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Mary Lou Williams, Nick G - Vicenza Jazz · Aziza Mustafa Zadeh Aziza Mustafa Zadeh pianoforte, voce In collaborazione con gli Amici della Musica di Vicenza A 10 Domenica 20 MAGGIO

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La Rocca: Le donne, Gli italoamericaniMary Lou Williams, Nick

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20/27 MAGGIO

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di Mario Bagnara

Nel 1801 moriva Domenico Cimaro-sa; nello stesso anno nasceva Vin-cenzo Bellini. Cento anni dopo mori-va Giuseppe Verdi e nasceva LouisArmstrong. A Vicenza il grande

Armstrong abbiamo cominciato a ricordarlo lo scorso anno, inonore della leggenda che lo voleva nato il 4 luglio 1900, ma, giu-stamente, non potevamo dimenticarcene nell’anno che gli storicihanno determinato come quello corretto.Tuttavia, ci sono spesso ricorrenze e anniversari un po’ dimenti-cati che, una volta tirati fuori dai cassetti, hanno il merito di por-tarci a discutere su temi tutt’altro che banali. Certamente gliappassionati non hanno scordato che dieci anni fa moriva MilesDavis (e a Vicenza si celebra il 21 maggio il primo tributo signifi-cativo della stagione), ma chi avrebbe scovato Nick La Rocca,morto nel ’61, e chi avrebbe ripescato Mary Lou Williams, mortagiusto vent’anni fa?Così, eccoci – con il tramite del jazz – a riparlare di italoamericanie, soprattutto, a riconfrontarci sul tema del rapporto fra le donnee l’arte, le donne e la musica.Io penso che New Conversations debba la sua fortuna (che cer-tamente mi auguro possa ripetersi anche in questo 2001) alfatto di essere un festival jazz in cui non si vive di solo jazz: que-st’anno andremo forse ancora più in là, incontrando i temi dellebellezze Unesco (come i Sassi di Matera) o la pittura novecen-tesca delle mostre d’arte in Basilica, ma pure richiamando lagente in piazza con i prodotti dell’artigianato e della gastrono-mia, nostra e di paesi amici.Davvero “Vicenza Jazz” sembra avere tutte le carte in regola perconfermarsi una grande festa per tutti. �

Il valzer dei ricordi

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di Matteo Quero

Ho sempre creduto nel gioco disquadra. E nel fatto che le partite sivincono nello spogliatoio, prima an-cora che nel campo. Questa è la filo-sofia che contraddistingue da sem-pre l’attività di Viarte e Ognipratica, aziende che anche quest’annocollaborano con il Comune di Vicenza e con la Trivellato MercedesBenz nell’organizzazione di “New Conversations - Vicenza Jazz”.Se questo festival è ormai diventato uno dei “must” per gli appas-sionati della musica afroamericana è anche per merito dell’affia-

tamento tra i diversi sog-getti coinvolti nella suarealizzazione e dello spiri-to di gruppo che, a suavolta, influenza positiva-mente chi è chiamato inprima persona a dare ilproprio contributo - pic-colo o grande che sia - auna manifestazione dinotevole impatto orga-nizzativo.“Vicenza Jazz” è, comesi suol dire in gergo calci-

stico, una “partita di cartello”, dove l’impegno deve essere co-munque sostenuto dalla passione: la passione per una musicasenza tempo e per una città che, per questa speciale occasione,riscopre il gusto di stare insieme. E proprio questa sensazione, credetemi, è la soddisfazione piùbella. �

Il piacere di giocareper la squadra

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di Luca Trivellato

L’attesa che anche quest’anno haanticipato i giorni di “New Con-versations” è stata la conferma delfatto che il festival jazz di Vicenza siè oramai ritagliato un posto impor-

tante nella geografia italiana di questa musica. Un’attesa che,prima che dal pubblico, è vissuta da chi organizza, sentendosiaddosso una cappa di responsabilità non da poco: quella di alle-stire un cartellone di qualità almeno non inferiore agli anni scorsi.Ora, se guardiamo ai nomi (e agli esiti) che hanno caratterizzato leedizioni trascorse, appare chiaro che non può esser facile ripeter-si. Eppure, anche questa volta, la sensazione è che, di nuovo,“Vicenza Jazz” potrà lasciare il segno perché dal 20 al 27 maggiosembra davvero non esserci il benché minimo calo di tensione:tutti concerti importanti, fino alle ore piccole, che faranno sorgeredubbi a più di uno su quale appuntamento poter permettersi diperdere.Nomi classici e nomi emergenti, donne e uomini, vicentini e ame-ricani, veneti ed europei, italiani d’Italia e italiani d’America. Iocredo, senza presunzione, che il nostro team abbia lavorato bene,forte di persone competenti e appassionate con le quali non mistancherei mai di lavorare: non solo Riccardo Brazzale (che miauguro, prima o dopo, un anno o l’altro, di vedere anche nellevesti che più gli spettano: quelle di musicista sul palco), ma ancheMatteo Quero e i ragazzi della Viarte, l’indispensabile LorettaSimoni, e ovviamente l’assessore Bagnara, Mario Guidi, RobertoValentino e il dirigente dell’ufficio cultura del Comune, BrunoLucatello, con tutti i suoi collaboratori.Ora la parola spetta al pubblico, il quale – i critici non ce ne voglia-no - resta ovviamente il giudice supremo. �

La responsabilitàe l’attesa

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PROGRAMMA

Jazz Land Big Bandconducted by Ettore Martin

Ottetto Gianluigi Trovesi in “JubiLouis - Tribute to Louis Armstrong”

music by Gianluigi Trovesi & Riccardo Brazzale Coproduzione dei Festival di Vicenza (Italia) e Orléans (Francia)

Aziza Mustafa Zadeh in collaborazione con gli Amici della Musica di Vicenza

Hotel Rif

Fasoli-Stanko-Stenson-Leverattoin “Other Kinds of Blue: A Tribute to Miles (1991-2001)”

Maria Schneider conducts Paolo Fresu& Filarmonica Città Di Vicenza “A. Pedrollo”

in “Sketches of Spain” by M. Davis & G. Evans

Body Vibes

Carla Cook & Andy MilneNicola Arigliano & His Friends

Ettore Martin Quartet

Andy Milne + Robert Bonisolo

Buddy De Franco 4et + Carla Cookwith Paolo Birro, Giovanni Tommaso & Gegè Munari

Ray Brown Trio + Lee Konitz

Roberto Gatto Quintet

Pietro Tonolo & Paolo Birro

“Remembering Thelonious” - Russell Malone QuartetBill Frisell & Paul Motian

Trio di Roma + Maria Pia De Vito

Domenica 20 MAGGIOCampo Marzo - ore 16

Campo Marzo - ore 17

Sala Palladio, Ente Fiera - ore 21

Jazz Café Trivellato/La Cantinota - ore 23

Lunedì 21 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21

Jazz Café Trivellato/La Cantinota - ore 23

Martedì 22 MAGGIOTeatro Astra - ore 21

Jazz Café Trivellato/La Cantinota - ore 23

Mercoledì 23 MAGGIOBasilica Palladiana - ore 18.30

Teatro Olimpico - ore 21

Jazz Café Trivellato/La Cantinota - ore 23

Giovedì 24 MAGGIOBasilica Palladiana - ore 18.30

Teatro Olimpico - ore 21

Jazz Café Trivellato/La Cantinota - ore 23

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PROGRAMMA

Consuela Lee & Sangoma Everett

Ernst Reijseger & Franco D'AndreaLee Konitz & I Solisti del Teatro Olimpicoconducted by Daniel Schnyder in “Strings for Holiday”

Stefano Battaglia Trio

Ensemble Scuola di Musica Thelonious di Vicenza

Jazz Film Day “Remembering Miles”

Cristina Mazza P. O. Sextetwith Consuela Lee special guest

Gianfranco Salvatore, Michele Mannucci e ClaudioDonà presentano i nuovi libri della collana “Jazz People”

Saverio Tasca & Schola San Roccoconducted by Francesco Erle

Dewey Redman QuartetArchie Shepp Quartet

Michele Calgaro & Five For Bud

Six Machine (in coll. con la Scuola di Musica Onyx di Matera)

A Messa con Mary Lou WilliamsCoro e Band di Vicenza conducted by Giuliano Fracasso

University Big Band with Gianni Basso & Dino Piana

Alfio Antico Quartet

Aires Tango & Peppe Servillo

Mazza-Marini-Everett Organ Trio

Viaggio (con degustazione)fra i sapori e i prodotti tipici lucani e vicentini

1° Concorso filatelico “Filatelika Amatori”con mostra e annullo postale

Venerdì 25 MAGGIOore 18.30 - Basilica Palladiana

ore 21 - Teatro Olimpico

ore 23 - Jazz Café Trivellato/La Cantinota

Sabato 26 MAGGIOore 11, 15, 17 - Piazza Castello

ore 15 - Cinema Odeon Saletta Lampertico

ore 16 - Piazza dei Signori

ore 17 - Cinema Odeon Saletta Lampertico

ore 18.30 - Basilica Palladiana

ore 21 - Sala Palladio, Ente Fiera

ore 23 - Jazz Café Trivellato/La Cantinota

Domenica 27 MAGGIOore 11, 15, 17 - Piazza Castello

ore 11.45 - Chiesa di S. Stefano

ore 16, 18, 21 - Piazza dei Signori

ore 23 - Jazz Café Trivellato/La Cantinota

26-27 MAGGIOPiazza Biade/Centro Storico

Basilica Palladiana

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Il giovane Louis Armstrong (a destra) con il direttore della “Waif’s Home”, l’orfanatrofio di New Orléans dove egli crebbe (ph. Jazz Magazine, Paris)

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a Jazz Land BigBand apre il fittoprogramma di “New Conversations - Vicenza Jazz 2001” conun piccolo omaggio - fra le altre cose - ad uno dei più illu-

stri italoamericani del jazz, l’arrangiatore e compositore Bill Russo,di cui vengono eseguite partiture scritte originariamente per l’or-chestra di Stan Kenton. La Jazz Land Big Band trae origine dal-l’attività svolta dal sassofonista e arrangiatore Ettore Martin pres-so l’Istituto Musicale Città di Thiene: l’organico è quello tipicodelle orchestre jazz e il suo repertorio abituale spazia da Ellingtona Herbie Hancock, passando per George Russell, ma senza tra-scurare la ricerca di un sound personale, grazie all’esecuzione dicomposizioni originali del leader.

no dei gruppi italia-ni più apprezzatiall’estero, l’Ot-tetto di Gian-

luigi Trovesi, elettojazzman italiano dell’annonel “Top Jazz 2000” delmensile Musica Jazz, sin-tetizza al meglio le peculia-rità musicali e spettacolaridell’affermato polistrumen-tista bergamasco. Spiccatogusto per l’ironia, rigore

Ottetto Gianluigi Trovesi“JubiLouis - Omaggio a Louis Armstrong”

musiche di Gianluigi Trovesie Riccardo Brazzale

Gianluigi Trovesi, sax alto, clarinettiMassimo Greco, tromba, flicornoBeppe Caruso, trombone, tubaMarco Remondini, violoncello, sassofoniRoberto Bonati, contrabbassoMarco Micheli, contrabbasso, basso elettricoVittorio Marinoni, batteriaFulvio Maras, percussioniCoproduzione dei festival di Vicenza e Orléans

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Jazz Land Big Bandconducted by Ettore Martin

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Domenica 20 MAGGIO

Campo Marzo - ore 17

Campo Marzo - ore 16

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delle forme, ricerca di parti-colari materiali tematici da trattare in modopersonalissimo si assommano in una forma-zione dall’organico, peraltro, anomalo, che allafront line di tre fiati affianca altrettanti archi,batteria e percussioni. Per l’edizione 2001 di“New Conversations – Vicenza Jazz”, Trovesi,in collaborazione con Riccardo Brazzale, haapprontato una sorta di viaggio sonoro attornoa Louis Armstrong, di cui ricorre quest’anno ilcentenario della nascita. Un viaggio che pren-de il via da celebri cavalli di battaglia dell’indi-menticabile trombettista, come “Potato HeadBlues” e “West End Blues”, per approdare amusicisti e musiche (provenienti anche dalVecchio Continente) a lui contemporanei.

l jazz la bella Azizasi è avvicinata tra-mite il padre, Va-gif, apprezzato

pianista. Ma un ruolo im-portante nella carriera della pianista e cantante azera lo ha gio-cato anche la madre, che ha introdotto la figlia alla musica folkdel Paese d’origine e che in seguito ne è divenuta manager. Inpochi anni Aziza Mustafa Zadeh ha conquistato le platee dimezzo mondo con una particolarissima miscela di jazz e profu-mi orientali. Nei suoi dischi si sono alternati grossi calibri dellafusion come John Patitucci, Dave Weckl, Stanley Clarke, Al DiMeola e il sassofonista Bill Evans. In Jazziza, il suo album per

Aziza Mustafa ZadehAziza Mustafa Zadeh pianoforte, voce

In collaborazione con gli Amici della Musica di Vicenza

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Domenica 20 MAGGIO

ore 21 - Sala Palladio Ente Fiera

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l’appunto più squisita-mente jazzistico, si fanno ascoltaredue solisti belgi di pregio come l’ar-monicista Toots Thielemans e ilchitarrista Philip Catherine. In quest’album figurano standardcome “Lover Man” e “My FunnyValentine”, ma anche un classicodel bop come il parkeriano“Scrapple From The Apple”. Il pia-nismo di Aziza si può considerareuna sorta di incrocio tra Jarrett eCorea, ma le sue corde vocali sonooriginalissime e si trovano a pro-prio agio anche con il più spettaco-lare e atletico canto scat.

l quintetto HotelRif nasce nel 1999dalla passione cheaccomuna i suoi

componenti per la ricerca,la riproposta e la divulga-zione del vastissimo repertorio di musica popolare dell’area delMediterraneo e del Nord Europa. Al di là dei loro backgroundpersonali (per esempio le esperienze con Marco Paolini), inassonanza con la world music di Aziza, con la loro proposta gliHotel Rif tendono quindi a mostrare le affinità culturali esistentitra musiche lontane geograficamente, ma in realtà vicine tra loromolto più di quanto si possa immaginare.

