12 T16 T20 T24 T28 T32 T60 T90 T120 T150 T180 T210 T240

Tempo (giorni)

VN

S m

edio

Rash <60 giorni

Rash >60 giorni

zienti trattati ed anche in questo caso il tratta-mento precoce (rash<60 giorni) sembra garan-tire risultati migliori, come è evidenziato dalgrafico riportato in figura 2.Gli eventi avversi registrati in corso di tratta-mento sono riassunti nella tabella 4. La nauseaè risultato l’effetto collaterale più frequente-mente lamentato soprattutto nelle prime fasidel trattamento (46,1% dei pazienti), ed è com-prensibilmente spiegabile con la tipologia deifarmaci utilizzati. Nel 15% dei pazienti sonostati riscontrati episodi di vomito, anche inquesto caso soprattutto nelle fasi iniziali deltrattamento; cefalea e sensazioni di sonnolen-za e/o di modesta sedazione hanno interessatocirca il 25-30% dei pazienti e sono risultati inmassima parte eventi sporadici e non correla-bili temporalmente con il protocollo di tera-pia, pur essendo anche in questo caso motiva-bili con la tipologia dei farmaci utilizzati. Inun caso si è verificata una lesione cutanea nellasede del trattamento locale: si è trattato diun’ustione di natura elettrica di I grado di cir-ca 3 cm di diametro, che si è risolta spontane-amente in tempi brevi e non ha interferito conil protocollo di trattamento in corso (è statosolo necessario evitare il trattamento con elet-troanalgesia direttamente sulla zona lesa finoalla completa guarigione). Gli eventi avversiriscontrati hanno reso necessaria una riduzio-ne dei dosaggi di gabapentin nel 30,8% dei pa-zienti e di tramadolo nel 7,7% dei casi, ma nonè stato mai necessario sospendere il trattamen-

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to in corso. Si è trattato in ogni caso di effetticollaterali non gravi, facilmente risolvibili edin buona parte comprensibili per la tipologiadi farmaci utilizzata.

Conclusioni

La nevralgia post-herpetica è la più frequentee impegnativa complicanza della patologia her-petica e rappresenta una condizione di parti-colare impegno terapeutico, che prevede unapproccio farmacologico multimodale tempe-stivo10-14.Tuttavia molto spesso il paziente giunge all’os-servazione dello specialista antalgico tardiva-mente e lontano dalla fase acuta vescicolare,con conseguente sintomatologia dolorosa cro-nica secondaria. La tempestività del trattamen-to antalgico è fondamentale; infatti, minore èil tempo che intercorre tra la fase acuta e iltrattamento antalgico, più efficace risulta ilprotocollo terapeutico proposto.

I dati raccolti in questo studio dimostrano l’ef-ficacia del protocollo combinato di tramado-lo, paracetamolo, gabapentin, anestetico loca-le ed elettroanalgesia in pazienti affetti da neu-ropatia post-herpetica; in particolare, i pazien-ti che hanno iniziato il protocollo precocemen-te (rash dell’Herpes Zoster guarito da menodi 60 giorni) hanno ottenuto un controllo deldolore più marcato e più stabile nel tempo(VNS medio 3-4 a 8 mesi), con un contempo-raneo miglioramento della loro qualità di vita(BPI medio 3-4 a 8 mesi). Considerando lariduzione del dolore (VNS medio di 8 al ba-sale e VNS medio di 3,8 a 32 giorni di osser-vazione), è possibile affermare, in base ancheai criteri riportati in letteratura17,18, che loschema terapeutico proposto è risultato effi-cace nella gestione di una patologia tantocomplessa. Il trattamento precoce è certamen-te più efficace e soddisfacente anche a medio-lungo termine. É quindi consigliabile antici-pare il trattamento antalgico già nella fase

Figura 2. Valutazione del dolore su base multidisciplinare utilizzando la Scala del Brief Pain Inventory(BPI) a 10 punti (0 → 10), effettuata negli stessi tempi di osservazione previsti per la valutazione dell’in-tensità del dolore.

9

8

7

6

5

4

3

2

1

0

BPI

medio

T0 T4 T8 T12 T16 T20 T24 T28 T32 T60 T90 T120 T150 T180 T210 T240

Tempo (giorni)

BPI Rash <60 giorni

BPI Rash >60 giorni

Nausea 46,1% (n=12)Vomito 15,4% (n=4)Cefalea 30,8% (n=8)Vertigine 7,8% (n=2)Sedazione/sonnolenza 26,9% (n=7)Lesione cutanea in sede di trattamento locale 3,8% (n=1)

Tabella 4. Effetti collaterali correlabili al trattamento.

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Trattamento della nevralgia post-herpetica con l’associazione di tramadolo, paracetamolo, gabapentin ed anestetico locale

acuta vescicolare per ridurre al minimo l’in-sorgenza della neuropatia post-herpetica: l’in-cidenza, la durata e la gravità della nevralgiarimane ancora oggi correlata all’uso di misuredi prevenzione da attuarsi già nella fase acu-ta5,9.Da recenti revisioni critiche della letteraturainternazionale riguardanti tramadolo nel trat-tamento del dolore neuropatico, con specificoriferimento alle neuropatie periferiche, emer-ge un profilo di buona efficacia analgesica etollerabilità13,14,19,20.Anche gli anticonvulsivanti, in particolare ga-bapentin e pregabalin, si sono dimostrati utilinel controllo della sintomatologia dolorosa daneuropatia e rimangono il trattamento di pri-ma scelta nella gestione della nevralgia post-herpetica1, 19.L’approccio farmacologico multimodale, cheprevede la combinazione gabapentin tramado-lo, risulta di notevole utilità perché i farmaciagiscono con meccanismi complementari; inol-tre, l’associazione dei due farmaci permette diridurne il dosaggio, con la conseguenza dimantenere una buona analgesia ma di ottene-re un migliore profilo di tollerabilità. In parti-colare, nel protocollo terapeutico proposto ilquantitativo massimo di gabapentin è di 900

mg/die, contro dosaggi medi più elevati (900-3600 mg/die) usati nel caso di trattamento sin-golo. Questo permette anche di ridurre la ver-tigine, l’effetto collaterale più frequente con iltrattamento singolo, dal 31% al 7,8%21. L’uti-lizzo di paracetamolo a dosaggi non elevati (1,5grammi al giorno) sembra ulteriormente po-tenziare l’azione antalgica e nella nostra espe-rienza rappresenta un punto fondamentalenell’approccio multimodale, consentendo ul-teriore riduzione dei dosaggi delle singole mo-lecole utilizzate.A breve-medio termine appare inoltre impor-tante l’approccio locale con infiltrazione dianestetici locali (Ropivacaina 2%), seguita daelettroanalgesia (correnti faradiche alternate aTENS): la riduzione del dolore in fase acutasembra giovarsi in modo rilevante di tale trat-tamento.Sulla base dei dati raccolti, anche con un cam-pione osservato numericamente limitato e sta-tisticamente non significativo, è possibile af-fermare che il protocollo terapeutico propo-sto per la gestione della neuropatia post-her-petica è risultato efficace e sicuro, avendo con-sentito una riduzione della sintomatologia do-lorosa ed un miglioramento della qualità dellavita, senza effetti collaterali rilevanti.

