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Cronache il Giornale Domenica 24 febbraio 2008 17 Nell’azienda del tubo che ha «fabbricato» Lady Confindustria Così parlò papà Steno, l’uomo che voleva farsi papa, re o duce: «Uso il nasometro» Il sequestro in Aspromonte, le zanzare domate e gli affari «con l’amico Franco» MARCEGAGLIA DYNASTY L a solenne investitura s’av- vicina: 13 marzo. «Spera- vo di arrivare alla succes- sione senza liti e invece c’è una contrapposizione fortissi- ma. Tra Emma e... Marcega- glia. Vinca il migliore», ha scherzato Luca Cordero di Montezemolo. L’articolo deter- minativo al maschile ben si ad- dice a Emma Marcegaglia, pri- ma donna in 98 anni di storia destinata a guidare gli impren- ditori italiani. Per capire di che pasta - meglio: di che lega - sia fatta la candidata unica alla presidenza della Confin- dustria, bisogna aver cono- sciuto il padre Steno, «indu- striale del tubo», come ama definirsi, e visitato Gazoldo de- gli Ippoliti, nel Mantovano, do- ve tutto, a cominciare dalla se- gnaletica, ruota attorno al ma- gnate della siderurgia: indica- zione Marcegaglia grande co- me quella di Milano al casello di Melegnano dell’Autosole, 14 corsie sulla strada che con- duce allo stabilimento, dispor- si su due file, zincato lucido (tre frecce), zincato nero (due frecce), materiale decapato, autovetture a sinistra, autotre- ni a destra... La prima volta che ci arri- vai, 15 anni fa, era una tren- tenne rampante fresca di lau- rea alla Bocconi, master in bu- siness administration alla New York University e tiroci- nio d’umiltà come cameriera a Londra. Amministrava già la Marcegaglia Spa insieme al fratello Antonio e alla madre Palmira Bazzani, proclamata di lì a poco seconda donna più ricca d’Italia con 12 miliardi di lire di reddito. Emma la voli- tiva (i Giovani di Confindu- stria, dei quali è stata la presi- dente, l’avevano soprannomi- nata Black & Decker) non era ancora apparsa nella gratifi- cante classifica stilata da Cesa- re Lanza nel libro Pillole di Ve- nere: le seste gambe più belle d’Italia, dopo quelle di Simona Ventura, Alessia Marcuzzi, Pa- ola Barale, Martina Colomba- ri e Marta Flavi. Sull’impero regnava, allora come oggi, lui, papà Steno, che nella hall della palazzina uffici esibiva un motorino Guz- zi rosso fuoco, tirato a lucido, col sellino logorato dai propri glutei in anni lontani. «Le pre- sento mia figlia». Emma vive- va ancora in casa con i suoi, indossava un tailleur con gon- na fino al ginocchio e non ave- va bisogno degli occhiali sen- za montatura che ingentilisco- no il volto degli intellettuali. «Intendiamoci, meglio una persona istruita che una igno- rante», dichiarò subito una cordiale avversione per i pro- fessorini Steno Marcegaglia. «Ma la cultura è soltanto un moltiplicatore. Se nasci asino e studi tanto, tutt’al più diven- ti un asino colto. Zero per tre dà sempre zero. Io nelle assun- zioni non bado al curriculum: mi regolo col nasometro. Che siano portinai, commessi, ope- rai, impiegati o dirigenti, vo- glio prima vederli in faccia. E ascolto il parere del capo del personale, che non è andato oltre la quinta elementare ma ha un nasometro infallibile quanto il mio». Con questo metodo Marcega- glia ha costruito il gruppo di cui è proprietario al 100% uni- tamente ai familiari, leader eu- ropeo nella trasformazione dell’acciaio in tubi, profilati, trafilati, pannelli, coils, nastri e lamiere: 6.500 dipendenti, 4 miliardi di euro di fatturato, 47 stabilimenti, 5 milioni di tonnellate d’acciaio lavorate ogni anno, 5.000 chilometri di tubi da 4,76 millimetri fino a due metri di diametro prodotti ogni giorno, quanto basta per coprire in una settimana la cir- conferenza della Terra. «Il mondo è un unico, immenso tubo. Si guardi attorno: oleo- dotti, condotte d’acqua, pon- teggi, tralicci, pali, guar- drail... Tubi di scappamento, tubi catodici, tubi digerenti. Tubi ovunque. Tutti tubi». Un impero del quale sono entrate via via a far parte aziende