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Meloni Gianna Irre Veneto Matematica, didattica della matematica e linguaggi.

Meloni Gianna Irre Veneto Matematica, didattica della matematica e linguaggi

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Meloni Gianna Irre Veneto

Matematica, didattica della matematica e

linguaggi.

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Meloni Gianna Irre Veneto

Molti autori asseriscono che la matematica sia, di per sé stessa, un linguaggio.

Il fatto che abbia, in modo evidente: una sintassi,

una semantica, una pragmatica

proprie, in effetti può far propendere

per una risposta positiva.

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Ma tale risposta risulta e rimane sempre fonte di aspre polemiche,

non è facile risolvere

questa difficile problematica.

Anche perché questa riguarda

solo marginalmente la didattica.

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Se noi accettiamo il fatto che la didattica della matematica

tratti problemi di comunicazione della matematica,

siamo portati a concludere che non si può non fare qualche riflessione sul complesso rapporto

che c’è tra: l’esposizione della matematica con l’intenzione

di farla apprendere, il suo apprendimento consapevole,

la necessità di comunicazione che si ha in aula, il contratto di comunicazione che si instaura in aula e

la lingua comune.

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Il paradosso del linguaggio specifico.

L’insegnamento è comunicazione

ed uno dei suoi scopi è di favorire

l’apprendimento degli allievi;

per prima cosa, allora, chi comunica

deve far sì che il linguaggio utilizzato

non sia esso stesso fonte di ostacoli

alla comprensione;

la soluzione sembrerebbe banale:

basta evitare agli allievi quel linguaggio specifico:

tutta la comunicazione deve avvenire nella lingua comune;

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La matematica ha un suo linguaggio specifico; uno dei principali obiettivi di chi insegna

è quello di far apprendere agli allievi non solo a capire,

ma anche a far proprio quel linguaggio specialistico;

dunque, non si può evitare di far entrare a contatto gli allievi con quel linguaggio specifico,

anzi: al contrario, occorre presentarlo

perché lo facciano proprio.

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Come risolvere questo paradosso?

A volte un’abitudine consolidata di atteggiamento e di modi,

assunta dalla tradizione e da alcuni libri di testo, spinge alcuni insegnanti,

fin dai primi giorni di scuola ed anche a livelli di scolarità più bassa,

a mescolare lingua comune, linguaggio matematico ed un altro subdolo registro che si situa tra quei due:una sorta di “lingua scolastica” il cui argomento è

la matematica (il matematichese) ossia una specie di dialetto matematico

che si usa in classe conduttore diretto di una possibile rinuncia del senso

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Che vi sia una lingua speciale, usata e proposta nel fare matematica in classe,

o in alcuni libri di testo, e che dunque l’allievo adotta o tenta di adottare

credendola questa corretta, giusta, doverosa, da usare per obbligo … contrattuale nelle ore

di matematica, è facilmente verificabile:il libro di matematica è l’unico che usa costrutti

comedicesi (invece di si dice),

passante (invece di che passa), intersecantisi … e che abbondi tanto di gerundi.

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Tale lingua specifica, ibrida, è utilizzata forse inconsapevolmente dall’insegnante e

dallo studente che tende ad imitarlo.Ma lo studente non riesce a sopportare

il “peso” di una lingua siffatta, finisce con il crearsi

un più modesto paravento linguistico, una sorta di quasi-modello,

nel quale abbondano modi di dire, frasi fatte in quello stile.

A tutto ciò inoltre si aggiunge il tentativo dello studente di copiare l’atteggiamento linguistico – argomentativo

dell’insegnante e da quei compagni che hanno successo.

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In più, c’è il problema del simbolismo.

Per molti insegnanti della scuola primaria c’è identità tra

il concetto che si vuole insegnare,

il suo simbolo matematico,

i suoi riferimenti algoritmici.

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Uno dei momenti critici a questo riguardo per l’apprendimento della matematica

è l’adolescenza.Gli allievi non hanno ancora acquisito del tutto

padronanza della lingua comune, e d’alta parte,

è ai livelli di scolarità frequentati dagli adolescenti che comincia ad esserci davvero bisogno

di far uso del linguaggio specifico della matematica non solo esplicativo, ma anche formale.

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Domande?

Esistono problemi specifici in relazione alle attività diciamo così linguistiche in matematica,

o si tratta invece di falsi problemi

di concettualizzazione matematica?

Secondo alcuni autori, questa specificità

esiste davvero.

(Laborde, Maier, D’Amore).

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Sembra impossibile che lo studente apprenda

“per osmosi”

a far uso del linguaggio specifico

della matematica;

occorre dunque che vi sia una vera e propria attività didattica specifica esplicitata pensata

in tal senso.

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Le caratteristiche del discorso matematico.

Le caratteristiche che di solito si danno come specifiche

del linguaggio matematico sono:

precisione,

concisione,

universalità.

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La lingua nella quale si fa matematica ha

un “codice semiologico proprio”;

ciò comporta varie convenzioni,

più o meno esplicite:

c’è un uso di scritture specifiche,

le espressioni simboliche, come le formule.

Esse sono a volte inserite in frasi che, per il resto, appartengono alla lingua comune.

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Questo codice assolve a due funzioni:

una funzione di designazione (si ricorre alla designazione per nominare

un oggetto);ce ne sono di semplici:

una lettera sta per un punto:ce ne sono di complesse,

quando si tratta di più designazioni raccolte in una sola, secondo regole sintattiche stabilite:

per esempio la scrittura f(x,y);

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una funzione di localizzazione;

per esempio se si scrive

[a,b[

non si designa solo il nome di un intervallo, ma di esso si danno tante informazioni;

per esempio si dice che contiene

a, ma non b.

