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La protesta sta montando da tempo praticamente in tutto il Mondo. A parte la Grecia, letteralmente in fiamme, quasi tutte le nazioni stanno sperimentando proteste più o meno veementi di persone indignate per il declino globa- le ingenerato dalla crisi e dal fatto che i vari potentati ab- biano scaricato sugli ultimi (e anche sui penultimi) le conse- guenze delle loro malefatte. In Italia, in modo molto più strisciante, il malu- more si rinvigorisce giorno dopo giorno. Ma il mainstream della protesta sem- bra concentrarsi sulla (mala) politi- ca italica e sulla “casta” amalga- mando il tutto con buone dosi di slo- gan e ispirazioni anarchiche. Per quanto le colpe del sistema politico- clientelar-mafioso vigente da tempo siano grosse, esse ri- mangono pur sempre un sin- tomo del cancro che affligge i nostri tempi, non la causa. Dagli USA alla Corea, dal- l'Australia alla Spagna, non è certo per causa del “magna- magna” o del “mercato delle vacche” in Parlamento, che i nostri omologhi stranieri pro- testano. Lo fanno, piuttosto, perché è in atto una presa di coscienza di quanto sia mar- cio e fatiscente un sistema economico (e dunque politico, visto che nel mondo delle cor- poration il secondo è una an- cella del primo) di stampo iper-liberista, in cui il libero sfogo dei più primordiali com- portamenti bestiali umani, portato all'ennesima potenza, è qualcosa da incoraggiare e innalzare sull'altare insinda- cabile del “mercato”. Garanzie e diritti acquisiti, conquiste di civiltà e di democrazia, vengono spazzate via in mez- zo mondo, costantemente adducendo motivi insulsi e chiosando “Il mondo è cam- biato”. Certo che è cambiato. E non in meglio, visto che lo stato sociale è una diligenza assaltata da tutti i governan- ti per depredarla e far qua- drare i conti di bilanci dissan- guati per salvare “il sistema economico”, identificato, ora- mai con quello bancario. La finanza speculativa e le “fabbriche di chiacchiere” hanno preso il posto di serie politiche industriali, che ora- mai pochi paesi ancora riesco- no a metter in pratica (tranquilli: non siamo tra questi), ed è diventato rarissi- mo trovare chi investe in co- noscenza e innovazione. I fatti di Roma, associati dal sistema videocratico solo ai criminali e ai teppisti, sono il segno che il cambiamento è diventato improcrastinabile, pena una pericolosa deriva verso la violenza e chissà dove ancora. Ed è per questo che di fronte ad uno scenario così vasto e generalizzato, fa tene- rezza vedere che la maniera italica preponderante di caval- care la protesta è semplice- mente quella di attaccare i politicanti, rei di esser diso- nesti e “mariuoli” . Ridurre il fermento glo- bale, in un momento in cui è possibile (e auspicabile) un cambio di paradigma economico e sociale, alla solita bagattella tra “indignados” e “indagados”, o peggio ancora allo sfogo di qualche comuni- stoide sopravvissuto al venten- nio berlusconiano, rischia solo di allungare la lista delle occa- sioni mancate. Per dirla alla Sergio Leone: “Quelli che leg- gono i libri vanno da quelli che non leggono i libri, i poveracci, e gli dicono: «Qui ci vuole un cambiamento!» e la povera gente fa il cambiamento. E poi i più furbi di quelli che leggono i libri si siedono dietro un ta- volo e parlano, parlano e man- giano, parlano e mangiano; e intanto che fine ha fatto la povera gente? La Redazione Visita il nostro nuovo sito www.mocapress.org Contattaci [email protected] MoCa (com )Press Nov e m b r e 2011 Evviva la civiltà! 2 Montella, amore mio 2 L’ingiustizia è... 2 Giornalista: come... 3 Francesco Fioretti... 3 La mia malattia... 4 Ci risiamo! 4 La classifica dei libri 4 E mò basta! 5 Relativamente 5 Sommario Leggi direttamente dal tuo telefono cellulare le ultime notizie del nostro sito, attraverso questo codice QR Indignados&indagados

