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NOTA 14 MARZO 2011 - DALMARTELLO e ASSOCIATI – STUDIO LEGALE
La mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali
definitivamente al via dal 20 marzo 2011.
Le controversie in materia di contratti
assicurativi, bancari e finanziari.
ABSTRACT: a seguito di intenso dibattito parlamentare, con il Decreto Mille Proroghe
(convertito con Legge di conversione n. 10/2011, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 26 febbraio
2011 n. 47) il Governo e il Parlamento hanno definitivamente dato il via alla mediazione
obbligatoria quale condizione di procedibilità dell’azione civile. Nelle materie espressamente
elencate (tranne che in materia di condominio e di risarcimento danni da incidenti stradali, per
le quali la partenza è stata ritardata di 12 mesi) chi vorrà agire in giudizio dovrà previamente e
obbligatoriamente instaurare un procedimento di conciliazione secondo quanto disposto dal
Dlgs. 4 marzo 2010 n. 28.
L’art. 60 della legge 69/2009 conteneva delega al Governo ad adottare entro sei mesi dalla
data di entrata in vigore uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e conciliazione
delle controversie in ambito civile e commerciale.
Con Decreto legislativo in data 4 marzo 2010 n. 28 il Governo ha dato attuazione alla delega
dettando una specifica disciplina della “mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali”.
L’art. 5, comma 1, dispone che, nelle materie specificamente elencate, tra le quali le cause in
materia di contratti assicurativi, bancari e finanziari, il procedimento di mediazione è
condizione di procedibilità dell’azione giudiziale.
Nell’imminenza dell’inizio della operatività della norma, ci siamo interrogati su come
affrontare la novità. Cercando di mettere un po’ di ordine nella complessa materia,
evidenziando alcune criticità e chiedendoci se sia possibile, operando in modo assolutamente
corretto, prevenire il cliente nella scelta dell’organismo di conciliazione, anche attraverso la
predisposizione di apposite clausole nei contratti quadro.
NOTA 14 MARZO 2011 - DALMARTELLO e ASSOCIATI – STUDIO LEGALE ________________________________________________________________________________________________
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INDICE - SOMMARIO: Premessa
1. – Generalità sulla mediazione in materia di contratti bancari e finanziari - L’art. 5, comma 1, del Dlgs. 28/2010 introduce nell’ordinamento un’ipotesi di mediazione extraprocessuale obbligatoria. In materia di contratti bancari e finanziari, il cliente della banca ha la facoltà di scegliere se instaurare il procedimento di mediazione nelle forme di cui al Dlgs. 28/2010, ovvero – nei rispettivi ambiti di competenza - nelle forme di cui al Dlgs. 179/2007 istitutivo della Camera di Conciliazione e Arbitrato della Consob, o nelle forme del procedimento istituito ai sensi dell’art. 128bis del TUB e della Delibera CICR n. 275/2008 istitutiva dell’Arbitro Bancario Finanziario.
2. - La scelta dell’organismo di Conciliazione – Con riferimento a tutte le controversie per le quali lo svolgimento della mediazione è condizione di procedibilità, comprese quelle in materia finanziaria e bancaria, entrambe le parti possono adire un organismo di conciliazione dalle stesse scelto, purché iscritto negli appositi registri presso il Ministero della Giustizia. La scelta dell’organismo di conciliazione spetta alla parte che si attiva per prima.
3. - La Camera di Conciliazione della Consob - Con riferimento alle controversie insorte tra investitori non professionali ed intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione correttezza e trasparenza nei rapporti contrattuali, l’investitore può adire la Camera di Conciliazione della Consob, ma l’intermediario può prevenirne l’iniziativa, investendo della conciliazione altro organismo ai sensi del Dlgs. 28/2010
4. - L’Arbitro Bancario Finanziario – Con riferimento alle controversie aventi ad oggetto operazioni e servizi bancari e finanziari, relative a comportamenti successivi al 1° gennaio 2007, il cliente della banca può ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario, purché la somma oggetto di contestazione non sia superiore ai 100.000 euro. La Banca non può evitare il ricorso all’ABF, che rimane proponibile anche successivamente al fallimento di altra procedura conciliativa avviata per iniziativa della stessa.
5. - Clausole contrattuali per la individuazione preventiva dell’Organismo di Conciliazione. Limiti – Le parti possono inserire nei contratti clausole che individuano a priori l’organismo di conciliazione cui rivolgersi in caso di insorgenza di una controversia (art. 5, comma 5°), al fine di predeterminare l’organismo competente. In nessun caso, tuttavia, i clienti della banca possono rinunciare al diritto di ricorrere all’ABF: con riferimento alle controversie che rientrano nella competenza dell’ABF, sarà comunque necessario specificare che l’indicazione dell’organismo di conciliazione competente non osta alla proposizione del ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario da parte del cliente. Nei rapporti con i consumatori, l’indicazione nel contratto quadro dell’organismo di conciliazione potrebbe costituire violazione dell’art. 33, 1° comma, cod. consumo, ove l’individuazione dell’ organismo territorialmente competente determini uno squilibrio dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto.
6. - Il procedimento di mediazione – Il procedimento di mediazione si svolge senza particolari formalità. Mancata previsione dell’assistenza tecnica dell’avvocato. Cenni sul procedimento davanti alla Camera di Conciliazione della Consob e sull’ABF.
7. - Esito positivo della conciliazione – Il verbale di conciliazione è omologato dal Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di conciliazione e costituisce titolo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione in forma specifica e l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
8. - Mancata conciliazione – L’art. 13 Dlgs. 28/2010 prevede importanti conseguenze sul giudizio civile. La parte che abbia rifiutato la proposta del conciliatore è tenuta pagare le spese del procedimento (a prescindere dalla soccombenza) ove la decisione del giudice sia del tutto coincidente con la proposta conciliativa. L’opportunità della formulazione di una proposta conciliativa in sede di mediazione. Importanza della valutazione del “rischio giuridico” della vertenza fin dalla proposizione del reclamo.
9. - La portata delle dichiarazioni rese nel procedimento di conciliazione – Rischio del formarsi di un convincimento implicito e indiretto in capo al mediatore.
10. - La deduzione di pretese in via riconvenzionale – Una rappresentazione completa della fattispecie al mediatore consente allo stesso di emettere una proposta più aderente alla realtà, evitando anche di rendere sostanzialmente inapplicabile il dettato
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dell’art. 13 Dlgs. 28/2010. 11. - Sintesi conclusiva: cosa e come fare – Di seguito una elencazioni di sintesi delle
ipotesi operative suggerite dalla considerazione di quanto in precedenza.
Premessa.
In un clima di generale incertezza sta per entrare in vigore la c.d.
mediazione obbligatoria. Che, come noto, ha suscitato critiche feroci ed
entusiastiche adesioni. Le une e le altre – nella loro “assolutezza” -
ingiustificate: non intendiamo aggiungere la nostra voce alle une o alle altre.
Ma, partendo dal dato e dagli attuali confini normativi, cercare di vedere come
sia possibile – per una banca e segnatamente per i suoi uffici legali e per i
suoi legali “esterni” – cogliere ciò che c’è di buono ed evitare i più evidenti
rischi.
A tal fine daremo inizialmente una “lettura” di sintesi evidenziando –
doverosamente – aspetti critici e problemi che, in particolare la mediazione in
materia bancaria e finanziaria pone. Cercando quindi di immaginare soluzioni
operative tali da evitare il rischio, certamente presente, che dallo strumento
derivino complicazioni operative, incremento del “rischio giuridico” e aumento
di costi. Determinando, al contrario, una occasione di razionalizzazione
operativa, la reale possibilità di definire le controversie al di fuori e prima di un
giudizio, e, per il caso in cui a ciò non si riesca, di evitare la duplicazione della
attività istruttoria interna con conseguente aumento di costi e di spese.
Al termine del lavoro, alcune indicazioni operative di sintesi, al fine di
individuare concreti comportamenti “contrattuali” che possano ovviare ai
principali rischi, in particolare nell’individuazione dell’organismo di conciliazione
competente.
1.- Generalità su mediazione e contratti bancari finanziari.
L’art. 5, comma 1, del Dlgs. 28/2010 introduce nell’ordinamento un’ipotesi di mediazione extraprocessuale obbligatoria. In materia di contratti bancari e finanziari, il cliente della banca ha la facoltà di scegliere se instaurare il procedimento di mediazione nelle forme di cui al Dlgs. 28/2010, ovvero – nei rispettivi ambiti di competenza - nelle forme di cui al Dlgs. 179/2007 istitutivo della Camera di Conciliazione e Arbitrato della Consob, o nelle forme del procedimento istituito ai sensi dell’art. 128bis del TUB e della Delibera CICR n. 275/2008 istitutiva dell’Arbitro Bancario Finanziario.
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L’art. 5 comma 1 del Decreto Legislativo 4 marzo 2010 n. 28, emanato in
attuazione dell’art. 60 della legge 69/2009 che delegava il Governo ad adottare
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore uno o più decreti legislativi in
materia di mediazione e conciliazione delle controversie in ambito civile e
commerciale1, prevede che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa
ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione,
successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende,
risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da
responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro
mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari2, è tenuto
preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente
decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo
8 ottobre 2007 n. 179 ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’art.
128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al
decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385, e successive modificazioni, per le
materie ivi regolate”3.
Anche in materia di contratti assicurativi, bancari e finanziari il legislatore
ha dunque previsto l’obbligo, per chi intenda agire in giudizio, di instaurare
preventivamente un procedimento di mediazione finalizzata alla conciliazione
della lite, quale condizione di procedibilità del giudizio.
A partire dal 20 marzo 20114, dunque, le cause in materia di contratti
1 Ai sensi dell’art. 1 Dlgs. 28/2010 (“Attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”) per “Mediazione” si intende “l’attività comunque denominata svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”. Per “Conciliazione” deve viceversa intendersi il risultato della mediazione stessa, ovvero “la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione”. 2 L’elenco è certamente molto ampio ed anche suscettibile di espansione in via interpretativa: basti pensare al riferimento alle cause relative a diritti reali nelle quali potrebbero essere incluse anche le controversie aventi ad oggetto contratti traslativi di tali diritti, così come la nullità, annullamento, risoluzione degli stessi. 3 Sul concorso e/o alternatività dei procedimenti di conciliazione (nelle forme di cui al Dlgs. 28/2010, nelle forme di cui al Dlgs. 179/2007 istitutivo della Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob, ovvero nelle forme dell’Arbitrato Bancario Finanziario istituito in attuazione dell’art. 128bis del T.U.B.) si dirà in seguito. 4 Il Dlgs. 4 marzo 2010 n. 28 infatti è entrato in vigore il 15° giorno dalla pubblicazione dello stesso in Gazzetta Ufficiale (n. 53 del 5 marzo 2010), ma l’efficacia della disposizione che prevede la mediazione
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assicurativi, bancari e finanziari dovranno obbligatoriamente essere precedute
da una fase davanti ad un mediatore, pena l’improcedibilità del giudizio5.