Hotel RifPatrizia Laquidara, voceMirco Maistro, fisarmonicaLorenzo Pignattari, contrabbassoPaolo Bressan, oboe, flauto, gaitaMassimo Tuzza, batteria e percussioni

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Domenica 20 MAGGIO

- ore 23Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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pre una seratadedicata a MilesDavis, nel decen-nale della scompar-

sa, un inedito quartetto tut-to europeo nato dall’idea diuno dei più intelligenti e

coerenti jazzisti italiani, Claudio Fasoli, già componente negli anniSettanta del Perigeo, la più apprezzata (anche all’estero) formazioneitaliana di jazz elettrico. Per questa sua nuova, stimolante avventuramusicale che si distingue per l’assenza della batteria e che ruotaattorno ad alcuni brani del celebre disco davisiano Kind Of Blue e acomposizioni originali dello stesso sassofonista veneziano, Fasoli havoluto con sé, oltre all’ottimo contrabbassista ligure PieroLeveratto, due colleghi europei del calibro del trombettista polac-co Tomasz Stanko e del pianista svedese Bobo Stenson. Ilprimo è noto sindagli anni Sessantaper la collaborazio-ne con il pianistac o n n a z i o n a l eKrystsztof Kome-da, autore dellecolonne sonore dimolti film diRoman Polanski,mentre lo scan-dinavo si è inizial-mente distinto co-me partner del sas-sofonista norvege-se Jan Garbarek.

Fasoli-Stanko-Stenson-Leveratto“Other Kinds Of Blue:A Tribute to Miles”

Claudio Fasoli, sax tenore e sopranoTomasz Stanko, tromba

Bobo Stenson, pianofortePiero Leveratto, contrabbasso

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Lunedì 21 MAGGIO

ore 21 - Teatro Olimpico

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riproporre i conte-nuti di uno dei piùcelebri frutti natidal fortunato so-

dalizio tra Miles Davis eGil Evans, non poteva cheessere chiamata l’americana Maria Schneider, già stretta col-laboratrice dello stesso bandleader canadese e oggi consideratauna delle più interessanti arrangiatrici e compositrici in circola-zione, oltre che lei stessa leader di una affermata orchestra.Naturale anche la scelta del solista: il trombettista e flicornistaPaolo Fresu, fresco vincitore di un prestigioso “Django d’Or”come miglior musicista straniero dello scor-so anno e già calatosi nei panni di Davis inoccasione della ripresa di Porgy and Bess,altra splendida pagina che rimanda al bino-mio Davis-Evans. Praticamente coetanei,Maria Schneider e Paolo Fresu rappresenta-no simbolicamente le ultime generazioni dijazzisti dell’una e dell’altra sponda del-l’Oceano, la cui proiezione verso il nuovonon prescinde dalla rispettosa, mai però cal-ligrafica, devozione nei confronti della lezio-ne di grandi maestri del jazz, comelo sono, appunto, Miles Davis e Gil Evans.

Le partiture di Sketches Of Spain verrannoeseguite nella loro veste originale con l’ap-porto della Filarmonica Città di Vi-cenza “Arrigo Pedrollo”, costituita nel2000 in seno al conservatorio cittadino daun organico di soli fiati integrato da unasezione di percussioni.

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Maria Schneider conducts

Paolo Fresu & FilarmonicaCittà di Vicenza “Arrigo Pedrollo”

“Sketches Of Spain”

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Lunedì 21 MAGGIO

Teatro Olimpico - ore 21

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azz e hip hop è lac o m b i n a z i o n esonora che nutre lamusica dei Body

Vibes, formazione costi-tuita nei primi anniNovanta sull’onda degliesperimenti fatti in mate-

ria dal Miles Davis di Doop-Bop e da personaggi come Guru e isuoi Jazzmatazz. Forti di tre voci, con in prima linea quella delrapper Max, i Body Vibes utilizzano dal vivo basi elettronichepre-registrate sulle quali si innestano improvvisazioni solistichedi natura jazzistica: è un ennesimo omaggio all’eterno Miles.

Body VibesMax Kelly Porsche, voce, testi

Rachele Tosco, voceCristina Ravazzolo, voce

Gigi Sella, saxGiorgio Gnata, trombone

Bobo Righi, basso elettricocontrabbasso, campionamenti

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Lunedì 21 MAGGIO

ore 23 - Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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nsignita di una pre-stigiosa GrammyNomination grazieall’album d’esordio It’s All About Love, Carla Cook è una

delle voci emergenti dell’attuale panorama jazzistico. Originaria diDetroit – città che ha dato i natali a gente come Donald Byrd, MiltJackson e i fratelli Jones - Carla Cook ha compiuto gli studi allaNortheastern University di Boston, prima di trasferirsi a Brooklyn

ed entrare in contatto contipi come il sassofonistaGreg Osby, il clarinettistaDon Byron, il trombonistaCraig Harris e la violinistaRegina Carter. Versatilequando basta, la Cookmostra di sapersela cavarebene sia alle prese con stan-dard del jazz sia con classicidel soul e del rhtyhm andblues, come attesta proprioIt’s All About Love. Anch’egli totalmente im-merso nella cultura musica-le nera, il pianista AndyMilne proviene dalle filadei Five Elements di SteveColeman e ha alle spalleuna collaborazione con lavocalist Cassandra Wilson.

Alla base del suo pianismo c’è l’influenza di Herbie Hancock, cheMilne ha saputo filtrare per tradurla in un personale approccio allatastiera.

Carla Cook & Andy MilneCarla Cook, voce Andy Milne, pianoforteI

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Martedì 22 MAGGIO

Teatro Astra - ore 21

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nche se il grandepubblico lo ricordaprobabilmente piùper le sue frequen-

tazioni nell’ambito dellamusica leggera, Nicola Arigliano può essere considerato aragione l’unico vero cantante italiano di jazz. Tornato di recenteprepotentemente alla ribalta con un disco inciso dal vivo, nel qualeè attorniato da jazzisti come Enrico Rava, Gianni Basso, Renato

Sellani e Franco Cerri, Ari-gliano si diverte tuttora, no-nostante i settantasette an-ni suonati, a interpretarecon immutata verve e ironiaquelle canzoni che lo hannoreso famoso. Canzoni - co-me “I Sing Ammore, “È so-lo questione di tempo” o“20 chilometri al giorno” -che sono divenute dei clas-sici della musica leggera ita-liana, anche se attingono apiene mani agli stilemi ame-ricani, a quello Swing di cuiArigliano non ha mai man-cato di nutrirsi e che resti-tuisce con quel piglio un po’grottesco che da semprecaratterizza il personaggio. La simpatia è, peraltro, l’al-tro marchio di garanzia delcantante e pianista pugliese.

Nicola Arigliano & His FriendsNicola Arigliano, voce, pianoforte

Michele Ascolese, chitarraElio Tatti, basso elettrico

Giampaolo Ascolese, batteriaA

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Martedì 22 MAGGIO

ore 21 - Teatro Astra

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assenza delpianoforte è dasempre unasorta di sfida. E

così lo è anche per ilquartetto che il tenoristavicentino ha costituito chiamando al suo fianco uno dei più pro-mettenti nuovi talenti del jazz italiano, il sassofonista e clarinet-tista bergamasco Guido Bombardieri. Con questa stessa formazione, forte della solida ritmica data daPiero Leveratto e Mauro Beggio, Ettore Martin (che hacomunque una composita attività soprattutto nel Veneto: citia-mo di sfuggita il Sax Appeal Quartet) ha registrato il Cd “NaturalCode”, testimone di una musica sospinta dalla ricerca di sem-pre diverse soluzioni sonore.

Ettore Martin QuartetEttore Martin, sax tenoreGuido Bombardieri, sax alto e soprano,

clarinetto bassoPiero Leveratto, contrabbassoMauro Beggio, batteria

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Martedì 22 MAGGIO

- ore 23Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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hitarrista dalla tecnica personalissima, Bill Frisell non siconcede sovente alla curiosità di chi vorrebbe carpirne isegreti: un suo workshop rappresenta quindi occasionepreziosa per incontrare colui che da più parti è indicato

come il più innovativo chitarrista contemporaneo.

anadese di nasci-ta ma da temporesidente in Ita-lia, Robert Bo-

nisolo è divenuto unodei punti di riferimentodel jazz dell’area veneta.Diplomato al celebreBerklee College Of Musicdi Boston, il sassofonistaha alle spalle importanticollaborazioni con jazzistiitaliani, americani edeuropei, cui si aggiungeora questa con AndyMilne, uno dei nuovi nomidel pianismo jazz d’oltreoceano.

Workshop con Bill Frisell

Andy Milne + Robert Bonisolo Andy Milne, pianoforteRobert Bonisolo, sax tenore

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Mercoledì 23 MAGGIO

Scuola Thelonious - ore 18/20

Basilica Palladiana - ore 18.30

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uddy De Franco,altro italoameri-cano che ha datolustro alla storia

del jazz, è colui che ha tra-ghettato il clarinetto - chesuona da quando aveva

appena nove anni - dallo Swing alle rivoluzionarie concezioni delBebop. È stato infatti il primo clarinettista a esprimersi nel lin-guaggio dei Dizzy Gillespie e dei Charlie Parker, con i quali ha

suonato aggiungendo i loro nomi aun ricco carnet che comprende BillieHoliday, Nat King Cole, Lennie Tri-stano, Stan Getz, Art Blakey, OscarPeterson e tantissimi altri. Nell’arcodella sua lunga carriera (è nato aCamden, New Jersey, nel febbraiodel 1923), ha ottenuto i più ambitiriconoscimenti di riviste quali DownBeat e Metronome, facendo quindiparte di diritto di numerose edizionidella Metronome All Stars. Apparsodi rado in Italia, De Franco si faaccompagnare in occasione del suoconcerto nell’ambito di “VicenzaJazz” da una affidabilissima ritmicatutta italiana, formata dai veteraniGiovanni Tommaso e GegèMunari, due autentici pezzi di sto-ria del jazz made in Italy, e dal piùgiovane (ma anch’egli ben noto) pia-nista veneto Paolo Birro.

Buddy De Franco Quartet+ Carla Cook

Buddy De Franco, clarinettoPaolo Birro, pianoforte

Giovanni Tommaso, contrabbassoGegè Munari, batteria

Carla Cook, voce

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Mercoledì 23 MAGGIO

ore 21 - Teatro Olimpico

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no dei colossidel contrabbas-so. Settantacin-que anni, qua-

ranta dei quali spesi perla musica, Ray Brown è una delle leggende viventi del jazz: colsuo inseparabile strumento ha infatti accompagnato EllaFitzgerald (di cui è stato anche marito), Oscar Peterson (del qualeè stato uno dei più fedeli compagni di strada), Dizzy Gillespie,Charlie Parker, Bud Powell, Duke Ellington, insieme al quale harealizzato nel 1974 un album cherichiama alla mente i celebri duettitra il “Duca” e Jimmy Blanton,l’uomo che ha rivoluzionato la con-cezione del contrabbasso e al cuimito Ray Brown, insieme a interelegioni di contrabbassisti, è rimastodevoto. Coinvolto in numerose efortunate tournée targate “Jazz AtThe Philarmonic”, Ray Brown rap-presenta una fetta importante distoria del jazz e ormai non si conta-no più le centinaia e centinaia di inci-sioni effettuate soprattutto comeprezioso sideman. Ma Ray Brown èanche un leader autorevole, capacedi trascinare i propri partner nelsegno di un inarrestabile sensodello swing. In questa specialeoccasione il trio del bassista si allar-ga a un’altra figura epocale del jazz:l’altosassofonista Lee Konitz.

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Ray Brown Trio + Lee KonitzLarry Fuller, pianoforteRay Brown, contrabbassoGeorge Fludas, batteriaLee Konitz, sax alto

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Mercoledì 23 MAGGIO

Teatro Olimpico - ore 21

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cco uno dei piùversatili batteristiitaliani, alla guidadel suo abituale

quintetto con il quale ese-gue in prevalenza brani di

propria composizione. A suo agio in svariati contesti, anchequelli più prossimi alla fusion, Roberto Gatto agisce in questocaso all’interno di sonorità acustiche rese palpabili dai due fiatie dal pianoforte, al quale siede nella circostanza AntonioFaraò, solista di consolidata statura europea. Così come losono lo stesso batterista e tutti gli altri componenti del gruppo,a cominciare da quell’autentica rivelazione che è GianlucaPetrella.

Roberto Gatto QuintetJavier Girotto, sax soprano e baritono

Gianluca Petrella, tromboneAntonio Faraò, pianoforte

Luca Bulgarelli, contrabbassoRoberto Gatto, batteria

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Mercoledì 23 MAGGIO

ore 23 - Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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uesto duetto ri-manda diretta-mente a unodegli album più belli registrati da Pietro Tonolo nel-

l’arco dell’ormai sua lunga carriera: si intitola “Simbiosi” e a fian-co del sassofonista veneziano vede alternarsi quattro pianistidiversi, tra i quali c’èappunto Paolo Birro,non più una bella promes-sa del pianismo jazz italia-no ma una solida realtà. Esimbiotico è il legameartistico che unisce i duemusicisti, tra i più sensibi-li interpreti del dialogo adue voci, già pronti a sfor-nare un nuovo Cd stavol-ta tutto loro. Il pubblico di “VicenzaJazz” ricorderà comun-que la bellissima perfor-mance che Tonolo ebbe avivere due anni fa alTeatro Olimpico, con GilGoldstein, Steve Swallowe Paul Motian, tutta indedica a Duke Ellington, euscita sul mercato disco-grafico per l’etichettafrancese Label Bleu, conil titolo di “Portrait ofDuke”.

Pietro Tonolo & Paolo BirroPietro Tonolo, sax tenore e sopranoPaolo Birro, pianoforteQ

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Giovedì 24 MAGGIO

Basilica Palladiana - ore 18.30

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ussel Maloneè una delle nuo-ve star della flori-da scena chitarri-

sta contemporanea. Cre-sciuto musicalmente frequentando prima le chiese dellaGeorgia, dove è nato nel 1963, epoi assimilando il country e il blues,Malone si è inizialmente distintoaccanto all’organista Jimmy Smith,uno degli alfieri del soul jazz.Successivamente ha collaboratolungamente con Harry Connick jr. equindi con la vocalist Diana Krall.Nel 1996 è apparso nel film diRobert Altman Kansas City, unodei più bei omaggi cinematograficial mondo del jazz. I suoi primidischi nelle vesti di leader, il chitar-rista li ha realizzati per la Columbia(Russell Malone, Black Butterfly eWholly Cats), per poi venire scrittu-rato da un altro marchio prestigio-so come la Verve, per cui ha incisoSweet Georgia Peach e LookWho’s Here!. Il suo stile e la suamusica sono la sintesi di tutte lemusiche ascoltate durante gli anniformativi e degli stili di chitarristicome Chet Atkins, B. B. King, WesMontgomery, Kenny Burrell eGeorge Benson.

