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Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2011 Musicoterapie in ascolto Archivio Articoli 2011 1 Musicoterapie in ascolto Archivio 2011 A cura di Giangiuseppe Bonardi Articoli http://www.musicoterapieinascolto.com/archivio/85-archivio/88-2011-archivio-mia Gli articoli sono archiviati mensilmente, dal più recente al più datato

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Musicoterapie in ascolto

Archivio 2011

A cura di Giangiuseppe Bonardi

Articoli http://www.musicoterapieinascolto.com/archivio/85-archivio/88-2011-archivio-mia

Gli articoli sono archiviati mensilmente, dal più recente al più datato

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2 Indice

4 Bonardi Giangiuseppe, Il trattamento individuale o di gruppo tra oggettività e... umanità

5 Deodato Rosaria, L’ossevazione musicoterapica di Walter

7 Andrello Roberta, Elaborare il... distacco da Luca

11 Bonardi Giangiuseppe, L’osservazione acustica

12 Deodato Rosaria, Riflessione conclusiva... breve

14 Pasinetti Sandra, Modi di essere o modi di esserci?

19 Deodato Rosaria, L’evoluzione del processo musicoterapico con Walter

24 Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente... autentica

28 Bonardi Giangiuseppe, Ritmi accidentali e incidentali in musicoterapia

30 Pasinetti Sandra, Dalla teoria alla prassi… musicoterapica

32 Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Singolare riflessione schneideriana… attualissima

33 Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico

35 Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona

37 Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona

40 Pasinetti Sandra, Alla ricerca dello spazio di contatto con Simona

42 Bonardi Giangiuseppe, Percepire la dimensione emotiva delle interazioni sonoro-

musicali

42 Pasinetti Sandra, Il contatto sonoro-musicale con Simona

44 Emozioni (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

45 Pasinetti Sandra, Epilogo del processo musicoterapico con Simona

49 Tempo (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)

49 Pasinetti Sandra, Contatti sonoro-musicali con Simona

52 De Martino Giuseppina, Se fossi il medico dell’anima?

55 Sentimento (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

56 Affetti vitali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

56 Affetti categoriali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

57 Affetto, (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

57 Dimensioni d'ascolto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

58 Greco Marina, Il recupero dell’ascolto nella psicoanalisi di Freud

61 Ascolto (dizionario di musicoterapia a cura di Bonardi Giangiuseppe)

61 Vissuti (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)

61 Ritmo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

62 Musica (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

62 Spazio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

63Tonalità emotiva (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

63 Sensazione (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

64 Neri Simona, Quando il cuore dirige la ragione perduta…

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65 Streito Bernardino, Esperienza audio-acustica

65 Taverna Maurizio, Percorsi di senso del musicale vissuto in musicoterapia (Letture

consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

66 Greco Marina, L’ascolto come cura: il senso della relazione

70 Fittipaldi Moira, Beethoven, Marius Schneider e la… musicoterapia (Letture

consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

72 PRO CIVITATE CHRISTIANA, 30 ANNI DI SCUOLA DI MUSICOTERAPIA,

CONVEGNO DI MUSICOTERAPIA: DIALOGO INTERDISCIPLINARE E

POSSIBILI CONTRIBUTI DELLE NEUROSCIENZE

74 Anapesto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

74 Onorato Vincenzo, MusicoteRAPia (Letture consigliate, a cura di Giangiuseppe

Bonardi)

75 Pirricchio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

75 Siluri Elisabetta, Così vicini… così lontani… (Letture consigliate, a cura di

Giangiuseppe Bonardi)

76 Peone IV, (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

76 Osservazione, contemplazione, amore (dizionario di musicoterapia, a cura di

Giangiuseppe Bonardi)

77 Casarano Carla, La nota stonata del cancro (Letture consigliate, a cura di Giangiuseppe

Bonardi)

78 Giambo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

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4 Gennaio

Bonardi Giangiuseppe, Il trattamento individuale o di gruppo tra oggettività e...

umanità

Pubblicato il 24 gennaio 2011

L’ascolto-accoglienza dell’altro (trattamento individuale) o degli altri (trattamento di

gruppo) si realizza nel tempo. Un tempo che cela in sé il proprio indissolubile

dualismo: la dimensione oggettivabile[1]

e, complementare a essa, quella soggettiva...

umana. Pertanto, nel tempo oggettivo evidenzio i parametri del progetto d’intervento:

la metodica musicoterapica adottata, comprensiva del modo interpretativo

(l’orientamento teorico di riferimento) scelto;

la situazione-problema rilevata durante l’osservazione ambientale e acustica;

i mezzi utilizzati per intervenire (gli strumenti musicali, gli ascolti graditi, i

protocolli, le schede di rilevazione, le relazioni di restituzione);

le finalità del progetto;

le fasi del processo (iniziale, intermedia, finale);

l’organizzazione dell’ambiente musicoterapico;

il numero e la durata preventivata degli incontri;

le restituzioni e gli incontri d’équipe.

Nel tempo vissuto esperisco i contenuti dell’ascolto e dell’espressione mia e

altrui, ossia accolgo le dimensioni:

corporea;

emotiva;

analogica

sottese alla forma sintattica della realtà acustica in cui mi trovo. Il tempo vissuto è

diverso da quello cronologico poiché, in relazione alle qualità di condivisione sonoro-

musicale delle reciproche dimensioni d’ascolto-accoglienza dei partecipanti, seduta

dopo seduta, lo si può percepire (vivere) ora dilatato (interminabile, sospeso…

pesante…), ora ristretto (brevissimo, veloce… leggero…). Entrambe le dimensioni

del tempo hanno paritetica importanza. Il tempo oggettivo è la testimonianza storica

della realizzazione del processo musicoterapico. Se non ci fosse questa dimensione

tangibile e razionale, non potrei testimoniare l’avvenuta esistenza dell’intervento

stesso. D’altro canto la sola testimonianza storica e oggettiva del processo

musicoterapico, non mi permette di comprendere l’evoluzione qualitativa

dell’intervento terapeutico preso in esame. Solamente quando metto in relazione gli

indicatori del tempo oggettivo (ciò che la persona fa) con quelli del tempo soggettivo

(ciò che persona vive) cerco di scoprire il possibile senso sotteso ad una particolare

espressione sonoro-musicale. Se, durante alcune sedute, ascolto una persona che

esegue una particolare figura ritmica, o melodica, o ancora armonica (dimensione

sintattica) m’interrogo sul senso celato in quell’espressività musicale. Che cosa

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significa quell’espressione sonora? Che cosa esprime la fisicità di quell’atto

musicale? Quali vissuti esprime? A quali possibili immagini mnemoniche è

associato? Che cosa suscita in me? Oggettivo e soggettivo sono quindi le due

dimensioni del tempo che caratterizzano l’incontro poiché l’una implica il contributo

dell’altra; solamente dall’interazione delle due realtà del tempo (oggettivo e

soggettivo) scaturisce la feconda dimensione interpretativa di quanto accade durante

l’incontro, orientandomi nella ricerca di percorsi di senso.

Giangiuseppe Bonardi

[email protected]

[1]

Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul

Metauro (PU), pag. 55-82.

Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe

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Deodato Rosaria, L’ossevazione musicoterapica di Walter

Pubblicato il 16 gennaio 2011

La possibilità di potermi relazionare* con Walter (nome di fantasia, in ottemperanza

alla legge della privacy) emersa durante la lettura analitica delle osservazioni

ambientali, mi diede la motivazione a intraprendere l’osservazione musicoterapica. In

sede di programmazione educativa, spiegai quindi il mio intervento, trovando alcune

difficoltà. In primo luogo dovevo inserirmi nell’ambiente educativo, definendo

l’attività che volevo svolgere, il mio ruolo, cercando di non “turbare” il rapporto

“materno” che intercorreva tra l’inseguante di sostegno e Walter. Secondariamente

dovevo creare un ambiente adatto per svolgere l’attività musicoterapica. Dopo

innumerevoli peripezie potevo finalmente utilizzare una stanza, messami a

disposizione dalla Direzione Didattica. Ero preoccupata perché volevo creare un

ambiente accogliente sia per Walter sia per me. Riguardo a quanto ho rilevato durante

i colloqui con la madre e le osservazioni ambientali ho scelto alcuni strumenti

musicali: un tamburo, un piatto, un glockenspiel, un’armonica a bocca, un carillon,

due maracas, un pagliaccio con campanelli, una scatola sonora con il verso della

mucca, due tamburelli siciliani, una tastiera e il registratore. Ho scelto alcuni eventi

musicali da proporre all’ascolto:

Anonimo: “Nastri” (evento etnico brasiliano) [1];

Anonimo: “Palme” (evento etnico israeliano) [2];

Anonimo: “Sascha” (evento etnico russo)[3];

C. D’Avena: “Heidi” (sigla di un programma televisivo).

Gli eventi musicali proposti mi sembravano rassicuranti, poiché Walter, durante

l’attività musicale scolastica, gradiva l’audizione degli stessi, così come accadeva a

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casa mentre ascoltava la canzone di C. D’Avena. Allo stesso modo ho curato con

attenzione la scelta degli elementi d’arredo: due tappetini, una sedia e un tavolino. Ho

quindi disposto in modo circolare gli strumenti musicali, per consentire a Walter di

muoversi liberamente e, a me, avere la possibilità di osservarlo con facilità. Durante

le sedute, mentre osservavo Walter, ascoltavo i miei vissuti. Con mio stupore, la

paura e il disagio, che avevo provato durante l’osservazione ambientale, erano quasi

del tutto assopiti, mentre prevaleva in me un senso di adeguatezza, unitamente alla

normale tensione emotiva, nella conduzione dell’attività. La “relativa” tranquillità

emotiva mi consentiva di osservare, al meglio delle mie possibilità, Walter. Walter

peregrinava continuamente nella stanza, soffermandosi momentaneamente presso il

tamburo, l’armadio, la finestra e l’ingresso. In quelle brevissime soste mi sembrava

che, per qualche secondo, Walter vivesse effimeri attimi di riposo. L’incessante moto

veniva interrotto altresì dall’audizione degli eventi musicali, che risultavano, per

Walter, rassicuranti. L’audizione delle registrazioni audio delle sedute mi permetteva

di analizzare, ulteriormente le espressioni sonore e/o musicali manifestate da Walter.

L’analisi comparata delle relazioni sonore e/o musicali, manifestate da Walter nelle

sedute, mi ha consentito di evidenziare alcune analogie. Walter suonava gli strumenti

scelti (la tastiera, l’armonica a bocca, il tamburo, la scatola sonora), rivolgendo lo

sguardo nei riguardi di sé. Le espressioni strumentali erano brevi, di forte intensità,

formate da giustapposizioni di sonorità (crome o semiminime o minime) eseguite

casualmente nei registri: grave, intermedio e acuto.

Analisi della situazione

Le rilevazioni raccolte al termine dell’osservazione musicoterapica confermavano le

considerazioni evidenziate durante l’osservazione ambientale. L’esigua durata di

permanenza (10’) e l’assunzione di numerose posizioni e posture erette

evidenziavano, verosimilmente, le costanti tensioni emotive vissute da Walter. In

questa prospettiva, il tempo e lo spazio, vissuti da Walter, erano probabilmente

carichi di emozioni alquanto spiacevoli. L’orientamento delle espressioni musicali

rivolto a sé evidenziava una palese difficoltà relazionale.

In ragione di ciò Walter viveva difficoltà:

a) d’adattamento temporale;

b) d’adattamento spaziale;

c) relazionali.

Potevo intervenire con Walter poiché i miei vissuti, provati durante le sedute

d’osservazione, erano relativamente piacevoli e avevo individuato i mediatori

(strumenti musicali e/o eventi musicali) idonei a intraprendere un ciclo di incontri di

musicoterapia relazionale.

Il progetto d’intervento

In relazione al limitato numero di incontri concesso dall’Ente, alle difficoltà

logistiche e organizzative, e, in particolare, alle riflessioni emerse dopo le

osservazioni, la prassi musicoterapica individuale è stata quindi orientata a ridurre i

verosimili stati di forte disagio emotivo espressi da Walter mediante fughe, fugaci

durate di permanenza e peregrinazioni. In questa prospettiva l’intervento

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musicoterapico è stato articolato in tre fasi: iniziale, intermedia e finale. Ogni fase era

formata da sei sedute. Ciascuna fase rappresentava l’evoluzione del processo

d’intervento, poiché ero ben consapevole che le finalità musicoterapiche prese in

esame potevano essere raggiunte o disattese. In questa prospettiva, in sede di

supervisione, sono stati individuati gli indicatori del processo, ossia gli indici che

volevo rilevare e valutare durante il ciclo dei trattamenti. Gli indicatori mi

consentivano di calibrare le scelte di ogni incontro e al contempo potevo esporre, in

sede di programmazione, l’evoluzione dei trattamenti.

Deodato Rosaria

[email protected]

*Deodato Rosaria, *Dialogo di emozioni in musicoterapia (11/01/2009) pubblicato

in: Musicoterapia e autismo

Deodato Rosaria, Io, Walter e il mondo dell’autismo

( 3/12/2010) pubblicato in: Musicoterapia e autismo

[1] Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel, Rolf

Dieter Balsies, traduzione italiana: Semplicemente danzare...

[2] Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel, Rolf

Dieter Balsies, traduzione italiana: Semplicemente danzare...

[3] Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel, Rolf

Dieter Balsies,traduzione italiana: Semplicemente danzare...

Con tag Musicoterapia e autismo, Deodato Rosaria

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Andrello Roberta, Elaborare il... distacco da Luca

Pubblicato il 8 gennaio 2011

“La musica

è stato il mio primo amore

e sarà anche l’ultimo.

Sia la musica del futuro

che quella del passato.

Vivere senza la musica

sarebbe davvero impossibile.

In questo mondo di problemi

la mia musica mi guarisce…”

John Miles - “MUSIC”

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Sulla base di questi risultati[1] mi sono posta il problema relativo alla chiusura del

trattamento musicoterapico. Inizialmente pensavo che, nonostante fossero terminate

le sedute previste dalla metodica, potesse essere utile continuare a vedere Luca (nome

di fantasia in ottemperanza alla legge della privacy) per qualche settimana, allo scopo

di consolidare maggiormente i progressi avvenuti e soprattutto col timore che una

separazione in questa fase potesse essere causa di possibili regressioni. In realtà mi

sono anche chiesta se la mia non fosse una stategia difensiva, perché ero io stessa a

non essere in grado di affrontare la separazione. In questo caso la condivisione dei

dati raccolti con la terapeuta che segue Luca e la discussione delle problematiche in

supervisione mi hanno portata ad optare a favore di una chiusura graduale, preparata

durante le ultime sedute, motivata dalla constatazione del raggiungimento

dell’obiettivo proposto e rafforzata dalla considerazione della presenza di un

ambiente favorevole a sostenere e a facilitare i futuri, possibili, piccoli progressi di

Luca. A fronte dei cambiamenti positivi realizzatisi, è doveroso sottolineare le

difficoltà ancora presenti e per le quali sarebbero auspicabili opportuni interventi. In

primo luogo Luca ha difficoltà di inserimento nel gruppo classe, dovute soprattutto al

fatto che i compagni lo hanno “etichettato”, considerandolo il bambino “strano”,

quello che non sa fare le cose che fanno loro, il “più piccolo”, quello che ogni tanto

quando inizia a parlare va avanti da solo raccontando storie non sempre vere, quello

che in una squadra non è tanto forte e non aiuterà a vincere. Inoltre permane la scarsa

considerazione che Luca ha di sé, come bambino che “non sa fare niente”, “stupido”.

Tale opinione è rafforzata dal messaggio implicito nella scarsa considerazione dei

suoi compagni e dal fatto che spesso resta isolato. Ora che Luca ha posto le basi per

riuscire ad entrare in relazione con l’altro da sé, sarebbe a mio avviso utile proporre

un intervento musicoterapico con un piccolo gruppo, che fornisca il contesto

all’interno del quale esercitare e affinare queste abilità nascenti. Gli obiettivi

potrebbero essere quelli dell’ulteriore rafforzamento e miglioramento

dell’integrazione sociale, il miglioramento dell’autostima, il superamento delle

difficoltà di accettazione e di inserimento nel gruppo classe e in generale nel gruppo

dei pari. Luca potrebbe trarne dei vantaggi anche sul piano dell’apprendimento e ciò

potrebbe avere ricadute positive sia ancora sulla sua autostima, sia sulla

rappresentazione mentale e quindi il grado di accettazione che i genitori, già ben

disposti di fronte al cambiamento positivo di Luca, manifestano nei suoi confronti.

Approfondimenti bibliografici

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ZINGARELLI NICOLA, Vocabolario della lingua italiana, 1995.

Roberta Andrello

[email protected]

[1]Andrello Roberta, “Io sono una casa senza pareti” (22/12/2010 pubblicato in :

Musicoterapia e ritardo mentale )

Andrello Roberta, La lotta dei fantasmi di Luca (26/11/2010 pubblicato in :

Musicoterapia e ritardo mentale )

Andrello Roberta, I dolorosi vissuti di Luca ( 8/11/2010 pubblicato in : Musicoterapia

e ritardo mentale )

Andrello Roberta, Dall’osservazione di Luca al progetto d’intervento musicoterapico

(14/10/2010 pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )

Andrello Roberta, L’osservazione musicoterapica di... Luca (24/08/2010 pubblicato

in : Musicoterapia e ritardo mentale )

Andrello Roberta, Alla ricerca degli “elementi” appartenenti alla dimensione sonoro

musicale di Luca ( 9/08/2010 pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )

Andrello Roberta, Mentre osservo Luca, imparo ad ascoltare me stessa (28/06/2010

pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )

Andrello Roberta, Dalla teoria alla prassi: l’intervento musicoterapico con Luca (

7/06/2010 pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale )

Andrello Roberta, Uomo, musica e terapia. (17/05/2010 pubblicato in : Musicoterapia

e ritardo mentale )

Andrello Roberta, *Lo sguardo ritrovato... emozioni condivise ( 7/09/2008 pubblicato

in : Musicoterapia e ritardo mentale )

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Bonardi Giangiuseppe, L’osservazione acustica

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Pubblicato il 1 gennaio 2011

La conoscenza dell’essenza, della parte acustica e spirituale di una persona, e di noi

stessi, è strettamente legata alla capacità di ascoltare. L’ascolto non è quindi un atto

superficiale e tantomeno facile da realizzarsi ma è, di fatto, un’intenzione: un atto di

volontà. Ascolto me stesso o l’altro solo se sono in grado e ho voglia di accogliere ciò

che provo o ciò che l’altro vive, esprimendosi... acusticamente. In questa prospettiva

l’osservazione acustica è intesa come atto intenzionale d’accoglienza di sé o dell’altro

da sé volta ad accogliere la propria o l’altrui dimensione sonoro-musicale, ossia

l’essenza della persona stessa e di noi stessi. Sospinto da un sincero spirito di ricerca

della realtà, riservo all’osservazione, in particolare a quella musicoterapica, una

peculiare e adeguata attenzione poiché sono mosso dal desiderio di dimostrare che

detta prassi sia affidabile al pari di altri interventi clinici. Ispirato da un genuino

spirito di ricerca... 'scientifica', la fase iniziale e cruciale del processo musicoterapico

è per me tuttora legata al momento osservativo volto a cogliere le problematiche

vissute dalla persona[1] e ai mezzi (gli strumenti musicali e le musiche) ritenuti

maggiormente idonei ad affrontarle. Le personali osservazioni, riportate con dovizia

di precisione nelle schede di rilevazione, delineano uno scenario osservativo

essenzialmente chiaro, obiettivo... 'scientifico'. Da qualche tempo, la fisica

quantistica, e in particolare Heisenberg[2], ha dimostrato, studiando la posizione e la

velocità di una particella elementare, che l’unico modo per conoscerle era quello di

entrare nello scenario osservativo, alterando, di fatto, la situazione presa in esame.

Anche in musicoterapia osservo, accolgo l’altro in sua presenza e, parafrasando

Heisenberg, altero, di fatto, lo scenario osservativo. Le mie osservazioni non sono

quindi così oggettive come possono apparire, ma hanno anche una dimensione

soggettiva… umana. Osservando, ascoltando, accogliendo l’altro vivo un contrasto

apparente che oscilla tra il desiderio di oggettività e quello di umanità: un monismo

dinamico in cui coesistono dinamicamente sia l’aspetto oggettivo, sia quello non

oggettivabile della realtà che, di fatto, esperisco quotidianamente. Il mio atto

osservativo quindi, per essere completo, deve essere anche acustico poiché il dato

rilevato con oggettiva (osservazione) precisione, per avere significato, si confronta

necessariamente con la sua irrinunciabile dimensione sonora (intersoggettiva). Non

posso limitarmi, ad esempio, a rilevare quale o quali strumenti suona la persona senza

chiedermi il senso acustico sotteso a quella scelta. Che cosa significa quell’atto

'musicale'? Quali dimensioni permeano l’espressività sonora della persona? Quali

sensazioni corporee prova? Quali emozioni, vissuti, esprime? Quali pensieri sta

vivendo in quel momento? La vera difficoltà da affrontare è quella di lasciarmi

guidare dall’antica capacità d’ascolto che, sebbene sopita, riaffiora qualora compia il

difficile viaggio che, partendo dal dato oggettivo rilevato, ossia dalla dimensione

sintattica, si addentra ad accogliere, per quanto sia possibile, le dimensioni (corporea,

emotiva, analogica) sottese nell’altrui misteriosa espressività musicale. Sì, facendo

appello alla sopita attitudine osservativa intuisco con fatica il potenziale acustico

dell’osservazione così ben descritto da Marius Schneider[3] quando lo rintraccia

nell’uomo primitivo, il nostro antenato che viveva nell’epoca megalitica, indicandolo

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come l’antesignano dell’osservatore capace di percepire i fenomeni come realtà

dinamiche, cogliendo in essi l’essenza ‘musicale’ degli stessi, intuendo

pazientemente la loro insita natura ritmica. L’essenza ritmica ci caratterizza;

solamente intuendola scopro la natura duplice dell’atto osservativo poiché mentre

osservo acusticamente, ossia accolgo l’altro, contemporaneamente, ascolto me stesso:

la mia musica interiore che s’incarna, trasudando emozioni... Pertanto la fase iniziale

di conoscenza dell’altro non è altro che ascolto, accoglienza di sé e,

contemporaneamente, dell’altro da sé.

Giangiuseppe Bonardi

[email protected]

[1] Bonardi G., (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello

sul Metauro (PU), pag. 27.

[2] Nicola U., (1999), Atlante illustrato di filosofia,pag. 488.

[3] Scheneider M., (1946), Gli animali simbolici e laloro origine musicale nella

mitologia e nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 25-30.

Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe

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Febbraio Deodato Rosaria, Riflessione conclusiva... breve

Pubblicato il 24 febbraio 2011

L’esperienza musicoterapica[1], fortemente caratterizzata dal “gioco relazionale”

(coinvolgimento emotivo-affettivo), ha migliorato l’attenzione del bambino e

l’intenzionalità comunicativa. Nell’arco delle tre fasi d’incontri musicoterapici, il

tempo in cui il bambino “giocava” (comunicava) “con me” è maggiormente

aumentato, rispetto a quando se ne stava isolato o peregrinava nella stanza. Gli

incontri di verifica, con gli insegnanti e i genitori, hanno evidenziato un maggior

coinvolgimento di Walter (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy)

nelle attività scolastiche e/o nei rapporti familiari. Al termine dell’attività ho

raggiunto quindi: un quantomeno verosimile maggiore livello d’integrazione sociale

rispetto all’inizio dei trattamenti. Personalmente l’esperienza musicoterapica mi ha

permesso altresì di vivere, e di rielaborare, i contenuti appresi durante il mio percorso

musicoterapico.

