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Modifiche fisiche e Iniezioni Per iniezione iniezione iniezione iniezione si intende l’inserimen strutture adiacenti. Molte di esse s o istantaneamente o dopo un po’ di L’obiettivo principale delle iniezioni ossia modificare le sue caratteristi solo a riempire i vuoti che altrimen trasferimento degli sforzi entro il te I terreni iniettabili sono materiali a (dalle ghiaie ai limi sabbiosi), rocce Le miscele utilizzate sono fluidi (so alla permeabilità del terreno. Fig. 1.4.1.1: Classificazione delle miscele Cenni storici La tecnica dell’iniezione è stata a risanamento di murature subacque e chimiche nto di miscele fluide nei vuoti del terreno o sono progettate in modo da gelificarsi o ind tempo. i è rendere il terreno più resistente, più de iche idrauliche e meccaniche. Esse tuttav nti sono irraggiungibili con altre tecniche, erreno o dalla struttura allo stesso. alluvionali o detritici fino a un certo limite (da carsiche a microfessurate) e murature ospensioni, soluzioni ed emulsioni) con pr applicata per la prima volta dal francese ee, mediante malte di cemento e pozzolana negli spazi tra lo stesso e durire dopo l’immissione, enso e/o meno permeabile, via possono servire anche e a favorire un adeguato e inferiore di permeabilità difettose. roprietà reologiche idonee Berigny nel 1802 per il a. Egli ideò una pompa a

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Modifiche fisiche e chimiche

Iniezioni

Per iniezioneiniezioneiniezioneiniezione si intende l’inserimento di miscele fluide nei vuoti del terreno o negli spazi tra lo stesso e

strutture adiacenti. Molte di esse sono progettate in modo da gelificarsi o indurire dopo l’immissione,

o istantaneamente o dopo un po’ di tempo.

L’obiettivo principale delle iniezioni è rendere il terreno più resistente, più denso e/o meno permeabile,

ossia modificare le sue caratteristiche idrauliche e meccaniche. Esse tuttavia possono servire anche

solo a riempire i vuoti che altrimenti sono irraggiungibili

trasferimento degli sforzi entro il terreno o dalla struttura allo stesso.

I terreni iniettabili sono materiali alluvionali o detritici fino a un certo limite inferiore di permeabilità

(dalle ghiaie ai limi sabbiosi), rocce (da carsiche a microfessurate) e murature difettose.

Le miscele utilizzate sono fluidi (sospensioni, soluzioni ed emulsioni) con proprietà reologiche idonee

alla permeabilità del terreno.

Fig. 1.4.1.1: Classificazione delle miscele

Cenni storici

La tecnica dell’iniezione è stata applicata per la prima volta dal francese Berigny nel 1802 per il

risanamento di murature subacquee, mediante malte di cemento e pozzolana. Egli ideò una pompa a

Modifiche fisiche e chimiche

si intende l’inserimento di miscele fluide nei vuoti del terreno o negli spazi tra lo stesso e

strutture adiacenti. Molte di esse sono progettate in modo da gelificarsi o indurire dopo l’immissione,

o istantaneamente o dopo un po’ di tempo.

principale delle iniezioni è rendere il terreno più resistente, più denso e/o meno permeabile,

ossia modificare le sue caratteristiche idrauliche e meccaniche. Esse tuttavia possono servire anche

solo a riempire i vuoti che altrimenti sono irraggiungibili con altre tecniche, e a favorire un adeguato

trasferimento degli sforzi entro il terreno o dalla struttura allo stesso.

sono materiali alluvionali o detritici fino a un certo limite inferiore di permeabilità

iosi), rocce (da carsiche a microfessurate) e murature difettose.

sono fluidi (sospensioni, soluzioni ed emulsioni) con proprietà reologiche idonee

La tecnica dell’iniezione è stata applicata per la prima volta dal francese Berigny nel 1802 per il

risanamento di murature subacquee, mediante malte di cemento e pozzolana. Egli ideò una pompa a

si intende l’inserimento di miscele fluide nei vuoti del terreno o negli spazi tra lo stesso e

strutture adiacenti. Molte di esse sono progettate in modo da gelificarsi o indurire dopo l’immissione,

principale delle iniezioni è rendere il terreno più resistente, più denso e/o meno permeabile,

ossia modificare le sue caratteristiche idrauliche e meccaniche. Esse tuttavia possono servire anche

con altre tecniche, e a favorire un adeguato

sono materiali alluvionali o detritici fino a un certo limite inferiore di permeabilità

iosi), rocce (da carsiche a microfessurate) e murature difettose.

sono fluidi (sospensioni, soluzioni ed emulsioni) con proprietà reologiche idonee

La tecnica dell’iniezione è stata applicata per la prima volta dal francese Berigny nel 1802 per il

risanamento di murature subacquee, mediante malte di cemento e pozzolana. Egli ideò una pompa a

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percussione installata direttamente nei fori di iniezione, e questo metodo si sviluppò in Francia e

Inghilterra nella metà del 1800.

In Italia ha avuto un notevole incremento principalmente nel periodo della ricostruzione postbellico, in

connessione con la riparazione e la costruzione di numerosissimi impianti idroelettrici.

Recentemente l’utilizzo delle iniezioni ha preso campo in maniera preponderante nel settore della

viabilità sotterranea, gallerie e linee metropolitane.

In principio si adottavano solamente sospensioni di cemento instabili, così denominate per la loro

tendenza a sedimentare se non agitate; si potevano in tal modo trattare solo rocce fessurate ed erano

quindi esclusi i terreni incoerenti.

Nel 1887 si cominciò ad estendere tale metodologia a terreni a granulometria più fine mediante

l’iniezione separata (in uno stesso foro o in due fori vicini) di silicato sodico seguito da una soluzione di

cloruro di calcio: tale metodo risultava comunque irregolare e costoso. Nel 1911 si cominciò ad usare il

solfato di alluminio come reagente per iniezioni preliminari a iniezioni cementizie in rocce porose.

L’alto costo delle soluzioni in due fasi ha favorito l’introduzione di soluzioni uniche, in grado di

gelificare in tempi brevi e quindi consentire una più ampia diffusione nel terreno: inizialmente sono

state utilizzate miscele a base di silicato di sodio con vari tipi di reagenti inorganici, i quali però

necessitavano di abbondanti diluizioni e come risultato finale si presentavano sotto forma di un gel di

bassa consistenza, idoneo ad una semplice impermeabilizzazione.

Solo verso il 1957 si ottennero dei gel ad alta consistenza in modo più economico e razionale dei due

sopra presentati: si tratta di miscele sempre di silicato sodico ma con reagenti organici che consentono

di ritardare la presa e di regolarla con eventuali additivi.

Un’ulteriore evoluzione è cominciata una trentina di anni fa ed è tuttora in corso: essa consente

l’iniezione nei mezzi porosi più fini, conferendo resistenze di ordine anche elevatissimo. Si tratta delle

soluzioni a base di resine organiche, le quali possono avere una viscosità iniziale inferiore rispetto ai

casi precedenti e mantenerla costante in un intervallo di tempo regolabile, fino alla presa.

Un’importante categoria intermedia fra le soluzioni instabili di cemento e le soluzioni chimiche è data

dalle soluzioni stabili, per l’impermeabilizzazione e il consolidamento di ghiaie e sabbie, fino ad un

certo limite di finezza granulometrica. Tra le più diffuse vi sono le soluzioni stabili di argilla e

cemento, spesso con preferenza alla bentonite rispetto alle comuni argille.

Si sono andate via via perfezionando anche le miscele impermeabilizzanti di bentonite deflocculata e

stabilizzata e, per l’impregnazione di terreni granulari, le emulsioni di bitume stabilizzate col

procedimento Solètanche ed i lignocromati (liscive ligno-sulfitiche con aggiunta di bicromato di

potassio o di sodio).

In Giappone è stato sviluppato un metodo di iniezione chiamato CCP (Chemical Churning Pile) che

consiste nel proiettare ad altissima pressione delle opportune miscele cementanti a rapida presa, tali

da migliorare le caratteristiche meccaniche del mezzo da stabilizzare. Questo permette di consolidare

un’ampia varietà di terreni, dalle sabbie alle argille, indipendentemente dai legami tradizionali tra

permeabilità e viscosità delle miscele, dato che il terreno viene mescolato con il prodotto iniettato.

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Tipologie di iniezioni

Le diverse iniezioni sono qui classificate secondo il metodo di inserimento nel terreno, tuttavia sarebbe

possibile considerare altri criteri di differenziazione, come il tipo di materiale iniettato, le

applicazioni,ecc..

• iniezioni per penetrazione (impregnazione o intasamento);

• iniezioni per sollevamento (compattazione o idrofratturazione);

• gettiniezione (jetgrouting);

• iniezioni per riempimento di grandi cavità;

• iniezioni speciali, ad esempio l’elettroiniezione.

I metodi per impregnazione o intasamento consistono nel riempire con miscele rispettivamente vuoti

nel terreno e giunti di stratificazione e fratture nelle rocce; in questi casi le immissioni avvengono a

bassa pressione e non modificano quindi le dimensioni delle discontinuità o dei pori riempiti.

I metodi per sollevamento muovono il terreno interessato e si distinguono in iniezioni per

compattazione e per idrofratturazione. Nel primo caso (compaction grouting) una miscela densa è

iniettata in terre sciolte e forma bulbi che spostano e densificano il terreno circostante, senza

penetrare nei vuoti. Nel processo di idrofratturazione le miscele sono immesse ad alta pressione e

danno luogo a fessurazioni; qui lo spostamento del terreno non è limitato, come avviene nel caso

precedente, ma è notevole.

Il jet-grouting consiste nell’immissione di boiacca di cemento, la miscelazione del terreno avviene

sfruttando il potere erosivo di un getto di aria o acqua o boiacca, iniettato ad altissima velocità

orizzontalmente da un’asta in rotazione (monitor).

Con elettroiniezione si intende il processo di tempra elettrochimica durante l’elettrosmosi che si

ottiene con l’aggiunta di composti chimici, quali il silicato di sodio e il cloruro di calcio, all’anodo. Sotto

l’influenza del campo elettrico, questi composti chimici fluiscono nel terreno in direzione del catodo

mentre l’anodo diventa un tubo di iniezione.

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Fig. 1.4.1.2: Rappresentazione schematica delle tipologie di iniezione

Per molti ingegneri, le iniezioni sono considerate un’arte piuttosto che una sci

molta esperienza, una precisa conoscenza delle condizioni geologiche del sito, e consapevolezza delle

possibilità e dei limiti dell’attrezzatura adottata.

Classificazione delle miscele (composizione)

Si distinguono tre tipologie di miscele a seconda della loro composizione:

• sospensioni: piccole particelle solide disperse in un mezzo liquido. Esempio: cemento e argilla in

acqua;

• emulsioni: sistema bifase contenente piccole goccioline colloidali di liquido in fase dispersa.

Esempio: bitume e acqua. A questa categoria appartengono anche le schiume, ottenute

emulsionando un gas nel materiale di iniezione, che può essere cemento o un

organico. Alcuni agenti schiumogeni, come additivi che incrementano la tensione

contribuiscono a formare bolle durante l’agitazione, o altrimenti possono indurre reazioni

chimiche con produzione di gas;

• soluzioni: miscele molecolari liquide ed omogenee di due o più sostanze. Esempi: silicato di

sodio, resine organiche ed

: Rappresentazione schematica delle tipologie di iniezione

Per molti ingegneri, le iniezioni sono considerate un’arte piuttosto che una sci

molta esperienza, una precisa conoscenza delle condizioni geologiche del sito, e consapevolezza delle

possibilità e dei limiti dell’attrezzatura adottata.

Classificazione delle miscele (composizione)

iscele a seconda della loro composizione:

: piccole particelle solide disperse in un mezzo liquido. Esempio: cemento e argilla in

: sistema bifase contenente piccole goccioline colloidali di liquido in fase dispersa.

bitume e acqua. A questa categoria appartengono anche le schiume, ottenute

emulsionando un gas nel materiale di iniezione, che può essere cemento o un

organico. Alcuni agenti schiumogeni, come additivi che incrementano la tensione

contribuiscono a formare bolle durante l’agitazione, o altrimenti possono indurre reazioni

chimiche con produzione di gas;

: miscele molecolari liquide ed omogenee di due o più sostanze. Esempi: silicato di

un’ampia varietà delle cosiddette miscele chimiche. Si possono

Per molti ingegneri, le iniezioni sono considerate un’arte piuttosto che una scienza. Esse richiedono

molta esperienza, una precisa conoscenza delle condizioni geologiche del sito, e consapevolezza delle

: piccole particelle solide disperse in un mezzo liquido. Esempio: cemento e argilla in

: sistema bifase contenente piccole goccioline colloidali di liquido in fase dispersa.

bitume e acqua. A questa categoria appartengono anche le schiume, ottenute

emulsionando un gas nel materiale di iniezione, che può essere cemento o un composto chimico

organico. Alcuni agenti schiumogeni, come additivi che incrementano la tensione superficiale,

contribuiscono a formare bolle durante l’agitazione, o altrimenti possono indurre reazioni

: miscele molecolari liquide ed omogenee di due o più sostanze. Esempi: silicato di

un’ampia varietà delle cosiddette miscele chimiche. Si possono

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distinguere le soluzioni colloidali (tra cui le miscele a base di silicato sodico, i lignocromati e le

emulsioni bituminose) e le soluzioni pure (tra cui le resine acriliche e fenoliche e gli

amminoplasti).

Cambefort (1987) ha distinto i principali tipi di miscele:

Fig. 1.4.1.3: Classificazione delle miscele secondo Cambefort (1987)

Egli ha inoltre caratterizzato le schiume con i seguenti parametri:

coefficiente di espansione

coefficiente di rigonfiamento

indice d’aria

La relazione tra il coefficiente di espansione e l’indice d’aria è analoga a quella tra indice dei vuoti e

porosità nei terreni.

Le proprietà reologiche e la penetrabilità delle schiume nei terreni non sono solo legate al coefficiente

di espansione, che può variare tra meno di 3 per le schiume di base cementizia a più di 50 per le

schiume organiche, ma anche alla dimensione delle bolle.

Per quanto riguarda le miscele chimiche, fattori importanti che devono essere tenuti in considerazione

sono la tossicità e la permanenza. La permanenza rappresenta la resistenza al deterioramento

meccanico dovuto al gelo-disgelo o alla bagnatura, e al dete

falda o con i componenti del terreno. Tale caratteristica può essere anche minacciata dal movimento

distinguere le soluzioni colloidali (tra cui le miscele a base di silicato sodico, i lignocromati e le

emulsioni bituminose) e le soluzioni pure (tra cui le resine acriliche e fenoliche e gli

Cambefort (1987) ha distinto i principali tipi di miscele:

.3: Classificazione delle miscele secondo Cambefort (1987)

Egli ha inoltre caratterizzato le schiume con i seguenti parametri:

La relazione tra il coefficiente di espansione e l’indice d’aria è analoga a quella tra indice dei vuoti e

e la penetrabilità delle schiume nei terreni non sono solo legate al coefficiente

di espansione, che può variare tra meno di 3 per le schiume di base cementizia a più di 50 per le

schiume organiche, ma anche alla dimensione delle bolle.