im- piantistiche, elettroniche, ter- motecniche, tessili, biotecnolo- giche, estrattive, agricole, ad- dirittura due fabbriche di sco- pe («un articolo evocativo, al- la mia età», sorrise malandri- no) e che con Marcegaglia tou- rism ha allargato i suoi confini alle mete vacanziere più esclu- sive: l’isola di Albarella nel parco naturale del Delta del Po, capitale mondiale delle zanzare bonificata e trasfor- mata in una paradisiaca oasi di 528 ettari dalla figlia Em- ma; Pugnochiuso nel Garga- no; il lussuoso Forte Village co- struito dal ciociaro lord Char- les Forte a Santa Margherita di Pula, in Sardegna; il resort Le Tonnare a Stintino, la locali- tà di vacanza prediletta di En- rico Berlinguer, che vi aveva promosso all’età di 8 anni la sua prima manifestazione di protesta, guadagnandosi l’iro- nico riconoscimento di Indro Montanelli: «Un Mozart della rivolta sociale». L’impressione che ebbi quel- la mattina del 1993 fu che i Marcegaglia si dedicassero, più che a far soldi con i tubi, a far soldi con i soldi. Impressio- ne confermata da una confi- denza che la candidata alla presidenza della Confindu- stria fece a Denise Pardo, in- viata dell’Espresso, cinque an- ni dopo: «Quando siamo tutti a Gazoldo, la mattina alle 8, bevendo caffè e sgranocchian- do fette biscottate, discutiamo davanti a uno yogurt se investi- re a Ravenna 100 miliardi e in Brasile altri 150». Erano le 9, non vidi in giro vasetti di Yo- mo, però la giovane Emma e il fratello Antonio saltabeccava- no da un terminale all’altro di un ufficio dove si contavano più computer che in una reda- zione di giornale, uno per ogni Borsa del pianeta. I due fratel- li compravano e vendevano, vendevano e compravano. Da soli. A sorvegliarli, appeso al- la parete, un Cristo con le sem- bianze del Gesù di Zeffirelli. Le buone azioni. La speciali- tà di Steno Marcegaglia. «Ho il vizio di rischiare», ammise. A quell’epoca già determinava, da solo, il 3% dei movimenti quotidiani alla Borsa di Mila- no. Per non parlare delle epi- che scorribande «col mio ami- co Franco» nei momenti di cri- si internazionale. Come alla caduta di Gorbaciov, quando il franco svizzero, che quotava 850 lire, schizzò a 875. Quel 19 agosto del 1991 vendette al- le banche moneta elvetica per un controvalore di 200 miliar- di di lire, seduto sui gradini delle terme di Montepulciano, col cellulare incollato all’orec- chio. Passate 72 ore il golpe in Urss era fallito e il franco sviz- zero ridisceso. Ricomprò quanto aveva venduto, guada- gnandoci 5 miliardi di lire. Operazioni che chiunque pote- va fare, a sentir lui. «La diffe- renza fra me e gli altri è che io non ho paura e gli altri sì». Un coraggio da leone. Il suo animale preferito. Nello stu- dio ne esponeva 98, di leoni: in ottone, in peltro, in marmo, in giada, in ceramica, in pelu- che, in legno, in cristallo, gran- di, medi, piccoli, schierati die- tro la scrivania, in agguato fra i libri, accovacciati sulla mo- quette. Del re della foresta Marcegaglia ha la criniera ri- belle e il segno zodiacale. È na- to nel 1930, il 9 agosto - come Romano Prodi, teste dure - in provincia di Verona, a San Gio- vanni Ilarione, toponimo che ha avuto riflessi sul carattere, amabilmente estroverso. Quando al piccolo Steno chie- devano che cosa desiderasse fare da grande, rispondeva si- curo: «Il papa, il re o il duce». Nel 1936 il padre Antonio, fa- legname, andò a cercar fortu- na in Eritrea. Il ragazzo fu am- messo a frequentare il colle- gio della Gioventù italiana del Littorio a Torino. «Seleziona- va gli studenti più meritevoli». Al paesello lo avevano ribat- tezzato «il matematico», per- ché già a 6 anni s’era costruito un abaco mentale. «Lei mi chieda 15 per 18. Io associo il 18 a 20 meno il 10%. Quindi: 15 per 20 fa 300, meno il 10% uguale 270. Semplice. Ancora adesso faccio i conti a mano». La sua preferenza per i nume- ri sconfina nella superstizio- ne. Adora il tre e i multipli di tre e le sue auto devono sem- pre avere la targa divisibile per tre, altrimenti rinuncia a farle immatricolare. Facendo ricorso a un avver- bio rivelatore, L’Espresso