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Liceo Artistico Appunti Discipline progettuali di architettura e ambiente Idoneità alla classe V - Elementi Fondamentali del Disegno Prospettico - Tipologia Edilizia Residenziale - Le Proiezioni Ortogonali - Disegno Tecnico - Cad - Le Assonometrie - Fondamenti Vitruviani nel Progetto di Architettura - Il Disegno a Mano Libera - Antropologia - Unità Abitative - Le Scale di Riduzione

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Liceo Artistico

Appunti Discipline progettuali di architettura e ambiente

Idoneità alla classe V - Elementi Fondamentali del Disegno Prospettico - Tipologia Edilizia Residenziale - Le Proiezioni Ortogonali - Disegno Tecnico - Cad - Le Assonometrie - Fondamenti Vitruviani nel Progetto di Architettura - Il Disegno a Mano Libera - Antropologia - Unità Abitative - Le Scale di Riduzione

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ELEMENTI FONDAMENTALI DEL DISEGNO PROSPETTICO

Per la rappresentazione dei disegni geometrici esiste una tecnica grafica che prende il nome di Prospettiva. La prospettiva, altro non è che un artificio geometrico che consente di rappresentare su una superficie piana un oggetto così come appare all’occhio umano. Quindi, tra le tecniche di rappresentazione è quella che consente una visualizzazione degli oggetti più vicina alla realtà.

QUALCHE CENNO STORICO

I

primi esempi dell’uso della prospettiva compaiono nell’arte figurativa romana in modo embrionale, privo di regole e codifiche precise. Si parla più che altro di un tentativo di rappresentazione prospettica basata sulla sensibilità e sull’intuito dell’artista. Una vera e propria rivoluzione della tecnica la si ebbe nel quattordicesimo secolo ad opera dell’artista e architetto Filippo Brunelleschi (1377 – 1446). Con la sua grande maestria e la conoscenza approfondita del disegno tecnico, l’architetto fiorentino adotta per la prima volta il sistema di rappresentazione prospettica a un unico punto di fuga, per cui ne è anche l’inventore. La diffusione di questa tecnica fu rapida e accolta ben volentieri, perché in un’epoca di rinnovamento come il Rinascimento anche le novità nel disegno rappresentavano una svolta in quella direzione.

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Brunelleschi basò il suo approccio sugli studi di Euclide della percezione visiva, ossia dei raggi luminosi che dall’oggetto si dirigono verso l’osservatore convergendo verso il centro dell’occhio sul piano della retina. Nella teoria formulata da Brunelleschi i raggi proiettanti sono rette che toccano i vertici degli oggetti che si devono rappresentare, il centro di proiezione è il punto di vista e la retina è il piano di rappresentazione. Il procedimento geometrico teorizzato da Brunelleschi fu completato e regolamentato da Piero della Francesca, verso la metà 1400. Egli scrisse il trattato “De prospectiva pingendi” che costituisce il primo studio organico della prospettiva con la formulazione di un preciso sistema di leggi e procedimenti matematici. Dal rinascimento in poi la prospettiva sarà sempre più legata alle ricerca matematica, realizzando un passaggio dalla prospettiva rinascimentale di tipo centrale, a rappresentazioni su di un piano con modalità diverse (accidentale e obliqua). Questa parte della geometria prenderà il nome di Geometria Descrittiva.

LA TECNICA

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La prospettiva consente, quindi, di vedere gli oggetti esattamente come li percepisce l’occhio umano. Immaginiamo, quindi, di guardare un oggetto senza muovere la testa e contemporaneamente con tutti e due gli occhi (visione binoculare). Possiamo definire un cono visivo che partendo dall’occhio dell’osservatore includa tutto l’oggetto da osservare. Questo dipende ovviamente dalla dimensione dell’oggetto e dalla distanza dell’osservatore da questo. Dall’esperienza condotta scientificamente, si è dimostrato che l’angolo migliore di apertura del cono visivo deve essere compreso tra i 30° e i 40°. Coni ottici con apertura maggiore generano aberrazioni ottiche simili a quelle che i fotografi ottengono usando un grandangolare come obiettivo per la loro macchina fotografica. L’altro fattore fondamentale per una buona riuscita della prospettiva è la scelta del punto di vista. E’ facile intuire come sia possibile guardare un oggetto in infiniti modi e di come questo dipenda da tre parametri fondamentali: posizione dell’osservatore, distanza tra l’osservatore e l’oggetto e l’altezza del punto di vista. Ad esempio, nella prospettiva accidentale, l’asse visuale va collocato in corrispondenza della parte dell’oggetto che si vuole evidenziare (ad esempio un lato dell’oggetto piuttosto che un altro). Per capire come ciò avviene, è necessario definire alcuni elementi base della tecnica prospettica. In pratica si tratta di osservare un oggetto e quindi di definire un osservatore (noi), scegliere l’oggetto da rappresentare, e immaginare di frapporre tra noi e l’oggetto un piano virtuale verticale, come una lastra di vetro trasparente, che rappresenta il piano sul quale disegneremo il nostro oggetto in prospettiva.

Vediamo quali sono gli elementi base della prospettiva:

OSSERVATORE – siamo noi, cioè coloro che osservano l’oggetto da una posizione ben precisa

OGGETTO – qualunque cosa vogliamo rappresentare in prospettiva; viene definita anche figura obiettiva

PIANO DI TERRA (PT) – è il piano orizzontale sul quale è collocato l’osservatore. Rappresenta in parole povere il pavimento sotto i nostri piedi. Si indica con le lettere P e T maiuscole

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QUADRO PROSPETTICO (Q) – rappresenta il piano verticale interposto tra l’osservatore e la figura obiettiva; possiamo immaginarlo come una lastra di vetro posta verticalmente tra noi e l’oggetto che vogliamo rappresentare. Si indica con la lettera Q maiuscola

LINEA DI TERRA (LT) – rappresenta la linea di intersezione tra il piano di terra PT dove è poggiato l’osservatore e il piano di quadro prospettico Q. Si indica con le lettere L e T maiuscole

PUNTO DI VISTA (PV) – rappresenta il punto dal quale guardiamo l’oggetto; quindi sono i nostri occhi. Si indica con le lettere P e V maiuscole

PUNTO DI STAZIONE (PS) – rappresenta il punto esatto sul piano di terra PT dove si trova l’osservatore. Quindi il punto nel quale poggiamo i nostri piedi. Si indica con le lettere P e S maiuscole

ALTEZZA (h) – rappresenta la distanza tra il punto di vista dell’osservatore PV e il punto di stazione PS dell’osservatore stesso. Si indica con la lettera h minuscola

RAGGI VISUALI – rappresentano tutte le rette virtuali che collegano il punto di vista, ossia l’occhio dell’osservatore, con tutti gli spigoli dell’oggetto da rappresentare

PUNTO PRINCIPALE (PP) – rappresenta il punto in cui l’asse visivo ortogonale che parte dall’occhio dell’osservatore, incontra il quadro prospettico Q. Si indica con le lettere PP maiuscole

LINEA DI ORIZZONTE (LO) – rappresenta la linea di intersezione tra il piano orizzontale parallelo al piano di terra passante per l’occhio dell’osservatore (PV). e il quadro prospettico Q. La linea di orizzonte varia al variare dell’altezza dell’osservatore. Si indica con le lettere L e O maiuscole

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PUNTO DI DISTANZA (PD) – rappresenta la distanza del punto di vista PV dal piano di quadro Q. Serve a facilitare le rappresentazioni grafiche e si riporta a destra o a sinistra del Punto Principale PP sulla Linea di Orizzonte LO. Si indica con le lettere P e D maiuscole

FIGURA PREPARATORIA

In molti casi, la realizzazione di una prospettiva corretta, richiede la preparazione di un disegno che rappresenti in vista dall’alto (pianta) l’oggetto da rappresentare e sul quale siano note e indicate le dimensioni dell’oggetto stesso. Questo disegno prende il nome di figura preparatoria. La realizzazione di questa figura, su foglio a parte o su un angolo dello stesso foglio, permette di realizzare una prospettiva in modo più semplice e diretto, e in molti casi anche in scala diversa generalmente più grande. Per cui, la figura preparatoria, rappresenta in molti casi un grande vantaggio nella realizzazione della prospettiva.

Prospettiva con figura preparatoria di un Triangolo Equilatero

Sulla base delle teorizzazioni sviluppate da allora, possiamo dire che esistono tre tipi di rappresentazione prospettica che variano in base alla posizione che l’oggetto assume rispetto a un piano di proiezione detto quadro. Per cui avremo:

• prospettiva centrale o frontale; l’oggetto da disegnare è parallelo al piano di proiezione. Tutte le linee di profondità (lunghezza) convergono nello stesso punto

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(punto di fuga proprio), le linee parallele al quadro (larghezza) restano parallele, le rette verticali (altezza) restano verticali;

• prospettiva accidentale o d’angolo; l’oggetto rappresentato è ruotato rispetto al quadro e nessuno dei suoi lati è a questo parallelo, vi sono così due punti di fuga in cui convergo le linee orizzontali (larghezza e lunghezza), ma le rette verticali (altezza) restano verticali;

• prospettiva obliqua o razionale o a quadro inclinato; l’oggetto rappresentato è ruotato rispetto al quadro di proiezione anche verticalmente, vi sono così tre punti di fuga, due per le linee orizzontali (larghezza e lunghezza) ed uno per quelle verticali (altezza).

PROSPETTIVA CENTRALE O FRONTALE

Come detto precedentemente, nella prospettiva centrale, la posizione del piano di quadro Q è sempre parallela a un lato della figura o a un lato del quadrato o rettangolo che la contiene. Le rette parallele al quadro restano parallele anche in prospettiva e le rette verticali restano tali anche in prospettiva. L’operazione preliminare per la prospettiva centrale, è la definizione in proiezione ortogonale delle dimensioni della figura. Bisogna quindi disegnare una figura preparatoria che prevede i seguenti passaggi:

disegnare la pianta della figura da rappresentare in prospettiva della quale, ovviamente, bisogna conoscere le dimensioni corrette;

costruire il piano di quadro (Q) in posizione parallela ad uno dei lati della figura;

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si posiziona il punto di vista (PV) a una distanza tale che la figura rientri completamente nel cono visivo (normalmente una visuale con angolo di apertura non superiore ai 35° e in una posizione tale che l’asse visivo passi all’interno della figura, nel suo centro o vicino a questo;

si ribalta il punto di vista PV sulla linea di orizzonte LO individuando il punto di distanza PD;

si ribaltano i punti utili alla definizione della prospettiva sul lato opposto a PD tracciando delle rette inclinate a 45°.

Nella prospettiva centrale si possono utilizzare diversi metodi per ottenere l’immagine desiderata. Quelli più utilizzati sono:

Il metodo dei raggi visuali;

Il metodo del prolungamento dei lati;

Il metodo dei punti di distanza;

Il sistema del ribaltamento.

PROSPETTIVA ACCIDENTALE O D’ANGOLO

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Nella prospettiva accidentale,come detto, il piano di quadro Q non è parallelo ai lati dell’oggetto da rappresentare. La disposizione del piano dipende dall’effetto prospettico che si vuole ottenere. Una buona prospettiva si ottiene disponendo il quadro, nella figura preparatoria, con inclinazioni di 30° o 60° rispetto ai lati del rettangolo che contiene l’oggetto. E’ importante che l’angolo minore stia dal lato più importante della costruzione, cioè quello che vogliamo mettere in evidenza nella rappresentazione.

La scelta del punto di vista è importantissima per una buona riuscita del disegno. Anche in questo caso la sua posizione è arbitraria ma è consigliabile posizionare PV a una distanza tale che l’angolo formato tra i raggi visuali r’ ed r” (i raggi che da PV vengono diretti verso gli estremi della figura rappresentata in pianta), sia minore di 45°. In questo modo, i raggi visuali staranno all’interno del cono ottico e quindi l’immagine risultante sarà percettivamente corretta, quindi senza aberrazioni ottiche.

Nella prospettiva accidentale si possono utilizzare diversi metodi per ottenere l’immagine desiderata. Quelli più utilizzati sono:

Il metodo dei raggi visuali;

Il metodo dei punti di distanza;

Il metodo dei punti di fuga e delle perpendicolari al quadro;

Il metodo dei punti misuratori.

PROSPETTIVA OBLIQUA

In questo caso, pure il Piano di Quadro Q è inclinato rispetto all’oggetto per cui anche le facce verticali dell’oggetto avranno un punto di fuga. Possiamo scegliere se il Piano di Quadro debba essere inclinato verso l’oggetto o verso l’osservatore.

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La prospettiva che si ottiene si chiamerà di conseguenza, prospettiva razionale dall’alto o prospettiva razionale dal basso. Questa prospettiva presenta maggiori difficoltà esecutive in confronto ai casi precedenti, per cui è raramente utilizzata. Inoltre il quadro può essere esterno, tangente o secante l’oggetto da rappresentare. Nel caso in cui sia secante, il quadro funge anche da Piano di Sezione come avviene negli spaccati prospettici.

Altro parametro da modificare che ci consente di ottenere differenti visualizzazioni dell’oggetto, è la quota del punto di vista PD rispetto all’oggetto da rappresentare. Quindi, potremo avere differenti visualizzazioni:

dal sotto in su, quando il punto di vista ha quota negativa, ossia quando viene posto più in basso della Linea di terra LT;

dal basso, quando il punto di vista è molto vicino alla Linea di terra LT fino a giacere su di essa. Avremo una prospettiva a raso terra, nella quale di conseguenza la linea di orizzonte coincide con la linea di terra;

ad altezza uomo, quando il punto di vista viene disposto a una quota variabile fra i 150 e 170 centimetri da terra. Questa rappresentazione ci consente di vedere gli oggetti come ci appaiono normalmente;

dall’alto, quando il punto di vista è situato a un’altezza maggiore di quella degli oggetti da rappresentare, così come avviene nelle viste dette a volo d’uccello.

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IL METODO DELLA “X”

Creare o dividere segmenti in parti uguali in prospettiva, soprattutto in quella centrale può essere lungo e tedioso. Però, si può utilizzare uno stratagemma, chiamato metodo della X, per creare segmenti equidistanti o dividere segmenti in parti uguali. Vediamo come fare.

Immaginiamo di aver già fissato la LT e la LO e di aver individuato su LO il punto di fuga PV.

Tracciamo da un punto su LT una retta 1 e fughiamo su PV il suo punto base e la sua altezza.

Ad una certa distanza tracciamo un’altra retta verticale parallela a 1 che chiameremo retta 2.

Tracciamo adesso le diagonali tra i punti base delle due rette e le loro altezze; si disegnerà così una X (ecco da dove il nome di metodo della X).

Chiamiamo A il punto di intersezione tra le due diagonali e fughiamolo su PV.

Ora uniamo l’altezza della retta 1 con il punto medio sulla retta 2.

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Dall’intersezione di questa retta con la fuga del punto di base della retta 1 individueremo il punto 3, base della retta 3 parallela alle due precedenti.

Allo stesso modo, dall’altezza della retta 2, tracciamo un segmento che interseca la retta 3 nel suo punto medio fino all’intersezione con la fuga del punto base della retta 1 che, individuerà un punto 4.

Da questo punto tracceremo la retta 4 parallela alle precedenti.

Procedendo analogamente, definiremo una serie di linee parallele, equidistanti, rappresentate in proiezione prospettica (vedi l’animazione sopra).

IL METODO DEI PUNTI DI DISTANZA

Dobbiamo ad un altro grande architetto del passato, Leon Battista Alberti, la costruzione abbreviata in prospettiva che usa i cosiddetti punti di distanza, ossia rette inclinate a 45° rispetto al piano di quadro (Q) ottenute ribaltando sulla linea di orizzonte LO, la distanza del punto di vista PV dal quadro. L’uso dei punti di distanza, facilita moltissimo la costruzione delle figure in prospettiva centrale. Infatti, ogni punto può essere individuato dall’intersezione di una linea passante per il punto perpendicolare al quadro (che in prospettiva concorre al punto principale PP) con una linea, passante per il punto, inclinata di 45° rispetto al quadro (che in prospettiva concorre a un punto di distanza PD). In genere è sufficiente l’uso di un solo punto di distanza.

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TIPOLOGIA EDILIZIA Il concetto di “tipo” presuppone un’attività di classificazione in cui l’insieme degli individui viene organizzato in sotto-gruppi in base a parametri preventivamente scelti al fine di approfondire la conoscenza degli aspetti rilevati dai parametri di classificazione e delle loro possibili relazioni. In edilizia definiamo “tipologia” questa attività e tipo edilizio il suo risultato. I parametri assunti per procedere alla classificazione, operata sull’insieme degli edifici con destinazione d’uso omogenea, riguardano inevitabilmente i tre aspetti fondamentali che convergono, in un’operazione di sintesi, nella progettazione dell’edificio: • La componente funzionale, ovvero il modo di organizzare gli spazi, di definirli sia

dal punto di vista qualitativo che quantitativo e di porli in relazione tra loro (l’utilitas” secondo Vitruvio).

• La componente tecnologico/strutturale, ovvero il modo di organizzare l’assetto

strutturale in relazione agli elementi costruttivi costituenti l’edificio, risultato di una ricerca tesa ad ottimizzare il rapporto tra facilità ed economicità costruttiva e possibilità di utilizzazione gli spazi.(la “firmutas” secondo Vitruvio)

• La componente linguistica, ovvero ciò che comunica l’edificio coerentemente con

la sua destinazione d’uso, la chiarezza del rapporto tra le sue parti e la sua capacità orientante ed “evocativa” nei confronti del fruitore, che contribuisce a determinare la sua “bellezza”.(la “venustas” secondo Vitruvio).

Il tipo edilizio è quindi in sé riassuntivo dei tre aspetti fondamentali che convergono nella progettazione dell’edificio. Non corrisponde a nessun modello edilizio in particolare, ma piuttosto indica, come un manuale, un modo storicamente ricalcato e consolidato, di armonizzare tra loro le tre componenti: funzionale- strutturale- linguistica. Nonostante il mutamento nel corso del tempo delle pratiche costruttive, delle soluzioni tecnologiche, delle esigenze di organizzazione e fruizione degli spazi, il tipo edilizio informa il progetto nella sua essenza, conservando quelle che possiamo definire “invarianti tipologiche”. Riferendoci agli edifici con destinazione d’uso abitativa, possiamo operare una prima distinzione tipologica tra case unifamiliari o bifamiliari e case plurifamiliari. Le prime presentano caratteri tipologici meno restrittivi, riferiti più che altro alla coincidenza dell’edificio con un unico alloggio o con due alloggi, spesso ottenuti dal raddoppio secondo una simmetria speculare della pianta del primo.