L’improcedibilità dovrà essere eccepita o rilevata d’ufficio non oltre la
prima udienza. Ove il procedimento di mediazione non sia stato instaurato, il
giudice dovrà assegnare alle parti un termine di 15 giorni per presentare la
domanda di mediazione, e fissare la successiva udienza dopo la scadenza dei
quattro mesi entro i quali, ai sensi dell’art. 6, il procedimento di mediazione
dovrà concludersi6. Ove il procedimento di mediazione fosse stato instaurato,
ma non ancora concluso, il giudice dovrebbe limitarsi a fissare la data
dell’udienza successiva nel termine di cui all’art. 6.
Il legislatore delegato ha, dunque, con il Decreto Legislativo n. 28/2010,
introdotto una forma di mediazione extraprocessuale obbligatoria7. Tuttavia,
nessuna sanzione è prevista dal legislatore per l’ipotesi che le parti non
instaurino il procedimento di mediazione. In altre parole, ove le parti non
eccepiscano (o eccepiscano fuori termine) il mancato avvio del procedimento di
mediazione, ovvero ove il giudice non rilevi tale mancanza, il processo potrà
proseguire senza conseguenze8.
obbligatoria era stata dal legislatore espressamente posticipata di un anno rispetto all’entrata in vigore della restante parte del provvedimento (art. 24 Dlgs. 28/2010). Per quanto riguarda le controversie in materia di contratti bancari, assicurativi e finanziari, non facendo tali materie parte di quelle per le quali il Decreto Mille Proroghe (così come convertito in legge 10/2011) ha previsto una dilazione di 12 mesi, l’operatività della norma rimane fissata al 20 marzo 2011. 5 All’atto del conferimento dell’incarico l’avvocato deve informare il cliente che, nei casi previsti dalla legge, la proposizione della domanda di mediazione è condizione di procedibilità della causa. In mancanza di tale informazione, il contratto tra difensore e cliente è annullabile. 6 L’art. 6 Dlgs. 28/2010 dispone infatti che: “Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi”. 7 Il Dlgs. 28/2010 ha introdotto sostanzialmente tre diversi tipi di mediazione: a) un procedimento su base volontaria stragiudiziale ed extraprocessuale (con riferimento a tutte le controversie civili e commerciali vertenti su diritti disponibili) (art. 2, comma 1); b) un procedimento stragiudiziale ma endoprocessuale (sollecitato cioè dal giudice, ma pur sempre volontario) (art. 5, comma 2); c) una mediazione extraprocessuale obbligatoria, condizione di procedibilità dell’azione (art. 5, comma 1). Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari (che potranno dunque essere richiesti in corso di mediazione o anche in assenza della stessa) (art. 5, comma 3). Inoltre, non v’è obbligo di mediazione nei: a) procedimenti per ingiunzione, b) procedimenti di convalida di sfratto; c) procedimenti possessori; d) procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; e) procedimenti in camera di consiglio; f) nell’azione civile esercitata nel processo penale. 8 Siffatta conclusione si fonda sulla mancata previsione di una specifica sanzione a carico delle parti o sul processo, ma anche sulla considerazione che, in caso di mancata attivazione delle parti, il giudice semplicemente è tenuto a rinviare l’udienza ad altra successiva trascorso il termine di quattro mesi, senza che ciò implichi alcuna ulteriore conseguenza in capo alle parti. Sul punto, cfr. V.AMENDOLAGINE, Alcuni aspetti della mediazione “ vista da vicino”, tra utopia legislativa e prassi quotidiana, in
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Per espressa indicazione normativa (art. 5, comma 1), il procedimento di
mediazione potrà essere instaurato:
a) nelle forme previste dal Dlgs. n. 28/2010;
b) nelle forme del procedimento conciliativo presso la Camera di
Conciliazione e arbitrato per la gestione delle controversie in materia
di violazione degli obblighi di informazione e correttezza e
trasparenza, istituita presso la Consob con Dlgs. 8 ottobre 2007 n.
1799;
c) nelle forme del procedimento istituito ai sensi dell’art. 128bis del TUB
e della Delibera CICR n. 275 del 29 luglio 2008 istitutiva dell’Arbitro
Bancario Finanziario10.
Proprio in materia di contratti bancari e finanziari si pone dunque
innanzitutto il problema del concorso, ovvero della alternatività, delle diverse
forme di conciliazione previste dal legislatore.
Dalla semplice lettura della norma, infatti, sembrerebbe doversi dedurre
che il legislatore abbia considerato le forme della conciliazione avanti alla
Camera della Consob e quelle dell’Arbitrato Bancario Finanziario perfettamente
alternative alla instaurazione del procedimento di conciliazione previsto dal
Dlgs. 28/2010.
Tale alternatività, tuttavia, deve essere correttamente intesa: in altre
parole, il significato della norma deve essere inteso nel senso che tanto
l’instaurazione del procedimento di conciliazione avanti alla Consob, quanto il
ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario, comportano l’assolvimento della
condizione di procedibilità prevista dal legislatore con il Dlgs. 28/2010.
In altre parole: che il cliente della banca instauri un procedimento di
www.judicium.it. Del resto, l’inopportunità - in quanto soluzione contraria alla finalità deflativa dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione – di un’interpretazione che ritenga applicabile la sanzione della nullità della sentenza ove pronunciata nonostante il mancato svolgimento del procedimento di mediazione, è ampiamente condivisa con riferimento all’art. 412bis in materia di processo del lavoro. 9 Il regolamento attuativo della Camera di Conciliazione e Arbitrato è posto con Delibera 29 dicembre 2008 n. 16763. I componenti della Camera sono stati nominati con Delibera 29 luglio 2009 n. 16972. 10 La materia è poi regolata dalle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” emanate dalla Banca d’Italia.
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conciliazione nelle forme del Dlgs. 28/2010, che si rivolga alla Camera di
Conciliazione della Consob, che ricorra all’Arbitro Bancario Finanziario, egli avrà
correttamente assolto l’onere di previa instaurazione di un procedimento di
mediazione, con la conseguenza che, terminato lo stesso, potrà rivolgersi
all’autorità giudiziaria per la decisione della controversia.
Ciò che viceversa il legislatore non ha certamente voluto è il
superamento dei limiti di competenza dei diversi organi, limiti che pertanto non
possono certamente ritenersi abrogati dall’art. 5, comma 1.
Di conseguenza, il cliente della banca potrà sì rivolgersi alla Camera di
Conciliazione della Consob ovvero all’ABF, pur sempre però rispettando i limiti
di competenza previsti con riferimento a tali organi.
2. – La scelta dell’organismo di conciliazione – Con riferimento a tutte le controversie per le quali lo svolgimento della mediazione è condizione di procedibilità, comprese quelle in materia finanziaria e bancaria, entrambe le parti possono adire un organismo di conciliazione dalle stesse scelto, purché iscritto negli appositi registri presso il Ministero della Giustizia. La scelta dell’organismo di conciliazione spetta alla parte che si attiva per prima.
Come previsto dal legislatore del 2010, dunque, l’instaurazione di un
procedimento di mediazione è presupposto necessario per la procedibilità della
domanda giudiziale.
In altre parole, ove una parte intenda agire in giudizio, deve innanzitutto
adire un organismo di conciliazione, la cui scelta è innanzitutto rimessa alla
volontà della parte che si attiva per prima.
Il che in concreto si traduce in ciò che:
a) ove sia la banca o l’intermediario ad attivarsi per
l’instaurazione del procedimento di mediazione:
• la banca non può né rivolgersi all’ABF (essendo tale procedimento
sostanzialmente una forma di ricorso avverso la decisione che
l’intermediario abbia assunto in sede di reclamo del cliente), né
presentare istanza per l’attivazione della procedura di conciliazione
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avanti la Camera della Consob (così infatti dispone l’art. 7 del Dlgs.
8 ottobre 2007 n. 179);
• ove sia la banca ad attivarsi per l’instaurazione del procedimento di
mediazione, lo stesso si svolgerà di conseguenza necessariamente
nelle forme di cui al Dlgs. 28/2010.
Si tratterà, dunque, per la banca di determinare in concreto a quale
organismo di conciliazione rivolgersi, scegliendo tra quelli iscritti nell’apposito
registro presso il Ministero di Giustizia11.
b) ove sia il cliente ad attivarsi per l’instaurazione del
procedimento di mediazione:
• egli potrà, in ogni caso e a prescindere dall’oggetto della
controversia, depositare domanda di conciliazione nelle forme di cui
al Dlgs. 28/2010, determinando in concreto a quale organismo di
conciliazione rivolgersi, scegliendo tra quelli iscritti nell’apposito
registro presso il Ministero di Giustizia scegliendo a quale
organismo di conciliazione. Da segnalare che, al momento della
redazione delle presenti note il “Registro degli organismi di
mediazione” (v.lo in www.giustizia.it), sono operativi 161 organismi
che vanno dal ben noto Conciliatore Bancario alla Camera di
Conciliazione Ionica di Taranto o alla “Conciliazione e Risoluzione
Alternativa delle Controversie s.r.l.” con sede in Costa Masnaga;
• ove si tratti di controversia in materia finanziaria, e si tratti di
11 Si tratta di organismi costituiti da enti pubblici o privati ed iscritti nell’apposito registro istituito presso il Ministero della Giustizia (art. 16 Dlgs. 28/2010). Con Decreto 18 ottobre 2010 n. 180 è stato emanato il Regolamento per la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del Registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi. L’art. 20 del Decreto prevede peraltro che gli organismi già iscritti nel registro previsto dal decreto del Ministro della Giustizia 23 luglio 2004 n. 222, si considerano iscritti di diritto. Il Conciliatore Bancario Finanziario che finora ha operato nel settore delle controversie tra intermediari e clienti, continuerà ad operare. Non si può peraltro trascurare di sottolineare come le caratteristiche del procedimento davanti al Conciliatore Bancario Finanziario siano per molti aspetti contrastanti con quanto oggi previsto dal Dlgs. 28/2010. Si pensi innanzitutto che il procedimento presso il Conciliatore bancario finanziario si caratterizzava per: a) la volontarietà (oggi sarà obbligatorio); 2) la rapidità (era previsto che il procedimento dovesse concludersi in 60 giorni ed oggi potrà durare 4 mesi); 3) la flessibilità nella possibilità di nomina di esperti (prima prevista solo con l’accordo delle parti, ora autonomamente decisa dal mediatore).