Approfondimenti bibliografici

Bonardi Giangiuseppe (1998): “Handicap e musicoterapia”, in: <<Scuola

Materna>>, n. 14 – Inserto – 10 Aprile, Editrice La Scuola, Brescia. Ora in:

Bonardi G., (2007), “Dall’ascolto alla musicoterapia”, Progetti Sonori, Mercatello sul

Metauro (PU).

Bonardi Giangiuseppe (1999): “La prassi musicoterapica “relazionale individuale”

” in: <<Scuola Materna>>, n. 14 - Inserto – 10 Aprile, Editrice La Scuola,

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Brescia. Ora in: Bonardi G., (2007), “Dall’ascolto alla musicoterapia”, Progetti

Sonori, Mercatello sul Metauro (PU).

Bonardi Giangiuseppe, (2001), Osservazione e prassi in musicoterapia, dispensa

laboratorio, Assisi, PCC. Ora in: Bonardi G., (2007), “Dall’ascolto alla

musicoterapia”, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU).

Bowlby John, (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Milano, Raffaello

Cortina.

D’Ulisse M. Emerenziana, Polcaro Federica, a cura di, (2000), Musicoterapia e

autismo, Roma, Phoenix.

Cremaschi Trovesi Giulia, (1996), Musicoterapia, arte della comunicazione, Roma,

Edizioni Scientifiche Magi.

Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo. Comunicazione,

emotività e pensiero, Trento, Erickson.

Rogers Carl R., (1993), Un modo di essere, Firenze, Martinelli.

Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli.

Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati

Boringhieri.

Tischler Björn, Moroder-Tischler Ruth, (1992), Einfach tanzen..., Kiel,

Rolf Dieter Balsies, traduzione italiana: Semplicemente danzare...

Watzlawick P., Beavin J., Jackson D., (1971), Pragmatica della comunicazione

umana, Roma, Astrolabio.

Wing Lorna, (2000), I bambini autistici, Roma, Armando Editore.

Deodato Rosaria

[email protected]

[1] Deodato Rosaria, *Dialogo di emozioni in musicoterapia (11/01/2009) pubblicato

in: Musicoterapia e autismo

Deodato Rosaria, Io, Walter e il mondo dell’autismo (3/12/2010) pubblicato in:

Musicoterapia e autismo

http://musicoterapie.over-blog.com/article-deodato-rosaria-l-evoluzione-del-

processo-musicoterapico-con-walter-64022106.html

Con tag Musicoterapia e autismo, Deodato Rosaria

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Pasinetti Sandra, Modi di essere o modi di esserci?

Pubblicato il 16 febbraio 2011

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La manifestazione dei “modi di essere” e delle “risposte rivolte a sé”, nell’intervento

musicoterapico cui mi riferisco[1], divengono modalità musicoterapiche. Questi modi

e queste risposte determinano “modalità di espressione” se riguardano segnali non

verbali della persona (espressione non verbale), “modalità di espressione sonoro-

musicale” se si riferiscono alla sua sonorità-musicalità, infine, “modalità di

percezione sonoro-musicali” se sono manifestazioni della sua personale disposizione

attentiva alla percezione. Dai “modi di esserci” e dalle “risposte rivolte all’altro”

nascono dinamiche di contatto musicoterapiche. Le situazioni che si riferiscono alla

manifestazione di segnali non verbali rivolti all’altro (atteggiamenti interpersonali)

determinano “dinamiche di produzione” (comunicazione non verbale); quelle che,

invece, sono in relazione con gli aspetti sonoro-musicali resi comuni tra sonorità-

musicalità della persona e del musicoterapista (“aspetti sonoro-musicali congrui”)

riguardano le “dinamiche di produzione sonoro-musicali”; infine, quelle che

avvengono sulla base della personale disposizione attentiva alla ricezione finalizzata

diventano “dinamiche di ascolto sonoro-musicali”. Queste dinamiche riguardano

anche le “risposte rivolte a sé” e ciò significa che il soggetto si trova in una situazione

dove manifesta una disposizione attentiva alla ricezione per ascoltarsi in presenza

dell’altro; questo però non implica necessariamente che sia disposta ad accettare

anche quanto l’altro ha da dirgli. Quindi questa “risposta rivolta a sé” costituisce un

punto d’incertezza dato dal fatto che la persona, se ascolta unicamente sé stessa, si

orienta nella realizzazione di “modalità auto-centrate”, mentre, se ascoltandosi prende

in considerazione anche quanto è proposto dall’altro, crea i presupposti per mettere in

atto “dinamiche di contatto musicoterapico”. Dalle dinamiche di produzione sonoro-

musicale hanno origine “contatti sonoro-musicali musicoterapici” che possono essere

proposti dalla persona o dal musicoterapista e che, in questo senso, riguardano

situazioni caratterizzate dal fatto che la manifestazione dei “modi di esserci” e delle

“risposte rivolte all’altro” avvengono all’interno di un punto di contatto del contesto

musicoterapico. Questo “contatto sonoro-musicale musicoterapico” è un incontro o

uno scambio sonoro-musicale in base alla presenza parziale o totale delle seguenti

componenti che lo distinguono:

occupazione di un punto di contatto nello spazio comune di contatto;

posizione frontale preferibilmente seduta;

presenza del contatto/orientamento oculare.

Il contatto è uno “scambio sonoro-musicale” se riguarda una situazione di reciprocità

tra la persona e il musicoterapista che utilizzano gli strumenti musicali per esprimersi

in contemporaneità o in successione cogliendo anche quanto l’altro propone in

presenza di almeno due delle tre componenti descritte; mentre è un “incontro sonoro

musicale” se si riferisce a una situazione caratterizzata dalla presenza di tutte le tre

componenti.

Modi di essere o di esserci: emozioni vissute

“Modi di essere e/o esserci, risposte rivolte a sé e/o all’altro” vengono presi in

considerazione nel corpo-mente emozionale. L’attribuzione della componente

“emozionale” nasce da una riflessione in cui si tiene in considerazione il fatto che

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l’emozione, secondo Bonardi, è un elemento dinamico della “personale dimensione

sonora musicale” del soggetto ed entra a far parte di un “insieme interrelato” che

comprende anche le sensazioni, le immagini sinestesiche, il grado di competenze

musicali (percezione, comprensione, conoscenze, produzione) e culturali.

L’intervento musicoterapico esperito è stato articolato in conformità a quanto

elaborato sul termine “contatto” inteso come “situazione” caratterizzata dalla

manifestazione dei personali “modi di esserci” e delle personali “risposte rivolte

all’altro”, che avvengono a livello intenzionale, in una dimensione bidirezionale,

considerando l’altro come presenza attiva nello spazio comune di contatto del

contesto musicoterapico in cui si esplicano e si amplificano i “vissuti senso-emotivi”

esperiti dal musicoterapista, le “sensazioni/emozioni e gli atteggiamenti

interpersonali” manifestate dalla persona all’interno di una “direzione emozionale” di

tensione/distensione emotiva. Nel contesto musicoterapico le senso-emozioni sono

colte a livello non verbale. Al riguardo Argyle definisce la comunicazione non

verbale come un “linguaggio del corpo” costituito da “segnali non verbali […]:

segni-gesto, movimenti del capo, direzione dello sguardo, vicinanza e posizione

spaziale, contatto corporeo, orientazione, tono di voce e altri aspetti non verbali del

discorso, abiti e ornamenti del corpo”[2]. Quanto riportato giustifica la scelta di

considerare, nella persona cui era diretto l’intervento musicoterapico, i parametri

tramite cui elaborare un “bilancio psicomotorio globale”[3] del soggetto integrandoli

con i segnali non verbali individuati da Argyle. Da questa integrazione è stato

possibile rilevare l’espressività globale e differenziale del soggetto sulla base della

manifestazione dei seguenti aspetti non verbali provenienti da determinate “aree

corporee”.

Mimica facciale-espressioni del volto

Bocca (rivolta in basso/in alto, con diversi gradi di apertura, che mostra i denti o la

lingua). Sopracciglia (sollevate/aggrottate). Pelle (di colore pallido/acceso, che

traspira o no). Naso (beffardo, narici dilatate). Mimica facciale (mobile/fissa,

tesa/distesa, dolce/severa, autoritaria).

Sguardo

Qualità dello sguardo (vivace, fisso/mobile, sfuggente, dolce/severo, autoritario). A

chi è diretto lo sguardo (al terapista, agli strumenti musicali, allo spazio-ambiente).

Voce

Qualità della voce da un punto di vista acustico (tono alto/basso/neutro

ascendente/discendente), altezza (acuto/grave/medio), ritmo (veloce/lento/con pause

frequenti), intensità (forte/debole/variabile), timbro (gutturale/nasale/rauco). La voce

rispetto alle emozioni può variare in base a: sonorità, velocità, altezza, tono, disturbi

del discorso (o non fluente). Qualità della voce (tono modulato, occasionale, assente,

diretto all’altro, diffuso, diretto a sé). Qualità della emissione vocale/verbale

(frequente/assente, espressiva, non finalizzata alla comunicazione, comunicativa e

rivolta all’esterno, funzionale, usata in modo specifico alla situazione).

Postura

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Aperta/chiusa, prona/supina, verticale/orizzontale, in equilibrio/in disequilibrio, in

tensione/distensione.

Tono muscolare

Alto/basso, chiuso/aperto. Le variazioni toniche possono essere continue, in

crescita/in diminuzione rispetto alla tensione/ distensione.

Respiro

Superficiale/profondo, regolare/irregolare, lento/veloce, con iperventilazione/apnea.

Movimento

Qualità del movimento (ampio/raccolto, lento/veloce, circolare/direzionato,

regolare/irregolare. Movimenti più frequenti (camminare, correre, strisciare,

gattonare, rotolare, cadere). Presenza dei movimenti stereotipati (da rilevare).

Gestualità

Le mani sono usate prevalentemente per manifestare i propri stati d’animo, svolgere

attività sostitutive (da rilevare), additare indicando la direzione dell’attenzione. I gesti

sono usati prevalentemente per illustrare (collegarsi ai discorsi), esprimere stati

d’animo o la propria personalità, mettere in atto dei rituali particolari.

Contatto fisico

Il contatto fisico può essere operato con mani, braccia, bocca, piedi e quindi:

accarezzare, pizzicare, lisciare, stringere, baciare, leccare, toccare, tenere,

abbracciare, calciare, solleticare ecc… L’espressività globale e differenziale è stata

presa in considerazione in un contesto più ampio che possa cogliere il livello di

integrazione del soggetto nel contesto musicoterapico esperito. Argyle afferma che:

“Differenti aree del corpo possono trasmettere diversi aspetti dell’emozione...” e

ritiene, inoltre, le “aree corporee” come parti del corpo tramite le quali i “segnali non

verbali” comunicano le emozioni. In seguito a questa precisazione, gli aspetti non

verbali provenienti da determinate aree corporee sono diventati quindi anche “mezzi-

modi” per rilevare l’espressività per gli atteggiamenti interpersonali manifestati dalla

persona all’interno del contesto musicoterapico. In riferimento alla comunicazione

degli atteggiamenti interpersonali

l’autore individua due “dimensioni

generali”...

“Queste sono le dimensioni

generali degli atteggiamenti

interpersonali […]. Si possono

realizzare combinazioni di

atteggiamento, per esempio una

dominanza esercitata

amichevolmente”[4]. Queste due

dimensioni sono state prese in

considerazione nelle loro singole componenti (“componente emozionale”) rispetto

alla persona cui era rivolto l’intervento musicoterapico tenendo però presente che, in

conseguenza alla loro possibilità di combinarsi, si potevano realizzare situazioni

caratterizzate da ostilità o amichevolezza in presenza anche di

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dominanza/sottomissione. Queste due situazioni sono, inoltre, state rilevate e valutate

in riferimento a una “dimensione emozionale” data da “tensione/distensione

emotiva”. L’ostilità in presenza anche di dominanza o sottomissione è stata

considerata come una situazione di “tensione emotiva”; mentre l’amichevolezza in

presenza anche di dominanza o sottomissione caratterizzava una situazione di

“distensione emotiva”. Nell’intervento musicoterapico ritengo opportuno effettuare

anche una rilevazione-valutazione delle emozioni e delle sensazioni manifestate dalla

persona poiché, trovandosi nel contesto musicoterapico, esperisce una condizione di

ricezione totale: uditiva (orecchio-cervello) e corporeo-sensoriale (somato-fisica). In

questa condizione il sonoro e/o il musicale può essere recepito sia a livello cosciente

(intellettivo, razio-mentale) sia non cosciente (neurovegetativo). In quest’ultimo caso

il suono, colto tramite gli analizzatori sensoriali sparsi sulla pelle, va a influenzare le

funzioni vitali-viscerali riattivando nell’ascoltatore sensazioni (tensione,

rilassamento) ed emozioni (piacere, dispiacere, ecc) che, se rilevate e valutate in

modo adeguato, diventano importanti indicatori dell’evoluzione (in senso positivo o

negativo) del contatto musicoterapico. A mio parere il musicoterapista ha l’obbligo e

il dovere di articolare l’intervento non solo nella massima considerazione delle senso-

emozioni che la persona manifesta ma anche nella consapevolezza di quelle che lui

stesso esperisce (“Autovalutazione musicoterapica”[5]) al fine di riuscire a

comprendere, accettare ed elaborare in modo produttivo e funzionale determinati

vissuti personali che, altrimenti, potrebbero ostacolare e rendere impossibile qualsiasi

tentativo di contatto. Le sensazioni e le emozioni individuate da Bonardi sono state

integrate con altre esperite da me e dalla persona diventando così gli indici di due

schede di rilevazione e valutazione. È possibile ipotizzare che la proposta sonoro-

musicale, nel contesto musicoterapico” esperito con l’esperienza condotta, è stata

accettata o rifiutata dalla persona in base a quanto manifestava nelle sue modalità-

dinamiche di contatto. Il punto d’incertezza individuato nella “risposta rivolte a sé”

come punto in comune tra “modalità musicoterapiche” e “dinamiche di contatto

musicoterapiche” costituisce la possibilità di intervenire come presenza attiva,

effettuando delle proposte o stimolazioni compartecipi con ciò che la persona

manifesta. Se la persona accetta quanto proviene dall’altro (musicoterapista) significa

che lo coinvolge nei suoi personali “modi di esserci e di risposta rivolta all’altro”, se

invece lo rifiuta continua a rimanere nei suoi personali “modi di essere e di risposta

rivolta a sé” escludendo l’altro come presenza in ciò che manifesta. L’accettazione

delle proposte del musicoterapista costituisce dunque il presupposto per la

realizzazione di “contatti musicoterapici”. Può essere caratterizzata da situazioni di

amichevolezza in presenza anche di dominanza o sottomissione che denotano una

certa distensione emotiva data dalla presenza di: espressione a livello motorio verso il

musicoterapista/gli strumenti musicali/la fonte di emissione sonoro-musicale,

avvicinamento, contatto fisico, abbraccio nei confronti del musicoterapista. Al

contrario, il rifiuto di quanto proviene dal musicoterapista denota una situazione di

“distacco (non contatto) ” in cui la persona manifesta i personali “modi di essere e di

risposta rivolta a sé”. Può essere caratterizzato da situazioni di ostilità in presenza

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anche di dominanza e/o sottomissione che denotano una certa tensione emotiva in

presenza di aggressività autodiretta, opposizione rivolta all’ambiente o agli strumenti

musicali, espressività rivolta verso sé, isolamento. “Tensione/distensione emotiva”

devono, quindi, essere considerate due “direzioni emozionali” verso le quali

indirizzare le modalità con cui la persona si esprime in base alle sensazioni/emozioni

che manifesta e agli atteggiamenti che rivolge all’altro (interpersonali). Solo

attraverso l’ “ascolto compartecipe” della sonorità-musicalità-corporeità che

caratterizza la persona, io sarò in grado di cogliere in essa gli “aspetti sonoro-

musicali congrui” alla sua personale sonorità-musicalità-corporeità. Questi “aspetti

sonoro-musicali congrui” diventano mezzi alternativi di comunicazione non verbale

perché sono utilizzati dal musicoterapista al fine di poter dare delle “risposte

compartecipi” basate, in parte, su un suo atteggiamento di autenticità e, in parte, sulla

sua riproduzione per imitazione di quanto viene manifestato-espresso dalla persona in

riferimento anche alla tensione/distensione emotiva che manifesta. Eseguire un

“ascolto/risposta compartecipe” significa porsi in una disposizione attentiva di

ricezione intenzionale e in una condizione di proposta in accettazione della persona

cui è rivolto l’intervento, ossia accogliendo con il massimo rispetto tutto ciò che

manifesta a livello non verbale ed emozionale. L’aspetto relazionale ed emotivo

nell’intervento musicoterapico esperito è stato valutato altresì tenendo presente che le

“metodiche (riabilitative) veicolano tutte le proposte tecniche attraverso le

motivazioni e il coinvolgimento affettivo del paziente al progetto (Perfetti 1986),

coinvolgimento che è in larga parte frutto dell’intesa con il riabilitatore, il quale, in

questo caso, è molto attento alle risposte emotive del paziente ed è a sua volta

portatore all’interno del rapporto di sentimenti ed emozioni proprie […]. Il

riabilitatore non cerca di lavorare sui contenuti interiori del paziente, non accede

alla dimensione simbolica, ma veicola l’affettività attraverso la praticità dei gesti e

azioni”[6].

Sandra Pasinetti

[email protected]

[1]Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente…

autentica, 2011, http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia

e ritardo mentale

[2]Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio – Studio sulla comunicazione non verbale,

Zanichelli, Bologna 1978, p. 2.

[3]Cenerini G., Cartacci F., Uno strumento operativo: griglia di osservazione

psicomotoria, tratto dal materiale di studio del corso triennale di formazione per

psicomotricisti, C.P.M., Brescia

[4]Argyle, Il corpo e il suo linguaggio, p. 89.

[5]Bonardi G., L’osservazione musicoterapica con adolescenti e adulti oligofrenici in

ambito socioeducativo, PCC, Assisi 1995, p. VI.

[6] Postacchini, Ricciotti, Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, pp. 59-63

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Deodato Rosaria, L’evoluzione del processo musicoterapico con Walter

Pubblicato il 9 febbraio 2011

In ascolto

Al fine di favorire il massimo adattamento di Walter (nome di fantasia, in

ottemperanza alla legge della privacy) all’ambiente, durante le sedute iniziali ho

mantenuto un’organizzazione dell’habitat musicoterapico pressoché stabile. La

piccola aula era gradevole, ma sovraccarica di stimoli: disegni dei bambini appesi alle

pareti, giochi, palle per rotolare e cerchi. Walter permaneva a lungo (30’- 40’) nella

stanza, assumendo differenti posture, eretta e in movimento, sdraiata a terra o sulle

palle per rotolare. Fortunatamente, dopo i tre incontri iniziali, per innumerevoli

ragioni didattiche, la stanza non è stata più disponibile. L’unico ambiente agibile era

l’aula della classe in cui Walter era inserito, mentre i compagni svolgevano l’attività

motoria in palestra. Titubante ho dovuto fare di necessità virtù e, per fortuna, il

cambiamento si è rivelato positivo perché, riorganizzando l’ambiente, avevo

individuato essenzialmente due spazi: uno esclusivo e privato, in cui Walter

relazionava con sé, l’altro in cui avevano luogo le nostre relazioni sonoro – musicali.

Nel pormi in relazione con Walter, cercavo di “…essere autentica[1]…”,

ascoltando, con la massima attenzione, i miei vissuti per riconoscergli, accoglierli.

In questa prospettiva cercavo “… di prestare attenzione all’altro, rimanendo in stato

disteso e rilassato, per un congruo periodo di tempo[2]…”. Per me non era facile

accogliere le mie emozioni e sensazioni, cercando di distinguere ciò che provavo io

durante la situazione da ciò che l’altro mi comunicava. In ogni caso cercavo di

ascoltare me, al meglio delle mie possibilità, al fine di ascoltare l’altro, “…accettare

così com’è [3]…, quanto proponeva, astenendomi da ogni giudizio, interpretazione e

richiesta, dandogli valore, fiducia nelle sue risorse e potenzialità. Cercavo quindi di

entrare in risonanza con le emozioni del bambino, utilizzando in modo prevalente e

costante la mia voce. Mediante la mia voce, i miei occhi, il mio corpo attuavo la

«…calibrazione…»[4]. Osservavo e, in un certo senso, ricantavo gli aspetti non

verbali della comunicazione di Walter. Le tensioni emotive, manifestate da Walter

con: peregrinazioni, posture erette, uscite, si placavano momentaneamente, quando

Walter si sedeva sulle mie ginocchia e suonava la tastiera. Io improvvisavo un

vocalizzo oscillante tra la “o” e la “e”, dell’ampiezza di un intervallo di terza minore

ascendente e discendente, nell’ambito dell’ottava centrale. Cercavo di rasserenare

Walter, utilizzando l’espressione vocale che avevo rilevato nella fase d’osservazione

musicoterapica e, con mio stupore, aveva per Walter un effetto benefico. In sede di

supervisione, la lettura dei dati rilevati evidenziava l’aspetto dinamico del

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trattamento, denotato dalle innumerevoli non costanti. Per Walter il tempo, lo spazio

e le relazioni erano, probabilmente, vissuti ancora in modo tensivo. Da parte mia

percepivo il carico emotivo di dover stare in ascolto di forti emozioni che, per il

momento, non avevano nome.

Relazioni... sonoro-musicali

Nella fase intermedia, al fine di migliorare il processo musicoterapico, volevo

introdurre alcuni cambiamenti, cercando di non stravolgere l’ambiente. In questa

prospettiva ho mantenuto l’organico strumentale e l’organizzazione dell’ambiente,

mentre ho apportato alcune, ponderate, variazioni all’arredo e agli ascolti musicali. In

sede di supervisione, l’analisi particolareggiata dei miei vissuti, esperiti durante le

sedute, ha permesso di rilevare e valutare la mia autostima. In particolare il costante

senso di sicurezza (adeguatezza), che provavo durante le sedute, favoriva l’ascolto

(accoglienza) del bambino. Ero maggiormente disponibile ad un nuovo suo

avvicinamento, senza cercarlo. Parimenti riuscivo a chiudere l’incontro, vivendo

questo momento con minor ansia. Riuscivo altresì ad accogliere l’angoscia di Walter

quando fuggiva dalla stanza. Ascoltavo le sue grida, lo raggiungevo nel corridoio e,

richiamandolo per nome con forte intensità, mi dava la mano, rientravamo nella

stanza e, a questo punto, dopo averlo affettuosamente salutato, chiudevo l’incontro.

Poco dopo Walter usciva ed era calmo. In tal modo ho compreso la difficoltà e la

fatica di essere per lui un punto di riferimento adeguato, anche nei momenti di crisi.

Dal punto di vista relazionale, l’intervento si è basato sul gioco, «…gioco nella sua

integrità e autenticità, libero da riduttività o dal fatto che possa essere finalizzato ad

altro, gioco attuato per il piacere di condividere un’esperienza insieme…»[5]. Io

interagivo con la dimensione sonoro-musicale di Walter: improvvisavo con la

tastiera, con il tamburo e con gli altri strumentini, accompagnandoli con la voce.

