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L'uomo che dichiarò guerra alla miseria - estratto libro - Paoline

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È la biografia di padre Joseph Wresinski (1917-1988). Francese di origine polacca, nato egli stesso in condizioni di estrema povertà, ha dedicato tutta la vita ai poveri. http://www.paoline.it/blog/testimoni/1004-vincere-la-poverta-si-puo.html

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« Chi viene al mondo per non dare alcun disturbonon merita né riguardi né pazienza ».

René Char

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II

VENUTO DALLA MISERIA

Da dove viene questo prete « inclassificabile », biasima-to dai confratelli?

Viene dalla miseria. La famiglia Wrzesinski – Joseph eliminerà più tardi la « z » dal suo cognome – non ha ere-ditato questo fardello, come invece accade – ne darà di-mostrazione – alla maggior parte delle famiglie in grandi ristrettezze. Tutto si è svolto come se il destino avesse vo-luto che la famiglia cadesse nell’indigenza. E così, un pre-te venuto dalla povertà, portatore di un pensiero inedi-to, avrebbe fatto cadere le idee preconcette, « avrebbe fatto traballare dalle fondamenta quel Dio elitario, sprez-zante e sufficiente nei confronti degli illetterati, i “rozzi”, i “deboli” »1.

Joseph è nato da madre spagnola e padre polacco, Wla-dislaw Wrzesinski, nato nel 1889 a Schrini, villaggio oggi sparito dalla carta geografica, simbolo dell’oblio. Un gior-no quest’uomo ha lasciato il proprio Paese, si pensa per studiare, ma non se ne conosce la ragione esatta. Esaspe-rato dalla vita in Polonia? Il suo carattere porterebbe a cre-derlo: ogni uomo ha in sé come un fondo di stiva dove si trincera esausto fino a fendere il granito del proprio esse-re e partire! Allora Wladislaw se ne va, la sua strada è mi-raggio e speranza. Fende l’Europa inseguendo l’amore.

1 J. Wresinski, Lettera da Haiti, 1981. Le citazioni di padre Joseph di cui non è indicata la fonte provengono dal Fondo Wresinski degli Archivi di Baillet.

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A Madrid incontra Lucrecia Sellas Lopez... Combina-zione di quale ballo, miracolo di quale marciapiede, luce di quale sguardo? Lucrecia è la figlia di piccoli albergato-ri presso i quali sarebbe stato a pensione. Si sposano. Lu-crecia, a quanto sembra, avrebbe avuto una formazione di maestra di sostegno. I suoceri sono ben sistemati, il futu-ro sembra promettente. E invece tutto crolla. I giovani spo-si – sottoposti a quale pressione? – precipitano lungo un pendio infernale.

Dopo la nascita di un primo figlio, Louis, nel 1912, la-sciano la Spagna, dove non torneranno mai più. Lucrecia è riluttante, ma Wladislaw la trascina nella sua fuga. Incri-natura identitaria? Rincorsa alle grandi prospettive, nell’il-lusoria convinzione che altrove... « Va’ al diavolo », si sen-te dire. Incurabile Sisifo, Wladislaw non è che vada a genio a tutti. A Parigi trova lavoro quando scoppia la guerra, nell’agosto del 1914. Wladislaw non finisce sui campi di battaglia, ma si trova intrappolato: polacco titolare incon-sapevole di un passaporto tedesco, è accusato di essere una spia, traditore, venduto e quant’altro. La polizia gli sbatte in faccia il suo passaporto e fa un bel pacchetto di tutta la famiglia che, preda di guerra, viene imprigionata a Saumur, in un forte dove pullulano, secondo gli arrivi, topi, razzi-smo e bastonate. Più tardi, vengono tutti trasferiti in un campo di internamento ad Angers, dove il seminario mag-giore della diocesi, abbandonato, ha trovato in quel modo una penosa riconversione. La famiglia vive l’ingiustizia, la situazione che trasforma il cuore in polveriera: Wladislaw non lo perdonerà mai, né agli altri né a se stesso.