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investitore non professionale, potrà presentare istanza volta
all’attivazione della procedura di conciliazione avanti la Camera
della Consob;
• ove si tratti di controversia in materia di operazioni bancarie,
(purché relativa a rapporti non antecedenti al 1° gennaio 2007),
potrà presentare ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario.
Occorre peraltro ricordare che, con riferimento al procedimento di
mediazione previsto dal Dlgs. 28/2010, il legislatore non ha predeterminato
alcun criterio, neppure territoriale, con riferimento alla scelta del mediatore.
Con la conseguenza che nulla vieta alla parte che si attivi per prima di
ricorrere ad un organismo di conciliazione volutamente scomodo per il
convenuto. Tenuto conto, infatti, che, ai sensi dell’art. 11, comma 4, Dlgs.
28/2010, della mancata partecipazione al procedimento di mediazione il
mediatore dovrà dare atto nel verbale nel quale dia altresì atto della proposta
dallo stesso formulata e della mancata accettazione da parte di alcuna delle
parti, pare plausibile che l’attore possa maliziosamente scegliere di instaurare il
procedimento di mediazione in un luogo volutamente scomodo per il
convenuto, che sarà così indotto a non partecipare. Poiché il mediatore
potrebbe formulare ugualmente una proposta di conciliazione, pur nell’assenza
di una delle parti12, ove tale proposta non sia poi accettata dalla parte assente,
si metterebbe quest’ultima nella situazione di subire la “sanzione” di cui
all’art.13, ove la decisione del successivo giudizio sia poi del tutto
corrispondente alla proposta conciliativa13.
12 Non è infatti dalla legge posta nessuna limitazione alla discrezionalità del mediatore quanto alla formulazione della proposta, considerato che, al contrario, proprio l’art. 11, comma 4, sembrerebbe proprio indicare che la formulazione della proposta non sia una facoltà bensì un obbligo per il mediatore. 13 Se è vero, infatti, che ai sensi dell’art. 8, comma 5, il giudice del successivo giudizio può desumere argomenti di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2, solo nell’ipotesi in cui la mancata partecipazione al procedimento di mediazione sia priva di un giustificato motivo (anche riferibile alla lontananza del luogo della mediazione dalla sede del convenuto), è altrettanto vero che ai fini dell’applicazione dell’art. 13 non pare prevista alcuna discrezionalità in capo al giudice, che dovrebbe porre a carico della parte vittoriosa tutte le spese del giudizio sulla base del semplice presupposto che la sentenza sia di contenuto identico alla proposta formulata dal mediatore (sull’interpretazione dell’art. 13 si veda comunque più ampiamente infra).
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3. – La Camera di conciliazione della Consob – Con riferimento alle controversie insorte tra investitori non professionali ed intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione correttezza e trasparenza nei rapporti contrattuali, l’investitore può adire la Camera di Conciliazione della Consob, ma l’intermediario può prevenirne l’iniziativa, investendo della conciliazione altro organismo ai sensi del Dlgs. 28/2010.
Secondo quanto previsto dal “Regolamento di attuazione del Decreto
legislativo 8 ottobre 2007 n. 179, concernente la Camera di Conciliazione e di
Arbitrato presso la Consob e le relative procedure” (Delibera 29 dicembre 2008
n. 16763), la Camera di Conciliazione e Arbitrato della Consob amministra i
procedimenti di conciliazione e arbitrato con riferimento alle controversie
insorte tra gli investitori (non professionali) e gli intermediari per la violazione
da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza
previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori (art. 4 Delibera 29 dicembre
2008 n. 16763).
Condizioni di ammissibilità dell’istanza di conciliazione, che peraltro può
essere presentata solo dall’investitore e non dall’intermediario, sono:
i) che non sia stata avviata, anche su iniziativa dell’intermediario
altra procedura di conciliazione cui l’investitore abbia già aderito;
ii) che sia già stato presentato reclamo da parte dell’investitore,
reclamo al quale sia stata data risposta negativa ovvero sia
trascorso il termine (normalmente di 90 giorni a meno che
l’intermediario non abbia stabilito un termine più breve) previsto
per la risposta senza che l’intermediario vi abbia provveduto.
In materia finanziaria, dunque, ove il cliente (non professionale) si
determini ad agire in giudizio per far valere la pretesa violazione da parte
dell’intermediario delle norme di trasparenza, correttezza e diligenza a questi
imposte dal TUF, dovrà preventivamente all’instaurazione della lite dar corso
ad un procedimento di conciliazione e ciò potrà fare o nelle forme di cui al
Dlgs. 28/2010, ovvero – ove abbia inutilmente presentato reclamo
all’intermediario – presentando istanza alla Camera di Conciliazione della
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Consob.Tuttavia, l’iniziativa dell’intermediario che, ricevuto il reclamo da parte
del cliente, e non ritenendo di poter soddisfare le richieste di quest’ultimo,
volendo prevenire l’investitore, instauri un procedimento di conciliazione ai
sensi del Dlgs. 28/2010 è in grado di determinare l’inammissibilità dell’istanza
presentata dall’investitore alla Camera di Conciliazione della Consob, ove
l’investitore abbia già aderito all’iniziativa dell’intermediario.
Stando alla disciplina posta dalla Delibera 16763/2008 sembrerebbe
dunque che l’intermediario possa evitare che la conciliazione avvenga avanti la
Camera della Consob, agendo in prevenzione, sempre che l’investitore aderisca
alla conciliazione instaurata dall’intermediario.
Per altro verso, sempre in considerazione di quanto disposto dalla
Delibera 16763/2008, la mancata adesione dell’intermediario alla conciliazione
presso la Camera della Consob non consente alla Procedura conciliativa di
essere avviata (art. 8).
Per valutare le conseguenze, da un lato, della previa instaurazione da
parte dell’intermediario di un procedimento di conciliazione diverso da quello
previsto dalla Delibera Consob 16763/2008, dall’altro, della mancata adesione
dell’intermediario al tentativo di conciliazione instaurato dall’investitore avanti
la Camera della Consob, occorre tuttavia coordinare le norme di settore con
quanto oggi disposto dal Dlgs. 28/2010.
Quanto alla prima ipotesi, innanzitutto: supponiamo che l’intermediario
proponga domanda di mediazione ad un organismo di conciliazione diverso
dalla Consob e comunichi la stessa al cliente.
Supponiamo tuttavia che quest’ultimo non intenda aderire in quanto è
sua intenzione investire del tentativo di conciliazione la Camera di Conciliazione
della Consob.
Secondo quanto previsto dall’art. 8 Dlgs. 28/2010, all’atto della
presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo
designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, senza che l’adesione
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della parte convenuta rilevi al fine dell’avvio o meno della procedura. L’ultimo
comma della norma, anzi, espressamente prevede che dalla mancata
partecipazione senza giustificato motivo il giudice del successivo giudizio di
merito potrà trarre argomenti di prova ai sensi dell’art. 116, 2° comma. In
altre parole, la mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di
mediazione non comporta il mancato svolgimento dello stesso, che viceversa si
avvia automaticamente sulla base della sola presentazione della domanda ad
opera di una delle pari.
Ove l’investitore non intenda partecipare al procedimento di mediazione
instaurato dall’intermediario, pertanto, si giungerà comunque ad un verbale di
mancata conciliazione il quale, come vedremo, può contenere anche una
proposta del conciliatore per la soluzione della lite.
Ci si può chiedere a questo punto se l’investitore che non abbia
partecipato al procedimento di mediazione avviato dall’investitore possa adire
la Camera di Conciliazione della Consob.
Come abbiamo visto, infatti, l’art. 7 della Delibera Consob 16763/2008
prevede quale condizione di ammissibilità della procedura conciliativa presso la
Consob che non siano state avviate altre procedure di conciliazione, cui
l’investitore abbia aderito. Da un lato, sembrerebbe dunque significativa la
mancata adesione dell’investitore che conserverebbe pertanto intatto il proprio
diritto di adire la Camera della Consob, dall’altro non deve essere trascurato
che il procedimento di conciliazione, pur nell’assenza dell’investitore, è pur
sempre giunto al suo epilogo, consentendo all’investitore stesso di adire
l’autorità giudiziaria.
Del resto, occorre ricordare che il procedimento davanti alla Camera della
Consob si arresterebbe in ogni caso ove mancasse l’adesione
dell’intermediario. Con la conseguenza che, anche ove si ritenesse che debba
essere riconosciuta la facoltà per l’investitore di adire la Camera di
Conciliazione della Consob pur quando l’intermediario abbia già investito altro
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organo di conciliazione, certamente in tal caso mancherebbe l’adesione
dell’intermediario alla procedura conciliativa avanti la Camera della Consob.
Sembra dunque raggiunta una prima conclusione: l’instaurazione di una
procedura conciliativa da parte dell’intermediario esclude la possibilità per
l’investitore di investire del tentativo di conciliazione la Camera della Consob.
4. – L’Arbitro Bancario Finanziario - Con riferimento alle controversie relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari relative a comportamenti successivi al 1° gennaio 2007, il cliente della banca può ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario, purché la somma oggetto di contestazione non sia superiore ai 100.000 euro. La Banca non può evitare il ricorso all’ABF, che rimane proponibile anche successivamente al fallimento di altra procedura conciliativa avviata per iniziativa della stessa.
Diversa la situazione nelle fattispecie per le quali è prevista la possibilità
per il cliente della banca di ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario, procedura
per la quale, peraltro, ben maggiori sono le difficoltà di coordinamento con
quanto disposto dal legislatore del 2010 in materia di mediazione finalizzata
alla conciliazione della lite, nonostante l’art. 5 comma 1 equipari, ai fini della
realizzazione della condizione di procedibilità del giudizio, il ricorso all’ABF alla
instaurazione del procedimento di mediazione nelle forme di cui al Dlgs.
28/2010.