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Luglio 2007 Volume 7 Numero 3 Trends in Medicine 189

Original article

Miglioramento dei tempi di intervento in un pro-gramma provinciale di angioplastica primaria nei

pazienti con infarto miocardico acuto

Elisabetta Varani, Elisabetta Babini, MarcoBalducelli, Giuseppe Vecchi, Matteo Aquilina,Roberto Parollo, Gianni Zaffagnini§, MariaPazzaglia°, Alfio Gamberini§, Roberto Casanova*,Stefano Della Casa^, Aleardo MarestaDipartimento di Emergenza-Urgenza, Azienda USL di RavennaUnità Operativa di CardiologiaOspedale S. Maria delle Croci, Ravenna°Unità Operativa di Pronto Soccorsoe Medicina d’Urgenza, Ravenna§Unità Operativa Emergenza TerritorialeCentrale Operativa 118, Ravenna*Unità Operativa di Cardiologia,Ospedale per gli Infermi, Faenza^Unità Operativa di Cardiologia, Ospedale di Lugo (RA)

Elisabetta VaraniUnità Operativa di CardiologiaOspedale S. Maria delle CrociViale Randi, 548100 Ravenna (RA)Tel. 0544-286068Fax. 0544-285395E-mail: [email protected]

Key words:acute myocardial infarctionangioplastypreventionsurvival

Improvement in intervention time in a primary angioplasty Countyprogram for patients with acute myocardial infarction

SummaryPrimary PTCA is the treatment of choice in AMI but less than half of the patients receive it within recommendedtimes in contemporary registry studies. We evaluated treatment times in two different time windows in a Hub& Spoke network to evaluate the results of audits and monitoring of primary PTCA performance. Both symp-toms to door and procedural times were significantly reduced in the first 6 months of 2006 vs 2005; therelation between treatment times and the type of access (ambulance or Emergency Room, Hub or Spokecenter) was also examined. The continuous monitoring of the different components of the primary PTCA networkin the Ravenna province resulted in a significant improvement in treatment times.

Varani E, Babini E, Balducelli M, et al. Improvement in intervention time in a primary angioplasty County pro-gram for patients with acute myocardial infarction. Trends Med 2007; 7(3):189-194.© 2007 Pharma Project Group srl

Introduzione

L’angioplastica coronarica (PTCA) si è dimo-strata la terapia più efficace per i pazienti coninfarto miocardico acuto; la superiorità dellariperfusione meccanica sulla terapia tromboli-tica, in termini di efficacia di riperfusione, ri-dotta incidenza di reinfarto, complicanze ce-rebrovascolari e mortalità precoce, è emersada 23 studi randomizzati e 3 successive meta-nalisi1 ed è stata confermata anche per i pa-zienti trasferiti da ospedali periferici. Le lineeguida internazionali e nazionali2-4 hanno per-tanto incluso nella raccomandazione di classeI con livello di evidenza A, la PTCA primariaeseguita entro 90 minuti dal primo contattomedico.Tuttavia, i dati dal registro nazionale statuni-tense (NRMI)5 indicano che meno della metàdei pazienti con infarto miocardico acuto ven-gono trattati entro i tempi raccomandati (siaper la PTCA primaria sia in minor misura perla fibrinolisi) e che solo in una minoranza diospedali si registra un miglioramento del tem-po door-to-balloon in anni successivi.In ottemperanza alle linee guida e in attuazio-ne del Piano Sanitario Regionale 1999-2001 chesanciva l’organizzazione delle reti Hub & Spo-ke per le prestazioni sanitarie ad alta comples-

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E. Varani, E. Babini, M. Balducelli, et al.

sità6, nella provincia di Ravenna è stato costi-tuito nel 2003 un Comitato Provinciale per iltrattamento meccanico dell’infarto miocardi-co acuto, che ha portato alla stesura di un pro-tocollo operativo condiviso tra le 3 UnitàOperative di Cardiologia, le 3 Unità di Pron-to Soccorso e l’Unità Operativa EmergenzaTerritoriale - CO 118, comprendente un siste-ma di trasmissione telematica via GSM del-l’ECG 12 derivazioni dalle Auto Medicalizza-te e recentemente da tutte le ambulanze alleUTIC di riferimento per l’eventuale invio di-retto del paziente con IMA al laboratorio diemodinamica del centro Hub (U.O. di Car-diologia di Ravenna).Scopo del presente lavoro è stato quello di va-lutare i tempi di intervento della PTCA pri-maria nella nostra realtà, in relazione al tipodi accesso del paziente (al centro Hub o al cen-tro Spoke e tramite 118 o Pronto Soccorso) eil verificarsi di variazioni nel corso dell’attivi-tà confrontando due periodi campione (1° se-mestre 2005 e 1° semestre 2006).

Materiali e metodi

Caratteristiche del Progetto Provincialedi Trattamento meccanico dell’IMA

Nella provincia di Ravenna sono attivi 3 cen-tri cardiologici con UTIC che afferiscono in

un unico laboratorio di Emodinamica situatonel capoluogo di provincia. I centri Spoke (Fa-enza e Lugo) distano dal centro Hub (Raven-na) circa 35 Km; il territorio provinciale ha unbacino di circa 400.000 abitanti e comprendepiccole zone pre-appenniniche nelle quali iltempo di percorrenza con ambulanza verso ilcentro Hub è superiore a 60 min. Nel territo-rio provinciale è inoltre presente un centrocardiochirurgico privato accreditato che fun-ge da Cardiochirurgia di riferimento per la no-stra provincia e per l’intera Romagna.Le indicazioni condivise nell’ambito del pro-getto all’esecuzione di PTCA primaria sonoriassunte in tabella 1. Pilastri portanti della at-tuazione del progetto di rete provinciale sonostati l’installazione del sistema di trasmissionedell’ECG 12 derivazioni dalle ambulanze alleUTIC di riferimento per una diagnosi pre-ospe-daliera dell’IMA e l’eventuale invio diretto alcentro Hub con immediata allerta dell’Emo-dinamica, e l’attivazione della reperibilità delpersonale di emodinamica prima con modali-tà H12 (2005) e successivamente H24 (dal 28febbraio 2006).Il progetto prevede il pre-trattamento del pa-ziente con aspirina, eparina e inibitore GP IIb/IIIa durante il trasporto in ambulanza; la pre-parazione del paziente all’ingresso in saladi emodinamica (firma del consenso, via ve-nosa di ampio calibro, depilazione degli ingui-

Pazienti con IMA con ST sopralivellato con sintomi di durata <12 ore, esclusi pazienti consevere patologie associate che limitino fortemente la prognosi o infarto molto circoscritti (<3derivazioni senza compromissione emodinamica):

1) IMA esteso: ST sopralivellato in 5 derivazioni se anteriore, somma di ST sopra esottolivellato in 7 derivazioni incluse le destre se non anteriore

2) Ricovero oltre 3 ore dall’esordio dei sintomi anche se a basso rischio

3) Presenza di compromissione emodinamica (shock cardiogeno insorto entro 6 ore, dispnea,PA sistolica <100 mmHg, FC>100/min, classe Killip ≥2)

4) Trombolisi inefficace a 60-90 minuti

5) Controindicazioni alla trombolisi

6) Comparsa di BBSn completo in presenza di dolore convincente per IMA

7) IMA in paziente con pregresso BPAC

8) IMA in paziente con pregresso infarto in altra sede

BBSn=blocco di branca sinistra; BPAC= by-pass aorto-coronarico; FC= frequenza cardiaca; IMA= infartomiocardico acuto; PA= pressione arteriosa

Tabella 1. Indicazioni alla rivascolarizzazione meccanica percutanea dell’infarto miocardico acuto nel-l’ambito territoriale della provincia di Ravenna.