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Tutto ciò produce

un grande risultato

di concisione e di precisione,

ma la “densità” dell’informazione

che ne risulta

è notevole.

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Non solo i simboli matematici,

ma anche la stessa lingua comune,

quando è usata in matematica,

appare piuttosto complessa

perché in poche battute deve dare

parecchie informazioni

“Il cerchio di centro O e di raggio R”.

“Il piede della perpendicolare condotta da A

alla retta (CD)”.

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La sintassi è complessa a volte;

questi significati “concentrati”risultano chiari solo a chi ha già preso dimestichezza

con essi,

e dunque ha fatto l’abitudine

a queste forme contratte.

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Quanto alla universalità

qui si gioca su una notevole riduzione

di uso di tempi,

la atemporalizzazione;

ma questo contrasta

con le abitudini pregresse degli allievi

che hanno soprattutto usato il testo

in modo narrativo.

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Per esempio si vede come ogni bambino

di scuola primaria

tenda in modo naturale a ri-raccontarsi la scena descritta nel testo di un problema,

imettendola in una narrazione

(senza che ciò sia però

significativamente correlato

con una miglior risoluzione

dello stesso problema)..

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Che tipo di scrittura simbolica usa l’allievo?E poi: la usa?

E quanto spontaneamente?

È ormai assodato che, spontaneamente,

l’allievo tende a rifuggire dall’uso della scrittura simbolica,

perfino dalla funzione di designazione.

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Che tipo di designazione preferiscono

gli studenti?

In generale preferiscono far uso

della lingua comune

e ciò avviene secondo tre strategie:

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l’espressione che descrive l’oggetto viene descritta parola per parola;

l’allievo fa riferimento a fatti temporali (“la retta che ho tracciato per prima”);

l’allievo usa proprietà extra-matematiche per distinguere

(“il rettangolo grande/piccolo”; a volte si trova anche come proprietà

qualche cosa che potrebbe essere chiamata dislocazione nello spazio della pagina:

“il rettangolo in alto/basso; il quadrato di destra/di sinistra”).

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Si tratta allora di studiare

delle situazioni di apprendimento,

specifiche per l’apprendimento linguistico, riconoscendo la presenza

di difficoltà di gestire la lingua comune

nel fare matematica.

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Per esempio:

fare analisi sul contenuto di un testo,

sulle informazioni che dà,

sulle relazioni tra informazioni,

sulla sua scomposizione e ricomposizione,

discutere e studiare pluralità di diversi testi

di problemi,

produrre testi per compagni,

fare analisi di riflessione sul linguaggio.

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Un esempio in algebra.

In attività di riflessione sul linguaggio, un allievo dichiara che:“Non è lecito semplificare x² ˉ5 con x² +5

perché hanno segno diverso”.(il che, in un certo senso, è vero …

se ˉ5 e +5 avessero lo stesso segno, si potrebbe facilmente semplificare);

ma nella comunicazione che poi è emersa, grazie a questo genere di attività,

si è scoperto che la regola valeva sempre, per qualche studente,

e che dunque neppure ˉ5 e +5 potevano essere semplificati, per la stessa regola.

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Lo studente si è creato una regola descritta in lingua in modo un po’ ambiguo;

qualche volta gli va fatta bene e l’insegnante lo elogia, qualche volta no,

e non capisce il perché.Lo studente è coerente localmente, in quanto segue quella sua regola in

un contesto nel quale essa è globalmente incoerente.

Ma questo lo capiamo noi, lui no.

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Lui capisce solo che qualche cosa non va, ma non sa spiegarsi il perché.

L’insieme delle regole corrette e no

(da un punto di vista adulto)

costituisce un curriculum sommerso

che è il vero paradigma di comportamento … algebrico dello studente.

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Considerazioni e riflessioni.

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La lingua naturale è il contesto privilegiato

di comunicazione di ogni individuo.

Negare ciò porta a non saper più come interpretare le risposte degli allievi.

Ammettere ciò ci dà sempre una chiave di lettura di estremo interesse.

Certo tra gli obiettivi ci deve anche essere quello

di arrivare ad una perfetta consapevolezza d’uso della lingua matematica.

Ma: come obiettivo educativo,

non come requisito di partenza.

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Tutti noi, è una legge di pragmatica

della comunicazione umana, forniamo anche messaggi che non vorremmo fornire

ma che il destinatario del messaggio riceve, con maggiore o minor consapevolezza esplicita:

non ci si può fare nulla.Così è anche nelle lezioni di matematica

più belle e perfette del mondo.

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Conoscere i modelli intuitivi

che induciamo negli allievi

è importante per cercare di capire

quali siano gli schemi concettuali

che gli studenti si fanno

dei modelli

che invece volevamo fornire noi.

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Gli stereotipi sono quasi inevitabili.

È incredibile come bastino due-tre esempi che concordino per un nonnulla,

e già lo studente generalizza,

crea stereotipi.

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“Insomma tutte le volte che viene zero vuol dire che l’equazione è indeterminata”

sentenziava il figlio di un mio caro amico dopo un esempio da me fatto di

equazione con discussione. Un solo esempio ed il mio giovanissimo amico

aveva già creato una regola perenne. Se non gli avessi fatto subito

un esempio contrario, lui avrebbe indotto la regola detta,

con danni facili da immaginare al prossimo compito.

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Lui è un giovane intelligente,

critico e sempre disposto a protestare e

a trovare cavilli …

tranne che in matematica

dove immediatamente forma stereotipi

per tranquillizzarsi”.