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La protesta sta montando da tempo praticamente in tutto il Mondo. A parte la Grecia, letteralmente in fiamme, quasi tutte le nazioni stanno sperimentando proteste più o meno veementi di persone indignate per il declino globa-le ingenerato dalla crisi e dal fatto che i vari potentati ab-biano scaricato sugli ultimi (e anche sui penultimi) le conse-guenze delle loro malefatte. In Italia, in modo molto più strisciante, il malu-more si rinvigorisce giorno dopo giorno. Ma il mainstream della protesta sem-bra concentrarsi sulla (mala) politi-ca italica e sulla “casta” amalga-mando il tutto con buone dosi di slo-gan e ispirazioni anarchiche. Per quanto le colpe del sistema politico-clientelar-mafioso vigente da tempo siano grosse, esse ri-mangono pur sempre un sin-tomo del cancro che affligge i nostri tempi, non la causa. Dagli USA alla Corea, dal-l'Australia alla Spagna, non è certo per causa del “magna-

magna” o del “mercato delle

vacche” in Parlamento, che i nostri omologhi stranieri pro-testano. Lo fanno, piuttosto, perché è in atto una presa di coscienza di quanto sia mar-cio e fatiscente un sistema economico (e dunque politico, visto che nel mondo delle cor-poration il secondo è una an-cella del primo) di stampo

iper-liberista, in cui il libero sfogo dei più primordiali com-portamenti bestiali umani, portato all'ennesima potenza, è qualcosa da incoraggiare e innalzare sull'altare insinda-cabile del “mercato”. Garanzie e diritti acquisiti, conquiste di civiltà e di democrazia, vengono spazzate via in mez-zo mondo, costantemente adducendo motivi insulsi e

chiosando “Il mondo è cam-

biato”. Certo che è cambiato. E non in meglio, visto che lo stato sociale è una diligenza assaltata da tutti i governan-ti per depredarla e far qua-drare i conti di bilanci dissan-guati per salvare “il sistema economico”, identificato, ora-mai con quello bancario. La finanza speculativa e le “fabbriche di chiacchiere” hanno preso il posto di serie politiche industriali, che ora-mai pochi paesi ancora riesco-no a metter in pratica (tranquilli: non siamo tra questi), ed è diventato rarissi-mo trovare chi investe in co-noscenza e innovazione. I fatti di Roma, associati dal

sistema videocratico solo ai criminali e ai teppisti, sono il segno che il cambiamento è diventato improcrastinabile, pena una pericolosa deriva verso la violenza e chissà dove ancora. Ed è per questo che di fronte ad uno scenario così vasto e generalizzato, fa tene-rezza vedere che la maniera italica preponderante di caval-care la protesta è semplice-

mente quella di attaccare i politicanti, rei di esser diso-n e s t i e “ m a r i u o l i ” . Ridurre il fermento glo-bale, in un momento in cui è possibile (e auspicabile) un cambio di p a r a d i g m a economico e

sociale, alla solita bagattella t r a “ i n d i g n a d o s ” e “indagados”, o peggio ancora allo sfogo di qualche comuni-stoide sopravvissuto al venten-nio berlusconiano, rischia solo di allungare la lista delle occa-sioni mancate. Per dirla alla Sergio Leone: “Quelli che leg-

gono i libri vanno da quelli che

non leggono i libri, i poveracci,

e gli dicono: «Qui ci vuole un

cambiamento!» e la povera

gente fa il cambiamento. E poi

i più furbi di quelli che leggono

i libri si siedono dietro un ta-

volo e parlano, parlano e man-

giano, parlano e mangiano; e

intanto che fine ha fatto la

povera gente? ”

La Redazione

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Evviva la civiltà! 2

Montella, amore mio 2

L’ingiustizia è... 2

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Ci risiamo! 4

La classifica dei libri 4

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Dal 1 gennaio al 29 settembre di quest’anno negli USA sono state eseguite 37 condanne a mor-te. Il dato insieme a quello di altri stati arriva da Amnesty International in occasione della IX giornata mondiale contro la pena di morte. Trentasette non sono molte se confrontate a quelle iraniane (superano le 500, ma potrebbero essere molte di più!). Trentasette persone che, per fortuna, non potranno più far male a nessuno e che con la loro morte hanno reso “giustizia”

