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1 CENTRO PER GLI STUDI CRIMINOLOGICI – GIURIDICI E SOCIOLOGICI Accademia del Giornalismo d’Inchiesta Master in “ Giornalismo d’Inchiesta” Direttore Dr. Daniele Camilli Roma Okkupata: dal reato alla funzione sociale Relatore Dr. Daniele Camilli Tesi di Master di Anna Grazia Concilio II^ Edizione 2014

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CENTRO PER GLI STUDI CRIMINOLOGICI – GIURIDICI E SOCIOLOGICI

Accademia del Giornalismo d’Inchiesta

Master in “ Giornalismo d’Inchiesta”

Direttore Dr. Daniele Camilli

Roma Okkupata: dal reato alla funzione sociale Relatore Dr. Daniele Camilli

Tesi di Master di

Anna Grazia Concilio

II^ Edizione 2014

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Roma okkupata.

Dall’abuso alla funzione sociale

Indice 1.1 Premessa 5

Elenco immobili occupati 6

1. Bastogi, da residence universitario ad alveare del mercato nero 10

2. Cagne sciolte, femministe per vocazione 12

3. Lucya y siesta. Da stabile Atac a casa delle donne 15

4. ExSnia: dal tessile al centro sociale 18

5. Occupazione del teatro più antico della Capitale: Il Valle 23

6. Via Collatina 385 24

7. Testimonianze 25

BIBLIOGRAFIA 26

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Art. 2 Costituzione Italiana

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili

di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3 Costituzione Italiana

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di

sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di

fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e

l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del

Paese.

Art. 42 Costituzione Italiana

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di

godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per

motivi d'interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello

Stato sulle eredità.

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Art. 5 decreto legge 28 marzo 2014

(Lotta all’occupazione abusiva di immobili)

Chiunque occupa abusivamente un immobile ai sensi dell’articolo 633, primo comma, del codice

penale, non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile

medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.

(decreto legge – 28 marzo 2014 n.47, Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato

delle costruzioni e per Expo 2015.)

Art. 633 Codice Penale

Invasione di terreni o edifici. Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o

privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa,

con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni. Le pene si

applicano congiuntamente, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone,

di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.

Art. 54 Codice Penale

Stato di necessità. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla

necessità di salvare se od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui

non volontariamente causato, ne altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al

pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al

pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di

necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona

minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo

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Premessa

Appartamenti privati, case, edifici pubblici, edifici privati, fabbriche abbandonate o dismesse. La

città eterna non è solo Colosseo, Piazza di Spagna, Basilica di San Pietro, Via dei Condotti, Piazza

del Popolo e altri monumenti che la rendono affascinante e indimenticabile agli occhi di turisti,

immigrati per necessità o vocazione, residenti e gente di passaggio. Roma è anche abuso,

occupazione impropria di immobili di diversa tipologia. Dalle strade più nascoste a quelle di

pubblico passaggio, la città della Fontana dei desideri, racconta storie di degrado, di violenza, di

soprusi, di povertà, di indignazione e di lotta. Racconta la storia di chi si apposta agli angoli dei

palazzi per aspettare il momento propizio e occupare una casa, la storia di proprietari disperati che

non possono rientrare nei propri appartamenti e che solo dopo travagliate e infinite trafile

burocratiche riescono ad avere di nuovo possesso della propria abitazione. Roma racconta la storia

di insediamenti abusivi di case popolari dove si annidano cellule criminali, dove qualcuno resta

sempre di guardia per tenere alta la vigilanza. Roma racconta la storia di studenti che, per

esibizionismo, per necessità, per un “credo” politico spesso messo in discussione, si stanziano in

maniera lunga e duratura presso palazzi in cui non pagano l’affitto, occupando appartamenti

giorno e notte. La Capitale dell’arte, della storia, della cultura, la Capitale in cui ogni cosa c’è stata,

c’è e ci sarà, in cui tutti sono passati per lasciare un segno o portare con se un ricordo. La città in

cui i tagli alla cultura hanno fatto chiudere teatri, cinema. Dove qualcuno ancora resiste e occupa,

occupa per una giusta causa. Roma è la città delle fabbriche dismesse, di quelle abbandonate dove

nascono i centri sociali, dove qualcuno trasforma l’abuso in una funzione sociale. Roma è come

una bella donna vestita male. Una divisione: buoni e cattivi. Ma quanto è sottile e impercettibile la

linea di demarcazione che divide il bene dal male?

Un viaggio nella Roma del XXI secolo, la Roma delle dimissioni, delle proteste e dello sfarzo per

capire la funzione sociale degli immobili occupati. Quando l’occupazione sopperisce allo Stato.

Dalla snob e lussuosa Roma Nord fino al degrado della periferia Est. Gli occupanti che trasformano

in azione collettiva la loro azione. Dalle lotte politiche, ideologiche fino alla necessità. Dall’abuso al

crimine. Il capovolgimento di un assetto consolidato.

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Elenco immobili occupati

L’elenco è stato pubblicato su “Il tempo” nel giugno del 2014. La stima delle occupazioni,

considerata l’illegalità del fenomeno, è da intendersi suscettibile di variazioni.

1. Via Canepa 40 (ex Bastoggi). Numero occupanti imprecisato: nel 2006 c’erano 430 famiglie.

2. Via Aurelio Bacciarini 12 . Occupato da Centro Sociale «ex 51».

3. Via delle Averle 10 . Centro Sociale Autogestito Torre Maura.

4. Via S. Biagio Platani 299 . Occupato da 2 aderenti ad Action.

5. Via Torre Spaccata 110 . Occupato da 150 stranieri sostenuti da movimenti di Lotta per la

Casa.

6. Via Fortunato Depero 24 . Circa 150 italiani e stranieri collegati ai movimenti di Lotta per la

Casa.

7. Via Michele de Marco 172 . 80 persone (Blocchi Precari Metropolitani).

8. Via del Macao 8 . 33 persone.

9. Via del Porto Fluviale 12 . 150 stranieri (C.Lotta per la Casa).

10. Via delle Sette Chiese 186 . Numero imprecisato di occupanti collegati ad Action.

11. Via Rocco da Cesinale 18 . Occupato da aderenti ad Action.

12. Via Vasca Navale 84 . Centro Sociale di sinistra Acrobax. Numero non accertato di

occupanti.

13. Via Ostiense 124 . 70 studenti e precari.

14. Via Ostiense 137 . 100 donne del «Movimento Cagne Sciolte».

15. Piazza Attilio Pecile 20 . 100 attivisti (centri sociali sinistra e Action).

16. Via del Gazometro 3 . 50 appartenenti ad Acrobax.

17. Via dei Radiotelegrafisti 42/44 . 60 famiglie (CoordLotta per la Casa)

18. Via Carlo Felice 69. 40 occupanti e anche sede del Centro Sociale «Sans Papier». Gestito da

Action.

19. Via Napoleone III 8 . 60 aderenti a «Casa Pound».

20. Via S. Croce in Gerusalemme 55. 150 aderenti ad Action.

21. Via Vittorio Amedeo II 16 . 40 persone.

22. Via Sandro Giovannino 10 . 5 famiglie (movimenti Lotta x la Casa)

23. Via Generale Bencivenga 15 . Centro Soc. Bencivegna Okkupato

24. Via Isole Curzolane 117/119 . Action e Centro Sociale Astra 19.

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25. Via di Casal Boccone 112 . 250 persone (Blocco precari metropolitano)

26. Via G. Maria Volontè 9. 120 persone (Blocco Precario Metropolitano e Assoc.Inquilini ed

Assegnatari).

