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322 , Goiânia, v. 13, n. 2, jul./dez. 2015. 322 Luigi Schiavo** Resumo: o midrash é o método típico de ler a bíblia dos hebreus. O seu fundamento é a visão cíclica da história, onde o acontecimento central, a presença de Deus na história, é continuamente atualizado oferecendo sempre novos significados às várias situações da vida. O passado é fundamental para entender o presente e intuir o futuro. Tal hermenêutica forneceu aos autores cristãos a base para descrever a figura de Jesus, como realização e convergência das promessas e profecias do Antigo Testamento. Palavras-chave: Midrash. Bíblia. Hermenêutica. Judaísmo. Cristianismo. LA VISIONE DELLA STORIA COME PRINCIPIO ERMENEUTICO L ’ermeneutica biblica ebraica dipende dalla sua visione della storia e dalla ciclicità della vita e del cosmo: ciò che è stato, sempre sarà, ed il futuro non sarà mai di- verso dal passato: il passato si rappresenta, anche se in modo diverso nel futuro, come sua figura e tipo. Nella rappresentazione ciclica della storia, non c’è niente di nuovo, perché tutto, prima o poi, sarà rappresentato di nuovo, come una ruo- ta che gira senza fermarsi mai. Questo concetto si differenzia dalla concezione moderna della storia, basata sull’idea di progresso: qui il passato non ritorna più, perché la vita è sempre qualcosa di nuovo, come una freccia lanciata in avanti, in un impulso verso l’infinito. La concezione ciclica della storia afferma che il passato è decisivo per capire il fu- turo, perché “la verità delle cose si trova più nella relazione delle cose tra di MIDRASH ED HERMENEUTICA BÍBLICA - L’ESEMPIO DELLA “COSTRUZIONE” DELLA FIGURA DEL MESSIA NEI VANGELI DELL’INFANZIA DI MATTEO E LUCA* ––––––––––––––––– * Recebido em: 06.06.2015. Aprovado em: 27.06.2015. ** Diretor da Università di la Salle di San José, Costa Rica.

MIDRASH ED HERMENEUTICA BÍBLICA - L’ESEMPIO DELLA

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322 , Goiânia, v. 13, n. 2, jul./dez. 2015.322

Luigi Schiavo**

Resumo: o midrash é o método típico de ler a bíblia dos hebreus. O seu fundamento é a visão cíclica da história, onde o acontecimento central, a presença de Deus na história, é continuamente atualizado oferecendo sempre novos significados às várias situações da vida. O passado é fundamental para entender o presente e intuir o futuro. Tal hermenêutica forneceu aos autores cristãos a base para descrever a figura de Jesus, como realização e convergência das promessas e profecias do Antigo Testamento.

Palavras-chave: Midrash. Bíblia. Hermenêutica. Judaísmo. Cristianismo.

LA VISIONE DELLA STORIA COME PRINCIPIO ERMENEUTICO

L’ermeneutica biblica ebraica dipende dalla sua visione della storia e dalla ciclicità della vita e del cosmo: ciò che è stato, sempre sarà, ed il futuro non sarà mai di-verso dal passato: il passato si rappresenta, anche se in modo diverso nel futuro, come sua figura e tipo. Nella rappresentazione ciclica della storia, non c’è niente di nuovo, perché tutto, prima o poi, sarà rappresentato di nuovo, come una ruo-ta che gira senza fermarsi mai. Questo concetto si differenzia dalla concezione moderna della storia, basata sull’idea di progresso: qui il passato non ritorna più, perché la vita è sempre qualcosa di nuovo, come una freccia lanciata in avanti, in un impulso verso l’infinito.

La concezione ciclica della storia afferma che il passato è decisivo per capire il fu-turo, perché “la verità delle cose si trova più nella relazione delle cose tra di

MIDRASH ED HERMENEUTICA BÍBLICA - L’ESEMPIO

DELLA “COSTRUZIONE” DELLA FIGURA DEL MESSIA

NEI VANGELI DELL’INFANZIA DI MATTEO E LUCA*

–––––––––––––––––* Recebido em: 06.06.2015. Aprovado em: 27.06.2015.** Diretor da Università di la Salle di San José, Costa Rica.

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loro che nelle cose stesse, poiché la relazione non è solo nello spazio come anche nel tempo” (SACCHI, 2010, p. 113). Così, per esempio, il re David non è solamente l’antenato del messia, ma si trasforma nella sua figura, nel suo tipo e modello. La storia non è una mera sequenza di eventi slegati tra i loro: il suo significato trascende il momento storico dell’evento, andando a far parte di un senso più ampio, un progetto che è predisposto, controllato e guidato da Dio. Quel Dio che è signore della storia, a differenza degli dèi dei popoli vicini, che abitano i cieli e che sono lontani ed estranei alla storia. Il dio biblico, al contrario, è un dio presente, solidale, compagno di viag-gio, che non si isola nel suo cielo, ma “vede, sente, conosce la situazione di sofferenza del suo popolo e così scende per liberarlo” (Es 3,7-8). E’ un dio compromesso, che non ha paura di sporcarsi le mani con la storia “piccola” e insignificante del suo popolo. In questo senso dobbiamo capire che il punto più alto di tutta la storia biblica è l’incarnazione di dio in Gesù di Nazareth e la sua morte in croce. La teologia della kenosis è la rivelazione più alta dell’identità del dio biblico.

La liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, attraverso l’epopea dell’esodo, diventa, perciò, l’evento fondante della religione biblica, perché vi si rivela il vol-to di questo Dio compromesso; è questo l’evento sociologico che segna l’origine del popolo di Dio, e la marca iniziale della sua relazione/reli-gione (da “re-ligare”) con il dio JHWH. In effetti, l’esodo si trasforma nell’evento tipico e tipologico di tutta la bibbia, il riferimento ultimo di tutti gli avvenimenti passati, presenti e futuri. Significa che tutta la sto-ria biblica sarà interpretata alla luce di questo grande evento iniziale, che rivela e manifesta l’identità del dio biblico e del suo popolo. I successivi eventi che riguardano il popolo biblico non saranno altro che ripresentazio-ni dell’evento iniziale, nuovi esodi, nei quali ci sarà sempre una schiavitù da cui uscire, ed un dio che spinge, favorisce e orienta questa uscita. Così, la Bibbia afferma che la vita non è nient’altro che un grande esodo, fatto di tanti piccoli esodi specifici nei quali si sviluppa la storia del popolo ebreo, prima, e dei cristiani, dopo. E’ come se l’esodo fosse il perno della ruota, che dà senso e unità a tutta la storia biblica.

IL METODO EBRAICO DI INTERPRETAZIONE DELLE SCRITTURE (MIDRASH)

Per gli ebrei, il testo sacro è la cristallizzazione per eccellenza della concezione che essi hanno della storia ed il pio ebreo credeva che la Torah contenesse l’unica, immutabile e definitiva rivelazione di JHWH e che perciò qualsiasi problema trovava in essa la sua soluzione2: per questo era necessario perscrutare il testo

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alla ricerca della parola di Dio in relazione alle singole situazioni storiche. Passato e presente non sono importanti nella Bibbia, perché il significato del testo, che va oltre il suo senso letterale, è eterno: “la Bibbia deve essere con-tinuamente attualizzata e l’interprete è chiamato ad evidenziare incessante-mente il significato del testo, e dunque della storia biblica, per il suo tempo. D’altra parte, l’attualizzazione non aggiunge al testo un nuovo significato, non gli attribuisce qualcosa, ma mette semplicemente in luce, estraendo da quella pienezza di senso che vi si trova, i contenuti che sono particolarmente rile-vanti per il presente” (STEMBERGER, 1992, 30). Testo e storia sono interdi-pendenti: l’uno necessita dell’altro, perché la storia, a partire dalla presenza e dalla rivelazione di Dio, è e sarà sempre una chiamata ad un nuovo esodo verso la libertà e la vita: ecco il nucleo e il senso della religione giudaica, che offre nel libro sacro, la bibbia, il modello ed il metodo dell’interpretazione di questa storia che sarà sempre una storia sacra.

Tale ermeneutica della vita e della storia, dà origine al metodo tipico dell’ermeneutica biblica ebraica: il midrash. Questo termine viene dal verbo darâsh3 (רדמ), che nell’ebraico biblico significa scrutare, esaminare, cercare, studiare, in-terrogare; e per conseguenza, il sostantivo derivato midrash designa anche il risultato di tale studio o ricerca. Il midrash era il metodo esegetico con-sacrato e adottato dai rabbini, nei loro commenti del testo sacro. Tuttavia, il metodo è anteriore ai rabbini4, potendo essere considerato una delle chiavi ermeneutiche di tutta la bibbia, cioè uno dei suoi fondamenti esegetici ed ermeneutici.

Altro elemento che contribuisce al sorgere di questo metodo esegetico è la difficoltà della scrittura ebraica che utilizza solo consonanti: può presentare vari pro-blemi e indicare cose differenti (ad esempio, le radicali sfr possono indicare “libro” come “barbiere”). Sia nella lettura che nella traduzione, il testo deve quindi essere interpretato, fatto che dà luogo a posizioni ermeneutiche diverse, sostenute dai vari studiosi e rabbini.

Ma, il midrash non è una semplice lettura di un testo che può portare al dogmatis-mo e al fondamentalismo: è sempre un andare oltre le semplici parole, è interpretazione. La lettura midrashica chiama quindi alla responsabilità dell’interpretazione, perché il comandamento biblico “non avrai altri dèi” si riferisce anche al pericolo dell’idolatria delle idee e delle credenze. Il midrash, attento al divenire della storia, alle contraddizioni delle scritture, alle ansie della vita, al silenzio di Dio, rappresenta, perciò, la libertà dello spirito che impedisce che i significati che emanano dal testo si chiudano e diventino dog-mi. E’ la libertà di pensiero, movimento ermeneutico orientato a garantire la libertà di interpretazione, perché “non ci siano altri dèi” che ti trasformino in un altro, in un’altra persona.