alle loro vittime e sanato il dolore dei familiari. Così si fa! Uno stato civile deve prendersi cura dei suoi cittadini anche e soprattutto attraverso punizioni, che possono sembrare cruente. Eh già! Solo una pena esemplare può eliminare definitivamente la possibilità che l’uomo compia azioni gravemente criminose contro un altro uomo. Come mai allora continuano ad eseguire condanne? La condanna c’è perché deve indurre a non commettere reati, ma i reati continuano ad essere commessi. Non sarà che forse la pena capitale non garantisce proprio nulla? Non sarà che forse la civiltà democratica e fortemente religiosa degli USA non solo compie un omi-cidio, ma si autoassolve legalizzandolo? E se invece si intervenisse sulla rimozione delle cause? È inconcepibile, per esempio, la facilità con cui negli USA si può comprare un’arma! Forse qualcosa potrebbe cambiare. “Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pub-

blica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'as-

sassinio, ordinino un pubblico assassinio”. Così scriveva Beccaria, quando ancora non eravamo il mondo civile occidentale. Marialuisa Giannone

Ultime dall'Italia, è ufficiale: LA GIUSTIZIA NON FUNZIONA! La situazione è piuttosto preoccupante. È inevitabile non prendere in considerazione la conclusione del caso Kercher; Amanda Knox e Raffaele Sollecito erano stati condannati a circa 25 anni di prigione per l'omicidio di Meredith. Le prove iniziali sembravano inconfu-tabili e rappresentavano uno scenario macabro: l'omicidio sarebbe avvenuto a causa di un gioco sessuale malriuscito, conclusosi con la morte della Kercher per mano dei due accusati e con la partecipazione di Rudy Guede, ad oggi ancora in prigione per concorso in omicidio. Fatto sta che Sollecito e la ora superstar americana Amanda Knox, dopo 4 anni di prigione, sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Ol-tre a domandarmi “ma allora Guede con chi ha ucciso Meredith?”, mi chiedo “ma

questi due, quattro anni in prigione, che ci sono stati a fare?!”. La nostra giustizia, indipendentemente dalla decisione finale della Corte d'Assise, ha fallito: abbiamo carcerato per quattro anni due innocenti oppure abbiamo liberato due assassini? Grande dilemma...ma attenzione! Lo stesso vale per Sabrina Misseri e sua madre Cosima! Infatti, neppure per loro esistono prove sufficienti che dimostrino la loro colpevolezza per la morte di Sarah Scazzi. Michele Misseri, intanto, va a fare i pia-gnistei in tv, lamentandosi che dorme male per via degli incubi, che alle 2 di notte viene minacciato telefonicamente e che se non liberano moglie e figlia si ammazza. Poverino. Scatta l'ennesima domanda: “quanto gli avranno dato i programmi tv per dire pubblicamente queste cose?”. A que-sto punto, credo che in Italia l'unica soluzione per scoprire i veri colpevoli nei casi di omicidio sia l'invocazione dello spirito della vittima tramite medium, in questo modo risparmieremo tempo, denaro e figuracce!

Rita Mola

Pagina 2

Lo ammetto: sono una fan del mio paese. Io sono proprio come quei figli che criticano aspramente i propri genitori, ma che in fondo provano per loro un affetto infinito. Penso che la storia odierna e, soprattutto, certi personaggi lo mortifichino non poco. La storia millenaria di Montella meriterebbe certamente più rispetto e maggiore attenzione. Noi che sia-mo il paese in cui si è fermato San Francesco, noi che siamo quel paese in cui un re (Carlo II d’Angiò) diede vita alla sua riserva di caccia (unica nel suo genere in tutta Italia!), noi che siamo quel paese che deve il suo nome ad un toponimo antico dato dai romani, noi che siamo compaesani di persone del calibro di Giovanni Palatucci, Michelangelo Cianciulli, Sebastiano Bartoli, Rinaldo D’Aquino. Ma sappiamo chi sono? Non molto tempo fa parlando con dei montellesi, mi dissero chiaramente di non sapere chi fossero tali individui, come a dire, sono coloro che danno i nomi ad alcune strade montellesi e niente di più. In concomitanza vengo

a sapere che ad una starlet dell’ultim ora montellese viene detto di aver dato lustro al nostro paese! Ho capito bene?!? Lu-stro?!? Ma per aver fatto che cosa?!? Una comparsata in tv?!? Per un attimo credo di aver capito male. Quando poi appuro che è tutto vero, penso a quel tarlo della superficialità che ormai si è insinuato in noi e, soprattutto, penso a tutti coloro che un posto nel mondo se lo sono conquistato con fatica e che hanno portato veramente in alto il nome di Montella. Voi sì, che siete il nostro orgoglio e ci date davvero lustro!