Per quanto riguarda le miscele chimiche, fattori importanti che devono essere tenuti in considerazione

sono la tossicità e la permanenza. La permanenza rappresenta la resistenza al deterioramento

disgelo o alla bagnatura, e al deterioramento chimico per reazioni con la

falda o con i componenti del terreno. Tale caratteristica può essere anche minacciata dal movimento

distinguere le soluzioni colloidali (tra cui le miscele a base di silicato sodico, i lignocromati e le

emulsioni bituminose) e le soluzioni pure (tra cui le resine acriliche e fenoliche e gli

La relazione tra il coefficiente di espansione e l’indice d’aria è analoga a quella tra indice dei vuoti e

e la penetrabilità delle schiume nei terreni non sono solo legate al coefficiente

di espansione, che può variare tra meno di 3 per le schiume di base cementizia a più di 50 per le

Per quanto riguarda le miscele chimiche, fattori importanti che devono essere tenuti in considerazione

sono la tossicità e la permanenza. La permanenza rappresenta la resistenza al deterioramento

rioramento chimico per reazioni con la

falda o con i componenti del terreno. Tale caratteristica può essere anche minacciata dal movimento

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dell’acqua o dall’erosione per infiltrazione attraverso gli spazi lasciati vuoti a seguito di un’iniezione

inadeguata o del ritiro, e dalla solidificazione della stessa miscela.

La tossicità si riferisce ai rischi per la salute a seguito del trattamento della miscela, e a suoi effetti

sulla qualità della falda con cui è in contatto. Sfortunatamente adottare miscele ad al

con molta permanenza comporta i maggiori rischi per la salute e le peggiori conseguenze a seguito

dell’inquinamento della falda e della corrosione.

Fig. 1.4.1.4: Classificazione delle principali miscele chimiche di After Greenwood e Tho

Mezzi iniettabili, criteri di iniezione

Il metodo di iniezione di miscele può essere applicato in due grandi categorie quali:

• i pori dei terreni granulari che formano uno schema di solito assai complesso;

• le fessure che presentano un’apertura

E’ questa diversa forma dei vuoti che differenzia totalmente l’iniezione delle rocce da quella dei

depositi alluvionali e che ha comportato uno sviluppo assai più difficoltoso e ritardato nel secondo

Questo processo consiste nella permeazione di un fluido viscoso pertanto i criteri di iniezione sono

basati sulla permeabilità del mezzo e su altre caratteristiche ad essa correlate:

• granulometria;

• porosità e densità;

• dimensione dei pori.

La scelta della miscela dipende comunque anche dalla compatibilità chimica e mineralogica tra

miscela e terreno da iniettare, e dalle proprietà meccaniche o idrauliche richieste al terreno trattato.

Criteri basati sulla granulometriaCriteri basati sulla granulometriaCriteri basati sulla granulometriaCriteri basati sulla granulometria

Lo studio granulometrico permette di ottenere diversi parametri, più o meno importanti e correlabili

con la permeabilità, ad esempio la composizione riferita a classi granulometriche convenzionali, il

dell’acqua o dall’erosione per infiltrazione attraverso gli spazi lasciati vuoti a seguito di un’iniezione

o del ritiro, e dalla solidificazione della stessa miscela.

La tossicità si riferisce ai rischi per la salute a seguito del trattamento della miscela, e a suoi effetti

sulla qualità della falda con cui è in contatto. Sfortunatamente adottare miscele ad al

con molta permanenza comporta i maggiori rischi per la salute e le peggiori conseguenze a seguito

dell’inquinamento della falda e della corrosione.

4: Classificazione delle principali miscele chimiche di After Greenwood e Thomson

Mezzi iniettabili, criteri di iniezione

Il metodo di iniezione di miscele può essere applicato in due grandi categorie quali:

i pori dei terreni granulari che formano uno schema di solito assai complesso;

le fessure che presentano un’apertura sensibilmente costante ed un reticolo più determinabile.

E’ questa diversa forma dei vuoti che differenzia totalmente l’iniezione delle rocce da quella dei

depositi alluvionali e che ha comportato uno sviluppo assai più difficoltoso e ritardato nel secondo

Questo processo consiste nella permeazione di un fluido viscoso pertanto i criteri di iniezione sono

basati sulla permeabilità del mezzo e su altre caratteristiche ad essa correlate:

della miscela dipende comunque anche dalla compatibilità chimica e mineralogica tra

miscela e terreno da iniettare, e dalle proprietà meccaniche o idrauliche richieste al terreno trattato.

te di ottenere diversi parametri, più o meno importanti e correlabili

con la permeabilità, ad esempio la composizione riferita a classi granulometriche convenzionali, il

dell’acqua o dall’erosione per infiltrazione attraverso gli spazi lasciati vuoti a seguito di un’iniezione

La tossicità si riferisce ai rischi per la salute a seguito del trattamento della miscela, e a suoi effetti

sulla qualità della falda con cui è in contatto. Sfortunatamente adottare miscele ad alta resistenza e

con molta permanenza comporta i maggiori rischi per la salute e le peggiori conseguenze a seguito

mson

Il metodo di iniezione di miscele può essere applicato in due grandi categorie quali:

i pori dei terreni granulari che formano uno schema di solito assai complesso;

sensibilmente costante ed un reticolo più determinabile.

E’ questa diversa forma dei vuoti che differenzia totalmente l’iniezione delle rocce da quella dei

depositi alluvionali e che ha comportato uno sviluppo assai più difficoltoso e ritardato nel secondo caso.

Questo processo consiste nella permeazione di un fluido viscoso pertanto i criteri di iniezione sono

basati sulla permeabilità del mezzo e su altre caratteristiche ad essa correlate:

della miscela dipende comunque anche dalla compatibilità chimica e mineralogica tra

miscela e terreno da iniettare, e dalle proprietà meccaniche o idrauliche richieste al terreno trattato.

te di ottenere diversi parametri, più o meno importanti e correlabili

con la permeabilità, ad esempio la composizione riferita a classi granulometriche convenzionali, il

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diametro efficace d10, il grado di uniformità U=d60/d10. Diversi autori hanno cercato di valutare

l’iniettabilità dei terreni in base ai valori assunti da questi termini:

� Criterio di Mitchell e Katti (1981) per sospensioniCriterio di Mitchell e Katti (1981) per sospensioniCriterio di Mitchell e Katti (1981) per sospensioniCriterio di Mitchell e Katti (1981) per sospensioni

Definiti i rapporti � = ���,����,

e � = ���,����,

(in cui i pedici m e t si riferiscono rispettivamente alla miscela e

al terreno), gli autori hanno determinato che se N<11 e Nc<6 non è possibile iniettare, mentre se N>24

e Nc>11 è possibile farlo. Sono quindi in genere iniettabili con sospensioni i terreni granulari (sabbie e

ghiaie).

� Criterio di Cambefort (1967)Criterio di Cambefort (1967)Criterio di Cambefort (1967)Criterio di Cambefort (1967)

Egli ha ipotizzato che le particelle del terreno fossero sferiche e ha determinato la superficie specifica

per ogni diametro d:

S0 = 6/d se riferita all’unità di volume [1/m]

SS = 0.222/d se riferita all’unità di peso (assunto γS=27 kN/m3) [m2/kN]

Integrando tra il valore minimo e il valore massimo del diametro, ha quindi ottenuto la superficie

specifica integrale:

�,��� = � �����%�������

���

Dividendo la curva granulometrica in classi con dm pari al diametro medio di ciascuna classe, si è

sostituito l’integrale con la sommatoria seguente:

In base a S0,int Cambefort ha quindi fornito i criteri di iniettabilità.

Criteri basati su dCriteri basati su dCriteri basati su dCriteri basati su d10101010, d, d, d, d50505050 e grado di disuniformie grado di disuniformie grado di disuniformie grado di disuniformità U=dtà U=dtà U=dtà U=d60606060/d/d/d/d10101010

Criteri di questo tipo hanno fornito indicazioni discordanti. Si può comunque affermare che al

diminuire di d10 o all’aumentare del grado di disuniformità U, diminuisce l’iniettabilità.

Commento sui criteri basati sulla granulometriaCommento sui criteri basati sulla granulometriaCommento sui criteri basati sulla granulometriaCommento sui criteri basati sulla granulometria

Il criterio granulometrico è stato adottato da molti Autori i quali sono però arrivati a conclusioni

abbastanza discordanti, come dimostrano le seguenti curve granulometriche limite, al limite di

penetrabilità dei prodotti indicati. Come si può notare, le soluzioni pure a base di resine non

compaiono nella figura, per esse non vi è in teoria un vincolo granulometrico. Altrettanto vale per le

soluzioni colloidali per le quali però, per ragioni pratiche ed economiche, viene comunque fissato un

limite minimo.

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Fig. 1.4.1.5: Curve granulometriche corrispondenti ai limiti di penetrabilità con sospensioni

e soluzioni colloidali, secondo vari autori (da Cambefort)

Fig. 1.4.1.6: Confronto tra la diversa permeazione delle miscele (After

Criteri basati sulla porositàCriteri basati sulla porositàCriteri basati sulla porositàCriteri basati sulla porosità

La porosità n, volume totale dei vuoti riferito all’unità di terreno, aumenta con la finezza

granulometrica (cioè col diminuire della dimensione media dei pori), a parità di densità relativa D

Viceversa, a parità di terreno, n diminuisce all’aumentare di D

terreni iniettabili sono:

• 0.2 ≤ n ≤ 0.3 per terreni grossolani

• 0.3 ≤ n ≤ 0.4 per terreni fini

Il volume dei vuoti riempiti non supera di solito il 50% della porosità

successo ai fini del risultato.

5: Curve granulometriche corrispondenti ai limiti di penetrabilità con sospensioni

e soluzioni colloidali, secondo vari autori (da Cambefort)

6: Confronto tra la diversa permeazione delle miscele (After Clarke, 1984)

La porosità n, volume totale dei vuoti riferito all’unità di terreno, aumenta con la finezza

granulometrica (cioè col diminuire della dimensione media dei pori), a parità di densità relativa D

ità di terreno, n diminuisce all’aumentare di Dr. Valori indicativi della porosità in

per terreni grossolani

per terreni fini

Il volume dei vuoti riempiti non supera di solito il 50% della porosità globale, anche nei casi di miglior

5: Curve granulometriche corrispondenti ai limiti di penetrabilità con sospensioni

Clarke, 1984)

La porosità n, volume totale dei vuoti riferito all’unità di terreno, aumenta con la finezza

granulometrica (cioè col diminuire della dimensione media dei pori), a parità di densità relativa Dr.

. Valori indicativi della porosità in

globale, anche nei casi di miglior

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Criteri basati sulla dimensione dei poriCriteri basati sulla dimensione dei poriCriteri basati sulla dimensione dei poriCriteri basati sulla dimensione dei pori

La superficie dei pori si ricava per via teorica dalla superficie specifica e dalla porosità oppure

sperimentalmente mediante il porosimetro, strum

mercurio a pressioni di 3.5-7000 kPa con misura del volume che penetra. Da questa, essendo il

diametro dei pori dP =1228/p (dP in µm e p in kPa), si ricava una curva V

diametro dei pori medio o al valore modale della distribuzione.

Criteri basati sulla permeabilitàCriteri basati sulla permeabilitàCriteri basati sulla permeabilitàCriteri basati sulla permeabilità

Usare la permeabilità k è più agevole della granulometria perché si usa un unico valore di confronto.

Essa è usualmente espressa dall’equazione fondamentale di Darcy,

dell’acqua in un mezzo poroso, ossia

e rappresenta la velocità di flusso corrispondente a valori unitari della portata Q, della sezione

filtrante A, e del gradiente idraulico i; può essere determinata direttamente

laboratorio.

Diversi autori hanno proposto correlazioni tra la permeabilità ed altri parametri, ad esempio:

Hazen � = � · ���� con k in cm/s, C costante variabile da 40 a 150 per sabbie con grani

da 0.1 a 3 mm e grado di disuniformità U inferiore a 5;

Kozeny � = �·��������

�������� con k in cm/s, S

forma pari

Loudon !"#� · ��$ = �. �� & �.Cambefort ha determinato un criterio di iniettabilità

dello scheletro solido e quelle dei grani della miscela, basato sulla seguente formula:

dove C=600'800, con d’m (diametro medio dei grani della miscela) in micron e k in m/s.

Fig. 1.4.1.7: Limiti di iniettabilità di sabbie e ghiaie in funzione della permeabilità

Criteri basati sulla dimensione dei poriCriteri basati sulla dimensione dei poriCriteri basati sulla dimensione dei poriCriteri basati sulla dimensione dei pori

La superficie dei pori si ricava per via teorica dalla superficie specifica e dalla porosità oppure

sperimentalmente mediante il porosimetro, strumento che permette di saturare il terreno con il

7000 kPa con misura del volume che penetra. Da questa, essendo il

in µm e p in kPa), si ricava una curva V-dP che permette di risalire al

dei pori medio o al valore modale della distribuzione.

Usare la permeabilità k è più agevole della granulometria perché si usa un unico valore di confronto.

Essa è usualmente espressa dall’equazione fondamentale di Darcy, che regola il flusso laminare

dell’acqua in un mezzo poroso, ossia

� = () · �

e rappresenta la velocità di flusso corrispondente a valori unitari della portata Q, della sezione

filtrante A, e del gradiente idraulico i; può essere determinata direttamente mediante prove in sito o in

Diversi autori hanno proposto correlazioni tra la permeabilità ed altri parametri, ad esempio:

con k in cm/s, C costante variabile da 40 a 150 per sabbie con grani

da 0.1 a 3 mm e grado di disuniformità U inferiore a 5;

con k in cm/s, S0 superficie specifica in cm

forma pari ad 1 per grani sferici e a 1.4 per grani spigolosi;

. �� · �

Cambefort ha determinato un criterio di iniettabilità basato sul confronto tra le dimensioni dei vuoti

dello scheletro solido e quelle dei grani della miscela, basato sulla seguente formula:

�′′′′ * � · √�

(diametro medio dei grani della miscela) in micron e k in m/s.