Rispecchiavo tempo–durata, pulsazione, ritmo ed energia delle espressioni del

bambino (uso degli strumenti, movimenti, stereotipie), dando ad esse un valore

affettivo- comunicativo. Non parlavo ma creavo sul momento canzoni che

descrivevano ciò che Walter faceva. Lo chiamavo per nome, gli comunicavo la mia

presenza: fiducia, accettazione e positività. Con il ritmo delle parole, l’intensità e la

melodia cercavo di seguire ciò coglievo nella calibrazione della fisiologia del

bambino. Alcune canzoni sono rimaste delle costanti negli incontri, rappresentando

un momento di familiarità. Quando il bambino era seduto a cavallo su di me alla

tastiera e io mi fermavo, prendeva la mia mano e la portava sui tasti perché

continuassi il gioco. Egli dunque, a suo modo, ascoltava. Lentamente continuavo a

combaciare e andare al passo con lui, improvvisando (matching epacing), mentre

introducevo nel gioco la variazione (leading) e l’equilibrio tra familiarità e novità,

prevedibilità e imprevedibilità, conferma e accoglienza del sé del bambino,

sollecitazione al suo aprirsi all’altro da sé. Con il ricalco «matching» (combaciare) e

«pacing» (andare al passo) creavano il rapporto di fiducia in equilibrio con il

«leading[6]» (guida), introducendo variazioni e novità che favorivano il processo di

differenziazione, non confusione tra me e Walter. Prima di introdurre elementi di

variazione combaciavo, facendo attenzione ai feedback di Walter (calibrazione), che

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mi comunicavano, istante per istante, fino a che punto era importante mantenere e

intensificare il ricalco e fino a che punto potevo attuare il leading. Utilizzando

comunicazioni familiari ottenevo, in Walter, sicurezza, creando la «base sicura»[7],

mentre quando introducevo novità alimentavo la curiosità, attirando l’attenzione

verso il mondo esterno, me. Nel dialogo emergevano altri due importanti parametri,

l’alternanza dei turni che implicava l’ascolto, l’accoglienza di quanto Walter mi

comunicava, e la pertinenza del tempo di risposta. Pian piano scoprivo che nostro il

corpo era il prezioso mediatore delle nostre relazioni. Mentre Walter era a cavallo su

di me e percuoteva con forte intensità il tamburo, ho cominciato a rispondere non più

solo con accordi della tastiera, ma facendogli fare il cavalluccio sulle mie ginocchia e

sentire, attraverso il corpo e la mia voce, la stessa pulsazione e intensità dei suoi

colpi. Il gioco si ripeteva con delle variazioni quali il salto e il solletico sulla pancia.

Walter rideva e la sua risata si udiva chiaramente. La cosa più importante è che lui

percuoteva il tamburo girando contemporaneamente gli occhi verso di me, con

un’intenzione precisa perché aspettava la mia risposta, forse abbozzava una breve,

inattesa, relazione sonoro-musicale. Nel gioco ho introdotto variazioni dinamiche

quando il bambino, in un attimo di esitazione perché guardava me, sfiorava il

tamburo io rallentavo la velocità del movimento delle mie gambe. Allo stesso modo

quando Walter, toccando tutti i pulsanti della tastiera, azionava l’accompagnamento

ritmico (croma, croma, semiminima), che lo aveva sempre spaventato, io

improvvisavo vocalizzi o interrompevo la musica per creare il silenzio, l’attesa e

mantenere viva la sua attenzione. Walter non aveva più paura e iniziava a premere il

pulsante. Così il gioco era guidato un po’ da me un po’ da lui. In queste relazioni

sonoro-musicali il bambino non eseguiva le sue solite stereotipie. Il “gioco del

cavalluccio con variazioni” è diventato evento familiare nei nostri incontri, così come

la canzone che lo precedeva: “Walter suona il tamburo…bum!” (salto sulle

ginocchia).

Relazioni affetive condivise

In relazione ai positivi, seppur limitati, risultati ottenuti nella precedente fase, nel

processo finale volevo approfondire l’aspetto relazionale che assumeva, da parte mia,

una connotazione materna. In questa prospettiva, poiché l’organizzazione

dell’ambiente musicoterapico soddisfaceva entrambe, non ho apportato cambiamenti.

La presenza, la serenità, l’accoglienza e l’adeguatezza, da me provate costantemente

durante ciascun incontro, mi permettevano di interagire al meglio con Walter.

Mediati dai nostri corpi e dalla voce, i “nostri dialoghi” rievocavano ciò che avveniva

“… tra madre e bambino prima che questi acquisisca il linguaggio…”[8]. Agivamo

ciascuno ai segnali dell’altro, improvvisando, influenzandoci reciprocamente. Io non

sapevo come rispondeva Walter alle mie sollecitazioni. Talvolta cambiava

espressione, si ritirava dentro se stesso o era attratto da un oggetto esterno. Mi

lasciavo guidare, modulando i miei comportamenti su quelli di Walter, così

apprendevo man mano a conoscerlo, ad anticiparlo sempre meglio e a rispondere in

modo adeguato. Svolgevo, al meglio delle mie possibilità, una funzione analoga a

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quella originariamente svolta dalla madre, di «organizzazione dei comportamenti

spontanei del bambino»[9]. Talvolta cercavo di diventare uno «specchio

biologico»[10] per il bambino. Pazientemente cercavo di trasformare le

comunicazioni sonore casuali di Walter in qualcosa di maggiormente strutturato.

Personalmente ho riscontrato un’analogia tra le affermazioni di Scardovelli,

riguardanti la relazione madre-bambino, e gli elementi più primitivi della

comunicazione evidenziati dalle ricerche svolte da Daniel Stern. Secondo Stern, il

bambino nei primi due mesi ha la capacità non consapevole e innata, detta percezione

amodale, di cogliere forma (caratteristiche spaziali), intensità e tempo (pulsazione,

durata e ritmo) che Stern chiama «le qualità più globali dell’esperienza»[11], e di

trasferirle da una modalità sensoriale all’altra. Le varie esperienze vengono così

messe in relazione e attraverso la rilevazione di queste costanti, il bambino

sperimenta l’emergere del sé e complementarmente dell’altro da sé. Allo stesso modo

il bambino coglie nei comportamenti e nei sentimenti il modo, il come, cioè gli

«affetti vitali»[12], ad esempio esplodere, crescendo, decrescendo, svanire,

trascorrere. Questo «senso del sé emergente»[13] coesiste con i successivi sensi del

sé che si vanno formando, proprietà diverse dell’esperienza del sé, ciascuna della

quali perdura tutta la vita. Tra i due e i sei mesi si forma il «sé nucleare o fisico»[14]

e complementarmente il senso dell’altro nucleare, interlocutore separato da sé: il

bambino fa esperienza di «essere con un altro regolatore del sè»[15]. In questo

periodo i genitori presentano comportamenti tipici come il linguaggio e le facce

infantili. I giochi seguono il modello del “tema con variazioni”, che mantiene

l’attenzione del bambino (variazioni), il quale può anche identificare le caratteristiche

costanti nei comportamenti interpersonali (familiarità). Il livello di eccitazione del

bambino è regolato reciprocamente da madre e bambino. Questi infatti gira lo

sguardo per interrompere una stimolazione eccessiva e attraverso smorfie e sguardi

ricerca nuovi e più alti livelli di eccitazione. Si può pensare dunque che il bambino

senta la presenza dell’altro come separato e la propria capacità di modificarne il

comportamento. Successivamente tra il settimo e il nono mese il bambino si accorge,

sempre senza esserne necessariamente consapevole, che gli altri pur separati e distinti

da lui, possono avere uno stato mentale simile al suo. Egli diviene in grado di

condividere l’esperienza soggettiva.

Appare così l’«intersoggettività»[16] caratterizzata da:

compartecipazione dell’attenzione, che conduce gradualmente all’attenzione

congiunta: il bambino sente di poter concentrare la sua attenzione su un obiettivo e

che anche la madre può farlo;

compartecipazione delle intenzioni, che implica la volontà e non casualità dei

gesti-comunicazione: il bambino attribuisce all’altro la comprensione della sua

intenzione e la volontà di soddisfarla;

compartecipazione degli affetti, condivisione di un’emozione o di uno stato

d’animo.

Nelle sintonizzazioni affettive la madre legge i sentimenti del bambino nei suoi

comportamenti manifesti e risponde per via transmodale, cogliendo sempre forma,

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intensità e tempo. Ad esempio ad un movimento del bambino segue la risposta della

madre che con la voce ne rispecchia lo sforzo fisico. Nelle sintonizzazioni di

comunione, la madre “è con” il bambino, partecipa, condivide. Nelle sintonizzazioni

volutamente imperfette la madre varia intensità, tempo e forma del proprio

comportamento, provocando l’interruzione o la modificazione di quello del bambino

che coglie così somiglianze e differenze. Le funzioni del sé individuate da Stern e

riguardanti i primi mesi di vita nello sviluppo normale, preverbale e non consapevole,

corrispondono ad alcune modalità di funzionamento dei bambini autistici, come se

questi si fossero fermati lì. Io stessa ho colto analogie con quanto accadeva negli

incontri di musicoterapia con Walter. In particolare è significativo che le qualità cui

si riferisce Stern sono decodificabili in modo naturale prescindendo dal livello di

sviluppo affettivo e cognitivo e costituiscono la struttura stessa della musica e del

suono. «L’apertura di un canale di comunicazione con il bambino autistico sembra

derivare dalla capacità del suono e della musica di riattivare queste modalità di

relazione arcaiche ma ancora presenti nel terapista e nel bambino»[17]. Possiamo

dunque dire che «creando una situazione con il soggetto autistico che rispecchi la

precoce interazione tra il neonato e chi se ne prende cura, si rivivono le primissime

interazioni sociali fondamentali»[18] e ancora che «iniziare il processo comunicativo

dando significato alle espressioni non comunicative del bambino è la base per lo

sviluppo del linguaggio normale e della comunicazione»[19].

Deodato Rosaria

[email protected]

[1] Rogers Carl R., (1993), Un modo di essere, Firenze, Martinelli, p. 101.

[2] Scardovelli Mauro, (1992),Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 51.

[3] Rogers Carl R., (1993), Un modo di essere, Firenze, Martinelli, p. 101.

[4] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 67.

[5] Cremaschi Trovesi Giulia, (1996), Musicoterapia, arte della comunicazione,

Roma, Edizioni Scientifiche Magi, p. 124.

[6] Scardovelli Mauro, (1992),Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 68.

[7] Bowlby John, (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello

Cortina, Milano, p. 109.

[8] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 12.

[9] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 45.

[10] Scardovelli Mauro, (1992), Il dialogo sonoro, Bologna, Cappelli, p. 46.

[11] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati

Boringhieri, p. 67.

[12] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati

Boringhieri, p. 69.

[13] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati

Boringhieri, p. 75.

[14] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati

Boringhieri, p. 111.

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[15] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati

Boringhieri, p. 116.

[16] Stern Daniel N., (1987), Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati

Boringhieri, p. 134.

[17] D’Ulisse M. Emerenziana, Polcaro Federica, a cura di, (2000), Musicoterapia e

autismo, Roma, Phoenix, p. 27.

[18] Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo.

Comunicazione, emotività e pensiero, Trento, Erickson, p. 65.

[19] Jordan Rita, Powell Stuart, (1997), Autismo e intervento educativo.

Comunicazione, emotività e pensiero, Trento, Erickson, p. 89.

Con tag Musicoterapia e autismo, Deodato Rosaria

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Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente...

autentica

Pubblicato il 1 febbraio 2011

Durante la fase iniziale di progettazione dell’esperienza musicoterapica rivolta a una

persona avente ridotte capacità relazionali ho sentito l’esigenza di individuare delle

risposte efficaci e funzionali a queste domande:

che cosa s’intende per musica in ambito musicoterapico?

che cosa s’intende per terapia in ambito musicoterapico?

come si articolano i termini musica e terapia in ambito musicoterapico?

Musica... Per riuscire a individuare risposte plausibili ho analizzato e comparato il

pensiero musicoterapico di Postacchini, e le riflessioni di Bonardi. Bonardi per

definire la musica in ambito musicoterapico utilizza la terminologia Dimensione

Sonoro-Musicale (D.S.M.) ed indica “l’insieme eterogeneo delle sonorità ambientali

(naturali, tecnologiche, familiari) e delle musiche (strutture ritmiche, melodie, canti,

brani musicali) iscritto nel patrimonio mnemonico come risultante delle peculiari

modalità di interazione (percezione ed espressione) elaborate dalla persona nei

riguardi dell’habitat acustico-musicale di appartenenza (area geografica sonoro-

musicale ben precisa […])[1]. Per Bonardi, in ambito musicoterapico

(“terapeutico”), non si fa riferimento a “una musica” ma alle “musiche” perché tutti i

tipi di musica assumono pari dignità purchè appartenga alla persona presa in esame e

siano funzionali ai fini della relazione. Seguendo il pensiero di Schneider M., Bonardi

afferma che le musiche possono essere raggruppate in due categorie:

a) musiche naturali espressive che non soggiacciono a un progetto estetico;

b) musiche che soggiacciono ed un progetto estetico-culturale.

Inoltre ritiene possibile considerare l’espressività sonora della persona (grido, voce,

gesto) come “musica”. In questo senso mi riferisco anche a quanto afferma

Postacchini”: “Il vocabolo musica viene generalmente utilizzato in musicoterapia

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nella sua accezione più ampia, quella corrispondente al significato di “Universo

Sonoro” […]”. Inoltre: “I materiali utilizzati non sono esclusivamente quelli dotati di

una organizzazione formale complessa o di qualità estetiche di particolare rilievo,

bensì anche eventi acustici comuni come sonorità corporee, di oggetti, ambientali

ecc.”[2]

Terapia... Bonardi, tra i diversi significati che possono essere attribuiti al termine

terapia in ambito musicoterapico, pone la sua attenzione a quelli che gli riconoscono

il significato di “curare” la persona, ossia “aiutarla a riattivare modalità

comunicative precedentemente interrotte […], ad attivare un processo interattivo non

verbale tra i poli diadici del sistema relazionale musicoterapico”[3]. Postacchini, in

riferimento al terapeutico in musicoterapia, afferma che: “... si parla di cose che

hanno attinenza con la cura della persona, cioè con la salute, con la malattia e con le

metodiche (terapia-riabilitazione) per migliorare le condizioni di chi è

ammalato”.[4] In merito alle metodiche terapia-riabilitazione e al loro ambito

d’intervento musicoterapico, Postacchini pone anche il problema della definizione dei

rapporti che ci possono essere tra di loro. “L’ambito all’interno del quale si muove

l’intervento riabilitativo è quello del reale […]. La strategia principe della

riabilitazione è quella che chiamiamo un procedere “dal di fuori” [..] perché, a

nostro avviso, si basa su una prassi […], su una struttura esterna ben organizzata,

che viene somministrata all’individuo […] nella convinzione che questi ne possa

assumere gli schemi, le parti, le funzioni, l’armonicità”[5]. Postacchini concentra

l’attenzione sugli interventi a carattere psicoterapico. “L’ambito all’interno del quale

generalmente opera l’intervento psicoterapico è quello del simbolico”. La

psicoterapia è un procedere “dal di dentro”, ossia “si lavora direttamente

sull’emotività e sui processi mentali, consci e inconsci, e quindi massimo è il livello

di coinvolgimento affettivo nella relazione, sia da parte del paziente che da parte del

terapeuta, con tutti i rischi e le necessità di un rigoroso training di formazione per

chi intenda cimentarsi in tale lavoro”[6]. Questa precisazione risulta importante e

fondamentale perché rappresenta per me un tentativo di riflessione finalizzato ad

individuare l’ambito in cui agire con l’intervento musicoterapico esperito. Questo è

avvenuto soprattutto in considerazione del pericolo di favorire l’insorgere di

situazioni emotive regressive non facilmente controllabili in quanto riguardavano il

settore di intervento terapeutico (psicoterapico) del quale, sulla base di una

formazione psicomotoria, non ho competenze adeguate. Ho capito così che

l’atteggiamento da assumere deve/può essere quello di cogliere quanto l’altro vive

“veicolando” le emozioni attraverso il corpo e il movimento.Postacchini afferma che

il termine musicoterapia, essendo composto da due vocaboli, musica e terapia

divisi/uniti da un trattino, indica che il termine musica diviene il “mezzo” attraverso

il quale si opera, mentre il termine terapia indica il “come” avviene il nostro agire.

Sempre in questo contesto Postacchini ha ritenuto corretto parlare di quello che è

stato definito come il tipo di “oggetto” cui può essere rivolto il lavoro musicoterapico

affermando che esso può essere costituito da persone handicappate, tossicodipendenti

o anziane. In particolare la musicoterapia può essere rivolta a persone aventi ritardo

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mentale grave-gravissimo, ridotte o pressoché assenti abilità relazionali[7] e, secondo

la mia esperienza, con notevoli compromissioni a livello delle abilità socio-

emozionali.

Musicoterapia... Per Bonardi risulta fondamentale, dopo aver definito i vocaboli

musica e terapia separatamente, trovare un “nesso” tra loro che stabilisca una

relazione analogica tra la musica e la terapia. “Il nesso che lega la musica alla

terapia è individuabile nella ricerca del sonoro-musicale, caratterizzante la persona

(D.S.M.) che permetta, aiuti (in senso terapeutico), il riattivarsi di modalità

comunicative precocemente interrotte”. Inoltre “[…] lo studio dell’habitat acustico-

musicale di appartenenza del singolo e delle sue peculiari modalità di percezione e di

espressione sonoro-musicale […] (rende) possibile individuare alcuni aspetti della

sua D.S.M. utili a riattivare il processo interattivo non verbale”. Infine: “Porsi in

una situazione musicoterapica significa cercare di attivare le modalità interattive tra

dimensioni sonoro-musicali (D.S.M.) diverse, ossia il complesso costituito da sistemi

acustici-culturali-musicali caratterizzanti i poli della relazione diadica.”[8]

Considerazioni personali... Riflettendo sui concetti presi in esame, ritengo che

l’intervento musicoterapico consenta la ri-attivazione di modalità-dinamiche

musicoterapiche all’interno di uno “spazio comune di contatto” (S.C.C.) tra persona e

musicoterapista considerando la sonorità-musicalità-corporeità che caratterizza

entrambe. Con la terminologia sonorità-musicalità-corporeità intendo l’insieme

interrelato costituito da suoni e dalle musiche appartenenti all’ambiente di vita

quotidiano della persona, dai personali “modi di essere e/o esserci” e dalle personali

“risposte rivolte a sé e/o all’altro”. I “modi di essere e/o esserci” e le “risposte rivolte

a sé e/o all’altro” riguardano l’essenza della persona. I “modi” fanno riferimento

all’attuazione delle modalità di funzionamento degli organi di senso e soprattutto del

movimento e dell’udito; mentre la “relativa inibizione” di queste modalità determina

“risposte” da intendere come “disposizioni attentive alla ricezione”. Con i termini

“modi di essere” e di “risposte rivolta a sé” indico modalità di funzionamento e

disposizioni attentive che avvengono in modo non intenzionale, considerando l’altro

come presenza passiva nel contesto musicoterapico, in una dimensione unidirezionale

(percezione ed espressione rivolte a sé). Con la terminologia “modi di esserci” e di

“risposte rivolta all’altro sé”, indico modalità di funzionamento e disposizioni

attentive che avvengono a livello intenzionale, in presenza attiva dell’altro, in una

dimensione bidirezionale nel contesto musicoterapico (ascolto e produzione rivolte

all’altro da sé). Quando la manifestazione di questi modi avviene escludendo

completamente l’altro da ciò che si sta esprimendo o percependo è possibile

considerare il contesto in cui ci si trova come una dimensione unidirezionale; se, al

contrario, avviene coinvolgendo l’altro allora significa che si sta esperendo una

dimensione bidirezionale.Esclusione e coinvolgimento dell’altro nei personali “modi

di essere e/o esserci” e nelle personali “risposte rivolte a sé e/o all’altro” permettono

anche di chiarire cosa si intende per presenza passiva e/o attiva dell’altro in

riferimento alle modalità di funzionamento soprattutto del movimento, dell’udito e

della loro “relativa inibizione”. Se queste avvengono rifiutando quanto proposto

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dall’altro, allora si parla di una sua presenza passiva e di espressione-percezione; di

converso, se avvengono accettando ciò che proviene dall’altro, si parla di presenza

attiva e di dinamiche basate sulla produzione-ascolto sonoro-musicale. Quindi il

“contesto musicoterapico” diviene una “dimensione” di manifestazione in senso

unidirezionale o bidirezionale dei personali “modi di essere e/o esserci” e delle

personali “risposte rivolte a sé e/o all’altro” che avvengono a livello non intenzionale

o intenzionale, in presenza attiva o passiva dell’altro. All’interno del contesto

musicoterapico si realizza uno “spazio comune di contatto” che prevede la presenza

attiva in una dimensione bidirezionale, a livello intenzionale della persona e del

musicoterapista.Dallo spazio comune di contatto nascono ulteriori fondamentali

estensioni dello stesso (spazio), da considerare come “punti di contatto” tramite i

quali il musicoterapista realizza una congruenza tra la sonorità-musicalità-corporeità

che gli appartiene e quella della persona in relazione alla sua:

a) durata (in termini di secondi e minuti);

b) intensità (forte, media e debole);

c) frequenza (numero di volte in cui accade nella seduta);

d) d)velocità (lenta, intermedia ed elevata);

e) altezza (intesa in alcune situazioni come parametro musicale dal quale ricavare

suoni musicalmente codificabili).

Questi aspetti sonoro-musicali si rendono congrui in seguito alla “risposta” di chi si

trova in una disposizione attentiva di ricezione rivolta alle modalità di funzionamento

di chi, invece, sta esprimendo o percependo qualcosa. In conformità a questa

congruenza è possibile favorire la nascita di un “contatto” tra chi è presente nel

contesto musicoterapico. Con il termine ‘contatto’ mi riferisco ai personali “modi di

esserci” e alle personali “risposte rivolte all’altro” che avvengono a livello

intenzionale, in una dimensione bidirezionale, considerando l’altro come presenza

attiva all’interno di uno spazio comune di contatto del contesto musicoterapico.

Sandra Pasinetti

[email protected]

[1] G. Bonardi, Handicap e Musicoterapia – Osservazione musicoterapica rivolta a

bambini e persone con ritardo mentale grave e gravissimo,in “Scuola Materna”,

n.14-Inserto 10 aprile, Editrice La Scuola, Brescia 1998, p. 11. Ora in: Bonardi G.

(2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro

(PU).

[2] P.L. Postacchini, A. Ricciotti, M. Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, La

Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, p. 29.

[3] G. Bonardi, Sul concetto di musicoterapia, in “Brescia Musica”, Anno IX, n. 44 –

Dicembre, Bimestrale di informazione e cultura musicale, Brescia 1994, p.1. Ora in:

Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul

Metauro (PU).

[4] Postacchini, Ricciotti, Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, p. 59.

[5] Ibid, p. 62.

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[6] Postacchini, Ricciotti, Borghesi, Lineamenti di musicoterapia, p. 68.

[7] G. Bonardi, La prassi musicoterapica “relazionale individuale”, in “Scuola

Materna”, n.14 – Inserto – 10 aprile, Editrice La Scuola, Brescia 1999, p. I. Ora in:

Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul

Metauro (PU).

[8] Bonardi, Handicap e Musicoterapia – Osservazione musicoterapica…, p. II. Ora

in: Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello

sul Metauro (PU).

Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra

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Marzo Bonardi Giangiuseppe, Ritmi accidentali e incidentali in musicoterapia

Pubblicato il 21 marzo 2011

In uno scritto fondamentale[1], Marius Schneider, riferendosi alla straordinaria

capacità osservativa dell’uomo primitivo, espone la sua particolare attitudine

percettiva. Secondo il pensatore alsaziano, il nostro progenitore nel momento in cui si

poneva nello stato osservativo aveva la capacità di cogliere l’essenza ritmica della

realtà fenomenica percepita. In questa prospettiva il nostro antenato, durante

l’osservazione, non era attratto dagli aspetti superficiali che apparivano alla sua vista

e, fatto ancor più rilevante, al suo udito ma la sua attenzione era catturata dalla

percezione dell’essenza acustica di ciò che osservava, ossia la dimensione ritmica

della realtà in cui era immerso. Pertanto la persona, durante l’atto osservativo, era in

grado di distinguere, nel limite del possibile, la propria dimensione ritmica, ossia la

percezione dei ritmi accidentali da quella che proveniva dall’insieme osservato, ossia

i ritmi incidentali. Durante la percezione del ritmo accidentale (sé) e di quello

incidentale (altro da sé), il nostro antenato era attratto da alcune dimensioni: l’ora, il

luogo e l’emozione. “Nel ritmo accidentale, l’ora si riferisce principalmente alla luce

del giorno e al momento preciso dell’osservazione. Il luogo indica il posto dove si è

prodotto il fenomeno osservato. L’emozione corrisponde alla situazione psicologica

soggettiva nella quale si trovava l’osservatore in quel momento.”[2]. Nel ritmo

incidentale, “… l’ora si riferisce al tempo come fattore dinamico e veicolo del ritmo

creativo. … Il luogo … si riferisce… agli stessi ritmi caratteristici che la natura di

questo luogo ha imposto (azioni)… . L’emozione… è… comunicata all’osservatore

dal ritmo dell’oggetto stesso.”[3]. Sebbene la riflessione di Marius Schneider

provenga dall’etnomusicologia, di cui l’alsaziano è ritenuto l’ideatore, a parer mio

può avere feconde implicazioni in ambito musicoterapico. Ripensando alla personale

realtà lavorativa, il contesto musicoterapico in cui opero, è caratterizzato dalla

compresenza dei ritmi accidentali (la mia soggettività) e quelli incidentali che

promanano dalle altre persone presenti. In questa prospettiva, nel processo

musicoterapico, io e la persona coinvolta viviamo il tempo (l’ora) e lo spazio (il

luogo), esprimendo, con gli strumenti musicali, le musiche ascoltate e i silenzi, il

nostro carico emozionale. Ho sempre sottolineato l’importanza di ascoltare e

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accogliere la propria dimensione emozionale[4], cercando di distinguerla nettamente

da ciò che l’altro esprime al fine di evitare dannose proiezioni. In questa prospettiva

mi sono orientato in una scelta radicale, ossia evitare di prendere in esame l’altrui

dimensione emotiva poiché non è verificabile per la mancanza, in queste persone, del

linguaggio verbale che consente una congrua valutazione. L’altrui dimensione

emotiva è però ‘rintracciata’ analizzando le dinamiche relazionali che la persona

esegue nel tempo e nello spazio dell’incontro. Ora, alla luce della stimolante

riflessione schnederiana, ripenso e mi interrogo sul mio modo d’operare. Se l’uomo

primitivo aveva e affinava la capacità di cogliere intuitivamente la dimensione

ritmica propria e altrui, perché è ora così difficile per me, pensatore razionale e

analitico, recepire, senza correre il rischio di falsare il dato preso in esame, la

dimensione emozionale che l’altro esprime con gli strumenti musicali che sceglie?

Una possibile risposta al singolar quesito la posso ritrovare, ancora una volta, nel

contributo schnederiano quando afferma che la percezione ritmica non avviene per

ragionamento analitico ma intuitivamente poiché per “… vivere un ritmo… è

indispensabile abbandonarsi senza riserve a tale ritmo per un tempo molto lungo,

scartando ogni tipo di intervento dell’intelligenza discorsiva.”[5]. In questa

prospettiva forse la mia ricerca deve avvalersi di un atavico e sopito intuito percettivo

da risvegliare con cautela, ossia affidarsi alla ricezione dei ritmi incidentali e, in

particolare, alla dimensione emotiva che li caratterizzano, facendo attenzione a non

confonderli con i miei ritmi accidentali. Ovviamente questa prospettiva di lavoro

privilegia la percezione della dimensione emozionale dei partecipanti, trascurando

apparentemente aspetti maggiormente oggettivi. Dalle iniziali e personali rilevazioni

posso testimoniare che inspiegabilmente i dati oggettivi, caratterizzanti le dimensioni

temporali, spaziali e musicali dell’altrui interlocutore, acquisiscono significato e non

appaiono come freddi indicatori delle evoluzioni del processo musicoterapico anzi lo

avvalorano e lo rendono maggiormente umano se circostanziati alla dimensione

emozionale da cui promanano.

Giangiuseppe Bonardi

[email protected]

[1] Schneider M. (1946), Gli animali simbolici e la loro musicale nella mitologia e

nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 29, 30.

[2] Schneider M. (1946), Op. cit., pag. 29, 30.

[3] Schneider M. (1946), Op. cit., pag. 30.

[4] Bonardi G. (2007), Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello

sul Metauro (PU), pag. 38-42.

[5] Schneider M. (1946), Op. cit., pag. 24.

Con tag Riferimenti teorici di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe

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Pasinetti Sandra, Dalla teoria alla prassi… musicoterapica

Pubblicato il 14 marzo 2011

L’intervento musicoterapico é stato realizzato presso il Centro-socio-educativo (C. S.

E.) della Valle Sabbia, ossia un servizio di “ospitalità diurna e assistenza qualificata”

a soggetti portatori di handicap con notevoli compromissione nell’autonomia e nelle

funzioni di base che si pone le seguenti finalità prioritarie:

elaborare “programmi educativi che siano sempre più vicini ai bisogni e alle

esigenze personali degli utenti”;

realizzare “progetti educativi individuali orientati al miglioramento delle qualità

della vita”, considerando che, “per qualità della vita si intende il grado di

autonomia, di realizzazione personale e di integrazione sociale di una persona”;

attuare “interventi mirati e personalizzati atti all’acquisizione e al mantenimento

dicapacità comportamentali, cognitive ed affettivo-relazionali, ricercando risorse e

potenzialità dell’utente che consentano di proporre risposte adeguate ad ogni

singola persona”;

individuare e valorizzare le abilità e le capacità personali, che dovranno essere

mantenute e potenziate in relazione agli interessi, alle motivazioni ed alle

specificità di ogni singolo individuo;

sostenere e supportare le famiglie;

sollecitare all’ “integrazione sociale degli utenti, rendendo attuabile la frequenza

di strutture esterne, sportive e sociali, e di realtà territoriali circostanti”[1].

Il progetto educativo individualizzato è la risultante di un lavoro di équipe costituita

da un neuropsichiatra, una psicologa, i coordinatori e gli educatori che operano nel

servizio. In questo lavoro di équipe le rilevazioni-valutazioni, effettuate attraverso

una prima fase di osservazione partecipe che vede il coinvolgimento dell’educatore

nella situazione educativa, vengono integrate ed assemblate in base alle specifiche

aree di abilità mostrate dalla persona e alle adeguate attività organizzate dal servizio.

L’intervento musicoterapico “di contatto sonoro-musicale” può assumere una valenza

complementare e/o integrativa rispetto alle attività di tipo socio-riabilitativo proposte

nel progetto educativo del C.S.E. perché si riferisce a situazioni in cui lo sviluppo di

determinate abilità di base e di autosufficienza viene subordinato al recupero socio-

emozionale della persona. L’intervento musicoterapico di contatto sonoro-musicale è

stato attuato nell’ambito di una significativa compromissione delle abilità socio-

emozionali, con particolare riferimento alle abilità relazionali di base che risultavano

minime a causa dell’insorgere di numerose dinamiche di rifiuto e di isolamento

attuate dalla persona nei confronti di ogni proposta-invito esterno.

Dove, come e… quando

L’intervento, iniziato nel Settembre 1998, prevedeva una durata complessiva di due

anni con termine nel novembre 2000 ma l’assenza definitiva dal servizio di Simona

(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) ha causato una

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conclusione improvvisa dell’esperienza nel novembre 1999. La progettazione iniziale

era articolata in 75 incontri, mentre effettivamente ne sono stati esperiti solo 57 dei

quali 3 per la fase di osservazione e 54 per la fase di contatto. Da questi incontri sono

esclusi quelli di osservazione ambientale per la ricognizione acustica dei luoghi

maggiormente esperiti dalla persona, avvenuti durante la fase di ricerca, la quale è

stata organizzata in 3 momenti settimanali di 30’/45’ e per una durata di circa 20

giorni. Gli incontri inizialmente avevano una cadenza settimanale, per una durata

prevista fino a 30’, per la fase di osservazione e fino a 45’, per la fase di contatto

sonoro-musicale. La frequenza degli incontri, da settembre 1999, è aumentata al fine

di poter intensificare l’intervento e rendere meno instabile il livello di integrazione

spaziale dimostrato da Simona.

L’équipe di lavoro

La realizzazione di questo progetto di intervento musicoterapico è avvenuto con:

la collaborazione degli esperti dell’équipe interna del servizio, ossia della

coordinatrice, della psicologa;

la supervisione esterna di un musicoterapista (Bonardi G.);

la supervisione esterna di un educatore del servizio laureato in scienze

dell’educazione, nella figura del dottore Martinelli F.

Simona

Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) è una ragazza di

34 anni affetta da cerebropatia che presenta una situazione caratterizzata da un

gravissimo ritardo mentale, cognitivo, con assenza del linguaggio strutturato e da una

significativa compromissione a livello socio-emozionale con aggressività soprattutto

auto diretta che rende le abilità relazionali di base minime.

Simona nel contesto familiare

Simona ha un rapporto “aperto” con quasi tutte le figure familiari, ricerca la loro

attenzione e accetta il contatto con loro. Simona utilizza alcuni gesti particolari per

manifestare bisogni primari o desideri e se non sono soddisfatti, soprattutto quelli in

relazione ai giornali, assume un atteggiamento auto-lesivo. Alla ragazza piace molto

il caffè e mostra un interesse particolare per le riviste; se è tranquilla mette queste

riviste/giornali in ordine sempre in un posto (nel focolare che si trova in cucina);

mentre, se è nervosa, le getta ovunque dopo averle strappate. La ragazza guarda le

riviste in modo molto attento e non vuole lo stesso giornale anche se le viene

proposto a distanza di tempo. I familiari comunicano con Simona verbalmente anche

se lei non ha alcuna forma di linguaggio strutturato e si esprime prevalentemente a

livello gestuale. Simona rimane per molto tempo nel cortile di casa sua stando seduta

in disparte mentre alcuni bambini che conosce giocano tra loro. Con gli estranei la

ragazza mostra un atteggiamento diffidente e si aspetta da loro sempre dei giornali.

Simona nel Centro-socio-educativo

Simona è stata inserita nel C.S.E. gradualmente a partire dal gennaio 1998, una o due

volta la settimana, per circa due ore e accompagnata dalla mamma o da una zia

paterna. Nel mese di Aprile Simona ha iniziato ad essere presente al centro per tutti i

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giorni della settimana dalle ore 9-00 alle ore 15-00. La ragazza giunge al centro

portando con sé i giornali e, durante la giornata, li cambia in continuazione cercandoli

nelle varie stanze. I giornali sono sempre con lei e, quando deve fare qualcosa, li

appoggia in terra accanto a sé, controllando sempre che ci siano ancora.

Generalmente Simona non mostra interesse per gli oggetti che non siano giornali o

riviste e appare molto infastidita se qualcuno li prende o li guarda. In relazione a

questo fatto è capitato, infatti, che cominciasse a piangere o a mostrare segni evidenti

di inquietudine emettendo strani suoni simili a sibili. Durante l’attività educativa la

ragazza solitamente gira per la stanza con i suoi giornali, non si interessa a ciò che

viene proposto e rimane in disparte indifferente a quanto le accade intorno…

Sandra Pasinetti

[email protected]

[1] Cooperativa Sociale CO.GE.S.S., Programma delle attività, ‘97/’98; ‘98/’99.

Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra

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Bonardi Giangiuseppe (a cura di), Singolare riflessione schneideriana… attualissima

Pubblicato il 1 marzo 2011

“(…)

L’uomo attivo e specificamente l’uomo moderno, nel suo pensiero (o estremamente

raffinato o sommamente rozzo e rudimentale), corre sempre il rischio di sviarsi o di

allontanarsi dalle realtà oggettive.

* * *

Perde il contatto diretto con la verità immediata, in quanto è molto più preoccupato

di imporre le proprie idee al mondo circostante che non di conoscere questo mondo.

(…)

Vivere la vita che uno pensa e conformare del tutto la vita pratica alle proprie idee

costituisce certamente l’elemento fondamentale della personalità.

* * *

Pensare le proprie idee non equivale ancora a viverle, perché per essere vissute

devono essere «inghiottite».

* * *

Unicamente quando si raggiunge l’armonia fra l’ideale pensato e gli atti, le verità

possono giungere a cantare.

* * *

L’esattezza con la quale si effettua l’imitazione o la realizzazione dell’ideale informa

il grado di veracità e di intensità di una cultura.

* * *

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Dalla discrepanza fra il pensare (o il parlare) e l’operare risulta una cultura fittizia

che, al massimo, può essere una civiltà.

* * *

In essa le verità non cantano; solo strillano o ammutoliscono.”.

Marius Schneider[1]

[1] Schneider M., (1946), Gli animali simbolici e la loro origine nella mitologia e

nella scultura antiche, Rusconi, Milano 1986, pag. 121, 122.

Con tag Il senso del musicale in musicoterapia

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Aprile Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico

Pubblicato il 30 aprile 2011

L’osservazione (l’accoglienza) musicoterapica è la fase iniziale di approccio nella

quale il soggetto “racconta” di sé a livello sonoro-musicale; un momento delicato

volto in particolare ad “incontrare” la persona cui è rivolto l’intervento in un contesto

il più possibile rassicurante. In relazione ai dati precedentemente rilevati[1] ho

accuratamente scelto e posizionato nella stanza gli strumenti musicali e gli elementi

d’arredo. Ho individuato quindi tre “punti di collocazione” significativi: due punti in

prossimità degli strumenti musicali e un punto dove c’era la fonte di emissione

sonoro-musicale. Durante le tre sedute d’osservazione, Simona (nome di fantasia, in

ottemperanza alla legge della privacy) è rimasta nel contesto musicoterapico per 11’/

12’ al massimo. Standosene eretta o inchinata in prossimità degli strumenti musicali

Simona tendeva prevalentemente ad isolarsi rimanendo in posizione immobile o

dondolandosi a destra o a sinistra. Durante le sedute Simona ha messo in atto gesti

che apparivano carichi di significato e che si sono rivelati sempre gli stessi. La

ragazza, infatti, spesso metteva l’indice di una mano sul palmo dell’altra mano, si

premeva entrambe le mani sulla pancia, tendeva il braccio avanti a sé e teneva per

qualche secondo la mano sulla fronte. Simona ha attuato anche modalità di

osservazione e di aggressività autodiretta. Le prime erano rivolte alla musicoterapista

e alla fonte di emissione sonoro-musicale, mentre le altre avvenivano battendo un

piede a terra e contemporaneamente dando un colpo con la mano aperta davanti a sé

oppure battendo la mano chiusa a pugno sul palmo dell’altra mano. Saltuariamente la

ragazza percuoteva brevemente con le mani o con un battente: le congas, il

tamburello e lo xilofono. Di tanto in tanto Simona emetteva un sibilo più volte

ripetuto e un suono gutturale nel registro medio-grave simile ad una “NA”, rivolgendo

lo sguardo verso di sé oppure nei miei riguardi. La ragazza ha portato con sé i

giornali solo una volta e inoltre ha avuto due reazioni di sorriso anche se non rivolte a

me. Le componenti emozionali che Simona esprimeva nei miei confronti, a livello

delle diverse aree corporee sono state:

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mimica facciale (ostilità con gradiente massimo);

sguardo (dominanza con gradiente massimo);

voce (sottomissione con gradiente medio);

postura (sottomissione e ostilità con gradiente medio);

tono posturale (sottomissione e ostilità con gradiente medio);

respiro (sottomissione con gradiente medio);

movimento (ostilità con gradiente massimo);

gestualità (sottomissione e ostilità con gradiente medio);

contatto fisico (amichevolezza, sottomissione e dominanza con gradiente

minimo).

Gli incontri con Simona non sono stati piacevoli, anzi mi sentivo preoccupata,

insicura, perplessa e rifiutata. Quella breve manciata di minuti era da me vissuta

come un tempo qualitativamente interminabile. Un tempo “presente” in cui ero

dibattuta tra i miei vissuti e il ruolo che dovevo svolgere di osservatrice volto a

cogliere gli aspetti specifici della sonorità-musicalità-corporeità appartenente a

Simona. L’apparente staticità dello scenario osservativo si attenuava qualora

proponevo a Simona l’ascolto delle sonorità e delle musiche da lei conosciute.

Durante l’ascolto Simona orientava il capo guardando verso la fonte di emissione

sonoro-musicale per tutti gli eventi sonoro-musicali proposti. Solamente questo

sguardo rivolto verso la fonte di emissione sonoro-musicale mi rassicurava e mi

balenava in mente che verosimilmente potevo utilizzare questo “materiale” per

trovare dei punti di contatto con Simona. La lettura comparata dei dati rilevati nelle

tre sedute d’osservazione ha evidenziato l’estrema brevità del tempo di incontro.

Pertanto il successivo intervento musicoterapico è stato inizialmente orientato verso

l’ampliamento della durata della seduta, mediante l’adozione degli strumenti

musicali, delle sonorità e delle musiche gradite da Simona. Nella conclusione

inerente la fase di osservazione ho effettuato un’analisi delle modalità di espressione

non verbale e sonoro-musicale che avevo rilevato. Questa analisi è avvenuta sulla

base di schede appositamente elaborate[2] per riuscire ad individuare dei precisi

indicatori determinanti l’inizio dell’intervento musicoterapico, ossia: i mediatori

scelti, la durata, la frequenza, l’intensità, la velocità e l’altezza che caratterizzavano le

modalità espressive di Simona.

Sandra Pasinetti

[email protected]

[1] Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona, 8 aprile 2011,

http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale

[2](Annotazione a cura della redazione di Musicoterapie in… ascolto. A causa delle

notevoli difficoltà di inserimento nel blog dei contributi tecnici menzionati

dall’autrice (simbologia specifica, schede di rilevazione, ecc.), la redazione e la

scrivente hanno concordato che la lettrice o il lettore, interessato alla visione degli

stessi, può contattare direttamente l’autore, scrivendo a [email protected] ).

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Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona

Pubblicato il 16 aprile 2011

La “ricerca musicoterapica” è la fase preliminare che ha come finalità la raccolta di

informazioni che costituiscono parte del bagaglio mnemonico di esperienze del

soggetto e che risultano preziose per riuscire a cogliere la sua personale sonorità-

musicalità. Questa fase prevede momenti di osservazione ambientale per la

ricognizione acustica degli ambienti maggiormente esperiti dalla persona e, quando

possibile, anche incontri con le figure che accudiscono il soggetto (familiari, parenti,

educatori di riferimento ecc). L’obiettivo specifico di questa fase è quello di rilevare

e raccogliere informazioni utili riguardanti i suoni e le musiche che appartengono

all’ambiente di vita quotidiana della persona in modo, poi, di riproporle nel contesto

musicoterapico al fine di valutare se le modalità di risposta manifestate dalla persona

siano rivolte a sé e/o all’altro da sé. La rilevazione di questa fase dell’intervento

musicoterapico consiste dunque nel raccogliere informazioni tramite colloqui e

ricognizioni acustiche ambientali. Il colloquio permette di effettuare un’intervista

finalizzata a cogliere dati inerenti:

gli ambienti esperiti maggiormente dalla persona;

i luoghi dove la persona permane maggiormente;

le fonti di emissione sonoro-musicali presenti nei luoghi presi in

considerazione;

gli eventi musicali esperiti dalla persona.

Le ricognizioni acustiche ambientali sono la risultante di un’osservazione

tramite la quale cogliere i seguenti aspetti:

orario di rilevazione;

situazione osservata;

organizzazione dell’ambiente;

durata di permanenza della persona;

posture e/o posizioni assunte dalla persona;

fonti di emissione sonoro-musicali presenti nell’ambiente;

espressioni attivate dalla persona;

risposte attivate dalla persona;

espressività per le emozioni/sensazioni manifestata dalla persona secondo una

valenza di piacere o dispiacere;

vissuti senso-emotivi del musicoterapista durante l’osservazione ambientale

secondo una valenza positiva o negativa;

annotazioni rilevate durante la ricognizione.

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Le informazioni inerenti la fase di ricerca sono state raccolte tramite un’intervista alla

madre di Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) e la

rilevazione acustica di alcuni ambienti esperiti quotidianamente da lei nel C.S.E.

Durante il colloquio con la madre ho saputo che Simona vive in una cascina e

solitamente permane in cucina (con la madre), nel bagno, nel cortile o nel prato. In

ragione di ciò Simona, durante la giornata, veniva a contatto con variegate e

circostanziali sonorità caratterizzanti gli ambienti domestici e rurali che io ho cercato

di rilevare con apposite schede. Inoltre la mamma mi ha raccontato che, in passato,

Simona sembrava interessata alle canzoni che ascoltava con la nonna paterna:

“Piemontesina” - “Gioventù” - “Cosa vuoi” - “La storia di Papa Giovanni” – “La

domenica andando alla messa” - “La storia di Ermanno” - “Sulla montagna”. Qualche

anno fa in televisione Simona sembrava attratta dalle sigle di spettacoli e cartoni

animati: “Heidi” - “Remi” - “Portobello” - “Ma che musica maestro”. L’osservazione

rivolta a Simona nel C.S.E. è avvenuta in tre sedute settimanali e mi ha consentito di

rilevare le modalità espressive manifestate dalla ragazza nei riguardi di tre differenti

situazioni e luoghi acustici:

laboratorio educativo;

sala di ritrovo;

mensa.

Il tempo di permanenza di Simona negli ambienti presi in considerazione è risultato

diverso: la ragazza è rimasta nella sala di ritrovo insieme per circa 15’, nel laboratorio

educativo per 30’ e in mensa per 45’. Durante il tempo di osservazione sono state

rilevate, come fonti di emissione sonoro-musicali principalmente presenti, le voci dei

compagni e degli educatori che parlavano tra di loro oppure si rivolgevano a Simona

individualmente. Nel laboratorio educativo, inoltre, sono state proposte anche alcune

sonorità provenienti dallo stereo; mentre nella sala di ritrovo sono state cantate brevi

melodie accompagnate dalla pianola. Tutti questi ambienti avevano, comunque, come

caratteristica acustica comune, un’eccessiva presenza di stimoli sonoro-musicali che,

probabilmente, inducevano Simona a ricercare attivamente l’isolamento oppure ad

assumere atteggiamenti che denotavano ostilità, rifiuto, tensione con scatti etero-

autolesivi. Queste reazioni hanno avuto in me un effetto relativamente negativo dato

probabilmente da una notevole componente di preoccupazione che mi causava

perplessità e tensione. Nonostante ciò ho esperito anche momenti di adeguatezza e

benessere in cui mi sentivo soddisfatta di quello che stato vivendo. Le espressioni che

la ragazza attivava nei confronti degli educatori e dei compagni avvenivano a livello

prevalentemente motorio o visivo, più raramente a livello tattile. Nei riguardi di sé

Simona si esprimeva a livello motorio e vocale.