ha scritto nel primo numero del 2008 che Emma Marcegaglia intrattiene rapporti «addirittu- ra ottimi con Massimo D’Ale- ma», per il quale «ha da sem- pre un debole». Anche qui c’entra la genetica: il primo po- sto di lavoro del padre, nel do- poguerra, fu all’Alleanza con- tadini della Cgil del comunista Giuseppe Di Vittorio. Difende- va i mezzadri nelle vertenze con i proprietari terrieri da- vanti alle sezioni agrarie del tribunale. Trenta cause la set- timana, quasi tutte vinte. Nel 1959 smise i panni del sindacalista per provare come si stava dall’altra parte della barricata. Rilevò una piccola fabbrica di guide per tapparel- le. Tre apprendisti in un bugi- gattolo di quattro metri per 12. Più che uno stabilimento, un corridoio. I concorrenti di Lecco lo definivano sprezzan- temente «lo zappaterra». Lo- ro s’indebitavano per farsi la barca, lui si dissanguava per acquistare il suo primo lami- natoio. «Dopo cena andavo a rimirarmelo. All’osteria dice- vano che avevo tre figli: Anto- nio, Emma e Mino, il laminato- io. I lecchesi, con la loro boria, producevano 100 tonnellate al mese, io 4.000. Li ho annien- tati». Così ebbe inizio l’era tu- bolare. Quel giorno, per venirmi in- contro, sbucò da una doppia porta blindata che subito si ri- chiuse alle sue spalle. «Acci- denti, e adesso come facciamo a entrare nel mio ufficio?». La segretaria accorse con le chia- vi di scorta. Viveva dentro una cassaforte, come Paperone. Precauzione minima dopo quello che gli era capitato. «Il 15 ottobre 1982 uscivo dal mio stabilimento di Napoli. Mi hanno preso, legato, incappuc- ciato. Il primo pensiero è sta- to: non devo rompermi una gamba. Gli ostaggi che non camminano sono già morti. Per 52 giorni nelle mani della ’ndrangheta, al buio. Mi sem- brava sconveniente chiedere a Dio di salvarmi la vita. Però lo pregavo di guidare la mia mente: Signore, fammi escogi- tare un buon sistema di fuga. Forse nemmeno Lui si ricorda- va che dall’Aspromonte non si può scappare. Due minuti do- po che avevo tagliato la corda, c’erano fuochi accesi su tutta la montagna. Quelli sono co- me gli indiani, usano i segnali di fumo. Mi hanno riacciuffato subito. A liberarmi è stato un commissario di polizia con l’hobby della caccia. È sceso con l’elicottero vicino a un la- ghetto per cercare le anatre. Ha trovato me. Nella banda c’erano due miei dipendenti, li avevo riconosciuti dalla voce. Assolti al processo. Non sono più tornato a Napoli». Un anno e mezzo prima che lo conoscessi, l’imprenditore abitava ancora nella casetta che s’era costruito con i rispar- mi iniziali. «Avevamo un ba- gno solo. Per non perdere tem- po, la mattina eravamo co- stretti a usarlo in accoppiata: io con Antonio, mia moglie con Emma». Poi si sono presi la rivincita acquistando e ri- strutturando il Palazzo Preto- rio degli Ippoliti, i signori di Gazoldo, un edificio del 1500 con 76 stanze. Lì di bagni ne hanno addirittura 20. Quello padronale è dotato di moni- tor: il capofamiglia tiene l’oc- chio sui listini di Borsa anche mentre si rade all’alba. Ci vogliono nervi d’acciaio - la lega con le migliori caratte- ristiche di resistenza, elastici- tà e durezza - per fare un me- stiere così. Il padre li ha. La figlia li ha ereditati. Del resto The Economist aveva vaticina- to fin dal 1996, scrivendo di Emma Marcegaglia: «Dipen- de dalla genetica il futuro del- l’industria italiana». Anche della Confindustria. [email protected] Leader in Europa nella lavorazione dell’acciaio, prima donna candidata a guidare gli imprenditori Una casa con 76 stanze e 20 bagni «Ma in passato al mattino facevamo i turni per lavarci» STEFANO LORENZETTO Emma Marcegaglia parla durante un’assemblea di Confindustria. Ha presieduto dal 1996 al 2000 i Giovani industriali, che l’avevano soprannominata Black & Decker per la sua determinazione Steno Marcegaglia, 77 anni, fondatore del gruppo che conta 47 stabilimenti, fattura 4 miliardi di euro l’anno e controlla anche l’isola di Albarella, il Forte Village, Pugnochiuso e Le Tonnare IL DOPO MONTEZEMOLO