7: Limiti di iniettabilità di sabbie e ghiaie in funzione della permeabilità

La superficie dei pori si ricava per via teorica dalla superficie specifica e dalla porosità oppure

ento che permette di saturare il terreno con il

7000 kPa con misura del volume che penetra. Da questa, essendo il

che permette di risalire al

Usare la permeabilità k è più agevole della granulometria perché si usa un unico valore di confronto.

che regola il flusso laminare

e rappresenta la velocità di flusso corrispondente a valori unitari della portata Q, della sezione

mediante prove in sito o in

Diversi autori hanno proposto correlazioni tra la permeabilità ed altri parametri, ad esempio:

con k in cm/s, C costante variabile da 40 a 150 per sabbie con grani

da 0.1 a 3 mm e grado di disuniformità U inferiore a 5;

superficie specifica in cm-1, n porosità, f fattore di

ad 1 per grani sferici e a 1.4 per grani spigolosi;

basato sul confronto tra le dimensioni dei vuoti

dello scheletro solido e quelle dei grani della miscela, basato sulla seguente formula:

(diametro medio dei grani della miscela) in micron e k in m/s.

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(Cambefort, 1967)

Il limite di 10-6 riferito alle miscele più penetranti (resine organiche) si basa su considerazioni di

carattere pratico, nel senso che ci si prefigge di poter raggiungere una buona impregnazione in tempi

brevi. Il trattamento di terreni ancora meno permeabili è possibile ma bisogna osservare che la

diffusione della miscela avviene parzialmente per effetto “claquage” cioè attraverso il riempimento di

micro fessure prodotte nel corso dell’iniezione: se ben controllati tali effetti possono essere favorevoli

all’esito globale del trattamento.

Bisogna comunque sottolineare che è difficile stabilire regole generali in quanto la penetrabilità di un

terreno in sito, ai fini del risultato, è spesso superiore a quella determinata in laboratorio o basata su

criteri di impregnazione uniforme.

Caratteristiche chimiche e mineralogiche del terrenoCaratteristiche chimiche e mineralogiche del terrenoCaratteristiche chimiche e mineralogiche del terrenoCaratteristiche chimiche e mineralogiche del terreno

Prima di procedere ad un intervento è bene verificare che la miscela sia compatibile a breve e lungo

termine con la mineralogia delle particelle, la chimica dell’acqua interstiziale (acque molto dolci, acide

o seleniose) e la presenza di gas disciolti o prodotti dal terreno. In tutti i casi dubbi o non ben chiariti

dall’esperienza si dovranno fare specifiche indagini di laboratorio per accertare l’influenza del tipo di

ambiente nel quale è previsto l’intervento. Si eseguiranno quindi degli interventi correttivi, ad esempio

introdurre piccole percentuali di argilla o bentonite nelle sospensioni cementizie stabili, che permette

di ridurre o annullare la suscettibilità del cemento agli agenti aggressivi.

I rischi nell’utilizzo delle resine sono generalmente limitati alla fase di consolidazione, avvenuta la

presa, infatti, il mezzo non degrada, per cui è necessario e utile il controllo in laboratorio su campioni

di terreno trattato per qualche giorno.

Proprietà meccaniche dei terreni trattatiProprietà meccaniche dei terreni trattatiProprietà meccaniche dei terreni trattatiProprietà meccaniche dei terreni trattati

Le proprietà meccaniche (resistenza e deformabilità) vengono usate come termine di paragone per

valutare i dati di riferimento iniziali con i requisiti finali del consolidamento.

Se l’iniezione avviene per impregnazione (senza alterazione dell’indice dei vuoti della frazione

granulare), l’effetto è quello di conferire coesione al terreno, mantenendo inalterato l’angolo di attrito.

Se l’iniezione è spinta troppo, si ottiene il completo annegamento dei grani nella miscela e quindi il

prodotto è un mezzo puramente coesivo e si perde l’attrito. Se ci sono reazioni tra terreno e miscele, il

terreno diventa un “mezzo continuo” con caratteristiche meccaniche diverse; ciò avviene di solito

nell’iniezione di sabbie fini, generalmente silicee, con soluzioni a base di silicato sodico.

Iniezioni nelle rocce fessurate Iniezioni nelle rocce fessurate Iniezioni nelle rocce fessurate Iniezioni nelle rocce fessurate

Anche nel caso di iniezioni in roccia è necessario, al fine di definire le modalità d’iniezione ed i tipi più

appropriati di miscele, conoscere con precisione la natura della roccia, il suo stato di fessurazione e la

presenza o meno di una circolazione delle acque sotterranee. Il miglior approccio iniziale al problema è

ovviamente l’ispezione diretta con pozzi, gallerie o trincee ma questa non è sempre consentita per

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motivi di costo e di tempo. Diventa comunque indispensabile eseguire sondaggi e prove in sito, sia

come completamento dell’ispezione diretta, sia in sua sostituzione.

Fattore importante nella valutazione delle modalità operative e dei risultati attesi è la conoscenza

della permeabilità della massa lapidea che può essere legata alla porosità (o “permeabilità in piccolo”

es. arenarie) o alla fratturazione (o “permeabilità in grande” es. roccia fratturata). Se una roccia è

porosa può drenare l’acqua della miscela non permettendo l’avanzamento della miscela stessa.

La permeabilità in grande si misura con le prove Lugeon: esse consistono in prove di pompaggio a

pressione in porzioni di foro isolate con otturatore. (Unità Lugeon = portata in l/min per metro di foro

ad una pressione di 1 MPa). Sono iniettabili rocce fini a 1-3 uL.

Un ulteriore problema sono le rocce carsiche: queste sono formazioni calcaree nelle quali l’acqua

sotterranea ha disciolto la roccia creando cavità di dimensioni molto variabili e a volte anche molto

grandi. In questi casi è difficile prevedere, anche nel caso di avere a disposizione sondaggi, il reale

stato fessurativo e la distribuzione dei vuoti della roccia e, di conseguenza, è difficile ragionare con le

tecniche dei terreni.

Reologia delle miscele

La reologia è lo studio dello scorrimento dei materiali. Le proprietà reologiche di base delle miscele

sono la stabilità, il tempo di indurimento e la viscosità.

Stabilità: una miscela si definisce stabile se le sue particelle rimangono in sospensione nella soluzione

finché essa non ha raggiunto la sua destinazione nel terreno. Se invece la fase solida tende a

sedimentare separando un’apprezzabile percentuale della fase liquida, quando la miscela non è

mantenuta in agitazione o comunque in movimento, quest’ultima viene detta instabile.

Tempo di indurimento: è appunto il tempo necessario alla miscela per indurire. Le miscele a base

cementizia normalmente solidificano in un tempo compreso tra 4 e 24 ore, a seconda degli additivi

usati. Le miscele chimiche possono indurire molto rapidamente, anche in pochi minuti.

Viscosità: è definita dalla legge di Newton sulla viscosità come il fattore di proporzionalità tra lo sforzo

di taglio τ e il gradiente della velocità di flusso dv/dz:

, = - �.�/

L’equazione soprastante è valida nel caso di moto laminare, ossia quando le particelle di fluido

seguono linee di flusso uniformi, non disturbate da correnti vorticose.

Il termine - è anche chiamato viscosità dinamica o viscosità assoluta. Se rapportato alla densità, esso

diventa viscosità cinematica ν :

0 = -1 = -"

2

dove g = 9,81 m/s2 rappresenta l’accelerazione di gravità. Nel caso di moto turbolento, la legge di

Newton sulla viscosità dev’essere modificata per tener conto della cosiddetta viscosità dinamica dei

vortici η:

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E’ importante considerare moto turbolento fin

miscela durante il pompaggio; nel momento in cui bisogna valutare la penetrazione della miscela nel

terreno si assumono condizioni di moto laminare. La transizione da moto laminare a turbolento è in

genere descritta in termini della quantità adimensionale detta numero di Reynolds R

dove v è la velocità di flusso e L è una lunghezza caratteristica, ad esempio il diametro del foro. Se il

numero di Reynolds è basso significa che le forze viscose prevalgono sulle forze d’inerzia e si verifica

un moto laminare.

La viscosità di un fluido può essere misurata direttamente o indirettamente. Una sua misura diretta è

ottenuta in laboratorio per mezzo del viscosimetro cilindrico mentre in sito la viscosità di una miscela

si ricava misurando il tempo necessario affinché una certa quantità di liqu

imbuto standardizzato (ad esempio il cono di Marsh).

, = �- & 3� �.�/

E’ importante considerare moto turbolento finché si assume il mantenimento della stabilità della

miscela durante il pompaggio; nel momento in cui bisogna valutare la penetrazione della miscela nel

terreno si assumono condizioni di moto laminare. La transizione da moto laminare a turbolento è in

e descritta in termini della quantità adimensionale detta numero di Reynolds R

45 = 1.6-

dove v è la velocità di flusso e L è una lunghezza caratteristica, ad esempio il diametro del foro. Se il

numero di Reynolds è basso significa che le forze viscose prevalgono sulle forze d’inerzia e si verifica

può essere misurata direttamente o indirettamente. Una sua misura diretta è

ottenuta in laboratorio per mezzo del viscosimetro cilindrico mentre in sito la viscosità di una miscela

si ricava misurando il tempo necessario affinché una certa quantità di liqu

imbuto standardizzato (ad esempio il cono di Marsh).

Fig. 1.4.1.8: Esempio di viscosimetro

a rotazione

ché si assume il mantenimento della stabilità della

miscela durante il pompaggio; nel momento in cui bisogna valutare la penetrazione della miscela nel

terreno si assumono condizioni di moto laminare. La transizione da moto laminare a turbolento è in

e descritta in termini della quantità adimensionale detta numero di Reynolds Re

dove v è la velocità di flusso e L è una lunghezza caratteristica, ad esempio il diametro del foro. Se il

numero di Reynolds è basso significa che le forze viscose prevalgono sulle forze d’inerzia e si verifica

può essere misurata direttamente o indirettamente. Una sua misura diretta è

ottenuta in laboratorio per mezzo del viscosimetro cilindrico mentre in sito la viscosità di una miscela

si ricava misurando il tempo necessario affinché una certa quantità di liquido scorra attraverso un

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Fig. 1.4.1.9: Esempio di cono di Marsh

Modelli reologici e modelli di iniezione

In un fluido newtoniano lo sforzo di taglio

il modello meccanico ad esso corrispondente è un ammortizzator

Un fluido che invece è caratterizzato da una relazione non lineare tra

non newtoniano: il materiale presenta uno sforzo iniziale t

manifesti una deformazione continua. Il suo modello reologico corrispondente è quello di un

ammortizzatore e di una resistenza d’attrito in parallelo. Le sostanze che seguono questa regola sono

chiamate corpi di Bingham, essi non sono fluidi ma piuttos

reologico di un corpo di Bingham è espresso dalla legge

Lo sforzo iniziale τ 0 è chiamato “rigidità”, “coesione” o “limite fluido”. Il comportamento di un fluido

descritto dall’equazione sovrastante è talvolta detto “plastico ideale”.

Fig. 1.4.1.10: Modello e diagramma reologici di un fluido

newtoniano

Le sospensioni la cui rigidità viene persa subito dopo lo scuotimento ma è recuperata non appena sono

lasciati indisturbati per un po’ di tempo sono detti tixotropiche. Le proprietà tixotropiche della

bentonite contribuiscono a mantenere la stabil

L’acqua si comporta come un fluido newtoniano mentre le particelle argillose in sospensione

rappresentano una sostanza non newtoniana. Una miscela di argilla o di cemento può essere

approssimativamente trattata come un corp

tixotropico.

9: Esempio di cono di Marsh

Modelli reologici e modelli di iniezione

In un fluido newtoniano lo sforzo di taglio τ varia proporzionalmente al gradiente della velocità dv/dz;

il modello meccanico ad esso corrispondente è un ammortizzatore ed è un modello lineare.

Un fluido che invece è caratterizzato da una relazione non lineare tra τ e dv/dz

non newtoniano: il materiale presenta uno sforzo iniziale t0 che deve essere superato affinchè

manifesti una deformazione continua. Il suo modello reologico corrispondente è quello di un

ammortizzatore e di una resistenza d’attrito in parallelo. Le sostanze che seguono questa regola sono

chiamate corpi di Bingham, essi non sono fluidi ma piuttosto solidi visco-plastici. Il comportamento

reologico di un corpo di Bingham è espresso dalla legge

, = ,� & - �.�/

è chiamato “rigidità”, “coesione” o “limite fluido”. Il comportamento di un fluido

stante è talvolta detto “plastico ideale”.

10: Modello e diagramma reologici di un fluido Fig. 1.4.1.11: Modello e diagramma reologici di un

corpo di Bingham

Le sospensioni la cui rigidità viene persa subito dopo lo scuotimento ma è recuperata non appena sono

lasciati indisturbati per un po’ di tempo sono detti tixotropiche. Le proprietà tixotropiche della

bentonite contribuiscono a mantenere la stabilità delle iniezioni cementizie.

L’acqua si comporta come un fluido newtoniano mentre le particelle argillose in sospensione

rappresentano una sostanza non newtoniana. Una miscela di argilla o di cemento può essere

approssimativamente trattata come un corpo di Bingham e l’argilla bentonite è un tipico materiale

varia proporzionalmente al gradiente della velocità dv/dz;

e ed è un modello lineare.

τ e dv/dz è denominato fluido

che deve essere superato affinchè si

manifesti una deformazione continua. Il suo modello reologico corrispondente è quello di un

ammortizzatore e di una resistenza d’attrito in parallelo. Le sostanze che seguono questa regola sono

plastici. Il comportamento

è chiamato “rigidità”, “coesione” o “limite fluido”. Il comportamento di un fluido

11: Modello e diagramma reologici di un

Le sospensioni la cui rigidità viene persa subito dopo lo scuotimento ma è recuperata non appena sono

lasciati indisturbati per un po’ di tempo sono detti tixotropiche. Le proprietà tixotropiche della

L’acqua si comporta come un fluido newtoniano mentre le particelle argillose in sospensione

rappresentano una sostanza non newtoniana. Una miscela di argilla o di cemento può essere

o di Bingham e l’argilla bentonite è un tipico materiale

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Per descrivere il processo di iniezione da un foro in un mezzo poroso è possibile adottare due modelli,

iniezione da sorgente sferica e da sorgente cilindrica. Si assume che il moto di filtrazione sia laminare,

stazionario, ed avvenga entro certi limiti di pressione. Si fanno inoltre le ipotesi di fluido newtoniano

non evolutivo (come le soluzioni pure), per il quale vale la legge di Darcy, e di terreno omogeneo,

isotropo e saturo.

Nell’applicare tali modelli a fluidi newtoniani evolutivi (soluzioni colloidali) si può calcolare una

viscosità media valutata entro il tempo di iniezione. Difficile è l’estensione della legge di Darcy alle

sospensioni, anche se stabili, data la loro rigidità evolutiva.

Iniezione da sorgente sfericaIniezione da sorgente sfericaIniezione da sorgente sfericaIniezione da sorgente sferica

Si assume che la miscela fluisca nel terreno da una cavità sferica di raggio R0 sotto l’influenza di una

pressione netta pe (superiore alla pressione idrostatica locale). Vale quindi la relazione seguente:

�5 = (2�74��8

= (2-�74��-9

dove

Q = portata d’iniezione [m3/s];

γ = peso specifico della miscela [kN/m3];

kG = permeabilità del terreno alla miscela [m/s];

k = permeabilità del terreno all’acqua [m/s];

µ = viscosità della miscela [Pa∙s];

µw = viscosità dell’acqua [Pa∙s].