Laura Bonavitacola

L’ingiustizia è uguale per tutti

Montella, amore mio...

Evviva la civiltà!

MoCa (com)Press Novembre 2011

Page 3: MOca press bozza

momento i processi d’ideazione e scrittu-ra: non si pensa e poi in seguito si scrive, ma si scrive, mentre si pensa. Tutto di-venta più semplice e il tempo può essere dedicato al contenuto e al linguaggio. I compiti del giornalista cambiano e si

adeguano alle nuove necessità. La figura del giornalista si differenzia in rapporto al settore e all'azienda editoriale presso cui presta l’opera. Il ruolo coperto dal giornalista nell’ambito di una testata si può riassumere in poche posizioni: quello del cronista, del redattore, dell'inviato che in alcuni casi può essere speciale come quello che svolge il suo lavoro all’e-stero e dell'editorialista che spesso coin-cide con il ruolo del direttore cui spetta

Partiamo dall’inizio: la missione del giornalista è di informare la società svolgendo la funzione di mediazione tra le fonti e i destinatari del messaggio. La sua attività è fortemente condizionata dallo sviluppo delle nuove tecnologie e sembra un paradosso: Internet - il mez-zo di comunicazione più rivoluzionario dopo quello della stampa di Gutenberg - non sembra avere il consenso incondi-zionato dei giornalisti e un utilizzo ca-pillare come ci si potrebbe aspettare. La rivoluzione telematica, le reti di connes-sione hanno introdotto radicali muta-menti nell’elaborazione delle notizie, nei processi d’acquisizione delle informazio-ni e nella stessa professione giornalisti-ca. L'uso del computer, il suo potenziale innovativo e la possibilità di unificare in un solo linguaggio la parola scritta, il suono, l'immagine statica e in movimen-to e la multimedialità sono una grande opportunità per migliorare il sistema di comunicazione e con esso l’informazione per qualsiasi forma di giornalismo dalla carta stampata a quello televisiva. La videoscrittura, poi, unifica in un solo

la responsabilità della linea editoriale della testata. Un giornalista di routine sia che appartenga alla carta stampa-ta che alla televisione, può occuparsi dei più svariati argomenti. In maniera piuttosto grossolana gli argomenti di cui si occupa sono associati alle diver-se tipologie di cronaca: per cui rosa, nera, politica, degli spettacoli. Il Gior-nalista della carta stampata redige gli articoli con il linguaggio idoneo alla lettura: più descrittivo, più articolato, più circostanziato, per essere più com-prensibile. Un buon articolo ha un potenziale notevole perché è general-mente rivolto agli approfondimenti. Il giornalista televisivo ha la necessità di essere diretto, deve avere un linguag-gio più snello perché le immagini a supporto del testo assolvono buona parte dell’impegno informativo. È in-dubbio che un buon articolo abbia una potenzialità indiscutibile come un buon libro, ma non può competere sul-l’immediatezza della cronaca.

Salvatore Palermo

Pagina 3

Giornalista: come sta cambiando il suo ruolo-Prima parte (Ovvero appunti a getto d’inchiostro su tutto quello che attiene alla professione di giornalista)

Decisamente impostato sul genere dei romanzi del mistero, può essere considerato un discreto primogenito del professor Francesco Fioretti. La storia è caratterizzata dal susseguirsi di in-contri tra individui con esistenze e concezioni completamente differenti, ma tutti impegnati in un’affannosa ricerca d’identità e certezze. Giovanni, l’indiscusso protagonista, è in viaggio verso la città del proprio padre adottivo, il famoso poeta Dante. Giunto alla casa paterna ap-prende la notizia della sua morte e preso da una completa desolazione incontra Suor Beatrice, figlia legittima di Dante, che nutre dei dubbi sulle vere cause relative al decesso e che decide di incaricarlo di indagare anche sulla possibile collocazione degli ultimi tredici canti del Para-diso, dispersi irrimediabilmente. A questo punto, fa il suo ingresso l’ultimo dei personaggi principali, Bernard, ex templare in cerca del segreto legato all’Arca dell’Alleanza, convinto della figura profetica rappresentata da Dante. Affianca Giovanni e Suor Beatrice nelle ricer-che, dedicandosi soprattutto all’interpretazione del presunto messaggio contenuto nella Com-media. Di certo Fioretti tende a caratterizzare i personaggi soprattutto dal punto di vista psicologico, soffermandosi sul conflitto interiore di Beatrice e sulle angosce amorose di Gio-vanni. Ma a mio parere il personaggio più riuscito è Bernard, che affascinerà chiunque abbia un pizzico d’interesse storico. Incarna perfettamente le vesti di un cattolico trecentesco, che si riconcilia con se stesso grazie alla scoperta dell’Assoluto. I medievalisti lo adoreranno! Ultimi,