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Si possono riassumere in: - coincidenza dell’alloggio con l’intero edificio; - possibilità di affacci su tutto il perimetro; - presenza di un lotto di pertinenza ad uso esclusivo dell’alloggio, generalmente

esteso su tutti i fronti; - ingresso indipendente; - sviluppo in altezza contenuto (max 3 piani); - tendenza dell’alloggio a organizzarsi su due livelli: il più basso per la zona giorno,

l’altro per la zona notte. - Proprio dalla natura labile di questi caratteri deriva la massima libertà dell’organizzazione del progetto e di conseguenza una gamma molto estesa di prodotti risultanti, difficilmente riconducibili ad un’unica matrice tipologica, al punto da rendere discutibile l’adozione della stessa denominazione di “tipo”. Le case plurifamiliari, invece, sono quegli edifici che contengono più di 2/3 alloggi. In esse è più facilmente riscontrabile una chiara matrice tipologica, nonostante i ripetuti tentativi di commistione tra diversi tipi edilizi (i cosiddetti “tipi misti ”). Consideriamo i più comuni, nel senso della loro diffusione quantitativa nel tessuto urbano residenziale. Essi sono: 1)Tipo a schiera 2)Tipo in linea 3)Tipo a ballatoio e a corridoio centrale 4)Tipo a torre 5)Tipo a corte TIPO "A SCHIERA" Il tipo a schiera ha origine nell’alto medioevo, come risposta alle esigenze costruttive e funzionali di alcune fasce di popolazione prevalentemente dedite all’artigianato e al commercio. Esigenze che si possono quindi riassumere nella necessità di adottare una pratica costruttiva semplice, economica e collaudata (quindi affidabile); di poter disporre di uno spazio per attività produttive e commerciali, nonché di una modesta quantità di terreno per la produzione di beni di sostentamento (le forme di auto-produzione e auto-consumo caratterizzano il periodo alto-medioevale). La strada è il luogo naturale della socializzazione e degli scambi produttivi/commerciali. Da qui, oltre che dalle esigenze di una pratica costruttiva fondata su luci modeste, la necessità di un infittimento degli sbocchi sulla strada delle botteghe artigianali; e, di conseguenza, un maggior sviluppo in profondità del corpo di fabbrica (entro i limiti

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consentiti dalla necessità di illuminazione e aerazione dirette dei locali), ma soprattutto del lotto di pertinenza. Si configura quindi la tipica forma stretta e lunga del lotto “gotico” che caratterizza la morfologia urbana delle città di impianto medioevale. Le esigenze abitative sono in origine soddisfatte da un solo piano abitato, in seguito anche dalle successive superfetazioni. In ogni caso l’edificio raggiunge al massimo l’altezza corrispondente a tre piani fuori terra. Possiamo così riassumere i caratteri tipologici della schiera: 1)ingresso indipendente; 2)presenza di un lotto di pertinenza ad uso esclusivo dell’alloggio; 3)coincidenza del modulo strutturale con il modulo abitativo; 4)presenza di un collegamento verticale per ogni singolo modulo; 5)sviluppo contenuto in altezza; 6)alloggio organizzato su due livelli; 7)collocazione dei vani principali in prossimità degli affacci e zona intermedia (più distante dalla muratura perimetrale e quindi caratterizzata da scarsa illuminazione e ventilazione naturale) destinata a servizi o disimpegni. Questi caratteri non sono mutati nel corso dei secoli e si possono leggere anche nella nostra epoca in qualunque progetto di un edificio "a schiera" Ovviamente, con l’evoluzione tecnologica dei sistemi costruttivi e dell’uso dei materiali, si assiste a qualche mutamento rispetto agli esempi originari, relativo soprattutto all’incremento delle luci nel modulo strutturale e alla possibilità di collocare anche i servizi igienici nella zona intermedia, illuminandoli e aereandoli artificialmente. La strada, non più luogo di scambi commerciali, ma fonte di rumore e d’inquinamento, determina l’arretramento del fronte dell’edificio e quindi la presenza del lotto di pertinenza (o di parte di esso) come filtro tra la strada e il fronte dell’edificio; soluzione questa che tende a risolvere, oltre che il problema dell’esposizione diretta alla fonte d’inquinamento anche quello dell’introspezione. La destinazione d’uso del piano terra a laboratorio artigianale per la produzione e il commercio si conserva in molti casi addirittura fino alla prima metà del 1900. Con il progressivo dilagare della commercializzazione dei prodotti industriali che soppiantano definitivamente quelli artigianali e la crescente affermazione dei grossi centri di vendita, (specie per quel che riguarda i beni di prima necessità), i piccoli punti di vendita capillarmente distribuiti nelle aree urbanizzate cedono alla loro schiacciante concorrenza, favorita anche da una sempre più accelerata mobilità sul territorio che coinvolge un numero sempre crescente di fasce di popolazione. I locali a piano terra perdono progressivamente la loro destinazione originaria per diventare locali di deposito e, quando possibile, autorimesse. Nelle nuove edificazioni si tende

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a collocare questi spazi di servizio ad un livello seminterrato o addirittura interrato, per consentire un rapporto più diretto con l’esterno dei locali destinati a zona giorno. CASE "IN LINEA" Il tipo in linea nasce da un’evoluzione distributiva del tipo a schiera. L’alloggio tende ad organizzarsi su un solo livello occupando il modulo adiacente per raggiungere una superficie rispondente alle esigenze. Si perde quindi la coincidenza del modulo abitativo con il modulo strutturale e progressivamente perde senso la presenza di un collegamento verticale per ogni modulo, diventando quindi un unico collegamento verticale ogni quattro moduli strutturali che serve due alloggi per piano. La necessità di disporre comunque i vani principali sui due fronti dell’edificio dà luogo alla necessità di un percorso centrale di distribuzione che si configura poi come corridoio e che utilizza la zona intermedia più distante dagli affacci. Si delinea quindi lo schema distributivo classico del tipo “in linea” che, dati i limiti posti dal modulo strutturale, diventa quello di quattro vani principali (2+2) serviti da un corridoio centrale e integrati dai servizi necessari (bagno e ripostiglio). L’introduzione e la diffusione delle strutture e dei collegamenti verticali meccanizzati (ascensori e montacarichi) rendono lo schema “in linea” versatile ed adattabile a diversi modelli edilizi: dalla piccola palazzina con quattro piani fuori terra al grosso “condominio” di 6/7 piani con diversi tagli di alloggi. Caratteristiche delle case a torre

Le case a torre sono dei tipi di condominio con sviluppo verticale nati dalla necessità di diradare nel verde le costruzioni, continuando a mantenere un'alta densità abitativa. Questa moderna soluzione permette di avere una maggiore quantità di suolo pubblico ed appartamenti illuminati ed aerati in modo migliore. Le case a torre hanno un numero minimo di 8 piani e possono superare i 30 metri d'altezza. Anche se ne esistono varie tipologie, sono tutte caratterizzate da elementi comuni. Sono isolate su ogni fronte, hanno alloggi distinti su tutti i piani, sono dotate di almeno un elemento verticale distributivo che contiene ascensore e corpo scale ed hanno un grande sviluppo in altezza. La costruzione a torre è indicata in aree con suolo costoso che richiede il massimo sfruttamento possibile, garantendo comunque adeguate condizioni igieniche, affaccio e soleggiamento per tutti gli appartamenti.

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LE PROIEZIONI ORTOGONALI

Introduzione

Le proiezioni ortogonali rappresentano uno dei tanti metodi propri della geometria descrittiva per rappresentare oggetti, di forma qualunque, mediante un disegno. La geometria Euclidea comprende l'insieme delle teorie matematiche alla base delle relazioni tra gli enti fondamentali della geometria: punto, retta e piano.

La geometria descrittiva tratta invece le relazioni fondamentali che legano le proiezioni degli enti fondamentali della geometria Euclidea: proiezioni di punti, di rette, di piani ecc ...., dello spazio che si vuole rappresentare sul foglio da disegno; relazioni fondamentali sono l'appartenenza, il parallelismo, la perpendicolarità ecc...

La geometria descrittiva ha per scopo proprio lo studio dei diversi metodi con i quali si possono rappresentare, mediante un disegno, oggetti a tre dimensioni su un unico piano, quello del foglio.

Di metodi di rappresentazione se ne possono immaginare infiniti, ma il metodo dovuto a Gaspard Monge, o delle proiezioni ortogonali, è quello che il disegno tecnico ha fatto proprio.

Fig. 1 - La carta geografica è un esempio di proiezione su un piano di una superficie curva con proporzioni alterate.

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Anche la superficie terrestre viene rappresentata con metodi di proiezione ma, poiché la superficie della terra è curva, le reali dimensioni dei continenti sono deformate in modo più o meno marcato quando essi sono rappresentati su un solo piano.

Solo il mappamondo permette una corretta visione in scala della geografia terrestre.

Fig. 2 - Solo il mappamondo permette una corretta visione in scala della geografia terrestre.

- Metodo delle proiezioni ortogonali (o di Monge)

Si definisce proiezione ortogonale di un punto P su un piano p-greco , il punto P1, intersezione tra la retta perpendicolare condotta per P e il piano p-greco.

Fig. 3 - La proiezione ortogonale di una qualunque figura, piana o solida, è la proiezione ortogonale di tutti i punti che la compongono.

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Fig. 4 - Se la figura è parallela al piano di proiezione, la sua proiezione è identica alla figura stessa.

Se la figura è inclinata rispetto al piano di proiezione, la sua proiezione è deformata (nell’esempio riprodotto in fig. 2 i lati A1, B1 e C1, D1 risultano più corti di quelli reali AB e CD).

Anche la proiezione ortogonale di una figura solida è la proiezione di tutti i punti che la compongono.

Per costruire tale proiezione è sufficiente proiettare solo quei vertici e quegli spigoli incontrati dai raggi proiettanti nel loro percorso verso il piano di proiezione. Infatti gli spigoli "in ombra" rispetto ai raggi proiettanti, (come EF in fig. 5), hanno proiezioni interne o al più coincidenti rispetto agli spigoli che impediscono loro di essere "colpiti direttamente" dai raggi proiettanti (DA in figura).

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Fig. 5

La proiezione ortogonale di una figura solida coincide quindi con l’ombra della figura generata da raggi solari perpendicolari (ortogonali) al piano di proiezione.

Il metodo delle proiezioni ortogonali (o di Monge) ha lo scopo di rappresentare sul piano (il foglio da disegno) figure geometriche qualsiasi e comunque disposte nello spazio. Per rappresentare completamente una figura geometrica nello spazio, questo metodo impiega tre piani fondamentali di proiezione perpendicolari tra loro. (fig. 6).

Fig.6 Fig. 7

Per individuarli nella realtà, basta guardare l'angolo in basso a destra della stanza in cui ci troviamo: il piano dei pavimento, il piano della parete di fronte a noi e il piano della parete alla nostra destra corrispondono ai tre piani di proiezione (fig. 7).

Le intersezioni di questi tre piani (delle pareti) rappresentano la terna di assi cartesiani x, y e z di riferimento per le coordinate degli oggetti da rappresentare.

Le proiezioni ortogonali di un oggetto sui tre piani ortogonali del metodo di Monge corrispondono alle proiezioni ortogonali dell'oggetto, immaginato all'interno della stanza e proiettato sui piani del pavimento, della parete di fronte a noi e della parete alla nostra destra.

Ai tre piani fondamentali di proiezione si usa ancora dare il nome di piano orizzontale (PO), piano verticale (PV) e piano laterale (PL). Più propriamente i piani sono identificati dagli assi che li definiscono:

1. piano orizzontale (PO) = piano xy; 2. piano verticale (PV) = piano xz; 3. piano laterale (PL) = piano yz.

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Per poter rappresentare sull'unico piano dei foglio da disegno questi tre piani perpendicolari tra loro e disposti quindi nello spazio, si ricorre al seguente artificio:

a) 1) si fa coincidere il piano verticale con il piano del foglio da disegno; b) 2) si ruota il piano laterale intorno all'asse z di 90' ribaltandolo sul PV; c) 3) si ruota il piano orizzontale intorno all'asse x di 90° ribaltando così

anch'esso sul PV

Fig. 8 Fig. 9

Fig. 10

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Ora i tre piani giacciono tutti sul piano dei foglio da disegno, ma ciascuno conterrà una proiezione diversa della figura geometrica che si vuoi rappresentare (fig. 10).La proiezione ortogonale sul piano xy (PO) prende il nome di vista dall'alto (o prima proiezione o pianta), quella sul piano xz (PV) di vista di fronte (o seconda proiezione o prospetto), quella sul piano yz (PL) di vista da sinistra (o terza proiezione o profilo).

Fig. 11 - Rotazione della terna di assi destrorsa e ribaltamenti dei suoi assi insieme ai piani di proiezione PV, PO e PL sul piano del foglio da disegno.

La posizione degli assi x, y e z, che a prima vista può sembrare un po' inconsueta, è dovuta alla necessaria rotazione nello spazio della terna di assi destrorsa che in tal modo può adattarsi al metodo delle proiezioni ortogonali.

Nota: Si definisce una terna di assi destrorsa associando agli assi le dita della mano destra e precisamente assegnando al pollice la direzione dell'asse x, all'indice quella dell'asse y e al medio quella dell'asse z (fig. 11).

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DISEGNO TECNICO

Il disegno tecnico è una forma di comunicazione tra addetti ai lavori e si occupa di fornire, attraverso i metodi di rappresentazione, dati di misura e di forma utili per la costruzione di manufatti fisici di vario genere.

Si differenzia dagli altri tipi di rappresentazione grafica in quanto ha norme e simbologie (come schemi elettrici, idraulici, elettronici) definite a livello italiano dall'UNI, che fa capo all'ISO.

Il disegno tecnico è una rappresentazione grafica di elementi geometrici presenti nello spazio. Le regole alla base di tutte le rappresentazioni tecniche sono dettate dalla geometria descrittiva, secondo la quale ad ogni singolo segno è associato un significato spaziale.

I disegni meccanici che escono da un ufficio tecnico devono contenere tutte le indicazioni necessarie alla fabbricazione del pezzo o del complessivo rappresentato. Quando si debba progettare un meccanismo o quando, terminata la lavorazione delle sue varie e spesso numerosissime parti, si debba montare il meccanismo stesso, si fa uso dei disegni d'insieme. Questi rappresentano il complessivo, servendosi del numero di viste, unitamente, quando occorra, ad una o più sezioni.

Il compito di fornire tutti gli elementi cui si è accennato è svolto dai disegni di particolari. Questi danno tutte le viste e sezioni necessarie per la completa individuazione della loro esatta forma e misura, corredate perciò dalle quote e tolleranze, dei segni di lavorazione delle varie parti di ogni pezzo, delle indicazioni dei materiali, compresi gli eventuali trattamenti o finiture superficiali cui i materiali devono essere sottoposti.

QUOTATURA

Costituisce l'insieme di tutte le informazioni grafiche ed alfanumeriche necessarie a definire quantitativamente gli elementi e il loro posizionamento. Ogni quota è l'insieme della linea di misura, dei relativi riferimenti e del valore numerico che definisce quantitativamente una dimensione del disegno, generalmente espressa in millimetri. Le quote possono essere distinte in tre categorie:

• Quotatura funzionale • Quotatura non funzionale • Quotatura ausiliare

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Denominazione ed applicazioni dei tipi di linee

I disegni tecnici sono tradizionalmente realizzati su supporto cartaceo, opaco o traslucido (carta da lucidi). Il supporto (foglio da disegno) viene normalmente utilizzato in formati standardizzati contrassegnati con la sigla An, dove n è il numero delle piegature a partire dal formato di base A0. I formati comuni hanno le seguenti dimensioni in millimetri:

• A0: 1189 × 841 • A1: 841 × 594 • A2: 594 × 420 • A3: 420 × 297 • A4: 297 × 210 • A5: 210 × 148,5

I formati più piccoli (A4 e A3) sono normalmente forniti in fogli in risme, mentre i formati più grandi sono forniti in rotoli.

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STRUMENTI DI SCRITTURA

Lo strumento classico per la realizzazione di disegni tecnici è la matita. Normalmente si usano matite di gradazione medio-dura (2H) per le linee fini e medie (HB) per le linee più spesse. Si possono utilizzare sia le tradizionali matite in legno, sia le matite formate da mina e portamina in metallo o plastica. I disegni vengono fatti solo a matita. Per il disegno si utilizzano speciali matite dotate di mine calibrate per le diverse dimensioni delle linee da tracciare. Le matite per la finitura dei disegni o per il trasporto su carta da lucidi (lucidatura) possono essere sia ricaricabili sia di tipo "usa e getta". In entrambi i casi devono essere di tipo adatto al disegno tecnico sia per quanto riguarda il diametro della matita. Per la cancellazione degli errori e delle linee di costruzioni si usano gomme da matita , o eventualmente lamette o graffietti per i tratti di mina più resistenti.

Disegno tecnico 2D e 3D

Il disegno tecnico può essere bidimensionale (2D) e tridimensionale (3D).

I metodi di rappresentazione bidimensionali rappresentano un oggetto nelle sue diverse viste (alto, laterale, di fronte), dette anche proiezioni ortogonali.

I metodi di rappresentazione tridimensionali permettono invece la visualizzazione completa e in un unico momento dell'oggetto nella sua forma e massa.

Da non confondersi sono la modellazione tridimensionale (strumento di progettazione) e il disegno bidimensionale (strumento di documentazione di prodotto). Quest'ultimo è un mezzo di comunicazione di concetti, dati e informazioni tecniche fruibili da chiunque abbia minime basi di disegno tecnico come ad esempio il tecnico di officina che deve costruire fisicamente il pezzo, i tecnici progettisti che devono modificarlo o l'ufficio acquisti che deve ordinare i semilavorati. Profondamente diversa, la modellazione tridimensionale è un ottimo strumento di lavoro ma non di comunicazione come dimostra il fatto che non esistono unificazioni sull'indicazione di quote, tolleranze di lavorazione, finiture superficiali, sezioni e altre prescrizioni su un modello solido tridimensionale mentre esistono da sempre per i disegni bidimensionali.

Tra i metodi di rappresentazione 3D si annoverano:

• le assonometrie • la proiezione centrale • le rappresentazioni prospettiche.

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Le tecniche di rappresentazione grafica si basano sul concetto di proiezione dell'oggetto su immaginari piani riceventi, i quali, a seconda della posizione e della rotazione dei loro angoli d'intersezione, restituiscono l'immagine finale.

Campi di applicazione

Il disegno tecnico è impiegato in architettura e in ingegneria, per la rappresentazione delle creazioni progettuali. Nell'ambito dell'architettura è rivolto alla rappresentazione degli elementi costitutivi di un edificio, quali ad esempio:

• disposizione fondamenta • strutture dimensionate secondo calcoli statici • murature e disposizione tramezzi all'interno di spazi interni • disposizione arredi e progettazione di ambienti esterni, recinzioni e giardini.

All'interno della progettazione ingegneristica, il disegno tecnico è rivolto alla rappresentazione grafica di strutture e impianti tecnologici dimensionati sulla base dei calcoli di progetto eseguiti.

Il disegno tecnico per scopi ingegneristici si suddivide in quattro tipologie: preliminare, definitivo, esecutivo e as-built.

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CAD

CAD, in informatica, è un acronimo inglese usato per indicare due concetti correlati, ma differenti:

• Computer-Aided Drafting, cioè "disegno tecnico assistito dall'elaboratore": in tale accezione indica il settore dell'informatica volto all'utilizzo di tecnologie software e specificamente della computer grafica per supportare l'attività di disegno tecnico (drafting). I sistemi di Computer Aided Drafting hanno come obiettivo la creazione di un modello, tipicamente 2D, del disegno tecnico che descrive il manufatto, non del manufatto stesso. Ad esempio, un sistema Computer Aided Drafting può essere impiegato da un progettista nella creazione di una serie di disegni tecnici (in proiezione ortogonale, in sezione, in assonometria, in esploso) finalizzati alla costruzione di un motore;

• Computer-Aided Design, cioè "progettazione assistita dall'elaboratore": in questa accezione, la più comune, CAD indica il settore dell'informatica volto all'utilizzo di tecnologie software e in particolare della computer grafica per supportare l'attività di progettazione (design) di manufatti sia virtuali che reali. I sistemi di Computer Aided Design hanno come obiettivo la creazione di modelli, soprattutto 3D, del manufatto. Ad esempio, un sistema Computer Aided Design può essere impiegato da un progettista meccanico nella creazione di un modello 3D di un motore. Se viene realizzato un modello 3D, esso può essere utilizzato per calcoli quali analisi statiche, dinamiche e strutturali ed in tal caso si parla di Computer Aided Engineering (CAE), disciplina più vasta di cui il CAD costituisce il sottoinsieme di azioni e strumenti volti alla realizzazione puramente geometrica del modello.

Categorie di CAD

I sistemi CAD possono essere classificati secondo differenti criteri. Guardando all'estensione del dominio, inteso come campo di utilizzo, si può distinguere tra:

Sistemi CAD orizzontali Si tratta di sistemi CAD aventi un dominio molto ampio, utilizzabili con successo in contesti applicativi differenti, come ad esempio progettazione architettonica e quella meccanica. I comandi offerti da questi sistemi sono indipendenti da uno specifico contesto applicativo. Si avranno pertanto comandi come traccia-linea senza alcuna nozione se la linea rappresenta una parete di un edificio o lo spigolo di un supporto metallico.