27. Via Epaminonda 12 . 41 membri del C.s anarchico «Zero Controllo».

28. Via Ottone Fattiboni 1 . Gruppo antagonista Casale Ateneo Occupato

29. Via della Basaldella 78 . 60 persone.

30. Via F. D'Aragona 10 . 29 persone.

31. Piazza Gasparri . Movimenti «Scuola Popolare Handala» e «Collettivo Officina».

32. Via delle Sirene 22 . 40 occupanti del «Comitato Pubblico per la riapertura del Teatro Lido

di Roma di Ostia» e «Collettivo Officina».

33. Via Monti della Farnesina 80 . Centro sociale di destra legato a «Area19» e «Casapound».

34. Via Fortebraccio 30 . 50 universitari del gruppo Point break».

35. Via Tempesta 262 . 150 italiani e stranieri legati ad Action.

36. Via Filippo Scolari 15/17 . 70 antagonisti.

37. Viale del Policlinico 137 . 300 persone («Blocco Precario Metropolitano») di Paolo Di Vetta.

38. Viale delle Provincie 196 . 200 persone legate al Blocco.

39. Via Antonio Musa 10 . 50 appartenenti gruppo student. Sapienza.

40. Via Ostuni 7/9 . 50 persone (aiuto da Comitato Lotta per la Casa e Disobbedienti.

41. Via Giorgio Morandi 78 e 156 . 250 persone.

42. Via Collatina 385 . 800 stranieri (etiopi ed eritrei), capeggiati da esponenti dei

Disobbedienti Romani e Action.

43. Via Collatina 383 . 40 nomadi e romeni.

44. Via dei Castani 44 . 50 persone aderenti al Centro Sociale Collatina e gruppo Unders-Blocchi

Precari.

45. Via Prenestina 913 . Centinaia italiani, stranieri, rom e aderenti al «Centro Sociale

Collatina».

46. Via delle Acacie 56 . 150 persone, tra loro aderenti Comitato Lotta per la Casa.

47. Via Ugento 31/37 . 57 nuclei familiari.

48. Via Prenestina 944 . 400 persone (Blocco Precario Metropolitano).

49. Via Tor de Schiavi 104 . 60 tra somali ed eritrei.

50. Via Carlo Balestrini 34 . 36 italiani.

51. Piazza S. Maria della Pietà 5 . 30 aderenti al Comitato di Quartiere Primavalle.

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52. Via Cardinal Capranica 37 . 200 occupanti (quasi tutti di nazionalità marocchina).

53. Via di Torrevvecchia 156 . 100 aderenti al «Coordinamento cittadino per il diritto alla casa».

54. Via Domenico Ciampoli 21/A . 20 occupanti di diverse etnie.

55. Via Federico Borromeo 67 . 40 occupanti prevalentemente italiani.

56. Via M. Battistini 113/117 . Comitato «Lotta per la Casa» e 200 stranieri.

57. Via Cavaglieri 8. 600 tra eritrei ed etiopi.

58. Via Pietro Marchisio 75/115 . 50 persone aderenti ad Action e al Comitato dei Diritti per la

Casa.

59. Via Tuscolana 1113 . 43 persone aderenti ai «Movimenti del diritto dell'abitare».

60. Via Tuscolana 1782 . 300 aderenti ad Action.

61. Via Tuscolana 1758 . 9 persone.

62. C.so d'Italia 108. Quasi 90 percone. occupazione gestita da Action.

63. Via Paisiello 40 . 20 giovani collegati a «La Destra».

64. Via di Cervara 200 . 8 famiglie italiane.

65. Via Fustiniana angolo Via Sambuci 67/75 . 500 appartenenti al Comitato Obiettivo Casa.

66. Via Roccagiovine 267 . 30 aderenti ai Movimenti per la Casa.

67. Via Tiburtina 1064 . 100 aderenti al Comitato Lotta per la Casa.

68. Via Tiburtina 1099 . 100 extracomunitari. Occupato da Blocchi Precari e Coordinamento

Lotta per la Casa.

69. Via Tiburtina 1231 . 200 appartenenti al movimento «Resistenza abitativa metropolitana».

70. Via Tiburtina 986 . Presidio Lotta per la Casa e Blocchi Precari.

71. Via Caltagirone 6/6/a . 64 famiglie aderenti ad Action.

72. Via Nola 5 . 50 appartenenti ad Action.

73. Via Partini 21/23 . 40 aderenti al movimento dei disobbedienti.

74. Via di Portonaccio 34 . 40 aderenti ai Collettivi Studenteschi Universitari.

75. Via Tiburtina 770 . 150 tra italiani e stranieri aderenti ai Blocchi Precari.

76. Via Giuseppe Mirri 45 . 50 nomadi.

77. Via dei Volsci 84 . Sede movimento antagonista «Patria Socialista».

78. Via dei Volsci 22 . Sede associazione femminista.

79. Via dei Volsci 26 . Sede del movimento «Rash».

80. Via dei Volsci 28 . Magazzino del «Rash».

81. Via dei Volsci 30 . Comitato Carlos Fonseca, adibito a magazzino di «Radio Onda Rossa».

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82. Via dei Dalmati 25/31 . Gli occupanti hanno chiesto e ottenuto l’uso capione.

83. Piazza dei Sanniti 9/11 . Occupazione di studenti universitari.

84. Via dello Scalo di S.Lorenzo 33. Collettivi Studenteschi della Sapienza.

85. Via Cesare de Lollis 9 . 70 studenti area antagonista.

86. Via dell'Impruneta 51 . 40 aderenti al Centro Sociale «Macchia Rossa» e al «Comitato

Occupazione Magliana».

87. Via A. Moravia 401 . 30 appartenenti ad Acrobax, La Strada e Lab 32.

88. Via Casale de Merode 6/8 . 150 persone appartenenti al Coord. Lotta per la Casa.

89. Via Erminio Spalla 53. 300 . Occupazione gestita dal Blocco Precario Metropolitano.

90. Via Baldassarre Castiglione 59 . 400 aderenti ai movimenti Blocchi Precari Metropolitani.

91. Via del Caravaggio 105 . 300 appartenenti al Comitato Lotta per la Casa.

92. Via del Caravaggio 107 . 300 appartenenti al Comitato Lotta per la Casa.

93. Via Argentina Altobelli 34 . 18 famiglie collegate a Blocchi Precari.

94. Via Ciro il Grande 6 . 70 persone aderenti ad Acrobax.

95. Via M. Adelaide 14 . 100 persone di varie nazionalità.

96. Via del Teatro Valle 21. Occupato dai dipendenti del teatro e da lavoratori e artisti dello

spettacolo.