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Miglioramento dei tempi di intervento in un programma provinciale di angioplastica primaria

ni, eventuale catetere vescicale) viene effettua-ta dal personale dei Pronto Soccorso dei centriSpoke o dal personale dell’UTIC del centroHub se il paziente afferisce tramite 118 o alPronto Soccorso del centro Hub.In caso di assenza di complicanze, il pazienteafferente dai centri Spoke viene ritrasferito allaUTIC di riferimento 8-24 ore dopo la PTCAprimaria.

Popolazione

Sono stati considerati i pazienti con infartomiocardico acuto, trattati con PTCA prima-ria entro 12 ore dall’esordio dei sintomi, nelprimo semestre 2005 e nel primo semestre2006. Nell’arco di tempo considerato, l’imple-mentazione del progetto ha portato alla com-pleta messa a regime della rete per l’acquisizio-ne delle stazioni riceventi per l’ECG nelle dueUTIC dei centri Spoke e la attivazione dellareperibilità H24 del laboratorio di emodina-mica dal 28 febbraio 2006; sono state inoltreintrodotte delle varianti organizzative (dislo-cazione c/o i PS dei centri Spoke dell’automedicalizzata per il trasporto secondario conaccompagnamento medico dei pazienti afferen-ti ai PS dei centri Spoke, accesso diretto inUTIC dei pazienti con sopralivellamento diST all’ECG effettuato nel PS del centro Hubevitando la consulenza cardiologia in PS) peraccelerare alcuni passaggi nei quali si eranoprecedentemente riscontrate alcune criticità.

Tempi considerati

Sono stati considerati i seguenti tempi:• dall’esordio dei sintomi al primo contatto

sanitario, considerato come primo ECGdiagnostico (Symp-Door): riflette il tempodi reazione e allerta del paziente

• dal primo ECG all’UTIC del centro Hub(Door-UTIC): comprende il triage del PS,il trasporto primario tramite 118 o il trasfe-rimento secondario dai PS dei centri Spoke

• dall’UTIC all’ingresso in sala di emodina-mica (UTIC-Emod): comprende la fase dipreparazione in UTIC del paziente e l’alle-stimento della sala

• dall’ingresso in sala alla prima dilatazione(Emod-Ball): comprende i tempi procedu-rali (campo sterile, puntura arteriosa, an-giografia, ricanalizzazione)

• dal primo ECG alla prima dilatazione(Door-Ball): valuta l’efficienza di tutta la ca-tena assistenziale

• dall’inizio dei sintomi alla prima dilatazio-ne (Symp-Ball): valuta il tempo di ischemiatotale dato dalla somma di allerta del pa-ziente e i tempi di risposta del sistema assi-stenziale.

Statistica

I tempi, in minuti, sono espressi come valorimedi±DS. Il confronto dei tempi tra i dueperiodi temporali considerati, tra centro Hube centri Spoke, e tra accesso tramite 118 o PS èstato effettuando applicando il test t di Studentper dati non appaiati, considerando significa-tivo un valore di p<0.05.

Risultati

Nei due periodi considerati, sono state effet-tuate 76 PTCA primarie nel primo semestre2005 e 108 nel primo semestre 2006; tale incre-mento è da attribuire all’introduzione dellareperibilità H24 del laboratorio di emodina-mica dal 28 febbraio 2006. Le procedure contutti i tempi disponibili sono risultate 57 (75%)e 98 (91%) rispettivamente nei due periodi.La tabella 2 mostra i tempi di intervento nellapopolazione globale nei due periodi tempora-li considerati, mentre nella tabella 3 si intro-duce il confronto tra centro Hub e centri Spo-ke. Nella popolazione totale si è osservata, trai due periodi temporali, una riduzione signifi-cativa del tempo Symp-Door, UTIC-Emod,

1° semestre 2005 (N=57) 1° semestre 2006 (N=98) p

Symp-Door 148 ± 143 103 ± 111 0.030Door-UTIC 43 ± 37 46 ± 31 0.590UTIC-Emod 28.5 ± 19 20 ± 20 0.010Emod-Ball 23 ± 9 19.5 ± 7 0.008Door-Ball 95.5 ± 41 86 ± 32 0.111Symp-Ball 243 ± 159 184 ± 114 0.008

Tabella 2. Tempi di intervento della PTCA primaria, in minuti, nei due periodi temporali considerati.

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E. Varani, E. Babini, M. Balducelli, et al.

Emod-Ball e Symp-Ball, mentre il Door-Ball siè ridotto globalmente da 95.5±41 a 86±32minuti, con riduzione non statisticamente si-gnificativa.Tra il centro Hub e i centri Spoke si è osserva-ta una differenza significativa nei tempi Door-UTIC e Door-Ball, maggiori per i centri Spo-ke in relazione al tempo di trasferimento, men-tre il tempo UTIC-Emod è inferiore per i cen-tri Spoke dai quali il paziente giunge già prepa-rato per l’ingresso in sala di emodinamica, ched’altra parte è già allertata e pronta per ricever-lo. Il tempo UTIC-Emod per i pazienti dai cen-tri Spoke si è anche significativamente ridottonei due periodi esaminati, per il più frequenteaccesso diretto in sala di emodinamica senzapassaggio nell’UTIC del centro Hub.Distinguendo in base all’accesso tramite 118 otramite PS (tabella 4), si è osservata una nettariduzione dei tempi di allerta del paziente edei tempi di preparazione e di procedura per ipazienti 118 del centro Hub, sia nei confrontidello stesso gruppo nel primo semestre 2005che del gruppo PS-Hub 2006. Per quanto ri-guarda i centri Spoke, l’accesso diretto tramite118 comporta tempi di trasporto (Door-UTIC)

e tempo Door-Ball significativamente più bre-vi rispetto a quelli del gruppo PS-Spoke chenecessitano di trasporto secondario, con tem-pi stazionari nei due periodi campione per iltrasporto secondario, mentre il tempo, Door-Ball PS-Spoke si è ridotto nel tempo grazie so-prattutto ad una riduzione del tempo UTIC-Emod. E’ da segnalare in particolare che il tem-po Door-Ball per i pazienti 118-Spoke è risul-tato simile a quelli dei pazienti che accedonoal PS del centro Hub (82±20 vs 81±35 min), esuperiore a 90 minuti in soli 3 casi (23%).