Seguono quattro anni di prigionia, un incubo a occhi aperti in cui ogni ora distilla le sue tossine. Fremente nella miseria, sottomessa all’aleatoria mortificante carità, la fa-miglia Wrzesinski prova una mortale delusione... Dirà il fi-glio maggiore, Louis: « Eravamo nutriti come barboni, fa-

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gioli secchi, pasta, ancora fagioli, e poi pasta. I luoghi erano infestati da topi e, di notte, si organizzavano turni di guar-dia per proteggersi ». La scoperta nel 2002 – quasi un se-colo dopo! – di un rapporto dell’incaricato sanitario di An-gers rivelerà le condizioni in cui erano accolte le persone internate: « Niente docce, niente lavatoio, una distribuzio-ne parsimoniosa di acqua fredda, praticamente niente ac-qua calda, niente isolamento delle persone contagiose, do-vunque una sporcizia ripugnante, una preoccupazione di economia più che eccessiva che soffoca tutte le questioni di umanità e di salute pubblica »2. I particolari della descri-zione sono terrificanti: niente riscaldamento, divieto di ac-cendere il fuoco, una lanterna da stalla per illuminare ogni piano, sacchi di paglia per dormire, quanto ai sanitari...

Nel 1915 nasce una figlia, Sophie. A causa delle priva-zioni e del freddo, non sopravvivrà alla mancanza di cure che sarebbero state necessarie per una broncopolmonite. La loro richiesta di un medico resterà ignorata e così i ge-nitori patiranno l’agonia della bambina abbandonata alla morte. In quei quattro anni di guerra, i Wrzesinski non soffriranno solo per il freddo, la fame, il giaciglio di paglia e la routine dei pasti di sopravvivenza. Scopriranno anche l’aspetto impalpabile della miseria, sopporteranno la sua faccia morale, affronteranno la sua violenza. E quella vio-lenza depositerà i suoi veleni in Wladislaw, plasmando il suo essere su un fondo di disperazione.

Il lutto per la perdita della figlia sarà seguito dalla na-scita di Joseph, il 12 febbraio 1917. L’atto di nascita dirà che Joseph è nato in rue Boreau (indirizzo del seminario), di fianco a San Sergio. Il padre, presente alla nascita ma pasticcione e confuso, si è sforzato di dare in qualche mo-do una mano.

2 Rapporto del 13 novembre 1914.

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IV

« RESTITUISCIMI LE MIE BIGLIE! »

Il bisogno di soldi detta legge, e allora Louis e il fratel-lino sono mobilitati per dominare il destino. Joseph ricor-derà: « Oggi come ieri, il bambino povero non ha infanzia. Le responsabilità gli arrivano addosso appena sta in piedi sulle proprie gambe » (PSC). Joseph ha solo quattro anni quando la madre lo fa ingaggiare per servire ogni mattina la seconda messa alle sei, al convento delle suore del Buon Pastore. In cambio di una scodella di zuppa e qualche sol-dino. Per dieci anni si alzerà all’alba per raggiungere la cappella. Quali sono le angosce, le attese, le speranze di un bambino, ancora vacillante sulle gambe, durante una scarpinata che gli sembra interminabile? Ad accompagnar-lo non c’è solo l’effervescente chiarore del primo mattino, ma ci sono anche le tenebre gelate. Tiene duro, raggomi-tolato sotto il freddo. Quale oppressione pesa allora sul cuore di Joseph se confesserà più tardi di aver pianto di rabbia per essere costretto a quel servizio quotidiano? Di-rà: « La mamma doveva avere veramente fame per noi, per accettare di buttarmi così, ancora bambinetto, per strada ogni giorno. Io dovevo essere cosciente del suo sgomento per accettare quel giogo senza inacidirmi né insultare Dio. Con il vento o con la pioggia, rannicchiato su me stesso, morto di sonno, ma talvolta anche gridando di rabbia, per-correvo rue Saint-Jacques, scendevo per rue Brault, deser-ta e ostile, verso i campi, e andavo a servire la messa dalle suore per quaranta soldi dati alla mamma » (PSC).