97. Via C. Fiamma 136 . 15 aderenti al Centro Sociale «Spazio Sociale 136 Roberto Scialabba».

98. Via dei Treviri 5 . Centro Sociale Spartaco (Action).

99. Via Lucio Calpurnio Bibulo 13 . Action e Agenzia dei diritti del X Municipio.

100. Via Lucio Sestio 10 . Una decina di donne legate ad Action.

101. Via Pelizzi 83/101 . 66 extracomunitari e italiani.

102. Via Quintavalle 68 . 500 appartenenti al Coordinamento Lotta per la Casa.

103. Via Curtatone 3 . 250 somali. Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa.

104. Via Volturno 37 . Blocco Precario Metropolitano.

105. Corso d'Italia 36/b . 150 persone.

106. Via Tronto . Numero imprecisato di occupanti romeni.

107. Via delle Quattro Porte . 11 nuclei familiari.

108. Via Casilina km. 50 . 4 persone riconducibili ad associazioni di sinistra.

109. Via Montebianco 27/28 . Occupazione da parte di aderenti al Msi-Fiamma Tricolore.

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1. Bastogi, da residence universitario ad alveare del mercato nero

“Un’intesa tra pari livello, tutti capi e nessun servo”

(Romanzo criminale – La serie)

Otto palazzi e un numero di occupanti che supera le duemila unità per una stima di oltre 430

famiglie. Tra questi molti sono abusivi. Le palazzine furono costruite negli anni ’80, inizialmente le

strutture dovevano diventare dei residence universitari ma poi l’amministrazione comunale le ha

acquistate frazionandole in alloggi per le famiglie in attesa della famosa “casa popolare”. Quello

che i media hanno definito “Residence Bastoggi” tra Valcannuta e Torrevecchia, nella periferia

nord della Capitale. Non è elencato tra le “meraviglie” di Roma eppure, oltre il sentiero che porta

ai palazzi, si erge un mondo di degrado, abbandono, abusivismo, malaffare e delinquenza. Al

“Residence Bastogi” non si arriva per caso e nemmeno per volontà. Al “Residence Bastogi” si arriva

per necessità. Come ha raccontato qualcuno, “A Bastogi si raccontano i danni e si spartiscono i

guadagni”. Diversi gli interventi delle forze dell’ordine, tra i tanti, un blitz del 2004. A coordinare le

operazioni fu il Commissariato Aurelio. Durante un’intervista rilasciata al quotidiano La

Repubblica, Marcello Cadorna, dirigente del Commissariato, spiegò “Tutto questo era stato

pensato già due anni fa, ma era reso difficile dall' impossibilità di accertare con precisione quali

case fossero occupate regolarmente e quali no. L' intervento a Bastogi, però, non poteva più

essere rimandato. Il quartiere è abbandonato a se stesso da 20 anni, abitato da pregiudicati, pieno

di ogni tipo di refurtiva. Riqualificarlo è un obiettivo prioritario”. In seguito a quel blitz si scoprì che

trenta appartamenti su cinquanta, collocati all’interno della palazzina erano abitati da abusivi. Il

bilancio del blitz della polizia avvenuto nel 2004 ha raccontato non solo storie di malavita e

criminalità ma anche storie di disperazione facendo emergere il mercato nero delle case, una

piaga che ancora oggi attecchisce nei quartieri di Roma e soprattutto a Bastogi. Tra gli sfrattati,

infatti, qualcuno raccontò: “Abbiamo acquistato le case dagli assegnatari che non volevano viverci.

Abbiamo pagato dai 3 mila ai 10 mila euro per avere un alloggio. E ora non sappiamo come fare”.

Qualcuno, negli anni, ha raccontato: “Una casa però non l'ho occupata mai, qui invece c'è chi se le

compra al mercato nero”. Alcuni abusivi fuggirono prima che la retata potesse iniziare. I poliziotti

trovarono le cantine piene di refurtiva e motorini rubati. Una holding del malaffare si è generata in

seguito ad uno stato di necessità. L’abusivismo cominciò ad avere lineamenti più chiari quando,

durante il blitz, furono trovati enormi ammassi di fili allacciati illegalmente ai contatori esistenti

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per portare elettricità nelle case che ne erano sprovviste. I trenta piccoli appartamenti liberati,

infatti, furono immediatamente ripuliti dal Comune e trasformati in 15 case più grandi. Dopo quel

blitz altre appartamenti furono sgomberati. Dopo l’operazione di sgombero, l’allora sindaco di

Roma, Walter Veltroni commentò: “Solo ponendo fine all' occupazione abusiva è possibile

recuperare una delle zone più degradate e difficili di Roma”. Mercato nero e malaffare, uno

sposalizio perfetto. Oggi a Bastogi il pericolo di perdere una casa già occupata è costante. Ancora il

commissario Cadorna “Se ti allontani un giorno rischi di trovarti la casa svuotata o occupata.

Perché col tempo l'abusivismo è diventato un business per poveri e c'è chi per venire ad abitare

qui è anche disposto a pagare, dai due ai venti milioni di vecchie lire. Dipende dalla disperazione.

Qualcuno a ridosso della disperazione, ha messo in piedi un vero e proprio racket, con tanto di

minacce e appartamenti bruciati. A settembre, dopo due mesi di indagini, sono scattati gli arresti

per un gruppetto di ragazzi che si comportavano come una nuova mala locale”.

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2. Cagne sciolte, femministe per vocazione

“Il pensiero vola e va a posarsi sul davanzale di una casa,

sul confine tra il bene e il male, tra l’amore e il sesso, il corpo e la mente,

per concludere che in fondo in fondo è divertente il continuo dondolare di tutte le cose,

questa falsa divisione tra puttane e spose…”

(Jovanotti)

L’occupazione dello stabile in Via Ostiense al civico 137 è avvenuta nel dicembre del 2012.

L’edificio apparteneva al Comune di Roma ed era un ex night club. “Le cagne sciolte”, oggi un

collettivo politico, ereditano il pensiero espresso da Joreen nel manifesto “Cagna”.

Tra le righe del manifesto, scritto nel fervore sessantottino, si legge:

“Le Cagne hanno alcune o tutte delle seguenti caratteristiche:

1) Personalità. Le Cagne sono aggressive, assertive, autoritarie, prepotenti, risolute, malevole,

ostili, dirette, schiette, sincere, odiose, dalla pellaccia dura, testarde, cattive, dogmatiche,

competenti, competitive, invadenti, fanfarone, indipendenti, ostinate, esigenti, manipolatrici,

egoiste, ambiziose, realizzate, travolgenti, minacciose, paurose, altere, tenaci, sfacciate, maschili,

chiassose e turbolente. Tra le altre cose. Una Cagna occupa un sacco di spazio mentale. Sai sempre

quando ne hai una intorno. Una Cagna non prende merda da nessuno. Può non piacerti, ma non

puoi ignorarla.

2) Corporeità. Le Cagne sono grosse, alte, forti, grandi, potenti, esuberanti, dure, goffe,

impacciate, tentacolari, stridule, brutte. Le Cagne muovono il proprio corpo liberamente invece di

limitare, definire e confinare i propri movimenti in ‘maniera femminile’. Salgono le scale

rumorosamente, avanzano a grandi passi quando camminano e non si preoccupano di come

mettono le gambe quando si siedono. Hanno la voce alta, e spesso la usano. Le Cagne non sono

graziose.