Sistemi CAD verticali

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Si tratta di sistemi con dominio ristretto, orientati ad un particolare contesto applicativo, con comandi e funzionalità specifici per quel contesto. Ad esempio, un sistema CAD verticale per la progettazione di interni offrirà comandi per creare e posizionare differenti tipi di pareti e collocarvi porte e finestre. I CAD orientati all'ambito industriale e in special modo alle costruzioni meccaniche in senso lato vengono indicati come Mcad.

Una classificazione alternativa, molto utilizzata in ambito commerciale, suddivide i sistemi CAD in tre fasce principali sulla base di prezzo e funzionalità:

Sistemi di fascia bassa Sono sistemi CAD tipicamente limitati al disegno 2D, venduti a prezzo contenuto (indicativamente inferiore ai 300€) e rivolti ad utenti occasionali o non professionisti.

Sistemi di fascia medio-bassa Sono sistemi CAD tipicamente limitati al disegno 2D, integrano vari moduli e permettono di gestire proprietà del disegno, venduti a prezzo contenuto (indicativamente inferiore ai 1500€) e rivolti a professionisti artigiani, piccole aziende, impiantisti e tutti coloro che non fanno della progettazione il proprio "core business".

Sistemi di fascia media Sono sistemi CAD che integrano il disegno 2D con la modellazione 3D, venduti ad un prezzo medio (indicativamente inferiore ai 5000€). Questi sistemi sono usualmente rivolti a piccole o medie aziende e a professionisti, e vengono spesso integrati con moduli "verticali", cioè particolarmente adatti alla velocizzazione dei compiti giornalieri. Spesso sono integrati inoltre con una suite di strumenti come il PDM per la gestione dei dati riguardanti i prodotti progettati (Product Lifecycle Management).

Sistemi di fascia alta Sono sistemi CAD complessi che integrano la modellazione 3D con il disegno 2D, e offrono una gestione avanzata dei dati supportando processi aziendali che si estendono ben oltre l'ufficio tecnico. Hanno costi elevati e sono tipicamente utilizzati dalle medie e grandi aziende, come per i sistemi di fascia media, anche con un PDM.

Pressoché tutti i sistemi CAD possono essere personalizzati ed estesi al fine di migliorare la produttività dei progettisti e la qualità e dei progetti. Le principali modalità per estendere un sistema CAD sono:

Librerie Collezioni di modelli di oggetti e simboli da utilizzare nel progetto. Per esempio, un CAD per arredatori può contenere una libreria di mobili. Ogni

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mobile può essere copiato dalla libreria e posizionato nel progetto di un arredamento.

Macro Comandi ottenuti componendo comandi più semplici tramite un linguaggio di programmazione. Per esempio, in un sistema CAD 2D per fornire la funzione di disegno di muri, una macro può chiedere all'utente di inserire il punto iniziale, il punto finale e lo spessore del muro, e inserire automaticamente nel modello due linee parallele che rappresentano il muro.

Verticalizzazioni I CAD, in particolare quelli di alte fasce, possono gestire proprietà ed informazioni dei progetti ottenuti per personalizzarli, presentarli con video o immagini (rendering), oppure per calcolarne le proprietà fisiche e geometriche (analisi di interferenze, simulazioni dinamiche, analisi agli elementi finiti -f.e.m.- ecc.) integrandosi con strumenti CAE (Computer-aided engineering).

Settori correlati

Settori correlati con il CAD sono il Computer-Aided Manufacturing (CAM), il Computer-Aided Engineering (CAE), Computer Aided Facility Management (CAFM) e il Sistema Informativo Geografico (GIS).

I modelli generati con un pacchetto di CAD possono essere importati:

• In un sistema CAM, per generare le istruzioni per la macchina utensile atte a produrre il modello disegnato. Alternativamente, è possibile utilizzare un sistema CAD/CAM, che integra le funzioni di CAD con quelle di CAM.

• In un sistema CAE, per eseguire i calcoli tecnici per validare e ottimizzare il progetto. Alternativamente, è possibile utilizzare un sistema CAD/CAE, che integra le funzioni di CAD con quelle di CAE.

• In un sistema GIS, per arricchirne la cartografia. • In un sistema CAFM, per censire, analizzare e riorganizzare il patrimonio

immobiliare.

Hardware per il CAD

In passato esistevano computer e periferiche progettate appositamente per il CAD: schermi grafici, plotter, e dispositivi di puntamento.

Oggi, invece, la tecnologia CAD riguarda quasi esclusivamente il software, con l'eccezione delle tavolette grafiche. Per essere utilizzato con un sistema CAD, un computer deve disporre un dispositivo di puntamento (come un mouse), uno schermo a colori ad alta risoluzione e una scheda grafica dotata di coprocessore grafico (Graphics Processing Unit). Questi requisiti sono oggi comuni a molti altri ambiti applicativi.

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Settori d'impiego

• Architettura, urbanistica, ingegneria civile: progettazione di costruzioni. • Arredamento: progettazione di interni. • Elettrotecnica e meccanica: progettazione di apparecchi elettrici o meccanici. • Industrial design: progettazione di oggetti di consumo, come mobili o attrezzi

casalinghi, recentemente anche abbigliamento. • Impiantistica: progettazioni di tubazioni cablaggi e impianti di

condizionamento. • Elettronica: progettazione di circuiti elettronici, a livello di schema elettrico, di

circuito integrato, di circuito stampato, o di intero sistema.

Storia

Probabilmente, l'antenato dei sistemi di CAD è stato il sistema Sketchpad sviluppato al Massachusetts Institute of Technology nel 1963 da parte di Ivan Sutherland. Si trattava di un sistema sperimentale che consentiva al progettista di disegnare su un monitor a raggi catodici con una penna ottica.

Le prime applicazioni commerciali del CAD si ebbero negli anni 1970 in grandi aziende elettroniche, automobilistiche, aerospaziali e navali. Venivano impiegati computer mainframe e terminali grafici vettoriali. Questi ultimi sono monitor a raggi catodici il cui pennello elettronico, invece di scandire lo schermo come nei televisori, viene controllato dal computer in modo da tracciare le linee.

Negli anni 1980 vennero sviluppati sistemi CAD per microcomputer con monitor a grafica raster, cioè basate su frame buffer. Tali sistemi erano ancora o molto limitati o molto costosi, e comunque molto difficili da usare, per cui venivano usati solo da aziende medio-grandi o da professionisti, essendo questi strumenti tecnologicamente sofisticati.

Negli anni 1990 la semplificazione nell'uso del computer dovuto alla diffusione delle interfacce utente grafiche e l'abbassamento dei costi dell'hardware hanno reso i sistemi CAD alla portata di tutti i professionisti.

Funzionalità Principali dei Sistemi CAD 2D

I sistemi CAD per il disegno 2D offrono un insieme di comandi che, benché presentati all'utente con interfacce e nomi differenti da un sistema all'altro, sono riconducibili ad un nucleo comune. Molte di queste sono in realtà funzioni offerte anche dai sistemi CAD che operano in tre dimensioni.

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Disegno

I sistemi per il disegno offrono comandi per il disegno di elementi grafici elementari e comandi più potenti che consentono al disegnatore di realizzare con rapidità elementi grafici più complessi. Questi comandi sono usualmente potenziati dall'abbinamento con modalità operative basate su sistemi di riferimento alternativi e dalla riferibilità di punti notevoli.

Disegno di entità grafiche elementari Questi sono i mattoni di costruzione che il sistema CAD e l'utente utilizzano per costruire disegni 2D, dai più semplici ai più complessi. In tutti i sistemi CAD 2D sono presenti comandi per il disegno di semplici geometrie quali linea, segmento, arco, circonferenza, ecc.

Disegno di entità grafiche composte Sono usualmente disponibili comandi di alto livello per la rapida realizzazione di strutture grafiche più complesse come poligoni regolari di n lati inscritti o circoscritti ad un cerchio, rette perpendicolari, parallele o bisettrici, raccordi, quote, ecc. Particolare attenzione viene posta dagli sviluppatori di sistemi CAD nella implementazione delle funzionalità di quotatura. I disegnatori sono molto esigenti e richiedono comandi per la quotatura che siano di facile utilizzo e al contempo fortemente personalizzabili così da adattarsi a norme, gusti estetici ed esigenze di ciascun utente o gruppo di utenti.

Utilizzo di sistemi di coordinate definiti dall'utente Nella realizzazione di un disegno è fondamentale l'utilizzo di sistemi di coordinate alternativi come ad esempio coordinate cartesiane relative, coordinate polari, distanze da altre geometrie, ecc. Meno importante, nei sistemi 2D, è la creazione di coppie / terne cartesiane poste in vari punti del disegno ed attuabili dall'utente con il corrispondente sistema di riferimento. Nei sistemi CAD 3D, questa stessa funzionalità è considerata irrinunciabile in quanto consente al disegnatore di operare su un piano di lavoro liberamente posizionato nello spazio oppure coincidente con una faccia preesistente.

Punti notevoli Si tratta di comandi che abilitano la selezione di punti che sono univocamente individuabili sul disegno pur non essendo rappresentati esplicitamente in memoria come entità geometriche. Ad esempio, il punto medio di un segmento pur non essendo rappresentato e memorizzato dal sistema CAD come entità geometrica può essere riferito come centro nella procedura di costruzione di una circonferenza. La selezione di punti notevoli rende più veloce ed estremamente precisa la realizzazione di un disegno. Esempi di punti notevoli sono:

• il centro di circonferenze ed archi • gli estremi di un segmenti e archi • i punti medi di segmenti e archi

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• l'intersezione di segmenti ad archi.

I comandi per la selezione di punti notevoli non sempre sono invocati direttamente dall'utente, possono essere attivati automaticamente dal sistema CAD in corrispondenza di altri comandi che richiedono l'acquisizione di punti e/o vertici.

Attributi grafici Per ricreare a schermo la grande varietà di linee utilizzate dal disegno tecnico i sistemi CAD consentono di selezionare gli attributi di tracciamento di ciascuna entità grafica, sia essa un segmento, un arco, o altro. Usualmente il tipo di tratto (continuo, tratteggiato, ecc.) viene visualizzato direttamente sullo schermo, mentre il differente spessore delle linee viene usualmente rappresentato graficamente sullo schermo utilizzando linee di spessore uniforme ma di colori differenti. La corrispondenza tra colore e spessore viene ripristinata al momento della stampa.

Strutturazione del disegno

I sistemi CAD non si limitano alla sola automatizzazione delle attività tradizionali del disegno ma offrono anche funzionalità di strutturazione del disegno possibili solo con l'ausilio di strumenti informatici. Il disegno, pertanto, cessa di essere un insieme uniforme di entità grafiche per divenire una struttura anche complessa di aggregazioni di entità arricchite di attributi grafici e del contesto applicativo, come ad esempio materiali, note di lavorazione, costi, ecc. Queste funzionalità vengono proposte all'utente del sistema CAD come funzionalità supplementari: egli è responsabile di deciderne il migliore utilizzo in funzione delle proprie esigenze e delle modalità di lavoro dell'ambiente professionale in cui opera. I principali strumenti di strutturazione del disegno offerti dai attuali sistemi CAD sono i seguenti:

Strutturazione in livelli (layer) Il disegno, tipicamente 2D, può essere strutturato con la creazione di strutture orizzontali corrispondenti ad insiemi logici di entità grafiche. Ad esempio, in un progetto di ingegneria civile si collocano su livelli distinti: pianta dell'edificio, rete idrica, rete elettrica, rete idraulica, ecc. Ciascuno strato o livello (layer) raggruppa entità affini ma non necessariamente appartenenti allo stesso componente dell'oggetto. I livelli sono gestiti con meccanismi che consentono di controllarne la visibilità individuale come se si trattasse di fogli trasparenti sovrapponibili.

Strutturazione in gruppi Un'altra tecnica di strutturazione del disegno, non necessariamente alternativa ai livelli, consiste nel riunire le entità grafiche in gruppi sulla base di affinità funzionali o in base all'appartenenza ad un medesimo componente dell'oggetto. L'operazione di raggruppamento può essere iterata a comporre gruppi di gruppi. Questo comando consente di ricreare nel disegno la strutturazione

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tipica di un assemblato di oggetti reali, in cui ogni parte appartiene ad un sotto-assieme che a sua volta si colloca in un insieme più ampio.

Referenziazione (simboli, blocchi) Un'altra tecnica di strutturazione consiste nell'inserimento nel disegno di riferimenti a componenti (simboli) definiti esternamente al disegno stesso e comunque modificabili separatamente da questo. Nel disegno, ciascun riferimento che rimanda ad un simbolo in libreria è detto istanza del simbolo. Con questa tecnica è possibile inserire nel disegno dei particolari standardizzati, usualmente definiti in una libreria esterna, in cui ciascuna istanza è posizionata e visualizzata come entità grafica indipendente, con la certezza dell'assoluta corrispondenza di ciascuna istanza con la descrizione primaria presente in libreria. Mentre è impossibile modificare singolarmente l'istanza di un simbolo, se non nei suoi parametri di posizionamento e scalatura, qualora si volessero modificare tutte le istanze è sufficiente modificare l'elemento originale ottenendo una propagazione automatica a tutte le istanze.

Modifica del disegno

Uno dei più evidenti vantaggi nell'utilizzo di un sistema CAD rispetto all'impiego di tecniche tradizionali, consiste nella grande facilità e rapidità con cui è possibile modificare, anche in modo radicale un disegno per correggerlo o per creare una versione. Le principali funzionalità di modifica del disegno sono:

Cancellazione di entità Tutti i sistemi CAD consentono di cancellare le entità grafiche del disegno selezionandole individualmente, selezionando tutte le entità racchiuse in una certa area rettangolare, oppure agendo per categorie (ad esempio, tutti i segmenti gialli) o per strutture (ad esempio, tutte le entità del livello 25).

Modifica degli attributi di una entità A volte modificare un disegno significa cambiare gli attributi grafici, come colore o tipo di linea, di alcune entità grafiche. Nei disegni strutturati è anche possibile portare una o più entità da un gruppo o da un livello ad un altro oppure modificare gli attributi grafici di tutte le entità appartenenti ad uno stesso gruppo oppure residenti su uno stesso layer.

Trasformazione Tutte le entità grafiche e gli insiemi di entità possono essere modificati con opportune trasformazioni. Sono usualmente disponibili le consuete trasformazioni lineari di scalatura, traslazione, rotazione, specularità e le combinazioni di queste. Le modalità con cui queste trasformazioni sono rese disponibili all'utente possono essere le più varie.

Riorganizzazione della tavola Utilizzando le funzionalità di trasformazione una tavola può essere rapidamente riordinata o modificata ad esempio, per ospitare una nuova vista.

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In queste operazioni il disegnatore è spesso supportato dalla presenza di più viste a diversi livelli di zoom; si concilia così l'esigenza di effettuare operazioni localmente molto precise conservando una visione globale della tavola. Un'altra possibilità di riorganizzazione della tavola consiste nella modifica di livelli o gruppi, per ottenere una strutturazione meglio aderente alle esigenze del disegnatore ed alle caratteristiche strutturali e funzionali dell'oggetto.

Gestione di parti ricorrenti

L'utente di un sistema CAD può velocizzare in modo significativo il proprio lavoro creando degli speciali archivi, detti librerie, in cui raccogliere i disegni o i particolari di utilizzo più frequente. Questa possibilità fornisce un reale riscontro in termini di benefici economici e qualitativi solo se il disegnatore opera in un contesto regolamentato da precise norme ed è supportato da un'adeguata organizzazione nonché dalla disponibilità di sufficienti risorse.

Librerie di normalizzati L'accesso ad archivi o librerie di parti normalizzate, disponibili in più viste e in vari formati e direttamente inseribili nel disegno, consente di realizzare con rapidità e precisione anche tavole molto complesse. Le librerie di normalizzati sono realizzabili direttamente dal disegnatore oppure possono essere acquistate dal produttore del sistema CAD o da terze parti.

Librerie di parti ricorrenti Queste librerie, del tutto analoghe alle librerie di normalizzati, sono specifiche di ciascuno studio di progettazione e pertanto sono costruite direttamente dai singoli utenti. In queste librerie si accumula un patrimonio di disegni che rappresentano parti o sotto-parti ricorrenti archiviate e catalogate in un formato che le rende facilmente reperibili e riutilizzabili con evidenti vantaggi in termini di produttività.

Riutilizzo di disegni La possibilità di duplicare disegni esistenti per generare nuovi disegni mediante opportune cancellazioni e modifiche costituisce un'altra utile possibilità di utilizzo dei sistemi CAD in particolare qualora il disegnatore si trovi a realizzare disegni che presentano forti similarità con tavole prodotte in precedenza.

Interrogazione del disegno

Il disegno creato con un sistema CAD deve essere utilizzabile non solo come rappresentazione grafica ma anche sorgente di informazione sul progetto. È importante che sia consentito l'accesso a tutta l'informazione contenuta nel disegno, sia essa in forma esplicita o implicita. Le informazioni estraibili da un modello 2D sono limitate, soprattutto se paragonate alle informazioni estraibili da un modello 3D che rappresenta il medesimo pezzo. Un modello 2D di un ingranaggio può contenere

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tutte le informazioni necessarie alla manifattura della ruota, ma solamente un modello 3D del medesimo ingranaggio potrà essere interrogato per estrarre informazioni circa il volume, il baricentro, ecc. Le funzionalità di interrogazione del modello CAD sono indispensabili, ad esempio, per la generazione di programmi di lavorazione per la produzione del pezzo con una macchina utensile a controllo numerico. Le principali classi di interrogazione supportate dai sistemi di disegno sono:

Interrogazione della geometria

Tutti i sistemi CAD orientati al disegno offrono la possibilità di conoscere, per le entità grafiche nel disegno, angoli, lunghezze, distanze, raggi, coordinate, ecc., anche se non definiti esplicitamente. Ad esempio è possibile costruire una circonferenza con tre vincoli di tangenza ed una volta tracciata richiedere al sistema CAD di conoscere il valore del raggio o del diametro. Alcuni sistemi CAD offrono il calcolo automatico di aree definite da profili chiusi. Questa funzionalità può essere di rilievo non solo per il disegnatore ma anche per il progettista.

Stima dei costi e della complessità Le capacità di interrogazione del modello possono essere utilizzate per automatizzare alcune attività, come, ad esempio, per calcolare una stima dei costi di produzione dell'oggetto e generare automaticamente la distinta base con il conteggio dei componenti presenti e della loro numerosità.

Accesso esterno al modello Può essere considerata una forma di interrogazione anche la possibilità di accedere a tutte le informazioni contenute nel modello CAD per mezzo di programmi esterni realizzati dagli stessi utenti. A questo scopo numerosi sistemi CAD offrono delle interfacce di programmazione dette API (Application Programming Interface). Utilizzando queste interfacce un programmatore può accedere a tutte le funzionalità del sistema CAD oppure ad un suo sotto insieme per mezzo di chiamate a funzioni nel contesto di un programma scritto in un linguaggio di programmazione.

Automatizzazione di attività ripetitive

La realizzazione di un disegno comprende operazioni particolarmente ripetitive e tediose che possono essere facilmente automatizzabili da semplici programmi. I sistemi CAD offrono alcuni comandi che consentono di sgravare il disegnatore dall'esecuzione di queste parti limitandone l'intervento umano all'impostazione di pochi parametri iniziali. Le attività più comunemente automatizzate sono:

Campiture

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Tutti i sistemi CAD offrono adeguati comandi per campire automaticamente un profilo chiuso con un tipo di campitura selezionato o definito dall'utente. L'intervento del disegnatore si limita alla selezione del profilo ed alla scelta o definizione del tipo di campitura.

Pattern ad Array Un'altra attività ripetitiva è il disegno di motivi circolari o rettangolari di elementi costanti come, ad esempio, la sequenza di fori posti circolarmente su una flangia. I sistemi CAD sono in grado di posizionare automaticamente questi elementi ricorrenti, richiedendo al disegnatore la selezione dell'elemento ripetuto e le regole che governano il posizionamento.

Quotatura associativa Alcuni sistemi supportano la creazione di quote legate dinamicamente ad entità geometriche, con aggiornamento automatico di posizione e valore al variare delle entità quotate. Queste quote, dette associative, contribuiscono a velocizzare la produzione di disegni soggetti a frequenti modifiche o riutilizzati nella generazione di varianti.