MARCEGAGLIA DYNASTY domateegliaffari«conl’amicoFranco» · MARCEGAGLIA DYNASTY domateegliaffari«conl’amicoFranco» ... glia ha costruito il gruppo di cuièproprietarioal100%uni-tamenteaifamiliari,leadereu-ropeo

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Page 1: MARCEGAGLIA DYNASTY domateegliaffari«conl’amicoFranco» · MARCEGAGLIA DYNASTY domateegliaffari«conl’amicoFranco» ... glia ha costruito il gruppo di cuièproprietarioal100%uni-tamenteaifamiliari,leadereu-ropeo

Cronacheil Giornale � Domenica 24 febbraio 2008 17

Nell’azienda del tubocheha«fabbricato»LadyConfindustria

CosìparlòpapàSteno, l’uomochevolevafarsipapa,reoduce:«Uso ilnasometro»Il sequestro inAspromonte, lezanzare

domateegliaffari«conl’amicoFranco»

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La solenne investitura s’av-vicina: 13 marzo. «Spera-vo di arrivare alla succes-

sione senza liti e invece c’èuna contrapposizione fortissi-ma. Tra Emma e... Marcega-glia. Vinca il migliore», hascherzato Luca Cordero diMontezemolo. L’articolo deter-minativo al maschile ben si ad-dice a Emma Marcegaglia, pri-ma donna in 98 anni di storiadestinataa guidare gli impren-ditori italiani. Per capire diche pasta - meglio: di che lega- sia fatta la candidata unicaalla presidenza della Confin-dustria, bisogna aver cono-sciuto il padre Steno, «indu-striale del tubo», come amadefinirsi, e visitato Gazoldo de-gli Ippoliti, nel Mantovano, do-ve tutto, a cominciare dalla se-gnaletica, ruota attorno al ma-gnate della siderurgia: indica-zione Marcegaglia grande co-me quella di Milano al casellodi Melegnano dell’Autosole,14 corsie sulla strada che con-duce allo stabilimento, dispor-si su due file, zincato lucido(tre frecce), zincato nero (duefrecce), materiale decapato,autovetturea sinistra, autotre-ni a destra...