3) Orientamento. Le Cagne ricercano rigorosamente la propria identità in sé stesse e in quello che

fanno. Sono soggetti, non oggetti. Possono avere un rapporto con una persona o

un’organizzazione, ma non ‘sposano’ mai qualcuno o qualcosa: un uomo, un palazzo o un

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movimento. Perciò le Cagne preferiscono pianificare la propria vita piuttosto che vivere giorno per

giorno, azione per azione, o persona per persona. Sono tipe indipendenti e credono di essere in

grado di fare tutto ciò che dannatamente vogliono. Se qualcosa si mette sulla loro strada: beh, è

quello il motivo per cui diventano Cagne. Se si realizzano nella professione, cercheranno la carriera

e non avranno paura di competere con chiunque. Se non sono interessate alla professione,

cercheranno in ogni caso l’ auto-espressione e l’auto-realizzazione. Qualunque cosa facciano,

vogliono un ruolo attivo e sono spesso percepite come prepotenti. Spesso dominano le altre

persone, quando non possono ricoprire altri ruoli che sublimino in modo più creativo le loro

energie e le loro capacità. Spesso sono accusate di prepotenza quando si comportano in maniere

considerate naturali per un uomo.[…] Le Cagne sono, per definizione, esseri marginali di questa

società. Non hanno un proprio posto e in ogni caso non lo occuperebbero anche se esistesse. Sono

donne, ma non ‘vere donne’. Sono esseri umani, ma non di sesso maschile. Alcune non sanno

nemmeno di essere donne perché non riescono a relazionarsi con le altre donne. Possono

divertirsi a giocare un ruolo femminile alle volte, ma sanno che si tratta di un gioco. La loro

maggiore oppressione psicologica deriva non dalla convinzione psicologica di essere inferiori, ma

dal sapere di non esserlo. Così, gli è stato rinfacciato per tutta la vita di essere streghe.

Naturalmente sono stati usati anche termini più gentili, ma il messaggio è comunque arrivato.

Come alla maggior parte delle donne è stato insegnato loro ad odiare sé stesse e tutte le altre

donne. In modi diversi e per ragioni diverse, forse, ma l’effetto è lo stesso. Interiorizzare un’idea di

sé negativa si traduce sempre in una buona dose di amarezza e risentimento. Questa rabbia è di

solito o rivolta contro di sé – rendendo una persona sgradevole, o su altre donne – rafforzando

perciò gli stereotipi sociali. Solo attraverso la coscienza politica la rabbia viene rivolta all’origine

del problema – il sistema sociale.[…]

Le donne di Via Ostiense 137 rappresentano un gruppo eterogeneo di diverse frange ed

espressioni della società, della protesta e del progresso: collettivi universitari, femministi, comitati

di lotta per la casa e i No Tav. A proposito dell’occupazione, le “cagne sciolte”, raccontano le

motivazioni legate all’azione in un’intervista rilasciata al portale “Roma che verrà”, riprodotta

parzialmente di seguito:

- “Recentemente avete occupato uno stabile in viale Ostiense. Un edificio del Comune di

Roma adibito a nightclub club che volete riconvertire in uno spazio “di riferimento e di incontro

per le donne”. Ricapitolando: un night club in un stabile del Comune di Roma riconvertito in uno

spazio sociale per le donne, una bella impresa?

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L'occupazione delle Cagne Sciolte è uno spazio liberato che vorremmo restituire al quartiere.

Abbiamo scelto un luogo che fosse pubblico e, qualsiasi fosse stata la sua destinazione

precedente, ci interessava avere quattro mura che ci permettessero di pensare e costruire tutto

ciò che desideravamo. Nei nostri progetti rientra non solo l'idea di costruire uno sportello di

accoglienza per donne che hanno subito violenza, ma soprattutto la riappropriazione di uno spazio

che sia delle donne e per le donne, ma non solo: un luogo dove incontrarsi, parlare, progettare e

strutturare relazioni e dinamiche diverse, libere da ogni forma di sessismo, omofobia, transfobia,

razzismo e fascismo.

Noi volevamo uno spazio per noi, indipendentemente dalla sua destinazione d'uso precedente. Ci

teniamo a ribadirlo perché rifiutiamo ogni tentativo moralista di classificarci come le brave ragazze

che hanno ripulito un posto da quelle cattive che c'erano prima. Anche perché la più pulita di noi

ha la rogna.

- I giornali vi etichettano come un “movimento di sinistra” e nello stessa ottica vengono lette

le vostre azioni, cosa ne pensate?

Le etichette non ci interessano e non è attraverso questi meccanismi che ci legittimiamo

politicamente. Siamo antisessiste, antifasciste, antirazziste, libertarie, anticapitaliste, puttane,

sexworkers, trans. Siamo al fianco di chi lotta contro l'oppressione, lo sfruttamento, l'omofobia e

la transfobia. Ci sembra più che sufficiente.

- La nuova amministrazione ha dedicato il 2014 alle donne, cosa ne pensate delle nuove

strategie attuate dal sindaco Marino?

Marino è l'esponente di un partito, il PD, che, al pari di tutti gli altri partiti, si fa portatore di

politiche di stampo securitario e paternalista, che opprimono le donne, le relegano al ruolo di

vittime\oggetti: come il decreto contro il femminicidio che strumentalizza la violenza di genere per

giustificare provvedimenti repressivi contro i movimenti che combattono lo sfruttamento e la

devastazione dei territori, come quello No Tav. Non è ai partiti che affidiamo le nostre

rivendicazioni, anzi sono spesso la controparte delle nostre lotte.

Le cagne sciolte, presso lo spazio di Via Ostiense tengono corsi di lingua gratuiti al fine di favorire

l’integrazione e la solidarietà tra le donne. Tra i corsi: italiano per donne, tedesco, russo,

conversazione di inglese, conversazione spagnola. Ogni giorno della settimana, in un orario

specifico è possibile seguire un corso. Si svolgono, inoltre lezioni sulla camera oscura come

laboratori di stampa e laboratori sullo sviluppo delle pellicole. E’ possibile anche effettuare lezioni

di pole dance, due volte a settimana: un corso base e un corso intermedio. L’aspetto più

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interessante della loro attività, è l’istituzione delle domeniche “La Puttanesca – dopo la militanza,

la panza”. Dalla locandina dell’iniziativa si legge “La puttanesca cucina e propone esclusivamente

prodotti vegan perché crediamo che creare uno spazio di socialità e divertimento libero da

oppressioni, significa anche scegliere di non comprare, cucinare e vendere prodotti che derivino

dallo sfruttamento di altri esseri viventi. La trattoria è completamente autogestita e

autorganizzata: sono l’impegno e la passione dei compagni/e e delle sorelle che hanno occupato

questo spazio e lo attraversano, a mandare avanti questo progetto, per nessuno di noi è un lavoro

o fonte di reddito. Di volta in volta scegliamo di organizzare il ricavato della cena per finanziare

l’autogestione dello spazio, oppure per sostenere percorsi di lotta e autorganizzazione, spese

legali per compagne vittime della repressione, casse di solidarietà e mutuo soccorso”.

Le “Cagne sciolte”, sono promotrici di molti eventi, manifestazioni, cortei, presentazione dei libri

come quella avvenuta l’8 febbraio 2015. Nei locali di Via Ostiense 137 si è svolta, infatti, la

presentazione del libro dal titolo “Tutta la mia vita è stata una lotta” di Sakine Cansiz. Durante la

serata videointerviste e foto a cura del gruppo di compagne femministe andate in Rojava in

occasione del 25 novembre per la giornata internazionale della lotta alla violenza sulle donne.