Discussione

La nostra esperienza dimostra che una ottima-le organizzazione e un monitoraggio continuoe attento della catena assistenziale consentonodi ottenere risultati buoni ed anche in miglio-ramento in termini di tempi di intervento etempi di ischemia totale nei pazienti con in-farto miocardico acuto.Particolare della nostra realtà provinciale è untempo di allerta del paziente piuttosto breve,che si è anche ridotto nel tempo (Symp-Doorda 148±143 a 103±111 min, p=0.030); è pro-

Tabella 3. Tempi di intervento della PTCA primaria nei pazienti con infarto miocardico acuto che acce-dono al centro Hub o ai centri Spoke.

Centro Hub Centri Spoke p1° sem.2005, N=38 1° sem.2005, N=19 Hub vs Spoke1° sem.2006, N=63 1° sem.2006, N=35

Symp-Door 1° semestre 2005 148 ± 120 150 ± 118 0.953 1° semestre 2006 104 ± 120 90 ± 94* 0.553

Door-UTIC 1° semestre 2005 30 ± 31 71 ± 32 <0.001 1° semestre 2006 31 ± 18 74 ± 31 <0.001

UTIC-Emod 1° semestre 2005 32 ± 18 21 ± 19 0.015 1° semestre 2006 26 ± 22 9 ± 11* 0.003

Emod-Ball 1° semestre 2005 23 ± 10 25 ± 7 0.439 1° semestre 2006 19 ± 6.5* 21 ± 7 0.159

Door-Ball 1° semestre 2005 85 ± 40 117 ± 36 0.005 1° semestre 2006 76 ± 28 103 ± 30 0.03

Symp-Ball 1° semestre 2005 232 ± 170 266 ± 134 0.450 1° semestre 2006 180 ± 125 192 ± 93* 0.621

*=p<0.05 1° semestre 2005 vs 1° semestre 2006

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Miglioramento dei tempi di intervento in un programma provinciale di angioplastica primaria

babile che nel breve periodo la campagna diinformazione sui giornali e con conferenzelocali all’avvio della reperibilità H12 e H24 dellaboratorio di emodinamica abbiano contribu-ito a mantenere elevato il livello di attenzionedel cittadino verso questo problema di salute.Circa il 40% dei pazienti trattati con PTCAprimaria nei due periodi campione, hanno avu-to un accesso tramite il Servizio 118; ciò haconsentito una diagnosi pre-ospedaliera diIMA, l’avvio diretto al centro Hub e l’ingres-so accelerato in emodinamica per la possibilitàdi allerta e di preparazione anticipata della sala.Nel secondo semestre 2006 si sono osservatitempi Door-to-Balloon >90 minuti e tempodi ischemia totale (Symp-Ball) >240 min insolo il 7% dei pazienti afferenti tramite 118 alcentro Hub. Diverse esperienze confermanol’efficacia della trasmissione ECG preospeda-liera nel ridurre il tempo di trattamento del-l’infarto miocardico acuto7,8, che può tradursiin riduzione della mortalità a 1 anno9,10.Per i pazienti dei centri Spoke, il tempo Door-to-Balloon è statisticamente inferiore se l’ac-cesso è diretto tramite 118 rispetto al PS (82±20

Hub 118 Hub PS Spoke 118 Spoke PS1°sem.05, N=14 1°sem.05, N=24 1°sem.05, N=8 1°sem.05, N=111°sem.06, N=27 1°sem.06, N=36 1°sem.06, N=13 1°sem.06, N=22

Symp-Door 1° sem. 2005 148 ± 122 128 ± 102 120 ± 109 178 ± 125 1° sem. 2006 90 ± 130 * 114 ± 113 98 ± 90 85 ± 98*

Door-UTIC 1° sem. 2005 34 ± 29 27 ± 33 41 ± 12 92 ± 24° 1° sem. 2006 32 ± 15 30 ± 21 52 ± 18 87 ± 29°

UTIC-Emod 1° sem. 2005 31 ± 21 33 ± 16 22 ± 9 19 ± 20 1° sem. 2006 18 ± 11* 32 ± 26° 13 ± 9* 6.5 ± 11*

Emod-Ball 1° sem. 2005 20 ± 7 24 ± 11 22 ± 5.5 27 ± 8 1° sem. 2006 19 ± 6 18 ± 7* 19 ± 8 21 ± 5*

Door-Ball 1° sem. 2005 86 ± 29 84 ± 45 86 ± 13 139 ± 31° 1° sem. 2006 70 ± 15* 81 ± 35 82 ± 20 115 ± 29*°

Symp-Ball 1° sem. 2005 269 ± 238 210 ± 115 206 ± 116 311 ± 134 1° sem. 2006 160 ± 137* 195 ± 114 180 ± 97 199 ± 93*

*=p <0.05 1° semestre 2005 vs 1° semestre 2006;°=p <0.05 118 vs PS

Tabella 4. Confronto dei tempi di intervento della PTCA primaria nei pazienti che accedono tramite 118o Pronto Soccorso nel centro Hub o nei centri Spoke.

vs 115±29 minuti, p=<0.001), anche se si ècomunque registrato un miglioramento rispet-to all’anno precedente anche in questo sotto-gruppo (139±31 vs 115±29 min, p=0.036). Vasegnalato che recependo le ultime valutazioni,che riconoscono un vantaggio della PTCAprimaria rispetto alla trombolisi anche fino adun ritardo temporale relativo di 110 minuti11,12,un tempo Door-to-Balloon oltre la soglia di120 minuti si è osservato solo nel 17% dei pa-zienti dai centri Spoke.Stazionari sono risultati i tempi di triage e tra-sferimento secondario dai PS dei centri Spo-ke, nonostante il miglioramento organizzati-vo apportato (dislocazione dell’auto medica-lizzata c/o i PS dei centri Spoke).Il miglioramento osservato in tutti i tempi dipreparazione e di esecuzione della procedura(UTIC-Emod, Emod-Ball) rende ragione del-lo sforzo e della partecipazione attiva di tuttele componenti la catena assistenziale, con otti-mizzazione di tutti i passaggi (preparazioneinfermieristica, consenso informato, accessodiretto in sala dai PS Spoke, preparazione car-rello, rampa, monitoraggio del paziente in sala,