Gestione di archivi

Un aspetto, spesso sottovalutato, dell'utilizzo dei sistemi CAD sono le funzionalità di archiviazione dei disegni. Queste funzionalità frequentemente sono presenti nel sistema CAD solo con implementazioni essenziali. Versioni più estese sono disponibili mediante moduli software esterni. Con questi strumenti è possibile organizzare gli archivi così da consentire un accesso rapido ed organizzato al patrimonio di disegni di ciascuno studio di progettazione o ufficio tecnico. Le funzioni offerte dagli strumenti di archiviazione sono:

Memorizzazione La memorizzazione di disegni, o documenti tecnici, su supporto magnetico oppure ottico, è una funzionalità di base. Alcuni sistemi consentono la semplice creazione di un file lasciando all'utente la responsabilità di organizzare da sé la gestione dell'archivio di disegni. Altri sistemi, ad un livello maggiore di integrazione, gestiscono il disegno nel contesto di una base dati; il sistema gestisce i permessi e le modalità di accesso e di riferimento al disegno, organizzando automaticamente le versioni successive e predisponendo i meccanismi di condivisione tra più utenti e di accesi multipli contemporanei. Questi archivi strutturati sono solitamente abbinati a strumenti informatici di navigazione per il reperimento rapido delle tavole e delle informazioni ad esse associate. Queste funzionalità consentono di utilizzare in modo produttivo il patrimonio di disegni esistenti e di ridurre in modo significativo lo spazio richiesto rispetto a quello richiesto dalle tecniche tradizionali di archiviazione.

Classificazione La classificazione semiautomatica delle tavole con associazione di documenti ausiliari relativi alla documentazione tecnica, come la distinta base, consente di

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automatizzare e razionalizzare i meccanismi di archiviazione garantendo una reale reperibilità dei documenti.

Trasporto I documenti, o disegni, in forma digitale possono essere inviati in luoghi diversi da quello originale in tempi ridottissimi e con degrado della qualità nullo. Le tavole possono essere inviate localmente da un ufficio ad un altro o da un edificio ad un altro in tempo reale utilizzando le reti locali di elaboratori (LAN) mentre possono essere inviate da una differente località geografica via internet.

Interscambio dati

La possibilità di scambiare dati tra sistemi CAD diversi e tra sistemi CAD e sistemi per il CAM (Computer Aided Manufacturing), costituisce un elemento fondamentale nella valutazione delle funzionalità di un sistema. Per lo scambio di dati tra sistemi diversi, sono percorribili due strade alternative: realizzare un convertitore da ciascun sistema CAD verso tutti gli altri sistemi CAD esistenti oppure concordare un formato dati neutrale e realizzare, per ciascun sistema CAD, due convertitori: uno in grado di convertire i dati dalla rappresentazione interna nel formato neutrale ed uno in grado di convertire il formato neutrale nella rappresentazione interna del sistema. Risulta evidente l'economicità della seconda soluzione rispetto alla prima. Numerosi formati neutrali di dati sono stati proposti nel corso degli anni ma nessuno di essi si è imposto con una diffusione sufficiente sugli altri. Attualmente sono utilizzati alcuni formati definiti da standard ufficiali, come IGES, VDA-FS, STEP, ecc., ed altri standard definiti da standard de facto come il formato DXF. Alcuni produttori di CAD utilizzano anche il formato PDF. Fra i nuovi formati in via di affermazione, soprattutto per lo scambio di modelli 3D con le informazioni grafiche e numeriche vi è il formato IFC.[1] Le funzionalità offerte dall'impiego di questi formati di dati consentono al sistema CAD di:

Scambiare informazioni con altri sistemi CAD Questo scambio può avvenire per molteplici motivi: passaggio ad un sistema più evoluto o di altro produttore, scambio dati di progetto con fornitori, utilizzo di ambienti di progettazione multi fornitore, ecc.

Scambiare informazioni con strumenti per la documentazione tecnica Diviene sempre più sentita l'esigenza di riversare i modelli prodotti dalla progettazioni verso strumenti per la produzione di documentazione tecnica automatizzando in questo modo la produzione di illustrazioni, schemi, ecc. Questo tipo di scambio non richiede una precisione particolare, come è invece per altri casi: infatti attualmente si utilizzano strumenti non specifici e spesso approssimati.

Scambiare informazioni con strumenti di analisi e verifica

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Anche il trasferimento in tempi rapidi di un modello CAD a strumenti per l'analisi strutturale o per il calcolo di altro tipo è divenuta una esigenza molto sentita dai progettisti.

Scambiare informazioni con sistemi CAM Questo è un punto fondamentale, infatti i sistemi CAM devono poter operare su dati di massima precisione e con tempi di scambio molto contenuti. Con una fedele conversione dei dati si pongono i presupposti per una corretta esecuzione della lavorazione a controllo numerico.

Personalizzazione dell'ambiente

Non è possibile produrre dei sistemi CAD che soddisfino perfettamente le esigenze specifiche ed i gusti di tutti i potenziali utenti. Per questa ragione ciascun sistema offre agli utenti la possibilità di modificare sia le modalità di interazione che lo stile del disegno. Il livello di configurabilità varia da sistema a sistema. Questa funzionalità viene sempre più considerata una caratteristica irrinunciabile. Le principali possibilità di configurazione o personalizzazione sono:

Configurazione dei parametri generali del sistema Con la scelta di opportuni valori per i parametri di sistema, è possibile adattare le modalità di interazione e l'aspetto del sistema ai gusti dell'utente limitatamente alle caratteristiche configurabili dal sistema utilizzato. Ad esempio è possibile associare comandi di uso frequente a combinazioni di tasti o posizionare le corrispondenti icone in zone rapidamente accessibili dello schermo.

Configurazione dello stile Con la selezione di opportuni valori per i parametri utente, è possibile adattare lo stile di disegno adottato dal sistema CAD alle preferenze del disegnatore ed alle convenzioni interne di uno specifico studio di progettazione o ufficio tecnico. Si possono ad esempio configurare i parametri relativi allo stile di quotatura, allo stile dei testi, al cartiglio standard, ecc.

Integrazione con moduli specializzati Tutti i sistemi CAD sono estendibili fornendo al disegnatore, entro il sistema stesso, l'accesso a moduli specializzati, usualmente realizzati da terze parti, per contesti applicativi specifici. Ad esempio, un disegnatore di impianti elettrotecnici potrà acquisire un modulo per la verifica automatica di alcune caratteristiche dell'impianto progettato, integrato nel sistema CAD.

Programmazione di funzioni specifiche Per esigenze specifiche del singolo disegnatore o dello studio di progettazione, i sistemi CAD offrono la possibilità di estendere l'insieme dei comandi con opportuni programmi, detti comunemente macro, codificati direttamente dagli utenti o acquistati da terze parti. Questa possibilità, pur essendo teoricamente molto interessante, si scontra con la difficoltà che gli utenti, progettisti e

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disegnatori, incontrano nell'utilizzo dei linguaggi di programmazione, gli unici strumenti per accedere a questa capacità di potenziamento del sistema CAD.

Visualizzazione

L'attuale dimensione degli schermi per computer non è in alcun modo paragonabile alla dimensione di un tecnigrafo oppure di un foglio di formato A0; pertanto i sistemi CAD sono costretti ad offrire modalità alternative per la visualizzazione dei disegni. Le funzionalità essenziali di visualizzazione, nei sistemi 2D, sono analoghe a quello che potremmo ottenere osservando un foglio da disegno con una macchina fotografica o con una telecamera: operando sull'obiettivo si può ingrandire o rimpicciolire a piacere il disegno passando da una visione globale dell'intero disegno ad una visione locale di una sua sottoparte; inoltre spostando orizzontalmente o verticalmente la telecamera è possibile variare l'area del disegno inquadrata. Si noti che si tratta di funzioni di visualizzazione, cioè di funzioni che modificano la vista del disegno e non il disegno. Le principali funzionalità per il controllo della visibilità sono:

Zoom L'utente del sistema CAD può ingrandire o rimpicciolire a piacere parte o tutto il disegno senza per questo perdere in precisione sia nell'immagine che appare sul video che nel risultato prodotto dai comandi impartiti al sistema.

Pan Con questo termine si intende generalmente l'insieme di funzioni che consento all'utente del sistema CAD di muovere orizzontalmente e/o verticalmente la telecamera virtuale con cui osserva il disegno ad inquadrare i vari dettagli. Le possibili modalità operative con cui questa funzione è resa disponibile all'utente sono molto varie:

• barre di scorrimento (scroll bar) poste ai lati dell'area di visualizzazione • utilizzo di comandi impartiti da tastiera o di tasti funzionali (FrecciaSu,

FrecciaGiú, ecc.) • trascinamento (drag) del disegno direttamente con il dispositivo di

puntamento (mouse).

Viste multiple Alcuni sistemi CAD 2D, offrono al disegnatore l'opportunità di operare contemporaneamente sul medesimo modello da due viste differenti, usualmente corrispondenti a due finestre grafiche. Questa modalità operativa consente di controllare agevolmente parti del disegno poste a volte in punti molto distanti del medesimo foglio e che pertanto richiederebbero l'impiego di un fattore di zoom inaccettabile per essere inquadrati contemporaneamente su un unico schermo.

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Disegni multipli In numerosi sistemi CAD, il disegnatore può operare contemporaneamente su più disegni, usualmente posti su finestre distinte, effettuando operazioni di copia e incolla da un disegno ad un altro. Questa è una funzionalità diffusasi solo recentemente e che consente una significativa velocizzazione delle attività di integrazione di più disegni e di modifica in generale.

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LE ASSONOMETRIE

Il nome Assonometria deriva dal greco áxon (asse) e métro (misura); si tratta di un sistema di rappresentazione grafico geometrico basato sulla rappresentazione tridimensionale di un oggetto avendo cura di misurare le sue dimensioni su tre assi disposti tra di loro ortogonalmente.

Cenni Storici

L’assonometria fu utilizzata per la prima volta come strumento da disegno dal francese Gaspard Monge alla fine del Settecento e a lui, ovviamente, si attribuisce tale innovazione nel campo del disegno tecnico.

Si trovano tracce di assonometria, sin dai tempi della Magna Grecia, anche se a quell’epoca, non si trattava di una vera e propria tecnica, ma di rappresentazioni sporadiche e intuitive. Solo nel ‘700, l’assonometria diventa tecnica rappresentativa in quanto codificata scientificamente.

I primi scritti sull’argomento sono rintracciabili nell’opera del grande matematico francese Girard Desargues anche se la codifica di questo metodo è sicuramente di un periodo di molto successivo. Il vero problema fu l’imporsi della tecnica della prospettiva; il successo di tale tecnica, fu talmente dirompente da riuscire a modificare il modo di pensare e vedere lo spazio. In virtù di ciò, neanche gli studiosi matematici riuscirono a percepire con sufficiente chiarezza l’esistenza di un modello di rappresentazione tridimensionale diverso da quello prospettico.

Il maggiore sviluppo lo si è avuto in campo militare e industriale. L’assonometria, infatti, è portatrice di evidenti vantaggi rappresentativi. Comprensione immediata dell’oggetto rappresentato, possibilità di misurarlo direttamente sul foglio di carta senza dover compiere un’operazione inversa come nella prospettiva. Questi fattori, durante il periodo della rivoluzione industriale e nel momento in cui la produzione in serie divenne un processo standardizzato, sono diventati ancora più evidenti, dando un’ulteriore spinta allo sviluppo di questa tecnica grafica.

LA TECNICA Per comprendere l’assonometria bisogna prima chiarire alcuni concetti base. Il primo elemento da comprendere è il cosiddetto sistema di riferimento tridimensionale, ossia l’insieme degli elementi utilizzati per posizionare un oggetto nello spazio. Esistono differenti sistemi di riferimento, quello cilindrico, quello sferico, quello

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polare, ma quello più utilizzato e quello a cui faremo riferimento noi, è quello cartesiano. Questo è costituito da tre rette (X, Y, Z) passanti per un punto, definite assi cartesiani, caratterizzate ognuna da un verso di percorrenza; se le tre rette sono tra loro perpendicolari il sistema di riferimento si chiamerà ortogonale altrimenti prenderà il nome di obliquo. Inoltre, a seconda delle riduzioni delle misure dell’oggetto che facciamo sulle tre rette del sistema di riferimento (unità di misura), un’assonometria può essere denominata isometrica (o monometrica), dimetrica oppure trimetrica.

Assi cartesiani ortogonali

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Sistema di riferimento ortogonale

Il principio che sta alla base dell’assonometria è la proiezione di un oggetto geometrico su un piano, detto piano di proiezione o quadro, lungo una direzione determinata da un punto improprio, detto centro di proiezione. Quindi, l’oggetto sta sempre tra l’osservatore e il piano di proiezione. A seconda del posizionamento degli assi, possiamo avere innumerevoli forme di assonometria, ma tra quelle normate più comuni, troviamo:

• ASSONOMETRIA ISOMETRICA • ASSONOMETRIA MONOMETRICA • ASSONOMETRIA CAVALIERA

Si tratta di assonometrie di tipo ortogonale (i piani sono sempre tra loro perpendicolari), monometriche tranne che per la cavaliera (dimetrica), in quanto le

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misurazioni sugli assi non vengono modificate. Nelle assonometrie ortogonali, l’asse delle altezze chiamato Z è sempre verticale, mentre gli assi delle lunghezze e larghezze (X e Y), variano la loro inclinazione a seconda il tipo.

Scopriamole nel dettaglio tutte e tre.

ASSONOMETRIA ISOMETRICA

Nell’assonometria isometrica, l’asse Z è verticale, e i tre assi formano tra di loro angoli uguali di 120°. Le misure sui tre assi devono essere riportate nella loro reale grandezza.

Vediamo innanzitutto come si tracciano correttamente gli assi di riferimento. Posizioniamo riga e squadretta (si deve usare quella 30°/60°) sul foglio secondo le indicazioni di seguito per tracciare gli assi di riferimento:

Tracciamento asse Z

Tracciamento asse X

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Tracciamento asse Y

Assonometria Isometrica

Gli assi di riferimento dell’assonometria isometrica possono essere posizionati anche in modo diverso, senza per questo inficiare la correttezza del disegno. Vediamo in che modo:

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Assi in posizione classica

Assi in posizione inversa

ASSONOMETRIA MONOMETRICA

Nell’assonometria monometrica, l’asse Z è verticale, e gli assi X e Y formano tra di loro un angolo di 90° e due angoli di 120° e 150° con l’asse Z. Le misure sui tre assi devono essere riportate nella loro reale grandezza.

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Vediamo innanzitutto come si tracciano correttamente gli assi di riferimento. Posizioniamo riga e squadretta (si deve usare quella 30°/60°) sul foglio secondo le indicazioni di seguito per tracciare gli assi di riferimento:

Tracciamento asse Z

Tracciamento asse Y

Tracciamento asse X

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Assonometria Monometrica

Gli assi di riferimento dell’assonometria monometrica possono essere posizionati anche in modo diverso, senza per questo inficiare la correttezza del disegno. Vediamo in che modo:

Tracciamento assi 1

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Tracciamento assi 2

Tracciamento assi 3

ASSONOMETRIA CAVALIERA

L’assonometria cavaliera, è così denominata perché prende il nome da un grande matematico allievo di Galileo Galilei chiamato, appunto, Bonaventura Cavalieri e viene anche chiamata Militare o Frontale.

Nell’assonometria cavaliera, l’asse Z è verticale, l’asse X è orizzontale e forma un angolo di 90° con l’asse Z. L’asse Y è inclinato di 45° formando due angoli uguali di 135° con gli assi X e Z. IMPORTANTE – siccome le immagini prodotte dall’assonometria cavaliera risultano innaturali per l’occhio umano le dimensioni riportate sull’asse Y (quello inclinato a 45°) vanno per convenzione dimezzate mentre quelle sugli assi X e Z vanno tracciate nella loro reale grandezza.

Vediamo innanzitutto come si tracciano correttamente gli assi di riferimento. Posizioniamo riga e squadretta (si deve usare quella a 45°) sul foglio secondo le indicazioni di seguito per tracciare gli assi di riferimento:

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Tracciamento asse Z

Tracciamento asse X

Tracciamento asse Y

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Assonometria Cavaliera

Gli assi di riferimento dell’assonometria cavaliera possono essere posizionati anche in modo diverso, senza per questo inficiare la correttezza del disegno. Vediamo in che modo:

Tracciamento assi 1

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Tracciamento assi 2

Tracciamento assi 3

Infine, vediamo come vengono riportate sugli assi di riferimento, nelle 3 rappresentazioni assonometriche, le misure di un oggetto:

Misure nella Isometrica

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Misure nella Monometrica

Misure nella Cavaliera

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FONDAMENTI VITRUVIANI NEL PROGETTO DI ARCHITETTURA

Cosa è l’Architettura e come deve operare l’architetto? Prendiamo in esame un oggetto d'uso comune: un contenitore per liquidi, una volta chiamato otre, anfora, damigiana, ed oggi tanica. Con l'invenzione dei materiali sintetici derivati dal petrolio, questo oggetto oggi è in plastica stampata. Inoltre dovrà contenere liquidi diversi confacenti alle esigenze, e non solo oli e bevande, ma anche combustibili. E sarà molto diverso dall'antico contenitore in terracotta, in metallo o in vetro. Ma chi lo costruisce dovrà tenere in conto problemi che sono quelli di sempre: la tanica come l’anfora dovrà essere trasportabile da una o al massimo due persone, e questo condizionerà le sue dimensioni e il suo peso; sempre per il trasporto dovrà avere una forma particolare oppure dei manici; dovrà essere facilmente riempibile e svuotabile e quindi sarà caratterizzata da una parte centrale rigonfia e da un collo più stretto; affinché il liquido contenuto non si alteri questo collo sarà tale da essere facilmente chiuso con un tappo; dovrà essere poggiata e conservata, e quindi la base sarà piatta e robusta; dovrà essere solida e non rompersi e quindi il materiale che la costituisce sarà ben conosciuto e lavorato; ma un giorno non servirà più ed allora questo materiale, se possibile, dovrà essere reimpiegato, oppure distrutto con facilità. In più dovrà essere esteticamente gradevole, perché chi la usa o la conserva non ne abbia danno, ma se ne serva con soddisfazione. La plastica oggi non piace, ma costa poco; la tecnologia cerca di renderla sempre più perfetta e il design industriale più gradevole, e forse la plastica ha cambiato molte cose nel mondo. Ma il progetto del contenitore di plastica non richiede forse quella stessa conoscenza dell'uomo, del suo lavoro, del suo gusto, dei suoi bisogni, dell'antica anfora greca? E non richiede una scienza delle leggi chimiche e fisiche dei materiali e della costruzione forse non dissimile dall'otre medievale o dalla damigiana di vetro? E non c'è sempre, dietro, lo stesso desiderio di realizzare comunque un oggetto gradevole? L'anfora e la tanica ovviamente non sono architetture anche se appartengono alla sfera della creatività progettuale che oggi chiameremmo design industriale. Ma lo stesso ragionamento l'avremmo potuto applicare, in modo più articolato e complesso, ad una casa di abitazione o ad un'altra qualsiasi architettura, perché quelli che vogliamo indagare sono i fondamenti epistemologici dell'architettura, quei fondamenti cioè che regolano i principi e il metodo della composizione architettonica vista come procedimento razionale e scientifico. Una scientificità che va intesa in senso ampio, che includa cioè molti aspetti del sapere dell'uomo, ma anche la sua creatività.