Secondo quanto previsto dalla Delibera CICR n. 275 del 29 luglio 2008,
emanata in attuazione di quanto previsto dall’art. 128bis del Dlgs. 1°
settembre 1993 n. 385 (T.U.B.), nonché dalle “Disposizioni sui sistemi di
risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi
bancari e finanziari” emanate dalla Banca d’Italia, all’Arbitro Bancario
Finanziario possono essere sottoposte le controversie relative a operazioni
e servizi bancari e finanziari aventi ad oggetto l’accertamento di diritti
obblighi e facoltà:
a) purché l’eventuale somma oggetto di contestazione tra le parti non sia
superiore ad euro 100.000;
b) purché non si tratti di rapporti non assoggettati al titolo VI del TUB ai
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14
sensi dell’art. 23, comma 4°, Dlgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (non si tratti cioè di
controversie inerenti a operazioni di investimento o di collocamento di prodotti
finanziari)14;
c) purché non si tratti di controversie relative a operazioni o
comportamenti anteriori al 1° gennaio 2007;
d) purché oggetto della controversia siano unicamente i danni
conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o della violazione
dell’intermediario, ovvero le questioni relative a beni materiali e servizi oggetto
del contratto tra banca e cliente o di contratti ad esso collegati;
e) purché si sia regolarmente svolta la fase di reclamo presso
l’intermediario (l’intermediario si sia cioè pronunciato nel termine di 30 giorni,
ovvero sia trascorso tale termine senza che l’intermediario abbia dato alcuna
risposta)15.
Non diversamente da quanto previsto con riferimento alla conciliazione
avanti alla Camera della Consob, il ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario è
impedito dalla pendenza di altro tentativo di conciliazione. Ove l’intermediario
instaurasse un procedimento di mediazione nelle forme di cui al Dlgs. 28/2010,
pertanto, il cliente non potrebbe più ricorrere all’ABF, e ciò nonostante l’art. 5
comma 1 richiami espressamente tale procedura.
Tuttavia, a differenza di quanto previsto con riferimento alla
Conciliazione amministrata dalla Consob, gli intermediari sono tenuti ad aderire
- giusto il disposto dell’art. 128bis del TUB - alla procedura di risoluzione
stragiudiziale delle controversie resa attraverso il ricorso all’ABF16.
Ciò significa che, una volta conclusosi il procedimento di mediazione
14 Il Dlgs. 8 ottobre 2007 n. 179 rimetteva ad un Protocollo d’intesa tra la Camera di Conciliazione e Arbitrato presso la Consob e il sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie di cui all’art. 128bis del TUB la risoluzione delle questioni relative all’ambito delle reciproche competenze. 15 Il ricorso all’ABF, peraltro, non può essere presentato qualora siano trascorsi più di 12 mesi dalla presentazione del reclamo all’intermediario. 16 Alla sez. II delle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” si prevede espressamente che: “Gli intermediari sono tenuti ad aderire all’ABF. L’adempimento di questo obbligo costituisce una condizione per lo svolgimento dell’attività bancaria e finanziaria e per la prestazione di servizi di pagamento; la Banca d’Italia ne valuta l’eventuale violazione nell’ambito della sua azione di controllo”.
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15
instaurato dall’intermediario nelle forme di cui all’art. 28/2010, l’intermediario
non può impedire che il cliente della banca possa ancora ricorrere all’ABF,
anziché adire l’autorità giudiziaria.
Tale ipotesi è peraltro espressamente considerata nelle “Disposizioni sui
sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e
servizi bancari e finanziari” che infatti prevedono che, se la conciliazione non
riesce, il cliente può riproporre il ricorso all’ABF entro 6 mesi dal fallimento del
tentativo di conciliazione. Si prevede altresì che il procedimento davanti
all’Arbitro Bancario Finanziario possa proseguire pur quando l’intermediario
abbia adito l’autorità giudiziaria.
In altri termini: l’iniziativa dell’intermediario (l’instaurazione di una
procedura conciliativa nelle forme di cui al Dlgs. 28/2010, così come l’esercizio
di un’azione giudiziale o di un arbitrato) non potrebbe in nessun caso impedire
al cliente di ottenere una pronuncia da parte dell’Arbitro Bancario Finanziario.
Non si può trascurare, peraltro, che il rinvio effettuato dall’art. 5, comma
1°, al procedimento di ABF pone significativi problemi di coordinamento con la
generalizzata obbligatorietà della conciliazione quale condizione di procedibilità
dell’azione prevista dal legislatore del 2010.
Il procedimento che si svolge per iniziativa del cliente davanti all’Arbitro
Bancario Finanziario, infatti, non ha alcuna finalità conciliativa, bensì si
propone di decidere la controversia, sia pur con una decisione non vincolante
per il cliente17.
Quest’ultimo, se non soddisfatto, potrà comunque adire gli organi
giurisdizionali. La decisione stessa di adire l’organo giurisdizionale, dunque,
dovrà essere valutata alla stregua del rifiuto della proposta conciliativa
nell’ambito del procedimento di mediazione di cui al Dlgs. 28/2010.
Tuttavia, non pare che in tal caso possa trovare applicazione l’art. 13 del
17 Sulla differenza concettuale tra conciliazione e arbitrato, si veda C.PUNZI (Mediazione e conciliazione, in Riv.dir.proc. 2009, p. 845 e ss., spec. 849), il quale evidenzia come nella prima l’attività del mediatore dovrebbe sostanzialmente essere quella di “dare un consiglio” alle parti, mentre nell’arbitrato il compito dell’arbitro consiste direttamente nel decidere la controversia.
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16
Dlgs. 28/2010 che sembrerebbe riferibile unicamente al procedimento di
mediazione svoltosi nelle forme di cui agli artt. 3 e ss., con la conseguenza che
potrà essere applicato l’art. 91, comma 1, c.p.c. e che dunque il giudice dovrà
valutare discrezionalmente la possibilità di addossare le spese processuali alla
parte vittoriosa che non si sia “accontentata” della decisione resa al termine
dell’Arbitrato Bancario Finanziario.
La procedura davanti all’ABF peraltro prevede la decisione da parte di
quest’ultimo unicamente sulla base di documentazione scritta e non prevede
alcuna udienza con le parti direttamente.
E’ chiaro a questo punto quanto tale procedura si discosti da quella
mediazione finalizzata alla conciliazione della lite che nelle intenzioni del
legislatore costituisce condizione di procedibilità della causa civile.
Nelle materia di competenza dell’ABF infatti non vi sarà alcuna
mediazione, né tentativo di conciliazione, ma una preventiva decisione da
parte dell’Arbitro Bancario Finanziario, il quale sostanzialmente dovrà valutare
la legittimità del mancato accoglimento del reclamo proposta dal cliente alla
banca.
In altre parole: il cliente presenterà un reclamo alla banca; ove non
soddisfatto della risposta ottenuta dalla stessa potrà ricorrere all’ABF il quale
su base unicamente documentale deciderà in merito. La proposizione della
domanda di arbitrato davanti all’ABF costituisce condizione di procedibilità per
l’azione civile, ma, al contempo, il fatto di aver instaurato il giudizio civile
costituisce mancata accettazione della decisione dell’Arbitro Bancario, con la
conclusione che il giudice potrà applicare l’art. 91 c.p.c. e addossare le spese
processuali alla parte vittoriosa ove ritenga che la proposizione del giudizio
non fosse sorretta da un giustificato motivo.
Già in sede di reclamo, dunque, la banca dovrà aver ben presenti:
a) gli orientamenti dell’ABF, in modo da conformarsi agli stessi ed evitare il
ricorso del cliente alla procedura di arbitrato
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17
b) l’inquadramento giuridico della vertenza, in modo da valutare
l’opportunità di affrontare il giudizio, nell’ipotesi in cui il cliente
eventualmente insoddisfatto della decisone dell’ABF decida di adire
l’autorità giudiziaria;
c) le possibilità e opportunità di una chiusura amichevole della vertenza, ciò
che potrebbe consentire di valutare se instaurare un procedimento di
mediazione nelle forme di cui al Dlgs. 28/2010, iniziativa che non
sarebbe tale da escludere che il cliente, nell’ipotesi di fallimento del
tentativo di conciliazione, si rivolga ugualmente all’ABF, ma
consentirebbe quantomeno di tentare una reale conciliazione della lite,
ciò che il ricorso all’ABF certamente non realizza.
5. – Clausole contrattuali per la individuazione preventiva
dell’Organismo di Conciliazione. Limiti – Ai sensi dell’art. 5, comma 5°, Dlgs. 28/2010, le parti possono inserire nei contratti clausole che individuano a priori l’organismo di conciliazione cui rivolgersi in caso di insorgenza di una controversia, al fine di predeterminare l’organismo competente. In nessun caso, tuttavia, i clienti della banca possono rinunciare al diritto di ricorrere all’ABF: con riferimento alle controversie che rientrano nella competenza dell’ABF, sarà comunque necessario specificare che l’indicazione dell’organismo di conciliazione competente non osta alla proposizione del ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario da parte del cliente. Nei rapporti con i consumatori, l’indicazione nel contratto quadro dell’organismo di conciliazione potrebbe costituire violazione dell’art. 33, 1° comma, cod. consumo, ove l’individuazione dell’ organismo territorialmente competente determini uno squilibrio dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto.
Il 5° comma dell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 prevede che: “Fermo quanto
previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto,
lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una clausola di
mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o
l’arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il
termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e
fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6.
Allo stesso modo il giudice o l’arbitro fissa la successiva udienza quando la
mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi.
NOTA 14 MARZO 2011 - DALMARTELLO e ASSOCIATI – STUDIO LEGALE ________________________________________________________________________________________________
18
La domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola, se
iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti a un altro organismo iscritto,
fermo il rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti
possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto
costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto”.
In altre parole, le parti potrebbero inserire nel contratto una clausola di
mediazione o conciliazione, nella quale indicare l’organismo di conciliazione
competente, con ciò evitando che la competenza possa radicarsi al momento
dell’insorgere della controversia sulla base della libera scelta di una delle parti.
In virtù della previsione del 5° comma dell’art. 5, dunque, si potrebbe
ritenere possibile per la Banca prevedere nell’ambito delle condizioni generali
di contratto clausole di mediazione, che individuino a priori l’organismo di
mediazione cui le parti siano tenute a rivolgersi al momento dell’insorgere della
controversia: ciò ovviamente al fine di vincolare il cliente ad un determinato
organismo di conciliazione che sia particolarmente gradito.
L’opportunità dell’inserzione di una tale clausola deve essere, tuttavia,
valutata alla luce di alcuni indici normativi:
a) in primo luogo si deve tenere presente la norma (contenuta nelle
disposizioni del 18 giugno 2009, sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle
controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, emanate
dalla Banca d’Italia in attuazione della delibera CICR del 29 luglio 2008), che
chiaramente statuisce come “Il diritto di ricorrere all’ABF non può formare
oggetto di rinuncia da parte del cliente”.
b) in secondo luogo, non può trascurarsi il dettato dell’art. 33, comma 2
lett. u) del D.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo)18, a mente del quale
nei contratti con il consumatore si presumono vessatorie (e dunque nulle) le
clausole che stabiliscano “come sede del foro competente sulle controversie
località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”.