Russel Malone Quartet“Remembering Thelonious”

Russell Malone, chitarraAnthony Wosney, pianoforteRichie Goods, contrabbasso

B. J. Strickland, batteria

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Giovedì 24 MAGGIO

ore 21 - Teatro Olimpico

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rotagonisti diquesto straordi-nario faccia afaccia sono due tra i musicisti più sensibili e inventivi

che oggi si possano ascoltare. Legati da una lunga consuetudi-ne artistica, Bill Frisell e Paul Motian appartengono a quel-la categoria di jazzisti a tutto campo, sempre disponibili a con-frontarsi su terreni sempre diversi, senza però mai perdere unbriciolo della propria identità stilistica. Il chitarrista è indubbia-mente il più immaginifico speciali-sta contemporaneo della sei corde,non disdegnando incursioni nellacountry music, nel blues e nel rockpiù sperimentale. Dal canto suo, ilbatterista ha dimostrato tutto il suovalore sin dalla memorabile colla-borazione dei primissimi anni ‘60con Bill Evans. Valore che ha tra-sferito anche a capo di gruppi chehanno lasciato un segno profondonelle vicende del jazz degli ultimitrent’anni. Proprio Frisell è statouna delle colonne portanti del quin-tetto, prima, e del trio completatoda Joe Lovano, poi, che Motian hadiretto con autorità negli anniOttanta e Novanta. Ora la collabo-razione tra i due si rinnova senzaintermediari e c’è da stare certi cheanche questa volta Frisell e Motian sapranno regalare autenti-che emozioni, in un set dedicato a Monk che, in duo, ha avutoun solo precedente in Canada.

Bill Frisell & Paul MotianBill Frisell, chitarraPaul Motian, batteriaP

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Teatro Olimpico - ore 21

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l Trio di Roma è unadelle formazioni sto-riche della scena jaz-zistica capitolina,

ma non solo. Questa rico-stituzione che ha dell’eccezionale, dimostra come le strade deisuoi componenti, pur avendo preso direzioni diverse, aspettava-no solo l’occasione giusta per incrociarsi nuovamente. La pre-senza di Maria Pia De Vito, cantante di rara bravura e qualitàespressive, a fianco di Rea, Pietropaoli e Gatto, rappresen-ta la classica ciliegina sulla torta.

Trio di Roma + Maria Pia De VitoDanilo Rea, pianoforte

Enzo Pietropaoli, contrabbassoRoberto Gatto, batteria

Maria Pia De Vito, voceI

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Giovedì 24 MAGGIO

ore 23 - Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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ella batteria Ro-berto Gattoconosce ogni segreto, praticandola sin da quando erabambino. Nessuno meglio di lui sa quindi raccontare la

storia e l’attualità di questo strumento, fornire informazioni pre-ziose a chi intende prendere la strada della professione di bat-terista o semplicemente suonare la batteria per puro diverti-mento.

Workshop con Roberto Gatto

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n Alabama e dintor-ni è una autenticaleggenda. La settan-tenne pianista Consuela

Lee è cresciuta in una famiglia incui la musica era di casa. Suamadre le ha impartito le primelezioni di pianoforte, mentre lanonna materna la portava con sé inchiesa per farle ascoltare gli spiri-tual. Infine, suo padre, Arnold W.Lee, la coinvolse in una band fami-liare insieme ad altri quattro fratel-li. Profonda conoscitrice, quindi,della musica afroamericana,Consuela Lee si fa ascoltare, per laprima volta in Italia, accanto al bat-terista Sangoma Everett, giàpartner di Shepp, Gillespie, CliffordJordan e Yusef Lateef.

Consuela Lee & Sangoma EverettConsuela Lee, pianoforteSangoma Everett, batteriaI

Venerdì 25 MAGGIO

Scuola Thelonious - dalle ore 15

Basilica Palladiana - ore 18.3027

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n duo pianofortee violoncello ri-manda di primoacchito ad ambiti

espressivi estranei al jazz, magari alla musica da camera euro-pea. Ma conoscendo i due musicisti in campo, la loro fervidaintelligenza improvvisativa, non c’è dubbio che nel caso specifi-co questo abbinamento strumentale si distingua per l’originalitàe l’imprevedibilità della sua proposta. Sia l’italiano FrancoD’Andrea che l’olandese Ernst Reijseger sono infatti dadecenni in prima linea sul fronte del più creativo jazz europeo. Ilpianista come componente, prima, del Modern Art Trio e delPerigeo, poi in qualità di leader di propri gruppi e come soloperformer. Il violoncellista come membro della ICP Orchestra diMisha Mengelberg, del Clusone Trio, ma anche come respon-sabile di propri interessanti progetti, come quello che ha vistocoinvolto un coro tradizionale sardo. Il sodalizio tra D’Andrea eReijseger ha origine in un album a firma del batterista EttoreFioravanti (Belcanto) e presto verrà documentato da un disco dicui i due musicisti sono gli unici responsabili.

Franco D’AndreaErnst Reijseger

Franco D’Andrea, pianoforteErnst Reijseger, violoncello U

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Venerdì 25 MAGGIO

ore 21 - Teatro OlimpicoEr

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n omaggio, tra ipiù sentiti e toc-canti, a una del-le voci più com-

moventi del jazz, attra-verso alcune pagine (da“The Man I Love” a“God Bless The Child”,da “You’ve Changed” a “Lover Man”, da “I Cried For You” a“These Foolish Things”) di straordinaria intensità emotiva. Aricordare l’immensa figura di Billie Holiday è uno dei sassofonipiù poetici e creativi dell’intero ciclo storico del jazz: Lee Konitz,uno degli uomini che ha dato avvioalla stagione del cool jazz ma soprat-tutto una delle menti più libere eaperte che il jazz abbia prodotto. Inquesto suo personale tributo a BillieHoliday (già documentato su discodall’etichetta tedesca Enja), Konitz ècoadiuvato dallo svizzero (ma statu-nitense d’adozione) Daniel Schny-der, responsabile degli arrangia-menti e direttore de I solisti del-l’Orchestra del Teatro Olim-pico: Stefano Antonello e RobertoDe Maio (violini), Igino Semprebone Michele Sguotti (viole), GionataBrunelli e Donatella Colombo (vio-loncelli). L’Orchestra negli anniscorsi si è già esibita con musicisticome Astor Piazzolla, Enrico Rava,Richard Galliano e Ralph Towner.

Lee Konitz& I Solisti dell’Orchestradel Teatro Olimpico “String For Holiday”

conducted by Daniel Schnyder

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Venerdì 25 MAGGIO

Teatro Olimpico - ore 21

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oleman, Monk, Shor-ter, Ellington, EricDolphy, Horace Silver,Charlie Haden, ma

anche il brasiliano Egberto Gismonti e Steve Swallow sono le fonticui Stefano Battaglia attinge per il suo nuovo trio. Lo stesso concui ha da poco dato alle stampe il CD The Book Of Jazz, un deidischi più riusciti tra quelli realizzati dal pianista milanese alla testadel triangolo piano-contrabbasso-batteria. Ma al di là della prove-nienza dei temi, è l’estro del leader e dei suoi due pregevoli partnera regalare interpretazioni di altissimo profilo.

Stefano Battaglia TrioStefano Battaglia, pianoforte

Paolino Dalla Porta, contrabbassoFabrizio Sferra, batteria C

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Venerdì 25 MAGGIO

ore 23 - Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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Sabato 26 MAGGIO

testimoniare l’im-pegno didatticodella ScuolaThe lon ious ,

giunta all’undicesimo anno di attività, ecco alcuni gruppi formati daimigliori allievi. Questa esperienza concertistica, tappa fondamen-tale per chiunque coltivi gli studi di jazz, è il punto di arrivo di unpercorso formativo seguito sotto la guida di esperti insegnanticome Paolo Birro, Cheryl Porter, Robert Bonisolo, Michele eLorenzo Calgaro, Danilo Memoli, Gianni Bertoncini e altri.

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EnsemblesScuola di MusicaThelonious

Centro Storico - ore 11/15/17

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n un festival dedica-to in larga parteall’universo femmi-nile nel jazz, non

poteva mancare l’unicasassofonista italiana adessersi conquistata una

solida credibilità, non solo entro i confini nazionali. A capo diquesto variegato sestetto (che comprende fra l’altro una musi-cista di valore come la trombettista elvetico-italiana HilariaKramer), Cristina Mazza, milanese di nascita ma veronesed’adozione, propone sia proprie composizioni che pagine scritteda Carla Bley, dalla “special guest” di Atlanta Consuela Lee,nonché da Ornette Coleman, una delle dichiarate fonti di ispira-zione della Mazza che da sempre ha trovato una sua via espres-siva in una sorta di free strutturato.

Cristina Mazza P. O. Sextet Cristina Mazza, sax altoHilaria Kramer, tromba

Bruno Marini, sax baritonoConsuela Lee, pianoforte

Alberto Malnati, contrabbassoSangoma Everett, batteria

I

immensa figuradi Miles Davis,il suo preziosocontributo a va-

rie stagioni stilistiche del jazz, viene ricordato attraverso alcunifilmati e video che ripercorrono le varie tappe della luminosa car-riera del geniale trombettista. Come ogni anno il materiale videoè gentilmente fornito da Antonio Cavalloni, un appassionatoverace di vecchia data che potrebbe davvero raccontarla a lungosulle vicende del jazz, nazionale e internazionale, vissute dallaparte di un vicentino nell’ultimo spicchio di secolo.

Jazz Film Day“Remembering Miles”

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Sabato 26 MAGGIO

ore 16 - Piazza dei Signori

ore 15 - Cinema OdeonSaletta Lampertico

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ubblicati da Stam-pa Alternativa nel-la collana “JazzPeople” curata da

Gianfranco Salvatore, idue libri di cui si parla nella Saletta Lampertico appresentano losbocco naturale di un lungo e accurato studio dei rispettivi auto-ri su due personalità importanti del jazz contemporaneo:Ornette Coleman, la cui genialità come sassofonista e compo-sitore è oggi fuori discussione, e John Scofield, uno dei massi-mi specialisti della chitarra degli ultimi decenni.

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Presentazione dei libri:“Ornette Coleman: dal blues al jazz dell’avvenire”di Michele Mannucci

“John Scofield: una chitarra che parla di oggi”di Claudio Donà

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Sabato 26 MAGGIO

- ore 17Cinema OdeonSaletta Lampertico

l vibrafono diSaverio Tasca,musicista vicentinocon all’attivo signi-

ficative collaborazionicon (fra gli altri) Claudio Fasoli, Franco D’Andrea, la LydianSound Orchestra e l’attore Marco Paolini, incontra le voci dellaSchola S. Rocco, il gruppo fondato e diretto da Francesco Erle. Un progetto che fonde l’improvvisazione di estrazione jazzisticacon stilemi vocali sia antichi che del XX secolo, e che ha già datoluogo a un percorso fascinoso già documentato dal Cd“Metabolè”, registrato nel 1999 per l’etichetta Velut Luna.Del resto, la Schola S. Rocco non è nuova all’incontro conl’improvvisazione contemporanea, come già è avvenuto lo scor-so anno proprio a “Vicenza Jazz” per la “Missa” di AlfredoImpullitti con solisti come Fresu, Trovesi, Tracanna e Favre.

Saverio Tasca& Schola S. RoccoSaverio Tasca, vibrafonoFrancesco Erle, direzione

Basilica Palladiana - ore 18.30

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più lo ricordano perla sua collaborazio-ne della fine deglianni Sessanta con

Ornette Coleman e perquella successiva, ma non meno fondamentale, con il cosiddet-to “quartetto americano” di Keith Jarrett, nonché per l’adesionealla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden e agli Old &New Dreams (con Don Cherry, Ed Blackwell e Haden). MaDewey Redman – texano di Forth Worth come lo stessoColeman ma anche Julius Hemphill, John Carter, Pince Lasha ealtri jazzmen di fama – è musicista che vive di luce propria, gra-

zie all’inconfondibile sound del suosax tenore, fortemente intriso deiprofumi del blues. Anche la suamusica è profondamente radicatanell’humus culturale afroamerica-no, filtrata da una sensibilità che haassimilato anche gli umori del free.Dewey Redman non ha, in effet-ti, una discografia a proprio nomeparticolarmente estesa; tuttavia hapartecipato a innumerevoli incisionialtrui, lasciando sempre e comun-que il segno del proprio passaggio.Da ricordare, tra le più recenti, l’al-bum “Momentum Space”, regi-strato insieme ad altre due leggen-de viventi come il pianista CecilTaylor e il batterista Elvin Jones.A Vicenza si presenta con RitaMarcotulli al pianoforte.

Dewey Redman QuartetDewey Redman, sax tenoreRita Marcotulli, pianoforte

John Menegon, contrabbassoWayne McLean, batteria

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Sabato 26 MAGGIO

ore 21 - Sala Palladio Ente Fiera

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l vecchio leone delfree continua aruggire. Memoredi antiche e furiose

battaglie, Archie Shepprimane tuttora il simbolo di quella tumultuosa e vivacissima sta-gione non solo musicale: proprio di recente si è riunito al trom-bonista Roswell Rudd, vecchio compagno di avventura con ilquale ha rinverdito gli antichi fasti. Mito a parte, Shepp è uno deisassofonisti che più di altri ha saputo sintetizzare la storia delsuo strumento, nel segno del connubio fra tradizione e contem-poraneità. Nello stesso tempo ha recuperato strada facendo ipiù veraci profumi delblues, cimentandosi an-che come coinvolgentevocalist. Ma la sua spe-cialità rimane il tenore(che sovente alterna alsoprano), dal quale traeuna sonorità personalissi-ma, inimitabile, che l’ince-dere del tempo non è riu-scito a scalfire. Così comeè rimasto immutato il suomodo di rapportarsi al pub-blico, di dialogare con part-ner musicali che lo asse-condano nel suo viaggiotra la cultura del popoloneroamericano. In lui sto-ria e attualità del jazz sonoquindi inscindibili.

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Archie Shepp Quartet Archie Shepp, sax tenore e soprano, voceTom McClung, pianoforteWayne Dockery, contrabbassoSteve McCraven, batteria

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Sabato 26 MAGGIO

Ente Fiera Sala Palladio - ore 21

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n quintetto italo-americano costi-tuito proprio perrendere omaggio

ad una delle più geniali, esfortunate, figure del jazz:

Bud Powell. La musica del grande pianista è infatti il principalepunto riferimento dei Five For Bud che, grazie anche all’as-senza del pianoforte, riescono ad assimilarne l’intrinseca moder-nità senza sacrificare le singole individualità del gruppo.