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Caratterizzazione del Metodo

Il metodo midrashico è il risultato di un lungo processo “che comincia sostanzialmente con la stessa Bibbia. Le spiegazioni del testo biblico non cominciano infatti solo quando la Bibbia è già completa in tutte le sue parti, ma l’accompagnano in tutta la sua storia in un multiforme processo, nel quale i testi precedenti vengono spiegati dai testi che li seguono e questi, a loro volta, vengono fatti oggetto di ulteriori spiegazioni e sviluppi. La Bibbia dunque non è una realtà statica che poi debba essere spiegata, ma il risultato di uno sviluppo dinamico fatto di continue spiegazioni” (STEMBERGER, 1992, p. 11).

Ci sono per esempio, tradizioni che sono reinterpretate e rielaborate in continuazione: è il caso del testo del decalogo che appare en Es 20 e che Dt 5 ripresenta nuovamente con accenti ed interessi differenti, a seconda della necessità. Uno dei temi dove la rielaborazione si rende più visibile è la storia di Israele: la tradizione del cronista, che sta all’origine dei libri delle Cronache si presenta come “un midrash dell’opera storica deuteronomista che si estende da Giosuè ai libri dei Re. Evidentemente il cronista può aver utilizzato anche altre fonti, ma è chiaro che, nella sua scelta e nelle sue sottolineature, egli reinterpreta la storia precedente, ponendo al centro interessi sacerdotali, quali il culto e la musica liturgica, oltre che la tesi secondo cui il premio e il castigo divino trovano immediata applicazione nel corso della storia” (STEMBERGER, 1992, p. 12). Senza dimenticare che la stessa opera deu-teronomista era il risultato della fusione tra loro di varie tradizioni precedenti. Tale processo si ripete in molti testi biblici che trattano il tema dell’interpretazione della storia: Ez 16, Os 11-12, Sl 66, 105,104, per ricordarne alcuni. E per altri temi, come quello dell’esodo che, come abbiamo già detto nel paragrafo precedente, diventa una delle chiavi di lettura della storia di Israele e rappresenta l’evento originario della religione giudaica. Risulta chiaro che fin dall’inizio, certi avveni-menti, tradotti poi in testi scritti e libri, divengono normativi nella storia di Israele: “per questo non sono stati sostituiti con testi nuovi, ma sono stati continuamente adattati e riscritti, collegando ad essi sempre nuove tradizioni, fino a giungere a considerare l’intero testo biblico come un tutto unitario, nel quale singole parti componenti sono state collegate fra loro e utilizzate per la reciproca comprensione. Ora è proprio questa concezione della Bibbia come unitaria rivelazione di Dio a costituire il fondamento della tradizione ebraica per quanto riguarda l’uso del testo sacro e quindi dello stesso midrash rabbinico” (STEMBERGER, 1992, p. 13).

Il Midrash nel Corso della Storia Giudaica

Il metodo esegetico del midrash si esprime anche nelle traduzioni della Bibbia (i Set-tanta, dall’ebraico al greco e i Targumim, dall’ebraico in aramaico) che hanno

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come finalità quella di adattare le tradizioni antiche ai nuovi presupposti cultu-rali, e i contenuti morali ai nuovi valori (Ne 8,8). Ciò fa della Septuaginta “la forma più antica di midrash giunto fino a noi” (espressione di S. Lieberman, in: Stemberger, 1992, 14). In questo senso, si deve interpretare l’aggiunta dei 7 libri deuterocanonici al canone ebraico (Gd, Tb, 1-2 Mac, Sap, Sir, Bar), e i numerosissimi testi apocrifi e psuedoepigrafici del giudaismo intertestamenta-rio (non inclusi nel canone ebraico): non sono che rielaborazioni, a modo loro, della tradizione biblica.

Però, poco a poco, oltre al senso letterale del testo emerge anche l’importanza del senso spirituale. In Qumran, per esempio, dove la comunità si considerava deposita-ria delle promesse antiche ed era convinta di vivere il momento escatologico finale, la lettura della bibbia privilegiava elementi della legge e della morale che legittimavano le sue pretese, e considerava il suo capo-fondatore, il “Ma-estro della Giustizia”, l’interprete per eccellenza di misteri divini, che solo a lui furono rivelati, tra i quali il calendario liturgico. Tra i documenti del Mar Morto sono stati incontrati numerosi commenti biblici, che sempre partono dalla citazione di un testo biblico per passare poi al commento vero e proprio, preceduto dal termine “pishro”, “sua interpretazione”. Il commento si avvale anche del ricorso ad altri testi biblici, però sempre con la finalità di mostrare la relazione tra testo e realtà. Tali commenti di Qumran sono conosciuti col nome pesher.