18 Così come in precedenza già l’art. 1469 bis, 3° co. n. 19, c.c.
NOTA 14 MARZO 2011 - DALMARTELLO e ASSOCIATI – STUDIO LEGALE ________________________________________________________________________________________________
19
Poiché la scelta dell’organismo di conciliazione da parte della Banca, che
inserisca nel contratto apposita clausola, potrebbe comportare l’individuazione
di un organismo di conciliazione radicato in luogo diverso da quello di residenza
o domicilio del consumatore, potrebbe sorgere un dubbio sulla nullità di tale
clausola per contrasto con il 2° comma dell’art. 33.
Quanto al primo punto, occorre innanzitutto considerare che il problema
della validità di clausole che individuino quale organismo di mediazione
un ente diverso dall’Arbitro Bancario Finanziario si pone unicamente
nell’ambito dei limiti di competenza per valore di quest’ultimo. In altre parole,
potrà dubitarsi dell’esistenza di un vincolo per il cliente quanto alla scelta
dell’organismo di conciliazione unicamente ove si tratti di domande di
condanna di valore inferiore ai 100.000 euro.
Il possibile contrasto tra l’inserzione di una clausola di conciliazione che
indichi un organismo diverso dall’ABF nelle materie di competenza di
quest’ultimo con la previsione dell’irrinunciabilità da parte del cliente del diritto
di ricorrere a tale organismo potrebbe peraltro essere superato osservando che
l’eventuale esperimento della procedura di mediazione non preclude, in caso di
mancato accordo, il diritto del cliente ad esperire il ricorso all’ABF (cfr.
disposizioni del 18 giugno 2009 cit.)19. Ciò significa che si potrebbe in ogni
caso ipotizzare la validità della clausola che individui un organismo di
conciliazione diverso dall’ABF, ferma restando la facoltà di ricorrere a
quest’ultimo ove il cliente non sia soddisfatto del procedimento di mediazione.
Pare dunque di poter affermare la validità della clausola che individui
a priori l’organo di mediazione competente sulla base del disposto del 5°
comma dell’art.5 Dlgs. 28/2010, clausola che potrà dunque essere
efficacemente inserita nei contratti con la clientela, salva l’indicazione
che, per quanto concerne le domande di condanna con importo inferiore ai
19 Ferma ovviamente la necessità di informare adeguatamente il cliente in relazione alla possibilità di adire l’ABF in caso di controversie con la Banca (cfr. provvedimento Banca d’Italia del 10 febbraio 2011, ove si prevede in particolare (sez. II, par. 2) “l’obbligo di stampare e mettere a disposizione della clientela la Guida concernente l’accesso all’Arbitro Bancario Finanziario”).
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20
100.000 euro, il cliente mantiene comunque il diritto di rivolgersi all’Arbitro
Bancario Finanziario.
Un’ulteriore cautela si pone probabilmente nei contratti con i
consumatori.
Se, infatti, non pare applicabile alla fattispecie l’art. 33 lett. u) del
Codice del Consumo secondo il quale nei contratti con il consumatore si
presumono vessatorie (e dunque nulle) le clausole che stabiliscono “come sede
del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o
domicilio elettivo del consumatore”. in quanto espressamente riferita al “foro
competente” e dunque certamente dettata con esclusivo riferimento alla
competenza giudiziale, un dubbio potrebbe sorgere sulla base del dettato del
1° comma dell’art. 33, ove lo stesso prevede che “Nel contratto concluso tra il
consumatore e il professionista si considerano vessatorie le clausole che,
malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
Non sembra peraltro che la clausola contrattuale che individui
l’organismo di conciliazione cui le parti debbano in caso di controversia
rivolgersi possa dar luogo di per sé a quel significativo squilibrio dei diritti e
degli obblighi derivanti dal contratto che è presupposto per l’applicazione del
1° comma dell’art. 33 Cod. Cons.
O meglio, certamente non lo sarebbe l’indicazione di un organismo di
conciliazione (ad es. Conciliatore Bancario Finanziario), in particolare ove tale
indicazione non contenga alcun riferimento al luogo dove debba svolgersi il
procedimento di mediazione. Ove infatti vi fosse un indicazione di luogo, si
potrebbe immaginare che il consumatore possa ritenere ed argomentare che
l’eventuale distanza tra il proprio domicilio o residenza e la sede dell’organismo
di conciliazione indicato nel contratto configuri uno squilibrio a suo danno, sulla
base non tanto dell’applicazione della lett. u) dell’art. 33 , ma dell’estensione
del principio ivi affermato.
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21
Conclusivamente, e comunque senza trascurare di interrogarsi sulla
effettiva coercibilità della clausola in esame20, stante la chiara disposizione
dell’art. 5 comma 5° del Dlgs. 28/2010 è certamente possibile l’inserimento
nelle condizioni generali di contratto di una clausola che predetermini
l’organismo di conciliazione cui le parti dovranno ricorrere in limine litis.
Ciò, peraltro, salva l’indicazione che nelle materie di competenza dell’ABF
non è comunque precluso al cliente l’accesso a tale procedimento, e salva, nei
rapporti con i consumatori21, l’opportunità di un’indicazione che prescinda da
un riferimento territoriale che possa come tale prestarsi ad un sospetto di
vessatorietà.
Determinata la legittimità dell’inserzione della clausola che individui
l’organismo di conciliazione, evidente ne appare l’opportunità, in particolare in
considerazione del fatto che l’art. 5 Dlgs. 28/2010 richiama tra le procedure di
conciliazione cui le parti possono ricorrere anche la procedura avanti la Camera
di Conciliazione e Arbitrato della Consob.
Dubbi sulla reale imparzialità di tale organo sono stati infatti da subito
avanzati per ovvie ragioni di commistione tra funzione amministrativa e
funzione giurisdizionale da parte della Consob. La Camera è pur sempre un
organismo, non dotato di personalità giuridica, che è emanazione di un
soggetto pubblico, e che, per esplicita volontà del legislatore, deve avvalersi di
risorse e strutture individuate dalla Consob (art. 3, comma 4, Reg. Consob
16763/2008). A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 3, comma 5 ‹‹la Camera
presenta alla Consob, entro il mese di febbraio, una relazione sull’attività
svolta nell’anno precedente›› e, ai sensi del successivo comma 6 ‹‹la Consob
può chiedere alla Camera informazioni sulle attività e sui compiti istituzionali
20 Il legislatore delegato, pur avendo offerto la possibilità di pattuire un organismo di mediazione in sede di contratto, non indica una “sanzione” specifica in caso di mancata instaurazione della procedura di conciliazione avanti all’organismo contrattualmente eletto. In altre parole, diversamente da quanto avviene nell’ambito di un giudizio avanti l’autorità giudiziaria, non è espressamente previsto l’obbligo in capo al conciliatore “incompetente” di dichiarare l’inammissibilità della domanda di conciliazione in presenza di una clausola di mediazione che, contrattualmente, prevede l’indicazione di un organismo di conciliazione diverso. 21 Evidente infatti che nei rapporti con aziende siffatta prudenza non appare necessaria.
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svolti››. Si pensi inoltre al ‹‹fondo di garanzia per i risparmiatori e gli
investitori in attuazione dell’articolo 27, comma 1 e 2 della legge 28 dicembre
2005 n. 262›› istituito con d.lgs. 8 ottobre 2007 n. 179. Si tratta, in estrema
sintesi, di un fondo di garanzia destinato all’indennizzo, nei limiti delle
disponibilità del fondo medesimo, dei danni patrimoniali causati dalla
violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, o con lodo arbitrale
non più impugnabile, delle norme che disciplinano le attività di cui alla parte II
del decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58. La gestione di tale fondo è
attribuita alla Consob, la quale è – tra l’altro - legittimata ad agire in giudizio,
in rappresentanza del fondo, per la tutela dei diritti e l’esercizio dell’azione di
rivalsa nei confronti dell’intermediario responsabile. Ed ancora: il Fondo è
finanziato esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle
sanzioni amministrative pecuniarie erogate per la violazione delle norme di cui
sopra.
Chiaro dunque che, se il problema è di tutta evidenza con riferimento al
procedimento di Arbitrato, non si può trascurare che anche nell’ipotesi di
conciliazione gestita dalla Camera presso la Consob si possano evidenziare
spunti di criticità specie in considerazione del fatto che il Dlgs. 28/2010
attribuisce al mediatore non solo un ruolo facilitativi ma anche propositivo,
essendo egli autorizzato a “proporre” una decisione che, se non accettata dalle
o da una delle parti, costituirà in ogni caso il parametro per l’attribuzione delle
spese ai sensi dell’art. 13 Dlgs. 28/2010.
6. – Il procedimento di mediazione - Il procedimento di mediazione, così come previsto dal Dlgs. 28/2010, si svolge senza particolari formalità. Mancata previsione dell’assistenza tecnica dell’avvocato. Cenni sul procedimento davanti alla Camera di Conciliazione della Consob e davanti all’Arbitro Bancario Finanziario.
Secondo quanto previsto dall’art. 4 Dlgs. 28/2010, la domanda di
mediazione si propone mediante deposito di una istanza presso un organismo
di conciliazione, scelto dalle parti. Non diversamente da una domanda
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23
giudiziale22, la domanda di mediazione deve indicare l’organismo, le parti,
l’oggetto e le ragioni della pretesa23.
Il procedimento di mediazione si svolge senza particolari formalità,
secondo il regolamento dell’organismo scelto dalle parti.
L’art. 3, comma 3, Dlgs. 28/2010 prevede che gli atti di mediazione non
siano soggetti a formalità. Ciò tuttavia non significa che il procedimento di
mediazione sia realmente deformalizzato. Basta pensare che lo stesso art. 3 fa
riferimento agli “atti del procedimento” e che l’art. 17, comma 2, si riferisce ad
“atti, documenti e provvedimenti”, norme che dunque fanno pensare alla
possibilità per le parti di depositare atti, memorie e documenti. L’art. 8 fa
inoltre riferimento alla possibilità di nominare esperti, con una tecnica non
diversa da quella della nomina del CTU nel giudizio davanti al giudice 24.
Quanto detto apre un ulteriore e non indifferente problema. Quello della
mancata previsione dell’assistenza tecnica dell’avvocato nell’ambito del
procedimento di mediazione.