Sandra Pasinetti

[email protected]

Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra

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Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona

Pubblicato il 8 aprile 2011

In riferimento alle “problematiche” modalità relazionali manifestate da Simona

(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) ho attivato un intervento

musicoterapico volto “alla ricerca, all’osservazione, alla rilevazione, alla

valutazione e all’adozione della sonorità-musicalità appartenenti alla persona al fine

di aiutarla a ri-attivare modalità-dinamiche di contatto sonoro-musicale”. Il progetto

di lavoro è stato quindi articolato in tre momenti consecutivi da considerare come tre

fasi metodiche del processo musicoterapico:

la ricerca;

l’osservazione;

il contatto.

L’analisi qualitativa delle rilevazioni[1]

Per la rilevazione e valutazione delle modalità-dinamiche di contatto musicoterapiche

sono stati utilizzati criteri elaborati da Bonardi G. il quale afferma che: “I dati rilevati

a termine di ciascuna seduta vengono tabulati mediante codici che evidenziano

contemporaneamente le tipologie delle dinamiche relazionali (es. corporea, di

esplorazione ambientale, ecc.) e gli analizzatori (es. motorio, tattile, orale, ecc)

utilizzati dalla persona”[2]. L’analisi qualitativa delle dinamiche relazionali […] è

finalizzata a prendere in considerazione gli elementi specifici che le caratterizzano:

l’azione;

la postura;

la durata;

la frequenza dell’azione durante le sedute;

i mediatori utilizzati (corpo, voce, strumenti);

la modalità (percussione, sfregamento, scuotimento, ecc.);

la struttura (giustapposizione, articolazione di sonorità)

l’intensità (piano, intermedia, forte/ variabile, costante).”[3]

Le modalità e gli attivatori sonoro-musicali sono quindi gli indicatori delle modalità

di espressione-percezione sonoro-musicale manifestate da Simona durante

l’osservazione musicoterapica. L’analisi delle variabili di ciascun indicatore preso in

esame ha permesso altresì l’analisi qualitativa delle modalità-dinamiche di contatto

musicoterapico:

caratteristiche temporali=frequenza, durata (riferite alle modalità-dinamiche di

contatto musicoterapiche);

caratteristiche sonoro-musicali=mediatori (corpo, mano/i, sguardo, voce,

strumenti musicali), modalità (percussione, lancio, sfregamento, scuotimento,

strisciamento), struttura (giustapposizioni, articolazione di sonorità e loro

velocità/valore), forma (articolazione ritmica, melodica, armonica), intensità

(piano, media, forte e variabile/costante);

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caratteristiche spaziali=posizione frontale (tra persona e musicoterapista o

viceversa);

caratteristiche indicative=soggetto propositivo (persona o musicoterapista),

posizione frontale (già indicata come caratteristica spaziale), spazio comune di

contatto (in riferimento alla sua occupazione oppure no), contatto/orientamento

oculare ricercato e sostenuto dalla persona nei riguardi del musicoterapista

(specificazione della sua durata, intensità, frequenza e velocità/valore).

In riferimento agli elementi specifici che caratterizzano le dinamiche relazionali sono

stati individuati determinati simboli, che poi sono diventati codici per precisare le

modalità tramite le quali si realizzavano le espressioni sonoro-musicali e, anche

alcuni numeri, per indicare le posture (fase di osservazione) o le posizioni frontali

rispetto alla musicoterapista (fase di contatto). I codici individuati sono stati riferiti

alle caratteristiche specifiche al fine di ricavare gli indici di una scheda ideata dallo

scrivente per la rilevazione-valutazione delle modalità di espressione sonoro-

musicale (fase di osservazione) e delle dinamiche di espressione sonoro-musicali

(fase di contatto). Le modalità e gli attivatori sono stati considerati in riferimento ai

“sette gruppi di dinamiche relazionali indicanti: isolamento, rifiuto, esplorazione,

espressione sonoro-musicale, interazione tattile, differenziazione, interazione sonoro-

musicale”[4]. Questi indicatori sono stati integrati con le caratteristiche specifiche

precedentemente individuate rendendo così possibile l’elaborazione di una scheda

che è risultata funzionale per l’analisi qualitativa delle modalità di espressione (fase

di osservazione) e delle dinamiche di contatto (fase di contatto). È stata elaborata

anche una scheda per la rilevazione e la valutazione delle dinamiche di contatto

sonoro-musicale considerando le caratteristiche specifiche e alcuni criteri colti da

Bonardi G. in merito alla differenziazione e all'interazione sonoro-musicale che fanno

parte dei sette gruppi di dinamiche relazionali individuate e precedentemente

descritte. Tabulare la fase di ricerca, di osservazione e i cicli della fase di contatto

significava raccogliere dati, a fine seduta, tramite protocolli che contenevano

indicazioni individuate appositamente per poter essere riportate nelle schede di

rilevazione e valutazione al fine di avere indicatori precisi sull’andamento

dell’intervento musicoterapico.

L’analisi quantitativa delle rilevazioni

La rilevazione e la valutazione delle modalità-dinamiche musicoterapiche sonoro-

musicali sono avvenute, non solo da un punto di vista qualitativo, ma, anche, sulla

base di criteri elaborati per effettuare una loro analisi quantitativa. Per l’analisi

quantitativa sono state utilizzate delle tabelle valutative strutturate in modo che, a

partire dalla colonna iniziale, venivano riportati gli indicatori presi in esame e, di

seguito, fossero specificate le sedute che costituivano le fasi dell’intervento

musicoterapico. Inizialmente nella progettazione dell’intervento le fasi di ricerca e di

osservazione sono state strutturate in tre sedute mentre quella di contatto in tre cicli di

24 incontri ciascuno. Ogni 12 incontri (metà ciclo) doveva essere riportato in apposite

colonne sia l’indice numerico (N°), sia il gradiente di valutazione (G). L’indice

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numerico indica il numero di sedute in cui viene rilevato l’indicatore preso in esame;

mentre il gradiente valutativo si ottiene suddividendo le sedute di metà ciclo in tre

gruppi di indici numerici: minimo, medio, massimo. L’indicatore preso in esame

veniva valutato con gradiente:

minimo se rilevato in un indice numerico che era compreso tra 1 e 4 sedute;

medio nel caso in cui l’indice era compreso tra 5 e 8 sedute;

massimo nel caso in cui l’indice era compreso tra 9 e 12 sedute.

I gradienti valutati in ogni 12 incontri, a fine ciclo (24 sedute), dovevano essere

confrontati tra loro al fine di cogliere la loro costanza (C) o non costanza (NC)

riportandola nelle ultime colonne della tabella. In seguito all’interruzione

dell’intervento i cicli della fase di contatto sono stati suddivisi in due “metà” ciascuna

delle quali non era costituita da 12 sedute ma da 9 e gli indicatori presi in esame,

dunque, sono stati valutati con gradiente:

minimo se l’indice valutativo era compreso tra 1 e 3 sedute;

medio se l’indice valutativo era compreso tra 4 e 6 sedute;

massimo se l’indice era compreso tra 7 e 9 sedute.

Sandra Pasinetti

[email protected]

[1](Annotazione a cura della redazione di Musicoterapie in… ascolto

A causa delle notevoli difficoltà di inserimento nel blog dei contributi tecnici

menzionati dall’autrice (simbologia specifica, schede di rilevazione, ecc.), la

redazione e la scrivente hanno concordato che la lettrice o il lettore, interessato alla

visione degli stessi, può contattare direttamente l’autore, scrivendo a

[email protected] ).

[2]G. Bonardi, L’osservazione musicoterapica con adolescenti e adulti oligofrenici in

ambito socioeducativo, PCC, Assisi 1995, p. VII. Ora in Bonardi G. (207),

Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag.

96-120.

[3]G. Bonardi, L’osservazione musicoterapica con adolescenti e adulti oligofrenici in

ambito socioeducativo, PCC, Assisi 1995, p. VIII. Dall’ascolto alla musicoterapia,

Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU), pag. 96-120.

[4]G. Bonardi, Strumenti di informazione e di analisi della prassi osservativa in

musicoterapia, in “Musica & Terapia” Vol. 3, n° 1, 1995, p. 26.

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Maggio Pasinetti Sandra, Alla ricerca dello spazio di contatto con Simona

Pubblicato il 23 maggio 2011

La fase iniziale del trattamento musicoterapico è stata caratterizzata dalla progressiva

definizione dello spazio in cui attivare il contatto tra me e Simona (nome di fantasia,

in ottemperanza alla legge della privacy). In relazione allo spazio la ragazza alternava

momenti in cui si spostava in diverse direzioni all’interno della stanza, ad altri in cui

tendeva a porsi in un angolo prossimo agli strumenti musicali e, rimanendo in

posizione immobile o dondolandosi, rivolgeva lo sguardo verso di me sostenendo un

breve ma intenso contatto oculare. Il contesto musicoterapico inizialmente

organizzato, probabilmente, risultava troppo “aperto” e ciò rendeva difficile riuscire a

delineare uno spazio che comprendeva la mia presenza e quella di Simona in una

dimensione di contatto. All’interno del contesto, infatti, era possibile individuare due

punti, non ancora di contatto, ma idonei per creare una situazione frontale, uno

scambio di sguardi e una disposizione prossimale tra me e Simona. Il primo punto era

localizzato nelle vicinanze degli strumenti musicali e, in esso, venivano favorite

situazioni frontali però non statiche ma dinamiche perché la ragazza tendeva a

mantenere una posizione eretta e a spostarsi in continuazione. Il secondo punto si

trovava vicino alla fonte di emissione sonoro-musicale dove c’erano due sedie che

permettevano di raggiungere una situazione frontale in posizione seduta. Ho cercato

di unire questi due punti in un unico spazio comune di contatto (S.C.C.) modificando

gradualmente la collocazione degli strumenti musicali all’interno del contesto

musicoterapico. Le congas sono state avvicinate alla fonte di emissione sonoro-

musicale considerando che i due punti precedentemente descritti comprendevano

proprio queste due componenti (congas e fonte di emissione sonoro-musicale) le

quali, però, erano troppo lontane tra di loro. La collocazione di due tamburelli, dello

xilofono e di un tamburello basco è stata modificata al fine di riuscire a mantenere

per Simona il riferimento della loro posizione rispetto alle congas. Lo xilofono è stato

posto su un tavolino perché, altrimenti, per essere suonato richiedeva una posizione

inchinata in avanti che escludeva a priori la possibilità di raggiungere una situazione

di scambio o di incontro caratterizzata, soprattutto, da una disposizione corporea che

denotava accoglienza e da un contatto visivo. All’inizio del ciclo iniziale erano

presenti due tamburelli baschi ma poi uno è stato tolto in considerazione del fatto che,

con questo mediatore strumentale, si esprimeva solo Simona e quindi non era

necessario avere la coppia. I tamburelli invece sono rimasti due perché uno di essi

costituiva il mediatore strumentale usato in prevalenza dalla musicoterapista e l’altro

era a disposizione della ragazza per realizzare espressioni sonoro-musicali. É stata

proposta anche una tastiera come nuovo mediatore strumentale al fine di poter fornire

a Simona un ulteriore stimolo per le sue espressioni sonoro-musicali, creando la

possibilità di produrre suoni con durata-valore maggiore rispetto a quelli provenienti

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dagli strumenti musicali a percussione. Lo spazio di contatto è stato delimitato da tre

sedie che sono state disposte in modo che costituissero tre angoli di un triangolo

aperto per poter fare entrare Simona. Due sedie, quindi, sono state disposte

frontalmente ai lati degli strumenti; mentre una sedia è stata messa dietro le congas.

C’è stata la possibilità di cogliere un altro punto di contatto che stava sorgendo vicino

al materassino dopo che questo era stato inserito nel contesto musicoterapico come

nuovo elemento di arredo. L’inserimento di questo nuovo punto di contatto nello

S.C.C. non è stato confermato perché l’intervento musicoterapico ha subito una

conclusione-interruzione inaspettata e improvvisa. Nel contesto musicoterapico è

stato possibile individuare quattro punti di contatto: due punti si trovavano in

prossimità di due angoli della stanza e inizialmente rientravano nello S.C.C., poi sono

rimasti esclusi da quest’ultimo in seguito allo spostamento degli strumenti musicali.

Questi punti di contatto si sono mantenuti per tutto lo svolgimento dell’intervento

musicoterapico anche se, nel ciclo iniziale e in quello finale, alcune volte, sono

risultati invertiti perché Simona stava negli spazi che generalmente erano occupati da

me e viceversa. All’apparenza sembrava che le modifiche apportate al contesto

musicoterapico non provocassero in Simona alcuna reazione particolare né una

maggior spontaneità nel mettere in atto modalità espressive. Gli “inviti” ad usare gli

strumenti che io rivolgevo a Simona risultavano probabilmente troppo “direttivi” e

provocavano in lei atteggiamenti di rifiuto, fuga uniti a stati di aggressività e di

malessere. Il mio atteggiamento voleva essere “accogliente” e “stimolante”, invece

c’era il rischio di farlo diventare troppo autoritario e teso perché era dettato dalla

paura di sbagliare e di creare situazioni che per me sarebbero risultate deludenti.

Quando comunicavo con Simona, sia a livello verbale e non verbale, le trasmettevo

le mie intenzioni in modo “invadente” e la spingevo così a fare necessariamente ciò

che io desideravo. Probabilmente questo atteggiamento molto “insistente” negli inviti

che rivolgevo a Simona mi impediva di cogliere alcune sue “proposte” o addirittura

poteva diventare un elemento che causava un’inibizione delle “iniziative” che la

ragazza aveva. Mi sono, quindi, proposta per il ciclo intermedio dell’intervento

musicoterapico di ascoltare maggiormente Simona evitando di risultare troppo

direttiva, cercando di “accompagnare” ogni sua libera espressione e ponendo

particolare attenzione a tutte le dinamiche che, accuratamente seguite, potevano

portare ad un contatto con lei.

Sandra Pasinetti

[email protected]

Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra

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Bonardi Giangiuseppe, Percepire la dimensione emotiva delle interazioni sonoro-

musicali

Pubblicato il 18 maggio 2011

http://www.musicoterapiassisi.it/

http://musicoterapie.over-blog.com/

Assisi 25, 26, 27 luglio 2011

Percepire la dimensione emotiva delle interazioni sonoro-musicali

“Durante una seduta di musicoterapia, utilizziamo gli strumenti musicali e/o le

musiche ascoltate al fine di relazionarci musicalmente con il nostro interlocutore. Gli

strumenti musicali e le musiche ascoltate, nella prassi musicoterapica, sono quindi i

mediatori del processo relazionale. Così con gli strumenti musicali e le musiche

ascoltate mediamo, di fatto, i vissuti esperiti dal terapista e dalla persona. Sì, i

vissuti, provati e/o condivisi, impalpabili come i suoni che eseguiamo, risuonano in

ogni istante del trattamento.”[1]…

Il seminario è rivolto a quanti operano nella relazione d’aiuto, in particolare ai

musicoterapisti, ed è volto ad analizzare la dimensione emotiva sottesa alle

interazioni sonoro-musicali con l’altro e gli altri da sé.

Conduttore: Giangiuseppe Bonardi, Musicoterapista, Formatore e Supervisore,

iscritto all’Associazione Italiana Professionisti della Musicoterapia (A. I. M.),

Docente di Musicoterapia pratica presso il Corso Quadriennale in Musicoterapia della

Pro Civitate Christiana di Assisi (Pg). Ideatore e Responsabile di

http://musicoterapie.over-blog.com/

Per iscrizioni e informazioni: Pro Civitate Christiana Sezione Musica, Via Ancajani,

3 - 06081 Assisi (PG). Tel. 075/812288 E-mail: [email protected]

http://www.musicoterapiassisi.it/

[1]Bonardi Giangiuseppe, (2009) La prassi musicoterapica è, essenzialmente, tempo-

spazio vissuto http://musicoterapie.over-blog.com/

Con tag Corsi convegni seminari ecc

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Pasinetti Sandra, Il contatto sonoro-musicale con Simona

Pubblicato il 8 maggio 2011

Sulla base di elementi specifici rilevati durante la fase di osservazione[1] Simona

(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) viene sollecitata nella

sua sonorità-musicalità-corporeità ad entrare in contatto in uno spazio comune con la

sonorità-musicalità-corporeità del musicoterapista. A livello teorico[2] questa fase si

articola in 72 sedute della durata massima di 45’ ciascuna, a cadenza settimanale e

suddivise in 3 cicli di 24 incontri: iniziale, intermedio, finale. La realizzazione di

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43

questa fase dell’intervento musicoterapico prevede, in ogni ciclo che la compone, la

rilevazione di questi indicatori:

1)

ubicazione dei mediatori;

arredo utilizzato;

punti di contatto;

durata di permanenza nel contesto musicoterapico;

posture assunte nel contesto musicoterapico;

2)

mediatori sonoro-musicali proposti;

mediatori sonoro-musicali scelti dalla persona;

mediatori sonoro-musicali scelti dal musicoterapista;

3)

espressioni sonoro-musicali manifestate dalla persona nei riguardi di sé;

espressioni sonoro-musicali manifestate dalla persona nei riguardi dell’altro;

espressioni sonoro-musicali manifestate dalla musicoterapista nei riguardi di

sé;

espressioni sonoro-musicali manifestate dalla musicoterapista nei riguardi

dell’altro;

4)

eventi sonoro-musicali proposti;

durata audizione degli eventi sonoro-musicali proposti;

modalità di risposta manifestate dalla persona;

5)

durata di permanenza nello spazio comune di contatto;

posture assunte nello spazio comune di contatto;

contatto oculare nello spazio comune di contatto;

6)

espressività per le emozioni/sensazioni manifestate dalla persona;

espressività per gli atteggiamenti interpersonali manifestata dalla persona;

7)

il soggetto in relazione al grado di interesse e di partecipazione;

il soggetto in relazione allo spazio;

il soggetto in relazione al tempo;

il soggetto in relazione all’altro;

i vissuti senso-emotivi esperiti dal musicoterapista;

8)

Annotazioni.

La comparazione dei dati rilevati permette di valutare l’andamento dell’esperienza in

base ai seguenti indicatori:

organizzazione del contesto;

costruzione e sviluppo del contesto musicoterapico;

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l’espressività per le emozioni/sensazioni e per gli atteggiamenti interpersonali

in base a una dimensione emozionale tra tensione/distensione emotiva;

l’evoluzione delle relazioni-dinamiche di contatto in riferimento al processo di

integrazione spaziale, temporale, sociale;

l’autovalutazione musicoterapica (vissuti senso-emotivi esperiti dal

musicoterapista secondo una valenza di carica o scarica energetica);

le annotazioni.

In seguito all’interruzione dell’intervento, la fase di contatto si è svolta in 54 incontri

e, quindi, la rilevazione e la valutazione sono avvenute su 3 cicli di 18 sedute.

Sandra Pasinetti

[email protected]

[1]Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona, 8 aprile 2011,

Musicoterapie in... ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in :

Musicoterapia e ritardo mentale

Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona 16

aprile 2011, Musicoterapie in...ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/ -

Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale

Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico, 30 aprile

2011, Musicoterapie in...ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in :

Musicoterapia e ritardo mentale

[2](Annotazione a cura della redazione di Musicoterapie in… ascolto. A causa delle

notevoli difficoltà di inserimento nel blog dei contributi tecnici menzionati

dall’autrice (simbologia specifica, schede di rilevazione, ecc.), la redazione e la

scrivente hanno concordato che la lettrice o il lettore, interessato alla visione degli

stessi, può contattare direttamente l’autore, scrivendo a [email protected] ).

Con tag Musicoterapia e ritardo mentale, Pasinetti Sandra

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Giugno Emozioni (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 27 giugno 2011

Emozioni1 Le emozioni sono “... esperienze soggettive d’intensità rilevante, accompagnate sempre da modificazioni fisiologiche e spesso da modificazioni comportamentali ed espressive dell’organismo2...”.

1 Emozioni (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 27/06/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-emozioni-dizionario-di-musicoterapia-a-c-77037855.html

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Pasinetti Sandra, Epilogo del processo musicoterapico con Simona

Pubblicato il 22 giugno 2011

Nei precedenti cicli[1] dell’intervento musicoterapico mi ponevo spesso in ascolto al

fine di creare una situazione favorevole che mi permettesse di essere presente con

Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy) nelle dinamiche

di espressione sonoro-musicale che realizzava rivolgendosi prevalentemente a se

stessa. In riferimento al cambiamento di comportamento di Simona, ho pensato di

poter individuare dei “rituali” per i diversi momenti della seduta: entrata, fase

operativa e uscita. La seduta, quindi, si è struttura in modo che il momento iniziale,

l’entrata, coincidesse con un attimo in cui rivolgevo espressioni verbali di

accoglienza a Simona, la fase operativa fosse introdotta con la proposta di eventi

sonoro-musicali e il momento finale, l’uscita, fosse segnalato con un gesto di saluto.

Rabbia, inadeguatezza, preoccupazione e impotenza hanno lasciato il posto alla

sorpresa, alla gioia e alla soddisfazione di vedere che, seduta dopo seduta, in Simona

sono riapparse le modalità espressive che mi avevano permesso di “incontrarmi” con

lei. La ragazza, durante l’audizione, ricominciava a sorridere, a tendere il braccio

verso la fonte di emissione sonoro-musicale, a ricercare la vicinanza in uno spazio

comune a me e ad esprimersi con gli strumenti. Gradualmente Simona ha attivato

dinamiche di contatto che denotavano una maggiore apertura: espressione a livello

motorio, osservazione e avvicinamento. L’espressione a livello motorio era

caratterizzata dalla ripetizione continua di azioni che avevano un significato ben

preciso e che Simona effettuava, soprattutto, verso se stessa anche se erano seguite da

un contatto visivo effettuato nei miei confronti: la ragazza, spesso, ferma in posizione

eretta indicava che aveva un bisogno fisiologico premendosi le mani sulla pancia,

comunicava che aveva sete mettendosi l’indice della mano in bocca, mostrava di

avere un malessere fisico portandosi una mano alla fronte. Simona, alcune volte,

abbandonava il suo mediatore strumentale posizionandolo accuratamente nello S.C.C.

(unico spazio comune di contatto) oppure effettuava alcuni gesti rivolgendosi agli

strumenti musicali verso i quali tendeva il braccio e ripeteva su imitazione anche un

gesto di saluto. Le dinamiche di osservazione che la ragazza effettuava erano rivolte

2 AA. VV., (2006), Enciclopedia tematica. Vol. 14 - Filosofia A-M, RCS Quotidiani, su licenza Garzanti, Milano 2006, p. 302.

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all’ambiente, al musicoterapista, agli strumenti musicali e alla fonte di emissione

sonoro-musicale. L’avvicinamento di Simona nei miei confronti si è verificato

tramite l’accettazione di un battente e di uno strumento musicale che le offrivo

oppure tramite la ricerca del contatto fisico e dell’abbraccio con me.