Anche lo storico giudeo Giuseppe Flavio, nelle sue Antichità Giudaiche, rivela un suo modo proprio di citare il testo biblico, dipendente e in linea con la tradizione midrashica, amplificando il proprio testo e accentuandolo secondo i suoi inte-ressi, soprattutto moraleggianti. Mentre Filone di Alessandria, ricava il senso spirituale del testo biblico attraverso l’interpretazione allegorica.

Il midrash, come metodo esegetico di lettura e interpretazione della Bibbia, si impone definitivamente con scuole rabbiniche tra I e VI secolo d.C. Poco a poco, la parola midrash, passa ad indicare anche il risultato dello studio biblico reali-zzato in queste scuole: i commenti giuridici, esegetici e omiletici del Tannaj (la Bibbia ebraica), con la finalità di rendere comprensibili testi antichi, e sve-lare il significato profondo della Torah. I risultati di questa tradizione sono il midrashim, cioè le spiegazioni libere e orali del testo sacro data da antichi saggi, le quali sono state in seguito raccolte in collezioni e organizzate in forma di commentari scritti. Sono di due tipi: quelle che raccolgono le norme giuridiche (Midrash Halachá) e quelle di carattere narrativo, omiletico, mora-lizzante o edificante (Midrash Haggadáh). Quest’ultima raccoglie contenuti diversificati: filosofici, mistici, disquisizioni sugli angeli, demoni, il paradiso, l’inferno, il Messia, Satana, le feste e i digiuni, parabole, leggende, ecc. En-trambi i tipi di Midrashim (halachico e haggadico) daranno origine alla Tradi-

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zione Orale, che si cristallizza, tra i sec. II e III d.C., nella Mishnah e, tra i sec. III e IV, nel Talmud (SCHIAVO, 2010, p. 71-5). E’ la cosiddetta “tradizione dei padri”, cioè la raccolta delle leggi e decisioni stabilite dai dottori della le-gge indipendentemente dal testo biblico e che abbracciano tutti i campi della vita civile e religiosa (BANON, 2001, p. 69).

Nel midrash rabbinico, il testo biblico è essenziale e si basa su due fondamenti (BA-NON, 2001, p. 91): uno, soggettivo (machloqet), perché il senso di un testo è il risultato di un dialogo tra un maestro e i suoi discepoli o un dialogo tra maestri. Il senso va sempre al di là delle singole persone: il maestro estrae dal testo solo una parte del significato, l’altra parte dipende dal suo interlocutore. Il secondo fondamento è il dialogo tra testi (ghezerà shawa), e traduce l’analogia semantica: “essa permette a un testo di non essere mai soltanto se stesso, ma di rappresentare sempre più di un testo. Perché un testo non respira mai solo, è preso in una rete di testi che si riversano in esso, da tutte le parti e ai quali fa appello per esprimersi al meglio. Il testo non è un oggetto chiuso e finito, continuamente si fa e disfà, si elabora attraverso un intreccio perpetuo. Si situa alla confluenza di diversi testi, dei quali è insieme la rilettura, l’accentuazione, la condensazione, il trasferimento e l’integrazione” (BANON, 2001, p. 92).

IL MIDRASH COME METODO SPECIFICO DI INTERPRETAZIONE DEI PRIMI CRISTIANI

Il midrash è stato anche il metodo di interpretazione biblica dei primi cristiani, di ori-gine giudaica. E’ stato attraverso questo strumento che essi conseguirono una nuova interpretazione dell’evento relativo a Gesù di Nazaret, inteso come Fi-glio dell’uomo, il messia atteso, il Figlio di Dio. Vediamo quali furono i passi di questo cammino interpretativo per il quale passa la fede in Gesù come il Cristo.

Il Nuovo Testamento si compone di 27 scritti, redatti in circa un secolo (dal 40 al 150). Per rafforzare la loro idee e affermazioni, gli scrittori cristiani ricorrono ab-bondantemente alla Bibbia ebraica, “facendo del Nuovo Testamento qualcosa che alcuni non esitano a definire un midrash cristiano delle scritture” o, come dirà Agostino “Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, l’Antico è rivela-to nel Nuovo” (BANON, 2001, 48-49).

Si tratta soprattutto di “citazioni di compimento” (Stemberger, 1992,22-24), che es-primo l’idea dell’adempimento delle profezie antiche: in questa maniera, la comunità cristiana antica esprimeva la coscienza, presente del resto a Qumran, di vivere alla fine dei tempi. Ma, sarà soprattutto l’evento di Gesù di Nazaret, e specialmente la necessità di comprensione di un fatto così drammatico, brutale e impressionante come la sua morte di croce, che stimolerà la ricerca di spie-

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gazioni, ricorrendo all’Antico Testamento e alla rilettura della storia biblica. La caratteristica più importante del midrash cristiano è dunque l’affermazione della centralità di Cristo nel piano della salvezza, presupponendo che tutta la Bibbia non solo parli di lui, come anche che tutte le profezie antiche trovino piena realizzazione in lui. La legittimazione di questa idea, che sarà alla base della fede cristiana, si impone attraverso il ricorso all’Antico Testamento, che è totalmente riletto e interpretato, servendosi del metodo midrashico, a partire dall’evento di Gesù di Nazaret.