ma non meno importanti da ricordare, Gentucca e Bruno. La prima, amata di Giovanni, permette all’autore di emulare, in maniera inaspettata, la storia d’amore tra Dante e Beatrice. Il secondo, invece, arguto amico del protagonista, risulta fonda-mentale per la risoluzione dei misteri contenuti all’interno del libro. Il finale non è del tutto intuitivo e potrebbe anche esse-re commovente. C’è da dire che, nonostante la maestria nel gestire le storie individuali dei personaggi, l’intreccio narrativo tradisce in parte le aspettative. Sembra quasi il tentativo di fondere insieme più generi romanzeschi lasciando ad ognuno autonomia, ma purtroppo l’esperimento non è del tutto riuscito. L’apparato letterario-allegorico tende frequentemente ad acquistare eccessiva importanza rispetto alla trama principale e benché non manchi un certo fascino intellettuale, non si può dire che questo sia un libro eccessivamente intrigante o uno di quelli che si ricordano tutta la vita.

Francesca Pennucci

Francesco Fioretti, Il libro segreto di Dante

MoCa (com)Press Novembre 2011

Riceviamo e pubblichiamo

Inviaci un tuo articolo, lo pubblicheremo

Page 4: MOca press bozza

I ragazzini, stronzi, si divertivano a provocarlo per fargli bestemmiare la Madonna. Morì di fred-do in un prefabbricato costruito dopo il terremoto del 1980. Poi c’era il più filosofo degli Antonii che dispensava la sua saggezza e la sua esperienza con frasi ad effetto. Parlava canticchiando, era reso simpatico dal suo attaccamento al vino. Era l’unico caso di un pazzo riconosciuto furbo dal popolo forse per via della frase che diceva più spesso : “i mi fazzu li cazzi mii”, un po’ il motto del paesano medio. Fino a che non morì sfracellandosi contro un tir sulla statale Ofantina bis. Nei vicoli del paese, quasi per nascondersi, c’era il ricchione, un quarantenne in tuta mimetica che non aspettava altro che arrivassero i ragazzini a fumarsi le sigarette di nascosto per provar-ci. C’era una donna anziana che la gente associava a una specie di strega, di janara o di masciara che andava in giro con una mantella scura e un corno per richiamare i suoi cani. Ci metteva pau-ra e ci scacciava con le sue maledizioni, probabilmente a ragione, e aumentava il nostro senso di inconoscibilità di quei vicoli e quindi di scoperta dell’occulto. Il periodo della scoperta credo che finii proprio quando vedemmo la prima fica. I bambini sono stronzi, la prima volta che restai solo fu perché i soli due amici che avevo avevano appena avuto in regalo la bicicletta e mi lasciarono per quella. Restai lì sulla breccia. Intuii per la prima volta che c’era qualcosa da pensare, qualco-sa su cui riflettere ma non capivo cosa. C’era sempre il pezzo di merda che si innalzava a capobanda e a tiranno e lo sfigato maltrattato e umiliato. Io cercavo di cavarmela a non farmi trascinare verso quelli maltrattati, purtroppo mi ci ritrovavo sempre insieme, erano i migliori amici che avevo. Fabio era uno di questi, mi ritrovavo spesso a parlare con lui. Molti dei suoi cappotti gli “amici” glieli buttavano nei bidoni della spazzatura. Una volta ci buttarono anche lui per intero. Me lo ri-trovavo spesso attorno dopo scuola nel cortile in cui ci ritrovavamo, per me era il cortile di una prigione. Presto iniziarono a chiedermi perché parlavo tanto in privato con Fabio, dovevo liberarmene. L’occasione si presentò quando Fabio, che era un figlio di papà e uno snob, mi riprese con delle affermazioni spiacevoli. Non esitai a spaccargli il naso. Gli diedi un pugno con tutta la forza che avevo e lo lasciai cadere sull’asfalto nero col naso sanguinante e le lacrime. La cosa piacque a tutti gli al-tri, tanto che iniziarono quasi a festeggiarmi, in fondo era quello che volevo, così lo lasciammo lì da solo, e a terra. Quello che non avevo capito era che prima o poi avrebbero fatto lo stesso con me. Le cose per me andavano davvero bene solo a scuola. La maestra leggeva sempre i miei temi davanti a tutti e gli altri mi rispettavano.