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ecc). Tale miglioramento nel tempo trovamotivo anche nel sistema di monitoraggiocontinuo dei tempi di intervento, che mantie-ne elevato il livello di attenzione sulla tempe-stività dell’intervento e che è attestato dallamaggiore completezza dei dati, con disponibi-lità di tutti i tempi considerati in una percen-tuale superiore di pazienti nel secondo perio-do esaminato (91% vs 75%). Vengono inoltreeseguite periodiche valutazioni dei risultatiottenuti e delle criticità incontrate duranteaudit dipartimentali, con la partecipazione ditutte le figure professionali coinvolte. Anchein letteratura5,13,14 viene raccomandata l’adozio-ne di sistemi organizzativi e di sistemi di mo-nitoraggio ed implementazione continua, checonsentano il raggiungimento e il mantenimen-to di tempi di intervento ottimali nel maggiornumero possibile di pazienti con infarto mio-cardico acuto. Le caratteristiche fondamentalidi un efficiente sistema per il trattamento del-

l’infarto miocardico acuto comprendono: lacentralizzazione dei pazienti in centri ad ele-vato volume di attività, l’adozione di un trat-tamento efficace, sicuro e tempestivo secondoprotocolli condivisi basati sulle evidenze scien-tifiche, la presenza di collaborazione tra glioperatori di diverse Unità Operative, il moni-toraggio di parametri di esito facilmente misu-rabili, la valutazione collegiale dei dati permonitorare i progressi o identificare le critici-tà, il coinvolgimento degli ospedali perifericicome snodo fondamentale di accesso dei pa-zienti al sistema sanitario.In conclusione, l’implementazione del pro-gramma di PTCA primaria nella provincia diRavenna, unito ad un costante monitoraggiodella catena assistenziale, ha comportato un mi-glioramento sia del tempo di allerta del pazienteche dei tempi di preparazione e di esecuzionedella procedura, con tempi totali oltre sogliain una percentuale minima di pazienti.

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TiM

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Original article

Il piede diabetico infettoGestione del paziente ambulatoriale e nostra esperienza

con prulifloxacina

The diabetic infected footOutpatients management and experience with prulifloxacin

SummaryFoot ulcers are a common problem in diabetic patients and associated infections are often life-threatening andassociated with high risk of amputation. Management of infected foot requires a multidisciplinary approach,thorough knowledge of the pathophysiology involved and complex diagnostic procedures. Wound manage-ment and modification of host risk factors are important for a successful outcome. Empirical antibiotic admini-stration should be followed by culture-guided therapy. Quinolones are drugs of choice in this setting alone orin combination. Moreover we report our experience with prulifloxacin, a new fluoroquinolone highly activeagainst most pathogens involved in infected ulcers and osteomielitis.

Cavani E. The diabetic infected foot. Outpatients management and experience with prulifloxacin. TrendsMed 2007; 7(3):195-203.© 2007 Pharma Project Group srl

Key words:infection(s)diabetesfootcomplication(s)prulifloxacin

Enrico CavaniResponsabile Modulo di Alta Specializzazionedi “Prevenzione e Cura del Piede Diabetico”Istituto di Clinica MedicaAzienda Ospedaliera “S. Maria”Via Tristano di Joannuccio05100 Terni

Il piede diabetico è una delle principali com-plicanze croniche del diabete mellito e colpi-sce circa il 15% dei diabetici nel corso dellamalattia1,2. Le lesioni che caratterizzano il pie-de dabetico sono le ulcerazioni. Queste sonoad elevato rischio infettivo e possono esseredistinte in: 1) neuropatiche; 2) ischemiche; 3)neuroischemiche a seconda del meccanismopatogenetico prevalente. L’elevato rischio in-fettivo è testimoniato dall’osservazione cheoltre il 50% delle lesioni tende ad infettarsi,nonostante accurate misure di prevenzione3,5.Le infezioni del piede sono una causa moltofrequente di disabilità e costituiscono un im-portante problema di sanità pubblica, con ele-vato impatto economico: sono infatti la causapiù importante di ospedalizzazione dei pazientidiabetici (~20% dei ricoveri totali), con unadurata media della degenza di 25-35 giorni4-7.Si stima che oltre il 50% di tutte le amputazio-ni non traumatiche degli arti inferiori eseguiteannualmente venga effettuato su pazienti dia-betici8. I costi, escludendo la riabilitazione,ammontano negli USA ad oltre 500 milioni didollari all’anno9,10. Fortunatamente, l’adozio-ne di terapie precoci, mirate ed aggressive è ingrado di curare una percentuale significativadi ulcere infette, scongiurando il rischio di

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amputazione11. Scopo del presente lavoro èquello di esaminare, alla luce delle più recenticonoscenze, le peculiarità microbiologiche ele più attuali modalità di gestione delle infe-zioni del piede diabetico in regime ambulato-riale. Inoltre, riporteremo i risultati da noi ot-tenuti su un gruppo di pazienti nei quali il trat-tamento antibiotico è stato eseguito con pruli-floxacina, in monoterapia o in associazione adaltri antibiotici ove richiesto. Prulifloxacina èun fluorochinolone di recente introduzione edaltamente attivo nei confronti della maggiorparte dei patogeni coinvolti nelle infezioni delleulcere diabetiche e delle osteomieliti e dotatodi buona penetrabilità nei tessuti target.

Il rischio infettivo nel piedediabetico

I diabetici hanno un rischio maggiore rispettoalla popolazione generale di sviluppare un’in-fezione del piede e, quando ciò si verifica, essarisulta più severa e difficile da trattare rispettoai non diabetici. Ciò dipende da sottostantialterazioni fisiopatologiche predisponenti, rap-presentate essenzialmente da tre fattori12:1. neuropatia2. vasculopatia3. ridotta resistenza alle infezioni.Questa triade di fattori rende il piede del dia-betico “ad elevato rischio infettivo”. Con par-ticolare riferimento alla ridotta resistenza alleinfezioni, deve essere sottolineato che con laprogressione dello scompenso metabolico sicreano numerose condizioni favorenti l’attec-chimento, la colonizzazione e la successivainfezione, fra cui numerose condizioni di ri-dotta risposta dell’ospite correlate all’ipergli-cemia: 1) ridotto killing intracellulare di poli-morfonucleati (PFN); 2) deficit di aderenza deiPFN all’endotelio; 3) ridotta chemiotassi edattività fagocitaria; 4) aumentati livelli di IgGplasmatiche glicosilate (disfunzionali); 5) ridottilivelli di IgA e IgG; 6) deficit della sintesi inter-leukina-2 (IL-2) da parte dei linfociti attivati.In condizioni normali la pelle è colonizzata danumerosi microrganismi commensali, senzache si verifichi alcun processo patologico.Anche le soluzioni di continuo della cute sonocaratterizzate da una flora batterica mista sen-za che questo determini un processo infiam-matorio. E’ solo quando un ceppo battericodiventa patogeno che l’evento infettivo si rea-lizza13. Poiché la colonizzazione microbica

delle ulcere del piede è un dato pressoché co-stante, l’infezione è diagnosticata sulla basedella comparsa di segni e sintomi suggestivi,locali e sistemici, piuttosto che su base pura-mente microbiologica.A complicare ulteriormente la rapidità delladiagnosi va inoltre ricordato che, nel soggettodiabetico, per la coesistenza della vasculo- edella neuropatia diabetica e dei già citati fatto-ri predisponesti, spesso i segni clinici di infe-zione sono più attenuati e, in particolare, nonsempre compare febbre e/o leucocitosi14. Daciò deriva che solo la presenza di specifici ger-mi patogeni è realmente suggestiva di infezio-ne anche in assenza di segni clinici certi.