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A formare la preparazione dell’architetto concorrono gli apporti culturali di molte scienze e l’esperienza delle altre arti. Esiste infatti una pratica ed una teoria dell’architettura. La pratica consiste nel continuo esercizio di una attività manuale nei confronti di un qualsiasi materiale, per plasmarlo nella forma progettata. La teoria è, invece, quella capacità tecnica e metodologica che si concreta nella progettazione dell’opera... In tutte le arti, ma particolarmente nell’architettura esiste un binomio fondamentale: il significato e il significante. Il significato è l’opera da costruire, il significante ne è l’illustrazione teorica e sistematica. Il vero architetto dovrà naturalmente avere esperienza tanto dell’uno quanto dell’altro. Dovrà possedere doti intellettuali e attitudine all’apprendere, perché né il talento naturale senza preparazione scientifica, né la preparazione scientifica senza talento naturale possono fare il perfetto artefice. Sia perciò competente nel campo delle lettere e soprattutto della storia, abile nel disegno e buon matematico; curi la sua preparazione filosofica e musicale; non ignori la medicina, conosca la giurisprudenza e le leggi che regolano i moti degli astri. Le categorie dell’architettura sono sei: ordinatio (taxis in greco), dispositio(diatesi###), eurytmia, symmetria, decor e distributio (oikonomia). L’ordinatio (ordine) è il razionale accostamento delle parti di un’opera, sia considerate singolarmente sia nel loro rapporto, sul piano della proporzione e della simmetria, con tutto l’insieme: Essa si basa sulla quantità (posoth###), che a sua volta consiste nel calcolare i moduli (unità di misura) dalla proporzione fra le singole parti e il complesso dell’opera. La dispositio o disposizione è l’appropriata collocazione degli elementi in modo che l’insieme renda un effetto di eleganza sul piano della qualità. I tipi di disposizione (in greco ideai) sono tre: icnografia (pianta), ortografia (alzato), scenografia (disegno prospettico)... Tutto ciò nasce da elaborazione (cogitatio) ed inventiva (inventio). L’elaborazione è l’attenzione continua, zelante, tesa ad ottenere quell’effetto di bellezza che ci si propone; l’inventiva è la capacità di risolvere difficili problemi e di inventare prontamente nuove razionali soluzioni architettoniche. Queste sono le definizioni della dispositio. L’eurythmia o armonia è quella bellezza dell’insieme che risulta dal perfetto accordo delle parti. Si ottiene quando tutti i dettagli di un’opera si corrispondono simmetricamente in altezza, larghezza e lunghezza. La symmetria o proporzione è il conveniente accordo fra le varie parti e la loro corrispondenza proporzionale con la figura globale. L’opera architettonica perfetta è, insomma, analoga al corpo umano, nel quale la simmetrica qualità dell’armonia nasce dalle singole parti: dall’avambraccio, dal piede, dalla mano, dal dito... Il decor o decoro è l’aspetto perfezionato dell’opera che si ottiene quando ogni suo

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elemento è stato ben calcolato ed è conforme alla statio o convenienza (qematismo###), alla consuetudine, alla natura. L’ultima categoria, la distribuzione o economia consiste nell’opportuno impiego dei materiali e dello spazio e nella oculata limitazione delle spese di costruzione. Per rispettarla l’architetto non dovrà, prima di tutto, pretendere ciò che non potrà trovare né procurarsi senza un dispendio eccessivo. L’economia impone, inoltre, di creare edifici adatti all’uso per il quale saranno adibiti: diverse caratteristiche dovranno infatti avere le abitazioni private, costruite in ragione dei mezzi finanziari dei proprietari, rispetto a quelle delle personalità politiche. Né le case di città si ispireranno agli stessi criteri cui devono invece rispondere le case di campagna, destinate ad accogliere i frutti che affluiscono dai campi. E diversa ancora sarà la dimora del banchiere rispetto a quella del benestante o del raffinato o del potente che governa lo stato. Insomma è compito dell’economia dare ad ognuno la casa che più risponde alle esigenze della sua condizione. Queste due citazioni, tratte dal libro I dell'opera di Vitruvio De Architectura, ci inducono ad iniziare una riflessione sulla composizione architettonica muovendo dagli interrogativi più generali così come erano stati formulati sin dalla antichità classica: cosa è l'architettura, come devono essere istruiti gli architetti e di quali cose è composta l'architettura? Avviciniamoci alla progettazione vedendola non come pragmatica serie di operazioni razionali volte alla soluzioni dei problemi fisiologici dell'abitare, ma come suggestiva ed onerosa responsabilità di dare forma all'ambiente in cui l'uomo nasce, vive, lavora, si ricrea, soffre e muore. Da questo punto di vista il compito dell'architetto sarebbe enorme, e la responsabilità schiacciante, se non sapessimo che poi la forma dell'ambiente antropico da un lato è condizionata da fatti, situazioni e dinamiche che appartengono ad altre discipline come quella economica, politica e tecnologica, dall'altra è comunque un fenomeno che entra a far parte di quel difficile equilibrio tra ambiente naturale ed ambiente artificiale, continuamente aggredito da problematiche di sopravvivenza, ma sempre rinnovato dalle risposte che l'umanità riesce a dare alle contraddizioni che essa stessa solleva. Fatto è che l'ambiente dell'uomo si modifica seguendo il tracciato imprevedibile della storia, insieme ad essa accogliendo il bene e il male. Le trasformazioni sono fenomeni collettivi, che si attuano nel tempo, lentamente, con verifiche e riscontri a tempi lunghi che vanno studiati secondo diversi approcci disciplinari. L'architetto si muove all'interno di questa situazione collettiva, ma deve trovare le sue motivazioni e il suo spazio, deve cioè saper gestire la sua disciplina e il suo mestiere: così sarà forse meno schiacciante la responsabilità, ma, senza alibi di nessun tipo, rimarrà enorme il compito. E' evidente quindi che l'individuazione dei contorni disciplinari della progettazione architettonica è il primo momento di riflessione teorica (cosa sia l'architettura); successivamente occorrerà definire i contenuti, le regole e gli strumenti per elaborare

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e portare a compimento il progetto (di quali cose è composta l'architettura). Vitruvio ha scritto l'unico trattato completo sull'architettura romana e dell'antichità in genere che ci sia pervenuto. Ed è stato la base teorica di molte successive trattazioni soprattutto in epoca rinascimentale. Ricordarlo vuole essere non solo un necessario riferimento storico-metodologico, ma anche la riaffermazione di un principio fondamentale: la progettazione architettonica non potrà mai trovare le sue leggi esclusivamente nei dispositivi funzionali e le sue risposte nelle tecniche costruttive (che mutano con il tempo), ma costituisce un corpo disciplinare che si inquadra nella vicenda umana conservando una sua autonomia, con leggi, necessità, tecniche e principi sempre attuali. Vitruvio, ci aiuta a definire il perimetro concettuale del territorio dell'architettura, Architecti est scientia pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornata, scrive nel Capitolo 1° del primo Libro, che, tradotto in senso moderno, suona così: la cultura dell'architetto deve essere costituita dal bagaglio di molte scienze e di moltissime cognizioni. Vitruvio poi distingue due momenti in questa cultura: quello che nasce dall'esperienza, che non è mai completa, ma cresce e si perfeziona attraverso la pratica e il mestiere; e quello che fa riferimento alla capacità di raziocinio, di documentare cioè le ragioni delle scelte progettuali e di saperle applicare con equilibrio ed armonia. Un altro concetto fondamentale espresso nel primo capitolo del primo libro è la differenza in architettura tra significato e significante, laddove l'oggetto significato, cioè rappresentato, costituisce il progetto nella sua compiutezza, mentre la capacità di elaborare segni costituisce il patrimonio creativo del progettista. Come vedremo anche in seguito il metodo vitruviano gioca su contrappunti tra due o più termini, mai ponendoli in alternativa e secondo una gerarchia, ma sempre vedendoli come categorie inscindibili, dati cioè che l'architetto deve saper gestire in modo dialettico e complementare. Terza importante ed attuale considerazione di questo primo capitolo tendente a definire l'Architettura è l'elencazione delle plures disciplinae, di tutte le conoscenze cioè che l'architetto deve possedere per poter svolgere il suo mestiere: letteratura, disegno, geometria, ottica, aritmetica, storia, filosofia, musica, medicina, giurisprudenza, astronomia. Evidentemente è un bagaglio culturale eccezionale, non lontano però da quello che oggi è il criterio seguito dai piani di studio dei corsi universitari di Ingegneria Edile o Architettura. Attenzione però, prosegue Vitruvio, perché non si potrà chiedere all'architetto di essere specialista nelle singole discipline, quanto di conoscerne gli elementi di base ed il metodo, così da poter operare le proprie sintesi progettuali: il progettista di architettura dunque, come uomo di cultura e di ordine, secondo un procedimento che oggi potremmo definire ricettivo ed analitico nella fase iniziale e propositivo e sintetico in quella finale.

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I fondamenti dell’Architettura secondo Vitruvio Definita la figura dell'architetto, Vitruvio nel 2° capitolo del primo libro entra nel merito dei concetti estetico-progettuali che presiedono alla composizione architettonica; e lo fa a suo modo, attraverso una elencazione di sei categorie la cui definizione comporta una complessa geometria di collegamenti logici. Di cosa è composta dunque l'Architettura? Di ordinamento (Ordinatio), disposizione (Dispositio), euritmia (Eurythmia), proporzione (Symmetria), decoro (Decor), distribuzione (Distributio). Cerchiamo di spiegare il significato di questi termini partendo dalla definizione che ne dà Vitruvio, ma interpretandola nella sua attualità, traendone cioè regole ancora valide oggi per comporre un progetto di architettura. L'ordinamento, secondo Vitruvio, è un procedimento che ragiona sulla razionalità e modularità delle parti che costituiranno il progetto, definendone le dimensioni e la quantità. Scrive Ludovico Quaroni: Teoricamente la ricerca del modulo dovrebbe consistere nel misurare in tutte le sue parti un soggetto ritenuto valido, e nel cercare poi il massimo comune denominatore delle varie misurazioni fatte; ma il procedimento pratico non era forse diretto, e comunque è stato sempre mantenuto nascosto, come segreto della setta o della corporazione dei magistri architetti, prima dell'arrivo della chiarezza scientifica. E' comunque possibile distinguere il modulo-misura assoluto, sempre uguale a se stesso (quali che siano le dimensioni della applicazione) dal modulo-misura relativo alla dimensione dell'applicazione stessa: sono moduli assoluti quelli derivati, senza trasporto, dalle proporzioni del corpo umano, e sono moduli relativi quelli che invece, come il sistema classicistico delle proporzioni negli ordini architettonici, sono interni all'ordine stesso, e partono quindi da una dimensione concreta, come il raggio della colonna alla base. Il problema della modularità torna utile nella progettazione in quanto consente di lavorare, nella fase iniziale della composizione, su quantità (campate) che già possono corrispondere sia ad una prima suddivisione dello spazio, sia all'individuazione della maglia strutturale che per necessità costruttiva dovrà essere regolare e ripetibile. Sarà bene che sin dall'inizio il progettista ragioni identificando campata costruttiva (per esempio un modulo composto da quattro pilastri) con campata funzionale (per esempio un ambiente); ciò rende più coerente e pulita la pianta che si sta studiando, evitando di dover poi intervenire con suddivisioni (tramezzature) che lasciano in vista pilastri e travi ed alterano la qualità dello spazio

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interno. Se, ad esempio, dobbiamo progettare una casa di abitazione, con telaio strutturale in cemento armato, la campata unitaria, che rappresenterà il modulo dell'insieme, dovrà tener conto delle esigenze della struttura (una trave a spessore ha una luce ottimale attorno ai 5 metri) e delle dimensioni di una camera-tipo (che potrebbe essere di metri 5 x 3): si potrà quindi lavorare sul modulo 5 x 3, ricavandovi, al piano interrato un comodo parcheggio per una automobile, mentre al piano tipo il modulo potrà coincidere con una camera da letto, un corpo scala, potrà contenere una cucina insieme ad un bagno, raddoppiato potrà costituire il soggiorno, dimezzato una terrazza, e così via. Naturalmente considerazioni simili (esposte qui in modo elementare a proposito della pianta di una abitazione) potranno essere applicate anche nella composizione dell'alzato, e più in generale nella configurazione tridimensionale di edifici complessi. La disposizione non è, secondo Vitruvio, un problema di dimensioni e quantità come l'ordinamento, ma un problema di qualità che nasce dal pensiero e dall'invenzione del progettista: la bontà di una disposizione si verifica attraverso la rappresentazione in pianta, prospetto e prospettiva. Possiamo dire che mentre l'ordinamento rappresenta un momento analitico della progettazione, la disposizione corrisponde ad una prima sintesi architettonica: quel bisogno cioè, di rappresentare l'idea prima ancora di averla compiutamente studiata; e questa prima verifica, attuata con il disegno, sarà frutto della dialettica tra le esigenze del pensiero (dati oggettivi funzionali e tecnici) e quelle della invenzione (componenti creative e soggettive). La disposizione, scrive Quatremère de Quincy, è rispetto ad un fabbricato, ciò che la conformazione è rispetto al corpo. Essa abbraccia tutte le parti dell'architettura e tutti i rapporti di un edificio: oggi potremo chiamarla assemblaggio. La qualità del progetto finale e la sua buona costruzione dipenderanno molto da questa fase del procedimento compositivo. L'armonia per Vitruvio è la corretta disposizione e dimensione delle parti che compongono il tutto: il progetto sarà valido se ogni parte sarà ben equilibrata con le altre sino a configurare un insieme concluso. Pensiamo quanto sia importante in una architettura la dimensione e distribuzione delle bucature nella facciata, quanto difficile l'equilibrio tra i pieni ed i vuoti, tra le linee verticali e quelle orizzontali. Guardiamo, ad esempio, il prospetto principale della Stazione S. Maria Novella a Firenze: non c'è simmetria nel senso geometrico, ma c'è un equilibrio che nasce dalla corretta dimensione delle singole parti e dalla loro bilanciata distribuzione. La grande vetrata che incide la facciata appare ben dimensionata secondo una doppia orditura metallica contenuta dai pieni che marginano la galleria dei veicoli; e la pensilina che la collega all'altra galleria, quella laterale degli arrivi, decisamente lanciata a rimarcare le proporzioni orizzontali dell'edificio. Ma questi due elementi, per quanto perentori nella dimensione e contrastanti nella forma, collaborano all'armonia

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complessiva della facciata: così il peso della galleria vetrata delle partenze tutta spostata sulla sinistra trova equilibrio proprio con l'aggetto della pensilina sulla destra. Per quanto riguarda la symmetria, quarto fondamento vitruviano nella progettazione, occorre ricordare che il significato attuale, quello cioè di una corrispondenza geometrica delle figure rispetto ad un'asse o un piano, non è il significato etimologico né quello comunemente inteso nell'antichità classica: infatti essa deriva dalle parole greche sun-metron, e cioè conmisura; bene hanno fatto i latini, dopo Vitruvio, a considerarla sinonimo di proporzione. La symmetria quindi va intesa come accordo uniforme fra i membri della medesima opera, e come corrispondenza di ciascuno dei medesimi, presi separatamente, a tutta la figura intera, secondo la proporzione che le compete. Anche qui, spostando l'attenzione all'epoca moderna, potremo vedere negli equilibri dinamici di alcuni progetti contemporanei l'applicazione di questo fondamento. Riflettiamo però sulla differenza del significato di symmetria da quello di eurythmia, perché proprio dall'accostamento dei due termini si origina quell'analogia dell'architettura con la musica unita dal comune fondamento dell'armonia. Se infatti symmetria significa con misura, eurythmia significa buon ritmo. L'architettura come la musica, quindi, si compone attraverso elementi che hanno misura e ritmo, sono cioè validi nelle proporzioni dei singoli elementi e nell'accostamento di questi elementi secondo un buon ritmo. Ora mentre il concetto di misura fa riferimento al campo della matematica, alla sfera dell'oggettività, il concetto di ritmo appartiene ad un campo in cui la sensibilità individuale elabora la composizione partendo dalla matematica, dalle misure certe, dai numeri, ma su questi inserisce il gusto e il sentimento. Ancora una volta quindi possiamo affermare che il progetto di architettura nasce dalla dialettica tra ragione e sentimento, ordine e invenzione, scienza e fantasia; e in questo senso appartengono al fondamento della Proporzione anche le dissonanze e le sproporzioni dell'architettura moderna, così come quelle della musica contemporanea d'avanguardia. La proporzione quindi, come sinonimo etimologico della simmetria, e come ricerca di equilibri armonici più complessi. Ne è testimonianza la ricerca sulla sezione aurea di Le Corbusier che ha costituito il tracciato guida di molti progetti. Nella Villa Stein, ad esempio, i prospetti risultano dimensionati secondo il rettangolo aureo e successive ripartizioni proporzionali che consentono di posizionare i volumi aggettanti e le bucature: ciò consente di ritrovare allineamenti e proporzioni al di fuori dai canoni classici tradizionalmente intesi. Il decoro, secondo Vitruvio, invece è il risultato finale dell'attività compositiva che deve essere coerente con le premesse e le finalità del tema progettuale. Questo significa rispondere alle caratteristiche del luogo, alle necessità funzionali e alle esigenze estetiche. Oggi potremmo chiamarla buona ambientazione nella città o

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nel paesaggio, rispetto del programma funzionale e coerenza stilistica, o più in generale corretta interpretazione dell'istituzione rappresentata: così l'architettura di una casa di abitazione urbana potrà decorosamente esprimersi anche con cifre stilistiche semplici e con un vocabolario vernacolare, mentre l'edificio pubblico, al contrario, richiederà prestigio e rappresentanza. Ultimo fondamento compositivo dell'architettura vitruviana è la distribuzione che va interpretata come saggia utilizzazione delle risorse e dei mezzi per realizzare l'edificio, sia per quanto riguarda il terreno edificabile, i materiali e i costi di costruzione, sia l'articolazione e la suddivisione dello spazio e degli ambienti. Non è difficile capire quanto sia importante per l'architettura una buona distribuzione, da intendersi oggi sia come responsabile inserimento del progetto all'interno della città o del paesaggio (collegandolo cioè alla viabilità, verificandone l'accessibilità, curandone la giacitura e le relazioni con l'intorno) sia come economia degli spazi interni in relazione all'uso, ai percorsi, alla luce, agli impianti, all'arredo. Più in generale il fondamento della distribuzione è riconducibile al problema della tipologia inteso in senso ampio, come studio del tipo formale, del tipo funzionale, del tipo costruttivo, ecc. Fin qui abbiamo cercato di interpretare l'attualità di Vitruvio seguendolo nei primi due Capitoli del libro 1°, volti a definire l'architettura, l'architetto e i fondamenti della composizione, secondo un approccio molto ampio che considera appartenenti alla sfera dell'Architettura anche la gnomonica e la meccanica. Nel Capitolo 3°, invece, Vitruvio ci parla espressamente della res aedificatoria, dell'edilizia cioè, o, se vogliamo, dell'Architettura propriamente detta. E dopo aver precisato che questa si suddivide in due ambiti, relativi al progetto delle opere pubbliche e al progetto delle abitazioni private, scrive il passo forse più conosciuto della sua opera, quello che descrive i requisiti specifici della res aedificatoria, raccolti nella triade firmitas, utilitas e venustas: ...Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, infine, quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie. La costruzione architettonica dunque richiede solidità costruttiva, funzionalità e bellezza, vale a dire che l'architetto, nella composizione, dovrà preoccuparsi di portare a compimento i problemi tecnico-costruttivi, quelli relativi alle esigenze funzionali, e quelli estetico-formali. Vediamo ora di riassumere l'insegnamento di Vitruvio, ritrovando una relazione logica tra i 6 fondamenti generali e la triade di requisiti: i concetti di ordinatio e dispositio, per quanto detto, consentono di fissare i criteri di modulazione costruttiva

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e di assemblaggio delle parti e delle membrature dell'edificio: corrispondono pertanto al requisito della firmitas; quelli di symmetria ed eurythmia attengono al campo del controllo formale: corrispondono pertanto al requisito della venustas; quelli infine di decor e distributio sono volti a soddisfare le esigenze funzionali: corrispondono pertanto al requisito dell'utilitas. In realtà gli studiosi di Vitruvio hanno ipotizzato anche relazioni più complesse tra i diversi termini, andando, come sovente fa la critica, oltre il pensiero dell'autore. Fatto è che, al di là della complessa ed a volte artificiosa schematizzazione vitruviana, non è facile scomporre le diverse componenti che concorrono a costruire il progetto, perché questi termini in realtà sono inscindibili nell'architettura come oggetto finito: tanto più un'opera di architettura è valida, tanto più risulterà difficile valutare separatamente gli aspetti costruttivi, funzionali e formali; potremo farlo solo se ripercorreremo l'intero iter progettuale esaminando l'opera come processo, ed individuando i passaggi che hanno portato al risultato finale. Purtroppo capita spesso invece di vedere progetti in cui le verifiche incrociate tra i requisiti vitruviani avvengono troppo tardi, o mancano del tutto; in questo caso non avremo buoni progetti di architettura, ma potremo parlare di eccessi strutturalisti, funzionalisti o formalisti.