La prima volta che ci arri-vai, 15 anni fa, era una tren-tenne rampante fresca di lau-rea alla Bocconi, master in bu-siness administration allaNew York University e tiroci-nio d’umiltà come camerieraa Londra. Amministrava già laMarcegaglia Spa insieme alfratello Antonio e alla madrePalmira Bazzani, proclamatadi lì a poco seconda donna piùricca d’Italia con 12 miliardidi lire di reddito. Emma la voli-tiva (i Giovani di Confindu-stria, dei quali è stata la presi-dente, l’avevano soprannomi-nata Black & Decker) non eraancora apparsa nella gratifi-canteclassifica stilata da Cesa-re Lanza nel libro Pillole di Ve-nere: le seste gambe più belled’Italia, dopo quelle di SimonaVentura, Alessia Marcuzzi, Pa-ola Barale, Martina Colomba-ri e Marta Flavi.

Sull’impero regnava, alloracome oggi, lui, papà Steno,che nella hall della palazzinauffici esibiva un motorino Guz-zi rosso fuoco, tirato a lucido,col sellino logorato dai propriglutei in anni lontani. «Le pre-sento mia figlia». Emma vive-va ancora in casa con i suoi,indossava un tailleur con gon-na fino al ginocchio e non ave-va bisogno degli occhiali sen-za montatura che ingentilisco-no il volto degli intellettuali.«Intendiamoci, meglio unapersona istruita che una igno-rante», dichiarò subito unacordiale avversione per i pro-fessorini Steno Marcegaglia.«Ma la cultura è soltanto unmoltiplicatore. Se nasci asinoe studi tanto, tutt’al più diven-ti un asino colto. Zero per tredà sempre zero. Io nelle assun-zioni non bado al curriculum:mi regolo col nasometro. Chesiano portinai, commessi, ope-rai, impiegati o dirigenti, vo-glio prima vederli in faccia. Eascolto il parere del capo delpersonale, che non è andatooltre la quinta elementare maha un nasometro infallibilequanto il mio».

ConquestometodoMarcega-glia ha costruito il gruppo dicui è proprietario al 100% uni-tamenteai familiari, leader eu-ropeo nella trasformazione

dell’acciaio in tubi, profilati,trafilati, pannelli, coils, nastrie lamiere: 6.500 dipendenti, 4miliardi di euro di fatturato,47 stabilimenti, 5 milioni ditonnellate d’acciaio lavorateogni anno, 5.000 chilometri ditubi da 4,76 millimetri fino adue metri di diametro prodottiogni giorno, quanto basta percoprire in una settimana la cir-conferenza della Terra. «Ilmondo è un unico, immensotubo. Si guardi attorno: oleo-dotti, condotte d’acqua, pon-teggi, tralicci, pali, guar-drail... Tubi di scappamento,tubi catodici, tubi digerenti.Tubi ovunque. Tutti tubi». Unimpero del quale sono entratevia via a far parte aziende im-piantistiche, elettroniche, ter-motecniche, tessili, biotecnolo-giche, estrattive, agricole, ad-dirittura due fabbriche di sco-pe («un articolo evocativo, al-la mia età», sorrise malandri-no) e che con Marcegaglia tou-rism ha allargato i suoi confinialle mete vacanziere più esclu-sive: l’isola di Albarella nelparco naturale del Delta delPo, capitale mondiale dellezanzare bonificata e trasfor-mata in una paradisiaca oasidi 528 ettari dalla figlia Em-ma; Pugnochiuso nel Garga-no; il lussuoso Forte Village co-struito dal ciociaro lord Char-les Forte a Santa Margheritadi Pula, in Sardegna; il resortLe Tonnarea Stintino, la locali-tà di vacanza prediletta di En-rico Berlinguer, che vi avevapromosso all’età di 8 anni lasua prima manifestazione diprotesta, guadagnandosi l’iro-nico riconoscimento di IndroMontanelli: «Un Mozart dellarivolta sociale».