Il tempo richiesto alla miscela per percorrere una distanza R da una cavità sferica di raggio R0 può

essere determinato con la formula

� =�7��(

#4� − 4��$

In linea teorica un fluido newtoniano continua a fluire verso l’esterno finché esiste sovrapressione pe o

finché esso solidifica o gelifica.

InInInIniezione da sorgente cilindricaiezione da sorgente cilindricaiezione da sorgente cilindricaiezione da sorgente cilindrica

Le equazioni equivalenti al caso precedente ma valide per flusso radiale da sorgente cilindrica (come

da una sezione del foro di iniezione) sono:

�5 =(2-

�7�-9 �

44�

dove

pe = sovrapressione necessaria al mantenimento della portata Q quando la miscela ha raggiunto la

distanza R dal punto di iniezione;

R0 = raggio del foro di iniezione;

m = spessore dello strato da iniettare;

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e l’equazione

� = 7�( #4� − 4��$

La pressione p(R) della miscela diminuisce con la distanza R dal foro secondo l’equazione

��4� = �5 − (2-�7�-9

� 44�

Queste equazioni dimostrano che:

� il tempo richiesto alla miscela per fluire nel terreno ad una data distanza dal foro dipende dalla

portata d’iniezione Q;

� la portata d’iniezione può essere incrementata adottando una maggiore pressione d’iniezione o

una miscela a viscosità inferiore (una pressione troppo alta può però provocare la frattura del

terreno e/o la screpolatura della superficie);

� il tempo di indurimento della miscela dev’essere maggiore del tempo richiesto alla miscela per

fluire nel terreno;

� maggiore è il raggio del foro, maggiore è la pressione ad una data distanza.

Classificazione delle miscele (reologia)

Le miscele di iniezione possono essere suddivise in sospensioni instabili, stabili, soluzioni colloidali,

soluzioni pure e emulsioni gassose. Una tale suddivisione è determinata dalle loro caratteristiche

reologiche, la cui determinazione viene di solito fatta in laboratorio dove si misurano i parametri di

viscosità, di densità, di rigidità, di pompabilità per le miscele cementizie e di sedimentazione.

Vi sono poi le verifiche meccaniche che si eseguono su campioni di materiali iniettati, giunti a

maturazione; la principale di queste verifiche è quella allo schiacciamento che si esegue come per i

provini di calcestruzzo, per mezzo di una pressa.

La viscosità è misurata con frazioni di unità poise in laboratorio con il viscosimetro, o in cantiere

utilizzando l’imbuto di Marsh. Per quanto concerne le miscele cementizie non si parla però di viscosità,

dato che non dimostrano un comportamento di fluidi reali, ma di consistenza, e viene comunque

mantenuta l’unità di misura in poise.

In base al comportamento reologico le miscele possono essere classificate in:

• sospensioni instabilisospensioni instabilisospensioni instabilisospensioni instabili: la loro fase solida tende a sedimentare quando la miscela non è mantenuta in

agitazione o comunque in movimento. Sono ad esempio le sospensioni di cemento puro in acqua,

adatte al trattamento di rocce fessurate ma non all’impregnazione di terreni incoerenti in generale.

Questo tipo di miscele è soggetto alla sedimentazione e alla pressofiltrazione, la prima propria delle

miscele instabili e la seconda comune a tutte le sospensioni ma più accentuata in quest’ultime.

La pressofiltrazione comporta un drenaggio, attraverso i fori più piccoli, che ispessisce la miscela e

ne riduce il raggio di azione. Venendo così limitata la diffusione per permeazione della miscela, se

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continua la sua immissione, si ha un aumento di pressione che porta alla rottura della massa di

terreno iniettato.

La sedimentazione si manifesta al di sotto di un valore limite della velocità di flusso e crea delle

ostruzioni; può inoltre creare dei vuoti anche dove ci fosse stata una buona iniezione.

Fig. 1.4.1.12: Effetto arco durante l’inie- Fig. 1.4.1.13: Sedimentazione di una sospen-

zione di sospensioni insta- sione instabile iniettata in

bili in terreno granulare terreno granulare

L’iniezione di sospensioni instabili è pienamente efficace solo in un mezzo poroso con grani aventi

dimensioni minime di 5-10 mm. Essa ha successo anche nei mezzi fessurati, in cui l’acqua

costituisce il mezzo di trasporto ad esempio dei grani di cemento.

• sospensioni stabilisospensioni stabilisospensioni stabilisospensioni stabili: la loro tendenza alla sedimentazione è nulla o trascurabile. A questa classe

appartengono in ordine crescente di penetrabilità le miscele di cemento con aggiunte di argilla o

bentonite, e le miscele di argilla o bentonite trattate con additivi chimici. Sono sospensioni stabili

anche i fanghi da perforazione, che non sedimentano e presentano tixotropia.

La tixotropia è il fenomeno esibito da alcuni fluidi che a riposo formano una struttura gel, la quale

si disperde non appena vengono nuovamente messi in movimento, dimostrando inoltre una sorta di

memoria della loro passata condizione.

Questi tipi di miscele si comportano come fluidi non newtoniani e seguono in generale la legge di

Bingham.

• soluzioni colloidalisoluzioni colloidalisoluzioni colloidalisoluzioni colloidali: sono anche dette “evolutive” dal momento che in esse la viscosità, parametro di

proporzionalità tra sforzi di taglio e velocità di flusso secondo la legge di Newton, aumenta nel

tempo. Il suo incremento è di lieve entità fino ad una certa frazione del periodo di iniettabilità, che a

sua volta è una frazione più o meno importante del tempo di solidificazione.

Alle soluzioni colloidali appartengono le miscele a base di silicato sodico, i lignocromati e le

emulsioni bituminose. Le soluzioni di bentonite trattata (con additivi deflocculanti e rigonfianti) si

avvicinano allo schema reologico delle soluzioni colloidali.

La relazione tra la loro viscosità e la resistenza che esse conferiscono ad un dato materiale è

estremamente variabile a seconda dei tipi di prodotti; i recenti progressi in questo campo

consentono comunque di ottenere un buon grado di consolidamento anche con soluzioni

notevolmente diluite.

I vantaggi delle soluzioni colloidali rispetto alle sospensioni sono:

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- l’assenza di rigidità;

- l’assenza di una fase solida che può separarsi da quella liquida per effetti di sedimentazione e

pressofiltrazione.

• soluzioni puresoluzioni puresoluzioni puresoluzioni pure: hanno il privilegio di non essere evolutive, cioè mantengono costante la viscosità fino

alla solidificazione. A questa classe reologica appartengono le miscele a base di resine organiche,

che si dividono in due grandi categorie:

- i monomeri acquosi che dopo la polimerizzazione possono conferire resistenze notevoli;

- i polimeri precondensati che danno luogo a prodotti ad altissima resistenza, anche molto

superiore a quella dei calcestruzzi. Essi sono i più costosi e sono di conseguenza adottati in casi

particolari, i monomeri acquosi sono molto più noti ed utilizzati.

Il loro limite di iniettabilità è teoricamente indefinito, ma subordinato a considerazioni di carattere

pratico ed economico: si adottano portate e tempi accettabili con pressioni tali da evitare diffusi

fenomeni di rottura del terreno (claquage).

• emulsioni gassosemulsioni gassosemulsioni gassosemulsioni gassoseeee (miscele espansive ad alto grado di rigonfiamento). Il trattamento fisico o chimico

delle sospensioni cementizie può permettere di ottenere un inglobamento d’aria. Se il tasso di

rigonfiamento è contenuto entro il 20-30% le bolle d’aria inglobata hanno un effetto fluidificante che

favorisce la penetrabilità, in quanto eliminano l’effetto d’arco tra gli interstizi. Tale miscele, dette

“areate” appartengono comunque alla classe delle sospensioni stabili.

Se invece si vogliono riempire grandi cavità o si ricerca comunque un maggiore potere espansivo, si

trattano le sospensioni cementizie in maniera tale da ottenere tassi di rigonfiamento fino a tre volte

il volume iniziale. In tal modo si ottengono le “emulsioni gassose”, caratterizzate da una normale

fluidità in fase di pompaggio e da una rapida rigidificazione successiva.

Con cavità o fessure molto aperte con forti circolazioni d’acqua che dilaverebbero le normali miscele,

il problema è risolvibile con emulsioni organiche (a base di poliuretani) che si formano e

polverizzano l’acqua anche in movimento; il loro tasso di rigonfiamento può raggiungere valori

elevatissimi.

Indagini preliminari sui mezzi da trattare

Lo studio preliminare di ogni problema comporta innanzitutto la raccolta delle informazioni necessarie

alla scelta della soluzione più idonea, e successivamente una messa a punto mediante indagini

specificatamente connesse al tipo di intervento previsto. Per accertare la fattibilità e definire le più

adeguate modalità di un trattamento mediante iniezioni, si dovrà quindi procedere attraverso le

seguenti fasi sperimentali:

• accurato studio della natura del terreno (sciolto o lapideo), della sua struttura e della idrologia

sotterranea, mediante sondaggi geognostici, osservazioni piezometriche e prove in sito

(soprattutto di permeabilità);

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• indagini di laboratorio su campioni tipici per la determinazione dei parametri geotecnici di

interesse generale e specifico (connessi all’iniettabilità);

• formulazione in laboratorio di uno o più tipi d miscele mediante prove necessarie ad un

orientamento che cerchi di conciliare le molteplici e spesso contrastanti esigenze: penetrabilità,

limiti di pressione e tempo, resistenza e minimo costo;

• prove di iniezione e controllo dei risultati in sito, per verificare i precedenti dati sperimentali,

colmandone eventualmente le lacune e traendo dei più precisi indirizzi pratici sulle modalità

operative.

Metodi di perforazione e tecnica dell’iniezione

Iniezione in terreni incoerentiIniezione in terreni incoerentiIniezione in terreni incoerentiIniezione in terreni incoerenti

Mentre l’iniezione di rocce fessurate con miscele cementizie è un’operazione relativamente semplice, il

trattamento dei terreni sciolti richiede un’elevata qualificazione ed esperienza da parte dei progettisti

e degli esecutori.

Sulla base dei dati sperimentali (caratteristiche del terreno e delle miscele) e dei dati di progetto può

essere definita la più adeguata geometria di trattamento, ossia la distribuzione, l’orientamento e la

profondità dei fori di iniezione, in modo da assicurare ovunque il minimo interasse prescritto. Gli

interassi dei fori sono comunque generalmente compresi tra 1.5 e 2.5 m.

I fori, di diametro variabile generalmente fra 65 e 130 mm, vengono eseguiti mediante perforazione a

rotazione o rotopercussione, e più generalmente a percussione utilizzando, a seconda delle necessità,

fluidi di circolazione (acqua o fango bentonitico) e rivestimenti provvisori. In ogni caso il metodo di

perforazione deve assicurare il minimo disturbo al terreno da trattare e garantire il rispetto della

geometria di progetto.

Le tecniche di iniezione in terreni incoerenti sono:

• in avanzamento (dall’alto verso il basso);

• in estrazione (dal basso verso l’alto);

• con guaina plastica;

• con tubi valvolati (tubes à manchettes).

� Iniezione in avanzamentoIniezione in avanzamentoIniezione in avanzamentoIniezione in avanzamento

Questo sistema viene usato proficuamente quando si debbano iniettare terreni sciolti con

granulometria molto variabile, in cui si possano incontrare grossi massi esotici che richiedono l’uso di

utensili duri per la loro perforazione. Si esegue un tratto di foro, si ritira di qualche metro l’utensile di

perforazione e si inietta attraverso le aste; si attende quindi l’indurimento della miscela, si riperfora e

si prosegue nei tratti successivi con la stessa sequenza.

Se il terreno ha subito una sufficiente compattazione con una prima iniezione, si potrà usare per quelle

successive il packer otturatore, altrimenti si proseguirà con il foro rivestito.

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Fig.

Il packer consiste in un tubo di acciaio provvisto

materiale. Questo tubo viene ancorato nel foro mediante un elemento ad espansione ed il foro viene

chiuso a tenuta tramite uno o più tubi in gomma. L’ancoraggio e la chiusura ermetica del foro

avvengono avvitando il packer. Alcuni accessori sono diventati parte integrante di questo sistema che

soddisfa le più svariate esigenze, combinando opportunamente i vari elementi.

Fig. 1.4.1.15: Esempio di packer meccanico

Con questo sistema le operazioni di iniezione sono molto lunghe per il fatto di dover attendere, per

l’approfondimento del foro, la presa della miscela iniettata.

L’iniezione in avanzamento si adopera per l’esecuzione di prove di permeabilità “Lugeon” su rocce

fessurate.

� Iniezione in estrazioneIniezione in estrazioneIniezione in estrazioneIniezione in estrazione

Il foro viene in questo caso eseguito fino al termine, ponendo in opera un rivestimento provvisorio che

viene poi raccordato all’iniettore e ritirato gradualmente con l’avanzamento dell’iniezione. Quando si

Fig. 1.4.1.14: Iniezione in avanzamento

Il packer consiste in un tubo di acciaio provvisto di dispositivo di sicurezza contro il riflusso del

materiale. Questo tubo viene ancorato nel foro mediante un elemento ad espansione ed il foro viene

chiuso a tenuta tramite uno o più tubi in gomma. L’ancoraggio e la chiusura ermetica del foro

vitando il packer. Alcuni accessori sono diventati parte integrante di questo sistema che

soddisfa le più svariate esigenze, combinando opportunamente i vari elementi.

mpio di packer meccanico Fig. 1.4.1.16: Packer espandibile con la pressione

di un gas compresso

Con questo sistema le operazioni di iniezione sono molto lunghe per il fatto di dover attendere, per

l’approfondimento del foro, la presa della miscela iniettata.

avanzamento si adopera per l’esecuzione di prove di permeabilità “Lugeon” su rocce

Il foro viene in questo caso eseguito fino al termine, ponendo in opera un rivestimento provvisorio che

e ritirato gradualmente con l’avanzamento dell’iniezione. Quando si

di dispositivo di sicurezza contro il riflusso del

materiale. Questo tubo viene ancorato nel foro mediante un elemento ad espansione ed il foro viene

chiuso a tenuta tramite uno o più tubi in gomma. L’ancoraggio e la chiusura ermetica del foro

vitando il packer. Alcuni accessori sono diventati parte integrante di questo sistema che

soddisfa le più svariate esigenze, combinando opportunamente i vari elementi.