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IL DISEGNO A MANO LIBERA

Ricerca e invenzione

Nel mondo classico l’artista si forma con il disegno. Alberti suggerisce agli architetti di delineare soggetti selezionati del mondo artificiale (le opere degne) e naturale (la natura e suoi intimi segreti) per formarsene un bagaglio da spendere in nel proprio lavoro. Ma lo schizzo è classico per sua stessa natura, in quanto tende a risolvere l’oggetto nella sua totalità, seppure provvisoriamente, all’interno del nocciolo inventivo, eliminando ogni complessità al contorno, “in una sola bozza del tutto”.

Leonardo, studio di figure in lotta

Schizzi sulla pianta centrale

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“Gli schizzi […] chiamiamo noi una prima sorte di disegni che si fanno per trovare il modo delle attitudini, et il primo componimento dell’opera, e sono fatti in forma di una macchia e accennati solamente da noi in una sola bozza del tutto, e perché dal furor dello artefice sono in poco tempo con penna o con altro disegnatolo o carbone espressi solo per tenare l’animo di quel che gli sovviene, per ciò si chiamano schizzi.”

Stirling, galleria a Stoccolma

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Palladio, Terme di Agrippa

L’artista rinascimentale usa lo schizzo, i molti schizzi, per cogliere un’esperienza unica e irripetibile, allontanandosi dalla linea esatta, cifra della rappresentazione medievale, e dall’applicazione di schemi derivati. Un’ approccio di definizione e affinamento delle forme fondato a livello teoretico, come osserva Gandelsonas, dal carattere qualitativo della “finitio” albertiana. Lo schizzo nasce come strumento per un soggetto intuitivo e come portato della nuova autonomia riconosciuta all’atto creativo.

E come strumento si trasmette ai moderni per un nuovo soggetto intuitivo che usa un lessico diffuso, al di fuori e oltre i domini sintattici tradizionali, e cerca una nuova sintassi.

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Siza, casa Duarte

Autoritratto

Alvaro Siza è un esempio di architetto che lavora intensamente con il disegno, lo “vive” come modo di pensare. In questo autoritratto, le mani grandi come la testa sono il punto focale del disegno. Mani e testa portano dentro il foglio, interamente visibile dietro il corpo trasparente.

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“ La nozione di rappresentazione presuppone un medium trasparente e neutrale che permetta al referente di risplendere chiaramente. Ma il medium sostituisce sempre se stesso al referente, escludendo il reale messaggio comunicato a favore dell’immaginario, il mondo di invenzione interno al medium.”

“In Le Corbusier l’architettura è definita solamente nei termini della presenza del soggetto, la sua bellezza ed organizzazione formale descritte come la funzione di un soggetto, stratificate in modo tale che il corpo, la dimensione dell’ immaginario e l’inconscio siano articolati all’interno della dimensione formale.”

Le Corbusier, studio per Rio

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L.C.petite maison, Lac Lèman

Gehry, modelli di studio per il Samsung Museum

In Gehry lo schizzo è complementare al plastico. Le sue figure sono leggere come scarabocchi perché sono impressioni di ciò che subito dopo andrà verificato con mano sul modello. L’abbozzo iniziale può nascere sia da un disegno che da una

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composizione di solidi elementari in cui è stato scomposto il dato di un programma funzionale.

Eisenman, Wexner Art Center

Eisenman, l’anticlassico, rifiuta lo schizzo insieme al mito del genio individuale e disegna “solo oggetti già realizzati”, a partire da astrazioni come il cubo o dai segni che derivano dal palinsesto del territorio. Tuttavia anche lui si avvale del disegno a mano, non foss’altro per il fatto che è il mezzo più immediato e duttile per riflettere sul progetto.

Il disegno manuale è leggero, semplice, statico, sintetico, impreciso.

La grafica digitale è pesante, complessa, analitica, dinamica e precisa.

Lavora dalla proiezione, per coordinate, figure elementari o immagini, opera mutazioni e produce simulazioni (un mondo che contiene un ossimoro: ciò che non esiste vuole apparire come reale: la “realtà” virtuale) .Ed essendo in grado di guidare e controllare con precisione algebrica il progetto attraverso la gestione parametrica della struttura, è anche uno strumento potente per tradurre in pratica gli assunti intellettualistici dell’operazione.

Il disegno è direttamente legato, tramite il corpo, alle regioni inconsce della psiche da cui promana l’immaginario, l’indefinito serbatoio a cui attinge l’immaginazione e che trae nutrimento dalle fonti percettive della realtà. Dispone di un medium limitato e di una tecnica tanto semplice quanto flessibile che implica riduzione del reale ed espressione individuale. Ed è un modo per entrare in intimità con le cose. Lo schizzo

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ci costringe a rallentare per un esame ravvicinato, un approssimarsi all’oggetto che produce una materializzazione di pensiero.

Nondimeno il disegno computerizzato ha sgravato la mano dell’architetto dal lavoro di esecuzione concedendo più tempo per il disegno libero, e questo anche indipendentemente dal tipo di approccio, intellettualistico o scultoreo che sia. In un certo senso lo schizzo torna centrale, in un modo ovviamente diverso da quello rinascimentale. L’orizzonte della mano contemporanea non mira all’armonia del creato e al mondo antico ma comprende un multiforme universo di immagini e possibilità, comprese le potenzialità della grafica digitale. La mano ha una sapienza che deriva dalla consapevolezza dell’ambiente e dai suoi gradi di libertà, perciò lo schizzo oggi ha un valore ancora più esplorativo all’interno delle nuvole culturali del mondo contemporaneo. In questo senso oggi lo schizzo ruvido può essere un flessibile strumento per il pensiero della cosa.

La concezione è visiva

“La concezione è ovunque visiva…Il programma di un edificio è esso stesso costretto ad assumere la forma di un pattern visivo, se si vuole che i grezzi dati delle entità e delle quantità vengano applicati a una forma di organizzazione…tracciato spaziale.”

Disegnare viene dal latino “designare”, in cui il “de” rafforzativo indica un più alto grado dell’azione “signare”, proprio nel senso di raffigurare in base a una scelta effettuata dopo aver attribuito senso alle cose. Non è quindi mai un’operazione puramente astratta perché svolta sempre nella consapevolezza di uno scopo e mediante la competenza di un ruolo (per esempio l’architetto).

La trasposizione su di un dispositivo visivo sembra essere un tramite essenziale per la concezione di un’idea. Il grafico, composizione puramente topologica, oltre ad essere una illustrazione schematica, è uno strumento creativo per chiarire i rapporti e le dinamiche dei concetti espressi, rendendoli visibili in forme o parole con pesi, posizioni e direzioni. Anche a partire dallo scheletro, dalla traccia concettuale, il disegno non traduce semplicemente un discorso mentale, ma lo interpreta.

“Noi collochiamo sempre un concetto in una matrice strutturata…spazio semantico le cui dimensioni fondamentali sono polarità del tipo “buono e cattivo”, “attivo e passivo”, “forte e debole”.

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Kahn descrive l’individuo creatore di oggetti, composto da sentimenti e pensieri che formano un basamento “trascendente” e “non misurabile” sopra cui emerge la “realizzazione” (intesa come un sogno che può diventare realtà). Da qui una freccia segna il passaggio alla forma e alla sua irradiazione nel mondo del misurabile che da luogo al “design”.

Freud illustra la psiche umana come un contenitore senza un fondo definito, le radici dell’inconscio, e con un’insorgenza superiore, la sfera del conscio. Da notare il ruolo di ponte del super-io che collega inconscio e preconscio superando la barriera repressiva segnata con linea doppia tratteggiata e secante il termine centrale “EGO”(a immagine di come il represso incida drammaticamente sulla personalità).

Il segno è gesto

“E’ necessario che il pensiero scientifico – pensiero di sorvolo, pensiero dell’oggetto in generale – si ricollochi in un “c’è” preliminare, nel luogo, sul terreno del mondo

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sensibile e del mondo lavorato così come sono nella nostra vita, per il nostro corpo, non quel corpo possibile che è lecito definire macchina dell’informazione, ma questo corpo effettuale che chiamo mio, la sentinella che vigila silenziosa sotto le mie parole e sotto le mie azioni.”

Merleau Ponty, L’occhio e lo spirito.

E’ vero che ogni segno che tracciamo viene in qualche modo prima pensato, ma è anche vero che è la mano a fare la figura. Per produrre un’immagine dobbiamo immaginarcela e ci affidiamo non solo ai dati che abbiamo in memoria e alla nostra personale percezione del reale, ma anche alle abilità che abbiamo appreso nel muoverci e fare cose con le mani.

Nella “danza” dei nostri gesti non abbiamo solo un strumento esecutivo, ma un mezzo sensibile che accompagna il processo cognitivo/creativo. Ed è anche una questione di grazia: il miracolo della bellezza implica il lasciarsi andare, l’abbandonarsi alla danza. Il disegno è un modo per entrare in intimità con le cose. Lo schizzo ci costringe a rallentare per un esame ravvicinato, un approssimarsi all’oggetto che produce una materializzazione del pensiero attraverso differenti marcature, deformazioni, effetti di luce, texture, colore, taglio dell’inquadratura. L’aspetto corporeo, intrinseco nel disegnare, muove i nostri sensi e pone l’attore nella condizione di trarre qualcosa da sé medesimo, continuamente sollecitato a selezionare i propri gesti per trascriverla in modo approssimativo. La mano libera la fantasia. I sensori della corteccia cerebrale in relazione con le mani sono ben più vasti di quelli relativi a tutto il resto del corpo. La scrittura, negli automatismi che presiedono ai milioni di micromovimenti necessari a vergare un testo, rivela le nostre attitudini psicologiche. La forma del corpo calligrafico ha un’origine inconscia, valutabile indipendentemente dal contenuto, prodotto della mente razionale. Nel disegno conscio e inconscio sono intrecciati, il contenuto non è separabile dalla forma e l’esito è molto più aperto, a volte inaspettato, data la possibilità di essere liberi da ogni codice. Sia come strumento di notazione che, ancor di più, come mezzo di invenzione, lo schizzo è work in progress aperto alla mutazione. Quale che sia il grado della rappresentazione, schematica o impressionistica, l’imprecisione del segno può aprire a nuove scoperte.

“Lo schizzo architettonico…è piuttosto un processo interattivo, che fissa un’idea iniziale e nel quale il segno suggerisce un’estensione di tale idea, che a sua volta si traduce in un segno modificato.”

“interazione tra i pensieri quasi inconsci del progettista e le forme, talora autonome, che assumono i tratti schizzati” (J. Stirling)

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Siza. fondazione Camargo

Spesso il disegno procede da un’impressione verso una ulteriore messa a fuoco. Il primo schizzo di Siza abbozza una facciata tagliata e scavata dall’andamento delle rampe, il secondo precisa il rapporto tra la parete ondulata più interna e la geometria spezzata delle rampe.

L’invenzione è un processo euristico

“attività maieutica volta a enucleare delle potenzialità implicite nelle cose, ma celate da un’apparenza spesso mistificante.”

“Inventivo è colui che sa strappare l’oggetto dalle serie delle associazioni abituali” (V. Sklovskij).

“prima trovare, poi cercare” (J. Cocteau)

Il patrimonio delle nostre esperienze e conoscenze costruisce le nostre abilità e sensibilità: noi siamo quello che facciamo di quello che troviamo. E non esiste una mappa: come in un labirinto, il cammino deve essere tracciato dal viaggiatore con fantasia e senso critico. Dedalo, il mitico architetto, con la sua scandalosa genialità, rappresenta la sfida che il pensiero pone a se stesso. Una volta rinchiuso da Minosse nella sua stessa creazione, lo spazio inestricabile dimorato dal Minotauro (il mostro,

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il diverso), egli cerca una via d’uscita in una nuova idea che sciolga l’intrico: alzarsi in volo per evadere. In pratica fa un uso creativo di ciò che ha a disposizione, la cera delle candele che illuminano il labirinto, per plasmare due paia di ali. L’intuizione e l’opera delle mani aiutano ad evadere dai sentieri già percorsi.

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Le Corbusier, progetto di chiesa a Saint-Pierre de Firminy

L’idea vive di molteplici influssi: l’interno di Santa Sofia, i disegni per una chiesa a Le Tramblay, dove sperimenta la composizione di una pianta quadrata con un elemento verticale, la “chambre du tuè”, ambiente a sezione conica tipico dell’Alta Giura in Svizzera, territorio della sua infanzia.

“Il piede misura, la mano fa, la vista detecta”

E d’Alfonso

Non esistono impressioni sensoriali separate dai processi di elaborazione. Nei processi conoscitivi la mente scandaglia l’ambiente circostante ragionando per selezione, classificazione e differenziazione, attraverso ipotesi che necessitano di una qualche ulteriore esperienza per essere confermate o smentite.

“Per la nostra reazione emotiva una finestra può essere un occhio e una brocca può avere una bocca: è la ragione che insiste sulla differenza tra la categoria più ristretta del reale e quella più ampia del metaforico, sulla barriera che separa immagine e realtà.”

Che il meccanismo della proiezione sia all’origine dell’arte è una teoria che risale all’Alberti. Nel suo trattatelo dedicato alla scultura, il “De statua”, ci dice di ritenere che la prima immagine sia stata “vista” da qualcuno, per similitudine, in un oggetto naturale come un tronco o una roccia, e trasformata in rappresentazione attraverso il “considerare con la mente…esaminare…tentare” in un continuo studio e affinamento. Tutto ciò ha prodotto per gli uomini un sapere che si è accresciuto nel tempo “sino a tanto che senza veder più nelle primiere materie alcuni aiuti di incominciate similitudini, esprimono in esse qual si voglia effigie…”.

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Gehry, lampada pesce Gehry, copertura a Bilbao

Gerhy è un bricoleur, per lui la manipolazione dell’oggetto ha un ruolo fondamentale. E la fantasia ha le sue inclinazioni: è verosimile pensare che la figura ricorrente del pesce sia in relazione alla sua predilezione per le superfici incurvate.

Schema e scoperta

“Per me il quadrato è una non scelta”(L. Kahn)

“Qualsiasi cosa si faccia dovremo sempre cominciare da certe linee o forme convenzionali. L’egizio che è in noi può essere represso ma mai totalmente sconfitto(…), sta a significare in ultima analisi lo spirito attivo, la ricerca del significato.” (5)

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La “Realization” è il disegno della forma al livello più astratto (quadrato e cerchi concentrici) e risponde a domande di carattere generale. Il “first design” è la traduzione letterale dell’assunto in un disegno architettonico, a cui segue un processo di revisione della forma per scomposizione e ricomposizione fino al design finale: il blocco della scuola si decentra, si scompone e si riaffianca all’auditorium secondo considerazioni più circostanziate.

“Quando la visione dominante che tiene assieme un periodo della cultura si incrina, la coscienza regredisce in contenitori più antichi, cercando fonti di sopravvivenza che offrano anche fonti di rinascita…il guardare indietro ravviva la fantasia dell’archetipo del fanciullo, fons et origo, il quale è sia il momento dell’inerme debolezza sia il dischiudersi futuro…Noi ritorniamo alla Grecia allo scopo di riscoprire gli archetipi della nostra mente e della nostra cultura…Arretrando nel mitico, in quello che è non-fattuale e non-storico, la psiche può reimmaginare quelle che sono le sue difficili situazioni fattuali e storiche da un diverso e più vantaggioso punto di vista.”

Il disegno è uno strumento primitivo, semplice, limitato, che impegna l’immaginazione da un lato a ridurre il reale in pochi tratti, dall’altro a espandere e condensare le nebulose della fantasia. Il disegno è per sua natura legato alla dimensione archetipica, alle sue figure universali. Astrazione e arretramento nel mitico sono distanziamenti creativi dalla realtà storica e fattuale per tornare ai fondamenti dell’immagine.

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Il disegno favorisce questo processo di arretramento per la visionarietà (riavvicinamento al nucleo dell’immaginario per fantasticare e reintrodursi meglio nel reale). Per l’artista è un lavoro psichico di discesa alle radici, all’inconscio; al fondo di se stesso, ma rivolto a ciò che è sovrapersonale e che irradia fantasticamente dalle fonti percettive.

Dopo un’ascesa intellettuale fatta di operazioni consapevoli e di esperienze, c’è la necessità, nel processo creativo, di dimenticare, o meglio di mettere in sospensione i legami razionali e la propria soggettività egoica, per ascoltare con il cuore l’anima delle cose.

Klee, Timider brutaler Picasso, papier dechirè

In questo quadro il “puer ludens” è la figura retorica per l’immaginazione. Klee diceva di essere riuscito, alla fine, a disegnare come un bambino. Picasso trova un volto strappando un pezzo di carta. La visione incantata alimenta l’immaginazione, disinibisce il patrimonio libidico-emotivo. Un bambino è senza “cultura”, si lascia “ingannare” dalle apparenze a scapito dei concetti esponendosi al di sotto delle convenzioni, ne fa un uso a-convenzionale.

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Le Corbusier, villa a Garches

Il confronto tra i due prospetti della villa a Garche, uno dei primi e uno degli ultimi, mostra come l’invenzione sia partita da una convenzione, la trasgressione da una regola (una facciata simmetrica con basamento e coronamento)

L’intuizione

In ogni cominciamento l’intuizione ha un ruolo catalitico: la scintilla che attiva le associazioni e fa risuonare immagini sedimentate nella memoria profonda. Nella fantasia la grammatica di soggetto e oggetto allenta la presa, decadono i dualismi, i rapporti si fanno sciolti e prende luce il fenomeno per come è nella sua identità unica e irripetibile.

“…l’atto poetico non ha passato, almeno non ha un passato vicino, lungo il quale sia possibile seguire ciò che lo prepara, la usa stessa epifania. Il rapporto fra un’immagine poetica nuova ed un archetipo assopito nelle profondità dell’inconscio non è propriamente causale. L’immagine poetica non è sottomessa ad alcun impulso, essa non è l’eco di un passato ma è piuttosto il contrario: attraverso una folgorante immagine il passato lontano risuona di echi, e no si riesce a cogliere fino a quale profondità tale echi si ripercuoteranno e si estenderanno. Nella sua novità, nella sua attività, l’immagine poetica possiede una propria essenza, un proprio dinamismo, dipende da un’ontologia diretta”.

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Le Corbusier, schizzo del Monte Athos e convento a La Tourrette

Nel convento a La Tourette risuona la veduta di un convento sul monte Athos, con le celle ai piani superiori, vigorosamente tracciata da Le Corbusier tempo prima in uno dei suoi viaggi.

“intuire significa rinunciare al controllo della mente razionale per affidarsi alle previsioni dell’inconscio. Forse perché nell’inconscio non esiste autocensura e le idee, affrancate dal retaggio della fissità funzionale, sono libere di combinarsi in associazioni improbabili quanto promiscue”.

“le idee e l’algebra delle idee può darsi che sia una strada che porta alla conoscenza, ma l’arte è un altro mezzo di conoscenza le cui strade sono assolutamente altre, sono quelle della visionarietà(…) è quando la visionarietà si spegne che appaiono le idee e il pesce cieco delle loro acque: l’intellettuale”.

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Le Corbusier, primo schizzo e planimetria della Chapelle de Ronchamp

In questo “tempio dedicato alla natura” il primo schizzo comincia con il muro curvo a sud,, quello che abbraccia l’altare esterno, posto in contrapposizione a una radura, una curva dentro una curva più grande, grotta in una grotta. La complessità dell’immagine, nei suoi molteplici aspetti, scaturisce da questo gesto inaugurale che viene rimarcato e ispessito. Il muro cresce, abbraccia, spinge, DNA di un impianto spaziale che attira il visitatore verso un movimento circolare: dall’accesso dell’area all’ingresso, e di qui al lato sud, con l’altare rivolto a una radura al cui fondo una piccola piramide chiude e sospinge impercettibilmente lo spazio verso il muro concavo.