Contemporaneamente il ciclo finale è stato caratterizzato anche dalla permanenza, in

minima parte, di modalità espressive presenti dalle prime fasi dell’intervento

musicoterapico: isolamento, rifiuto ed aggressività. L’isolamento avveniva

prevalentemente tramite immobilità posturale relativa e alcune volte con

dondolamento del corpo a destra e a sinistra. Il rifiuto era manifestato dalla ragazza

nei confronti di sé con atti di aggressività autodiretta che avvenivano soprattutto

battendo la testa o il pugno contro il muro e i piedi a terra. Simona rivolgeva questo

rifiuto anche all’ambiente lasciando cadere o spingendo una sedia, lanciando i

giornali e tirando un calcio ad un elemento di arredo. Queste stesse azioni alcune

volte avvenivano anche utilizzando uno strumento musicale. Io ho potuto confermare

la mia presenza nelle diverse dinamiche di contatto ponendomi in posizione frontale

rispetto a Simona, sostenendo il contatto oculare che lei stessa ricercava, accettando e

rispettando ciò che emotivamente esprimeva a livello non verbale. In questi momenti,

inoltre, producevo con il tamburello sonorità che mantenevano l’intensità, la durata e

la velocità dell’azione/non-azione messa in atto dalla ragazza utilizzando delle

modalità precise:

le dinamiche di espressione a livello motorio sono state accompagnate

sfregando con la mano la membrana del tamburello;

le dinamiche di rifiuto erano seguite percuotendo dei colpi sul tamburello in

corrispondenza di ogni gesto che era effettuato;

le dinamiche di isolamento sono state accompagnate effettuando

un’espressione a livello verbale o vocale oppure una produzione canora e

scansione ritmica con il tamburello del nome di Simona su intervallo di III^

Maggiore ascendente/discendente a tempo di tre semiminime.

Queste modalità d’accompagnamento, soprattutto quelle rivolte alle dinamiche di

espressione a livello motorio, provocavano in Simona una reazione che si è

manifestava con blocco della motricità, con ricerca del contatto oculare, a volte con

sorriso e avvicinamento fisico maggiore nei miei confronti. Sono stati questi i

momenti che mi hanno permesso di effettuare una proposta sonoro-musicale,

generalmente accettata da Simona che iniziava ad esprimersi a livello strumentale

creando gli scambi sonoro-musicali dai quali hanno avuto origine anche gli incontri

sonoro-musicali. In relazione allo spazio la ragazza inizialmente preferiva rimanere in

un angolo del contesto musicoterapico oppure investiva tutto lo spazio del contesto

musicoterapico. Solo con l’evolversi dell’intervento musicoterapico Simona ha

iniziato ad entrare maggiormente nello S.C.C., dove c’erano gli strumenti musicali e

a rimanervi per gran parte del suo tempo di permanenza nel contesto musicoterapico.

All’interno del contesto musicoterapico, quindi, si è delineato uno “spazio” ben

preciso che prevedeva la mia presenza oltre che quella degli strumenti musicali. La

ragazza dapprima velocemente, poi lentamente, ha investito questo spazio in modo

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discontinuo (movimento + staticità) e ha manifestato il suo modo di essere sonoro-

musicale con me. Io ero riuscita ad entrare in contatto con Simona e ciò era

confermato dal fatto che lei, pur mantenendo nel suo comportamento una certa

componente di evitamento/opposizione, mostrava nei miei confronti amichevolezza,

disponibilità e collaborazione. I segnali non verbali che la persona mi inviava hanno

seguito, per ogni area corporea considerata, delle direzioni delineate dal gradiente

costante con il quale ogni emozione si manifestava. La diminuzione della

sottomissione, dominanza e ostilità da gradiente medio costante, nel ciclo intermedio,

a gradiente minimo costante, nel ciclo finale, ha assunto una valenza positiva ai fini

della comunicazione non verbale e della relazione tra la ragazza e me perché è stata

considerata indice di una maggior distensione emotiva da parte della persona cui era

diretto l’intervento musicoterapico. Simona a livello delle aree corporee prese in

considerazione, ha manifestato segnali non verbali secondo una direzione emozionale

precisa anche per quanto riguarda l’espressione sonoro-musicale e la percezione

sonoro-musicale; infatti l’espressività denotava, nei momenti di espressione sonoro-

musicale, ostilità con sottomissione; nei momenti di percezione sonoro-musicale,

amichevolezza con dominanza. In riferimento alla tensione/distensione emotiva

l’audizione degli eventi sonoro-musicali esperiti della persona nel suo ambiente

familiare determinava un cambiamento nell'atteggiamento interpersonale. Fino a

quando questi eventi sonoro-musicali non erano proposti all’ascolto le reazioni

comportamentali della ragazza denotavano una certa tensione. Simona manifestava

questa emozione con reazioni in cui non accettava la mia vicinanza, né sosteneva

alcun contatto oculare con me. Inoltre l’espressione emotiva del viso risultava tesa

con: bocca rivolta in basso, sopracciglia aggrottate, sguardo severo. Erano messe in

atto numerose dinamiche di espressione a livello motorio che la ragazza rivolgeva a

se stessa. La postura era eretta, in continua tensione, i movimenti del corpo erano

continui e avvenivano a velocità intermedia, intensità forte. Durante l’audizione degli

eventi sonoro-musicali, l’atteggiamento della persona denotava una certa distensione

indice di un cambiamento notevole. Quest’emozione era manifestata tramite reazioni

in cui Simona sosteneva il contatto oculare e fisico accettando la vicinanza con me.

L’espressione emotiva del viso era tranquilla con: bocca sorridente, sopracciglia

rilassate e sguardo dolce. Le dinamiche di espressione a livello motorio che la

ragazza rivolgeva a se stessa diminuivano notevolmente. La postura era rilassata con

una certa immobilità posturale relativa in posizione eretta, seduta o accovacciata

(piegata su ginocchia flesse). Nelle espressioni sonoro-musicali che hanno dato

origine agli scambi sonoro-musicali c’è stata la possibilità di cogliere una certa

tensione. Alcune espressioni sonoro-musicali che Simona ha effettuato negli scambi

sonoro-musicali, infatti, potevano essere interpretate come “attimi di sfogo” e di

manifestazione di uno stato emotivo conflittuale, irrequieto in cui ero presente anche

io perché, molte volte, erano rivolti a me. Quanto appena affermato ha trovato

conferma nell’intensità forte e nella velocità elevata (croma, semicroma) con cui

avvenivano le dinamiche di contatto sonoro-musicale. Nelle espressioni a livello

vocale, può essere ipotizzato che era individuabile una direzione emozionale data dal

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fatto che, in situazione emotiva tesa, Simona si esprimeva a livello vocale

emettendo suoni nasali acuti, ad intensità intermedia e velocità che variava da lenta

ad elevata (croma in caso di suoni ripetuti); mentre, in situazione emotiva rilassata

(distensione), la sua espressione vocale avveniva con suoni gutturali gravi ad

intensità debole e velocità lenta. Per quanto riguarda la tensione-distensione emotiva

le sedute del ciclo finale si sono sviluppate soprattutto dal punto di vista di un

graduale, anche se non completo, rilassamento da parte di Simona che durante

l’audizione degli eventi sonoro-musicali (ascolto sonoro-musicale), raggiungeva una

posizione d'immobilità posturale relativa lasciandosi tranquillamente accarezzare

dalla musicoterapista. Un avvenimento che ha sicuramente inciso sull’evoluzione

della fase di contatto è stato determinato dall’assenza definitiva di Simona dalla

struttura accogliente. L’intervento musicoterapico ha avuto una conclusione-

interruzione inaspettata e improvvisa. La durata delle espressioni sonoro-musicali è

rimasta breve e, di conseguenza, non c’è stata la possibilità di confermare e/o

migliorare il livelli di contatto nei miei confronti. Ciò nonostante Simona ha

raggiunto una buona integrazione a livello spaziale e temporale aumentando anche la

sua durata di permanenza nel contesto musicoterapico da 10’/15’, nel ciclo iniziale e

finale, a 30’/35’ in quello finale. I dettagli riguardanti l’analisi qualitativa e

quantitativa delle modalità di espressione e delle diverse dinamiche di contatto sono

stati inseriti in apposite schede.

Sandra Pasinetti

[email protected]

[1]Pasinetti Sandra, *L'importante é esser-ci... emotivamente

2008http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo

mentale

Pasinetti Sandra, Alla ricerca di una metodica musicoterapica personalmente...

autentica 2011a http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e

ritardo mentale

Pasinetti Sandra, Modi di essere o modi di esserci? 2011b http://musicoterapie.over-

blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale

Pasinetti Sandra, Dalla teoria alla prassi… musicoterapica 2011c

http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale

Pasinetti Sandra, L’intervento musicoterapico con Simona 2011d

http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale

Pasinetti Sandra, Alla “ricerca” della dimensione sonoro-musicale di Simona 2011e

http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in: Musicoterapia e ritardo mentale

Pasinetti Sandra, L’osservazione di Simona nel contesto musicoterapico 2011f

http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale

Pasinetti Sandra, Il contatto sonoro-musicale con Simona 2011g

http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in: Musicoterapia e ritardo mentale

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Pasinetti Sandra, Alla ricerca dello spazio di contatto con Simona

2011hhttp://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo

mentale

Pasinetti Sandra, Contatti sonoro-musicali con Simona 2011i

http://musicoterapie.over-blog.com/ - Pubblicato in : Musicoterapia e ritardo mentale

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Tempo (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 17 giugno 2011

Tempo3

Il tempo “… non è altro che la forma del senso interno, ossia l’intuizione di noi stessi e del nostro stato interno4…”. Kant

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Pasinetti Sandra, Contatti sonoro-musicali con Simona

Pubblicato il 10 giugno 2011

Lo S.C.C. (unico spazio comune di contatto) si è mantenuto intatto dal punto di vista

della sua individuazione all’interno del contesto musicoterapico per tutta la durata

dell’intervento. Nel ciclo intermedio Simona (nome di fantasia, in ottemperanza alla

legge della privacy) ha iniziato ad occupare questo spazio spontaneamente mentre

prima ciò accadeva solo se era stimolata da me. Sembrava che la ragazza

manifestasse il suo “volere/non volere” –“potere/non potere” esprimersi a livello

strumentale avvicinandosi e/o allontanandosi dallo S.C.C. Quando si allontanava, non

solo rifiutava di esprimersi tramite il mediatore strumentale, ma non sempre accettava

anche la mia vicinanza fisica. Nello S.C.C. Simona dapprima si esprimeva a livello

3Tempo (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi), 17/06/2011, http://musicoterapie.over-blog.com/article-tempo-dizionario-di-musicoterapia-a-cura-77037562.html 4Kant I., Critica della Ragion pura, sesta edizione, Laterza, Bari 1977, p.77.

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strumentale senza sostenere alcun contatto né visivo, né corporeo nei miei confronti;

assumeva quindi una posizione inchinata in avanti o si metteva di fianco rispetto a

me, tenendo lo sguardo sugli strumenti musicali, percuoteva con il battente o con le

mani le congas, lo xilofono, il tamburello, il tamburello basco, per brevi attimi, ad

intensità forte e velocità elevata (croma…, semicroma…). La ragazza ha iniziato ad

effettuare delle produzioni sonore, rivolgendosi a me, solamente quando ho potuto

‘coinvolgerla’ all’interno di uno spazio comune utilizzando, come mediatore

strumentale, il tamburello. Solo allora, più volte ho potuto proporre a Simona delle

giustapposizioni di sonorità ad intensità forte e velocità elevata (croma, semicroma) e

lei rispondeva con le mie stesse modalità, percuotendo lo stesso strumento anche se

rifiutava di tenerlo e preferiva che rimanesse nelle mie mani. Simona, posta nel

contesto musicoterapico, iniziava ad “aprirsi” utilizzando per esprimersi, non solo gli

strumenti musicali, ma, anche, la sua voce. In seguito all’individuazione di un

intervallo di V^ Giusta e di III^ Maggiore, nell’emissione vocale che Simona

effettuava con maggior frequenza, ho proposto espressioni sonoro-musicali con

uguale velocità, durata, intensità e utilizzando suoni compresi in questi intervalli

producendoli in forma melodica ascendente/discendente. La mia proposta canora e la

scansione ritmica strumentale del nome di Simona sull’intervallo di III^ Maggiore

(do/mi/do) su un tempo di tre semiminime, ha suscitato in Simona un sorriso,

unitamente alla ricerca del contatto visivo. Utilizzavo questa proposta come “invito-

richiamo” rivolto a Simona soprattutto quando tendeva ad isolarsi. Tutte le

espressioni a livello strumentale, vocale e canoro che sorgevano da me o da Simona,

in modo, dapprima, casuale e, poi, sempre più ‘ricercato’, sono diventate, nel tempo,

delle vere e proprie dinamiche con le quali esperire attivamente uno spazio che stava

diventando comune. Simona accettava maggiormente di esprimersi a livello sonoro

con il suo mediatore strumentale (congas o xilofono) e condivideva il momento con

me. Io e Simona percuotevano in contemporaneità o in successione ognuna il nostro

mediatore, tenendolo in mano, mentre prima ciò avveniva percuotendo un unico

mediatore (il tamburello) tenuto generalmente in mano da me perché la ragazza non

lo voleva. Progressivamente è aumentato il tempo di permanenza nello spazio

comune di contatto di Simona che appariva più spontanea nelle sue produzioni

strumentali e sembrava esplorare il mondo sonoro alla ricerca di variazioni che

riguardavano l’intensità la durata, la velocità e l’altezza dei suoni. La ragazza, infatti,

ha effettuato un primo approccio alla tastiera producendo suoni ad intensità minore e

velocità lenta (minima, semibreve), mentre, solitamente utilizzava gli strumenti a

percussione dando origine a sonorità con caratteristiche opposte. Un’ espressione a

livello strumentale effettuata da Simona è sorta su imitazione di quanto io avevo

prodotto sulla coppia di conga, con i battenti, per una durata di 3”, ad intensità piano

e velocità elevata (croma/semicroma). Un’altra espressione di Simona è avvenuta “su

imitazione” di una modalità che io generalmente utilizzavo per seguire le dinamiche

di espressione a livello motorio: la ragazza si è premuta le mani sulla pancia per

indicare un bisogno fisiologico ed era “seguita”, sfregando con una mano la

membrana del tamburello, da me che, dopo essere stata osservata per un breve attimo,

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sono stata imitata sul tamburello basco. Si sono verificate situazioni in cui io, dopo

aver “accompagnato” Simona nelle sue espressioni sonoro-musicali, continuavo a

produrre sonorità senza interruzioni né modifiche dell’intensità, della velocità e della

durata. In seguito a quest’atteggiamento Simona ha ripreso la sua espressione a

livello strumentale fermandosi e poi ricominciando più volte. Il clima di esplorazione,

di osservazione e di proposte/risposte tra me e Simona all’interno di uno S.C.C. ha

portato alla realizzazione di numerosi scambi sonoro-musicali caratterizzati dalla

produzione, in contemporaneità o in successione, di sonorità percuotendo con la

mano o con un battente il tamburello e lo xilofono. Simona in queste occasioni di

scambio assumeva senza difficoltà una posizione seduta frontale; mentre i rari

contatti visivi, che ricercava e sosteneva con me, avvenivano non in contemporaneità

con la produzione strumentale e avevano una durata breve (da 1” a 20”), un’intensità

medio-forte e una velocità medio-lenta (semiminima, minima e semibreve). Io mi

sentivo piacevolmente adeguata; esperivo in modo positivo la dimensione di scambio

che si era creata tra me e Simona probabilmente rassicurata dal fatto che anche la

ragazza appariva molto disponibile e cordiale, con un atteggiamento di

amichevolezza e accettazione nei miei confronti. La situazione che caratterizzava il

contesto musicoterapico è risultata dunque favorevole per l’insorgere di incontri

sonoro-musicali significativi che, in parte, hanno avuto origine da scambi proposti

soprattutto da Simona nello S.C.C. e, in parte, erano basati su un mio atteggiamento

di autenticità in cui attuavo meccanismi di riproduzione su imitazione esatta di

quanto era prodotto dalla ragazza a livello sonoro-musicale. Simona si è seduta in

posizione frontale rispetto a me e, con un’espressione del viso molto dolce e tenera, si

è avvicinata lentamente al mio viso fino ad effettuare, per qualche minuto, un

contatto molto intimo con me che è avvenuto bocca-bocca, fronte-fronte o naso-naso.

Tra me e la ragazza, come mediatore strumentale, c’era un tamburello che, in un

incontro, era appoggiato sullo xilofono, mentre, in un altro, era tenuto in mano sia da

Simona che da me. Simona ha ricercato e sostenuto nei miei confronti un contatto

visivo lento e molto intenso mentre percuoteva con me il tamburello producendo

sonorità ad intensità intermedia, velocità elevata (croma, semicroma), per circa 10”

nel primo incontro e 5” nel secondo. Un incontro sonoro-musicale è avvenuto in

posizione eretta frontaleed è stato preceduto da Simona che, rivolgendomi un sorriso,

mi ha preso lentamente la mano per tenerla nella sua in modo molto delicato. Dopo

aver ricercato nei miei confronti un contatto visivo, la ragazza ha accettato i battenti

che io le offrivo e ha iniziato a percuotere le congas. Io accompagnavo Simona

utilizzando il tamburello e, con lei, producevo sonorità che avevano una durata,

un’intensità e una velocità molto simile a quelle degli incontri precedentemente

descritti. Durante il ciclo intermedio si è confermato un altro incontro sonoro-

musicale proposto da me che, trovandomi in posizione seduta frontale con Simona,

ho prodotto, insieme a lei, sonorità leggermente diverse rispetto a quelle con cui, di

solito, avvenivano le espressioni a livello strumentale. Queste sonorità, infatti,

avevano un’intensità variabile e una durata maggiore. In questa occasione è stato

utilizzato un unico mediatore strumentale, ossia il tamburello tenuto in mano da me.

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Verso la fine del ciclo intermedio Simona ha iniziato ad essere presente nel contesto

musicoterapico in modo palesemente diverso rispetto alle modalità che,

generalmente, aveva manifestato. Il comportamento della ragazza denotava una

profonda sofferenza non solo a livello emotivo ma anche fisico, con notevole

sonnolenza, pallore e stati di malessere. Mi sento veramente preoccupata di fronte a

Simona che, in posizione accovacciata, teneva la testa tra le mani o la appoggiava

sulle mie spalle e mi rivolgeva uno sguardo “spento”, senza avere una minima

reazione motoria per istanti che mi sembravano un’eternità. Mi arrabbiavo con me

stessa per l’impotenza che provavo in quanto ero consapevole che lo stato emotivo di

Simona non dipendeva da me, né da quello che accadeva durante il momento

dell’intervento musicoterapico, ma doveva essere collegato a problematici fattori

esterni di fronte ai quali si poteva fare ben poco. L’unico segnale, da prendere in

considerazione per riuscire a essere presente nello stato di “apparente isolamento” di

Simona, era lo sguardo che rivolgeva a me e alla fonte di emissione sonoro-musicale

durante la proposta delle sonorità e delle musiche che le appartenevano. In relazione

a questo ho pensato che fosse opportuno intensificare l’intervento musicoterapico

strutturando il ciclo finale in due/tre sedute settimanali. In questo modo pensavo di

riuscire a riattivare i limitati livelli di adattamento e facilitare la permanenza di

Simona nel contesto musicoterapico proponendo l’ascolto degli eventi sonoro-

musicali a lei graditi.

Sandra Pasinetti

[email protected]

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De Martino Giuseppina, Se fossi il medico dell’anima?

Pubblicato il 1 giugno 2011

L’idea di potermi somministrare, un giorno a qualcuno, nella speranza di rendergli

meno tedioso il suo temporaneo soggiorno mi affascina ed allo stesso tempo mi

responsabilizza. L’idea di poter veicolare qualcosa che non conosco bene mi porta a

desiderare l’approfondimento della mia conoscenza, ed è esattamente quello che

faccio da quando ho avuto le prime esperienze di aiuto. Facendo il medico, spesso mi

capita di dover alleviare la sofferenza e molte volte non è questione di analgesico, in

una società che somministrerebbe anche l’amore in pillole, se si potessero vendere, a

volte risulta davvero difficile spiegare perché si muore o ci si ammala, eppure

bisogna provarci. L’altro giorno ero seduta davanti al mio pianoforte e riflettevo sul

tempo, sul ritmo, cercando di comprendere perché quel compositore avesse scelto

una combinazione così particolare di ritmi e suoni, poi ho provato un’emozione, ero

soddisfatta e felice e mi sono chiesta:<< È forse questo che voleva trasmettere? >>.

Quando inizio a suonare un brano è come se iniziassi una conversazione con il suo

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compositore, non so spiegare esattamente ciò che accade ma a volte ho la netta

sensazione di rivivere in quella melodia un’emozione, augurandomi che sia la stessa

provata dall’autore in un tempo passato e se trovo conferma allora dico : << È

questo che S. Agostino intendeva con il manifestarsi dell’immortalità dell’anima?

>>. Per me suonare una partitura é come relazionarmi al suo autore, non è semplice

da spiegare a parole ma credo che nella composizione ci sia l’anima di chi l’ha

scritta e l’emozione di quel momento che resta immutata nel tempo. La musica

dunque può conservare inalterata nei secoli il segreto di un’emozione impressa e che

viene dall’anima? Ne è dunque lei la custode? Chissà, forse per scoprirlo

bisognerebbe lasciarsi avvolgere dalle onde di una melodia e perché no, magari

provare ad esprimerne una propria, con la certezza che di qualunque suono si tratti è

certamente ciò che viene da dentro, un dentro che esprime qualcosa di importante, di

condivisibile, con cui possiamo relazionarci per una volta senza parole… Ebbene

siamo giunti al cuore, all’essenza di ciò che spesso accade a coloro che sentono

vicino il momento di salutarci, non ci sono parole ma profondi ed assordanti silenzi

che lasciano pagine bianche sulle quali scrivere infinite emozioni o pentagrammi da

riempire. Quanto è difficile raccontare e raccontarsi ma come diventa bello

trasformare il proprio vissuto in una melodia, in una poesia, in un canto o in un

dipinto; arte espressione dell’anima. Quando ho salutato mio padre, ho riscoperto la

musica che avevo accantonato, troppi gli impegni di lavoro e studio, troppe le

responsabilità, piccole infingarde e meschine senza che me ne rendessi conto

avevano sottratto tutta la mia energia vitale relegandomi in un angolino dal quale a

malapena riuscivo ad intravedermi e così malconcia me ne andavo in giro per il

mondo illudendomi di essere me stessa. Quanto ho amato ed amo tuttora i miei

genitori, quando tre anni fa’ ho salutato anche mio padre, ho voluto stargli vicino

fino all’ultimo istante, ricordo di aver azzardato anche un timido:<< Coraggio, va

bene così vai avanti, segui la luce>>. Chissà perché gli dicevo così, eppure non sono

mai morta, da dove ho preso quelle istruzioni che gli ho dato con tanta sicurezza? La

risposta è giunta qualche giorno fa con una considerazione che ho scritto nella

speranza di poter rendere onore a qualcuno.

Non ci è dato sapere

Vivere sapendo di essere un mantice attivo dal primo all’ultimo respiro con un inizio

ed una fine. Con l’inizio riempio, con la fine svuoto, ma cosa esattamente? Non mi è

dato sapere! Apparentemente sembra si parli di un contenitore, ma è il contenitore

che esisteva o e’ l’atto che ha generato il termine? Sono esatti i termini riempire e

svuotare? Non ci è dato sapere! Oltretutto non sappiamo quanto tempo restiamo dal

momento in cui riempiamo fino a quello in cui svuotiamo e chi o cosa siamo e/o

svuotiamo ammesso che lo facciamo! Con questa semplice domanda parte il treno

che mi condurrà là dove il tempo e lo spazio offriranno il geoide intorno al quale

infinite domande orbiteranno generate da pensieri, intuizioni, considerazioni,

affermazioni, figlie dell’incertezza della nostra condizione. Chi guiderà il treno? Non

lo so, ma so che a un certo punto parte. Parte con un respiro e con un respiro finisce,

non conosco l’inizio né la fine di quest’avventura ma vivo un’emozione che dura

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l’intero viaggio e ciò mi dovrebbe bastare e soddisfare. La durata del viaggio varia

da pochi istanti a più di cent’anni mentre il traguardo è sempre lo stesso e che sia

penoso o meno lo decidono cultura ed habitat altro non so. Ma perché il tempo è così

importante? E soprattutto cos’è? Alcuni dicono il ricavato di un’equazione V = S/T.