Este processo appare in differenti situazioni, come: il compimento delle scritture “Cris-to è morto per i nostri peccati, secondo le scritture, ed è stato sepolto. E’ ri-suscitato il terzo giorno, secondo le scritture” (1Cor 15,3-4); nella rilettura dell’AT come figura e modello di Cristo (i personaggi di Adamo, Mosè, Dvide, Salomone, Elia, il Servo/Giusto sofferente, ecc.); la rilettura della storia (Ste-fano, in At 7), e la ricostruzione dell’infanzia di Gesù (vangeli dell’infanzia).

Attraverso il midrash, i primi cristiani “ricostruiscono” gli eventi relativi alla vita di Gesù raccogliendo e mettendo insieme citazioni di testi dell’Antico Testamen-to. E’ come un enorme mosaico i cui tasselli vengono da tradizioni differenti ma, una volta insieme, compongono una figura che già contiene in sé la fede e ciò che i primi cristiani pensavano di Gesù. Più che la storia, interessava mostrare ciò che credevano che fosse, perché era venuto e come aveva svolto la sua missione. Siamo nell’ambito della teologia più che della storia.

Ci soffermeremo ora ad analizzare la ricostruzione dell’infanzia di Gesù nei vangeli canonici, rimandando altri esempi a sucessivi approfondimenti.

RICOSTRUZIONE DELL’INFANZIA DI GESÙ

All’interno del Nuovo Testamento, i vangeli dell’infanzia rivestono una importanza straordinaria, per ricostruire l’origine di Gesù e dimostrare la sua nascita pro-digiosa e, soprattutto, la sua divinità. Se le informazioni che abbiamo su Gesù riguardano quasi solo la sua vita pubblica, durante gli ultimi tre anni della sua vita, i vangeli dell’infanzia procurano riempire il vuoto precedente, tentando di immaginare come potrebbe essere stata la sua vita anteriore, soprattutto la sua infanzia. Partendo dal presupposto della sua origine divina, tentano con-ciliare la sua natura divina con la umana: il risultato sono storie abbastanza fantasiose che hanno contribuito con la messa all’indice, come apocrifi, di numerosi di questi testi, che riunivano diversi racconti relativi all’infanzia di Gesù5. Sono composizioni posteriori (del II secolo in poi), dove l’autore sacro combina insieme l’elemento biblico (citazioni dall’AT) con il dato della fede: il risultato non è un racconto storico, bensì narrazioni teologiche che procu-rano dimostrare l’identità e la missione di Gesù. Volendo definire il genere

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letterario di questi testi, li si potrebbe considerare, secondo l’opinione di I. Heinemann “narrazioni storiche creative”, dove “le citazioni bibliche servono a ricostruire un racconto prima sconosciuto e l’affermazione centrale di simi-li racconti sarebbe, di conseguenza, la realizzazione in Gesù dei determinati passi biblici, ma non il risultato concreto di fatti realmente accaduti” (STEM-BERGER, 1992, p. 24). In questo senso sono frutto del metodo midrashico di interpretazione della Bibbia. Attingono le loro informazioni dall’Antico Tes-tamento, nei racconti di nascite prodigiose (Mosè, Isacco, Giacobbe ed Esaù, Samuele, ecc.) e da altre tradizioni provenienti da popoli del vicino Oriente, dove il genere letterario “racconto dell’infanzia” era abbastanza attestato, ad es.: il racconto della nascita di Sargon di Accad (2334-2279 a.C.), che influis-ce sul racconto della nascita di Mosè (Es 2) e di Ciro II (559-529), fondatore dell’impero persiano, la cui storia è stata raccontata da Erodoto. Si tratta in ogni caso di personaggi importanti dei quali si pretende mostrare, in questi racconti, il favore e l’appoggio divino.

La tradizione canonica ci presenta i vangeli dell’infanzia di Matteo e Luca. Pur avendo attinto alle medesime tradizioni, presentano un “taglio” specifico, proprio del contesto sociale, religioso e letterale di ogni singolo evangelista.

Il Vangelo dell’Infanzia di Matteo

Commentiamo, in sequenza, i singoli episodi che compongono il vangelo dell’infanzia di Matteo (1-2), riportando i riferimenti specifici all’AT.

* 1,1-17. Matteo, inizia il suo vangelo con la genealogia che ha lo scopo di mostrare un Gesù figlio del suo popolo: di Abramo e di Davide. La divisione in tre gru-ppi di 14 generazioni è simile allo schema delle genealogie dei rabbi Hillel e Shammai (I sec. d.C.), la cui origine era fatta risalire a Mosè (1Cr 5,29-41; Ne 12,8-11). Matteo sta paragonando Gesù ai grandi rabbini contemporanei, il cui riferimento a Mosè, li legittimavano come interpreti autorevoli della Legge (Schiavo, 2010, 72).