Five For BudKyle Gregory, tromba

Robert Bonisolo, sax tenoreMichele Calgaro, chitarra

Lorenzo Calgaro, contrabbassoMauro Beggio, batteria

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Sabato 26 MAGGIO

ore 23 - Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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orta a Matera nel1985, l’associazio-ne culturale OnyxJazz Club di Ma-

tera si è distinta per la suaattività nel campo delladidattica, della promozio-ne concertistica e della produzione discografica, divenendo unpunto di riferimento obbligato per i cultori del jazz della Basilicata.Attorno all’Onyx si sono appunto costituiti i Six Machine, sei musi-cisti accomunati dalla sincera passione per questa musica, adispetto delle differenze d’età e dei rispettivi impegni lavorativi.

The Six MachineMichele Cappiello, sax tenoreCarlo Fraccalvieri, sax altoAntonio Nicoletti, pianoforteRenato Zaccagnino, chitarraRoberto Siciliani, contrabbassoPippo Bianco, batteria

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ome da tradizio-ne, anche que-st’anno il jazz in-contra la musica sacra.

L’attenzione è puntata sulla prolificacompositrice e valorosa pianistaMary Lou Williams, che ha appuntodedicato parte della propria intensaattività a pagine sacre. Una delle suemesse viene eseguita dal Coro diVicenza diretto da Giuliano Fra-casso, non nuovo ad esperienze delgenere, avendo in passato diretto iConcerti Sacri di Duke Ellington (conl’orchestra di Mercer Ellington) e unaMessa scritta da Dave Brubeck.

“A messa con Mary Lou Williams”Coro e Band di VicenzaGiuliano Fracasso, direttoreC

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Domenica 27 MAGGIO

Centro Storico - ore 11/15/17

Chiesa S. Stefano - ore 11.45

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ttiva dal 1995, laUniversityBig Band ènata dall’incon-

tro tra studenti e insegnanti dell’Ateneo della città di Verona.L’organico ricalca quello tipico delle big band della Swing Erama il suo repertorio si estende ad altre correnti stilistiche, spin-gendosi fino a Kenton, Monk e Don Ellis. Di rilievo le collabo-razioni con Gianni Basso, Paolo Fresu, Franco Cerri, EmilioSoana e Gianni Coscia. Proprio Basso, uno dei veterani del jazzitaliano, è di nuovo ospite dell’orchestra, insieme al tromboni-sta Dino Piana e al trombettista Beppe Zorzella, allievo diOscar Valdambrini, cui il concerto è idealmente dedicato.

University Big Bandcon Gianni Basso

e Dino Piana A

ià assiduo colla-boratore di Eu-genio Bennato edel gruppo Mu-

sica Nova, oltre che di can-tautori come De Andrè e Dalla e di registi quali Scaparro, DeSimone e Barra, Alfio Antico è uno dei più fantasiosi percussio-nisti italiani. I suoi tamburi (ne possiede oltre 70) se li costruisce dasé, con la stessa grande passione con cui vive la sua musica, figliadi quegli incroci culturali che caratterizzano l’area mediterranea.Con il suo quartetto, che allinea musicisti dalla variegate esperien-ze, Alfio Antico ha all’attivo l’album Anima ‘ngignusa, registratonell’affascinante, e unico al mondo, scenario dei sassi di Matera.

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Alfio Antico QuartetAlfio Antico, percussioni

Raffaele Brancati, sassofoniPaolo Sorge, chitarra

Amedeo Ronga, contrabbasso

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Domenica 27 MAGGIO

ore 16 - Piazza dei Signori

ore 18 - Piazza dei Signori

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no dei gruppi piùoriginali del pa-norama italiano,gli Aires Tango

hanno nel sassofonista diorigini argentine JavierGirotto (attualmente inforza all’ultima edizione della francese Orchestre National de Jazz)l’esponente più autorevole, anche se è il quartetto nel suo insie-me ad essersi imposto per le sue intense performance. Con quat-tro album alle spalle (Malvinas, Madres, Poemas e il recentissimoCronologia del 900), in cui il tango si sposa felicemente con il jazz,gli Aires Tango hanno da qualche tempo intessuto una proficuacollaborazione con Peppe Servillo, voce degli Avion Travel, unadelle più interessanti realtà della musica leggera italiana d’autore.

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Aires Tango & Peppe Servillo Javier Girotto, sax soprano e baritono

clarinetto basso, quenàsAlessandro Qwiss, pianoforteMarco Siniscalco, basso elettricoMichele Rabbia, percussioniPeppe Servillo, voce

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Domenica 27 MAGGIO

Piazza dei Signori - ore 21

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altra faccia dellamusica di Cri-stina Mazza,quella più vicina

al soul jazz e all’acid jazz. In questo contesto non passa inos-servata la presenza di Bruno Marini all’organo Hammond: ilprimo amore del sassofonista è stato in realtà l’organo, e a que-sto strumento torna appena può. Le composizioni eseguite daltrio escono tutte dalla penna di Cristina Mazza, anche se nonmancano voluti richiami alle tipiche atmosfere del soul jazz chenon mancheranno di essere sottolineati dal drumming diSangoma Everett.

Mazza-Marini-Everett Organ TrioCristina Mazza, sax alto

Bruno Marini, organo Hammond B3Sangoma Everett, batteria L’

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Domenica 27 MAGGIO

ore 23 - Jazz Café TrivellatoLa Cantinota

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di Riccardo Brazzale

Nell’anno di Verdi e Bellini, chiparlerà di Nick La Rocca? Certa-mente saremo in meno che pochi

a ricordarcene, pochissimi persino all’interno del pur piccolomondo del jazz. Ma chi è Dominic James La Rocca detto Nick?E che meriti ha? Andiamo con ordine. Suo padre Gerolamo si era stabilito a NewOrléans nel 1876, proveniente da Salaparuta in provincia diTrapani: era un periodo un po’ gramo per la nascente nazione ita-liana che lasciava partire, quasi quotidianamente, migliaia di con-nazionali, in cerca di un futuro appena decente verso i lidi piùdisparati: l’Egitto della Celeste Aida, la vicina Francia (anche quel-la drammatica di Aigues-Mortes), il miraggio delle lontane masperanzose Americhe.Quando viene al mondo (l’11 aprile 1889), Nick La Rocca è unamericano in piena regola ma la situazione per lui e per la suagente non è certo rosea: così è tristemente documentato dallecronache di ciò che passò alla storia come “Il linciaggio di NewOrléans”. Accadde infatti che, nell’ottobre 1890, il capo della poli-zia della città del Delta fu ferito a morte e che - sembra - con lesue ultime parole avesse egli stesso accusato gli italiani. Seguì unprocesso alla fine del quale gli italiani furono sì scagionati ma,prima di essere liberati, nelle prime ore del 14 marzo 1891, furo-no fatti oggetto di un linciaggio di gran lunga peggiore della causascatenante: l’effetto furono due impiccati, nove ammazzati a colpidi fucile e, come conseguenza, una nave da guerra italiana pron-ta a rimpatriare chiunque lo richiedesse.Perché abbiamo ricordato tutto questo? Perché, nel momento

Elogio degli italianid’America

(convertiti al jazz)

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della nascita del jazz, la minoranza italoamericana si ritrovava difatto in una situazione sociale non così dissimile da quella dellacomunità afroamericana e dunque non può essere un caso se iljazz, musica per antonomasia di una minoranza e di minoranze,abbia saputo interessare (sino persino a diventare motivo e moto-re di riscatto) gli italiani d’America, in numero incredibilmente alto.In tutti i casi, forse anche perché era padre di un bimbo di nem-meno due anni, dopo il linciaggio, Gerolamo La Rocca non lasciòNew Orléans. Così Nick imparò a suonare la cornetta da autodi-datta e, dopo varie esperienze anche in proprio, iniziò ad esserchiamato dalle orchestre che contavano: da Dominic Barroca, poida Bill Gallity, dai fratelli Brunis, da Papa Jack Laine; infine, nel1915, il ventiseienne Nick si unì al gruppo del batterista JohnnyStein. La personalità di Nick La Rocca cominciò ben presto a farsisentire e, l’anno dopo, a Chicago, fu nominato leader del gruppo:poco dopo Stein se ne andò per far posto a un nuovo, giovanissi-mo batterista, Toni Sbarbaro, il cui nome denunciava le chiare ori-gini italiche. Con la nuova leadership di La Rocca e con Sbarbaroalla batteria, il gruppo mutò il nome: nasce l’Original DixielandJass Band che l’anno dopo ancora, siamo nel 1917, incide il primodisco di jazz in assoluto: su una faccia c’è “Dixieland Jass BandOne-Step”, sull’altra “Livery Stable Blues”, entrambe scritti da LaRocca.Non era nato il jazz - che già godeva di discreta salute - ma, per laprima volta, un certo tipo di jazz (che pure, a dispetto del nomedel gruppo, non era certo il più originale) veniva documentato eampiamente divulgato. Era il jazz bianco che, marchiato con il tim-bro di Nick La Rocca, era pronto per entrare nel DNA dei migliorijazzmen non afroamericani del futuro, da Bix Beiderbecke aBenny Goodman e sino a Lennie Tristano.Nella New Orléans di quel 1917, di fronte alla stella nascente diLouis Armstrong e del miglior black jazz (come quello di KingOliver più che quello dell’apolide Jelly Roll Morton), erano due igruppi in cui si contraddistingueva la nuova musica nella versione“bianca”: l’Original Dixieland Jass Band e i New Orléans Rhythm

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Riccardo Brazzale

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King. E, se nell’ODJB l’anima era Nick La Rocca e la propulsioneera quella di Toni Sbarbaro, i Rhythm Kings avevano in LeonRoppolo il trainante clarinetto, mentre la spina dorsale del con-trabbasso era nella mani e nell’archetto di Arnold Lojacano, que-st’ultimo di origini non solo italiane ma addirittura albanesi (i suoiantenati erano scappati in Sicilia a causa della dominazione turca). E quelli appena citati non erano certo gli unici musicisti italoame-ricani di New Orléans: vi erano i Manone, i Bonano e potremmocontinuare a lungo, eppure non vi è dubbio che il più celebre diquel periodo fu il figlio di quel tale di Salaparuta che aveva fattoforse più di quanto nessuno (nemmeno lui stesso) si aspettasse:aveva posto i primi istintivi sigilli sulle basi di una vera e propriaparte dell’estetica del jazz: quella del retaggio europeo, con tuttociò che avrebbe significato nell’instabile ma fruttuosissimo equili-brio col primato afroamericano.Da allora, gli italiani d’America non smisero più di lasciare il segnonel jazz. Lo si capì perfettamente una decina di anni dopo a NewYork, quando intorno a Bix Beiderbecke presero a trovarsi alcunimusicisti come il pianista Frank Signorelli, il sassofonista AdrianRollini (che fra l’altro suonava il sax basso, più sconosciuto cheraro sino ad Anthony Braxton), ma soprattutto il chitarrista EddieLang (al secolo Salvatore Massaro, di origini abruzzesi) e il violini-sta Joe Venuti (nato probabilmente a Malgrate di Lecco, inLombardia, e poi emigrato: ma la favola sulle sue origini merite-rebbe un capitolo apposito). Ancora una volta, nel periodo di mas-simo splendore per il jazz nero di Louis Armstrong, c’era qualcu-no che osava pensarla in maniera diversa: era il jazz diBeiderbecke, con tutta la sua attenzione al “suono”, all’arricchi-mento armonico, al ruolo dell’orchestrazione e dell’arrangiamen-to, a un generale senso del relaxing sino allora impensabile neljazz. Stava nascendo quello che vent’anni dopo si sarebbe chia-mato “cool jazz” ed era merito non solo della cornetta diBeiderbecke e del “C melody” sax di Frankie Trumbauer, maanche dei duetti fra il violino di Joe Venuti e la chitarra di EddieLang che diedero vita ai primi esempi di uno spontaneo, apollineo

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Elogio degli italiani d’America

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jazz da camera.Abbiamo appena menzionato il cool jazz (anche se solo ante litte-ram) e così diventa qui persino ovvio andare alla seconda metàdegli anni ‘40, quando la scena del nuovo jazz - quella del be bopdi Parker, Powell, Gillespie e Monk - viene almeno un po’ scossada quell’eminenza grigia che fu il più grande degli italoamericanidel jazz: Lennie Tristano, nato a Chicago nel 1919, secondo diquattro figli di una seconda generazione di emigrati partiti dalporto di Aversa, in Campania, presumibilmente con l’ondata degliultimi anni ‘80.Tristano è uno dei pochi che inventa, praticamente di sana pianta,un nuovo modo di concepire la musica, ma sempre restando neiterritori del jazz moderno: grammatica e sintassi erano quelle bopma (come al tempo di Bix) erano diverse l’intenzione, la pronun-cia, il suono, l’approccio molto più “pensato” al materiale musi-cale. Con Tristano ci sono Lee Konitz, Warne Marsh e Billy Bauer,ma anche il suo alter ego al pianoforte Sal Mosca, il trombettistaDon Ferrara, i trombonisti Bill Russo e Willie Dennis (all’anagrafeDe Berardinis), il clarinettista John La Porta, il contrabbassistaClyde Lombardi: tutti musicisti dal cognome facilmente collocabi-le quanto a discendenza, come quelli che di lì a poco si sarebbe-ro ritrovati nel primo workshop di Mingus (per esempio il pianistaWally Cirillo o il sassofonista - in seguito più famoso come pro-duttore - Teo Macero), i frequentatori della costa californiana (i fra-telli trombettisti Pete e Conte Candoli, e il trombonista FrankRosolino) o i più attivi fra quanti frequentavano lo stesso La Porta(il trombettista Louis Mucci, il batterista Clem De Rosa, il trom-bonista Sonny Russo).Proprio John La Porta ci fornisce l’opportunità per aprire un pic-colo capoverso dedicato ai clarinettisti che traghettarono il lorostrumento dal grande mare dell’epoca swing ai lidi del jazz moder-no. Con La Porta, vanno ricordati almeno Jimmy Giuffre, TonyScott (il cui vero cognome era Sciacca) e, soprattutto, BonifaceFerdinand Leonardo De Franco detto Buddy che nel decenniocompreso fra il ‘45 e il ‘55 vinse incontrastato ogni tipo di refe-