Così sembrerebbe che il tempo sia qualcosa che dipende dalla velocità con la quale

si percorre uno spazio. Allora anche la nostra vita è uno spazio che si può percorrere

con una velocità variabile? Cosicché c’è chi vive un giorno e chi tantissimi anni?

Siamo massi e meteore con il medesimo destino! E tutto questo finché rispondiamo

alle leggi materiali che questa forma corporea ci impone ma se improvvisamente

cambiassimo forma e da corpi più o meno belli diventassimo quella cosa chiamata

luce che gli scienziati studiano da anni cercando di capire perché a volte si comporta

come se fosse fatta di corpuscoli ed altre volte no, la velocità con la quale ci

muoveremmo sarebbe sempre la stessa? Sto fantasticando lo so, ma se per un attimo

accettassimo questa ipotesi come possibile, allora l’anima che i teologi e gli

spiritualisti riconoscono come fatta di luce, sarebbe una forma diversa con la quale

muoversi e nella morte forse ne ritroviamo la dimensione? Ancora una volta non ci è

dato sapere! Vivere nell’ignoranza sembrerebbe essere il nostro attuale destino e

ribellandoci rischiamo di rendere penoso l’intero viaggio, sarà questo il motivo per il

quale molti alla fine scelgono di giocare a pallone o a basket o decidono di fare

qualsiasi altra cosa purché s’inganni il tempo,è esattamente così? Come quando

facciamo giocare i nostri bambini nel treno o su qualsiasi altro mezzo,per distrarli e

non farli annoiare? E che fra i tanti possibili modi per distrarsi ci sia anche la

guerra?non posso crederci mi sembra assurdo, scegliere di ammazzare o di farsi

ammazzare mentre aspettiamo di morire! Siamo pazzi? O semplicemente molto

sofferenti? Il che sarebbe a dire quasi la stessa cosa! Aggiungerei un commento anzi

un’altra domanda e cioè siamo davvero così certi che morte sia uguale a fine, dove

per fine intendo dire fine di tutto ovvero quella deprimente sensazione di assenza

totale di ogni cosa ma soprattutto di noi stessi? E se per caso il fatidico giorno

dovesse essere tutt’altro che questo,non è un vero peccato l’avere scelto di vivere la

nostra breve apparenza in modo così penoso? Non mi resta che meditare…

In altre parole

Vivo sapendo di avere un tempo a disposizione come tutti e so che questo tempo è

prezioso e non andrebbe sprecato, quando ero giovane avevo paura e per molti anni

ho creduto che morire da giovani fosse stato peggio che morire da vecchi, poi ho

scoperto che di fronte a questo evento ineluttabile il tempo non esiste, perlomeno per

come lo si intende noi,non mi sono meravigliata più di tanto quando nelle librerie la

mia attenzione è caduta su Einstein e la spiegazione per comuni mortali della teoria

della relatività, per l'ennesima volta, l'essenza di coloro che sono stati ed hanno a

lungo pensato in questa forma, mi è venuta in soccorso, aggiungendo qualcosa di

banale, forse per qualcuno, ma che a me ha dato la forza per sostenere il peso di una

morte giovane, di malattia o accidentale che sia. Lo so che certi discorsi di fronte ad

una madre che ha appena perso il figlio sedicenne per un assurdo incidente, o per il

padre che ha visto spegnersi il figlio poco meno che trentenne a causa del cancro,

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suonano come una specie di tortura, ma so anche che dopo che è passato un certo

tempo, accade qualcosa, non saprei dire esattamente cosa, forse ci ricordiamo che

siamo di passaggio in questa forma, i genitori saggi dimenticano di ricordare questo

ai propri figli come se fosse ingiusto strapparli alla meravigliosa spensieratezza dei

loro giovani anni ma quando il momento di lasciare questa forma si avvicina, ti chiedi

perché di morte non si è mai parlato, il fatto è che non ci rendiamo conto che il tempo

segue le sue leggi, quando i preti parlano di luce eterna si riferiscono alla stessa luce

analizzata da Einstein? Se lo scorrere del tempo è relativo al mezzo nel quale

viaggiamo e se l'anima ed il corpo sono due mezzi diversi, il corpo è più lento

dell'anima,e l'anima per i teologi ha molto a che vedere con la luce, forse l'anima ha

un tempo diverso perché è fatta di luce? È semplicemente un mezzo con il quale si

viaggia più velocemente? Se ci osserviamo muovendoci alla velocità della luce tutto

ci appare statico e immobile, se è vero che siamo fatti d’altro oltre che di materia,

questo qualcos’altro potrebbe non essere soggetto alle leggi conosciute? Se così fosse

che differenza c'è tra un vecchio ed un giovane che muore? Oserei dire nessuna, lo so

che sto rischiando, perché, la cosa più difficile è riuscire ad andare oltre il corpo e le

leggi materiali che lo governano, soltanto così, facendo il gioco del chi (simile al

gioco del perché di quando eravamo bambini) riusciamo ad arrivare in cima alla

piramide oltre la quale per alcuni c’è Dio per altri l’esistenza, in altri termini ciò che

non ci è dato sapere, perlomeno in questa forma, ed è con grande umiltà che mi

accingo a farle onore.

Giuseppina De Martino

[email protected]

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Luglio

Sentimento (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi) Pubblicato

il 28 luglio 2011

Sentimento5 “... dal latino medievale sentimentu(m), derivazione del classico sentīre, ‘sentire’, (ossia) ... avere coscienza di un proprio stato interiore, di una determinata situazione emotiva ... (e/o sensoriale)”6.

Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe

5Sentimento (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 28/07/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-sentimento-dizionario-di-musicoterapia-a-78404702.html

6 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, p. 1778.

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Affetti vitali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

Pubblicato il 24 luglio 2011

Affetti vitali7 “ ... attivazioni emozionali senza nome coincidenti con il processo dinamico della vita stessa ... (ossia), fluttuare, svanire, trascorrere, esplodere, crescendo, decrescendo, gonfio, esaurito8, ...”. Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe

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Affetti categoriali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

Pubblicato il 21 luglio 2011

Affetti categoriali9 “ ... emozioni “discrete” o nominabili ... felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa, interesse, vergogna10 ...”.

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7 Affetti vitali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 24 luglio 2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-affetti-vitali-dizionario-di-musicoterap-78327319.html 8 Postacchini P.L., In viaggio attraverso la musicoterapia, Cosmopolis, Torino 2006, p. 138. 9 Affetti categoriali (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 21 luglio 2011, Musicoterapie in…ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-affetti-categoriali-dizionario-di-musico-78327194.html

10 Postacchini P.L., In viaggio attraverso la musicoterapia, Cosmopolis, Torino 2006, p. 138.

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Affetto, (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

Pubblicato il 18 luglio 2011

Affetto11 “... sentimento di vivo attaccamento a una persona o a una cosa12 ...”.

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Dimensioni d'ascolto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 15 luglio 2011

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Affetto, (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 18 luglio, 2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-affetto-dizionario-di-musicoterapia-a-cu-78326455.html

12 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, p. 40.

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Greco Marina, Il recupero dell’ascolto nella psicoanalisi di Freud

Pubblicato il 8 luglio 2011

La psicologia dinamica ci ha insegnato che la nostra psiche è da considerarsi non

come una realtà unitaria, bensì come un insieme di diversi e complessi processi,

caratterizzato da una dinamica che pone in contraddizione affetti, pensieri e tendenze

del soggetto che è in divenire ad opera di forze che agiscono dentro di lui[1].

L’armonia del e con il sé e il sentirsi in armonia di questo sé con il mondo dipendono

dalla capacità di ciascun soggetto di cogliere il senso che abita all’interno

dell’interiorità dell’essere. Tale capacità dipende, a sua volta, dal modo in cui si è

instaurata la relazione per antonomasia, vale a dire la relazione madre-bambino[2],

fondata essenzialmente sull’Ascolto. L’avvento di Freud e della psicanalisi

rappresentano una svolta radicale non solo per i motivi che tutti conosciamo, ma

anche per il recupero proprio dell’ascolto: prima di lui il paziente era un oggetto da

conoscere (l’oggetto della conoscenza della cultura occidentale), soprattutto

attraverso l’attenta osservazione visiva, attraverso lo sguardo, dei sintomi che

mostrava. Con Freud il paziente diventa una persona da ascoltare, in quanto egli

crede che sia possibile attribuire un senso al delirio del soggetto affetto dal disturbo,

il che impone di fatto la necessità di ascoltarlo. Conseguentemente il porsi in ascolto

di qualcuno presuppone e implica l’esistenza di una dinamica relazionale fra medico

e paziente: il primo non ha davanti a sé solo dei sintomi da ricondurre a una qualche

generica classificazione, bensì una persona, con la sua particolare unicità. Con lo

studioso austriaco si prefigura, dunque, per la prima volta, seppur sbilanciata e

asimmetrica, una relazione dialogica fra il medico e il paziente[3]. La novità

introdotta da Freud non consiste solo nel far parlare il paziente affinché l’ascolto

delle sue parole offra al medico un completamento o una chiarificazione di quanto già

ha osservato con gli occhi. La svolta e la novità assoluta consistono nell’individuare

nell’ascolto, che caratterizza e su cui si fonda la relazione medico-paziente, la cura e

la terapia stessa per il disturbo[4]. Il mezzo attraverso cui la relazione dialogica

medico-paziente si dispiega è il linguaggio, la comunicazione verbale, fatta di parole,

di ascolto, di silenzi. Di chi? Di entrambe le persone coinvolte nella relazione. Ma

soprattutto del paziente che, come sottolinea Carlo Brutti, “recupera, nella esperienza

psicanalitica, il pieno diritto a parlare, come il diritto a tacere”.[5]. L’ascoltare

dell’analista, poi, non è un semplice stare a sentire ciò che il paziente dice, per poi

alla fine rivelargli la verità. L’ascolto dell’analista “si modula sul doppio registro

della comunicazione del paziente e del proprio discorso interiore”[6] attivato dalle

parole del paziente. Ad un certo punto il discorso sonoro del paziente e quello silente

dell’analista si incontrano e il senso di tutto è rischiarato da una parola: “È nel

dischiudersi di questa parola che l’atto analitico celebra il suo momento più creativo

e trasformante”[7]. In questa relazione dialogica l’intera realtà personale, conscia e

inconscia, del paziente e del terapeuta, viene coinvolta nella ricerca della verità:

“Freud non fa che ricercare il giusto punto di mediazione tra il momento critico del

sapere smascherante ed il momento dell’attenzione accogliente nei confronti

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dell’individuo che cerca aiuto presso di lui”[8]. L’applicazione e l’utilizzo della

tecnica terapeutica di Freud non può prescindere dall’impianto teorico che concepisce

il disturbo psichico in divenire e che studia “nella loro dinamica (rapporto di forze e

concatenazione di cause ed effetti, da cui l’aggettivo psicodinamico riferito

all’orientamento analitico) la nascita dei processi psichici ed il loro evolvere verso

la salute o la malattia”[9]. Nella concezione psicoanalitica, all’interno della psiche

umana agiscono tre istanze psichiche dinamicamente interagenti fra di loro (Es, Io,

Super-Io). Tale concezione ha portato alla scoperta di una relazionalità insita nel sé e

di una dialogia interiore dell’essere umano: “attraverso la dinamica del transfert, il

paziente traspone nel suo rapporto attuale con l’analista la dialettica delle istanze

psichiche configuratasi nelle prime, decisive fasi della propria storia interiore.”[10].

In questa prospettiva teoria e prassi sono strettamente connesse. La psicoanalisi, è

“un processo che si propone non tanto e non solo la “guarigione” clinica del

paziente, intesa come eliminazione dei sintomi, quanto piuttosto di favorire una

ristrutturazione stabile dell’assetto interno della persona, tramite una migliore

conoscenza di sé, del proprio mondo psichico e delle proprie motivazioni”[11]

affinché il soggetto possa trovare una risposta al suo bisogno di coesione, stabilità e

armonia. Nella psicoanalisi, per il soggetto in cura, la relazione dialogica diventa

maieutica, in quanto lo aiuta a conoscere la sua dimensione interiore e a prendere atto

della verità che gli viene restituita: “l’analista deve ricostruire la storia interiore del

paziente dissotterrando, come un archeologo della psiche, la verità sepolta

nell’inconscio. […] Una simile archeologia è possibile solo se il paziente – anzi lui

per primo – si mette a scavare”[12]. Questa verità (=senso che abita nell’interiorità

dell’essere →armonia con il sé e con il mondo esterno) cos’è, se non quel méghiston

agathón (sommo bene), obiettivo finale dei dialoghi fra Socrate e i suoi

discepoli[13]? La tecnica terapeutica freudiana si configura, pertanto, nella nostra

riflessione, come il primo autentico recupero, da parte della cultura occidentale, della

maieutiché tèchne, la maieutica socratica[14], primo fondamento della psicologia del

profondo[15].

Marina Greco

[email protected]

[1] Cfr. AA.VV., Storia della psicologia, a cura di P. Legrenzi, Il Mulino, Bologna

1982, cap.7.; Imbasciati A., Istituzioni di psicologia, UTET, Torino 1986, tomo I,

cap. 1, pagg. 26-28, 92-93.

[2] Cfr. Greco M., La relazionalità come essenza dell’ascolto,

http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-la-relazionalita-come-

essenza-dell-ascolto-60444685.html

[3]Cfr. Mancini R., L’ascolto come radice. Teoria dialogica della verità, Ediz.

Scientifiche Italiane, Napoli 1995, pagg. 225-226.

[4]La cura, nella psicoanalisi, consiste dunque nella disposizione a un certo tipo di

ascolto da parte dell’analista. Questa non è una specificità propria di questa

disciplina, ma caratterizzerà molte altre tipologie di relazioni d’aiuto. Spesso si pensa

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che aiutare una persona equivalga a parlarle, confortarla con le parole. In realtà

l’aiuto di cui si ha più urgente bisogno è che qualcuno ascolti, perché solo se si sente

ascoltata una persona percepisce il suo essere al mondo, in quanto in quel momento

esiste ed è importante per qualcuno.

[5]Brutti C., Parola e silenzio nell’ascolto psicanalitico, in AA.VV., L’ascolto che

guarisce, Cittadella Editrice, Assisi 1995, pag.48.

[6]Ibid., pag.49.

[7]Ibid. A questo proposito è forse il caso di ricordare che l’ascolto è proprio la

reciproca trasformazione delle prospettive di partenza dei soggetti coinvolti nella

relazione dialogica.

[8]Mancini R., op. cit., pag. 230.

[9]Ricciotti A., Appunti di psichiatria, psicopatologia generale e neuropsichiatria

infantile, Dispensa del Corso Quadriennale di Musicoterapia, PCC, Assisi, pag.55.

[10]Mancini R., op. cit., pag.227.

[11]Ricciotti A., op.cit., pag. 56.

[12] Mancini R., op.cit., pag. 229.

[13]Cfr. Greco M., L’ascolto agli albori del pensiero occidentale,

http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-l-ascolto-agli-albori-del-

pensiero-occidentale-50603861.html

[14]R. Mancini offre innumerevoli spunti di riflessione: a partire dalla psicanalisi

freudiana l’autore individua varie tipologie di ascolto terapeutico. Quello

indubbiamente più interessante nella nostra prospettiva di indagine che parte dal

modello socratico è quello che Mancini definisce ascolto simbolico-maieutico: “il

tratto saliente di questa modalità dell’ascoltare rinvia ad una concezione che intende

il vertice conoscitivo dell’analisi non già come la messa a punto, da parte del

terapeuta, di un’interpretazione complessiva ed autentica, ma come il

raggiungimento di un’interpretazione autoesplicativa da parte del paziente. L’ascolto

promuove così una relazione maieutica, in cui l’analizzato, sia pure con l’aiuto

determinante dell’analista, diventa a pieno titolo interprete, pervenendo ad

un’inedita coscienza di sé”. Cfr. Mancini R., op.cit., pagg.235-236.

[15]Tomatis A., Ascoltare l’universo. Dal big bang a Mozart, Baldini&Castoldi,

Milano 2005, pag. 211.

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Ascolto (dizionario di musicoterapia a cura di Bonardi Giangiuseppe)

Pubblicato il 4 luglio 2011

Ascolto13 Atto intenzionale volto ad accogliere sé e/o l’altro da sé. Ascoltare è sinonimo di accogliere. Bonardi G. Con tag Dizionario di musicoterapia, Bonardi Giangiuseppe

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Vissuti (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 1 luglio 2011

Vissuti14 I vissuti sono l’insieme delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti, siano essi piacevoli o spiacevoli, provati dalla persona durante una situazione di vita, denominati dalla stessa con estrema cura e precisione al fine di poterli... accogliere15. Bonardi G.

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Agosto Ritmo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 29 agosto 2011

Ritmo16

13Ascolto (dizionario di musicoterapia a cura di Bonardi Giangiuseppe), 4 luglio 2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-ascolto-dizionario-di-musicoterapia-a-cu-77067442.html 14Vissuti (dizionario di musicoterapia a cura di Giangiuseppe Bonardi), 01/07/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-vissuti-dizionario-di-musicoterapia-a-cu-77037995.html 15Bonardi G., Breve lessico dei concetti emotivi, 19 luglio 2010, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-bonardi-giangiuseppe-breve-lessico-dei-c-53281628.html 16Ritmo (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 29/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-ritmo-dizionario-di-musicoterapia-a-cura-81122690.html

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Il ritmo è la compresenza dinamica di forze contrastanti che rimangono in equilibrio17. Bonardi G.

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Musica (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 22 agosto 2011

Musica18 “La musica è l’espressione acustica, che si espande nello spazio che mi circonda, del mio mondo interno, ossia del tempo che vivo… affettivamente.”. Bonardi G.

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Spazio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 15 agosto 2011

Spazio19

Lo spazio“… è manifestazione esterna della (nostra) vita interna20…”. Macke

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17 Bonardi Giangiuseppe, Marius Schneider e la... Musicoterapia! (6 novembre 2008), Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-24493424.html 18 Musica (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 22/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-musica-dizionario-di-musicoterapia-a-cur-81122559.html

19 Spazio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 15/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-spazio-dizionario-di-musicoterapia-a-cur-81122329.html 20 Rognoni L., Fenomenologia della musica radicale, Garzanti, Milano 1974, p. 214.

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Tonalità emotiva (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe)

Pubblicato il 5 agosto 2011

Tonalità emotiva21 La tonalità emotiva è l’accordo emozionale che scaturisce tra l’uomo e la situazione-mondo (interiore, ambientale, ecc.) che vive22.

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Sensazione (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 1 agosto 2011

Sensazione23

Esperienza soggettiva rilevata mediante gli organi di senso. La sensazione è la “... modificazione che la coscienza avverte in sé come prodotta da stimoli esterni o interni sugli organi di senso24 ...”.

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21 Tonalità emotiva (dizionario di musicoterapia, a cura di Bonardi Giangiuseppe), 05/08/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-tonalita-emotiva-dizionario-di-musicoter-78405234.html 22 Bollnow O. F., (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano 2009, p. 32. 23 Sensazione (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 01/08/2011, Musicoterapie in… ascoltohttp://musicoterapie.over-blog.com/article-sensazione-dizionario-di-musicoterapia-a-78404995.html

24 AA. VV., Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano 1987, pag. 1776.

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Settembre Neri Simona, Quando il cuore dirige la ragione perduta…

Pubblicato il 20 settembre 2011

E ti trovi così a guardare uno sguardo che di giorno in giorno si spegne, si allontana

da te… . Vorresti fermare il tempo, ma egli è inesorabile e lento continua a

camminare, pur sempre, davanti a te… inarrestabile! Ti attendono con ansia e

quando li vedi, sono tornati come bambini ai tempi dei capricci ma ti attendono come

se fossero la volpe del ‘Piccolo Principe’. “Se tu vieni tutti i pomeriggi alle quattro,

dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia

felicità. Quando saranno le quattro comincerò ad agitarmi e inquietarmi. Scoprirò il

prezzo della felicità! “.* Ed ogni volta ritornare tra di loro non mi pesa più; le loro

eccentricità non mi spaventano più, vedo solo i loro occhi, i loro visi che ora

sorridono nell’attesa di me migliorano a dispetto del drago che li sta divorando… uno

ad uno: il terribile morbo di Alzheimer. A dispetto del tempo, che non li aspetta,

cantano e dentro di loro avviene… una rivoluzione francese. È come se tutto, per un

attimo… un piccolissimo attimo, si arrestasse è come se la musica, magicamente, si

impossessasse della testa e del cuore e sgominasse per qualche breve istante la belva

che li divora. Sono commossa nel vedere come lottano. Adele** ora ricorda il

giorno in cui arrivo… deve ballare non si può dimenticare… Così ha ridato un

significato a una settimana assolutamente persa; ha ricollocato il suo ruolo in famiglia

e, anche se la degenerazione non arretra, adesso sa come collocarsi nel tempo…

importantissimo per chi non sa più cosa sia il tempo. Giliola** mi aspetta per

volermi bene come una… figlia. Elena** irascibile e stridente... Elena che attende il

venerdì per passare due ore tra canti e musica… Elena che non lascerebbe mai la

stanza per tornare in reparto… . Tutto gira intorno a me e mi domando… perché io?

Perché la musicoterapia opera così misteriosamente nella mente di queste persone?

Perché il cuore dirige la ragione perduta? L’esperienza Alzheimer è un dono; è un

dono sentire queste persone così simili alla volpe del ‘Piccolo Principe’ poiché non

chiedono altro che di essere ‘addomesticati’ per avere qualcosa per cui il cuore

attende poiché: << Se so che torni venerdì… già da giovedì il mio cuore comincerà a

tremare…>>.

Simona Neri

www.ondasonora.org

[email protected]

*De Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, Milano 1998, pag.94.

**(nome di fantasia, in ottemperanza alla legge della privacy)

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Streito Bernardino, Esperienza audio-acustica

Pubblicato il 5 settembre 2011

Bernardino Streito

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Con tag Il senso del musicale in musicoterapia

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Ottobre Taverna Maurizio, Percorsi di senso del musicale vissuto in musicoterapia (Letture

consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 31 ottobre 2011

L’analisi del musicale in musicoterapia è un tema attualissimo e Maurizio Taverna lo

affronta con chiarezza concettuale, chiarendo la cornice teorica di riferimento

(musicologica, etnomusicologica, musicoterapica) congruente con la prassi realizzata,

svelando la dimensione terapeutica sottesa. Per Taverna quindi il musicale, espresso

spontaneamente e condiviso con gli anziani ospiti, può essere considerato come l’eco

della propria dimensione emozionale. La lettura delle partiture non si ferma quindi

alla dimensione musicologica ma si addentra in quella interpretativa, utilizzando

apporti etnomusicologici, in particolare il complesso pensiero schneieriano,

delineando, con garbo, i possibili vissuti esperiti dagli anziani ospiti.