Nulla infatti prevede al riguardo il Dlgs. 28/2010, ma dal tenore delle
norme pare logico ritenere che la presenza dell’avvocato non sia stata ritenuta
dal legislatore necessaria ai fini dello svolgimento della mediazione25, scelta
che non pare affatto opportuna, come peraltro è già stato sottolineato dalla
prima dottrina26.Una corretta impostazione ed inquadramento anche giuridico
22 Dopo aver effettuato il deposito della domanda di mediazione, la stessa dovrà essere comunicata alle altre parti, poiché solo dalla comunicazione la domanda produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale. La comunicazione impedisce peraltro anche il verificarsi della decadenza, ma solo per una volta, cosicché in caso di fallimento del tentativo di mediazione, la domanda dovrà essere proposta nel medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di mancata conciliazione (art.5, comma 5). 23 Si consideri peraltro che, secondo quanto già rilevato dalla dottrina, l’istanza di mediazione potrà essere meno completa della domanda giudiziale essendo da riconoscere al mediatore poteri anche ufficiosi che gli consentano di richiedere alle parti tutti i chiarimenti ritenuti necessari. Cfr. L.DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel D.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judiciu.it, p. 9. 24 Con riferimento a questo tema, si veda G.SCARSELLI (La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in www.judicium.it p.2) il quale ritiene che il procedimento di mediazione sia in sostanza una sorta di “pre-processo”, condotto da un “pre-giudice”. 25 In assenza di indicazioni legislative non è mancato chi ha sostenuto che l’avvocato, anziché assistere la parte, potrebbe direttamente sostituire la parte nell’ambito del procedimento di mediazione. In tal senso cfr. V.AMENDOLAGINE, Alcuni aspetti della mediazione “vista da vicino”, tra utopia legislativa e prassi quotidiana, in www.judicium.it , p. 3. 26 F.DELFINI, La mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali ed il ruolo dell’Avvocatura, in Riv. dir. priv. 2010, pp. 131 e ss.; L.DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel Dlgs.
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24
della situazione controversa è infatti fondamentale anche all’interno del
procedimento di mediazione, proprio in considerazione del fatto che il
mediatore non necessariamente si limiterà a favorire la conciliazione tra le
parti, ma potrebbe al termine del procedimento formulare una proposta27 che,
ove non accettata dalle parti costituirà la premessa per l’applicazione dell’art.
13 Dlgs. 28/2010 e dunque per l’attribuzione delle spese alla parte, anche se
vittoriosa, che non abbia accettato una proposta che sia del tutto coincidente
con la successiva decisione del giudice.
Nell’ipotesi in cui l’investitore intenda ricorrere alla Camera di
Conciliazione della Consob non sussistono sostanziali difficoltà di
coordinamento tra la procedura prevista dal Dlgs. 179/2007 e i principi oggi
posti dal Dlgs. 28/2010.
L’istanza presentata dall’investitore mediante compilazione di apposito
modulo predisposto dalla Camera dovrà essere sottoscritta ed altresì
corredata della documentazione attestante le condizioni di ammissibilità di cui
all’art. 7 Dlgs. 179/2007. L’ammissibilità dell’istanza sarà dunque valutata
dalla Camera che, solo in caso di riscontro positivo, inviterà l’intermediario ad
aderire alla procedura. Diversamente da quanto previsto dal legislatore del
2010, infatti, il procedimento avanti la Camera della Consob sarà avviato solo
ove l’intermediario aderisca.
Successivamente al deposito dell’istanza, la Camera provvede alla
nomina del conciliatore, al quale comunicherà l’adesione dell’intermediario.
Con l’accettazione della nomina da parte del conciliatore prende l’avvio il
procedimento, che si svolge senza particolari formalità attraverso la
partecipazione ad incontri, nel contraddittorio tra le parti o separatamente,
volti alla ricerca di una rapida soluzione della lite.
n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it, p. 4; D.DALFINO, Dalla conciliazione societaria alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, in www.judicium.it, p.13. 27 Ciò che si potrebbe maliziosamente pensare che il mediatore si determinerà sempre a fare, poiché la formulazione della proposta comporta la necessità di aumentare di un quinto le spese di mediazione, nelle quali sono ovviamente compresi gli onorari del mediatore stesso.
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25
Ben maggiori problemi di coordinamento pone l’ipotesi in cui il cliente
della banca ricorra all’ Arbitro Bancario Finanziario.
Tale procedimento prende le mosse attraverso la comunicazione, da
parte del cliente all’intermediario, del ricorso indirizzato alla Segreteria del
Collegio nella cui zona di competenza territoriale il cliente ha la propria sede o
residenza28.
Entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione del ricorso, la banca
dovrà inviare all’ABF le proprie controdeduzioni. La decisione dell’Arbitro
Bancario Finanziario è presa sulla base della documentazione raccolta, nonché
sulla base dell’applicazione delle norme di legge e regolamentari nonché dei
codici di condotta cui l’intermediario aderisca.
Nessun tentativo di conciliazione viene svolto dall’ABF, nessun incontro
tra le parti caratterizza lo svolgimento del procedimento.
Entro 30 giorni dalla pronuncia, la decisione, motivata, è comunicata alle
parti, le quali – ove non si ritengano soddisfatte dalla decisione dell’ABF –
possono ricorrere all’autorità giudiziaria.
7. – Esito positivo della conciliazione – Il verbale di conciliazione è omologato dal Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di conciliazione e costituisce titolo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione in forma specifica e l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro
mesi (art. 6 Dlgs. 28/2010).
Il Decreto legislativo in materia di mediazione e conciliazione delle liti
prevede, peraltro, che il mediatore si adoperi affinché le parti raggiungano un
accordo amichevole.
Quando l’accordo non sia stato raggiunto, il mediatore potrà formulare
una proposta di mediazione, e ciò anche in assenza di richiesta in tal senso ad
28 L’articolazione territoriale dei Collegi (Milano, Roma, Napoli) è fissata dalla sez. III dalle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” emanate dalla Banca d’Italia.
NOTA 14 MARZO 2011 - DALMARTELLO e ASSOCIATI – STUDIO LEGALE ________________________________________________________________________________________________
26
opera delle parti29.
Se è raggiunto l’accordo amichevole o se tutte le parti aderiscono alla
proposta del mediatore (la proposta deve essere comunicata per iscritto alle
parti che devono accettarla o rifiutarla entro sette giorni) si forma processo
verbale dell’accordo (art. 11) che, su istanza di parte e previo
accertamento della regolarità formale dello stesso, nonché della non
contrarietà all’ordine pubblico o a norme imperative (art. 12), è omologato dal
Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo di
conciliazione.
Il verbale omologato costituisce titolo per l’espropriazione forzata, per
l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale30.
Altrettanto, nell’ipotesi in cui il procedimento di mediazione si sia svolto
davanti alla Camera di Conciliazione della Consob: se si prescinde infatti dalla
circostanza che il Dlgs. 179/2007 prevede che il procedimento si chiuda in 60
giorni (anziché quattro mesi) e che il conciliatore possa esprimere una propria
proposta solo su accordo delle parti, la disciplina del verbale di conciliazione,
compresa l’omologazione dello stesso e la sua efficacia, è in tutto e per tutto
identica a quanto oggi dispone il legislatore del 2010.
Ancora una volta, invece, occorre notare le profonde differenze che
ricorrono in materia di Arbitrato Bancario Finanziario. Nessuna omologazione
della pronuncia è infatti prevista, e nessuna efficacia esecutiva è ad essa
attribuita. L’eventuale inadempimento, o ritardo nell’adempimento, da parte
dell’intermediario è però reso pubblico secondo le modalità stabilite dalla Banca
29 Il sistema così introdotto dal legislatore è stato definito “ibrido” in quanto si ispira da un lato alla concezione della conciliazione “facilitativa”, volta cioè solo a facilitare il formarsi di un accordo spontaneo tra le parti, dall’altro lato alla conciliazione “aggiudicativa”, ove cioè il mediatore ha il compito anche di formulare una proposta ove le parti non riescano a raggiungere un accordo. Il legislatore italiano, tuttavia, non ha previsto un obbligo del mediatore quanto alla formulazione di una proposta, né, del resto, ha rimesso la formulazione di essa alla sola volontà delle parti, adottando una soluzione di compromesso e cioè configurando una mera facoltà per il mediatore quanto alla formulazione di una proposta di conciliazione. 30 L’accordo può altresì prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti o per il ritardo nel loro adempimento. La previsione, contenuta all’art. 11, comma 3, contiene sostanzialmente una astreinte quale forma di coercizione delle obbligazioni di non fare o comunque infungibili.
NOTA 14 MARZO 2011 - DALMARTELLO e ASSOCIATI – STUDIO LEGALE ________________________________________________________________________________________________
27
d’Italia.
8. – Mancata conciliazione – L’art. 13 Dlgs. 28/2010 prevede importanti conseguenze sul giudizio civile. La parte che abbia rifiutato la proposta del conciliatore è tenuta pagare le spese del procedimento - a prescindere dalla soccombenza - ove la decisione del giudice sia del tutto coincidente con la proposta conciliativa. L’opportunità della formulazione di una proposta conciliativa in sede di mediazione. Importanza della valutazione del “rischio giuridico” della vertenza fin dal momento della proposizione del reclamo.
L’art. 11, comma 4, prevede l’ipotesi che la conciliazione non riesca, nel
qual caso dispone che il conciliatore formi il verbale con l’indicazione della
proposta31. Nel verbale di mancata conciliazione, il mediatore dà atto
anche della eventuale mancata partecipazione di una delle parti al
procedimento di mediazione.
Una volta concluso negativamente il procedimento di mediazione, le parti
potranno instaurare (o proseguire ove già instaurato) il giudizio avanti al
giudice civile.
L’art. 13 Dlgs. 28/2010 prevede peraltro importanti conseguenze sul
giudizio civile, in particolare sulla ripartizione delle spese dello stesso, in
relazione al contegno tenuto dalle parti in sede conciliativa.
In altre parole, il legislatore ha previsto che, qualora il provvedimento
che conclude il giudizio corrisponda integralmente al contenuto della proposta
del mediatore e quest’ultima sia stata rifiutata dalla parte vincitrice, il giudice
non solo escluda la ripetizione delle spese successive alla formulazione della
proposta (quindi sostanzialmente tutte le spese del processo), ma condanni
altresì la parte vittoriosa al rimborso delle spese sostenute dalla parte
soccombente (sempre maturate dopo la formulazione della proposta), nonché
al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di
importo corrispondente al contributo unificato dovuto32.