6: Packer espandibile con la pressione

di un gas compresso

Con questo sistema le operazioni di iniezione sono molto lunghe per il fatto di dover attendere, per

avanzamento si adopera per l’esecuzione di prove di permeabilità “Lugeon” su rocce

Il foro viene in questo caso eseguito fino al termine, ponendo in opera un rivestimento provvisorio che

e ritirato gradualmente con l’avanzamento dell’iniezione. Quando si

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usavano per la perforazione impianti a percussione, il rivestimento portava una sorta di tappo o

fondello in testa che, che veniva abbandonato al fondo del foro, all’inizio dell’iniezione

sufficientemente compatto è possibile usare il packer al posto del tubo di rivestimento e sollevare

l’attrezzo al termine della iniezione di una sezione, per iniettare la successiva. Il rischio che si corre

operando con i tubi di rivestimento è che la miscela, risalendo all’esterno del rivestimento, lo cementi

al terreno oppure si diffonda in modo incontrollabile negli orizzonti non ancora trattati. Non è inoltre

possibile riprendere l’iniezione sulle sezioni iniettate una prima volta.

Fig.

� Iniezione con guaina in plasticaIniezione con guaina in plasticaIniezione con guaina in plasticaIniezione con guaina in plastica

Questo tipo di iniezione prelude allo sviluppo successivo (tubo a valvole), e per il momento definitivo,

dell’iniezione con tubo valvolato. Si esegue inserendo una can

miscela plastica, solitamente cemento

alla miscela iniettata di risalire lungo le pareti della perforazione e contemporaneamente manterrà in

posizione la canna di iniezione. Il vantaggio che si può avere con questo metodo, rispetto al precedente,

è che certamente la risorgenza di miscela viene assolutamente inibita ed alcune volte, su determinati

terreni, è anche possibile riprendere la cementazione dopo bre

Fig. 1.4.1.

� Iniezione con tubi valvolatiIniezione con tubi valvolatiIniezione con tubi valvolatiIniezione con tubi valvolati

usavano per la perforazione impianti a percussione, il rivestimento portava una sorta di tappo o

fondello in testa che, che veniva abbandonato al fondo del foro, all’inizio dell’iniezione

sufficientemente compatto è possibile usare il packer al posto del tubo di rivestimento e sollevare

l’attrezzo al termine della iniezione di una sezione, per iniettare la successiva. Il rischio che si corre

mento è che la miscela, risalendo all’esterno del rivestimento, lo cementi

al terreno oppure si diffonda in modo incontrollabile negli orizzonti non ancora trattati. Non è inoltre

possibile riprendere l’iniezione sulle sezioni iniettate una prima volta.

Fig. 1.4.1.17: Iniezione in estrazione

Iniezione con guaina in plasticaIniezione con guaina in plasticaIniezione con guaina in plasticaIniezione con guaina in plastica

Questo tipo di iniezione prelude allo sviluppo successivo (tubo a valvole), e per il momento definitivo,

dell’iniezione con tubo valvolato. Si esegue inserendo una canna di iniezione entro un foro riempito di

miscela plastica, solitamente cemento-bentonite. La guaina, dopo opportuna maturazione, impedirà

alla miscela iniettata di risalire lungo le pareti della perforazione e contemporaneamente manterrà in

anna di iniezione. Il vantaggio che si può avere con questo metodo, rispetto al precedente,

è che certamente la risorgenza di miscela viene assolutamente inibita ed alcune volte, su determinati

terreni, è anche possibile riprendere la cementazione dopo brevi soste.

1.4.1.18: Iniezione con guaina plastica

usavano per la perforazione impianti a percussione, il rivestimento portava una sorta di tappo o

fondello in testa che, che veniva abbandonato al fondo del foro, all’inizio dell’iniezione. Se il terreno è

sufficientemente compatto è possibile usare il packer al posto del tubo di rivestimento e sollevare

l’attrezzo al termine della iniezione di una sezione, per iniettare la successiva. Il rischio che si corre

mento è che la miscela, risalendo all’esterno del rivestimento, lo cementi

al terreno oppure si diffonda in modo incontrollabile negli orizzonti non ancora trattati. Non è inoltre

Questo tipo di iniezione prelude allo sviluppo successivo (tubo a valvole), e per il momento definitivo,

na di iniezione entro un foro riempito di

bentonite. La guaina, dopo opportuna maturazione, impedirà

alla miscela iniettata di risalire lungo le pareti della perforazione e contemporaneamente manterrà in

anna di iniezione. Il vantaggio che si può avere con questo metodo, rispetto al precedente,

è che certamente la risorgenza di miscela viene assolutamente inibita ed alcune volte, su determinati

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Il tubo a valvole consiste in una normale tubazione perforata ogni 33 cm od ogni 50 cm con quattro fori

disposti sullo stesso piano in posizioni opposte, ricop

valvola di non ritorno. Attualmente si usano tubi in materiale sintetico, ma possono essere anche

usate tubazioni in altro materiale, purché abbiano la capacità di resistere alle pressioni di iniezione.

Fig. 1.4.1.19: Rappresentazione di un tubo valvolato

Il tubo viene posto in opera al termine della perforazione e sigillato al terreno tramite una “guaina”.

Prima di iniziare l’iniezione vera e propria, infatti, la cavità anulare fra tubo valvolato e parete de

foro viene infatti riempita con un’apposita sospensione di cemento e bentonite iniettata attraverso la

valvola. Dopo un breve periodo di maturazione della guaina (generalmente poche ore), si inizia ad

iniettare usando il doppio packer (packer con disposi

presenza di una guaina ha lo scopo di impedire la risalita della miscela lungo la tubazione, obbligando

la stessa ad interessare di volta in volta le singole sezioni definite dalla posizione delle valvole.

La sospensione di cemento-bentonite o cemento

di resistenza dovute alla sua composizione, sarà facilmente fratturata dalla pressione di iniezione,

permettendo così l’espandersi della miscela iniettata

Quest’ultima presenta di solito un rapporto cemento/acqua attorno a 0.5 ed una dose di bentonite

adeguata per rendere stabile la sospensione (decantazione nulla o trascurabile) e conferire la

necessaria fluidità.

L’ordine di iniezione dei fori viene stabilito in base alle esigenze dei singoli casi, ma in generale è

buona norma iniziare con i più esterni in modo da creare un contenimento; tutto il procedimento

Il tubo a valvole consiste in una normale tubazione perforata ogni 33 cm od ogni 50 cm con quattro fori

disposti sullo stesso piano in posizioni opposte, ricoperti da un manicotto elastico con funzione di

valvola di non ritorno. Attualmente si usano tubi in materiale sintetico, ma possono essere anche

usate tubazioni in altro materiale, purché abbiano la capacità di resistere alle pressioni di iniezione.

.19: Rappresentazione di un tubo valvolato

Il tubo viene posto in opera al termine della perforazione e sigillato al terreno tramite una “guaina”.

Prima di iniziare l’iniezione vera e propria, infatti, la cavità anulare fra tubo valvolato e parete de

foro viene infatti riempita con un’apposita sospensione di cemento e bentonite iniettata attraverso la

valvola. Dopo un breve periodo di maturazione della guaina (generalmente poche ore), si inizia ad

iniettare usando il doppio packer (packer con dispositivo ad iniezione e due elementi di chiusura). La

presenza di una guaina ha lo scopo di impedire la risalita della miscela lungo la tubazione, obbligando

la stessa ad interessare di volta in volta le singole sezioni definite dalla posizione delle valvole.

bentonite o cemento-argilla, date le sue scarse caratteristiche meccaniche

di resistenza dovute alla sua composizione, sarà facilmente fratturata dalla pressione di iniezione,

permettendo così l’espandersi della miscela iniettata alle sue spalle entro il terreno da trattare.

Quest’ultima presenta di solito un rapporto cemento/acqua attorno a 0.5 ed una dose di bentonite

adeguata per rendere stabile la sospensione (decantazione nulla o trascurabile) e conferire la

L’ordine di iniezione dei fori viene stabilito in base alle esigenze dei singoli casi, ma in generale è

buona norma iniziare con i più esterni in modo da creare un contenimento; tutto il procedimento

Il tubo a valvole consiste in una normale tubazione perforata ogni 33 cm od ogni 50 cm con quattro fori

erti da un manicotto elastico con funzione di

valvola di non ritorno. Attualmente si usano tubi in materiale sintetico, ma possono essere anche

usate tubazioni in altro materiale, purché abbiano la capacità di resistere alle pressioni di iniezione.

Il tubo viene posto in opera al termine della perforazione e sigillato al terreno tramite una “guaina”.

Prima di iniziare l’iniezione vera e propria, infatti, la cavità anulare fra tubo valvolato e parete del

foro viene infatti riempita con un’apposita sospensione di cemento e bentonite iniettata attraverso la

valvola. Dopo un breve periodo di maturazione della guaina (generalmente poche ore), si inizia ad

tivo ad iniezione e due elementi di chiusura). La

presenza di una guaina ha lo scopo di impedire la risalita della miscela lungo la tubazione, obbligando

la stessa ad interessare di volta in volta le singole sezioni definite dalla posizione delle valvole.

argilla, date le sue scarse caratteristiche meccaniche

di resistenza dovute alla sua composizione, sarà facilmente fratturata dalla pressione di iniezione,

alle sue spalle entro il terreno da trattare.

Quest’ultima presenta di solito un rapporto cemento/acqua attorno a 0.5 ed una dose di bentonite

adeguata per rendere stabile la sospensione (decantazione nulla o trascurabile) e conferire la

L’ordine di iniezione dei fori viene stabilito in base alle esigenze dei singoli casi, ma in generale è

buona norma iniziare con i più esterni in modo da creare un contenimento; tutto il procedimento

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risulta di notevole efficacia, anche perché con esso è possibile operare riprese multiple di iniezione

sulla stessa valvola già iniettata. Ciò è possibile introducendo all’interno del tubo valvolato, dopo ogni

ciclo di iniezione, una canna di lavaggio; la pulizia dell’interno del tubo dal residuo dell’iniezione

permetterà così di rientrare in seguito nel tubo valvolato con il doppio packer e di riprendere

l’iniezione sulle valvole prescelte.

Poiché spesso si ha a che fare con alternanze di strati con caratteristiche di granulometria, densità e

permeabilità diverse, i tubi valvolati consentono inoltre di poter variare le caratteristiche di iniezione

per i vari strati: permettono infatti l’iniezione controllata di miscele diverse in ogni ordine, ad ogni

livello e a qualsiasi intervallo di tempo.

Iniezioni inIniezioni inIniezioni inIniezioni in rocce fessuraterocce fessuraterocce fessuraterocce fessurate

Fermi restando i criteri generali relativi ai terreni incoerenti, gli interassi dei fori nel trattamento

delle iniezioni in roccia sono generalmente maggiori (3-6 m). La spaziatura ottimale dovrebbe essere il

compromesso fra due regole contraddittorie: più la roccia è fessurata più si devono distanziare i fori e

viceversa; d’altra parte più i fori sono distanti e più miscela bisogna iniettare per realizzare uno

schermo continuo. Nei casi più incerti si eseguono quindi prove preliminari ma in generale si fa

appello all’esperienza di lavori analoghi.

Le perforazioni sono eseguite a rotazione con piccoli diametri, normalmente compresi fra 35 e 75 mm,

mentre le iniezioni sono eseguite su tratte di 3-5 m, dopo aver effettuato prove d’acqua tipo Lugeon per

avere una indicazione sul dosaggio iniziale di cemento da utilizzare.

Si può operare, come già detto per i terreni sciolti:

• in avanzamento;

• in estrazione.

Il primo metodo è teoricamente migliore in quanto dovrebbe consentire pressioni più elevate, in

pratica però si è constatato che procedendo in senso inverso si hanno globalmente degli assorbimenti

dello stesso ordine.

Il secondo metodo è molto più vantaggioso economicamente in quanto permette di separare le fasi di

perforazione e di iniezione, riducendo al minimo i tempi morti. Vi è però il problema della tenuta

dell’otturatore, che deve essere assicurata lungo tutto il foro: se la roccia è troppo fessurata la miscela

potrebbe risalire sopra l’otturatore e cementarlo.

La scelta del metodo, ed anche del tipo di otturatore, deve quindi essere fatta ogni volta a seconda

della natura della roccia (durezza e grado di fessurazione). Nelle rocce mediamente fessurate il

trattamento viene generalmente effettuato mediante sospensioni “instabili” di cemento, iniziando con

un minimo dosaggio da valutarsi in base al risultato delle prove d’acqua e passando progressivamente

a concentrazioni sempre maggiori.

In alcuni casi l’iniezione in roccia si esegue con il metodo a circolazione continua: si realizza perforando

fino alla profondità voluta dopo aver intestato all’inizio del foro un rivestimento di tenuta. Si introduce

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poi nel foro predisposto una canna di iniezione collegata all’iniettore e la si cala in prossimità del

fondo.

Si crea un tampone con un apposito tappo sulla testa del tubo da rivestimento e si collega la bocchetta

di ritorno con una valvola tarata che è quella che controllerà la pressione di iniezione; il ritorno della

linea andrà a scaricarsi nel mescolatore per chiudere il giro della misc

Fig. 1.4.1.

Il problema che può creare questo metodo di iniezione deriva dal fatto che, operando con miscele

instabili, si possono verificare le decantazioni che otturano sia le zone iniettate

perforazione. Al fine di evitare questo inconveniente occorre muovere verso l’alto e verso il basso la

canna di iniezione, cercando di mantenere comunque una certa turbolenza all’interno del foro

iniettato. E’ possibile inoltre che si verifichino risalite di miscela all’esterno del rivestimento intestato

all’inizio del foro; quest’ultimo fatto può compromettere tutto il programma di iniezione.

Impianti di cantiere

I campi d’applicazione dei procedimenti d’iniezione nell’ingegneria c

sviluppo: fondazioni e sottofondazioni, scavi a cielo aperto, gallerie, schermi d’impermeabilizzazione

per dighe di ritenuta,ecc. L’utilizzo di una sempre più ampia gamma di miscele ha quindi comportato

l’affinamento nella tecnica d’iniezione: è stato necessario un adeguamento degli impianti, così da

renderli rispondenti alle accresciute necessità operative.

I principali requisiti di un impianto di iniezione sono:

� affidabilità del ciclo di preparazione delle miscele, i

possono discostarsi da quelli prefissati;

� modalità di iniezione programmabili in funzione della quantità di miscela da iniettare o delle

pressioni limite da raggiungere;

� sicurezza dell’impianto, ossia protezione

miscele o delle miscele stesse;

poi nel foro predisposto una canna di iniezione collegata all’iniettore e la si cala in prossimità del

pposito tappo sulla testa del tubo da rivestimento e si collega la bocchetta

di ritorno con una valvola tarata che è quella che controllerà la pressione di iniezione; il ritorno della

linea andrà a scaricarsi nel mescolatore per chiudere il giro della miscela.