3. Lucya y siesta. Da stabile Atac a casa delle donne

L’occupazione è iniziata cinque anni fa. Era l’8 marzo del 2008. Proprio nel giorno della festa della

donna, un gruppo di donne hanno deciso di dar vita al loro progetto. Una forma di solidarietà, di

assistenza. Un supporto psicologico e una dimensione di accoglienza. Questo sono diventate e

oggi, nel quartiere, sono conosciute come “La casa delle donne”. Ma di cosa parla il loro progetto?

Cosa le ha spinte a partire da un abuso per fare del loro “reato” una funzione sociale? Dalle pagine

del loro blog, curato con dovizia di particolari e puntuale nella programmazione di eventi, sempre

attento alla dimensione del sociale, si legge “Il progetto “Lucha y Siesta” nasce dalla riflessione di

alcune donne del movimento di lotta per la casa “Action”, riunitesi in “Action-A”. Non potevamo

ignorare infatti che la stragrande maggioranza delle persone in disagio abitativo che si rivolgono

agli sportelli di Action sono donne sole, donne in fuga da situazioni di violenza o che vivono in

condizioni di precarietà o in completa solitudine, senza rete parentale, italiane o straniere.

In un contesto caratterizzato dalla concentrazione delle ricchezze in mano maschile, dalla

disuguaglianza di accesso al lavoro e alle risorse fra i sessi, il dato non ci ha ovviamente stupito ma

ha creato nel collettivo l’urgenza di una risposta.

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L’8 marzo 2008, quindi, un gruppo di donne autorganizzate occupava uno stabile dell’Atac

abbandonato da più di 10 anni nella zona di Cinecittà.

Così è nata La Casa delle Donne “Lucha Y Siesta” dove oggi vivono circa 20 donne, italiane e non, e

diversi minori, ma che in questi due anni è stata attraversata da tante donne che hanno

contribuito ed arricchito con i propri desideri e i diversi bagagli di conoscenze questa nuova

esperienza.

Tutte insieme abbiamo creato uno spazio per l’accoglienza abitativa e sociale di donne per le

donne dove non solo si possano elaborare percorsi di emancipazione e autodeterminazione ma

anche contribuire a ricostruire un nuovo scenario sulle politiche di genere.

In questi anni abbiamo sviluppato molti progetti, nonostante le difficoltà pratiche a cui abbiamo

dovuto fare fronte come l’assenza di finanziamenti e la necessità di adeguare il posto alle nuove

esigenze. Fin dai primi mesi abbiamo aperto uno sportello di primo ascolto e accoglienza per le

donne in situazioni di difficoltà socio-economiche, creando una rete con i servizi di assistenza

sociale del municipio e con le realtà cittadine che offrono assistenza alle donne (centri

antiviolenza, telefono rosa, etc. etc.) e ospitando, disponibilità di posti permettendo, molte delle

donne che si sono rivolte a noi. In seguito abbiamo portato avanti, grazie al lavoro totalmente

volontario dei cittadini che si sono avvicinati alla casa, un corso di italiano per donne migranti,

nell’ottica di fornire alle donne alcuni degli strumenti necessari a migliorare la propria condizione

sociale ed economica e a permettere un percorso di integrazione nella differenza. Abbiamo

costruito corsi di inglese, psicoterapia di gruppo, laboratorio di ceramica, sartoria e teatro.

Nel corso di questi anni abbiamo cercato varie modalità per promuovere e far emergere quelle

espressioni culturali e artistiche femminili che troppo spesso rimangono in secondo piano:

abbiamo organizzato mostre fotografiche e artistiche, cineforum e rassegne teatrali, presentazioni

di libri e di ricerche vicine alla questione di genere.

A queste attività, mirate alla promozione del benessere e della vita culturale interna alla casa, si

sono accompagnate iniziative rivolte all’esterno, per la rivendicazione e promozione dei diritti

civili, politici, economici e sociali delle donne. Un percorso individuale e collettivo di ricerca di

un’identità di genere che possa rappresentarci nel rispetto delle differenze culturali di cui siamo

portatrici. Stiamo imparando a convivere e rispettare le nostre differenze, attraverso il dialogo e a

volte lo scontro, attraverso la comprensione della nostra pluralità.

In una situazione di totale smantellamento dello stato sociale, di diffusione di una cultura

ridicolmente maschilista, di attacco alle strutture conquistate con anni di lotta come i consultori, di

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tagli ai servizi socio-assistenziali, di sostituzione dell’idea del “favore” a quella del diritto, crediamo

che Lucha y Siesta sia un luogo prezioso per tutte le donne e gli uomini della città.”

Due gli sportelli attivi presso il centro: sportello di accoglienza e sportello Consultiamoci.

Numerose le informazioni contenute all’interno del portale della Casa delle donne, comunemente

definita tale. Assistenza non solo psicologica ma anche medica. Consigli, suggerimenti e

accoglienza. Accoglienza come una grande famiglia. L’offerta di servizi che, forse, in una procedura

all’interno di una struttura pubblica o privata, non avrebbero avuto lo stesso tempismo, la stessa

attenzione. Un casa, un rifugio conosciuto in zona e legittimato come funzione sociale, aiuto per la

collettività. Rigorosamente gratuiti i supporti che le donne di Lucia Y siesta offrono a chi ne ha

bisogno. Supporto ostetrico: colloqui informativi sulla salute riproduttiva della donna

(contraccezione, aborto, gravidanza, parto, puerperio, allattamento, ciclo mestruale e

menopausa); orientamento verso strutture sanitarie pubbliche rispettose dell’autodeterminazione

delle donne; lettura delle cartelle cliniche.

Supporto psicologico: consulenza e ascolto, informazione e orientamento su gravidanza, IVG,

aborto terapeutico, parto, post-partum, allattamento, maternità, genitorialità’; supporto per le

donne vittime di violenza ostetrica (atti medici non necessari o non acconsentiti o su cui non erano

state informate, eseguiti durante la gravidanza, durante il parto o nel dopo parto).

Supporto legale: consulenza e informazioni sui diritti delle donne in campo sanitario (aborto,

gravidanza, parto; consenso/rifiuto dei trattamenti sanitari) e su maternità e lavoro; assistenza

contro l’obiezione di coscienza su IVG e pillola del giorno dopo; assistenza sul rimborso spese

parto a domicilio; pareri sui casi di responsabilità medica, violenza ostetrica e abusi in sala parto.

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4. ExSnia: dal tessile al centro sociale

“Trovarsi insieme è un inizio,

restare insieme un progresso…

Lavorare insieme un successo.”