Microbiologia clinica

Le infezioni superficiali sono caratteristicamen-te monomicrobiche (75-80% dei casi) e nellamaggior parte sostenute da Staphyiloccus aureuse da Streptococchi di Gruppo A e B. Nel piùimportante studio di epidemiologia clinica con-dotto alla fine degli anni ’90, il gruppo diCalhoun ha evidenziato, su oltre 850 pazienticon infezioni a carico del piede di varia gravi-tà, una netta prevalenza di S. aureus seguito daEnterococcus spp (figura 1).Questi dati sono tuttavia molto variabili nellevarie casistiche e dipendono da molteplici fat-

Figura 1. Prevalenza dei principali patogeni isola-ti da infezioni del piede diabetico su una popola-zione di circa 850 pazienti. Si noti come molte in-fezioni siano sostenute da più patogeni contem-poraneamente. (Dati da Calhoun JH et al 199815).

Bacteroidesspp. (15.6%)

S. aureus(45.9%)

StaphylococcusCoag-neg (22.6%)

Enterococcusspp. (28,7)

P. mirabilis(26.1%)

P. aeruginosa(15.9%)

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Il piede diabetico infetto

tori. Per esempio, l’eventuale pre-trattamentoantibiotico condiziona significativamente ipatogeni coinvolti nell’infezione: Staphylococ-cus aureus meticillino-resistente (MRSA), en-terococchi e Pseudomonas aeruginosa sono piùfrequentemente isolati nei pazienti preceden-temente trattati con ciprofloxacina, minore èinvece l’influenza di precedenti trattamenti suEnterobacteriaceae ed anaerobi16,17. Nelle lesio-ni profonde dei tessuti, spesso associate a pie-de ischemico, e quindi con difficoltà a ricevereconcentrazioni adeguate di antibiotico, la flo-ra microbica patogena è più frequentementemista18,19. Gli anaerobi, in quasi tutti i casi, siisolano in presenza di aerobi e, in alcuni casi,sono causa di sepsi generalizzate20,21. Tra essiPeptostretococcus spp e Bacteroides spp sono ipiù frequenti. B. fragilis è frequentemente coin-volto nelle osteomieliti croniche22 ed è benericordare come la virulenza di quest’ultimogerme sia potenziata dalla contemporanea pre-senza di enterococchi23.

Quadri clinici

La classificazione delle infezioni del piede intermini di severità, profondità dell’interessa-mento, caratteristiche cliniche, localizzazioneanatomica ed eziologia non ha solo valore dia-gnostico ma facilita ed indirizza il trattamen-to. Diverse sono le modalità di classificazioneproposte, anche recenti, ma quella di Wagnerrimane ancora oggi largamente condivisa edutilizzata24. Essa identifica 6 categorie di lesio-ni, di gravità crescente, dal grado 0 al grado 5secondo l’interessamento dei diversi piani tis-sutali, la localizzazione topografica e l’even-tuale presenza di infezione (tabella 1).Questo tipo di classificazione consente di in-quadrare clinicamente la lesione, orientare gli

accertamenti diagnostici ed indirizzare il trat-tamento. Altri Autori classificano le infezionidel piede diabetico in superficiali e profonde,suddividendo queste ultime in sottocategoriein base alla regione anatomica interessata25.Questo semplice approccio ha il pregio di in-dirizzare più prontamente verso un correttotrattamento: le infezioni profonde sono quel-le più gravi e richiederebbero l’ospedalizzazio-ne, mentre i pazienti con infezioni superficialipossono essere trattati in regime ambulatoria-le. Altri Autori hanno utilizzato lo stesso ap-proccio, ma suddividono le infezioni in lievi,moderate o severe come guida per una appro-priata terapia antibiotica e per i trattamenti adessa associati4,26. In questa rassegna, in accordocon Karchmer27 e Gibbons28 preferiamo distin-guere semplicemente le infezioni del piede dia-betico in due gruppi:• infezioni non minacciose per l’arto;• infezioni minacciose per l’arto.

Infezioni non minacciose per l’arto

Le infezioni non minacciose per l’arto, di ezio-logia sia batterica che micotica, spesso combi-nate con un’ulcerazione, sono tipicamente su-perficiali ed accompagnate da cellulite circo-stante <2 cm di diametro, senza evidenza diinteressamento osseo od articolare (figura 2).In questi casi l’eventuale dubbio diagnosticodi interessamento osseo può essere fugato esclu-sivamente attraverso l’uso della scintigrafia conleucociti marcati con 111Indio (111I). I pazientinon mostrano abitualmente segni di tossicitàsistemica e conseguentemente possono esseregestiti in regime ambulatoriale27. E’ bene riba-dire che ogni infezione non minacciosa per l’ar-to se non adeguatamente trattata può rapida-mente diffondere ai tessuti molli profondi edivenire minacciosa per l’arto.

Stadiazione Reperti/Quadro clinico

Grado 0 Cute intatta; possibili deformità ossee, callosità e/o lesioni preulcerativeGrado I Ulcere localizzate superficialiGrado IIA Ulcere profonde, con coinvolgimento di tendini, legamenti ed articolazioniGrado IIB Come IIA più infezione e celluliteGrado IIIA Ascesso profondo più celluliteGrado IIIB Osteomielite più celluliteGrado IV Gangrena interessante le dita e la piantaGrado V Gangrena interessante l’intero piede

Tabella 1. Classificazione delle infezioni del piede diabetico secondo Wagner. (Da Wagner FW 198224).

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Infezioni minacciose per l’arto

Le infezioni minacciose per l’arto richiedonoquasi sempre l’immediata ospedalizzazione acausa dell’esteso interessamento locale e per ilfrequente coinvolgimento delle condizioni ge-nerali: febbre, leucocitosi e frequente scompen-so metabolico con spiccata tendenza alla che-tosi28. La febbre purtroppo non è sempre pre-dittore sensibile di gravità, giacché temperatu-re >37,7°C sono presenti soltanto nel 30-40%dei pazienti con infezioni minacciose per l’ar-to24,25,27,28. La reazione cellulitica si estende perpiù di 2 cm, sono presenti linfangite ed edema;sono frequenti anche batteriemia e scompen-so cardiocircolatorio. Gli ascessi profondi, legangrene, la fascite necrotizzante ed altri qua-dri specifici di infezioni severe del piede rien-trano in questo gruppo.Le infezioni dei tessuti molli profondi sonocomuni nei diabetici con vasculopatia perife-rica e possono divenire minacciose per la vita.Considerando che sono spesso provocate edassociate alla presenza di microorganismi pro-ducenti gas, la diagnosi differenziale dovrebbe

Figura 2. Infezione superficiale del pie-de: non sono quasi mai presenti segni ditossicità sistemica e non sono coinvolte ipiani profondi.

Figura 3. Gangrena limitata ad un dito (A) o a più dita (B).In (C) gangrena dell’avampiede e in (D) gangrena del piedee della caviglia.

sempre includere le infezioni più gravi del sot-tocutaneo e particolarmente le infezioni mistedei tessuti molli profondi, la fascite necrotiz-zante e la gangrena gassosa (figura 3).