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Quelle camminate solitarie e timorose del bambino ver-so una cappella, le cui luci intraviste sono finalmente per lui oasi di pace, costruiranno il suo amore per la Chiesa. Ma ci sarà di più. In seguito farà questa ammissione fon-damentale: « Per essere preciso, ho creato il Movimento quando avevo cinque anni ». Che cosa ha fondato a cinque anni? Evidentemente nulla. Ma, nell’oscura solitudine del-la sua emozione, la vita gli pone già un interrogativo che mette il mondo in fuga. Il mondo inaccettabile, il mondo da cambiare. Gli avvenimenti dell’infanzia non sono per Joseph semplici ricordi, polvere di nulla: si trasformano in esperienze che forgiano la sua coscienza.

Se il suo cuore non esplode per la rabbia, è in ragione della bontà delle suore del Buon Pastore e anche del pre-sentimento che non basta mettere in discussione il mon-do. Bisogna anche cambiare qualcosa, giorno dopo gior-no! Il tormento non lo lascerà più. Non avvilirà la sua rabbia nella palude dei pii desideri, ma la convertirà in vo-lontà e in atto. Questa rabbia sarà della stessa natura del-la forza di Aronne che sostiene le mani di Mosè a Refidim (cfr. Es 17,8-16): non abbassare le mani. Nello stesso tem-po, nemico di ogni miserabilismo, rifiuterà l’idea – altro modo di dire no – che la povertà sia sinonimo di abban-dono, di lasciar andare o di bassezza: « Non ho mai credu-to alla povertà meschina. Ricordo che, quando andavo a vedere le suore del Buon Pastore di Angers, il contegno di quelle religiose, che erano vere signore, mi meravigliava sempre... E si diceva di certe persone povere che ho cono-sciuto e di mia madre: “Quella donna è sempre ben cura-ta. Che eleganza, che grandezza!”. La povertà non è sciat-teria... Non è necessariamente portare su di sé cose che non onorano se stessi e non onorano nemmeno coloro che ci guardano » (AB).

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V

LO SPIRITO DI RESISTENZA

Joseph crebbe turbolento, difficile da controllare. Mol-to scarso a scuola, indisciplinato tanto da meritare il ba-stone. E il direttore, al termine di copiose considerazioni, assesta brutalmente alla madre la conclusione che fa sem-pre piacere: « Signora, lei sa bene che questo ragazzo è in-capace di imparare! Guardi i voti! Il suo Joseph, io non ho intenzione di presentarlo al diploma! ». « Ma potrebbe almeno permettergli di sostenere l’esame... ». « No! Non posso presentarlo decentemente. Mi capisca! ».

Lucrecia non ha le forze per piegare il direttore. Già si era fatta pressione su di lei perché acconsentisse alla si-stemazione dei figli in collegio. Tutto il vicinato si era mo-bilitato con questa richiesta: « Sistemi i figli! Almeno non avranno fame, avranno un tetto, saranno vestiti, scaldati, coccolati! ». « In un sussulto di dignità che le conoscevo bene, mia madre rifiutò. Preferì rinunciare alla benevo-lenza delle opere parrocchiali » (PSC). Contro corrente, si tenne i figli. Joseph non dimenticherà la capacità di in-dignazione di cui la madre diede prova di fronte a quelli che la canzonavano. Vi attingerà lo spirito di resistenza, il rifiuto ostinato dell’accettazione passiva del destino. Sfi-dando il rifiuto del direttore della scuola e l’irritazione vo-lubile dei vicini, Lucrecia rifiuta l’ignoranza. In lei c’è già il rifiuto di Antigone che più tardi Joseph farà interpreta-re dagli abitanti del campo di Noisy: « Io non voglio ca-pire », fa dire Anouilh alla ribelle. « Va bene per voi. Io

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sono qui per altra cosa che capire. Sono qui per dirvi no e per morire ».