L’impressione che ebbi quel-la mattina del 1993 fu che iMarcegaglia si dedicassero,più che a far soldi con i tubi, afar soldi con i soldi. Impressio-ne confermata da una confi-denza che la candidata allapresidenza della Confindu-stria fece a Denise Pardo, in-viata dell’Espresso, cinque an-ni dopo: «Quando siamo tuttia Gazoldo, la mattina alle 8,bevendo caffè e sgranocchian-

do fette biscottate, discutiamodavantia uno yogurt se investi-re a Ravenna 100 miliardi e inBrasile altri 150». Erano le 9,non vidi in giro vasetti di Yo-mo, però la giovane Emma e ilfratello Antonio saltabeccava-no da un terminale all’altro diun ufficio dove si contavanopiù computer che in una reda-zione di giornale, uno per ogniBorsa del pianeta. I due fratel-li compravano e vendevano,vendevano e compravano. Dasoli. A sorvegliarli, appeso al-la parete, un Cristo con le sem-bianze del Gesù di Zeffirelli.

Le buone azioni. La speciali-tà di Steno Marcegaglia. «Ho ilvizio di rischiare», ammise. Aquell’epoca già determinava,

da solo, il 3% dei movimentiquotidiani alla Borsa di Mila-no. Per non parlare delle epi-che scorribande «col mio ami-co Franco» nei momenti di cri-si internazionale. Come allacaduta di Gorbaciov, quandoil franco svizzero, che quotava850 lire, schizzò a 875. Quel19agosto del 1991 vendetteal-le banche moneta elvetica perun controvalore di 200 miliar-di di lire, seduto sui gradinidelle terme di Montepulciano,col cellulare incollato all’orec-chio. Passate 72 ore il golpe inUrss era fallito e il franco sviz-zero ridisceso. Ricompròquanto aveva venduto, guada-gnandoci 5 miliardi di lire.Operazioni che chiunque pote-

va fare, a sentir lui. «La diffe-renza fra me e gli altri è che ionon ho paura e gli altri sì».

Un coraggio da leone. Il suoanimale preferito. Nello stu-dio ne esponeva 98, di leoni: inottone, in peltro, in marmo, ingiada, in ceramica, in pelu-che, in legno, in cristallo, gran-di, medi, piccoli, schierati die-tro la scrivania, in agguato frai libri, accovacciati sulla mo-quette. Del re della forestaMarcegaglia ha la criniera ri-belle e il segno zodiacale. È na-to nel 1930, il 9 agosto - comeRomano Prodi, teste dure - inprovincia di Verona, a San Gio-vanni Ilarione, toponimo cheha avuto riflessi sul carattere,amabilmente estroverso.Quando al piccolo Steno chie-devano che cosa desiderassefare da grande, rispondeva si-curo: «Il papa, il re o il duce».

Nel1936 il padreAntonio, fa-legname, andò a cercar fortu-na in Eritrea. Il ragazzo fu am-messo a frequentare il colle-gio della Gioventù italiana delLittorio a Torino. «Seleziona-va gli studenti più meritevoli».Al paesello lo avevano ribat-tezzato «il matematico», per-ché già a 6 anni s’era costruitoun abaco mentale. «Lei michieda 15 per 18. Io associo il18 a 20 meno il 10%. Quindi:15 per 20 fa 300, meno il 10%uguale 270. Semplice. Ancoraadesso faccio i conti a mano».La sua preferenza per i nume-ri sconfina nella superstizio-ne. Adora il tre e i multipli ditre e le sue auto devono sem-pre avere la targa divisibileper tre, altrimenti rinuncia afarle immatricolare.

Facendo ricorso a un avver-bio rivelatore, L’Espresso hascritto nel primo numero del2008 che Emma Marcegagliaintrattiene rapporti «addirittu-ra ottimi con Massimo D’Ale-ma», per il quale «ha da sem-pre un debole». Anche quic’entra la genetica: il primo po-sto di lavoro del padre, nel do-poguerra, fu all’Alleanza con-tadini della Cgil del comunistaGiuseppe Di Vittorio. Difende-va i mezzadri nelle vertenzecon i proprietari terrieri da-

vanti alle sezioni agrarie deltribunale. Trenta cause la set-timana, quasi tutte vinte.