1.4.1.20: Tecnica di iniezione a circolazione continua

Il problema che può creare questo metodo di iniezione deriva dal fatto che, operando con miscele

instabili, si possono verificare le decantazioni che otturano sia le zone iniettate

perforazione. Al fine di evitare questo inconveniente occorre muovere verso l’alto e verso il basso la

canna di iniezione, cercando di mantenere comunque una certa turbolenza all’interno del foro

si verifichino risalite di miscela all’esterno del rivestimento intestato

all’inizio del foro; quest’ultimo fatto può compromettere tutto il programma di iniezione.

I campi d’applicazione dei procedimenti d’iniezione nell’ingegneria civile sono molteplici e in continuo

sviluppo: fondazioni e sottofondazioni, scavi a cielo aperto, gallerie, schermi d’impermeabilizzazione

per dighe di ritenuta,ecc. L’utilizzo di una sempre più ampia gamma di miscele ha quindi comportato

la tecnica d’iniezione: è stato necessario un adeguamento degli impianti, così da

renderli rispondenti alle accresciute necessità operative.

I principali requisiti di un impianto di iniezione sono:

affidabilità del ciclo di preparazione delle miscele, i cui valori di viscosità e peso specifico non

possono discostarsi da quelli prefissati;

modalità di iniezione programmabili in funzione della quantità di miscela da iniettare o delle

pressioni limite da raggiungere;

sicurezza dell’impianto, ossia protezione dall’eventuale tossicità dei materiali costituenti le

miscele o delle miscele stesse;

poi nel foro predisposto una canna di iniezione collegata all’iniettore e la si cala in prossimità del

pposito tappo sulla testa del tubo da rivestimento e si collega la bocchetta

di ritorno con una valvola tarata che è quella che controllerà la pressione di iniezione; il ritorno della

Il problema che può creare questo metodo di iniezione deriva dal fatto che, operando con miscele

instabili, si possono verificare le decantazioni che otturano sia le zone iniettate che la parte bassa della

perforazione. Al fine di evitare questo inconveniente occorre muovere verso l’alto e verso il basso la

canna di iniezione, cercando di mantenere comunque una certa turbolenza all’interno del foro

si verifichino risalite di miscela all’esterno del rivestimento intestato

all’inizio del foro; quest’ultimo fatto può compromettere tutto il programma di iniezione.

ivile sono molteplici e in continuo

sviluppo: fondazioni e sottofondazioni, scavi a cielo aperto, gallerie, schermi d’impermeabilizzazione

per dighe di ritenuta,ecc. L’utilizzo di una sempre più ampia gamma di miscele ha quindi comportato

la tecnica d’iniezione: è stato necessario un adeguamento degli impianti, così da

cui valori di viscosità e peso specifico non

modalità di iniezione programmabili in funzione della quantità di miscela da iniettare o delle

dall’eventuale tossicità dei materiali costituenti le

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� sicurezza in termini ecologici dell’intervento, ossia controllo dei tempi di presa compatibili con

la non diffusione del prodotto iniettato all’esterno del volume di ter

neutralizzazione chimica o biologica delle acque di lavorazione prima della messa in discarica.

Tali obiettivi sono stati raggiunti con l’automatizzazione delle singole unità componenti l’impianto,

riservando agli addetti alla centrale d’iniezione solo funzioni di controllo e di pronto intervento. Lo

schema di un normale impianto predisposto per il confezionamento di miscele cementizie stabili a

dosaggi variabili, e da due tipi di miscele chimiche, è costituito da:

• due silos per cemento e bentonite e una serie di serbatoi per lo stoccaggio dei prodotti chimici

che alimentano tre miscelatori principali, a funzionamento regolabile automaticamente, per la

formazione delle diverse miscele nelle esatte composizioni;

• una serie di otto dosatori automatici posti a valle dei mescolatori e utilizzati per la taratura e la

contemporanea registrazione dei volumi di miscela di volta in volta utilizzata;

• una corrispondente serie di otto iniettori alternativi per il pompaggio delle miscele ai rel

settori d’intervento (fori d’iniezione);

• apposite attrezzature, poste a valle di ogni singolo iniettore, che controllano i valori di pressione

e portata dell’iniezione ed intervengono automaticamente quando sono superati i limiti imposti.

Fig. 1.4.1.21: Schema dell’impianto di iniezione

Controllo dei trattamenti

Si distinguono in controlli d’iniezione preliminari, controlli durante il trattamento e controlli dopo il

trattamento.

sicurezza in termini ecologici dell’intervento, ossia controllo dei tempi di presa compatibili con

la non diffusione del prodotto iniettato all’esterno del volume di terreno teorico interessato, e

neutralizzazione chimica o biologica delle acque di lavorazione prima della messa in discarica.

Tali obiettivi sono stati raggiunti con l’automatizzazione delle singole unità componenti l’impianto,

entrale d’iniezione solo funzioni di controllo e di pronto intervento. Lo

schema di un normale impianto predisposto per il confezionamento di miscele cementizie stabili a

dosaggi variabili, e da due tipi di miscele chimiche, è costituito da:

cemento e bentonite e una serie di serbatoi per lo stoccaggio dei prodotti chimici

che alimentano tre miscelatori principali, a funzionamento regolabile automaticamente, per la

formazione delle diverse miscele nelle esatte composizioni;

dosatori automatici posti a valle dei mescolatori e utilizzati per la taratura e la

contemporanea registrazione dei volumi di miscela di volta in volta utilizzata;

una corrispondente serie di otto iniettori alternativi per il pompaggio delle miscele ai rel

settori d’intervento (fori d’iniezione);

apposite attrezzature, poste a valle di ogni singolo iniettore, che controllano i valori di pressione

e portata dell’iniezione ed intervengono automaticamente quando sono superati i limiti imposti.

21: Schema dell’impianto di iniezione

Si distinguono in controlli d’iniezione preliminari, controlli durante il trattamento e controlli dopo il

sicurezza in termini ecologici dell’intervento, ossia controllo dei tempi di presa compatibili con

reno teorico interessato, e

neutralizzazione chimica o biologica delle acque di lavorazione prima della messa in discarica.

Tali obiettivi sono stati raggiunti con l’automatizzazione delle singole unità componenti l’impianto,

entrale d’iniezione solo funzioni di controllo e di pronto intervento. Lo

schema di un normale impianto predisposto per il confezionamento di miscele cementizie stabili a

cemento e bentonite e una serie di serbatoi per lo stoccaggio dei prodotti chimici

che alimentano tre miscelatori principali, a funzionamento regolabile automaticamente, per la

dosatori automatici posti a valle dei mescolatori e utilizzati per la taratura e la

contemporanea registrazione dei volumi di miscela di volta in volta utilizzata;

una corrispondente serie di otto iniettori alternativi per il pompaggio delle miscele ai relativi

apposite attrezzature, poste a valle di ogni singolo iniettore, che controllano i valori di pressione

e portata dell’iniezione ed intervengono automaticamente quando sono superati i limiti imposti.

Si distinguono in controlli d’iniezione preliminari, controlli durante il trattamento e controlli dopo il

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Le prove di iniezione preliminare sono finalizzate ad un’accurata scelta tecnico-economica perché le

informazioni che si possono ottenere sono utili a una prima verifica delle modalità operative previste

in fase di progetto, anche se i controlli del risultato sono spesso difficili e tendono a sottovalutare

l’esito del trattamento globale; ciò è dovuto all’area molto ristretta sulla quale normalmente si opera,

per ovvi motivi economici. L’esigenza di eseguire prove d’iniezione preliminare sono legate alla

risoluzione di problemi particolarmente delicati e viene espressa dall’impresa specializzata o dal

committente per avere più garanzie sull’esito del trattamento.

Per quanto riguarda i controlli durante il trattamento, si verifica sistematicamente in cantiere la

composizione delle miscele, apportando eventuali correzioni. Oltre all’esattezza dei dosaggi, che deve

essere garantita dall’impianto, è necessaria la rispondenza ai requisiti fondamentali di ogni singolo

caso: si controllano le caratteristiche reologiche iniziali, le pressioni, le portate e i quantitativi delle

miscele iniettate.

Per valutare la buona riuscita del trattamento è utile eseguire alcune prove, tra cui:

• Prove di permeabilità: sono finalizzate principalmente alla verifica della tenuta idraulica ma

vengono adottate anche nei problemi di consolidamento ed in particolare nel caso delle rocce. Il

controllo della permeabilità può rappresentare un valido giudizio indiretto sulla qualità del

risultato, almeno in termini di omogeneità.

Nei terreni incoerenti le prove entro gli stessi fori d’iniezione sono poco significative o

difficilmente interpretabili, contrariamente a quanto avviene per le rocce.

• Sondaggi e campionamenti: sono utilizzati sia in roccia che nei terreni sabbiosi per verificare la

rispondenza del risultato sperimentale al risultato reale del trattamento. Nel caso di formazioni

contenenti ghiaia od inclusioni lapidee ancor più grossolane la loro esecuzione risulta

difficoltosa in quanto l’utensile di perforazione tende a produrre un effetto di disturbo in un

mezzo costituito da uno scheletro di elementi lapidei comunque più duri della matrice di

miscela.

Nel caso di un trattamento omogeneo e resistenza della miscela molto elevata si possono

talvolta prelevare dei buoni campioni ma in generale l’esame dei carotaggi sottovaluta il

risultato effettivo, tanto più quanto più grossolana è la granulometria del terreno. In questi casi

il più attendibile giudizio può essere fornito dall’ispezione diretta mediante scavo di pozzi,

trincee o cunicoli.

• Prove meccaniche in sito: servono per valutare in sito le proprietà meccaniche dei terreni.

Comprendono prove penetrometriche statiche e dinamiche, prove di carico su piastra e prove

pressiometriche.

Elementi di costo

Il costo di un trattamento di iniezione dipende dall’attrezzatura utilizzata (impianto di miscelazione,

pompaggio e distribuzione), dal numero di fori eseguiti e dalla qualità degli eventuali tubi valvolati,

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dai prodotti utilizzati per la formazione delle miscele, dall’unità di volume o peso delle miscele o dei

singoli componenti. A questo bisogna aggiungere il costo della manodopera e della necessaria

assistenza tecnica, e il costo dei controlli da effettuare in corso d’opera.

Resine espandenti

Nel consolidamento dei terreni tramite iniezioni sono sempre più frequentemente utilizzate le resine

poliuretaniche ad alta pressione d’espansione, che producono un notevole aumento delle

caratteristiche meccaniche del terreno di fondazione.

Fig. 1.4.2.1: Esempio d’applicazione

di resine espandenti

Esecuzione Le modalità d’applicazione delle resine espandenti sono relativamente semplici e non necessitano di

scavi invasivi o di problematici sistemi di collegamento per solidarizzare le preesistenti e le nuove

opere di fondazione.

Per effetto della rilevante espansione della resina, all’interno del volume di terreno trattato, è possibile

inoltre ripristinare il contatto all’interfaccia terreno-fondazione anche laddove i valori della

sollecitazione risultino più modesti. In questo modo si ottiene una migliore distribuzione dei carichi ed

una conseguente limitazione dei picchi di tensione.

L’applicazione comporta l’iniezione nel terreno a basse pressioni di questa resina ad alta pressione

d’espansione, ottenuta dalla miscelazione di componenti che, per reazione chimica, provocano un

effetto di consolidamento esercitando nel terreno ospitante una pressione fino a 10 MPa in un tempo

massimo di 6’’-10’’ dalla loro miscelazione.

La resina viene iniettata allo stato liquido attraverso dei condotti nei quali viene spinta dall’azione

meccanica di una pompa fino a fuoriuscire nel terreno da consolidare.

I condotti vengono inseriti in fori di diametro inferiore ai 20 mm praticati direttamente nella

fondazione in modo da trattare con precisione il volume di terreno sottostante la fondazione medesima.

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La pressione di iniezione non è elevata e non è particolarmente rilevante ai fini della riuscita

dell’intervento; il grado di compattazione del terreno ottenibile è infatti funzione della forza di

espansione della resina e non della pressione alla quale viene iniettata. Al momento dell’iniezione, la

miscela sviluppa una reazione chimica esotermica che ne induce il cambiamento di stato da liquido a

solido con conseguente aumento di volume correlato allo sviluppo di una forza di espansione.

La resistenza incontrata dalla resina nella fase di espansione determina in modo inversamente

proporzionale l’aumento di volume mentre implica una forza di espansione direttamente proporzionale

ad essa. La reazione chimica è molto rapida e il composto solido che ne deriva possiede già da subito le

caratteristiche fisico-meccaniche definitive. La reazione, confinata dal terreno circostante, trasferisce

l’energia prodotta direttamente alla struttura dello stesso, comprimendolo e, dove possibile,

aggregandolo.

La miscela , infatti, una volta iniettata nel terreno, si comporta in maniera differente a seconda della

natura del mezzo incontrato: se il terreno è granulare la miscela permea i vuoti e, fungendo da legante

idraulico, produce un conglomerato monolitico di notevoli caratteristiche meccaniche; se il terreno è di

natura coesiva, la miscela non permea i vuoti, ma forma un fitto reticolo di lame simili all’apparato

radicale di una pianta producendo un ammasso compresso e irrobustito dalle lame stesse.

In entrambi i casi la resina trasferisce al terreno ospitante una forte azione di compressione frutto

della reazione chimica.La resina espande dove trova la minor resistenza offerta dal terreno e, grazie al

suo forte aumento volumetrico, compatta e consolida il terreno di fondazione amalgamandosi con esso;

tale pressione esercitata solleva quindi la struttura sovrastante e tale sollevamento è costantemente

monitorato con apparecchiatura laser costituita da un emettitore e da ricevitori, fissati alle strutture

sotto le quali sono eseguite le iniezioni.

Caratteristiche

La reazione chimica che trasforma i componenti liquidi in un materiale solido è stabile, e questo

permette di ridurre drasticamente la variabilità delle caratteristiche meccaniche per una data densità.

Ciò significa avere la certezza del buon esito dell’intervento, potendo prevedere esattamente le

proprietà della resina una volta iniettata nel terreno.

Le resine poliuretaniche sono più leggere del terreno e quindi non lo appesantiscono, sono inoltre tali

da avere un modulo elastico simile a quello dei terreni, variando da 15 a 85 MPa a seconda della

densità. In questo modo si può essere certi che trattare il terreno di fondazione del cosiddetto bulbo di

pressione significativo (nel senso di Boussinesq) non trasferisce il carico in profondità, ma lascia

inalterate le tensioni al di sotto del bulbo medesimo, cioé evita l’instaurarsi di nuovi cedimenti nel

volume sottostante il terreno trattato.

Jet grouting

Tra i metodi di miglioramento con modifiche fisiche e chimiche rientra quello denominato jetjetjetjet----groutinggroutinggroutinggrouting

o di gettiniezione con il quale vengono modificate in sito le caratteristiche del terreno utilizzando

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l’effetto di getti fluidi ad altissima velocità ottenuti con pressioni elevate per disgregare il terreno e

miscelarlo o anche sostituirlo parzialmente con un fluido stabilizzante formato da una miscela acqua-

cemento.