Percorsi di senso del musicale vissuto in musicoterapia è reperibile presso:

[email protected]

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http://www.musicoterapiassisi.it/

Giangiuseppe Bonardi

[email protected]

Con tag Letture e ascolti consigliati

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Greco Marina, L’ascolto come cura: il senso della relazione

Pubblicato il 24 ottobre 2011

Fino a questo momento1la nostra riflessione sull’ascolto, partita dal dialéghesthai

socratico, ha riguardato la relazione maestro-discepolo e quella psicanalista-paziente,

oltre che la relazione per antonomasia madre-bambino. Abbiamo visto2come il

mondo occidentale, dopo un lungo periodo di oblio durante il quale la visione è stata

considerata unico senso rivelatore della verità, abbia gradualmente recuperato la

dimensione dell’ascolto. La psicanalisi freudiana ne è un esempio. A questo punto è

necessario chiarire che il recupero dell’ascolto non avviene a discapito della visione

né intende svalutarla. La riscoperta del valore radicale dell’ascoltare nell’esperienza

conoscitiva dell’uomo non deve risolversi necessariamente in una delegittimazione

della visione3. Non è possibile pensare ad un antagonismo fra ascolto e visione né fra

questi e le altre facoltà percettive. Nella conoscenza non è possibile privilegiare una

modalità sensoriale, in quanto tutte concorrono al tentativo di disvelare o anche

soltanto di approcciare la verità. Il nostro intento è quello di recuperare l’importanza

di tutte le modalità sensoriali sia nella conoscenza sia, e soprattutto, nella relazione

con l’altro e riunificarle, sublimandole, in una forma di ascolto che diviene

accoglienza. Facciamo, dunque, un passo ulteriore nel nostro percorso per scoprire

una dimensione relazionale in cui non c’è un predominio di un senso sull’altro, ma in

cui l’ascolto assume un significato superiore, in quanto esso diviene sintesi di tutti i

sensi. Stiamo parlando proprio dell’ascolto inteso come accoglienza dell’altro che

significa accettazione totale dell’altro, il quale viene sentito e percepito con tutte le

facoltà senso-percettive e con tutta l’emotività: questo è proprio il punto di partenza

della relazione dialogica musicoterapica. La musicoterapia presuppone, dunque, una

forma particolare di ascolto, inteso proprio come attitudine da parte del

musicterapista ad accogliere la persona, l’altro, senza precludersi alcun canale

sensoriale. Si tratta di quell’attitudine naturale all’amorevolezza di cui tutti i

musicoterapisti dovrebbero essere dotati: è necessario infatti “un grande sforzo, in

termini di competenza e amorevolezza, per cogliere il senso profondo di una verità

nascosta4che sembra difficile da raggiungere e che, in qualche caso, è soltanto

possibile o potenziale”5. Proviamo ad instaurare, ora, un parallelismo fra le diverse

relazioni dialogiche di cui abbiamo parlato e che sono accomunate dalla particolare

attenzione all’ascolto, inteso nelle varie sfumature di significato: Socrate-discepolo,

analista-paziente, musicoterapista-persona. In ciascuna di queste relazioni, sebbene

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abbia delle connotazioni differenti, l’ascolto si caratterizza per un aspetto

fondamentale: offrire, in un certo senso, “aiuto” all’interlocutore, a chi, cioè, nel

rapporto dialogico sembra essere in una situazione di debolezza rispetto all’altro

(relazioni asimmetriche). Recuperiamo il senso etimologico del termine da cui

ascoltare deriva e cioè auscultare: udire con attenzione. Auscultare, però, ci rimanda

anche all’ascolto del medico e, quindi all’udire con l’intento di curare6. Nella parola

stessa sembra essere insito, pertanto, una sorta di destino (heideggerianamente inteso)

dell’ascoltare che è la cura7. Riprendiamo per un attimo le due relazioni che abbiamo

analizzato precedentemente: Socrate-discepolo, analista-paziente. Nella prima è il

filosofo stesso ad attribuire, seppur in senso figurato, una capacità “curativa” al suo

ascolto maieutico (“Questa sofferenza la mia arte sa placare”8). Ciò che egli

persegue nei suoi dialoghi, come abbiamo visto9, è la salute dell’anima: condurre il

discepolo a conoscere se stesso e i propri limiti e a cercare nella propria anima la

verità. Nella seconda relazione, l’ascolto da parte dell’analista diventa curativo in

quanto è un compartecipare a quanto il paziente va di volta in volta raccontando di sé.

Come abbiamo visto10

, nella psicoanalisi l’ascolto è per la prima volta adottato come

strumento terapeutico e dunque per curare. Il ruolo del medico, proprio come quello

di Socrate, è di guidare con le sue parole il paziente a ricomporre da solo una certa

stabilità e armonia interiore, trovando in se stesso la soluzione e il modo per farlo.

Quello di Socrate e dell’analista è un dire che è anche e soprattutto un ascoltare, per

riprendere le parole di Heidegger; è un lògos non più dimidiato, ma riunito nel suo

significato più antico ed originario del raccogliere e accogliere11

ciò che si disvela.

C’è ancora un aspetto molto importante che accomuna le due relazioni dialogiche

considerate finora: è impossibile ascoltare (e quindi curare) l’altro se non si è, innanzi

tutto, ascoltata (e quindi curata) la propria “anima”. Come Socrate ascolta la voce che

gli parla dentro (il dàimon) e rivolge, prima che agli altri, a se stesso l’invito al gnôthi

sautòn (conosci te stesso), così l’analista deve aver ristabilito la sua armonia e la sua

stabilità interiore attraverso la comprensione delle dinamiche della sua psiche, prima

di poter aiutare il paziente a farlo. Il benessere12

di chi ascolta (e quindi di chi cura)

equivale ed è antecedente rispetto a quello di chi è ascoltato e necessita di essere

curato. Queste due relazioni si dispiegano attraverso la parola, ponte fra chi ascolta e

chi è ascoltato. Ad essere r-accolto13

è il dire del discepolo in un caso, del paziente

nell’altro. Si può però configurare un ulteriore tipo di relazione in cui ciò che

raccogliamo non è il dire, le parole, bensì ogni genere di informazione che proviene

dall’altro e che si dispiega soprattutto sui canali della comunicazione non-verbale.

Questo particolare tipo di relazione dialogica è proprio quella fra musicoterapeuta e

persona, in cui il primo non privilegia, né tanto meno esclude, alcun canale sensoriale

a discapito di un altro, ma è aperto a ricevere l’altro nella sua totalità espressiva.

L’elemento più importante che accomuna la musicoterapia al dialogo socratico e alla

psicoanalisi è la relazione che in questo percorso è diventato l’aspetto più importante

dell’ascolto che “cura”. E la musicoterapia si occupa - proprio - della costruzione

intenzionale di relazioni comunicative a fini terapeutici, attraverso l’impiego di due

distinti elementi: a) la relazione; b) la musica14

. Il fine precipuo di questo genere di

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relazione è, dunque, la terapia, tanto che essa compare nel termine stesso. Di che

genere di terapia si tratta? Di una terapia che cura o di una terapia che guarisce15

?

Leggiamo in un vocabolario di greco antico il significato del verbo therapèuo da cui

terapia deriva: (2) mi occupo di, ho cura, curo, rivolgo i pensieri a, sono intento a;

(3) medico, curo, talvolta guarisco16

. Il senso più autentico del termine non è, come

vediamo, quello di guarire, usato solo talvolta, bensì quello di prendersi curare di,

curare, cosa ben diversa dal guarire17

. Se noi pensiamo al significato strettamente

nosologico di terapia, allora siamo nel campo della medicina in cui è terapia

l’insieme delle azioni e delle pratiche che hanno come scopo il trattamento delle

malattie e dunque la guarigione della persona. Se invece usciamo dall’ambito

strettamente medico si può parimenti intendere per terapia il prendersi cura di

qualcuno, aiutarlo, attraverso il contatto, la vicinanza: in una parola, attraverso la

relazione. La relazione musicoterapica è da intendersi proprio come un prendersi

cura della persona, più che come mezzo per curare la malattiae giungere alla

guarigione della persona stessa. Questo genere di relazione prevede una presa in

carico dell’altro con cui ci si relaziona. Ma qual è l’obiettivo di tutto questo? A che

risultato cerca di giungere questa presa in carico, questo prendersi cura di? Lo scopo

ultimo dell’intervento terapeutico inteso come prendersi cura di qualcuno è indurre

nella persona un cambiamento e dunque attivare un processo di trasformazione o

ristabilire una condizione di armonia o di equilibrio psicofisico, qualora si fosse

interrotta. Nell’approccio di Postacchini - qui adottato come riferimento unitamente

agli studi di Bonardi18

- “la finalità dell’intervento musicoterapico è quella di

costruire una relazione terapeutica attraverso il parametro sonoro/musicale che

possa favorire un’integrazione spaziale, temporale e sociale”19

. Tale integrazione è

favorita a sua volta da un processo di armonizzazione basato sul concetto di

sintonizzazione20

. Il cambiamento che ne consegue può essere considerato un risultato

della terapia solo se si ricollega in maniera specifica ad un problema particolare che

la persona sta vivendo. La potenzialità “terapeutica” insita nella relazione dialogica è

dunque enorme. Il nostro cammino è cominciato con Socrate e con il suo dialéghestai

e ci ha portati ad un’altra forma di dialogo, quello sonoro. Siamo convinti che ci sia

una forte continuità fra i due modi di relazionarsi all’altro, indipendentemente dal

parametro utilizzato. La straordinaria modernità della maieutica socratica è

riscontrabile proprio nella relazione musicoterapeuta/persona. L’integrazione

temporale, spaziale, sociale del soggetto in cura in tanto è possibile in quanto il punto

di partenza è proprio il mondo interiore del soggetto stesso che si manifesta al

musicoterapeuta attraverso le sue sonorità associate a gesti, sguardi, movimenti,

spesso uniche modalità per relazionarsi con il mondo esterno. Il musicoterapeuta

ascolta, riceve, accoglie e contiene questo “materiale”; lo fa suo e lo valorizza

attribuendogli un senso e restituendolo al soggetto arricchito di valenze comunicative

e relazionali: “il musicoterapeuta si pone quindi come un “interprete” della

potenzialità espressiva del paziente, dei segni e dei significati che emergono dal suo

corpo e dal suo essere al mondo; tenta rispetto ad essi un’azione maieutica”21

. La

persona, in tal modo, riconosce il riconoscimento o comunque il senso di

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sé22

comunicatole dal musicoterapeuta. La relazione agisce come vera e propria forza

di cambiamento: insieme al linguaggio verbale nel dialéghestai socratico, insieme al

linguaggio-non verbale e musicale nel dialogo sonoro musicoterapeutico.

Marina Greco

[email protected]

1Cfr. Greco M., L’ascolto agli albori del pensiero occidentale,

http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-l-ascolto agli-albori-del-

pensiero-occidentale-50603861.html; La relazionalità come essenza dell’ascolto,

http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-la-relazionalita-come-

essenza-dell-ascolto-60444685.html; Il recupero dell’ascolto nella psicanalisi di

Freud, http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-il-recupero-dell-

ascolto-nella-psicoanalisi-di-freud-78308539.html

2 Cfr. Greco M., Dall’oblio dell’ascolto alla sua riscoperta,

http://musicoterapie.over-blog.com/article-greco-marina-dall-oblio-dell-ascolto-alla-

sua-riscoperta-51730988.html

3 Naturalmente il riferimento è all’ambito prettamente epistemologico, in quanto

spostando la riflessione in ambito sociologico si osserva come l’ascolto - inteso come

modalità relazionale - è soffocato nella società del XXI secolo, ancora dominata dal

paradigma ottico in quanto tiranneggiata dall’immagine. Se dunque è possibile

superare l’antagonismo dei sensi in un senso epistemologico e conoscitivo, non lo è,

purtroppo (almeno per ora e almeno non per tutti) nel campo delle relazioni umane.

Per il recupero del valore radicale dell’ascolto cfr. Mancini R., L’ascolto come

radice. Teoria dialogica della verità, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli 1995.

4 Come vediamo, torna ancora, anche in questo tipo di relazione, la ricerca di una

verità.

5 Postacchini P.L., Ricciotti A., Borghesi M., Lineamenti di Musicoterapia, Carocci

Editore, Roma 1998, pag. 19.

6 AA.VV., L’ascolto che guarisce, Cittadella Editrice, Assisi 1995, pag.118.

7 Adottiamo qui la definizione di cura che leggiamo in Bruscia K.E., Definire la

musicoterapia, tr. it. F. Bolini, ISMEZ, Roma, pag. 101: “Si definisce cura il

processo attraverso il quale la mente, il corpo e lo spirito si ristabiliscono. Può

comprendere l’auto-cura, l’assistenza di uno che cura, oppure la cura all’interno

della relazione terapeuta-cliente”. Nel nostro caso la cura si sviluppa all’interno della

relazione dialogica in cui, fra i due poli, uno guida l’altro (assistenza di uno che

cura), aiutandolo a trovare in se stesso (auto-cura) le risorse per “guarire”.

8 Platone, Teeteto, 151, a-b; cfr. Greco M., L’ascolto agli albori.., cit.

9 Ibidem

10 Cfr. Greco M., Il recupero dell’ascolto nella psicanalisi di Freud, cit.

11 Cfr. Greco M., Dall’oblio dell’ascolto alla sua riscoperta, cit.

12 Anche qui adottiamo la definizione di benessere che ci lascia Bruscia: “Si

definisce benessere uno stato di salute olistico caratterizzato dall’armonia e

dall’equilibrio tra mente, corpo e spirito, e dall’assenza di malattia”. Bruscia K.E.,

Definire la musicoterapia, cit., pag.101.

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13 Cfr. Greco M., Dall’oblio dell’ascolto..”, cit.

14 Lineamenti di Musicoterapia, cit., pag. 21.

15Cfr. a questo proposito, Lineamenti di Musicoterapia, cit., cap. II “Il terapeutico in

musicoterapia”.

16 Rocci L., Vocabolario Greco-Italiano, Soc. Ed. D. Alighieri, XXXI Ed., 1983.

17 Ciò che contraddistingue la terapia dalla guarigione è proprio l’intervento di una

persona (il terapeuta) che dall’esterno interviene e aiuta la persona a trovare il modo

o la via la guarigione. Anche a questo proposito in Bruscia troviamo una

precisazione: “talvolta una persona ha la capacità di guarire senza interventi esterni e

tal altra la persona ha invece bisogno dell’intervento sistematico di un’altra persona.

[…] terapia e guarigione non sono la stessa cosa quando la guarigione ha luogo senza

l’aiuto o l’intervento di un’altra persona”. Bruscia, Definire la musicoterapia, cit.

pag. 56.

18 Il fine dell’intervento musicoterapico, inteso da Bonardi come “ricerca,

osservazione, analisi e adozione del sonoro e del musicale appartenente al soggetto”,

è aiutare la persona a “esperire una nuova situazione di ascolto, non solamente

incentrata sul sé ma sui poli ( sé e altro da sé) del processo relazionale”; Bonardi G.,

Dall’ascolto alla musicoterapia, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro (PU) 2007,

pag. 21.

19 Cfr. Manarolo G., Manuale di musicoterapia, Edizioni Cosmopolis, Torino 2006,

pag.34.

20 Per i concetti di Integrazione, Armonizzazione e Sintonizzazione, si rimanda al

cap. IV di Lineamenti di Musicoterapia,.cit., pagg.99-117. In particolare per il

concetto di sintonizzazione si rimanda anche al cap. VII di Stern D. N., Il mondo

interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1987 (rist.2004), pagg.147-

168 e al Manuale di Musicoterapia, cit., pagg.180-181.

21 Manarolo G., L’angelo della musica, Omega Edizioni, Torino 2002, pag.103.

22 Cfr. Mancini R., L’ascolto come radice.., cit., pag.245. La frase in corsivo è, in

realtà, riferita dall’autore alla relazione analista paziente, ma ben descrive ciò che

avviene nella relazione musicoterapeuta-persona.

Con tag L'ascolto in musicoterapia, Greco Marina

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Fittipaldi Moira, Beethoven, Marius Schneider e la… musicoterapia (Letture

consigliate, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 15 ottobre 2011

Un titolo singolare e accattivante può suscitare la curiosità del lettore desideroso

d’addentrarsi nel complesso tema dell’ascolto non esclusivamente terapeutico.

L’autrice, applicando la propria competenza musicologica, dimostra come sia

possibile favorire la riscoperta della propria dimensione emozionale utilizzando con

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competenza gli apporti della musicologia (Beethoven), dell’etnomusicologia (Marius

Schneider) e della musicoterapia. Secondo l’autrice la riscoperta di alcuni aspetti

della propria dimensione emozionale è resa possibile proponendo l’audizione di

eventi musicali ben conosciuti dal conduttore (punto di vista musicologico) e

parimenti è necessario saper utilizzare con competenza anche il sistema interpretativo

scelto, in questo caso quello schneideriano, mettendoli in relazione al fine di ricercare

le possibili chiavi di lettura di quanto viene espresso verbalmente dagli ascoltatori

dopo l’audizione, evitando facili e dannosi fraintendimenti. Non ci si improvvisa

quindi conduttori di esperienze d’ascolto ma ci vuole una triplice competenza.

Beethoven, Marius Schneider e la… musicoterapia è reperibile presso:

l’autrice [email protected]

http://www.musicoterapiassisi.it/

Giangiuseppe Bonardi

[email protected]

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Novembre PRO CIVITATE CHRISTIANA, 30 ANNI DI SCUOLA DI MUSICOTERAPIA,

CONVEGNO DI MUSICOTERAPIA: DIALOGO INTERDISCIPLINARE E

POSSIBILI CONTRIBUTI DELLE NEUROSCIENZE

Pubblicato il 29 novembre 2011

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Anapesto (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 26 novembre 2011

Anapesto: ee q

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Onorato Vincenzo, MusicoteRAPia (Letture consigliate, a cura di Giangiuseppe

Bonardi)

Pubblicato il 20 novembre 2011

A tutta prima, MusicoteRAPia, può apparire un titolo ad effetto volto a catturare

l’attenzione del lettore ormai avvezzo alle musicoterapie 'doc.', quelle che hanno un

'modello teorico di riferimento' blasonato ma, leggendo con attenzione la proposta

dell’autore, si scopre, capitolo dopo capitolo, 'l’intuizione geniale' che pervade la

proposta. MusicoteRAPia è, di fatto, una metodica nata dalla richiesta esplicita di un

gruppo di ragazze adolescenti, ospiti di una comunità riabilitativa che, stanche di

proposte 'terapeutiche', volevano un’attività dove poter esprimersi, facendo musica.

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Onorato intuisce, paradossalmente, il potenziale terapeutico sotteso alla richiesta

delle giovani e, insieme, iniziano a creare canzoni Rap. Ben presto nel fare musica

prendono corpo le dolorosissime tematiche che pervadono le ragazze. Il linguaggio

crudo e disperato che pervade i testi delle canzoni assume quindi una forma che

permette loro di esprimere i propri angoscianti vissuti, rielaborandoli in parte. Quelle

canzoni offrono altresì un impensabile, preziosissimo 'materiale' che ha consentito

una 'nuova' lettura psicopedagogica della dimensione emozionale delle ospiti. La

proposta di Onorato è un percorso musicoterapico elaborato dall’autore che ha

cercato, riuscendoci in pieno, ad armonizzare la complessità degli apporti psicologici,

pedagogici e musicoterapici scelti, trovando i nessi teorici che danno, alla sua

MusicoteRAPia, il necessario e congruente quadro teorico di rifermento.

Complimenti e grazie, poiché, a parer mio, finché c’è qualcuno che elabora una

metodica, come quella ideata da Onorato, c’è speranza che la musicoterapia non si

richiuda nei bei... 'modelli teorici di riferimento'.

MusicoteRAPiaè reperibile presso:

l’autore [email protected]

http://www.musicoterapiassisi.it/

Giangiuseppe Bonardi

[email protected]

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Pirricchio (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 14 novembre 2011

Pirricchio: ee

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Siluri Elisabetta, Così vicini… così lontani… (Letture consigliate, a cura di

Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 6 novembre 2011

Così vicini… così lontani… è la metafora della difficile ricerca dell’incontro con

l’altro da sé quando, in particolare, ci rapportiamo con una persona diversamente

abile. Siluri, con leggerezza poetica, con questo scritto, conduce il lettore nel cuore

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della propria esperienza musicoterapica disvelando il paradosso vissuto

quotidianamente. Nel suo pregevole scritto, l’autrice afferma quanto sia difficile

trovare quelle ‘musiche del cuore’ che, per poco, pochissimo tempo le consentono di

avvicinarsi all’altro e quanto sia stato faticoso accettare di rimaner lontana,

accogliendo la propria dolorosa dimensione emozionale di lontananza. Per l’autrice

quindi l’esperienza musicoterapica si evolve sull’ascolto, ossia sull’accoglienza, del

dinamico dualismo (vicino, lontano) che conduce i partecipanti alla scoperta della

personale dimensione emozionale a volte gioiosa a volte dolorosa. Così vicini, così

lontani si legge d’un fiato, a volte sorridendo a volte trattenendo… le lacrime.

Così vicini… così lontani… è reperibile presso:

l’autrice [email protected]

http://www.musicoterapiassisi.it/

Giangiuseppe Bonardi

[email protected]

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Dicembre Peone IV, (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 28 dicembre 2011

Peone IV: eee q

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Osservazione, contemplazione, amore (dizionario di musicoterapia, a cura di

Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 20 dicembre 2011

Osservazione, contemplazione… amore25

L’osservazione è una fase fondamentale della prassi musicoterapica volta ad accogliere, ascoltare la per-sona presa in considerazione. In questa prospettiva un buon osservatore si pone in ascolto dell’altro cercando di cogliere la bellezza visiva e acustica che lo pervade, integrando l’osservazione

25 Osservazione, contemplazione, amore (dizionario di musicoterapia, a cura di Giangiuseppe Bonardi), 20/12/2011, Musicoterapie in… ascolto http://musicoterapie.over-blog.com/article-osservazione-contemplazione-amore-dizion-92635569.html

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con ‘l’ascoltazione26’, cercando di incarnare, al meglio delle sue capacità, la sollecitazione di Herman Esse. “(…) La persona che guardo con timore, con speranza, con desiderio, con aspettative, con pretese non è una persona ma solo lo specchio torbido del mio volere. (…) Nel momento in cui il volere si placa e subentra la contemplazione, la pura osservazione e l’abbandono, tutto cambia. L’uomo cessa di essere utile o pericoloso, interessante o noioso, gentile o villano, forte o debole. Diventa natura, diviene bello e degno di attenzione come tutto ciò che è oggetto di contemplazione pura. Perché contemplazione non è ricerca, non è critica: non è altro che amore. É la condizione più elevata e più desiderabile della nostra anima: amore senza desiderio27. (…)”.

Hesse H.

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Casarano Carla, La nota stonata del cancro (Letture consigliate, a cura di

Giangiuseppe Bonardi)

Pubblicato il 16 dicembre 2011

La nota stonata del cancro è un percorso musicoterapico intrapreso da Carla Casarano

in un ospedale oncologico che accoglie bimbi affetti di cancro. Il contatto dell’autrice

con alcuni piccoli ospiti del reparto dischiude il loro mondo emozionale dominato

dalla paura di... morire. Come è possibile interagire, anche musicalmente, con un

vissuto così nefasto? Sebbene faticoso e difficile, a volte sembrerebbe impossibile,

l’autrice afferma che la risposta al quesito è strettamente dipendente dalla personale

capacità di ascoltare se stessi per poter accogliere l’altro e, in particolare, il suo

dolorosissimo vissuto. La nota stonata del cancro è quindi un delicato coinvolgente

percorso d’ascolto e di accoglienza della dimensione emozionale dell’autrice e dei

piccoli interlocutori che dal silenzio iniziale si trasforma in musica... talvolta intonata.

La nota stonata del cancro è reperibile presso:

l’autore [email protected]

26 Neologismo tratto dall’antropologia espresso da Antonello Ricci, Antropologia dell’ascolto, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2010, pp. 55, 56.

27 Hesse H., (1917/’18), Sull’anima, Newton & Compton, Roma, 1996, pp. 32, 33.