* 1,18-25. La storia riguardante Giuseppe, che accoglie nella sua casa Maria, già incin-ta per opera dello Spirito Santo, oltre a dare una copertura legale a una nascita così“strana”, serve per legare Gesù alla discendenza di Davide, della quale Giuseppe è discendente (1,20). Ciò è confermato anche della citazione di Is 7,4, una profezia diretta al re giudeo Acaz da parte del profeta Natan in occa-sione dell’accerchiamento di Gerusalemme da parte dell’esercito assirio (735 a.C.). Il profeta annuncia che la giovane sposa del re (almah, in ebraico, che può essere intesa anche come “vergine”), resterà incinta, alludendo alla pos-sibilità di un futuro, nonostante la guerra. Tale profezia acquistò un carattere messianico e fu riferita all’avvento del futuro messia, discendente di Davide.

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Lo stesso termine “Emmanuele” che la madre darà al figlio è da considerarsi un nome teo-forico, portatore della benevolenza o favore di Dio, fatto molto comune nel mondo giudaico, Matteo lo usa per giustificare l’origine divina di Gesù (1,20-23) . Attraverso questo episodio, Matteo afferma che Gesù, quale discendente diretto di Davide, e per la sua nascita miracolosa, è il messia at-teso.

* 2,1-12. Questo brano riporta il racconto della nascita di Gesù, sottolineando il luogo, Betlemme (2,1), città di origine di Davide (1Sam 16,1-13), che secondo la profezia citata di Michea, avrebbe dato i natali al messia (5,1). Però, storica-mente, Gesù, avrebbe potuto molto bene non essere nato a Nazareth, come lo stesso Vangelo sembra alludere (Mt 2,23, Giovanni 1,45-46, 7,41-42). Ciò conferma che il testo biblico non è interessato al luogo geografico della nascita di Gesù, ma all’affermazione teologica che Egli è il messia davidico promesso e sperato per la fine dei tempi: per questo, il testo mette in relazione la sua nascita alla città di Betlemme.

La contestualizzazione “al tempo del re Erode” (2,1) è un midrash haggadico della persecuzione del faraone d’Egitto al tempo della nascita di Mosè (Es 1-2) ed il rifiuto che lui e la città di Gerusalemme oppongono a Gesù contrasta con l’accoglienza dei magi venuti dall’oriente: si compiono così anche le profezie di Isaia 60,1-6, 49,23 e del Salmo 72,10-11.15 che annunciavano, per la fine dei

tempi, l’arrivo nella città santa di re stranieri su cammelli e dromedari, portando tesori, oro e incenso.

L’apparire della stella nel cielo si riferisce alla “profezia della stella” di Balaam che annuncia il sorgere di un astro da Giacobbe, un re che distruggerà i nemici (Num 24,17). In oriente, la nascita di grandi personaggi (Alessandro, Augus-to) era descritta con il sorgere di una stella nel cielo e indicava il loro carattere divino. Tuttavia, possiamo intravvedervi anche la realizzazione delle profezie post-esiliche relative al resto santo o al “servo di Dio”, definito “luce delle nazioni” (Is 42,6; 49,6) e la cui missione è portare la salvezza a tutti i popoli.

* 2,13-23. La conclusione del vangelo dell’infanzia, ripropone simbolicamente, in Gesù, il cammino di Mosè e del popolo: il massacro degli innocenti da parte di Erode e la fuga in Egitto (13); il ritorno (14-18), dopo che coloro che volevano la morte del bambino morirono (il faraone: Es 4,19; Erode: Mt 2,19).

Molto interessante è la citazione di Osea 11,1: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”, che allude all’esperienza affettuosa, di profonda relazione tra Dio ed il suo popolo. Matteo, oltre a rifarsi all’esperienza di Mosè, implicita nel riferimento all’Egitto, potrebbe indicare con questa frase, la stretta relazione di intimità tra Gesù e Dio, come di padre a figlio. La citazione di Geremia 31,15, allude alla memoria del dolore di Rachele per i suoi figli in esilio. La figura di Ra-

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chele, richiama alla memoria Giuseppe, altro personaggio famoso a cui Gesù è paragonato: figlio di Rachele e Giacobbe, Giuseppe è venduto come schiavo agli egiziani e diviene un importante ministro del faraone. Il suo esilio finirà solamente con la sua morte, quando i suoi fratelli raccoglieranno le sue ossa e le porteranno di ritorno a Canan (Gn 50,25).

La morte del persecutore (Erode, in Mt 2,19, come il faraone di Esodo 2,23) rappresen-ta il fine di un momento e l’inizio di una fase nuova, che si concretizzano con la chiamata al ritorno e la dimora a Nazaret (19-23). La parola “Nazaret” può avere due significati: il primo “la consacrazione a Dio” col voto del nazirea-to (nazìr, Num 6), come Sansone (Giudici 13,5-7); l’altro come “germoglio” (nèzer), che appare in Is 11,1 riferito al germoglio messianico che sorgerà dalla casa di Iesse. La profezia afferma che “egli sarà chiamato nazareno”, cioè: sarà consacrato a Dio e sarà un nuovo germoglio, che allude ad una nuo-va storia. Gesù, come Mosè, come Davide è quindi lo strumento di qualcosa di meraviglioso che sta succedendo e che cambierà il corso della storia anteriore.