Henry Ford

“Guarda quanta gramigna ho tolto da questo pezzetto di terra!”. Comincia così il mio approccio

all’exsnia. Lei ha quasi sett’anni, si chiama Maria, abita nel quartiere da sempre e da circa due anni

si occupa dell’orto del centro sociale occupato in Via Prenestina. “Le ragazze mi hanno affidato

questo lavoro e io ci vengo volentieri, tutti i pomeriggi. Ho piantato i piselli oggi, ma per le altre

cose devo aspettare la metà del mese perché adesso non è periodo”. E così mi indica delle aiuole

contenute in alcune vasche di legno. “Sai, non posso piantare per terra, la terra è contaminata,

perciò dei ragazzi mi hanno fatto queste vasche, ci metto la terra buona e la lavoro e poi quello

che coltivo lo mangiamo tutti, anche tu se vuoi venire un giorno”. Il suo modo di fare, la sua

dedizione a quel pezzo di terra, palesano l’attaccamento di Maria a quel posto. Lei è la memoria

storia del centro, della snia prima, dell’ex snia poi. Mi racconta dei tempi in cui la fabbrica era in

funzione, di come, al di là di via Gattamelata non ci fosse nulla e di come i campi arrivassero fino

dopo l’ospedale, poco lontano dalla fabbrica. “Il giorno dell’occupazione me lo ricordo bene, era

venti anni fa. Non immagini quanta gente ci fosse – poi storce il naso e aggiunge – anche i politici,

è stata tutta una mossa politica. Vedi quell’appartamento là sopra? – mi dice indicandomi il punto

più alto dell’ex snia – Là abitavano loro. Nessuno ha mai staccato acqua, luce o gas. Poi sono

arrivati questi ragazzi e hanno dato vita ad un centro sociale. Fanno tante cose. Ci voleva proprio.

In questo quartiere non c’è niente, loro sono stati una salvezza. Sapessi la soddisfazione quando

finalmente sono riusciti a salvare il laghetto. Oggi qua non ci vive più nessuno, anzi – qui abbassa il

tono della voce come a volermi raccontare un segreto che in pochi conoscono – ci vivono due

ragazzi giorno e notte o almeno quando non stanno in galera”. Si gira sulla sua destra e ancora

con il rastrello in mano e con la voce sempre più bassa, mi indica un altro caseggiato, molto mal

ridotto, con la lamiera in evidenza e i pilastri in bella vista. “Guarda, là dentro ci sta un rumeno, ma

non è un bravo ragazzo. Rubacchia in giro e allora ogni tanto, quando lo sorprendono lo portano in

galera e poi quando esce torna di nuovo a vivere qua. Lui non dà fastidio a me e io non do fastidio

a lui. In effetti non dà fastidio a nessuno perciò lo fanno rimanere, si fa i fatti suoi. Poi ci sta pure

un altro ragazzo a vivere qua. Guarda, di fronte a te, la vedi quella casetta? Ecco lui vive là. E’

africano, non mi chiedere di dove perché non lo so. Ma è bravo, è gentile. Vive qua e lui non

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finisce mai in galera perché non fa guai”. L’ex snia, a guardarla dall’esterno potrebbe dare l’idea di

essere abitata da chiunque e nemmeno da una sola persona ma da tante. Invece no. Ecco i

pregiudizi, i preconcetti. All’ex snia si ritrovano tante persone. E’ un sabato pomeriggio e sono

tanti i ragazzi, le famiglie con i bambini che percorrono le vie del centro, in cerca di un raggio di

sole o sul promontorio che porta al lago. “Fanno tante cose qua dentro. Pensa che il primo maggio

vengono tante persone da ogni parte del mondo, si riuniscono qui e parlano, fanno dei dibattiti,

delle conferenze. Sono stati bravi a prendere questo posto e a farlo diventare quello che è ora” –

continua Maria che nel frattempo si è accesa anche una sigaretta. “I ragazzi organizzano dei

concerti, delle mostre, eventi di ogni genere. Ogni giorno c’è una festa qua, si parla di cose molto

interessanti. Adesso stanno organizzando la festa delle donna, l’altra settimana abbiamo

festeggiato l’anniversario dell’occupazione, sono passati vent’anni… Eh me lo ricordo quel giorno.

Macchine, gente, tram… Via Prenestina era tutta bloccata.”

- Vicissitudini storiche, dalla fabbrica all’occupazione

Tutto è iniziato con 14 ettari di terreno, un triangolo incastrato tra via Prenestina e via di

Portonaccio, con alle spalle la stazione dei treni, dove sostano i vagoni notte e passa la linea Roma-

Pescara. In quello che oggi è il cuore del quartiere residenziale del Pigneto-Prenestino, a pochi

passi dallo snodo centrale di Porta Maggiore, negli anni Venti sorgevano gli stabilimenti della

storica fabbrica SNIA Viscosa, che per tutta la prima metà del Novecento produsse un tipo di seta

artificiale, il rayon, attraverso la raffinazione chimica della cellulosa.

Durante la seconda guerra mondiale, alla SNIA si tessevano tende, divise e zaini per i soldati al

fronte, e sotto la fabbrica era stato costruito il rifugio antiaereo del quartiere. La crisi del chimico

italiano, però, portò alla dismissione della SNIA nel 1955: un abbandono vero e proprio dei

capannoni e degli uffici, che rimasero nascosti dietro il muro di cinta, lasciando che la vegetazione

si riprendesse il suo spazio. Quei 14 ettari però facevano gola a molti, soprattutto alla grande rete

dei costruttori romani, che già a inizio degli anni Sessanta aveva iniziato a prendere possesso di

Roma, a partire dalle periferie. Fu proprio in quel periodo che il quartiere del Pigneto e quello di

Torpignattara, entrambi sviluppati nei quadrilateri intorno alla via Prenestina, crebbero fino a

diventare oggi una delle zone a più alta densità abitativa d’Europa, con 124 mila abitanti.

Nonostante l’appetibilità dell’area dell’ormai ex SNIA – acquistata dal noto “palazzinaro” romano

Antonio Pulcini – la speculazione edilizia non aveva potuto mettere mano alla cementificazione

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perché, nel 1965, venne varato il nuovo piano regolatore, il cosiddetto SDO dal Comune di Roma,

guidato dal sindaco Nicola Signorello.

Lo SDO – Sistema Direzionale Orientale – oggi tramontato mito urbanistico di sviluppo territoriale

della Capitale, programmava la crescita della parte sud-orientale della città, immaginandola come

luogo di ministeri e di alcuni enti pubblici, che avrebbero dovuto lasciare le loro sedi del centro.

Proprio lo SDO poneva sull’area ex SNIA un vincolo di destinazione all’edificazione di un ministero,

impedendo di fatto che anche lì venissero costruiti palazzoni di edilizia popolare. Fino a fine anni

Ottanta, dunque, i 14 ettari erano un quadratino rosa sulla mappa del piano regolatore, quando il

rosa contrassegnava le aree destinate a SDO.

Improvvisamente, a inizio anni Novanta, i cancelli dell’ex SNIA si sono spalancati alle ruspe e

all’interno della fabbrica è iniziato un enorme cantiere. Alla base, il progetto di edificazione di un

centro commerciale di sei piani e della palazzina della ASL. Il costruttore era lo stesso Antonio

Pulcini, proprietario del terreno.