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Riccardo Brazzale

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rendum o classifica destinati ai clarinettisti dalle riviste specializ-zate americane, in forza di un enciclopedismo tecnico e di lin-guaggio tale da mettere in secondo piano persino il mito di BennyGoodman.A De Franco (che entrò ben presto nella scuderia di Norman Granz:la stessa, per inciso, dove poteva esprimersi la chitarra di JoePass, il chitarrista di Oscar Peterson che di cognome vero – tantoper gradire - faceva Passalacqua), a De Franco dicevamo, era rim-proverata un’unica caratteristica, quella di “essere freddo”: ideaforse non del tutto peregrina, se vista col binocolo della negritudi-ne, ma idea persino dai contorni positivi se osservata nella suaappartenenza a quell’estetica “bianca” ed europea che venivadagli italiani di New Orléans, Nick La Rocca e Leon Roppolo.Ora, da Buddy De Franco ad Armando Anthony Corea detto Chick,e solo aggiungendo qualcuno dei musicisti di questi ultimi giorni (inordine casuale e sparso: Lovano, Bergonzi, Garzone, Calderazzo,De Francesco), il cammino è tutt’altro che cortissimo, proprio per-ché il numero degli italiani d’America prestati al jazz non accenna

al benché minimo rallentamento e anzipare destinato a crescere.Tuttavia, con una peculiarità aggiuntiva:che non si possa o non si debba più trat-tare di italiani d’America ma di america-ni d’Italia. Non si creda: non è una que-stione di lana caprina, perché oggi i piùbravi fra loro (poniamo un Joe Lovano)sono in grado di suonare al migliormodo dei neri d’America (e questi ulti-mi, peraltro, fanno molto bene il contra-rio), lasciando di fatto inevitabilmentecadere qualsiasi legame con le proprieradici culturali.È un male? Un bene? No: è solo la sto-ria di questo nostro mondo, destinato almelting pot globale. �

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Elogio degli italiani d’America

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di Aldo Gianolio

Miles Davis e Gil Evans avevanocominciato a collaborare nel 1949

con la costituzione della celeberrima tuba-band e la registrazio-ne di dodici facciate raccolte in seguito nell’album della Capitol“Birth Of The Cool”. L’espressione solistica di Davis si sposavabenissimo con le atmosfere che Evans e altri giovani arrangia-tori come Gerry Mulligan, John Lewis e Johnny Carisi avevanocreato. La musica uscita da quella esperienza era stata pensata daEvans già ai tempi del suo sodalizio con il pianista ClaudeThornhill: nel 1938 erano entrambi nella band di “Skinnay”Ennis e nel 1941, quando Thornhill ne formò una propria,chiamò come arrangiatore Evans. Alcune peculiarità della poeti-ca di Thornhill sarebbero diventate costanti di quella di Evans:Thornhill aveva praticamente bandito il vibrato e spesso sconfi-nava sui registri bassi; organizzava impasti timbrici inconsueti,come quelli di tromboni e clarinetti oppure sassofoni e cornifrancesi (quest’ultimi introdotti da Thornhill nel 1941), con il finedi ottenere una sonorità morbida e liscia per dare una sensazio-ne di quiete e rilassatezza; usava armonizzazioni intimamentecompatte, tanto da formare “nuvole di suono”, come le avevadefinite lo stesso Evans, dove tutto si muoveva a minima velo-cità. Con “Birth Of The Cool” era nato quello che sarebbe stato eti-chettato cool jazz da cui sarebbe poi derivato il west coast jazz.La tuba band ebbe una grande influenza sulla musica afro-ame-ricana, a prescindere dai movimenti che generò. Con essa pren-

“Sketches Of Spain”di Gill Evans

e Miles Davis

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de piede la Klassische Dämpfung (attenuazione classica): unritorno all’armonia, alla compostezza, all’equilibrio, al rifiuto del-l’eccesso, alla ricerca del limite, della misura, dell’organicità del-l’opera e della sua unità. Nei due soli brani arrangiati ufficial-mente da Evans, Boplicity e Moon Dreams (pur se tutto il pro-getto è debitore alla poetica evansiana), si prefigurano già certesoluzioni formali di stampo impressionistico che diverrannocostanti del suo universo stilistico e torneranno in “Sketches OfSpain”: l’uso di “grappoli di note”, cioè l’unione di più suoniapparentemente indipendenti dalle regole armoniche, aggrappa-ti l’uno all’altro e addensati in strati alti o profondi con valoresoprattutto timbrico; il carattere statico della musica, dovuto an-che all’uso di pedali composti da lunghe note tenute (anche inaccordo); salti di quinte (progressioni ascendenti e discendenti)nell’uso dei bassi; cromatismi; predilezione per gli ottoni consordina; condotta parallela di accordi di settima e di nona; suc-cessione e sovrapposizione di triadi maggiori e/o minori; accor-di di quarta; triadi con sesta aggiunta; accordi di sei o sette suonidisposti ed ordinati conformemente ai gradi più alti della seriearmonica (settima, undicesima, tredicesima, ecc.); accordi dis-sonanti consecutivi senza preparazione e soluzione. Dopo “Birth Of The Cool”, bisogna aspettare il 1956 perchéEvans e Davis si incontrassero di nuovo per un’altra collabora-zione. Nacque il progetto di fare insieme un intero disco e i duesi videro spesso, si consultarono, studiarono, provarono. Nelmaggio del 1957 entrarono negli studi di incisione dellaColumbia per registrare dieci brani riuniti poi nell’album intitola-to “Miles Ahead”. Il disco ebbe molto successo, così Davis edEvans ne fecero seguire altri tre con più o meno le medesimecaratteristiche stilistiche: “Porgy And Bess” del 1958,“Sketches Of Spain” del 1959-60 e “Quiet Nights” nel 1962. Inquesti lavori tutta l’orchestrazione evansiana è funzionale al soli-smo di Davis, che per la prima volta si ritrovava a registrare conuna big band vera e propria. L’orchestra era sui generis, anoma-la, perché alla tradizionale sezione dei sassofoni (composta in

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genere da 5 elementi) Evans era solito sostituire una sezioneeterogenea dove i sassofoni erano drasticamente ridotti e al loroposto erano messi, a seconda delle volte, corno francese, bassotuba, clarinetto basso, clarinetto, flauto e addirittura oboe. Lepartiture hanno poche cadute di gusto e gli assoli di Miles risul-tano di una stringatezza e di una essenzialità tali da far pensaredi essere stati studiati meticolosamente, se non addirittura,almeno in parte, scritti. Davis è riuscito a trovare con Evans ladimensione espressiva a lui più congeniale. La dimensione for-male intimista creata dal canadese fa sì che il solismo essen-ziale di Davis trovi la sua sublimazione. Davis tende al lirismopuro, volto, per usare parole di Andrè Hodeir, “alla scoperta del-l’estasi”. Con il terzo incontro, Davis e Evans mettono a punto un albumispirato interamente alla cultura musicale spagnola: “SketchesOf Spain”. Con questa escursione nel campo dell’hispanidad siufficializzò l’amore dei due musicisti per quelle particolari e colo-rite atmosfere e venne alla luce un’opera organica e stilistica-mente coerente. La Spagna può essere una buona ispiratriceper i musicisti armonicamente raffinati: lo fu per gli impressioni-sti europei all’inizio del secolo e lo è stata per Gil Evans. In“Sketches Of Spain” infatti le armonie diventano ubriacanti, sot-tilmente velenose come il profumo della tuberosa, si prolunga-no voluttuosamente languide evocando sensazioni sensuali fintroppo acute; c’è un senso di torpore comune a certe danzespagnole, un’ebbrezza esasperata veicolata da pause, ripartizio-ni ostinate, furiose ed improvvise esplosioni, tenerezze ferine evoluttà cromatiche. L’equilibrio sonoro di queste pagine è dav-vero un gioco di destrezza. Ormai Evans aveva raggiunto unatale padronanza nell’uso delle tessiture strumentali da adopera-re la consistenza delle sonorità come un pittore adopera i tonipuri: colori che non appaiono mescolati, che non conoscono letinte neutre, per esaltarsi in tutta la loro luminosa bellezza.L’idea di lavorare su tale progetto era stata di Miles Davis cheaveva ascoltato ai primi del 1959 il Concerto de Aranjuez per chi-

“Sketches Of Spain”

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tarra e orchestra del compositore valenciano Joaquìn Rodrigo:ne rimase colpito tanto da proporlo subito al compagno. I due cilavorarono sopra assiduamente e registrarono “Sketches OfSpain” in tre sedute, il 20 novembre 1959, il 10 e l’11 marzo1960. Evans riscrisse e ampliò solo la parte centrale del concer-to, l’adagio, impreziosendo ancor di più l’originaria orchestrazio-ne, già raffinata di per se stessa. La formazione comprende,oltre a Davis, quattro trombe, due tromboni, un clarinetto basso,due flauti, un oboe, tre corni francesi, un basso tuba, un’arpa, uncontrabbasso e due batterie (niente piano). L’album fu termina-to con l’aggiunta di un altro brano preso in prestito dal reperto-rio classico, Will O’ The Wisp, che fa parte del balletto El AmorBrujo composto da Manuel De Falla e di tre pezzi composti dallostesso Evans, che si ispirò direttamente al folklore spagnolo:The Pan Piper, Solea (1) e Saeta (2). Sono brani programmatica-mente descrittivi (soprattutto Concerto de Aranjuez), esaltanti laprestazione di Davis che crea una angosciosa tensione emotiva,di dolore e tristezza fatalistica, insieme alla fantasia arrangiatoriadi Evans, magistrale alchimista di sorprendenti preziosità armo-niche e timbriche che abbagliano e meravigliano. In “SketchesOf Spain” Evans fa risaltare altre sue precipue caratteristiche diorchestratore: quella di alternare accordi a molte voci (in generecon le varie note molto vicine, a “grappoli di suoni”, si è detto,di stampo impressionistico) con accordi a poche voci o addirit-tura unisoni; il modo di collegare due accordi (prima del passag-gio definitivo, Evans muove in anticipo le varie voci in modo dacreare accordi sempre differenti e un continuo senso di moto:sono spostamenti ritmici dell’armonia con conseguenti e rispet-tivi veri e propri ritardi e anticipi rispetto alle collocazioni natura-li degli stessi accordi); l’armonizzazione, nota per nota, dellamelodia; l’arricchimento dell’armonia originale (in Concerto deAranjuez e Will O’ The Wisp), grazie soprattutto ad un anda-mento particolare conferito ai bassi (specialmente il basso tubaè spesso usato con note estranee agli accordi di base, così con-ferendo una particolare dinamicità alle armonie soprastanti che

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altrimenti risulterebbero immote); un progressivo sfaldamento ediradamento del materiale musicale che si mantiene magistral-mente in equilibrio nonostante la forte sensazione di instabilità,la quale rimane anche in fase di risoluzione, perché l’accordorisolutivo spesso viene anticipato (con la tecnica sopra illustrata)ed è così sovrapposto a quello che risolve, creando un ulteriorevago senso di insolvenza e sospensione. �

(1) La solea è una forma particolare di canto hondo (canto “profondo”); è

una canzone di grande tristezza, in cui si piange la solitudine e l’abbando-

no, di origine araba, ebraica o zingara (solea significa “solitudine”). (2) La saeta (che vuol dire “saetta”) si canta durante le processioni solenni,

molto popolari e famose in Spagna, specialmente in tempo di Quaresima.

La saeta dura alcuni minuti ed è totalmente priva di accompagnamento; ha

andamento lento ed è spesso dolorosa, come del resto la solea.

“Sketches Of Spain”

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di Mitchell Feldman

My initial excitement at beingasked to write this essay for theVicenza Festival was quicklyreplaced by panic after the irony of what I had agreed to dostruck me like a ton of bricks. What in heaven’s name do I, amiddle-aged man, know about what it’s like to be a woman injazz. Or to be a woman doing anything for that matter!

Jazz I know about. Over the past 25 years I’ve been involvedwith the music as a journalist, DJ, concert producer, recordlabel director and publicist. Yet while I consider myself anenlightened, sensitive, “New Age” man, no matter how oftenI get in touch with the feminine side of my persona (whatJungian analysts call the “anima”) I am not, and never will be,a woman. So being a man and having to write somethinginformed and informative about what it’s like to be a womanpresented something of a dilemma.

I’m being ironic here on purpose since the ability to write aboutthe contributions women artists have made to the developmentof jazz over the past century, like the ability to create music, does-n’t depend on one’s gender. It’s being a man and having to gobeyond placing women in jazz in an historical context in order toaddress this topic from a sociological and experiential perspectivethat’s problematic. Thankfully, enough has been written and di-scussed about the state of women in jazz today, and I personallyknow enough female jazz artists, to be able to share some firsthand impressions and insights with you.

Women in jazzA Man’s Perspective

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di Mitchell Feldman(traduzione di Loretta Simoni)

La mia iniziale eccitazione per esse-re stato invitato a scrivere questosaggio per il Festival di Vicenza ha

presto lasciato posto al panico di fronte a ciò che avevo accettatodi fare e che ha prodotto in me lo stesso effetto di una tonnellatadi mattoni scaraventatami addosso. Che ne può sapere un uomo dimezza età come me di cosa significhi essere donna nel jazz? O diessere una donna in generale?

Di jazz me ne intendo. Negli ultimi venticinque anni ho avuto a chefare con la musica come giornalista, D.J., produttore di concerti,direttore di un’etichetta discografica e addetto stampa. Eppure se èvero che mi considero un uomo della “Nuova Era” illuminato e sen-sibile, indipendentemente dalla frequenza con cui entro in contattocon la parte femminile di me (ciò che i Junghiani chiamano “anima”),è altrettanto vero che non sono e non sarò mai una donna. Quindi èun bel dilemma essere un uomo e dover scrivere qualcosa di perti-nente e interessante su cosa vuol dire essere una donna.

Sarò volutamente un po’ ironico perché la capacità di scrivere qual-cosa sul contributo delle musiciste allo sviluppo del jazz nel secoloscorso, così come la capacità di creare musica, non dipende dalgenere. L’aspetto problematico, piuttosto, è essere un uomo eaffrontare questo argomento da una prospettiva sociologica edempirica andando oltre la mera collocazione delle jazziste in un con-testo storico. Per fortuna, molto è stato detto e scritto sul temadelle donne nel jazz e, personalmente, conosco abbastanza artisteda essere in grado di condividere con voi alcune impressioni.