Nel 1959 smise i panni delsindacalista per provare comesi stava dall’altra parte dellabarricata. Rilevò una piccolafabbrica di guide per tapparel-le. Tre apprendisti in un bugi-gattolo di quattro metri per12. Più che uno stabilimento,un corridoio. I concorrenti diLecco lo definivano sprezzan-temente «lo zappaterra». Lo-ro s’indebitavano per farsi labarca, lui si dissanguava peracquistare il suo primo lami-natoio. «Dopo cena andavo arimirarmelo. All’osteria dice-vano che avevo tre figli: Anto-nio, Emma e Mino, il laminato-io. I lecchesi, con la loro boria,producevano 100 tonnellateal mese, io4.000. Li ho annien-tati». Così ebbe inizio l’era tu-bolare.

Quel giorno, per venirmi in-contro, sbucò da una doppiaporta blindata che subito si ri-chiuse alle sue spalle. «Acci-denti, e adesso come facciamoa entrare nel mio ufficio?». Lasegretaria accorse con le chia-vi di scorta. Viveva dentro unacassaforte, come Paperone.Precauzione minima dopoquello che gli era capitato. «Il15 ottobre 1982 uscivo dalmio stabilimento di Napoli. Mihannopreso, legato, incappuc-ciato. Il primo pensiero è sta-to: non devo rompermi unagamba. Gli ostaggi che noncamminano sono già morti.Per 52 giorni nelle mani della’ndrangheta, al buio. Mi sem-brava sconveniente chiederea Dio di salvarmi la vita. Peròlo pregavo di guidare la miamente: Signore, fammi escogi-tare un buon sistema di fuga.Forse nemmeno Lui si ricorda-va che dall’Aspromonte non sipuò scappare. Due minuti do-po che avevo tagliato la corda,c’erano fuochi accesi su tuttala montagna. Quelli sono co-me gli indiani, usano i segnalidi fumo. Mi hanno riacciuffatosubito. A liberarmi è stato uncommissario di polizia conl’hobby della caccia. È scesocon l’elicottero vicino a un la-ghetto per cercare le anatre.Ha trovato me. Nella bandac’erano due miei dipendenti, liavevo riconosciuti dalla voce.Assolti al processo. Non sonopiù tornato a Napoli».

Un anno e mezzo prima chelo conoscessi, l’imprenditoreabitava ancora nella casettache s’era costruito con i rispar-mi iniziali. «Avevamo un ba-gno solo. Per non perdere tem-po, la mattina eravamo co-stretti a usarlo in accoppiata:io con Antonio, mia mogliecon Emma». Poi si sono presila rivincita acquistando e ri-strutturando il Palazzo Preto-rio degli Ippoliti, i signori diGazoldo, un edificio del 1500con 76 stanze. Lì di bagni nehanno addirittura 20. Quellopadronale è dotato di moni-tor: il capofamiglia tiene l’oc-chio sui listini di Borsa anchementre si rade all’alba.

Ci vogliono nervi d’acciaio -la lega con le migliori caratte-ristiche di resistenza, elastici-tà e durezza - per fare un me-stiere così. Il padre li ha. Lafiglia li ha ereditati. Del restoThe Economist aveva vaticina-to fin dal 1996, scrivendo diEmma Marcegaglia: «Dipen-de dalla genetica il futuro del-l’industria italiana». Anchedella [email protected]

Leader in Europanella lavorazionedell’acciaio, primadonna candidata

a guidaregli imprenditori

Una casa con 76stanze e 20 bagni«Ma in passato

al mattinofacevamo i turni

per lavarci»

STEFANO LORENZETTO

EmmaMarcegagliaparla duranteun’assembleadi Confindustria.Ha presiedutodal 1996 al 2000i Giovaniindustriali, chel’avevanosoprannominataBlack & Deckerper la suadeterminazione

StenoMarcegaglia, 77anni, fondatoredel gruppo che

conta 47stabilimenti,

fattura 4 miliardidi euro l’anno

e controllaanche l’isoladi Albarella,

il Forte Village,Pugnochiusoe Le Tonnare

IL DOPO MONTEZEMOLO