Riassumendo, il vangelo dell’infanzia di Matteo pretende descrivere Gesù a partire dalle storie di Giuseppe, Mosè e Davide, sottolineando soprattutto due elementi della sua missione: il messianismo davidico (“figlio di Dio”) e il profetico che, come Mosè, è messo in relazione alla Legge. L’obiettivo di questa narrazione è quindi legittimare la figura storica di Gesù di Nazaret come l’inviato di Dio ed il ver-dadero interprete della legge divina. I cristiani di Matteo stanno dialogando con vari gruppi giudaici che rivendicavano ciascuno la corretta interpretazione della legge: la comunità di Qumran, che si rifaceva alla figura messianica del “Ma-estro della Giustizia”; ed i farisei che, dopo il 70, attraverso le grandi figure di rabbì, reclamavamo per i proprio gruppo l’autorità sulla legge mosaica.

Il Vangelo dell’Infanzia di Luca

Luca struttura il suo vangelo dell’infanzia (Lc 1-2) in modo molto differente di Matteo: per lui è importante mostrare la continuità con l’Antico Testamento, ma anche la superiorità di Gesù rispetto il passato, perchè in lui si realizzano le antiche profezie. Per questo, Luca mette in parallelo Giovanni Battista, ultimo rap-presentante dell’AT e Gesù, con il quale comincia una nuova fase della storia.

Lo schema di Luca risulta quindi il seguente: Avvenimenti Giovanni Gesù annunciazioni 1,5-25 1,26-38 Incontro tra Elisabetta e Maria 1,39-45 Inno di Maria (Magnificat) 1,46-56

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nascite 1,57-58 2,1-20 Circoncisione 1,59-66 2,21 Inni 1,67-79 (Zaccaria) 2,22-38 (Simeone ed Anna) Vita occulta 1,80 (nel deserto) 2,39-40.51-52 (Nazaret) Incontro con i dottori al tempio 2,41-50

Nella prima parte, delle annunciazioni, tutto ruota attorno alle persone coinvolte nella trama, che fanno parte di un progetto più ampio che si rivela nel significato dei loro nomi: Zaccaria (“Dio si è ricordato”), Elisabetta (“Dio ha giurato”), Gabriele (“Dio è forte”), Maria (“amata”), Giuseppe (“fecondità”), Giovan-ni (“Dio è misericordia”), Gesù (“Dio salva”), Simeone (”mandato da Dio”), Anna (“Graziosa”). La sterilità di Elisabetta è segno dell’aridità dell’antica alleanza, ormai incapace di generare nuova vita; la presenza di Zaccaria nel tempio, al momento del sacrificio, e il suo diventare muto rappresentano il silenzio di Dio che durava da circa 300 anni (dall’ultimo profeta Malachia), ed ora rotto dall’intervento divino. Zaccaria ed Elisabetta richiamano vari per-sonaggi dell’Antico Testamento: Abramo e Sara, anche loro sterili e fecondi in tarda età (Gn 18,11). Elisabetta è per Luca l’ultima matriarca dell’AT a ge-nerare per intervento divino: è paragonata a Sara, madre di Isacco; a Rebecca, madre di Giacobbe; a Rachele, madre di Giuseppe; a Manoah, madre Sansone; ad Anna, madre di Samuele. Maria, a differenza di queste donne, non è sterile, bensì vergine (Sof 3,14-18): in lei il nuovo ha inizio!

Nell’incontro tra le due madri, l’AT, nella persona di Elisabetta, riconosce la presenza di Dio in Maria, che prorompe nell’inno di lode (il Magnificat), che canta la “misericordia” di Dio in favore dei piccoli e dei poveri”.

Le due nascite segnano il passaggio ad un nuovo tempo (1,57), il tempo della mi-sericordia di Dio (significato del nome “Giovanni”: 1,72.78), della visita di Dio (1,68) e della salvezza (significato del nome “Gesù”: 2,11.21). Questo nuovo momento è cantato da Zaccaria (1,67-79), che sottolinea in 12 verbi l’azione straordinaria di Dio, che “si è ricordato (significato del nome “Zac-caria”) della sua alleanza e del giuramento (significato del nome “Elisabetta”) fatto ad Abramo (1,72). La nascita di Gesù caratterizza l’azione di Dio che privilegia un’altra storia, differente dall’ufficiale; si realizza in altri luoghi, che agli occhi del mondo non valgono niente; e si serve di altri attori: Maria e Giuseppe, che non trovano casa a Betlemme, ed i pastori, che vivevano ai margini della società. Il sottofondo midrashico della storia di Gesù è la storia di Samuele, che si svolge attorno al santuario: dal canto del magnificat di Ma-ria, che ricorda il cantico di Anna (1Sam 2,1-10); alla presentazione al tempio (1Sam 1,12-2,11); alla descrizione della crescita (1Sam 2,21.26).