Donne nel jazzIl punto di vista di un uomo

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Mitchell Feldman

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What’s interesting is that the general consensus amongwomen jazz artists – and also among men in the music indus-try whose attitudes about women professionals have evolvedbeyond the archaic, chauvinistic and prejudicial practices thathave existed for millennia and continue to this day in someparts of the world (and I’m not just talking about in the MiddleEast, Asia, Africa or South America since there’s a canton inSwitzerland where women have the right to vote from 1990only) - is that focusing on any one specific group places an arti-ficial and unnecessary emphasis on its members being “dif-ferent” from the status quo. Thus, ironically, the very idea ofhighlighting the achievements of women in jazz is a form ofsegregation in itself - what baritone saxophonist Claire Dalydescribed to me as a “ghetto-ization” - which is no differentthan isolating those of white people in jazz, Jews in jazz orEuropeans in jazz.

That women have yet to achieve equality with men in mostwalks of life is not news although just last year the U.N.released the results of a global study (conducted at the cost ofuntold millions of dollars that probably could have been betterspent elsewhere) to arrive at the rather obvious conclusionthat women represent the largest single discriminated demo-graphic group within all of humanity. So it’s no surprise thatwomen are a minority in the music business as they are inmost other professions with the exceptions perhaps of nuns,nurses and flight attendants. But this phenomenon is not li-mited to the jazz world. The venerable Vienna Philharmonic,one of the finest classical orchestras in the world, until recent-ly had no women members for more than a century (they’vesince hired a token woman – a third string flute player or aharpist, I forget which — but feminists still demonstrate out-side Carnegie Hall every time the ensemble appears there).

It’s safe to say that the paucity of professional opportunities

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Donne nel jazz

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Mi pare interessante osservare quella che è l’opinione comune trale jazziste e anche tra gli uomini che lavorano nel settore musicale,i cui atteggiamenti verso le musiciste professioniste si sono affran-cati da certe abitudini arcaiche e scioviniste e da pregiudizi millena-ri che ancora esistono in alcune parti del mondo (e non parlo sonodel Medio Oriente, dell’Asia, dell’Africa o del Sud America, poichéin un cantone della Svizzera (1) le donne hanno il diritto di voto solodal 1990). L’opinione comune, dicevo, è che il concentrare l’atten-zione su un gruppo specifico finisce per porre un’enfasi esageratae fuorviante sul fatto che i suoi componenti siano “diversi” dallostatus quo. Perciò, paradossalmente, l’idea di mettere in risalto isuccessi delle donne nel jazz è di per sé una forma di segregazio-ne - quello che la baritonista Claire Daly definisce “ghettizzazio-ne”–, come se si considerassero categorie a se stanti i jazzisti bian-chi, ebrei o europei.

Che le donne debbano ancora raggiungere la parità con gli uominiin molte professioni non è una novità, anche se proprio lo scorsoanno le Nazioni Unite hanno pubblicato il risultato di uno studio(peraltro costato non so quanti milioni di dollari che probabilmenteavrebbero potuto essere spesi meglio in altro modo), per giungerealla conclusione, piuttosto ovvia, che le donne rappresentano ilgruppo demografico più discriminato di tutta l’umanità. Non è dun-que una sorpresa che le donne siano una minoranza nel businessmusicale così come in molte altre professioni, con l’eccezione,forse, delle suore, delle infermiere e delle assistenti di volo. Questofenomeno non è tuttavia limitato al solo mondo del jazz. Fino apoco tempo fa, e per più di un secolo, la venerabile Filarmonica diVienna, una delle migliori orchestre classiche del mondo, non anno-verava alcuna presenza femminile (hanno ingaggiato soltanto unadonna giusto come simbolo, una flautista di fila o un’arpista, nonricordo esattamente – so solo che le femministe dimostrano anco-ra fuori dalla Carnegie Hall ogni volta che l’ensemble vi si esibisce).

Si può dire con sicurezza che le scarse opportunità professionali

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Mitchell Feldman

for women in music has less to do with their abilities than withoutdated attitudes towards women in society. And the factthat these attitudes began to change after the IndustrialRevolution, and more rapidly during the second half of the20th century, meant that opportunities for women in jazz haveimproved in modern times as they have in other areas. YetLara Pelligrinelli, one of the minority of professional jazz jour-nalists who are women, recently pointed out there are nofemale members of the Lincoln Center Jazz Orchestra (LCJO),the resident ensemble of Jazz at Lincoln Center (J@LC), theworld’s wealthiest and most visible jazz program led byWynton Marsalis. In an article published last fall in The VillageVoice, one of the oldest and most influential alternative week-ly newspapers in the U.S., Pelligrinelli wrote that of the 278artists (104 reeds players, 62 trumpeters, 42 trombonists, 57bassists, 43 drummers and 74 pianists) to appear in the pro-gram since 1991 only three have been women and all werepianists (one was Renee Rosnes, the Carnegie Hall JazzBand’s pianist, who acknowledges she was asked to join thatband by its music director, trumpeter Jon Faddis, who reliedon the normal “good old boy” network and hired a friend butin this case that friend was a woman). J@LC’s Men’s Clubmentality is more a negative reflection on Marsalis than on theability of women jazz musicians.

Despite the fact that women like Toshiko Akiyoshi, Carla Bleyand Maria Schneider have established careers as jazz big bandleaders – following in the footsteps of pioneering artists likeCarline Ray, Roz Cron, and Clora Bryant who led all-girl bandsbetween the Swing Era and the end of World War II – jazz bigbands are a domain populated almost exclusively by malemusicians, the Italian Instabile Orchestra included. Bley hassaid she usually finds a vocal mike next to the piano everytime she goes to a sound check because technicians assumethat since she’s a chick, she must be a singer.

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Donne nel jazz

offerte alle donne in ambito musicale non dipendono dalle lorocapacità, quanto piuttosto da una mentalità superata. E il fatto chequesta mentalità abbia cominciato a cambiare dopo la RivoluzioneIndustriale e, più rapidamente, nel corso della seconda metà delventesimo secolo, significa che, nei tempi moderni, le opportunitàper le donne, nel jazz e in altri ambiti, sono notevolmente aumen-tate. Eppure, Lara Pelligrinelli, una delle poche giornaliste profes-sioniste di jazz, ha recentemente osservato che non ci sonodonne nella Lincoln Center Jazz Orchestra (LCJO), l’ensembleresidente di jazz al Lincoln Center (J@LC), il programma di jazz piùampio e conosciuto, diretto da Wynton Marsalis. In un articolopubblicato lo scorso autunno dallo storico The Village Voice, unodei settimanali alternativi più influenti degli Stati Uniti, laPelligrinelli ha scritto che dei 278 artisti (104 ance, 62 trombettisti,42 trombonisti, 57 bassisti, 43 batteristi e 74 pianisti) presenti nelprogramma dal 1991, solo tre erano donne e tutte pianiste (una diloro era Renee Rosnes, la pianista della Carnegie Hall Jazz Band,che ha ammesso di essere stata chiamata in quel gruppo dal diret-tore musicale, il trombettista Jon Faddis, che aveva deciso dipescare nella sua rete di vecchie amicizie; solo che l’amico, inquesto caso, era una donna). Tutto sommato, la mentalità da cir-colo maschile della J@LC è un punto a sfavore dello stessoMarsalis piuttosto che delle jazziste.

Nonostante il fatto che donne come Toshiko Akiyoshi, Carla Bleye Maria Schneider si siano costruite una carriera nel jazz come lea-der di big band - seguendo le orme di autentiche pioniere qualiCarline Ray, Roz Cron e Clora Bryant che dirigevano band tutte alfemminile nel periodo che va tra l’epoca dello swing e la fine dellaseconda guerra mondiale -, le big band del jazz, compresa l’ItalianInstabile Orchestra, sono un dominio quasi esclusivo degli uomi-ni. La Bley ha dichiarato che di solito trova un microfono da vocevicino al pianoforte ogni volta che va a un sound check perché itecnici pensano che, essendo donna, deve per forza essere unacantante.

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Of course this is partly the fault of jazz history since a vastmajority of women jazz artists have been vocalists who gottheir starts in big bands. Some of the more notable examplesare Ella Fitzgerald with Chick Webb; Billie Holiday with CountBasie and Artie Shaw; Sarah Vaughan with Earl Hines and BillyEckstine; Anita O’Day, June Christy and Chris Connor withStan Kenton; June Tyson with Sun Ra and Jeanne Lee withGunther Hampel’s Galaxie Dream Band. The accomplish-ments of Lil Hardin — a talented composer and pianist who,as Louis Armstrong’s second wife, convinced him to emergefrom the shadows of King Oliver’s band and into the limelightof Fletcher Henderson’s, was an essential member of her hus-band’s Hot Five and Hot Seven bands before she went out onher own — and Mary Lou Williams — the brilliant pianist, com-poser and arranger who got her start in Andy Kirk’s band du-ring the 1930s and provided bigband scores for BennyGoodman, Earl Hines, Tommy Dorsey, Duke Ellington andDizzy Gillespie, among others, before embarking on a solocareer that would have been distinguished whether she hadbeen a woman or not – shine like isolated beacons in theannals of jazz through the first half of the 20th century.

Nevertheless, there’s been a significant rise in the number ofwomen jazz musicians since the 1970s and from all indicationsthis trend is getting stronger (during the year 2000, 25% of theparticipants in the annual Essentially Ellington high schoolband competition J@LC conducts in the U.S. were femalemusic students). And while singers like Cassandra Wilson orDianne Reeves remain two of the best selling women jazzartists today, an arbitrary list of successful women instrumen-talists today would include pianists Amina Claudine Myers,Diana Krall and Patricia Barber and guitarist Leni Stern (who allalso sing) and pure instrumentalists like pianists RitaMarcotulli and Geri Allen and violinist Regina Carter. The afore-mentioned Daly’s recent credits include a gig in Chicago this

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Naturalmente questa è, in parte, un’anomalia nella storia del jazz,dal momento che un gran numero di jazziste sono in realtà cantan-ti che hanno cominciato la loro carriera nelle big band. Alcuni fra gliesempi più conosciuti: Ella Fitzgerald con Chick Webb; BillieHoliday con Count Basie e Artie Shaw; Sarah Vaughan con EarlHines e Billy Eckstine; Anita O’Day, June Christy e Chris Connorcon Stan Kenton; June Tyson con Sun Ra e Jeanne Lee con laGalaxie Dream Band di Gunther Hampel. Prendiamo poi in esame i casi di Lil Hardin – validissima composi-trice e pianista, nonché seconda moglie di Louis Armstrong, checonvinse il marito a uscire dall’ombra della band di King Oliver eunirsi a quella di Fletcher Henderson, e ancora componente fonda-mentale delle band degli Hot Five e degli Hot Seven del consorteprima di andare per la propria strada - e Mary Lou Williams - piani-sta, compositrice e arrangiatrice di talento che cominciò nella banddi Andy Kirk negli anni ‘30 e scrisse, tra l’altro, per le big band diBenny Goodman, Earl Hines, Tommy Dorsey, Duke Ellington eDizzy Gillespie, prima di imbarcarsi in una carriera solistica chesarebbe stata comunque di tutto rispetto anche se non fosse statauna donna. Ebbene, questi due nomi splendono come fuochi isola-ti negli annali del jazz della prima metà del 20° secolo.

Non di meno, a partire dagli anni ’70, abbiamo assistito a un note-vole incremento nel numero di musiciste, secondo un trend chesembra in aumento (nel corso del 2000 il 25% dei partecipantiall’annuale Essentially Ellington High School Band Competition chela J@LC tiene negli Stati Uniti erano donne). E mentre cantanticome Cassandra Wilson o Dianne Reeves sono oggi fra le jazzisteche vendono più dischi, un’ipotetica lista di strumentiste di suc-cesso non potrebbe che includere pianiste come Amina ClaudineMyers, Diana Krall e Patricia Barber, la chitarrista Leni Stern (tutteanche cantanti) e strumentiste pure, come le pianiste RitaMarcotulli e Geri Allen e la violinista Regina Carter. Un risultato par-ticolarmente importante conseguito dalla stessa Daly nello scorsomese di marzo è stato un ingaggio a Chicago con la Gerry Mulligan

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past March with the Gerry Mulligan Tribute Band, an honor forany baritone saxophonist male or female. And speaking ofhonors, percussionist Marilyn Mazur’s being awardedDenmark’s prestigious JazzPar Prize in 2000 sent a very posi-tive message at the start of the new millennium.

In a special issue devoted to women in jazz last year, the edi-tor of the American magazine Jazziz conducted a round-tablediscussion with Bley, Stern, Daly, Wilson, pianists BarbaraCarroll and Myra Melford and drummer Cindy Blackman inwhich all made it clear that while they appreciate the recogni-tion, they’d rather get gigs on the merit of their talent assingers, composers or instrumentalists than be singled out forspecial treatment because of their sex. And while the pollsconducted annually by various jazz magazines are a necessaryevil, they serve as barometers that judge artists on the basisof their abilities and while sometimes referred to as horseraces, at least aren’t beauty contests. To attribute MariaSchneider’s placing in the Top Three in composer, arranger andbig band leader categories in several Down Beat andJazzTimes critics and readers polls in the mid-1990s (asAkiyoshi and Bley did before her) to the fact that she’s awoman is as absurd as saying her collaborations with bigbands in Denmark, Sweden and Finland were the result of herbeing born in Minnesota, the state with the highest number ofScandinavian immigrants in America.

I was lucky to be able to catch Maria in early April before sheleft her home in New York to perform in Greenland and weexchanged a couple of e-mails that addressed the whole“Women In Jazz” phenomenon. She was kind and concernedenough to speak out about this issue, one it’s clear she wisheswere a non-issue. Yet given the fact that Maria’s performing forus here, I asked for and received permission from her to sharesome things with you which I certainly couldn’t have said better

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Tribute Band, un onore per ogni baritonista, uomo o donna. E, a pro-posito di risultati, il prestigioso premio danese JazzPar Prize, asse-gnato nel 2000 alla percussionista Marilyn Mazur, ha rappresentatoun segnale molto positivo agli albori del nuovo millennio.

In un numero speciale dello scorso anno, dedicato alle donne neljazz, il direttore del periodico americano Jazziz ha moderato unatavola rotonda con Bley, Stern, Daly, Wilson, le pianiste BarbaraCarroll e Myra Melford e la batterista Cindy Blackman. Pur apprez-zando i riconoscimenti, tutte hanno dichiarato di preferire di otte-nere ingaggi per merito del loro talento come cantanti, composi-trici o strumentiste che di ricevere un trattamento speciale per ilsolo fatto di essere donne. E se i referendum annuali di vari perio-dici di jazz sono un male necessario, è pur vero che essi servonocome termometri per giudicare gli artisti sulla base delle loro capa-cità; anche se talvolta sono considerati una sorta di gara ippica,almeno non sono concorsi di bellezza. Attribuire al fatto di esseredonna la collocazione di Maria Schneider fra i primi tre composi-tori, arrangiatori e leader di big band in molti referendum dei criti-ci e dei lettori di Down Beat e Jazz Times della metà degli anni ‘90(come avvenne, prima di lei, per Akiyoshi e Bley), è una veraassurdità: sarebbe come dire che le sue collaborazioni con bigband in Danimarca, Svezia e Finlandia dipendono dal fatto di esse-re nata nel Minnesota, lo stato con il più alto numero di immigra-ti scandinavi.