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Ando, Tempio sull’acqua

Un segno sintetico, lavorato con ispessimenti di certe linee che vengono ripercorse; vero e proprio strumento per pensare e sentire lo spazio in uno stile moderno-minimale di matrice euclidea. Sembra palpabile un certo “furore”, una ricerca di soddisfazione sensuale, come in certe tavole di Zaha Hadid, sebbene con tutt’altro lessico.

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Il lavoro psichico tra realtà e fantasia

La stabilità e l’elasticità del ponte che collega l’area delle pulsioni con quella dei pensieri di rappresentazione è la garanzia che permette di fantasticare senza perdersi. Il trauma dell’iperbole è rappresentato dalla caduta di Icaro, il figlio di Dedalo, che perde la misura del mezzo, si esalta e lo spinge al di là di ciò per cui è stato ideato. Forse è possibile dire che il disegno come atto corporeo / emotivo può aiutare a praticare questo ponte, la catena cinetica di conscio e inconscio, un tracciato per le nostre emozioni filtrate dalle nostre determinazioni.

“Il costituirsi di una dialettica fra “realtà” pulsionale e fantasia, fra impensabile dell’Es e processi primari e secondari di pensiero dell’Io, dialettica che sottende un apporto fantasmatico, è necessario al costituirsi del simbolo, all’uso della metafora e alla vita stessa…. Il ponte fantasmatico fra l’area della pulsione e dell’inconscio in conoscibile e quella del pensiero delle rappresentazioni di cosa e poi delle rappresentazioni di parola ricche da un punto di vista libidico-emotivo è il garante effettivo del collegamento e, contemporaneamente, della differenza. Il ponte rischia di crollare nel caso in cui affondi troppo le sue fondamenta da una parte a scapito dell’altra, cioè troppo nella “realtà” (metafora del trauma della seduzione, opzione eccessiva per il concreto) o troppo nella fantasia (metafora della seduzione del trauma, iperbole della metafora). Se invece l’edificazione di un elastico “ponte” è argomento certo dentro di sé, è possibile anche non percorrerlo in alcuni casi: attingendo momentaneamente solo alla fantasia, senza avere paura di smarrire il rimando al mondo esterno, o solo alla realtà esterna senza il timore di perdersi. In altri casi, impersonando il ponte, diventa possibile temporaneamente restare “sospesi” nel vuoto (ideativo, affettivo, oggettuale), senza il terrore di “cadere nel vuoto”.

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Siza, Università a Porto

“Ogni mio disegno vorrebbe cogliere con il massimo rigore un momento concreto di un’immagine fugace in tutte le sue sfumature; nella misura in cui si riesce ad afferrare questa qualità sfuggente della realtà, il disegno scaturirà più o meno chiaro e sarà tanto più vulnerabile quanto più è preciso.”

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Nella sua ricerca, ricchissima di disegni, affiorano figure fantastiche, divagazioni che danno corpo agli orizzonti dell’immaginazione. In una veduta dei tre edifici per insegnanti, dottorati e studenti, Siza disegna tre figure, tre teste: un capro, una donna, un cavallo. Il cavallo guarda avanti a sé, la donna gli rivolge lo sguardo di sbieco, il capro gira la testa verso il cavallo. Una metafora di sapore mitologico si riflette nella fisionomia dei singoli edifici.

Rappresentazione di cosa e di parola

“Se, come dice Freud, la pulsione ci appare come una misura delle operazioni richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea”, allora è il lavoro psichico che conduce alla rappresentazione, secondo il tragitto pulsione – rappresentante psichico – rappresentazione di cosa – soddisfazione allucinatoria del desiderio – differenza percezione-allucinazione – riconoscimento dell’oggetto esterno – apprendimento del linguaggio – rappresentazione di parola.”

C’è un nucleo primordiale costituito da un patrimonio di pulsioni da cui parte il lavoro psichico che porta alla rappresentazione. Tale nucleo è inconoscibile per definizione e innesca lo sviluppo psichico e il processo cognitivo attraverso l’esperienza del mondo a partire dal rapporto, fondativo, con la madre. Se ciascun evento è oggetto dell’immaginazione in quanto realtà psichica, avente anima e volto, il disegno può avere una funzione liberatoria: mentre un’emozione incontenibile porta al caos e alla paralisi, riuscire a comprenderla in un’immagine porta ad un nuovo livello di consapevolezza.

Disegno di Steinberg

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“Anima mundi indica le possibilità di animazione offerte da ciascun evento per come è, il suo presentarsi sensuoso come volto che rivela la propria immagine interiore: insomma la disponibilità di ciascun evento a essere oggetto dell’immaginazione, la sua presenza come realtà psichica.”

Kahn, schizzo per Philadelphia

Disegno e testo sono costruiti sulla metafora dei percorsi d’acqua. I flussi di traffico, che solitamente vengono segnati in planimetria, sono inseriti in un paesaggio come un’animazione. Da notare come la semplice inversione del contrasto renda le frecce bianche ( i canali, le vie) più lente di quelle nere (i fiumi, le strade).

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Koolhaas, concept e schizzo per la Biblioteque de France

Un segno rudimentale per una disinibita regressione nel banale. Il primo disegno è metaprogettuale: ambienti irregolari inseriti su una trama regolare (un fondo a righe orizzontali). Dopo aver sondato a livello generico il procedimento formale, Koolhaas cerca parole per raffigurare i diversi spazi collettivi all’interno della struttura, nomi che orizzontino l’immaginazione nel trovare loro una forma e una posizione. Si comprendono meglio le sale di spettacolo al livello interrato se si pensa all’immagine dei ciotoli nel sottosuolo, così come il fatto che la spirale e il loop vengano posizionati nella parte alta del cubo.

“Il mondo esiste in forme, colori, atmosfere, qualità tattili: un’ostensione di cose che si autorappresentano. Tutte le cose mostrano un volto, il mondo essendo non solo un insieme di segni in codice di cui decifrare il significato, ma una fisionomia da guardare in faccia. In quanto forme espressive, le cose parlano; mostrano nella forma lo stato in cui sono. Si annunciano, testimoniano della propria presenza: “Guardate siamo qui”. E ci guardano, indipendentemente da come le guardiamo noi, dalla nostra prospettiva, da ciò che vogliamo fare di esse e da come di esse

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disponiamo. Questa immaginativa richiesta di attenzione è il segno di un mondo infuso d’anima. Non solo: a sua volta, il nostro riconoscimento immaginativo, l’atto fanciullesco di immaginare il mondo, anima il mondo e lo restituisce all’anima”.

Holl, Bottles of light, cappella S. Ignatius

Il disegno è metaprogettuale, ma presenta anche una riflessione subito architettonica: gli invasi a sinistra tendono al verticale, a partire dal cilindro quasi regolare più chiaroscurato; verso destra invece si piegano, come poi accadrà per il disegno finale.

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Gehry, edificio a Praga

Ginger e Fred: il nome ha dato un tema alla struttura composta da due corpi verticali e una cortina. L’immaginazione spaziale nel plasmare plasticamente procede secondo criteri di apertura/chiusura, compressione/espansione, attrazione/repulsione, eccetera…Contemporaneamente lavora l’immagine fantastica dei due ballerini con tutto il suo carico affettivo. Ginger balla flessuosa nel suo vestito, la membrana di vetro con la sua base di pilastri incurvati, “danzanti”, che formano un portico di ingresso; Fred porta, è il perno della composizione tra Ginger e la parete che sfila da lui come un manto su cui galleggiano le finestre nelle riseghe ondulate della facciata, evocazione del fiume.

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Il disegno come atto emotivo

L’emozione fissa l’immagine. La forza di un’immagine è legata al suo senso emotivo, alle circostanze pratiche e psichiche in cui si è prodotta. O meglio, la radice emotiva permette all’immagine di operare nell’immaginazione, la rende capace di far risuonare le profondità dell’essere e di produrre nuove immagini.

“Memoria è conoscenza perché affascina, perchè trattiene un momento di immaginazione…è oblio del sapere del mondo e apertura all’esperienza” E. d’Alfonso

L’immagine vivida si inscrive nella memoria come nuova scoperta e viene ritrovata e rinnovata, secondo il principio di economia delle risorse dei processi di mesi, per un ulteriore livello di conoscenza.

Il disegno e la manipolazione coinvolgono in modo diretto la sfera emotiva, spingono a una visione personale, alla modificazione dell’immagine. Permettono, mano a mano, di prendere possesso dell’oggetto per immetterlo nelle maglie deformanti dell’immaginazione.

“La novità dei disegni di Rossi sta nel fatto che le architetture diventano oggetti fluttuanti in uno spazio mentale, accuratamente ombreggiati, in molti casi con tratti paralleli incrociati che potrebbero ricordare le incisioni di Morandi, se non vi apparisse, come nota dominante, un drammatico dissesto spaziale per cui ogni forma segue leggi prospettiche differenti e la molteplicità dei punti di vista, simula il tempo sincopato della riflessione interiore.”

Rossi, disegno a china

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Rossi, schizzo di prospetto per il Gallaratese

Nello schizzo di progetto, con grande lucidità, Rossi definisce in pochissimi tratti i rapporti delle campate. Non sembra un disegno esplorativo, ma la trasposizione, per una sommaria verifica, di un elemento già chiaramente delineato nella sua mente. Le sue visioni fantastiche, invece, immettono le forme nei paesaggi interiori dell’immaginario, quasi con la naturalezza di un bambino alle prese con un gioco di costruzioni; un ostinata riproduzione e ridislocazione di immagini primarie. Le figure di Rossi hanno una grevità sovrumana, e al tempo stesso sembrano fluttuare nello spazio.

Ma come il disegno non deve solo rappresentare la realtà, così non può rappresentare l’inconscio: è sempre un operazione mediata dal fare e dall’imitare, un linguaggio articolato operante in uno spazio semantico la cui pratica e conoscenza possono arricchire e velocizzare i pensieri sulla forma. Se devo disegnare una sedia è probabile che la mia conoscenza dei tipi, delle tecniche e la padronanza di uno schema rappresentativo mi permetteranno di sondare velocemente, come in un brain storming, diverse direzioni e varianti. Come del resto se voglio disegnare una curva, specie se non regolare, dovrò in un certo senso sentirne la tensione per raggiungere l’effetto desiderato.

Dal semplice al complesso

Per creare una spazialità complessa è necessario procedere per gradi: l’immaginazione spaziale va acquisita.

“Un sistema arbitrario di segni, deve permettere l’analisi delle cose nei loro elementi più semplici; deve scomporre fino all’origine; ma deve altresì mostrare come le combinazioni di questi elementi sono possibili e permettere la genesi ideale della complessità delle cose.” (Foucault)

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“…la complessità dello spazio creato dall’architettura è in parte quella che gli psicologi chiamano una questione evolutiva. Lo spazio tridimensionale è direttamente dato alla mente solo nella sua estensione più rozza, attraverso la quale occorre gradualmente concepire un più sottile e reciproco gioco di dimensioni. Le concezioni spaziali iniziali sono pertanto semplici.”

Leonardo, studi su chiesa a pianta centrale

Leonardo sviluppa il rapporto tra cappelle e ambiente centrale con la grande cupola. Il disegno sembra procedere da sinistra a destra: la prima veduta, legata al testo, è quella disegnata con più precisione; le seguenti sono più rapide, meno definite. Le prime due piante hanno un disegno architettonico, mentre quelle in basso sono esplorazioni schematiche dei due temi precedenti. Tuttavia il processo creativo non è lineare, e spesso a un inizio laborioso segue una semplificazione che elimina complicazioni inutili mediante rapidi tagli e l’affinamento dei mezzi.

“Più spesso il processo creativo si muove alquanto casualmente, avanti e indietro, tra visioni di assieme e analisi delle parti”

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Siza, centro meteorologico a Barcellona

Il quadro sinottico che comprende vista di insieme, interni e particolari, conferisce un valore multidimensionale alla semplice somma delle singole vedute.

Immaginazione e immaginario

Come esistono universali della ragione, in base ai quali possiamo classificare, distinguere e fare un ragionamento, così esistono universali dell’immaginario, modelli e luoghi (primari, legati alla natura umana, e mediati, da immagini letterarie o proiezioni di altro tipo) dai quali procede la nostra psiche nel dispiegare la fantasia.

“L’immaginazione è sempre considerata la facoltà di formare immagini, invece è piuttosto la facoltà di deformare le immagini offerte dalla percezione, di liberarci dalle immagini immediate; è soprattutto la facoltà di modificare le immagini. La parola fondamentale corrispondente all’immaginazione non è immagine ma immaginario. Il valore di un’immagine si misura dal grado della sua radianza di immaginario. Grazie all’immaginario, l’immaginazione è essenzialmente aperta, evasiva. Nella psiche umana è l’esperienza stessa dell’apertura e della novità. Determina la psiche umana più di qualsiasi altra cosa.”

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Rossi, cimitero di Modena

Dopo la visita a un museo osteologico, Rossi rimane folgorato dall’analogia scheletro – rudere che si traduce nella pianta a lisca di pesce del cimitero.

“…per percepire in modo penetrante dobbiamo immaginare, e per immaginare in modo accurato dobbiamo percepire con i sensi”.

Il disegno è un mezzo per l’immaginazione e la percezione, uno strumento per coltivare la qualità metaforica dell’espressione percettiva. Il più disponibile per la relazione tra attività pratica è pensiero.

“La più importante virtù cognitiva di una civiltà consiste probabilmente nella relazione operativa fra l’attività fisica pratica e il cosiddetto pensiero astratto. Per contro, la sua vita mentale si frantuma se il significato del camminare, mangiare, pulire, dormire, esplorare e far cose si riduce al profitto fisico e materiale che da questa attività si può trarre, e se, d’altro canto, il principio in base al quale noi comprendiamo la natura delle cose e regoliamo la nostra condotta si riducono a concetti intellettualmente definiti, che non ricavano più alcun beneficio dalle loro fonti percettive. Per l’architetto ciò significa che, a misura che egli riesce a rafforzare le radicate connotazioni spirituali intrinseche a tutti i semplici aspetti della domesticità, contribuisce a sanare una frattura esistente nella nostra civiltà. E ciò gli è possibile coltivando le qualità espressive nelle forme che inventa.// L’artista, l’architetto, si preoccupa in primo luogo della vasta qualità metaforica

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dell’espressione percettiva. I simboli non potrebbero affidarsi alle qualità espressive dell’esperienza sensoriale se questa non avesse, nella pratica quotidiana, ipertoni metaforici.// I simboli più possenti derivano dalle sensazioni percettive più elementari, in quanto si riferiscono alle fondamentali esperienze umane da cui tutti gli altri dipendono.

Kahn, tempio a Karnak

La composizione dello schizzo come problema di progettazione: studio degli effetti di luce nel monumentale:

“Non c’è alcun valore nell’imitazione perfetta…Nei miei schizzi cerco di non essere completamente asservito al soggetto, tuttavia lo rispetto e lo considero come qualcosa di tangibile e di vivo dal quale traggo le mie sensazioni. Ho imparato a non considerarlo come l’impossibilità fisica di muovere montagne e alberi, o di cambiare cupole e torri secondo il mio gusto. Cerco di sviluppare una composizione e di ogni schizzo cerco un suo proprio valore, lo stesso valore che potrei dare a un problema di progettazione. Fare uno schizzo in questo modo richiede, naturalmente, lo sviluppo di numerose impressioni e note “sul campo … Devo poi lasciare da parte tutto questo, al fine di realizzare l’immagine nella forma di un progetto leggibile.” (10)

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Silenzio e tempo

Se la condizione del mondo globalizzato, il mondo accelerato dei flussi elettronici, pervaso dalle logiche, talvolta brutali o perverse, dell’economia, tende a premiare il modello di una mente adattiva e flessibile, e se del resto, da un punto di vista intellettuale, sembra necessaria una visione olistica dei fenomeni, non si deve dimenticare che l’atto creativo è spesso il frutto delle inclinazioni ostinate di una mente che si prende il tempo di andare a fondo in un punto (il genio è sempre un po’ maniacale).

Silenzio interiore, concentrazione della psiche. Nell’epoca dell’inversione del rapporto figura sfondo è forse anche più necessario sapere ritagliare uno spazio di silenzio dove operare liberamente con la fantasia, farla viaggiare leggera sopra il corso delle cose, sollevando i pensieri dalla spietata concretezza del reale, ma senza smarrirne il senso.

“Concedere tempo alle oscillazioni dell’immaginazione in costruzioni fragili e precarie significa anche sottrarsi alla preoccupazione dell’immagine-mercato, che tende a precedere anziché seguire la costruzione della forma, per indagare i fondamenti dell’immagine.”

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Terragni, casa del fascio

Il prospetto di studio della casa del fascio, nella sua schematicità e leggerezza, nasce da una cesura che ha fatto tabula rasa dei primi tentativi vagamente in “stile”.

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Disegno e desiderio

La parola “desiderio” viene del latino desiderium, composto di “de” e “siderium”, la dimensione celeste.

La voglia di delineare un futuro nasce dall’aspirazione a qualcosa di nuovo. Disegnando noi cerchiamo di tracciare una via attraverso il labirinto, e questa ricerca non avrebbe vita senza il potere di Afrodite. L’espressività di un disegno da una conferma al percorso che stiamo seguendo; la sua macchinosità o la sua incoerenza ci dicono che siamo di fronte a un “sogno fallito” e che dobbiamo cambiare strada. In ogni caso l’operazione va svolta, l’opzione va sondata fino in fondo, il disegno va ultimato per essere giudicato.

Il disegno è un modo per entrare in intimità con le cose. Sia esso l’avvicinamento ad un oggetto che osserviamo (e scopriamo imprimendolo nella memoria), o ad uno che vogliamo inventare, lo schizzo ci costringe a rallentare per un esame ravvicinato, a tu per tu, che si risolve in una materializzazione (precaria) del pensiero.

“La bellezza è una necessità epistemologica; l’aisthesis è il modo in cui noi conosciamo il mondo. E Afrodite è la nudità delle cose mentre si mostrano all’immaginazione sensuosa…ciò che intendo per risposta estetica è qualcosa di più vicino, semmai, a un senso animale del mondo: un avere naso per la visibile intelligibilità delle cose – il loro suono, odore, forma, che parlano con e attraverso le reazioni del nostro cuore, un rispondere alle fattezze, alla lingua, ai timbri e ai gesti delle cose in mezzo alle quali ci muoviamo…”

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Hadid, Philarmonic Hall in Lussemburgo

Un segno di grande carica emotiva, fatto di tracce, campi sfumati, ispessimenti, per definire sensazioni di spazio in immagini aperte. Hadid parte da un disegno dove delinea gli oggetti ad un livello molto astratto, per poi affidare alla computer grafica lo sviluppo concreto e il controllo del suoi progetti.

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Kooolhaas, torri a Lille

Koolhaas compie un rapido e metodico sondaggio formale per le sue torri. Nelle prime due righe il tema è un elemento con linee spezzate, nelle altre è l’incastro di due elementi. Gli schizzi sono in sequenza logica, legati da rapporti di variazione o di opposizione. Si può inoltre osservare come dalla semplice e simmetrica figura iniziale poggiata al suolo segua poi una sempre maggiore attenzione alla sezione del basamento.

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Il disegno a memoria: la riproduzione delle idee

“E’ buona cosa spingere l’idea fino a uno stato di estrema purezza…la semplicità deriva dalla ricchezza, dall’abbondanza, per scelta, selezione, concentrazione.”

Le Corbusier, prima stesura del Modulor (“a bord du cargo …”) e schizzo dei 4 modi della villa

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Il disegno a memoria è un mezzo per liberare la fantasia perché riduce la forza repressiva del dato reale, o meglio lo semplifica per dare spazio alle ragioni della nuova cosa. Una volta realizzato un collegamento e trovata un’idea, questa viene continuamente rielaborata attraverso tentativi di rappresentazione. Questo vale naturalmente, e a maggior ragione, per il lungo tempo. Le idee vengono da lontano e spesso arrivano all’improvviso.