(Continua…)

Pagina 4

Ci risiamo!

La mia malattia- Seconda parte

MoCa (com)Press Novembre 2011

La Narrativa… a cura di Luigi Capone

1. “Le prime luci del mattino” di Fabio Volo

2. “I pesci non chiudono gli occhi”

di Erri De Luca

3. “Il mercante di libri maledetti”

di Marcello Simoni

4. “Aleph” di Paulo Coelho

5. “La mia anima è ovunque tu sia”

di Aldo Cazzullo

6. “Gli ingredienti segreti dell'amore”

di Nicolas Barreau

7. “Dieci donne” di Marcela Serrano

8. “Come dire” di Stefano Bartezzaghi

9. “Io e Dio” di Vito Mancuso

10. “I menù di Benedetta” di Benedetta Parodi

Fonte: http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/

classifiche/

topli-

bri.html;jsessionid=68F7FF4D1BCBA33293042D8C6D9A15AC.a

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La Classifica dei libri

“La presente pubblicazione non rappresenta una testata

giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna pe-

riodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto edito-

riale ai sensi della legge n°62 del 7-3-2001”

E la storia si ripete. “Non ci

sono soldi ma ci inventeremo

qualcosa”. È proprio questo ciò che dovrebbe preoccupare. Non è il tempo di inventare, ma di curare! Serve maggiore cura degli affari dello Stato, quindi di tutti i cittadini e in modo particolare di chi è più bisognoso ed indigente. La parte ricca che lavora di più e che, di conseguenza, ha maggiori entrate, dovrebbe sostenere quella povera con aiuti economici reali. Investi-

re in una regione, dove lo sviluppo economico è solitamente frenato da politiche settarie e poco incisive, è uno dei modi più efficaci affinché l’intera economia Nazionale possa trarre benefici. Portarsi dietro un peso in una gara non è mai garan-zia di vittoria, anzi è un ulteriore ostacolo al raggiungimento del traguardo e al consolidamento dell’obiettivo prefissa-to. Offrire la possibilità al Sud del nostro Paese di crescere dà maggiori possibilità di salvare l’intera economia Naziona-le. Il problema fondamentalmente è questo. Ma questa volon-tà non c’è o meglio non la si intravede in nessuna mente poli-tica che dovrebbe rappresentarci, infatti è sempre più chiaro che si vorrebbe l’opposto. È una grande mancanza da parte di uno Stato Democratico evitare di risolvere con chiarezza i pro-blemi interni per poi sicuramente trovare la giusta via per uscire dalla crisi. Dovremmo guardare un po’ di più a questi problemi di reale divisione territoriale ed economica, ne va del nostro futuro come Popolo e come Nazione intera.