Fortunatamente sono riuscito a contattare Maria agli inizi di aprile,prima che lasciasse New York per esibirsi in Groenlandia e cosìabbiamo potuto scambiarci alcune e-mail che riguardavano il feno-meno delle donne nel jazz nella sua globalità. Maria si è gentilmen-te prestata a parlare dell’argomento che lei, tuttavia, preferirebbeconsiderare un non-argomento. Comunque sia, dato che suoneràper noi, Maria ha accettato di condividere con voi alcuni concetti checertamente io stesso non avrei potuto esprimere altrettanto bene eche forniscono la conclusione più appropriata a questo saggio.

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and which definitely provide a more appropriate conclusion tothis essay than anything I could have come up with.

“When I make music, either composing, rehearsing or con-ducting, about the last thing on my mind is my gender and Idon’t think any male musician is thinking about the fact thathe’s a man when he’s creating music,” she wrote. “Theydon’t put a sign on a man saying ‘MAN.’ Why would they putone on a woman saying ‘WOMAN?’ Isn’t it obvious? Andwhat’s the difference if I am a woman? If my work isn’t inter-esting enough on it’s own, I don’t want any job. I’ve managedto do what I want creatively, and work enough to make endsmeet and I think that’s based on merit. I certainly work hardenough to believe it is.”

“I am who I am, inside of me, and 100% of my challenge isgoing about the business of trying to create deeper music.That’s it. Dealing with being a woman among men would rateas a 0% challenge,” she continued. “I think I’m so tired of thequestion of gender because I feel it somehow diminishes thevalue of what I do. It diminishes the value of what we all do.It certainly doesn’t show respect towards the incredible giftwe have in music, the magic of creative expression, the beau-ty of personalities coming alive through sound vibration. Formost musicians, the challenge of making meaningful music iseverything. And we spend our lives in search of getting betterand seeking to go further. Hopefully we can live comfortablyenough while continuing to search.”

“I’ve given my entire adult life to music and if someone alongthe way didn’t hire me because I’m a woman, I never noticed.If they hired me just because I am a woman, well, they gotmuch more than they bargained for!” Amen. �

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“Quando faccio musica, sia che componga, che provi o che diriga,l’ultima cosa che mi passa per la testa è il fatto di essere donna ecredo che nemmeno i miei colleghi pensino al fatto di essere uomi-ni quando fanno musica”, scrive. “Non mettono un segno su unuomo con su scritto UOMO. E dunque perché dovrebbero faraltrettanto con una donna? Non è forse ovvio? E che differenza fase sono una donna? Se il mio lavoro non è abbastanza interessan-te di suo, non mi interessa lavorare. Ho cercato di fare ciò che vole-vo con creatività, lavoro abbastanza da poter sbarcare il lunario epenso che tutto ciò dipenda dal mio valore. Certamente lavoroabbastanza per crederlo.”

“Sono quella che sono e la mia sfida è solo cercare di fare musicanel miglior modo possibile, ecco tutto. La sfida non è certo quelladi essere una donna fra gli uomini”, continua. “Non ne posso piùdelle questioni di genere perché sento che così si finisce per smi-nuire il valore di ciò che faccio. Di ciò che tutti noi facciamo.Certamente, in questo modo non si considera con il dovuto rispet-to l’incredibile dono che ognuno di noi ha ricevuto per la musica,per la magia dell’espressione creativa, per la bellezza insita nel darevita alle proprie sensazioni attraverso le vibrazioni sonore. Per lamaggior parte dei musicisti la sfida è solo quella di fare musica riccadi significato, passando la vita cercando di migliorarsi e progredire.Speriamo almeno di poter continuare la nostra ricerca vivendo age-volmente.”

“Ho dedicato tutta la mia vita adulta alla musica e non ho mai avutola sensazione che qualcuno non mi abbia ingaggiato perché sonouna donna. Se invece mi hanno preso solo perché sono una donna,beh, hanno ricevuto molto di più di quello che si aspettavano!”Amen. �

(1) Si tratta del Cantone Appenzello interno: nel 1990 il tribunale svizzero ha imposto al

Cantone di estendere il diritto di voto anche alle donne (ndt).

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di Claudio Donà

Sulla capacità, invero straordinaria,di Miles Davis nel riuscire a scrittu-rare per i suoi gruppi i migliori gio-vani talenti in circolazione, s’è

molto discusso. Ma oltre ai soliti nomi già noti, musicisti diven-tati a loro volta celebri leader (da John Coltrane a WayneShorter, da Joe Zawinul a Herbie Hancock, da Chick Corea aDave Holland), vi sono altri bravi strumentisti che, se non aves-sero suonato con lui, sarebbero stati forse dimenticati. Si trattanella fattispecie di jazzisti dal nome meno altisonante ma cheaccanto a Davis sono riusciti a maturare un’originale personalitàstilistica, acquisendo un’invidiabile fama nello specifico ambitostrumentale e godendo i frutti d’una carriera comunque prodigadi soddisfazioni.Delle ultime scoperte davisiane, John Scofield – che avevacomunque già prodotto per suo conto cose egregie – è forse ilmusicista riuscito maggiormente ad affermarsi alla testa di pro-pri gruppi, diventando a sua volta un punto di riferimento per legiovani generazioni. Il rapporto tra Scofield ed il “divino” è sindall’inizio dei migliori. Il carattere del chitarrista, mite e forte allostesso tempo, la sua caparbietà, l’innato talento supportato dauna giusta dose di umiltà, indispensabile per migliorare ulterior-mente, ne hanno fatto un compagno ideale per l’apparente-mente burbero trombettista. Dopo che John lascia Miles, adesclusione di una breve parentesi – che non ha trovato fra l’al-tro documentazione discografica – con Robben Ford, nessunaltro chitarrista entrerà nei suoi diversi gruppi. Non può consi-derarsi infatti un vero chitarrista – suona uno strano basso a cin-que corde – Joseph “Foley” McCreary, sì funzionale alla musi-

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ca di Davis ma tornato subito, dopo la sua morte, nell’oblìo dacui era emerso.John Scofield, a differenza di altri musicisti della corte davisiana,ha sempre parlato con ammirazione e rispetto del suo vecchioleader, riconoscendone l’importanza per la sua crescita musica-le e definitiva affermazione. In molti passi di «John Scofield (unachitarra che parla di oggi)», un mio breve saggio pubblicato peri tipi di Jazz People da Stampa Alternativa, si fa riferimento aquesto importante rapporto. Ne riportiamo, di seguito, degliestratti credo significativi.

...In novembre (siamo nel 1982) Scofield viene quindi scrittura-to a sorpresa da Miles Davis, che lo chiama nella sua band nonper sostituire ma per affiancare un altro chitarrista, Mike Stern.Davis lo aveva ascoltato qualche tempo prima con il gruppo diDavid Liebman al Keystone Korner di S.Francisco, rimanendonecolpito. Lasciamo raccontare in prima persona a Scofield i parti-colari di un incontro inconsueto e divertente: «Miles venne unasera nel club dove suonavamo. Era ancora rimasto molto legatoa David. Fu a dir poco affascinante. Si sedette di fronte al grup-po, un grande sorriso sulle labbra e un ampio mantello in pelledi leopardo sulle spalle, circondato dal suo variopinto entourage.Noi eravamo intimiditi da quello che tutti consideravano il “per-fido” Miles Davis ed invece lui era lì, davanti a noi, a sorridere.Dopo il set mi fece chiamare e mi disse che gli piaceva comesuonavo. Pensai non fosse proprio lui. Forse un sosia? Nonsapevo cosa rispondere, gli dissi che era bello fosse proprio lì,insieme a noi. Si alterò subito e mi zittì bruscamente. Allora capiiche era proprio lui, Miles Davis. Dopo un anno mi propose dientrare nel suo gruppo»...

...Per gli ultimi brani del disco «Star People» (Columbia), regi-strato a cavallo fra l’82 e l’83, Davis porta in sala di registrazio-ne Scofield, che era entrato nel suo gruppo soltanto a fine anno.«Mi piaceva la sottigliezza di John», racconta Miles nella sua

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autobiografia. «Me l’aveva raccomandato Bill Evans, così comeaveva fatto con Mike Stern. Mi pareva che questi due chitarristicon stili così differenti creassero una tensione che avrebbepotuto giovare alla musica. Pensavo anche che se Mike fosseandato ad ascoltare John, avrebbe imparato qualcosa sulla sen-sibilità. Nel brano It Gets Better di «Star People» Scofield è ilsolista principale, con Stern in sottofondo. Anche quello è blues.Avendo John nella band, cominciai a suonare più blues; Mikeera molto più orientato verso il rock. Il blues riguardava Scofield,che però aveva anche a un ottimo tocco jazzistico, così mi tro-vavo molto bene a suonare il blues con lui». Tutto l’album è for-temente intriso di genuino blues feeling, e nel brano in cui fal’assolo Scofield c’è addirittura una sequenza di accordi chericorda uno dei maestri del blues elettrico, Sam Lightnin’Hopkins.Dopo qualche mese, Miles Davis rinuncerà a Stern per tenereScofield come unico chitarrista, affiancandogli Bobby Irving alletastiere...

...«Lavorare con Miles Davis aiuta in molte direzioni. Devo pre-mettere che seguo il suo lavoro da sempre, sono cresciutoascoltando la sua musica. E’ stata la mia maggiore influenzamolto prima che lo conoscessi e, ovviamente, avere la possibi-lità di suonare con un Maestro che hai sempre ascoltato eammirato è doppiamente stimolante. Stare accanto a lui, suo-nare con lui, è una grande esperienza: puoi vedere direttamen-te come mette insieme il suo mosaico sonoro, come organizzail suo gruppo, i suoi assoli, puoi comprendere meglio il suomodo di pensare, il suo atteggiamento musicale. Ad essere sin-cero, quest’esperienza per me è stata fondamentale»..

...Altro luogo comune da sfatare è quello sulla presunta scontro-sità caratteriale di Miles Davis: «Non è poi così difficile suonarecon Miles. Lui è un grande artista e con i grossi calibri, se haitalento, è tutto molto più facile. Lui è davvero esigente, richiede

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molto ai musicisti del suo gruppo, vuole il meglio, ma capiscebene i problemi che può avere un musicista, problemi che anchelui ha avuto in passato. Miles è molto comprensivo e socievole,simpatico con noi della band. E se anche tu gli vai a genio, sedimostri d’esser onesto, ti tratta molto bene, considera e rispet-ta il tuo lavoro. Con me è sempre stato gentile, mi ha trattato conmolto calore. Lo so, girano molte storie negative su Davis, sulsuo comportamento nei confronti dei suoi musicisti ma io, fino-ra, non ho constatato nulla di tutto questo; il nostro rapporto pro-segue nel migliore dei modi, tutto è molto semplice»...

...Thanks Again, blues lento costruito sullo stesso giro armonicodi That’s Right, brano presente invece sul davisiano «Decoy»(Columbia 1984), ricco di quelle tipiche e suggestive sospensio-ni che gli sono valse la stima di Miles. C’è inoltre la mano di GilEvans (e si sente!): aiutato da un clima di grande intensità poe-tica, anche Miles Davis suona qui come raramente aveva fattoin altre incisioni di quegli anni, infilando chorus di rara bellezza,con tutta la forza e la pienezza della sua voce trombettistica,ancora inimitabile. Ma l’apporto del chitarrista bianco è rilevantein tutta la seconda facciata dell’album. Anche What It Is e That’sWhat Happened infatti, con il loro ritmo incalzante, portano ilmarchio inconfondibile di Scofield, che firma entrambi i brani,registrati dal vivo al Festival di Montreal, insieme al trombetti-sta. Nel successivo «You’re Under Arrest» (Columbia 1985)invece, album più vicino alla fusion del precedente, il chitarristasigla come compositore soltanto il funky serrato e coinvolgenteche gli dà il titolo, lasciando il posto in qualche brano ad uno deisuoi primi idoli giovanili e principali ispiratori, l’inglese JohnMcLaughlin, tornato dopo molti anni ma solo per quest’incisio-ne a fianco di Miles...

...In un’intervista rilasciata nel maggio 1991 al mensile JazzMagazine, il chitarrista rivela: «Miles cominciava quasi sempretutte le registrazioni da solo. E’ successo lo stesso anche per

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What It Is. Noi lo seguivamo suonando secondo le sue indica-zioni. Un giorno ci fece fare una decina di registrazioni con unfeeling di blues lento. Tutto materiale che non è mai stato inse-rito nel disco. Miles ci aveva fatto lavorare su accordi di passag-gio, da do a fa settima, poi un piccolo ponte da mi a sol settima.Avevamo provato per più di due ore. Io, Miles e BranfordMarsalis ci alternavamo sia negli assoli che nell’esposizionetematica. Quella sera, senza dirci nulla, diede quindi il nastro aGil Evans, chiedendogli di riascoltare alcuni miei passaggi di chi-tarra. Il giorno dopo Gil arrivò in studio con delle nuove partitu-re. Stentammo a riconoscere la musica che – ce lo confermò luistesso – era quella suonata la sera prima sul feeling di bluesindicatoci da Miles»...

...Che Davis apprezzasse molto le qualità di Scofield è dimo-strato dallo spazio solistico accordato alla sua chitarra, maggio-re di quello di tutti gli altri componenti del gruppo, anche dell’al-lora più famoso Bob Berg. Chi abbia ascoltato soltanto alcuni deinumerosi concerti dati in Europa da quella prodigiosa formazio-ne, potrà confermarlo... «Con Miles ogni sera è diverso e lo spa-zio solistico che distribuisce fra i musicisti cambia continua-mente. Spesso anche lui suona poco e lascia molto spazio aglialtri, oppure tiene tutti a riposo e suona moltissimo… Miles èfatto così, non c’è mai nulla di preordinato nella sua musica edè per questo che suona sempre nuova e fragrante. E’ una que-stione di sensibilità e di desiderio. A volte ama ascoltare il suonodel sassofono e lascia molto spazio a quello strumento. Questonon ha nulla a che vedere con la stima che nutre verso gli altrisuoi musicisti; se suonano nel suo gruppo, significa che liapprezza…»...