Lucrecia si fa coraggio, iscrive Joseph all’esame di di-ploma da privatista, solitario di fronte alla muta dei can-didati « ufficiali ». Joseph la ripagherà per il suo coraggio. Affronterà l’esame e lo supererà, ottenendo quel diploma. Assumerà dentro di sé l’intransigenza della madre, farà propria la sua contestazione di ogni ingerenza. Successo fondamentale, che certifica il ristabilimento sociale dei Wrzesinski. Tanto più che Louis non ha avuto quella pos-sibilità. Per strada, li si guarderà già in modo diverso.

Ma mezzo secolo più tardi, lo sguardo dei dominanti non sarà per nulla cambiato. Ascoltiamo Marc Couillard, che era ragazzo all’epoca in cui padre Joseph viveva nella bidonville di Noisy-le-Grand: « Ho sempre desiderato im-parare, ma ne sono stato sempre impedito. Gli insegnanti non ci chiedevano mai nulla. Padre Joseph si era accorda-to con mio padre perché potessi rimanere al corso serale. Ma, al corso serale, gli insegnanti erano degli stronzi. Se ne fregavano di noi... Quando avevo dieci anni, la Francia decise di prendere un ragazzo povero per dipartimento e mandarlo in vacanza in montagna, equipaggiandolo dalla A alla Z, calze e mutande comprese. Ed è toccato a me. A partire da quel momento, ogni mattina, il direttore mi aspettava in cortile: “Ah, Couillard, vieni qui. Abbiamo ri-cevuto calze nuove per te. Togli le tue e prova queste”. Al-le otto del mattino, davanti a tutti, voleva essere sicuro che le cose mi andassero bene. Lo stronzo. Ho dovuto prova-re le mutande, la camicia e tutto. L’anno in cui dovevo so-stenere l’esame per il diploma, l’insegnante mi disse: “Couillard, non vale la pena che ti presenti, tanto non lo otterrai!”. Ho avuto il mio diploma a tredici anni e mez-zo, e sono stato il primo della classe. A tutti quelli che ave-vano superato l’esame distribuivano un dizionario e ha do-

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vuto darne uno anche a me. Ce l’avevo fatta. C’è qualcosa che mi ha sempre frullato in testa, ed è che siamo tutti ca-paci di ottenere il diploma. Non siamo fessi. È questo che mi ha permesso di continuare: provare al mondo che non siamo fessi ». In questa conclusione c’è tutta la sfida più radicale di ciascuno di noi.

Poi arriva un giorno di quelli che i Wrzesinski non po-tevano immaginare. Un camion invade il vicolo cieco. Il camionista ne svuota il contenuto sulla carreggiata, che si riempie di una quantità di cianfrusaglie da fiera. Che co-sa è successo a Wladislaw per indurlo a fare regali così di-spendiosi alla famiglia? È finalmente in grado di guada-gnarsi da vivere? Con questa spedizione di merce in saldo vuole forse rimanere l’unica vedetta della sua anima soli-taria? Come ha preparato questo trasloco sparso sul mar-ciapiede? Pentolame, vestiti, una vasca da bagno con aste per tende, due letti su cui sono ammassate riviste tecni-che desuete... E poi, incongrui sul pavé, due strumenti musicali: un pianoforte destinato alla figlia e un violino per i ragazzi.

Un pianoforte per la figlia! Wladislaw ha sempre avu-to una predilezione per Antoinette, la quale dirà: « La co-sa più penosa è che si è sempre criticato mio padre. Io non posso accettare certe menzogne su di lui. L’ultima volta che mio padre è venuto, ha dormito in cucina, e mi aveva preso sulle ginocchia. Prima di lasciare la famiglia, papà è andato a pregare il Santissimo Sacramento con me ».

Nonostante la ristrettezza degli ambienti, si riesce a far posto all’ingombrante pianoforte, che spinge indietro ta-vola, sedie, credenza, per troneggiare, imperiale, inutile in necessaria maestà. Nella disinvoltura della sua dimensio-ne, è l’intrusione di un mondo di un’altra natura, il mon-do dell’arte: esso risplende.