Ma come è stato possibile, se da piano regolatore l’area era rosa significava vincolo di

destinazione a ministero? Semplice, sulle carte del documento quel rosa acceso sul triangolo di 14

ettari era diventato di un azzurro chiaro. Azzurro chiaro nella legenda significava servizi, e il

supermercato e la sede della ASL rientrano proprio nella categoria “servizi”.Il progetto, per

fortuna, non bastava: se con quello – a cui, si scoprirà, mancavano i permessi – si poteva costruire,

ma non certo abbattere l’esistente. I lavori cominciarono senza che la vecchia fabbrica venisse

demolita, e le ruspe scavarono per ben 10 metri di profondità, nelle aree non occupate dai

capannoni, per costruire dei parcheggi interrati. Era appena iniziata la costruzione dell’edificio,

quando improvvisamente lo scavo si è allagato di acqua frizzante: le escavatrici avevano scavato

fino a trovare la falda acquifera storica dell’Acqua Vergine, che attraversa la zona di Roma est:

quella dell’acqua bullicante da cui prende il nome anche una via nelle vicinanze. Nel 1994 l’acqua

sommergeva completamente la zona del cantiere, allagando i due piani già costruiti e bloccando i

lavori. Il lago è profondo circa 6 metri e balneabile, il laghetto della ex SNIA intitolato al Presidente

della Repubblica Sandro Pertini è stato oggetto di infinite dispute tra i comitati per la salvaguardia

dell’area e il proprietario Antonio Pulcini. I primi sostengono che l’area sia balneabile e che abbia

dato vita ad un biotopo da preservare, il secondo invece ha sempre opposto che l’acqua in realtà

viene da una condotta fognaria e che il lago va prosciugato e coperto. Oggi una parte del lago

rientra nell’area espropriata dal Comune, ma è ancora inaccessibile ai cittadini. Quel cambio di

colore sospetto da rosa a blu sul piano regolatore, però, non è passato inosservato e la

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magistratura, nei primi anni Novanta, apriva un fascicolo per la fraudolenta modifica: l’indagine

portava all’arresto degli ingegneri che avevano firmato il progetto di Pulcini ed anche al rinvio a

giudizio dello stesso costruttore, poi assolto. Così, nel 1993, anno del passaggio di consegne tra il

sindaco uscente Franco Carraro e Francesco Rutelli, la neo amministrazione di centro-sinistra

espropriava d’urgenza a Pulcini tre capannoni e apriva per la prima volta agli abitanti del quartiere

il parco dell’ex SNIA, creando quello che oggi si chiama Parco delle Energie, la prima area verde del

quartiere. L’area del parco, in realtà, si estende solo per 2,5 dei 14 ettari di terreno della fabbrica,

quelli che confinano con la stazione dei treni Prenestina, e non comprende il laghetto né i dodici

capannoni fatiscenti della SNIA, che rimangono nel più completo abbandono. Nel frattempo, nel

1994 l’allora assessore all’urbanistica della giunta Rutelli Walter Tocci annuncia il definitivo

tramonto dell’ipotesi SDO. I ministeri non si trasferiranno mai nel quadrante orientale della città e

il nuovo piano regolatore vincola l’area ex SNIA a zona per servizi. L’area viene comunque

espropriata dal Comune di Roma, ma non interamente: solo la parte in cui sorge il lago fino a via di

Portonaccio, lasciando di proprietà privata solo i capannoni, destinati a diventare – mediante

accordo tra proprietario e l’università della Sapienza – il nuovo polo universitario tecnologico.

Dopo qualche anno di stop, nel 2005 riprende quota l’ipotesi di rendere l’ex fabbrica la sede del

nuovo Ateneo della Scienza e della Tecnologia targato la Sapienza. Il progetto prevede l’acquisto

da parte dell’Università di 4 ettari dell’area ancora occupata dai capannoni ad un costo di quasi

200 milioni di euro, ma poco dopo scoppia l’ennesimo scandalo: il contratto quadro per

l’edificazione viene assegnato dal rettorato della Sapienza allo stesso Pulcini. In cambio della

ristrutturazione degli ex capannoni per adibirli ad aule, l’imprenditore avrebbe ricevuto

l’autorizzazione a realizzare in proprio, in quella stessa area, 10 mila metri cubi di servizi da

destinare a bar, ristorante, supermercato, una banca, una posta e alloggi per gli studenti. Ma non

solo, si scopre anche che i terreni – capannoni compresi – sono gravati da un’ipoteca contratta da

Pulcini con il Banco di Napoli. “L’ipotesi del trasferimento di una parte della Sapienza a Roma est –

ha spiegato Massimiliano Valeriani, consigliere comunale all’epoca dei fatti – avrebbe significato

più servizi per il quartiere, e un enorme indotto in termini sia economici che culturali. La Giunta

Alemanno però ha avuto una gestione interte e poco limpida del progetto, che oggi è stato

tristemente archiviato”. Nella parte del complesso industriale adiacente alla Via Prenestina è sorto

nel 1995 un centro sociale, che ha dato il via a diverse attività autogestite, compresa una ciclo-

officina, e che rivendica il salvataggio dell’area dalla speculazione e la riconsegna ai cittadini del

parco. “Le nostre istanze partono dalla constatazione che questa è l’unica area verde di un

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quartiere ad altissima densità abitativa, e come tale va tutelata. Chiediamo all’amministrazione

comunale di allargare il parco delle Energie alla parte espropriata nel 2004, inglobando il laghetto,

ma soprattutto una riqualificazione dell’area dei capannoni, senza aumentarne la cubatura” ha

spiegato una delle attiviste del centro sociale ex SNIA, Alessandra Conte. Oggi il centro sociale

collabora attivamente con le altre realtà di quartiere e fa parte. La situazione, oggi, è in sospeso.

Dopo il ritiro del bando “relitti urbani”, sventando l’ipotesi dei quattro grattaceli al posto dei

vecchi capannoni, il contenzioso legato alla zona del lago Pertini è ancora un fronte aperto.

L’esproprio risale al 2004 ma le leggi in materia sono molto rigide: se entro dieci anni il Comune

non inizierà l’iter di messa in atto del progetto per cui ha espropriato i terreni, il precedente

proprietario ha diritto di retrocessione e anche di vedersi risarcito il danno.

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5. Occupazione del teatro più antico della Capitale: Il Valle

“La cultura è un bene comune primario come l'acqua;

i teatri, le biblioteche, i cinema sono come tanti acquedotti.”

Claudio Abbado

L’11 agosto del 2014 è finita l’occupazione al Teatro Valle, oggi chiuso dopo una serie di promesse

in attesa di risposta e di tavoli di concertazione con nessun interlocutore. Era stato occupato il 14

giugno del 2011, dopo la chiusura dell'ETI, da un gruppo di lavoratori dello spettacolo, attivisti e

liberi cittadini. Una forma di protesta per fare in modo che il teatro fosse mantenuto pubblico

mediante la partecipazione popolare e fosse, oltretutto, gestito con criteri di trasparenza.