...L’intervista, successiva alla pubblicazione del disco «A Go Go»(Verve 1998), non può non chiudersi nel ricordo di Miles. Gliviene chiesto se esista ancora nella musica afroamericana unpersonaggio simbolo come lo è stato Davis, capace di travalica-

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re lo stretto ambito del jazz, e se il jazz ne abbia ancora real-mente bisogno. Risponde Scofield: «Non credo. InnanzituttoMiles è rimasto un simbolo anche dopo esser morto. E’ ancoraun grosso punto di riferimento. Era una combinazione specialedi vari elementi: era anche una star, aveva un certo modo di rap-portarsi col pubblico e di avere successo con ogni platea. Nonsono d’accordo però con chi dice che senza di lui il jazz va dis-solvendosi. Miles rimane fondamentale, ma oggi per fortuna cisono anche altre cose importanti»... �

Claudio Donà

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John Scofield con Miles Davis a Umbria Jazz, Terni 1984 (ph. archivio Claudio Donà)

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A chiusura di questo breve intervento sul rapporto tra Davis e Scofield,

voglio riproporre degli estratti da mie due interviste fatte in epoche diver-

se al chitarrista di Dayton e riportate integralmente nel libro già citato.

1994 (prima intervista)

... Che esperienza ti è rimasta dei tre anni passati con Miles Davis?

«Miles mi ha soprattutto aiutato ad essere me stesso. Lui incoraggiava

tutti i suoi musicisti a scavare nella propria personalità. Lavorare con

Davis, a livelli sempre così alti, era faticoso ma stimolante. Ti faceva subi-

to capire se stavi sbagliando o che qualcosa non andava; alla fine bastava

un suo sguardo. Era molto esigente, ma da lui si accettavano quei rim-

proveri che non si sarebbero tollerati da nessun altro musicista»...

2000 (seconda intervista)

...Immagino che ancor oggi tutti ti chiedano dei tre anni passati a fianco di

Davis. C’è qualcos’altro di nuovo e curioso, magari di inedito, da raccon-

tare? Cosa puoi dirci sulla sua fama di usurpatore di brani musicali? Molti

hanno affermato che spesso si appropriava di alcune idee melodiche dei

suoi musicisti per ricavarne benefici sul piano editoriale.

«No, non posso dire niente di tutto ciò. Con me anzi è stato sempre molto

corretto. L’ho incontrato la prima volta in occasione del disco «Star

People». Mi invitò a casa sua, dove c’era anche Gil Evans. Quando arrivai,

Miles disse d’aver trovato una bella sequenza di accordi su un giro di

blues e chiese a Gil di completarli con una linea di basso. Si sedettero fian-

co a fianco, sullo stesso pianoforte, Miles a suonare gli accordi, Gil ad

accompagnare usando le note più basse. Ad un certo punto mi chiesero

di improvvisare con la chitarra e non me lo feci ripetere due volte. Quella

session “casalinga” venne interamente registrata e da quelle mie improv-

visazioni, trascritte in parte da Gil, nacque It Gets Better, uno dei brani

migliori del disco. Dopo molti anni sono finalmente riuscito ad avere una

copia di quel nastro, per niente professionale – si tratta in verità d’una

semplice cassetta – grazie al figlio di Gil, che l’aveva recuperata. E’ suc-

cessa una cosa analoga con la canzone di un celebre gruppo pop dell’e-

poca, che aveva un ritornello semplice ma efficace. A Miles piaceva molto

e la suonammo per un intero pomeriggio a casa sua…».

John Scofield & Miles Davis

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di Geoff Dyer (*)

Sembra quasi una seduta spiritica,Bud. Ci sono le luci basse e le can-dele accese, molte tue foto dispo-ste ad altarino sulla scrivania, mentre "The Glass Enclosure"suona a basso volume sullo stereo. Sono qui, in questo appar-tamento della 3a Strada, Bud, e cerco di raggiungerti attraversola tua musica. Con tutti gli altri - con Pres, Mingus e Monk - lamusica è una traccia: la seguo e alla fine mi porta sempre daloro, così vicino che posso vederli muovere, sentirli parlare. Conte è diverso. La tua musica ti racchiude ermeticamente, isolan-doti da me. E' lo stesso con le fotografie: i tuoi occhi, quasi fos-sero occhiali da sole, celano quel che c'è dietro. Non sei tu aesser tagliato fuori dal mondo, è piuttosto il mondo che non rie-sce ad accostarsi a te. Anche quando sei tranquillo, il tuo è losguardo di un uomo che sorveglia qualcosa, come un contadinoripreso accanto allo steccato della sua proprietà. 0 come in que-sta foto, che ti ritrae con Buttercup e Johnny davanti al sanato-rio dove ti hanno curato la TBC. Come tutte le tue fotografie, èstata scattata ai margini, sul limitare di una stagione. Una piog-gia leggera cade attraverso alberi assenti. Il tuo ìmpermeabile èabbottonato fino al collo, il berretto è abbassato sulla fronte, aripararti gli occhi; Buttercup ha una borsetta in mano e un fou-lard legato sotto il mento. Tutti e tre avete l'aria di una famigliapovera sorpresa dal maltempo, durante una vacanza troppo carae piena di imprevisti. Tu sei uno di quelli che non si mettono inposa per una foto, tu ti blocchi, come se la fissità dell'immaginedipendesse dalla tua stessa immobilità, come se la fotografiavenisse meglio quanto più riesci a star fermo.

In ricordo di Gianni BorGo

BudoHallucinations

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Le tue foto al piano sono una cosadiversa: come questa, scattata alBirdland, una delle serate in cuiavresti potuto surclassare chiun-que sul palco, Bird, Dizzy o chic-chessia. Un chorus dopo l'altro,scuoti le spalle segnando il tempo,gli occhi chiusi, una vena ti pulsasulla tempia, il sudore piove sullatastiera, le labbra contratte a sco-prire i denti, la mano destra danzae ribolle come acqua tra le rocce, ilpiede batte un ritmo sempre piùforte via via che i movimenti delle

dita si fanno più complicati, le melodie sbocciano e appassisco-no come fiori, l'impeto sembra non doversi mai attenuare, mapoi si ingentilisce senza sforzo in una ballad, con i tasti che siprotendono verso di te, fanno a gara per ricevere il tuo tocco,quasi che il piano avesse atteso cent'anni quest'occasione persentirsi come un sax o come una tromba fra le mani di un negro.Tra un pezzo e l'altro ringhi contro il pubblico. E ovunque tuvada, senti sussurrare il tuo nome: Bud Powell, Bud Powell. La musica non ti ha preso niente. E' stata la vita a fare manbassa. La musica è quel che hai avuto in cambio, ma non eraabbastanza, neppur lontanamente. �

(*)Per gentile concessione di Instar Libri, Torino.

Titolo originale: But Beautiful (London Jonathan Cape, 1991)

Traduzione dall’inglese: Riccardo Brazzale / Chiara Carraro

Questa prima parte dello scritto di Geoff Dyer su Bud Powell è qui riprodotta in ricor-

do di Gianni Borgo, il giovane fondatore e direttore dalla Instar Libri di Torino,

scomparso improvvisamente a Londra poche settimane fa, a soli quarantadue anni.

La fortunata avventura della Instar Libri era iniziata proprio con queste “storie di jazz”.

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Informazioni

Biglietti/Tickets:Teatro OlimpicoGradinata intero/Tiers full price: L. 40.000 Euro 20,66Gradinata ridotto/Tiers reduced price: L. 35.000 Euro 18,07Platea intero/Stalls full price: L. 30.000 Euro 15,49Platea ridotto/Stalls reduced price: L. 25.000 Euro 12,91Sala Palladio, Fiera di VicenzaIntero/Full price: L. 30.000 Euro 15,49Ridotto/Reduced price: L. 25.000 Euro 12,91Teatro AstraIntero/Full price: L. 20.000 Euro 10,32Ridotto/Reduced price: L. 15.000 Euro 7,75Basilica PalladianaBiglietto unico/Price: L. 10.000 Euro 5,16comprensivo della visita alle mostre “Novecento nascosto” e “Italo Valenti”Abbonamenti (solo per i concerti al/only for Teatro Olimpico)Gradinata intero/Tiers full price: L. 120.000 Euro 61,97Gradinata ridotto/Tiers reduced price: L. 105.000 Euro 54,23Platea intero/Stalls full price: L. 90.000 Euro 46,48Platea ridotto/Stalls reduced price: L. 75.000 Euro 38,73(diritto di prevendita/advance sale fee: 10%)

BOX OFFICE: Sportello VIARTE c/o Teatro Olimpico - E-mail: [email protected] - http://www.viarte.comingresso Stradella del Teatro Olimpico (tel. 0444.222801)Campagna abbonamenti/season tickets advance sale: dal 3 al 28 aprile/April, 3-28. Prevendita bigliet-ti interi e ridotti/Full and reduced price tickets advance sale: dal 2 maggio/from May 2 dal martedì alsabato/from Tuesday to Saturday. Orario/Opening hours: 9.30-12, 14.30-17 (lunedì chiuso, salvo neigiorni di spettacolo /closed on Mondays except on performance days) Riduzioni: militari e giovani finoai 25 anni, Carta 60, Cral e associazioni culturali (tessera personale anno in corso)BOX OFFICE: Sportelli CARIVERONA BANCA SpaPrevendita biglietti interi/Full price tickets advance sale: dal 3 aprile/from April 3 dal lunedì alvenerdì/from Monday to Friday. Orario/Opening hours: 8.30-13.20, 14.35-16.05

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PUNTI VENDITA COLLEGATI A CARIVERONA:

BOX OFFICE . . . . . . . . . . . . . . .Via del Pontiere, 27/a - VeronaVERONA POINT . . . . . . . . . .Via Cristofoli, 22 - VeronaVALPANTENA VIAGGI . . .Piazza Bra, 20 - VeronaMONTEBALDO VIAGGI . .Via della Libertà, 10 - Garda (VR)ALTREVIE . . . . . . . . . . . . . . . . . .Via XX settembre, 17 - VeronaPORTOBELLO VIAGGI . . .Piazzetta Beccherie, 3 - Lazise (VR)LIMTOURS . . . . . . . . . . . . . . . .Via Comboni, 42 - Limone sul Garda (BS)FABRETTO VIAGGI . . . . . .Corso Porta Nuova, 11/F - VeronaFS VERONA . . . . . . . . . . . . . . .Biglietteria Stazione di VeronaFS PADOVA . . . . . . . . . . . . . . .Biglietteria Stazione di Padova

CARIVERONA CONNECTED SALE POINTS:

FS BOLZANO . . . . . . . . . . . . .Biglietteria Stazione di BolzanoFS MILANO . . . . . . . . . . . . . . .Biglietteria Stazione di MilanoHPT VIAGGI . . . . . . . . . . . . . . .Lungadige Rubele, 36/38 - VeronaLAGOTOURIST . . . . . . . . . . .Piazza della Chiesa, 20 - Garda (VR)AMON VIAGGI . . . . . . . . . . .Viale delle Terme, 145 - Abano Terme (PD)CREATIVE TOURS . . . . . . .Piazza Bertarelli, 1 - MilanoTEATRO E VIAGGI . . . . . . .C.so Porta Romana, 65 - MilanoCIT VIAGGI . . . . . . . . . . . . . . . .Piazza Bra, 2 - VeronaBENACUS TRAVEL . . . . . .Viale Rovereto, 47/49SERVICE Riva del Garda (TN)

L’assegnazione dei posti numerati agli sportelli Cariverona Banca Spa avverrà secondo il criterio delmiglior posto disponibile al momento della prenotazione/Assigned seating at Cariverona Banca Spa andat the connected sale points is based on preconceived schemes. Choice of seating is not available.

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Il valzer dei ricordi di Mario Bagnara

Il piacere di giocare per la squadra di Matteo Quero

La responsabilità e l’attesa di Luca Trivellato

Programma generale

Domenica 20 maggio

Lunedì 21 maggio

Martedì 22 maggio

Mercoledì 23 maggio

Giovedì 24 maggio

Venerdì 25 maggio

Sabato 26 maggio

Domenica 27 maggio

Elogio degli italiani d’America di Riccardo Brazzale

“Sketches Of Spain” di Aldo Gianolio

Women in Jazz di Mitchell Feldman

Donne nel jazz (trad. di Loretta Simoni)

John Scofield e Miles Davis di Claudio Donà

Budo. Hallucinations da Geoff Dyer

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COMUNE DI VICENZA

sindaco / mayor

ASSESSORATO AI SERVIZI CULTURALIdepartment of cultural servicesassessore / councillor

NEW CONVERSATIONSVICENZA JAZZ 2001

direzione artistica / artistic direction

coordinamento organizzativo organizational coordination

segreteria artistica / artistic secretariat

ufficio festival / festival officetel.faxe-mailhttp

direttore / general manager

relazioni esterne / public relations

allestimenti / logistics

amministrazione / administration

segreteria / secretariat

ufficio stampa / press offfice

fotografo ufficiale / official photographer

enrico hüllweck

mario bagnara

riccardo brazzale

viarte di matteo quero

sounds from the world di mario guidi

palazzo del territorio - levà degli angeli, 11 - 36100 vicenza0444-222101-222133-222125

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bruno lucatello

loretta simoni

carlo gentilin, patrizia lorigiola, riccardo ferlito

annalisa mosele

margherita bonetto, sabrina cecchetto

roberto valentino

roberto masotti

ColoPhon

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ColoPhon

sponsor ufficiali / official sponsors

pianoforti e strumenti musicali

pianos and musical instruments

progetto grafico / graphic project

stampa / print

hotel ufficiale / official hotel

ristoranti ufficiali / official restaurants

i ristoranti del jazz / jazz restaurants

trivellato mercedes benz - vicenza

ministero per i beni e le attività culturali

regione veneto

(in coproduzione / in co-production)

lufthansa

veneto banca

a.i.m.

viarte

ognipratica

avit

jolly hotel tiepolo

jacolino vicenza

pega-sound malo (vi)

le soprano bergamo

graziano ramina

gr. grafiche vigardolo (vi)

jolly hotel tiepolo - vicenza

ristorante le muse-jolly hotel tiepolo

la cantinota

cinzia & valerio

zì teresa: Bracco e i Giaguari25, 26, 27 maggio - ore 21

al pestello: Francesco Carta TrioFrancesco Carta, pianoRoberto Caon, contrabbassoRenato Peppoloni, batteria

26, 27 maggio - ore 1324, 25, 26, 27 maggio - ore 21

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