Annarita Gambone

Page 5: MOca press bozza

Il 15 ottobre a Roma, il Tevere, per un giorno, ha avuto un nuovo af-fluente. Una moltitudine di persone, giunte da ogni angolo d'Italia, ha indossato "vestiti e propositi migliori" per ritrovarsi in una bella giorna-ta di sole e rispondere ad eco alla chiamata mondiale che ha avuto il vezzo di brezza primaverile in mezzo ai tanti giorni invernali della so-cietà moderna. Profumi e colori si sono mescolati sulla piazza per dive-nire popolo in cammino. Dopo decenni di torpore e indifferenza una ge-nerazione composita ha ritrovato l’insonnia collettiva del “basta” che scuote coscienza e corpo. Io ero lì, tra i tanti, in coda ad un popolo non censito dalle televisioni ormai avvezze solo a celebrare il potente di tur-no e, per un giorno mi sono sentito goccia in quel fiume umano senza primi o ultimi perché, ovunque mi spostassi, sentivo di trovarmi a mio agio e di essere al centro del suo fluido scorrere. Qualcuno si chiederà perché fossimo lì. Scorrendo ad indice le emozioni di un giorno, riscopro spezzoni di risposte. Alle balbuzie di un potere sordo volevamo rispon-dere con la voce chiara e possente di chi grida la propria rabbia. Il 15 ottobre siamo stati tutti sorgente e foce di un diritto naturale ad INDIGNARSI contro una società squalo che divora intelli-genze e diritti civili in nome di un capitalismo globale che nelle regole riconosce il proprio nemico. In me, come in tutti i presenti, non vi è stato desiderio di esondazione. In quel gretto di “fiume pensante” ognuno ha trascinato la propria ingiu-stizia, un fardello comune che condiziona la quotidiana e ipoteca il futuro. Non avevamo soluzioni alle tante istanze portate in piazza. No, non era questo l’intento. Volevamo rendere evidente la vertigine provata da operaio precario, da disoccupato, da studente senza futuro, da imprenditore con l’acqua alla gola, da pensionato con un tozzo di pensione, da cassintegrato, da ricercatore barricato sui tetti per protesta nell’affacciarsi al dirupo cui sembra destinata la società moderna. Volevamo e rivendicavamo il diritto a una voce nuova con cui gridare il nostro “eccoci”. La nostra era una “volontà staffetta” da passare come testimone a chi (la politica) ha (avrà) il compito di trovare soluzioni alle legittime richieste. Poi all’improvviso la vio-lenza criminale ha preso il sopravvento e la cronaca cruda di un giorno di guerra ha soffocato in gola quel grido e quella voce che è scivolata via, giù, attraverso l'esofago mescolata all'amarezza e al sapore acre della tristezza di chi vede scio-gliersi tra le mani la speranza di un futuro migliore. Dovevamo essere le nuove trombe di Gerico che abbattono gli alti muri dell’ingiustizia sociale, ma alla fine c’è mancato il fiato, o meglio, lo hanno scippato con artigli rapaci un manipolo di delin-quenti e parassiti della peggiore specie. Resta intatto, malgrado i tristi avvenimenti, in ognuno del 99% dei presenti (come recita anche lo slogan degli indignati in tutto il mondo) il desiderio di insonnia collettivo, la festa, il fiume, i colori, la voce e la volontà di cambiare veramente e una certezza: da Roma in poi ognuno è rimasto sveglio a modo suo.

Gianluca Capra

Pagina 5

E mò basta!

Per diversi giorni il vecchio Einstein è ritornato sulle prime pagine di giornali e tg: superata la teoria della Relatività. Calma. Un gruppo di fisici sostiene che i neutrini, effimere particelle subatomiche, siano in grado di viaggiare tra Ginevra ed il Gran Sasso più velocemente di quanto faccia la luce, accumulando nei 732 km del viaggio “ben” 60 nanosecondi di vantaggio, meno di un milionesimo del tempo necessa-rio a schioccare le dita. Una differenza minima, potenzialmente capace di rimettere in discussione la Relatività di Einstein che, al contrario, considera la velocità della luce come un limite invalicabile e, su questa “certezza”, costruisce parte della più nota teoria fisica mai partorita. L'entusiasmo è naturalmente tanto, ma la comunità scientifica impie-gherà qualche mese per rispondere in modo convincente alla domanda più diffusa: i neutrini hanno viaggiato effettivamente più veloci della luce oppure c'è stato un “errore” nella misurazione? Di certo, possiamo già constatare l'inadeguatezza del nostro Ministro dell'Istruzione e della Ricerca e/o dei suoi collaboratori, convinti di aver finanziato con

45 milioni di euro un tunnel per neutrini di 700 km, ovviamente mai esistito né utile agli stessi neutrini capaci di attraver-sare da soli la crosta terreste. Insieme alla figuraccia del ministro, piovono i festeggiamenti in alcuni ambiti ecclesiastici per il “colpo alla relatività ma soprattutto allo scientismo” rei, la prima di essere “un castello di carte” e il secondo di “confezionare certezze assolute basate sulla facile consuetudine”: roba da far rabbrividire i vivi e far rivoltare nella tomba i morti. Feynman, una delle menti più illuminate dello scorso secolo, era solito affermare: “io ho risposte approssimative,

ipotesi ragionevoli e diversi gradi di certezza su alcune cose, ma non sono assolutamente sicuro di nulla”. Potrà anche esse-re difficile da accettare per i cultori del dogmatismo, ma la scienza è fatta così.

Carmine Di Rienzo

RelativaMente

MoCa (com)Press Novembre 2011

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