L’occupazione è durata tre anni. In questo periodo gli attivisti, i lavoratori non sono rimasti inerti e

hanno cercato di elaborare sempre nuove proposte, soprattutto legate alla gestione dei teatri

pubblici, all’ideazione di nuovi modelli che ponessero le basi per la costituzione di politche

culturali. Eventi, incontri, dibattiti. Il Teatro Valle Occupato nel corso degli anni è stato un punto

fermo, un punto di partenza e mai di arrivo. Fondi pubblici mal distribuiti, soppressione di enti

inutili, scioperi del lunedì. Lavoratrici e lavoratori dello spettacolo senza diarie e sussidio di

disoccupazione. Questi i motivi alla base dell’occupazione. E proprio la parola “occupazione”

rimbalza in prima pagina sul blog del teatro valle occupato, in questa sede presa in prestito per

dare valore alla tesi: “occupare è una pratica politica collettiva, un gesto di riappropriazione che

istituisce uno spazio pubblico di parola. Continuiamo ad occupare il Teatro Valle perché il gesto si

trasformi in un processo costituente: per attivare un altro modo di fare politica senza delegare,

costruire un altro modo di lavorare creare produrre, affermare un’altra idea di diritto oltre la

legalità, sviluppare nuove economie fuori dal profitto di pochi. Dalle lotte sull’acqua pubblica e

dall’incontro con i giuristi Ugo Mattei e Stefano Rodotà nasce un’intuizione: che la categoria dei

beni comuni possa aprire uno spazio d’azione tra la logica del profitto dei privati e l’asfissiante

burocrazia pubblica. Un terreno che genera connessione tra lotte molto diverse, moltiplicando

spazi di confronto e piani del conflitto. Al centro delle pratiche, le relazioni: il fare comune è

un’alternativa concreta per sottrarre le nostre vite e il nostro lavoro agli effetti della crisi e delle

politiche di austerità.

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Beni comuni come azione di democrazia diretta e radicale: il Teatro Valle si è fatto agorà e la città

ci si è riversata dentro. Partecipare in prima persona all’autogoverno di un teatro porta con sé

un’altra idea di cittadinanza. Un palcoscenico aperto, un progetto da condividere con compagnie,

artisti, operatori, spazi indipendenti di Roma e in Italia per sperimentare una progettazione

partecipata e una diversa organizzazione del lavoro basata sulla cooperazione. Un luogo di

formazione e autoformazione in cui l’accesso ai saperi e la qualità siano garantiti. Una dimensione

in cui condividere i bisogni e trasformarli in un fare comune.

6. Via Collatina 385

“Lei è solo straniera, siamo noi a farne un’estranea.

Lei non ha altra scelta, noi sì”

Campagna antidiscriminazione UNAR

Il civico di Via Collatina 385 meriterebbe un’attenzione diversa. In quello stabile si consuma la

storia di chi, a Roma, non vive per velleità. Si consuma la storia di chi fugge da un paese in guerra,

di chi aspetta la concessione di asilo politico, di chi la mattina rovista nei secchi dell’immondizia

per mangiare e anche di chi sul balcone ha una parabola. Già perché in Via Collatina le utenze non

sono mai state staccate. Perché lì ci vivono gli ultimi, ci vivono quelli che potrebbero portare a

Roma malattie infettive. Questo dicono i finti “perbenisti”, questo raccontano i politici quando gli

viene chiesto perché lo stabile di Via Collatina 385 non viene sgomberato. Qualcuno ha anche

parlato di “rifugiati per diritto che poi si imboscano nei palazzi occupati”. Dal 2004, il civico 385 di

Via Collatina è abitato abusivamente. In Via Collatina 385 vivono rappresentanti della comunità

eritrea e etiopica, rifugiati politici e richiedenti asilo. Sono tanti, impossibile fornire un numero

preciso, anche perché qualcuno che quel palazzo lo vive ha parlato di “un porto di mare con gente

che va e gente che viene”. Queste persone sono qui, ad aspettare il riconoscimento di uno status.

Un diritto che non arriva. Allora chi è che compie l’abuso? Loro o lo Stato? Ma questa è un’altra

storia… Una storia di dolore, di sconfitta, di vincitori e vinti che troppo presto si fanno diventare

“estranei pericolosi”.

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7. Testimonianze

- Per convenzione lo chiamo “Simone”, non vuole dire il suo vero nome perché non vuole

rischiare di andare incontro a qualcosa di pericoloso. Lui abita in uno stabile in Via Regina

Margherita, è uno stabile occupato. Ad aprile festeggeranno i due anni di occupazione. “Siamo

venuti a vivere qui due anni fa, abbiamo sfondato tutto e abbiamo occupato”. Simone è uno

studente e insieme a lui ci vivono altri suoi colleghi. “Hanno provato a sgomberarci ma poi ci

hanno lasciato stare. Anche la sera dell’occupazione ci hanno provato. Adesso non vengono più. In

casa abbiamo acqua, luce e gas”.

- Luca ha dovuto prendere una casa in affitto a Roma. Lui ha una proprietà ad Acilia, un

appartamento che aveva dato in locazione per due anni. Dopo i primi mesi, l’affittuario ha smesso

di pagare il canone mensile. Ha cambiato la serratura, si è barricato dentro casa con la compagna e

la figlia piccola. Luca ha riavuto la sua casa che, adesso ha deciso di vendere, dopo due anni e

mezzo di battaglia tra ufficiale giudiziario, giudice di pace, polizia e avvocati. “Non sai quanto mi è

costato in termini economici. Oltre il danno anche la beffa. Il giorno dello sfratto lo ricorderò

sempre. Ci sono andato insieme ad un fabbro che ha subito cambiato la serratura mentre loro mi

lasciavano l’appartamento. Quando siamo entrati, in attesa che loro uscissero con le loro cose, un

poliziotto teneva sempre la porta aperta per evitare di correre il rischio che si chiudessero di

nuovo dentro. Ci abbiamo provato tante volte a mandarli via ma non ci siamo riusciti. Non ti dico

cosa ho trovato in quella casa. Tutto ridotto malissimo, sporco ovunque, i limiti del decoro sono

stati davvero oltrepassati. Non voglio entrarci più in quella casa. E’ stata davvero una brutta

parentesi della mia vita. Adesso l’ho messa in vendita, me ne voglio liberare il prima possibile. Non

darò mai più in affitto nulla.”

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BIBLIOGRAFIA

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Messaggero”, 20 giugno 2014

Bandettini Anna, “Quer pasticciaccio brutto… del Teatro Valle” in “La Repubblica”, 17 febbraio

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Blog: Al di la del buco

Blog: Cagne sciolte

Blog: ExSnia

Blog: Teatro Valle Occupato

Blog: Lucya y siesta

Blog: Diritto Privato

Brogi Paolo, “Il branco dell’ex Bastogi”, in “Corriere della Sera”, 16 giugno 1999

Diana Romersi, “Cagne sciolte. L’intervista”, in “Roma che verrà”, 17 gennaio 2013

Damiano D’Angeli, “Stabile Occupato di Via Collatina, ecco cosa ne pensa Mastrantonio”, in

“Abitare Roma”, 31 ottobre 2010

Della Pasqua Erica, “Rifugiati per diritto ma poi si imboscano nei palazzi occupati”, in “Il

Tempo”, 21 giugno 2014

Flaminia Bolza Mariotti Posocco, “Dal Colosseo a Bastogi: è sempre Roma”, in “Logiche

criminali”, 28 giugno 2013

Giannoli Viola, “Teatro Valle, gli ex occupanti rientrano nel foyer: Promesse non mantenute”,

in “La Repubblica”, 27 novembre 2014

Passa Claudia, “Prenestina, 300 africani sorvegliati speciali”, in “Il Giornale”, 3 agosto 2005

Redazione on line, “Danno da occupazione abusiva da immobile”, in “Il Sole24”, 07 ottobre

2014

Wanda Cuseo, “Bastogi sgombero all’alba”, in “La Repubblica”, 23 giugno 2004

Interviste sul campo, raccolta testimonianze.