Terapia antibiotica

Prima di instaurare qualunque trattamentoantibiotico è obbligatorio un rigido controlloglicometabolico, con valori di glicemia pre-prandiale <140 mg/dl e post-prandiale <180mg/dl, ed emoglobina glicosilata (HbA

1C) <7,

da ottenere, se necessario, anche con transito-rio trattamento insulinico. Il trattamento an-tibiotico, inizialmente empirico, dovrà sempreessere dettato da uno schema ragionato, in rap-porto sia all’agente infettante presunto, sia adaltre valutazioni (precedente antibioticoterapia,età del paziente, etc). Il trattamento empiricodovrà successivamente essere “adeguato” ai ri-sultati colturali ed ai test di sensibilità.L’antibiotico “ideale” dovrebbe assicurare unacopertura ad ampio spettro; raggiungere nelsito di infezione concentrazioni adeguate e non;

C D

A B

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Il piede diabetico infetto

essere inattivato da enzimi prodotti dal pro-cesso infiammatorio; essere dotato di attivitàbattericida e caratterizzato da poche interfe-renze farmacologiche. Il raggiungimento dielevate concentrazioni tissutali è fondamenta-le soprattutto nei soggetti vasculopatici, dovela presenza della arteriopatia costituisce un se-rio ostacolo alla diffusione in loco di concen-trazioni sufficienti. Nella scelta dell’antibioti-co sono essenziali anche le caratteristiche far-macocinetiche (scarsa eliminazione renale, conridotta nefrotossicità) e di interazione farma-cologica con farmaci non sospendibili (cuma-rinici, teofillinici, ecc).

Antibioticoterapia delle infezioni nonminacciose per l’arto

La maggior parte delle infezioni non minaccio-se per l’arto ha eziologia monomicrobica, disolito sostenuta da S. aureus o da streptococchi.La via di somministrazione sarà preferenzial-mente quella orale: in questi casi sono da prefe-rire l’associazione amoxicillina-acido clavulani-co, cefalosporine di prima generazione (cefalexi-na) o, in caso di allergia alle β-lattamasi, unmacrolide (claritromicina o azitromicina).Ove l’esame colturale dovesse evidenziare lapresenza di flora microbica mista è opportunoutilizzare cefalosporine β-lattamasi resistentidi più recente sintesi (cefixime, cefuroxime-axetile, cefpodoxima) o, meglio ancora, fluo-rochinoloni. Nei pazienti in cui il trattamen-to per via orale non è praticabile (età, diffi-coltà nella deglutizione, posizione supinaobbligata, etc), la monosomministrazione in-tramuscolare con ceftriaxone appare la piùindicata. Dopo 48 ore è imperativa una riva-lutazione clinica per verificare l’efficacia del-la scelta terapeutica ed eventuale conferma orivalutazione terapeutica. Lo scarico della le-sione, anche con eventuale riposo a letto e sbri-gliamento chirurgico sono essenziali. Il tratta-mento antibiotico andrà protratto per almeno15 giorni.

Antibioticoterapia delle infezioni minac-ciose per l’arto

In questi casi è imperativo valutare la presenzae la gravità della vasculopatia, in quanto l’infe-zione aggrava l’ischemia: ben venga quindil’uso di iloprost, propionil-carnitina ed altriagenti che facilitano la vascolarizzazione. Leinfezioni minacciose per l’arto sono spessopolimicrobiche, con frequente presenza di ana-

erobi. In queste condizioni sono cruciali le se-guenti procedure: 1) rapida valutazione diagno-stica, se necessario invasiva, per eventuale in-tervento di rivascolarizzazione; 2) scarico del-la lesione con tutori e mai con apparecchiogessato; 3) débridement adeguato; 4) rapidoriequilibrio idroelettrolitico e metabolico; 5)terapia antalgica, evitando possibilmente iFANS; 6) valutazione di eventuale valvulopa-tia cardiaca e suo monitoraggio per possibileendocardite; 7) sostegno emodinamico per evi-tare ipotensione che aggrava l’ischemia; 8) usodi antibiotici ad alta diffusibilità tissutale.Il protocollo adottato presso il nostro Centroprevede la somministrazione empirica, in at-tesa di conferma dell’esame colturale, di fluo-rochinoloni per almeno 21 giorni, eventual-mente associati ad antibiotici attivi sui Gram-positivi (teicoplanina o linezolid) e, ove si so-spetti infezione da anaerobi, di clindamicina ometronidazolo.

Esperienza con prulifloxacina

I fluorochinoloni si configurano come unavalida opzione nel trattamento delle infezionidella cute, dei tessuti molli e dell’osso, da solio in associazione ad altri antimicrobici in ra-gione dell’etiologia. I vantaggi del trattamentocon fluorochinoloni in questo contesto clini-co derivano dalla felice combinazione di pro-prietà farmacocinetiche favorevoli (elevateconcentrazioni tissutali) e di spettro di azioneparticolarmente ampio verso i patogeni piùfrequentemente coinvolti.Il fluorochinolone di più recente introduzio-ne in Italia è la prulifloxacina, profarmaco del-la ulifloxacina, chinolone triciclico caratteriz-zato oltre che da un atomo di fluoro dalla pre-senza di un anello contente un atomo di zolfo.Questa molecola possiede un ampio spettro diazione esteso ai principali patogeni, sia Gram-positivi, con esclusione degli stafilococchi me-ticillino-resistenti che Gram-negativi, conesclusione di Acinetobacter30. Ulifloxacina ma-nifesta un’eccellente attività in vitro nei con-fronti di tutti i patogeni testati, con eccellentivalori di MIC rispetto ai fluorochinoloni diuso consolidato ed elevati indici di penetrazio-ne batterica31. Nel recente studio di Schito èstata osservata una efficacia analoga o lievemen-te superiore nei confronti dello Psedomonasrispetto a ciprofloxacina (figura 4).Sotto il profilo della maneggevolezza va ricor-

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dato che l’escrezione avviene principalmenteper via fecale, con minor rischio di accumulonei pazienti nefropatici. In conclusione, l’otti-ma tollerabilità generale, l’ampio spettrod’azione (che comprende Pseudomonas aerugi-nosa), con attività antibatterica sui Gram+ pa-ragonabile a quella di levofloxacina ed attivitàsui Gram- sovrapponibile a quella di ciproflo-xacina, induce a ritenere questo fluorochino-lone una molecola di riferimento nelle infe-zioni del piede diabetico. Sulla base di questeconsiderazioni abbiamo utilizzato prulifloxa-cina su una coorte di 60 pazienti con infezionidi grado lieve-moderato e gestibili adeguata-mente in regime ambulatoriale.

La nostra casistica

Nel nostro studio pilota, in aper-to, sono stati presi in esame 60pazienti adulti (età media 67 anni)per complessive 60 infezioni digrado lieve o moderato: 30 a cari-co dei tessuti molli e 30 osteomie-liti (figura 5) a carico di uno o piùdita del piede.