31 Il legislatore pare qui dimenticarsi della facoltatività della stessa e dà per scontato che il verbale del mediatore contenga anche l’indicazione della proposta dallo stesso formulata. 32 Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice può, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, quantomeno escludere la ripetizione
NOTA 14 MARZO 2011 - DALMARTELLO e ASSOCIATI – STUDIO LEGALE ________________________________________________________________________________________________
28
Si tratta dunque di misure sostanzialmente punitive per la parte che
abbia rifiutato una proposta conciliativa che si sia poi rivelata assolutamente
congrua, tanto da essere completamente recepita in sentenza.
Analoga soluzione era stata, peraltro, già introdotta con riferimento al
processo civile ordinario dal legislatore del 200933: l’art. 91 c.p.c., infatti, così
come modificato, prevede che, ove la domanda sia accolta in misura non
superiore alla eventuale proposta conciliativa, il giudice condanna la parte che
ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta, e ciò a prescindere dalla
soccombenza.
La previsione introdotta con l’art. 13 Dlgs. 28/2010 sembra peraltro
ancor più radicale, poiché non lascia alcuno spazio alla valutazione dei motivi
che possano aver spinto la parte a rifiutare la proposta conciliativa: il mero
rifiuto della stessa, ove poi la sentenza si riveli di contenuto e portata identici,
condurrà alla condanna della parte pur se vittoriosa34.
Per effetto dell’avvio della conciliazione obbligatoria, l’applicazione
dell’art. 13 prevarrà peraltro sul dettato dell’art. 91 c.p.c. che resterà
residualmente applicabile: 1) nelle ipotesi (realmente esigue) in cui il giudizio
non debba essere preceduto dalla conciliazione; 2) nelle ipotesi in cui nel corso
del giudizio le parti abbiano formulato (così come previsto dall’art. 185 c.p.c.)
un’ulteriore proposta conciliativa, evidentemente migliorativa rispetto a quella
formulata nel procedimento di conciliazione35; 3) nell’ipotesi (sulla quale cfr.
delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto cui il mediatore si sia rivolto. 33 Anche l’art. 40 Dlgs. 5/2003, ora abrogato, prevedeva la possibilità per il giudice di escludere la ripetizione delle spese in favore dell’attore, così come la possibilità di condannare quest’ultimo al rimborso in favore del soccombente (sia pure in parte), a seguito di una valutazione comparativa delle posizioni assunte dalle parti e il contenuto della sentenza. 34 Il legislatore ha comunque fatto salva l’applicazione degli artt. 92 e 96 c.p.c. il che significa che se vi sia soccombenza reciproca o ricorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti. La parte vincitrice che abbia rifiutato la proposta conciliativa che poi si sia rivelata conforme al contenuto della sentenza non potrà pertanto mai vedersi rimborsate le spese legali, al più potendo, ricorrendo gravi ed eccezionali ragioni, ottenere la compensazione delle spese. 35 Ove la parte poi vittoriosa abbia rifiutato anche la proposta più favorevole, si porrà per il giudice il problema del coordinamento delle due norme (art. 13 Dlgs 28/2010 e art. 91 c.p.c.): solo nel caso in cui la sentenza sia conforme alla proposta successiva e migliorativa, il giudice dovrà infatti valutare se i motivi che hanno spinto la parte a rifiutarla siano tali da giustificare il rifiuto o meno.
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29
supra) in cui le parti abbiano instaurato il procedimento davanti all’Arbitro
Bancario Finanziario anziché davanti al mediatore di cui al Dlgs. 28/2010.
Sarà pertanto molto importante nell’ambito del procedimento di
mediazione valutare la possibilità, se non di formulare una concreta proposta di
conciliazione, quantomeno di indurre il conciliatore a formulare una proposta
che sia il più possibile vicina a quella che si possa immaginare essere la
decisione conclusiva del giudizio. In tal modo infatti, ove parte attrice non la
accetti, sarà poi tenuta al pagamento di tutte le spese successive alla proposta
stessa nel caso in cui il provvedimento conclusivo del giudizio sia
effettivamente corrispondente al contenuto della proposta.
E’ chiaro, peraltro, che per cercare di ottenere un simile risultato, si
dovrà indurre il mediatore a ben valutare anche gli aspetti di diritto della
controversia36, poiché inevitabilmente anche su tali aspetti sarà poi fondata la
decisione del giudice.
Un mediatore che trascuri completamente l’inquadramento giuridico della
fattispecie, in altre parole, difficilmente potrà formulare una proposta che si
riveli poi di contenuto identico alla statuizione del giudice37.
Ecco dunque perché la presenza del difensore nel procedimento di
mediazione potrebbe alla fine portare un risparmio di costi. Una corretta
illustrazione delle posizioni giuridiche delle parti, potrebbe infatti più
36 Con riferimento ai profili ora delineati è stato correttamente constatato come perché l’art. 13 possa trovare applicazione il procedimento di mediazione non possa essere davvero inteso quale tentativo di conciliazione, quanto piuttosto quale “proposta di decisione”. Cfr. sul punto G.MONTELEONE (La mediazione “forzata”, in www.judicium.it, p. 3), il quale mette in evidenza forti perplessità sulla tenuta costituzionale del sistema così delineato dal legislatore. Da un lato, infatti, si incarica il mediatore di favorire la conciliazione tra le parti, ciò che sicuramente implica la necessità di “mettere sul tavolo” anche considerazioni non inerenti all’oggetto del giudizio (ad esempio la possibilità di prosecuzione dei rapporti commerciali tra le parti) e probabilmente l’opportunità di una valutazione della controversia che prescinda dalla considerazione degli argomenti strettamente giuridici; d’altro canto, si prevede che il mediatore possa formulare una proposta conciliativa, che necessariamente dovrà, anche per le ragioni indicate nel testo, essere rispettosa dei termini giuridici della vertenza e non potrà prendere in considerazione aspetti estranei alla materia del contendere. Sul punto si veda anche F.DELFINI, op.cit., p. 131 e ss., nonché V.AMENDOLAGINE, Alcuni aspetti della mediazione “vista da vicino”, tra utopia legislativa e prassi quotidiana, in www.judicium.it , pp. 6, 7. 37 La scelta stessa di un modello di mediazione c.d. aggiudicativo (sia pur eventuale, nel quale cioè il mediatore può formulare una proposta conciliativa) porta ad evidenziare come il modello prescelto sia tale da non consentire la formulazione di proposte svincolate da una ricognizione delle norme di diritto applicabili (sistema c.d. norm advocating). Sul punto: L.DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel Dlgs n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it, p. 6.
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30
probabilmente condurre alla formulazione di una proposta che, se rifiutata,
comporti alla fine l’attribuzione di tutte le spese del giudizio a carico della parte
vittoriosa, con la conseguenza che alla parte soccombente rimarrebbe solo
l’onere di pagare le spese di mediazione, in quanto precedenti alla
formulazione della proposta conciliativa38.
In conclusione, affinché l’obbligatoria adesione al procedimento di
mediazione non si risolva unicamente in un aggravio di costi a carico della
banca convenuta, sarà dunque necessario, fin dalla fase del reclamo del
cliente39, aver ben chiaro quale sia il rischio giuridico della causa in
modo tale da poter ben valutare il comportamento da tenere avanti al
mediatore.
9. – La portata delle dichiarazioni rese al mediatore
nell’ambito del procedimento di mediazione – Il rischio del formarsi, in occasione della audizione delle parti, di un convincimento implicito e indiretto in capo al mediatore.
La presenza del difensore nell’ambito del procedimento di mediazione
parrebbe di grande utilità anche con riferimento alla decisione di quanto si
intende riferire al mediatore stesso.
Mi spiego meglio: il mediatore dovrà sentire le parti, separatamente e nel
contraddittorio tra le stesse40.
Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso degli incontri
del mediatore con una sola delle parti non possono essere divulgate (salvo
consenso). La proposta del mediatore non può contenere alcun riferimento a
38 Non a caso G.SCARSELLI, op.cit., p. 5, ritiene che l’art. 13 in una buona sostanza configuri una deroga integrale al principio posto dall’art. 91 c.p.c. che infatti prevede che le spese del giudizio seguano la soccombenza. Una cosa è infatti dire che il giudice può, in considerazione di gravi o giustificati motivi, diversamente disporre delle spese, altra cosa è che il giudice debba comunque porle in capo alla parte vittorioso solo perché quest’ultima abbia rifiutato una proposta conciliativa 39 A maggior ragione ove quest’ultimo dovesse instaurare il procedimento di mediazione nelle forme dell’Arbitrato Bancario Finanziario così come consentito dall’art. 5 comma 1. Ma su questo punto torneremo in seguito. 40 L’art. 8, comma 1, si riferisce infatti alla necessità di fissare un “primo incontro tra le parti” mentre l’art. 9, comma 2, si pone il problema del dovere di riservatezza circa le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso delle “sessioni separate”.
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31
tali dichiarazioni ed informazioni (art. 11, comma 2), le quali non potranno
comunque essere utilizzate nel giudizio davanti al giudice né essere oggetto di
prova testimoniale o di giuramento decisorio (ma, per un evidente refuso,
potrebbero essere materia di interrogatorio formale41).
Non si può tuttavia ragionevolmente credere che il mediatore non sarà
influenzato nel formulare la propria proposta da quanto egli sia venuto a
sapere da una delle parti in via riservata.
E’ chiaro allora che dovrà essere posta grande attenzione alle
conseguenze di quanto verrà detto nel corso delle sessioni separate,
attentamente valutando quanto si intende rivelare al mediatore, anche in
relazione alle conseguenze giuridiche di quanto dichiarato.
Tenuto altresì conto che, da un lato, dovrà essere evidenziata
l’opportunità e l’utilità di eventuali dichiarazioni e di fornire informazioni
supplementari al mediatore affinché sia possibile giungere alla conciliazione
della lite, dall’altro, che la semplice possibilità che il mediatore formuli una
proposta conciliativa potrebbe indurre a ritenere poco opportuno dare al
mediatore informazioni che potrebbero determinarne il convincimento.
Se è vero, infatti, che la formulazione di una proposta conciliativa che si
fondi su informazioni e dichiarazioni rese nelle sessioni separate avanti al
mediatore sarebbe lesiva del contraddittorio, è altrettanto vero che la stessa
sarebbe frutto di un convincimento implicito ed indiretto del mediatore. Con la
conseguenza che, considerato che il giudice ai sensi dell’art. 13 non può
esercitare alcuna discrezionalità nella attribuzione delle spese, dovendole
comunque porre a carico della parte che abbia rifiutato la proposta, non vi
sarebbe rimedio alcuno al condizionamento che quanto detto in sede separata
possa provocare un danno per il dichiarante.