Cenni storici Tale sistema, nato in Giappone intorno al 1965, si è affermato nel giro di pochi anni in tutti i paesi

europei ed americani tecnologicamente avanzati. Esso ha avuto un notevole sviluppo in Italia, paese di

antiche tradizioni nel campo dei consolidamenti e delle fondazioni.

I motivi del rapido sviluppo di tale tecnica sono da ricercare nella sua versatilità di impiego; se si

devono trattare terreni a granulometria fine o comunque chiusa, infatti, i sistemi tradizionali di

consolidamento o impermeabilizzazione per impregnazione, claquage o compattazione, presentano

notevoli limitazioni di natura tecnica od economica e possono inoltre comportare gravi problemi di

inquinamento. Le tecniche jettings, mescolando il terreno direttamente in sito con cemento,

permettono di trattare queste formazioni in modo omogeno, continuo e non inquinante.

Le prime esperienze di jet-grouting furono condotte in Giappone da Yamakado et al. nel 1965 ma fu

solo nel 1970 che i sistemi jettings cominciarono ad essere utilizzati sistematicamente e che la loro

tecnologia assunse aspetti differenziati e chiaramente individuati.

Nel 1970, infatti, furono sviluppate le tecniche “Chemical Churning Pile”, “Jet Grout”, “Jumbo Jet

Special Grout”, “Column Jet Grout”.

Esecuzione ed attrezzature

La tecnologia del “jet grouting” consiste nell’iniettare, attraverso perforazioni di piccolo diametro (da 7

a 10 cm) volumi controllati di miscela cementizia in volumi controllati di terreno. Il trattamento può

essere eseguito con tre diverse metodologie, le prime due perfezionate in Italia, la terza di origine

giapponese:

1) iniezione di sola miscela (sistema monofluido);

2) iniezione di aria e miscela (sistema bifluido);

3) iniezione d’aria, acqua e miscela (sistema trifluido).

Nel jet grouting monofluidomonofluidomonofluidomonofluido la disgregazione del terreno avviene attraverso l’azione della miscela

cementizia che ha anche la funzione di stabilizzazione.

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Fig. 1.4.3.1: Sistema monofluido

Nel jet grouting bifluidobifluidobifluidobifluido l’azione disgregante è affidata ancora al getto di miscela ad altissima

pressione, ma questo è guidato da un anulo d’aria compressa a circa 8-12 bar che ne limita la

dispersione aumentandone, di conseguenza, il potere penetrante.

Fig. 1.4.3.2: Sistema bifluido

Nel jet grouting trifluidotrifluidotrifluidotrifluido la funzione disgregante è invece demandata all’azione di un getto d’acqua (a

circa 400 bar) a guida d’aria (a circa 5 bar) che realizza un processo di rottura e scavernamento del

terreno completamente indipendente da quello d’iniezione. Il getto successivo di miscela, che avviene

con pressioni dell’ordine di 50 bar, sostituisce il terreno scavato con la miscela stabilizzante.

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Fig. 1.4.3.3: Sistema trifluido

Nella figura 1.4.3.4 sono riportati per i tre sistemi di trattamento i campi di variabilità dei principali

parametri operativi, costituiti dalla velocità di trattamento (traslazione del monitor), dal volume di

fluido iniettato per unità di lunghezza del foro, dalla portata erogata dagli ugelli e dalla pressione

applicata.

Fig. 1.4.3.4: Campi di variabilità orientativi dei parametri operativi (Tornaghi, 1989)

Le oggettive condizioni di operatività dei cantieri, in termini di spazi disponibili, fasi di lavoro e

soprattutto di terreno da trattare, determinano di volta in volta il metodo più appropriato di

perforazione ed iniezione. La fig. 1.4.3.5 mostra schematicamente le attrezzatureattrezzatureattrezzatureattrezzature necessarie per la

realizzazione di un trattamento jet grouting:

• silos di cemento (1);

• apparecchiatura di dosaggio e mescolamento (2);

• pompa ad alta pressione da 400 a 500 CV di potenza (3);

• pannello di comando e controllo automatico (4);

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• sonda per l’esecuzione del trattamento (5). Essa è dotata di una batteria d’aste cave con giunti

di tenuta ad alta pressione; è connessa inferiormente alla valvola d’iniezione ed all’attrezzo di

perforazione, di solito un tricono. Aste da 60, 76 e 90 mm di diametro esterno sono misure

standard.

Fig. 1.4.3.5: Attrezzature necessarie per la realizzazione di un trattamento jet grouting

Il foro si esegue usualmente a rotazione o a rotopercussione. L’avanzamento a rotazione è preferibile

nei terreni a granulometria media-fine, in quanto richiede sonde leggere. In terreni incoerenti

grossolani, e/o in presenza di blocchi lapidei, la rotopercussione può essere più conveniente in termini

di produzione, ma richiede attrezzature più ingombranti se si vogliono minimizzare i tempi di

manovra. La perforazione del terreno viene generalmente eseguita con la stessa sonda usata per

l’iniezione ad alta pressione.

Le operazioni necessarie per l’esecuzione del jet grouting mono-fluido e bi-fluido, che sono i sistemi più

usati, si articolano principalmente in due fasi (fig. 1.4.3.6):

Prima fasePrima fasePrima fasePrima fase: fase di andata o perforazione, in cui si inserisce nel terreno la batteria d’aste, munita della

valvola porta ugelli, fino alla profondità di trattamento richiesta dal progetto.

Seconda faseSeconda faseSeconda faseSeconda fase: fase di ritorno o di estrazione. La batteria d’aste viene estratta a velocità di risalita ed

angolare programmate mentre si effettua l’iniezione della miscela attraverso gli ugelli.

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Fig. 1.4.3.6: Schemi operativi dell’intervento jet grouting

A seguito del trattamento, le caratteristiche meccaniche del terreno interessato risultano incrementate

fino a raggiungere valori di permeabilità e resistenza confrontabili con quelli di un calcestruzzo.

Parametri operativi I principali parametri operativi sono:

• pressione d’iniezione;

• numero e diametro degli ugelli;

• rapporto acqua/cemento della boiacca d’iniezione;

• tempo d’insistenza del getto.

La pressione d’iniezione è controllata con manometri, da essa dipende l’energia del getto e quindi il suo

raggio d’azione. Generalmente si adottano pressioni d’esercizio pari a 40-60 MPa.

Il numero e il diametro degli ugelli determinano, con la pressione, la portata d’iniezione, cioè il volume

di miscela immessa nel terreno nell’unità di tempo e, di conseguenza, la velocità di trattamento. Non

disponendo di macchine d’iniezione di elevata potenza conviene limitare il numero degli ugelli.

Il rapporta acqua-cemento della boiacca d’iniezione è il paametro che principalmente influenza le

proprietà meccaniche della colonna e le caratteristiche iniziali della massa terreno-boiacca. Da prove

di laboratorio e in sito si è ricavato che esso è in stretta relazione con la resistenza alla compressione

semplice.

Il tempo d’insistenza del getto dipende dalla velocità di estrazione della batteria d’aste e dalla velocità

di rotazione della stessa. Se la velocità d’estrazione è eccessivamente ridotta, il getto, non avendo

energia sufficiente per creare ulteriore diametro, fuoriesce attraverso l’intercapedine aste-foro. Esiste

inoltre un limite inferiore anche per la velocità di rotazione, al di sotto del quale si hanno effetti di

riflessione del getto che ne diminuiscono l’efficienza.

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Fig. 1.4.3.7: Valori tipici dei parametri operativi

Prodotto del consolidamento

Utilizzando il sistema monofluido si realizzano colonne con diametro variabile da 0,4 a 1,4 m, a

seconda delle caratteristiche del terreno e in relazione ai parametri operativi impiegati.

Il sistema bifluido aumenta la potenza del getto e la sua capacità di penetrazione: l’incremento del

diametro, rispetto al sistema monofluido, varia dal 30% al 70%, mentre sono penalizzate le resistenze

meccaniche, per effetto dell’inglobamento d’aria all’interno del materiale trattato.

Con il sistema trifluido, che per motivi tecnici non può essere impiegato per trattamenti in sub

orizzontale, si possono realizzare colonne di diametro anche superiore ai 2 m, ma i maggiori costi, la

minore flessibilità operativa e soprattutto il rischio di provocare allentamenti nel terreno, ne hanno

eliminato l’impiego.

Per realizzare colonne di diametro notevole con il sistema monofluido si può utilizzare il sistema della

“doppia passata”, in cui alla fase di iniezione con sospensione stabilizzante si fa precedere un’iniezione

d’acqua ad altissima pressione, che produce una disgregazione preliminare del terreno.

Applicabilità ai diversi tipi di terreno Il jet grouting può essere utilizzato in tutti i terreni granulari ed in quei terreni coesivi che presentano

resistenza al taglio tale da renderli attaccabili dal getto. Questo offre il notevole vantaggio di poter

trattare terreni eterogenei, garantendo consolidamento ed impermeabilità uniformi

indipendentemente dalla natura dei terreni incontrati.

La presenza di falda in regime idrostatico non compromette in nessun modo i risultati del trattamento,

in regime idrodinamico, invece, l’impiego di particolari accorgimenti come l’uso di acceleranti ha

permesso di ottenere buoni risultati anche a fronte di velocità di 0,1 cm/sec.

Criteri di progetto e dimensionamento

La progettazione di un intervento di consolidamento del terreno mediante jet grouting deve

svilupparsi attraverso le seguenti fasi:

• esecuzione di indagini preliminari sul terreno e campi prova;

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• scelta del tipo di miscela e dei parametri operativi;

• scelta della geometria e dimensionamento dei trattamenti;

• individuazione del modello matematico più rispondente per lo studio dell’evoluzione tensionale

e deformativa;

• scelta dei sistemi di controllo.

Le indagini preliminari sono molto importanti in quanto consentono di valutare la fattibilità del jet

grouting e di determinare i principali parametri caratteristici di esecuzione. Le principali sono

sondaggi geognostici per la conoscenza generale dei tipi di terreno da trattare, prove penetrometriche

statiche o dinamiche per la determinazione della consistenza relativa del terreno, prove di

permeabilità in sito e/o in laboratorio, prove d’iniezione in un campo prova rappresentativo delle reali

condizioni operative.

E’ molto importante inoltre disporre di un efficace sistema di controllo sugli interventi di

consolidamento. Si distinguono controlli durante il trattamento e controlli dopo il trattamento.

Durante il trattamento si verificano l’affidabilità delle principali componenti meccaniche ed elettriche

che presiedono al controllo ed alla registrazione continua dei parametri operativi, la corretta direzione

delle perforazioni, gli eventuali movimenti in superficie del terreno circostante,..

Dopo il trattamento si eseguono prove di carico e prove di carotaggio sonico per verificare il

miglioramento delle caratteristiche meccaniche, la continuità e l’eventuale compenetrazione di

colonne.

Applicazioni La tecnica di consolidamento jet grouting ha trovato largo impiego in diversi campi dell’ingegneria

civile, grazie allo studio e alla messa a punto di schemi progettuali specifici, che ben si adattano alle

più svariate condizioni operative.

Le prime applicazioni si riferiscono all’esecuzione di opere di contenimento e di fondazione, forse a

causa della forma colonnare del trattamento, che richiama quella del palo.

Ad esse seguirono rapidamente impieghi sempre più sofisticati e geniali per la stabilizzazione di

versanti, lo scavo di gallerie in terreni sciolti, la realizzazione di opere idrauliche.

Opere di sostegno

In tema di contenimento di scavi a cielo aperto e trincee artificiali si è verificata una notevole

evoluzione di schemi progettuali (fig. 1.4.3.8):

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Fig. 1.4.3.8: Applicazioni di jet grouting nelle

opere di sostegno

Le prime geometrie realizzate consistevano in una fila di colonne di terreno consolidato più o meno

accostate, eseguite lungo il contorno del futuro scavo. Geometrie di questo tipo, pur efficaci per il

contenimento provvisorio di scavi in terreni alluvionali o coesivi, di discrete caratteristiche

geomeccaniche, non erano però sufficientemente affidabili per protezioni definitive.

A questo scopo si è quindi passati a schemi più complessi, che prevedevano più ordini di colonne jet

grouting disposte a quinconce. Questa soluzione, grazie agli eccellenti risultati forniti ed alla facilità e

rapidità realizzativa, si è imposta rapidamente soppiantando spesso le tecnologie più tradizionali.

Stabilizzazione di versanti

La fig. 1.4.3.9 riassume alcune tipologie caratteristiche. Si va da quella “a ventaglio”, al contenimento

“a speroni” di jet grouting disposti planimetricamente in senso radiale, su un arco di circonferenza, per

finire con la tipologia “a pozzo”, sempre molto efficace.

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Fig. 1.4.3.9: Applicazioni di jet grouting nella stabiliz-

zazione di versanti

Fondazioni e sottomurazioni

Il jet grouting ha trovato numerose applicazioni in lavori di fondazione o sottomurazione. Per quanto

riguarda le fondazioni, si sono utilizzate soprattutto due tipologie (fig. 1.4.3.10):

“Dirette consolidate” che realizzano un graduale passaggio di rigidezze crescenti; risultano

particolarmente idonee in zone soggette a sismi.

“A pozzo” largamente impiegate per costruzioni da realizzare su versanti o in alvei fluviali.

Fig. 1.4.3.10: Applicazioni di jet grouting nelle

fondazioni

La realizzazione di pozzi con il sistema jet grouting è un’operazione molto rapida ed economica,

veramente insostituibile operando sotto falda. Eseguendo una coronella continua sul perimetro del

futuro pozzo, ed un tappo sul fondo, costituiti da colonne di terreno consolidato, si può scavare il pozzo

lavorando all’asciutto, all’interno della coronella, fino a raggiungere la sommità del tappo di fondo e,

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susseguentemente, effettuare all’asciutto i getti di calcestruzzo necessari per riempire il volume

scavato fino al piano d’imposta del plinto di fondazione.

Opere idrauliche

In tema di opere idrauliche il jet grouting ha trovato applicazioni soprattutto in lavori

d’impermeabilizzazione di dighe e di protezione di argini.

Gallerie

In tema di gallerie, il jet grouting, nei progressi compiuti negli ultimi dieci anni, ha avuto un ruolo

fondamentale. In particolare la sua applicazione in sub orizzontale ha permesso di superare in un sol

colpo tutte le difficoltà connesse con l’avanzamento di un cavo in terreni privi di coesione.

Anche in questo caso è stata fondamentale l’ideazione di uno schema statico adatto alle caratteristiche

del terreno trattato; uno schema statico, cioè, che facesse lavorare il materiale consolidato

prevalentemente a compressione e taglio. Si tratta del famoso trattamento “ad ombrello” lanciato in

avanzamento, con cui si innesca nel terreno un “effetto arco” in anticipo sullo scavo.