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Questo strumento alimenta la riprovazione pubblica dei vicini. Un pianoforte? Quando si riceve la razione di sbob-ba alla mensa dei poveri? L’intero quartiere non è forse al corrente che tutti i giorni i ragazzi vanno a cercare il mine-strone con verdure, grasso e carne d’oca in un grande bido-ne di cinque litri? E i compagni di scuola prendono in giro i ragazzi rinfacciando loro: « Tua madre non è neanche ca-pace di fare la minestra? ». Chi dirà lo sbalordimento di que-sta incongruenza: un pianoforte al centro di una dimora mi-serabile che non ha ancora l’elettricità? C’è bisogno di arte quando si manca di pane? Che diritto si ha alla bellezza?

Il pianoforte rimarrà nel ricordo dei ragazzi. Al di là di quello che non hanno, testimone dell’inaccessibile, esso è ciò che essi non sono, e non saranno mai. Saper suonare assume in quella situazione un senso diverso dal mettere insieme scale musicali come quelle che essi possono ascol-tare dalle finestre di certe case. Suonare è l’invalicabile: avrebbero una ragione per suonare? Il pianoforte è lo spec-chio al contrario: mette in risalto la loro miseria. Lucrecia rifiuterà a lungo di cedere ai consigli del vicinato scanda-lizzato, che la spinge a sbarazzarsi di quell’oggetto ingom-brante. « Ma venne il giorno in cui si cominciò a dire at-torno a noi: “Se quella gente ha un pianoforte, vuol dire che ha soldi, e non è il caso di aiutarla”. E così mia madre dovette vendere il pianoforte a un prezzo irrisorio. In cam-bio di aiuto, ha venduto una speranza1. Sono invidioso e geloso, come Dio si dice geloso nella Bibbia, di quelli che, fin dall’infanzia, hanno imparato ad amare la musica e la danza, l’arte e la poesia. Io non ho avuto questa opportu-nità, e per tutta la vita ne ho sofferto. Poterla offrire ai più poveri è stata la mia battaglia »2.

1 J. Wresinski, in France Catholique, 1987.2 Id., in O. Quiles, Passeport pour la musique, Quart Monde, Paris 1987.

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INDICE

I Nascita di un uomo pag. 9

II Venuto dalla miseria » 13

III La legge della sopravvivenza » 21

IV « Restituiscimi le mie biglie! » » 28

V Lo spirito di resistenza » 39

VI Entrare nella vita » 45

VII Primi impegni » 52

VIII Il seminarista » 68

IX Il giovane prete » 78

X La cattiva reputazione » 83

XI « Quel giorno ho firmato il mio destino » » 92

XII « Ho ritrovato i miei » » 98

XIII L’anima della lotta » 103

XIV Il corpo della lotta » 116

XV La zuppa popolare » 130

XVI Volontari » 137

XVII « Mozart è condannato » » 153

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XVIII Speranze e fatti pag. 161

XIX La ricerca del più povero ai confini di tutto il mondo » 170

XX Rinsaldare il patto religioso » 186

XXI L’onore di un nome » 208

XXII « La casa vi è affidata, forse per un lungo periodo... » » 213

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Da dove viene questo prete « inclassificabile », bia-simato dai confratelli e tenuto d’occhio dalla gerarchia ecclesiastica? Viene dalla miseria, quella più profonda, che mette a rischio la sopravvivenza e annulla la dignità.

Sarà forse per questo che padre Joseph ha un’unica « ossessione »: trovare i più poveri. E vivere con loro. Così, nel 1956, si stabilisce al campo di Noisy-le-Grand, alle porte di Parigi, allestito due anni prima dall’abbé Pierre per i senzatetto, e si adopera con ogni mezzo per resti-tuire loro una vita che si possa definire umana.

Con il coraggio di scelte impopolari – è contrario alla distribuzione collettiva della zuppa, che « asservisce il povero al mestolo del donatore », e all’assistenza sociale, « palliativo dell’incultura » – ha come obiettivo primario la liberazione interiore dell’uomo: crea scuole materne e biblioteche, allestisce laboratori di attività, combatte l’analfabetismo.

Con la sua fede e la sua tenacia, difenderà l’onore dei più poveri anche all’Onu. Muovendosi sul terreno dei diritti umani, Joseph Wresinski ha rivoluzionato la lotta alla povertà.