41 Evidenzia il problema L.DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel Dlgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in www.judicium.it, p. 21.
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32
10. – La deduzione di pretese in via riconvenzionale – Una rappresentazione completa della fattispecie al mediatore consente allo stesso di emettere una proposta più aderente alla realtà, evitando anche di rendere sostanzialmente inapplicabile il dettato dell’art. 13 Dlgs. 28/2010.
Una particolare attenzione al contegno da tenere nell’ambito del
procedimento di mediazione e alla opportunità o meno di offrire al mediatore
un quadro completo dei rapporti tra le parti deve essere riferita anche
all’ipotesi in cui nei confronti della controparte si vantino pretese che possano
essere fatte valere in via riconvenzionale.
Si pensi infatti all’ipotesi che, svoltosi il procedimento di mediazione e
conclusosi lo stesso senza che le parti siano giunte alla conciliazione della lite,
il convenuto proponga domanda riconvenzionale nel giudizio successivamente
instaurato. Ci si chiede a questo punto se debba essere avviato un nuovo
procedimento di mediazione con riferimento all’oggetto della riconvenzionale, il
che ovviamente anziché ridurre i tempi della giustizia, non potrebbe che
incidere negativamente su tempi e costi42.
Chiaro peraltro che, ove la parte che sia convenuta in un procedimento di
mediazione sappia di poter vantare una pretesa in via riconvenzionale, sarebbe
ragionevole che di tale sua pretesa mettesse al corrente il mediatore in modo
che lo stesso possa: a) tener conto della situazione complessiva al fine di
favorire l’accordo conciliativo; b) formulare una proposta conciliativa che tenga
conto anche della riconvenzionale.
Tale seconda soluzione, tuttavia, non pare di così agevole valutazione.
Secondo parte della dottrina, infatti, la proposta conciliativa dovrebbe
prendere in considerazione solo ed unicamente la domanda espressamente
proposta dalla parte che abbia instaurato il procedimento di mediazione. Solo
così, infatti, si potrebbe successivamente valutare la conformità o meno del
contenuto della sentenza con la proposta stessa, ai fini dell’applicazione
dell’art. 1343.
42 Confronta sul punto anche L.DITTRICH, op.cit., p. 13, 14. 43 In tal senso F.DELFINI, op.cit.
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33
Se, tuttavia, nell’ambito del procedimento di mediazione il convenuto
facesse presente l’esistenza di una pretesa da far valere in via riconvenzionale
e il mediatore ne tenesse conto nel formulare la propria proposta, forse anche
il giudice, nell’applicare l’art. 13 e dunque nel definire la ripartizione delle
spese, potrebbe far riferimento al complessivo contenuto della sentenza, tanto
con riferimento alla domanda principale, quanto con riferimento alla
riconvenzionale.
In tal modo, si consentirebbe un’applicazione dell’art. 13 più aderente
alla realtà. Diversamente, infatti, sarebbe ben difficile per il giudice valutare
l’identità di contenuto della sentenza con la proposta emessa in sede di
conciliazione, cosa che potrebbe anche condurre alla mancata applicazione
della “sanzione” di cui all’art. 13 anche nelle ipotesi in cui viceversa la stessa
sia giustificata.
Supponiamo ad esempio che il mediatore, ignorando l’esistenza di una
pretesa azionabile in via riconvenzionale dalla banca, emetta una proposta che
venga rifiutata dal cliente. La sentenza, emessa al termine del giudizio nel
quale sia fatta valere la riconvenzionale, non sarà per definizione di contenuto
identico alla proposta formulata in sede conciliativa, con la conseguenza che al
cliente non potranno essere addossate le spese del giudizio. Una immediata e
tempestiva valutazione dell’esistenza della pretesa azionabile in via
riconvenzionale potrebbe pertanto consentire la formulazione di una proposta
complessivamente più aderente alla realtà, il cui rifiuto da parte del cliente
comporterebbe la corretta applicazione dell’art. 13.
Anche sotto questo profilo, pertanto, viene in considerazione l’importanza
di effettuare immediatamente (fin dall’avvio del procedimento di mediazione)
la valutazione non solo del rischio giuridico della causa, ma anche della
impostazione processuale della stessa.
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34
11. – Sintesi conclusiva: cosa e come fare – Di seguito una elencazioni di sintesi delle ipotesi operative suggerite dalla considerazione di quanto in precedenza.
In conclusione: si possono svolgere a questo punto alcune notazioni
operative di sintesi che nascono evidenti dalle considerazioni che precedono:
a) normalmente qualsiasi contestazione del cliente si manifesta con l’invio
di una comunicazione (lettera, e-mail, colloquio telefonico, accesso in
filiale etc.) con enunciazione da parte dei clienti dei motivi di doglianza, e
la contemporanea richiesta di restituzioni, storno di addebiti,
rimodulazione o integrazione di accrediti, modifiche di previsioni
contrattuali, risarcimento di danni etc.;
b) tale comunicazione può prendere o meno le forme di un vero e proprio
reclamo;
c) quale che sia la forma della comunicazione, la banca procederà, nel
termine previsto per la risposta ad un reclamo, esaurita la prima
istruttoria interna finalizzata soprattutto a valutare se il reclamo sia o
non sia fondato, a rispondere;
d) ove la risposta al reclamo sia positiva, la banca cercherà di acquisire dal
cliente un segno di riconoscimento del fatto che alla domanda del cliente
la banca ha dato riscontro positivo;
e) ove la risposta al reclamo sia negativa, la banca comunicherà -
possibilmente motivando - il rigetto del reclamo;
f) a questo punto il cliente potrà: i) consultare un legale, il quale si
rivolgerà alla banca minacciando di adire le vie legali (previa
instaurazione di un procedimento di mediazione); ii) direttamente adire,
con o senza l’assistenza di un legale, l’ABF, ove competente; iii) adire un
organo di conciliazione ai sensi del Dlgs. 28/2010; iv) adire la Camera di
conciliazione della Consob, ove competente;
g) la banca conseguentemente: nell’ipotesi sub i), potrà adire un organismo
di conciliazione di suo gradimento (e avrà tutta la convenienza a farlo),
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35
con ciò prevenendo l’iniziativa del cliente che potrebbe adire un
organismo ad essa sgradito; nell’ipotesi sub ii), dovrà necessariamente
trasmettere le proprie controdeduzioni alla segreteria dell’ABF, attendere
la decisione di quest’ultimo ed ottemperarvi; nell’ipotesi sub iii), potrà
partecipare al procedimento avviato dal cliente, concretamente cercando
di raggiungere una soluzione conciliativa della lite, ma anche non
partecipare al procedimento di mediazione, pur nella consapevolezza che
lo stesso potrà terminare con la pronuncia di una proposta da parte del
mediatore che, se non accettata, produrrà le conseguenze in ordine alla
ripartizione delle spese previste dall’art. 13; nell’ipotesi sub iv), potrà
non aderire al procedimento conciliativo, che pertanto non si avvierà, ed
instaurare altro procedimento di mediazione, tenuto tuttavia conto che il
cliente potrebbe direttamente esercitare l’azione giudiziaria avendo
assolto la condizione di procedibilità della stessa investendo la Camera di
Conciliazione della Consob44;
Come si può conclusivamente notare, una volta comunicata da parte
della banca la propria indisponibilità ad accogliere il reclamo del cliente,
l’iniziativa passa a quest’ultimo, a meno di ipotizzare che sia la banca a
segnalare al cliente, contestualmente al rigetto del reclamo, che, se egli
avesse intenzione di agire per ottenere in giudizio quanto oggetto del reclamo,
la banca stessa intende instaurare il procedimento di mediazione,indicando
l’organismo di mediazione da essa prescelto (ipotizzo: il Conciliatore Bancario
Finanziario con sede in Roma Via delle Botteghe Oscure).
Il cliente, tuttavia, non sarebbe certamente vincolato dall’indicazione
della banca che, per essere certa dell’instaurazione del procedimento avanti al
Conciliatore dalla stessa prescelto, non avrebbe che attivarsi in concreto per
prima, ciò – peraltro - prima ancora di sapere se il cliente avrebbe o meno
44 L’art. 5 comma 1° dispone, del resto, che la parte sia “tenuta ad esperire” il procedimento di mediazione, senza che la conclusione o meno dello stesso possa incidere sulla realizzazione della condizione di procedibilità ivi prevista.
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36
proseguito nel perorare le proprie istanze.
Quanto detto induce a ritenere che - stante l’opportunità di evitare che il
cliente possa liberamente scegliere l’organismo di conciliazione cui rivolgersi
all’atto dell’instaurazione della lite – la predeterminazione dello stesso debba e
possa avvenire in un momento precedente anche alla presentazione del
reclamo da parte del cliente.
Ciò comporta l’opportunità di avvalersi di quanto disposto dall’art. 5,
comma 5°, con riferimento alla possibilità di stipulazione di clausole
contrattuali che appunto predeterminino l’organismo di conciliazione
competente.
Con riferimento ai rapporti contrattuali nuovi occorrerà, dunque,
predisporre nel testo del contratto quadro apposita clausola che indichi
l’organismo di conciliazione cui rivolgersi in caso di controversia (con i limiti e
le prudenze di cui si è detto in particolare al par.5).
Con riferimento ai rapporti contrattuali in corso, si potrebbe
pensare di comunicare alla clientela apposita variazione contrattuale ai sensi
dell’art. 118 TUB. L’indicazione dell’organismo di conciliazione competente
(sempre con i limiti e le prudenze indicate al par.5), non comportando
certamente alcuna deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria, non
potrebbe essere considerata vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c., e non
sarebbe pertanto subordinata alla specifica approvazione per iscritto da parte
del cliente.
Né, del resto, si potrebbe dubitare che manchi un giustificato motivo per
l’introduzione di apposita pattuizione che indichi l’organismo di conciliazione
competente, in considerazione della novità legislativa che introduce l’obbligo
della mediazione.
Il cliente, pertanto, ricevuta la comunicazione da parte della banca
quanto all’individuazione dell’organismo di conciliazione presso il quale
instaurare il procedimento di mediazione in caso di futura controversia,
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37
avrebbe unicamente la possibilità di recedere dal contratto nel termine di 60
giorni, ove non ritenga di poter accettare la modifica del contratto in tal senso.
Rimango a disposizione per ulteriori approfondimenti sul punto, tenuto
conto che l’opportunità di un siffatto comportamento dovrà essere
attentamente valutato nei prossimi giorni, al fine di eventualmente portare a
conoscenza della clientela la variazione contrattuale de quo con tempestività.
avv. Carola Moretti
avv. Paolo Dalmartello