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Alla fine del suo vangelo dell’infanzia, Luca pone due avvenimenti nel tempio di Gerusalemme: il primo (2,22-38), in occasione della purificazione di Gesù: l’incontro con due anziani, Simeone ed Anna, che rappresentano la tradizione profetica di Israele. Essi riconoscono nel bambino l’azione salvifica di Dio. Nel secondo (2,41-50), Gesù, già adolescente, discute con i dottori nel tem-pio di Gerusalemme: Luca vuol affermare che Gesù conosce la Legge e ne è l’interprete autorevole, ma che anche il tempio diviene ora, per Gesù, “la casa di mio padre” (2,49).

Tutto inizia nel tempio e tutto finisce nel tempio di Gerusalemme, che per Luca è il centro della storia. L’azione di Dio si estende dal tempio alla storia e in Gesù proclama l’inizio di un nuovo momento salvifico: attraverso i racconti del suo vangelo dell’infanzia, Luca dimostra che tutto ora converge in Gesù: la Legge, i profeti, il tempio e da lui inizia la fase definitiva della storia salvifica.

La fede pasquale illumina i vangeli dell’infanzia, soprattutto quello di Luca e vi si trova già l’annuncio del destino finale di Gesù. Dal pianto di Rachele e le mi-nacce di morte del Bambino (Mt 2,17-23), alla mangiatoia di Luca e ai panni che avvolgevano il suo corpo (2,7.12), come un corpo preparato per la sepol-tura. Infine, la profezia di Simeone, che annuncia a Maria che “una spada le trapasserà l’anima” (Lc 2,35). Già nella sua nascita è presente il suo destino di sofferenza e morte.

Vale la pena, sempre nel vangelo dell’infanzia di Luca, ricordare gli inni: il Magni-ficat (1,46-55), il Benedictus (1,67-79) ed il Nunc dimittis (2,29-32). Sono autentiche riletture midrashiche della storia alla luce dell’avvenimento della nascita di Gesù, interpretato come il segno concreto della misericordia divina (1,50.54.72). In essi, inoltre, si afferma l’identità e la missione di Giovanni il Battista come “profeta precursore” (1,76) e di Gesù, come “luce delle nazioni” (1,79; 2,32).

CONCLUSIONE: IL NT COME MIDRASH DELL’AT

I vangeli sono pieni di riferimenti misdrashici, proprio perché la loro composizione pre-tendeva legittimare la storia di Gesù in continuazione con la storia di Israele, come suo compimento e realizzazione. Questo schema marca la narrazione di singoli avvenimenti ed episodi, come il battesimo, i miracoli e i discorsi di Gesù ; ma anche la struttura più ampia della sua vita e della sua attività. I miracoli, per esempio, lo avvicinano al modello dei grandi profeti che agivano col potere di Dio: Mosè ed Elia; i discorsi ed il conflitto con le autorità, lo legittimano come profeta; l’interpretazione della Legge, ne fa un “nuovo legislatore” al pari di Mosè; la morte ingiusta, conseguenza della sua attuazione, al pari di gran parte dei profeti e del “giusto perseguitato” della Sapienza; la risurrezione, lo

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trasforma in uno dei pochi eletti elevati alla dignità e sfera divina, assunti in cielo alla loro morte, e diventati simili agli angeli, secondo le credenze apoca-littiche: Enoch, Elia e Mosè. In un certo senso, tutta la storia passata ed i suoi protagonisti si incontrano nella figura di Gesù, comparabile al punto focale di una grande lente che concentra i suoi raggi in un solo punto, e capace di dar vita ad un immenso fuoco trasformatore, nel quale il passato è riconos-ciuto e superato.

Ci pare di capire che il midrash diventa quindi una delle chiavi ermeneutiche della Bibbia, dove la Bibbia si interpreta a partire dalla propria Bibbia! Una chiave che ci permette soprattutto di capire la storia di Gesù ed il Nuovo Testamento: tutto è compimento e ciò che è scritto era già presente nell’AT, come prefigu-razione e promessa.

MIDRASH AND BIBLICAL HERMENEUTICS – THE EXAMPLE OF THE “CONSTRUCTION” OF THE FIGURE OF THE MESSIAH IN INFANCY GOSPELS OF MATTHEW AND LUKE

Abstract: the midrash is the typical method of interpreting the Bible by Jewish people. It is based on the cyclical view of history, where the central event, the presence of God in history, is continually modified by offering new meanings to the vari-ous situations of life. The past is essential to understanding the present and imagining the future. This interpretation has provided the basis for Christian authors describing the figure of Jesus as the fulfilment and convergence of the promises and prophecies of the Old Testament.

Keywords: Midrash. Bible. Hermeneutic. Judaism. Christianism.

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