ObiettiviObiettivo primario della nostravalutazione era verificare l’effica-cia clinica di prulifloxacina (600mg/die), da sola o in associazionea teicoplanina, linezolid o ad unantianaerobio (metronidazolo);obiettivo secondario era verifica-re la tollerabilità e la sicurezza del-la molecola in pazienti anziani inpoliterapia trattati per periodi sen-

sibilmente più lunghi (15-28 giorni) di quellinormalmente utilizzati nelle infezioni respira-torie o urinarie (7-10 giorni).

ClassificazioneLe infezioni di grado lieve sono state definitecome la presenza di essudato purulento più unalmeno un sintomo infiammatorio locale; leinfezioni di grado moderato sono state defini-te come la comparsa di pus ed almeno un sin-tomo locale più un marcatore sistemico di in-fezione: febbre >38°C o leucocitosi (>12.000µL).

TrattamentoCome di prassi nel nostro Centro, il trattamen-to è stato di tipo multidisciplinare. Prima diiniziare il trattamento empirico con pruliflo-xacina, da tutti i siti infetti è stato eseguito ilprelievo di campioni per l’esame microbiolo-gico e relativo antibiogramma. I patogeni iso-lati nella nostra casistica non si discostano so-stanzialmente da quelli riscontrati da altri Au-tori (tabella 2).

Misure di supporto

Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad ade-guato monitoraggio metabolico e sono state“compensate” eventuali alterazioni idrosalinee glucidiche. Nei pazienti con presunta ische-mia è stata fatta una valutazione del ABI indexper conoscere la reale vascolarizzazione del-l’estremità.

Figura 4. Valori di MIC ottenuti su 50 ceppi di P.aeruginosa isolati da UTI complicate. (Dati da Schitoet al34).

Figura 5. A) Osteomielite con lesione ulcerativa attiva e (B) cor-rispondente alterazione morfo-strutturale del quinto metatarsocon apprezzabile rima di frattura alla base dello stesso.

A B

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Il piede diabetico infetto

Antibioticoterapia

La strategia antibiotica si è basata sulla sommi-nistrazione empirica di prulifloxacina sommi-nistrata al primo sospetto di infezione. La som-ministrazione di questo antibiotico è stata in-tegrata o aggiustata sulla base dell’antibiogram-ma. Lo scheduling standard è stato il seguente:1) infezione dei tessuti molli: 600 mg/die peralmeno 15 giorni;2) osteomieliti: 600 mg/die, eventualmente piùteicoplanina o metronidazolo sulla base del-l’antibiogramma per almeno 40 giorni e co-munque fino a risoluzione dell’infezione.Per i pazienti nei quali erano stati isolatiMRSA, al trattamento standard summenzio-nato è stata associata teicoplanina (200 mg/diei.m. per almeno 15 giorni). Questo schedulingè stato sufficiente per aver ragione del quadroclinico. Nei 18 casi di infezione sostenuta an-che da anaerobi, è stata effettuata l’associazio-ne con metronidazolo (7.5 mg/kg t.i.d. per 10-15 giorni). Il trattamento medio delle infezio-ni dei tessuti molli è stato di 18 giorni, controuna media di trattamento di 40 giorni per leosteomieliti. In tutti i pazienti con osteomieli-te da MRSA è stata associata una terapia iniet-tiva iniziale con teicoplanina (21 pazienti) peruna durata di almeno 15 giorni.

Risultati

Tassi di guarigioneLa guarigione è avvenuta in 30/30 pazienti(100%) delle infezioni a carico dei tessuti mollie in 26/30 pazienti (86,7%) dei casi di osteo-mielite, valori significativamente superiori ri-spetto a quelli riportati in altre casistiche32,33.Per i 4 pazienti non responsivi al trattamento,in cui era presente vasculopatia severa, si è resanecessaria l’amputazione di dita ed in un solo

caso trans-femorale. La guarigione è stata dia-gnosticata su base clinica, come scomparsa dellafebbre e di altri marcatori sistemici e locali diinfiammazione, nonchè totale scomparsa dimateriale purulento dalle lesioni. La valutazio-ne radiografica ha confermato la diagnosi cli-nica di guarigione. Nei pazienti con osteomie-lite è stata eseguita una radiografia di confer-ma a fine trattamento e successivamente dopo60 giorni per monitorare l’eventuale ripresa difocolai. In 1 paziente è stata eseguita anche unascintigrafia con leucociti marcati che ha datoesito negativo.

Eventi avversiPer nessun paziente l’incidenza di eventi av-versi è stata causa di interruzione del tratta-mento. Non sono state osservate interferenzefarmacologiche clnicamente rilevanti, benchéla maggior parte dei pazienti assumesse polite-rapie relativamente articolate: il 90% dei pa-zienti assumeva almeno 3 farmaci ed il 75%assumeva almeno 4 farmaci. Non si sono veri-ficati casi di tendinite e nessun paziente ha ri-ferito segni di tossicità cardiovascolare ricon-ducibili all’impiego di prulifloxacina.

Conclusioni

Le infezioni del piede diabetico costituisconouna delle complicanze più temibili della ma-lattia diabetica e, se non aggressivamente e pre-cocemente trattate, possono mettere a rischiol’arto e la vita stessa del paziente. Le misuredevono essere sia preventive sia conservative.Nell’ambito della profilassi devono essere adot-tate misure di tipo sistemico (adeguato com-penso metabolico ed idrosalino) e locale (ridu-zione dei carichi meccanici e prevenzione deitraumi). Ad infezione diagnosticata si proce-

Patogeno Tessuti molli Osteomielite(N°=30)(N°=30)

Un dito Più dita Totale

S. aureus 15 (50%) 10 6 16 (53%)Stafilococchi Coag- 10 (33%) 10 4 14 (47%)Enterococcus spp. 9 (30%) 8 4 12 (40%)Proteus mirabilis 7 (23%) 8 6 14 (47%)P. aeruginosa 6 (20%) 4 4 8 (27%)Bacteroides spp. 6 (20%) 8 4 12 (40%)

Tabella 2. Patogeni isolati da vari siti infettivi; molte delle infezioni erano sostenute da più speciebatteriche.

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derà ad instaurare una rapida terapia antibioti-ca empirica in attesa dell’esame colturale, con-giuntamente a misure di sbrigliamento chirur-gico e, se necessario di rivascolarizzazione perconsentire un adeguato trofismo.Prulifloxacina è il profarmaco della ulifloxaci-na, il metabolita attivo che si libera grazie al-l’azione di un enzima molto diffuso a livellointestinale. La tollerabilità, l’ampio spettro

d’azione e la elevata diffusione nei tessuti neconsentono l’uso nelle infezioni respiratorie,nelle infezioni urinarie (anche complicate) e,sulla base della nostra esperienza, anche nelleinfezioni dei tessuti molli e delle osteomielitidel piede diabetico. In tal senso sono necessaristudi clinici controllati e di dimensioni adeguateche possano confermare quanto è emerso dal-lo nostra esperienza preliminare.

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