Trattamenti termici

A questa categoria di lavori appartengono i metodi di congelamento e di cottura del terreno, ma

mentre i primi risultano necessariamente temporanei, provocando nel terreno un effetto che perdura

per il tempo di applicazione del raffreddamento, quelli che realizzano la cottura dei terreni sciolti

possono considerarsi definitivi, apportando al terreno una variazione strutturale pressoché

permanente.

Il riscaldamento di un terreno provoca un notevole consumo d’energia: da esempi descritti in

letteratura si deduce che per stabilizzare 1 m3 di terreno sono necessari da 50 a 100 L di olio

combustibile. In un’epoca come questa in cui il costo dell’energia e l’inquinamento atmosferico sono

sempre più crescenti, interventi di cottura del terreno su larga scala non sono molto diffusi, eccetto in

circostanze molto particolari: una situazione speciale si può presentare quando il terreno contiene già

del combustibile, o per natura o sottoforma di prodotti di scarto.

Cottura La termoconsolidazione del terreno è una pratica applicabile in primo luogo ai terreni argillosi di cui

provoca una vera e propria cottura, formando in essi colonne di materiale arrostito le cui

caratteristiche meccaniche finali risultano fortemente modificate.

Cenni storici

I primi esperimenti di questa tecnica di miglioramento del terreno risalgono agli anni Trenta, periodo

in cui si cercò in Australia di migliorare le caratteristiche meccaniche di sottofondi stradali,

arrostendoli. Questa tecnica è stata utilizzata negli anni successivi in Unione Sovietica ed in Romania

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dove si è sviluppata in una serie di casi che vanno dalle realizzazioni di sottofondazioni di edifici e

strutture industriali, alla stabilizzazione di scarpate e rilevati stradali.

Esecuzione

Si genera calore facendo bruciare combustibile liquido, gassoso, o solido; si possono distinguere i

trattamenti con trasferimento del calore dalla superficie di contatto da quelli con trasferimento di

calore attraverso fori e pozzi, i quali possono essere a circolazione forzata (tipo chiuso) o a tiraggio

libero (tipo aperto).

Con la cottura si verificano modificazioni nella struttura dei minerali argillosi, tali da rendere

irreversibile il fenomeno dell’espulsione dell’acqua, raggiungendo un limite superiore della

temperatura di riscaldamento in cui si manifestano i primi tratti caratteristici della fusione delle

argille.

Gli intervalli di temperatura in cui si manifestano modificazioni della struttura del terreno argilloso si

possono considerare compresi tra i 350 e i 1000 °C, temperatura alla quale iniziano a manifestarsi i

primi fenomeni di liquefazione con conseguente diminuzione della permeabilità per fessurazione

manifestatasi a temperature inferiori. Con la temperatura aumenta la resistenza a compressione del

terreno argilloso trattato che può raggiungere valori notevoli.

Cottura della superficie del terreno

Uno dei primi tentativi di cottura del terreno per la realizzazione di strade fu realizzato da Irvine

(1930, 1934) in Australia. Egli progettò e costruì un forno con bruciatori a legna che viaggiava con una

velocità compresa tra 2 e 10 m/h su una formazione di terreno precedentemente preparata; esso

produceva a partire da un’argilla molto sensibile all’umidità uno strato cotto, spesso da 50 a 200 mm,

di materiale compatto non plastico. In seguito al trattamento termico, il materiale superficiale era

lasciato sottoforma di pezzi di mattoni incastrati aventi dimensioni minori o uguali a 100 mm. Le

particelle più grandi, infatti, venivano schiacciate e ridotte a ghiaietto in seguito a compattazione con

un rullo. Mentre la pavimentazione era ancora calda poteva essere applicato bitume o uno strato di

catrame, al fine di assicurare la penetrazione del legante nelle fessure.

La macchina di Irvine fu utilizzata per costruire parecchie miglia di strade provinciali nel New South

Wales e nel Queensland, dove i materiali di pavimentazione a grana grossa sono una cosa rara. Irvine

stimò che per trattare 1 m3 di terreno erano necessari più di 400 kg di legno, che erano comunque più

economici di costruire una strada con ghiaia, se quest’ultima non era disponibile entro 16 km dal

cantiere.

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Fig. 1.4.4.1: Rappresentazione schematica della macchina di Irvine

Cottura attraverso fori

La cottura del terreno attraverso fori è stata realizzata nell’Unione Sovietica, in Romania e in

Giappone. Forzando entro fori praticati nel terreno da consolidare gas arroventati da processi di

combustione, si creano strati concentrici di terreno la cui caratteristica principale è quella di non

contenere né acqua di saturazione, né acqua reticolare.

Fujii distingue tra un impianto di cottura di tipo aperto e uno di tipo chiuso.

In un impianto chiuso (fig. 1.4.4.2) sopra ogni pozzo è posizionata un’unità di combustione. Fujii (1971)

descrive un intervento eseguito a Fukuoka in cui è stato trattato un deposito di rifiuti riscaldando 227

pozzi, profondi da 2 a 6 m e distanti 5 m l’uno dall’altro. Il calore è stato mantenuto da 7 a 15 giorni,

consumando un totale di 760 L di olio combustibile; è stato trattato il volume di terreno compreso nel

primo metro di raggio attorno al pozzo, risultando così un consumo d’olio di 60L/m3.

Fig. 1.4.4.2: Impianto di cottura di tipo chiuso

Una versione speciale di un impianto di cottura aperto fu utilizzata per stabilizzare un rilevato a

Kanazawa, Giappone, come illustrato nella figura 4.35. In un periodo di 10 giorni furono fatti bruciare

1200L d’olio in ogni pozzo attraverso dei convenzionali bruciatori d’olio, finchè si raggiunse una

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temperatura di 300°C ad una distanza di 300 mm dal centro del pozzo. Il terreno trattato

termicamente mostrò una resistenza pari a 10-20 volte il suo valore originario.

Fig. 1.4.4.3: Stabilizzazione termica di un rilevato

Congelamento

Cenni storici

La tecnica del congelamento dei terreni per scopo geotecnici si è sviluppata da circa 40 anni, anche se

le prime esperienze in materia possono essere fatte risalire a più di 60 anni fa. Veniva eseguita in

modo estremamente rudimentale in campo minerario per bloccare sfornella menti di materiali

granulari fini, saturi d’acqua, è già negli anni Quaranta in Unione Sovietica si sviluppò la trattazione

teorica di questo metodo.

Esecuzione

Il congelamento del terreno viene usato quando bisogna eseguire uno scavo in terreno difficile ed in

condizioni statiche di pericolo. Abbassando la temperatura del terreno fino al suo punto di

congelamento si attribuisce ad esso un forte grado di coesione, che esalta notevolmente la sua

resistenza a compressione. In tal modo si ottengono dei setti o delle colonne di terreno congelato che

presentano buone caratteristiche meccaniche e che è possibile scavare o iniettare senza possibili

ulteriori difficoltà derivanti da deformazioni dei terreni circostanti.

L’effetto del congelamento è purtroppo ridotto nel tempo e bisogna quindi provvedere continuamente

per tutta la durata dei lavori al ripetuto raffreddamento del terreno da trattare. Queste operazioni

comportano un costo notevole e la loro programmazione deve essere fatta con la massima precisione

per evitare tutti i possibili sprechi.

Il congelamento del terreno può produrre effetti collaterali, spesso non voluti e di cui occorre tenere

conto. Il primo è quello di un generale rigonfiamento del terreno trattato, che può divenire pericoloso

per l’integrità delle strutture coinvolte nel trattamento. Il secondo effetto deriva dal fatto che i terreni

sottoposti a congelamento dimostrano un notevole deterioramento delle loro caratteristiche

geomeccaniche, una volta scongelati.

Al congelamento, per controllare efficacemente questi effetti, si abbinano quindi interventi di iniezioni

consolidanti, che rendono più stabilizzata la composizione del terreno da trattare.

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I terreni che maggiormente possono essere influenzati dal congelamento, nei confronti del

miglioramento delle loro caratteristiche geomeccaniche, sono le sabbie e in genere i terreni granulari

fini pervii. I terreni argillosi, non potendo subire congelamento, non riusciranno a mostrare

miglioramenti delle loro caratteristiche geomeccaniche dello stesso ordine di grandezza di quelle

evidenti nei terreni sabbiosi.

Durante il congelamento del terreno non tutta l’acqua in esso contenuta è trasformata in ghiaccio, ma

una notevole parte di essa si mantiene allo stato liquido; anche per questo motivo i terreni argillosi

presentano maggiori volumi di acqua libera, rispetto a terreni sabbiosi trattati con le stesse

temperature e che presentano lo stesso grado di saturazione di acqua iniziale.

Il comportamento meccanico del terreno congelato è assimilabile a quello di un corpo con

caratteristiche elasto-plastiche, con plasticità di tipo viscoso.

Le attuali tecniche di congelamento possono ricondursi a tre tipologie differenti:

� metodo diretto;

� metodo indiretto;

� metodo misto.

Metodo diretto

Il metodo diretto è anche noto come metodo a ciclo aperto ed è quello che adotta le temperature più

basse (-194°C). Si realizza pompando azoto liquido entro apposite sonde inserite nel terreno da

congelare per mezzo di normali perforazioni. L’azoto liquido è portato in cantiere con cisterne

coibentate e trasferito in serbatoi con le stesse caratteristiche di coibentazione, in cui viene mantenuto

con pressioni di poco superiori a 1 MPa.

Con tale pressione l’azoto è spinto entro le sonde congelanti dove, liberandosi, vaporizza dopo aver

trasmesso al terreno l’energia refrigerante e si libera nell’aria con temperature ancora attorno ai -60/-

80 °C. La temperatura di -194°C è la temperatura di passaggio di stato dell’azoto alla pressione

atmosferica in cui vaporizza.

Fig. 1.4.4.4: Schema operativo di un cantiere di congelamento del terreno realizzato usando il metodo diretto

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Fig. 1.4.4.5: Schematizzazione

del metodo diretto

Le sonde congelatrici sono formate da tubi concentrici in cui viene fatto circolare l’azoto liquido, fino a

raggiungere l’ultima sonda congelatrice della batteria, da cui l’azoto vaporizza nell’atmosfera. Il

congelamento omogeneo del terreno avviene per il continuo spostamento in progressione del punto di

passaggio di stato dell’azoto liquido entro le sonde congelatrici.

In seguito alla prima fase di congelamento del terreno vi è quella di mantenimento del freddo, che

permette l’esecuzione dei lavori progettati. Il rendimento di questa tecnica, viste le bassissime

temperature ottenute, è molto alto ma sono tali anche il consumo di azoto liquido e il costo di

realizzazione di questo trattamento.

I vantaggi del metodo diretto sono l’estrema velocità che si ottiene nel raggiungere temperature di

congelamento efficaci per l’esecuzione di lavori in sotterraneo.

Metodo indiretto

Con questo sistema si adottano veri e propri impianti frigoriferi che permettono di produrre una

circolazione di liquido refrigerante nel terreno. Le temperature raggiungibili con questa tecnica sono

nettamente inferiori a quelle caratteristiche del metodo diretto, esse si aggirano attorno ai -25/-30 °C.

Si realizzano due circuiti di refrigerazione, tra cui uno primario, alimentato da gruppi di compressione

e condensazione che portano a bassa temperatura un fluido, liquefacendolo. Questo fluido liquefatto

circolando all’interno di uno scambiatore di calore vaporizza nuovamente, cedendo la bassa

temperatura accumulata al circuito secondario. Nel circuito secondario è mantenuto in movimento il

vero liquido refrigerante del terreno (salamoia), che circola entro le sonde congelatrici. I fluidi

frigoriferi usati nel circuito primario sono generalmente ammoniaca o freon ed il liquido frigorifero che

circola nel secondario è dato da una soluzione satura di cloruro di calcio in acqua. Con questi

componenti si raggiungono, come già detto, temperature di -25/-30 °C.

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Fig. 1.4.4.6: Schema operativo di un cantiere di congelamento del terreno realizzato

usando il metodo indiretto

Fig. 1.4.4.7: Schematizzazione del metodo

indiretto

Più recentemente con l’impiego di liquidi frigoriferi che hanno temperature di solidificazione molto

basse, abbinati a bassi valori della viscosità, si riescono a raggiungere con il metodo indiretto

temperature dell’ordine di -60 °C.

Utilizzando il metodo indiretto si usano le stesse sonde criogeniche usate nel metodo diretto ad azoto

liquido ed esse vengono collegate in parallelo con un collettore munito di saracinesche di regolazione. Il

rendimento refrigerante ottenuto è inferiore a quello del metodo diretto ed inoltre è necessario un

maggior tempo di refrigerazione per giungere ai risultati richiesti.

Con il metodo indiretto, a causa del lungo periodo di tempo richiesto per raggiungere le temperature

adeguate alla esecuzione dei lavori di progetto, si verificano nel terreno consistenti mutamenti

strutturali: diviene considerevole principalmente il problema del rigonfiamento. Questo sistema resta

economicamente più competitivo del precedente, in particolar modo dove può essere abbinato ad altri

lavori specializzati che lo possono integrare e completare.

Metodo misto

Il metodo misto si realizza con l’abbinamento dei due precedenti metodi, sfruttando così l’alta capacità

criogenica dell’azoto liquido (metodo diretto) che consente la veloce realizzazione del congelamento del

terreno ed il mantenimento di basse temperature con il metodo indiretto a costi accettabili. I due

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metodi vanno quindi coniugati utilizzando sempre le stesse sonde congelatrici ed abbinandone

opportunamente le linee adduttrici dei liquidi refrigeranti.

Aspetti pratici del congelamento

Il congelamento può essere utilizzato per le più svariate tipologie geometriche di intervento e per

condizioni geomeccaniche estreme. Si possono per esempio realizzare corone cilindriche di terreno

congelato entro cui effettuare scavi di fondazione o getti, evitando negli scavi la presenza di acqua

senza ricorrere alle lavorazioni entro cassoni con aria compressa.

Si possono eseguire vere e proprie paratie a protezione di strutture soprastanti scavi che interessano

terreni sotto falda sull’immediato estradosso della sezione di terreno congelato. E’ possibile eseguire il

congelamento sulla calotta e sui piedritti di cunicoli e gallerie da scavare in terreni difficili saturi

all’interno di centri abitati. Lo scavo di trincee, inoltre, è considerevolmente agevolato dal

congelamento del terreno in margine.

Le tipologie di intervento, come già ricordato, possono essere innumerevoli, ma occorre tenere presente

i due aspetti fortemente negativi del procedimento: l’alto costo di realizzazione che ne confina l’uso a

problemi geotecnici veramente non trattabili con sistemi più economici e le consistenti variazioni

strutturali indotte nei terreni in cui tale metodologia viene applicata (rilassamenti al termine del

congelamento con perdite di coesione ed aumenti di volume dei materiali congelati che si verificano

durante il trattamento).

Fig. 1.4.4.8: Esempi di applicazioni del congelamento