Fu mentre compiva una traversata oceanica che Le Corbusier ebbe l’intuizione del Modulor. Durante una tempesta insistette nel chiedere e ottenne di usare per qualche ora la cabina del capitano, evidentemente l’unico spazio che lo avrebbe messo in condizioni di disegnare con un minimo di agio. Faccio solo una supposizione, ma che mi sembra molto plausibile: lo immagino a sostenersi dentro lo spazio minimo di una cabina passeggeri, tastando le pareti, i piani , il soffitto mentre la nave beccheggia, e in quel momento avere la folgorante associazione tra la figura umana con il braccio alzato fino al plafond e il doppio quadrato.

Ed è solo dopo numerose riflessioni e discussioni sull’abitare Le Corbusier disegna, su un tovagliolo del ristorante dove era con il cugino, la sezione della Unitè d’Abitation. Così come solo dopo vent’anni di lavoro può concentrare in uno schizzo i quattro modi di progettare una villa.

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Kahn, convento per le suore Domenicane

Il tema come germe dell’idea: La disposizione accidentale dei cinque corpi trova soluzione nel contrapporsi alla regola di un tipo tradizionale a “C”. I corpi disassati vengono studiati dapprima in sequenza lineare, e solo dopo l’introduzione del’edificio a “C” si raggruppano centralmente. All’inizio i padiglioni e il corpo longitudinale si muovono in libera contrapposizione; poi subentra l’impianto a “C” con la corte rettangolare che nel disegno 4 viene suddivisa in sei spazi quadrati. Da questa rimisurazione riparte quindi il dissesto che produrrà il disegno finale.

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Lo schizzo per illustrare

Tre esempi di disegno a mano di Koolhaas eseguiti su una base cad elementare:

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Questa veduta isometrica animata, fatta di textures e figure stilizzate, “dimostra” la vita del progetto nelle sue fasce tematiche, in una rappresentazione simultanea di planimetria e alzato, come negli schizzi di città nel medioevo.

Koolhaas, progetto Transferia

Il tema è il grande insediamento lungo i nodi infrastrutturali delle aree perturbane. Forse anche per il carattere futuristico dei progetti, queste vedute a volo fatte solo di linee ricordano certi paesaggi fantascientifici di Moebius.

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Koolhaas, municipio a L’Aja

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Qui riecheggia l’opera di H. Ferris e delle sue vedute metropolitane, illustrate in “Delirious New York”.

Il colore e la luce definiscono i lineamenti delle tre cortine di volumi. Il colore nella vista tre quarti rende la profondità; per lo scorcio dal basso è sufficiente l’ombra. L’economia dei mezzi fa emergere gli aspetti salienti dell’oggetto.

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ANTROPOMETRIA

(dal gr. ἄνϑρωπος "uomo" e µέτρον "misura"). - Per antropometria devesi intendere l'investigazione statistica dei caratteri dei gruppi umani, siano essi misurabili ("quantitativi", come il peso, la statura, le dimensioni della testa, la frequenza del respiro, la durata della vita, ecc.) o classificabili ("qualitativi", come il colore degli occhi, la forma dei capelli, le proprietà biochimiche del sangue, ecc.) allo scopo di conoscerne le intensità o le modalità, quando è possibile i loro nessi, ed eventualmente risalire alle cause da cui quelle e questi dipendono.

La scienza dell'antropometria è abbastanza recente, ma essa, insieme con l'antropologia, trae origine da tradizioni antichissime. Per comprenderne la formazione e lo sviluppo bisogna rifarsi, da un lato, a certe antiche forme di pratica attività, che implicavano l'osservazione sistematica dei caratteri umani; dall'altro, a certe dottrine che traevano origine dallo studio scientifico di essi. Ricorderemo l'antichissima pratica di misurare le stature degli uomini, per giudicare della loro idoneità alle armi, a cui, per testimonianza di Vegezio, si uniformarono anche i Romani, e che si è protratta sino a oggi; e l'altra, di cui si trovano numerosissime tracce nei papiri dell'Egitto greco-romano (dal sec. III a. C. al sec. IV d. C.), di descrivere i tratti principali dei partecipanti a certi atti o contratti, probabilmente a scopo d'identità (età, statura, colore della pelle, capigliatura, conformazione del viso, forma del naso, colore degli occhi, forma delle orecchie, barba, segni particolari). Sono più importanti, perché originate dall'esigenza teoretica di desumere le tendenze psicologiche degl'individui dalla forma, le descrizioni sistematiche degli attributi umani esterni, della letteratura fisiognomonistica, che comincia, se si escludono i primi nomi, più o meno leggendarî, con lo pseudo-Aristotele, con Adamanzio e Polemone, e giunge, attraverso i cultori medievali e del Rinascimento (Alberto Magno e Giambattista Della Porta), fino ai tempi moderni, con Lavater, Gall, Piderit e cento altri. Un altro rivolo storico, da cui trae origine l'antropometria, e che solo era stato riconosciuto dal creatore di questa scienza, è nei canoni artistici. La letteratura e le arti figurative delle grandi civiltà antiche - indiana, egiziana, greca, romana - riconobbero nel corpo umano certe leggi di proporzione, e se ne servirono nelle rappresentazioni plastiche, e altrettanto fecero i pittori e gli scultori medievali e moderni. Per dir solo di alcuni italiani, si ricorderà il canone della scuola giottesca, descritto da Cennino Cennini, e quelli, più celebri (per quanto, in parte, derivati dagli scrittori classici), del Rinascimento, di Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, Agnolo Fiorenzuola. Ma solo con la rivoluzione scientifica dei secoli XVI e XVIl, fra molte altre discipline, sorge e si afferma una storia naturale dell'uomo; e l'investigazione sistematica dei suoi caratteri diventa fine a se stessa. Tuttavia la formazione dell'antropometria come disciplina autonoma, ha luogo appena nel sec. XIX ed è dovuta al belga Adolfo Quételet (1796-1874), il creatore della moderna metodologia statistica. Già sostanzialmente contenuta nella celebre opera sull'uomo

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(1835), e specialmente nell'ultima parte, dedicata alla teoria dell'uomo medio, rielaborata, nel rifacimento della stessa opera del 1869, riceve il nome e uno sviluppo sistematico nell'Anthropométrie del 1871. Col Quételet si realizzano la convergenza e la sintesi delle correnti tradizionali, e gli antropologi ne trarranno in breve vigorosi sviluppi. Ma dal nuovo tronco si dipartiranno tosto altri rami, destinati a crescere parallelamente fino a oggi. Degne di ricordo: l'antropometria criminale, legata all'opera di Cesare Lombroso (1876); l'antropometria segnaletica, dovuta ad Alfonso Bertillon (1879); l'antropometria clinica, creata da Achille De Giovanni (1880) e sviluppata dalla sua scuola; l'antropometria militare, per quanto v'è in essa di autonomo, nobilitata da Ridolfo Livi (1896), ecc. In tutti questi rami spesso rivivono, svolgendosi, antichi motivi teoretici e pratici.

Per quanto si riferisce ai caratteri quantitativi, il tema centrale dell'antropometria è nella dottrina queteletiana dell'"uomo medio". Prendiamo, ad es., la statura, in un gruppo di individui omogenei per origine, per sesso e per età. Tutte le stature sono diverse fra loro; ma, quando gli individui vengono riuniti in classi di statura di eguale ampiezza (ad es., si riuniscono insieme tutti coloro la cui statura è compresa fra cm. 159,5 e cm. 160,5; e, analogamente, quelli le cui stature sono comprese nei limiti 160,5-161,5; 161,5-162,5, ecc.) ci si accorge dei fatti seguenti o ad essi razionalmente si perviene, e cioè: a) che esiste, di regola, una classe di stature in cui gli individui misurati sono più numerosi; b) che tale classe è, all'incirca, equidistante delle due stature massima e minima, osservate nel dato gruppo di individui; c) che la frequenza diminuisce man mano che dalla classe di frequenza massima si discende verso le stature inferiori o si sale verso le superiori; d) che le frequenze corrispondenti alle classi di statura superiori o inferiori ed equidistanti (simmetriche) dalla classe di frequenza massima sono, all'incirca, uguali; e) che la media di tutte le stature è teoricamente uguale alla statura centrale della classe di massima frequenza, e può essere assunta come tipo di tutte le stature dei componenti il gruppo. Ora, se nello stesso gruppo d'individui misurassimo, oltre alla statura, molti altri caratteri antropologici, o anatomici, o fisiologici, o psichici, l'intensità media di ciascuno potrebbe essere assunta come tipo dell'intensità del carattere nel gruppo. Orbene, il Quételet aveva affermato che le intensità medie dei diversi caratteri umani, in un dato gruppo, formano un sistema coerente, ossia convengono tutte a un individuo ideale, che può essere considerato come il tipo del gruppo. In altre parole, a un individuo ideale, avente la statura media del gruppo, convengono anche il perimetro toracico medio, la lunghezza media della testa, la grandezza media dei visceri, la forza media, ecc.

La dottrina dell'uomo medio è stata combattuta in ogni tempo, anzi al suo smantellamento ha offerto esca lo stesso Quételet.

La critica fondamentale mossa a questa dottrina consiste in ciò. Si credeva - e fu proprio il Quételet a dirlo per primo - che i pesi umani crescessero in ragione del quadrato delle stature. Dato questo vincolo tra la serie delle stature e quella dei pesi,

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si disse, è evidente che la media aritmetica delle stature non è compatibile con la media aritmetica dei pesi, ossia che un uomo che avesse una statura uguale alla media, per ciò solo avrebbe un peso diverso dal peso medio.

Orbene, poiché è verosimile che la stessa incompatibilità che si era creduto riscontrare fra stature e pesi abbia luogo anche per altri caratteri, l'uomo medio diventa una costruzione incongruente che dev'essere abbandonata. Nonostante questa obbiezione, che pare definitiva, la dottrina dell'uomo medio ha avuto un'accoglienza universale nella pratica scientifica, e ha offerto un mezzo prezioso per indagare, mediante l'uso delle medie, i caratteri delle popolazioni e per confrontare fra loro i gruppi umani diversi, a ciascuna età. Gli antropologi hanno misurato i caratteri di moltissimi popoli e sono così giunti, fra l'altro, a mettere in evidenza i tratti somatici salienti di ciascuno, precisando le basi della sistematica delle razze umane, che un tempo erano incerte e confuse. Essi hanno anche potuto precisare quantitativamente le modalità secondo cui l'organismo medio si sviluppa, col crescere dell'età, e le differenze che presenta lo sviluppo dei due sessi e dei popoli di diversa stirpe. Recentemente, soprattutto per merito del Gini, la dottrina dell'uomo medio, è stata ripresa in esame e rivendicata anche nei suoi fondamenti teorici.

Osserva, infatti, il Gini che le serie di cui disponeva il Quételet, quando vengano attentamente considerate, non affermano e non negano la proporzionalità delle variazioni dei pesi e delle stature. D'altra parte, quando si prendono in esame serie di dati più ricche e attendibili, risulta in modo indubbio che i rapporti fra le variazioni delle stature e le variazioni dei pesi sono praticamente costanti, ossia, in altre parole, che le variazioni delle stature sono praticamente proporzionali alle variazioni dei pesi. Se ne conclude che la media aritmetica dei pesi è compatibile con la media aritmetica delle stature; e poiché la stessa compatibilità ha luogo per le medie delle numerose coppie di caratteri umani che sono state finora studiate, ne risulta la piena coerenza dell'individuo ideale che sia medio rispetto a tutti i suoi attributi quantitativi.

Riportiamo - dal Viola - alcuni caratteri dell'uomo medio e della donna media veneti.

In base alle cifre contenute in questo specchietto, le quali compendiano il risultato di numerosissime osservazioni, è possibile formarsi un'idea precisa e chiara delle proporzioni dei caratteri del corpo nell'uomo medio e nella donna media veneti, ed è facile altresì confrontare i caratteri maschili coi corrispondenti caratteri femminili.

Ad esempio, si vede subito che la statura dell'uomo medio è più che doppia della lunghezza della sua gamba al malleolo, ed è precisamente 168,0 : 79,0 = 2, 1 e che altrettanto si verifica per la donna media, poiché si ha 155,0 : 72,2 = 2,1.

Analogamente, dalle cifre dell'ultima colonna, appare senz'altro che i caratteri dell'uomo medio superano, di regola, i caratteri della donna media, ma che la donna

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media è superiore all'uomo medio nell'altezza epigastrico-pubica e nella larghezza del bacino.

La conoscenza dei caratteri quantitativi dei gruppi umani si allarga e si approfondisce quando, oltre che calcolare l'intensità media di essi, o i rapporti degli uni agli altri (rapporti che, nella sistematica scientifica, hanno formato oggetto di particolare attenzione dando luogo a una serie di indici antropometrici mediante i quali, appunto, l'intensità di particolari caratteri viene commisurata all'intensità di altri), se ne studia la variabilità o anche si misura, mediante gl'indici di correlazione, l'influenza reciproca delle intensità di un carattere sulle intensità d'un altro.

Riportiamo, a titolo d'esempio, i valori del coefficiente di variazione di alcuni caratteri antropologici, anatomici, fisiologici e patologici dell'uomo. I dati, di varî autori, sono stati raccolti dal Pearl. Il coefficiente di variazione è il rapporto percentuale dello "scostamento quadratico medio" o (v. per questo concetto biometria) alla media aritmetica. Poiché i coefficienti di variazione sono indipendenti dall'unità di misura dei singoli caratteri, per loro mezzo è possibile confrontare la variabilità di caratteri espressi in unità di misura differenti.

I dati che riportiamo mettono in evidenza le profonde differenze di variabilità dei caratteri strutturali e funzionali, sia nell'uomo sia nella donna.

Riportiamo pure, a titolo di esempio, i seguenti dati, di autori diversi, pure raccolti dal Pearl, che misurano la correlazione fra due caratteri (a) e (b) antropologici, anatomici, fisiologici e patologici umani.

Si notano caratteri legati da una correlazione positiva (+), altri legati da correlazione negativa (−). Talora la correlazione è grande, ed è infatti misurata da valori dell'indice prossimi all'unità, più spesso è meno grande o addirittura piccola, ciò che avviene quando l'indice ha valori prossimi a zero.

Quanto ai caratteri qualitativi, essi, non meno dei quantitativi, hanno interessato i cultori dell'antropometria. Si vedrà come si procede nel loro studio, prendendo, ad es., il colore dei capelli. Si cominciano a fissare alcune categorie di colori. In un gruppo d'individui omogenei per origine, sesso ed età, si contano coloro che rientrano nelle categorie fissate; p. es. dei capelli rossi, biondi, bruno chiari, bruno oscuri e neri, e si calcola poi la percentuale rappresentata da ciascuna categoria sul numero totale degli individui osservati. Si procede analogamente per altri gruppi di popolazione e si confrontano poi le frequenze percentuali, delle diverse modalità di colore dei capelli nei varî gruppi. Molti caratteri qualitativi sono stati fin qui investigati, accertando differenze sistematiche fra i vari gruppi umani. La conoscenza dei caratteri qualitativi si è inoltre allargata, indagando le modalità con cui essi tendono ad associarsi nei diversi individui (cercando, ad es., se e con quale frequenza i biondi di capelli hanno occhi chiari e pelle rosea oppure occhi scuri e pelle bruna, ecc.) e le relazioni esistenti fra le varie categorie di essi e l'intensità dei caratteri

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quantitativi (ricercando, ad es., se i biondi di capelli hanno, più frequentemente dei bruni, una statura bassa, ecc.). Riportiamo, a titolo di esempio, alcuni dati sul colore degli occhi e dei capelli in due gruppi di soldati americani, nati, rispettivamente, in Inghilterra e in Italia.

Dalle cifre risulta evidente che i soldati di nascita inglese erano prevalentemente di tipo a pigmentazione chiara, e i soldati di nascita italiana erano, invece, prevalentemente di tipo a pigmentazione scura.

Ed ecco, sempre a titolo di esempio, altri dati sull'associazione di due caratteri qualitativi: pigmentazione e gruppi sanguigni (numerati secondo il criterio di Jansky), da cui risulta che la frequenza dei gruppi sanguigni varia al variare del tipo di pigmentazione.

L'antropometria è una scienza in via di rigoglioso sviluppo e uscendo dalla speculazione scientifica pura offre già, come è stato accennato, ricchi elementi a svariati campi dell'attività pratica (polizia scientifica, reclutamento militare, clinica medica, ecc.).

Dell'antropometria hanno fatto larghissimo uso gli antropologi per definire i caratteri di razza. Essi si sono specialmente fondati sulla craniometria (studio antropometrico del cranio), ma più recentemente il Manouvrier in Francia e il Martin in Germania hanno meglio approfondito lo studio antropometrico di tutte le parti del corpo. Gli antropologi si sono anche occupati delle proporzioni del corpo umano.

Antropometria medica

I principali scopi che si propone l'antropometria medica, nei suoi vari campi di studio, sono i seguenti:

a) lo scopo strettamente clinico (misurazione delle alterazioni, di forma, peso e volume di varie parti del corpo prodotte da malattia) e inoltre il controllo della crescita nelle varie età, ai fini dello studio della crescita fisiologica per mettere in evidenza eventuali ritardi o acceleramenti di natura patologica della crescita stessa;

b) lo scopo costituzionalista (determinazione dei varî tipi morfologici umani essenzialmente ai fini dello studio dei loro caratteri fisiologici e della predisposizione di essi alle malattie).

Fanno parte altresì degli scopi medici dell'antropometria;

c) l'antropometria criminale, creazione di Cesare Lombroso, che ha perduto oggi molto della sua importanza. Dovrebbe servire al rilievo metrico di segni degenerativi somatici da erigersi a indici di stati degenerativi psichici criminali.

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d) l'antropometria militare con la quale i medici cercano di determinare a priori, in base a poche ed elementari misure, la resistenza organica dell'uomo agli sforzi funzionali richiesti dalla vita militare. È evidente che l'antropometria militare si avvicina molto nei suoi scopi a quella costituzionalista, trattandosi in definitiva di misurare la predisposizione o meno ad ammalare in seguito alle fatiche e ai disagi della vita militare.

L'antropometria medica nelle sue quattro suddivisioni (clinica, costituzionale, criminale e militare) si differenzia dalle altre antropometrie (antropologica, canoni per gli artisti, segnaletica; v. polizia giudiziaria) perché queste ultime considerano certi caratteri anatomici del corpo umano suscettibili di misurazione, in sé e per sé, nel loro esclusivo significato morfologico; mentre l'antropometria medica si serve del fatto morfologico-antropometrico per giungere all'interpretazione funzionale dell'organismo umano. Per l'antropometria medica il fatto morfologico puro non ha valore per sé, ha valore solo in quanto è indice e misura dello stato funzionale o addirittura di un eventuale stato patologico anatomico-funzionale.

Nel caso dell'antropometria militare si tratta di sapere quali conseguenze funzionali porterà, per es., il fatto morfologico di una circonferenza toracica troppo stretta, quando l'organismo sarà sottoposto ai disagi della vita militare e, in modo più generale, a tutte le cause meteoriche, traumatiche, infettive, emozionali, ecc., che lo turbano e minacciano nell'ambiente in cui vive, costringendolo a un permanente stato di difesa organica. Nel caso dell'antropometria clinica si tratta di sapere quali fatti patologici, anatomici e funzionali stiano a fondamento di un torace deformato nelle sue proporzioni (rachitide, osteomalacia, carie vertebrale, ecc.) o di una circonferenza addominale enorme (ascite, peritonite, tumore, cisti ovarica, ecc.).

È naturale che, allorquando si deve risalire dal fatto antropometrico al fatto funzionale, la scelta delle misure da adottarsi venga ispirata da tutt'altri criterî, che non quando ci si accontenti del fatto morfologico puro e semplice che ha un valore in quanto costituisce in sé e per sé un segno distintivo di razza, una nozione quantitativa pura e semplice, un carattere utile all'identificazione di un determinato individuo, una norma per gli scultori nel formare le loro statue, ecc. Da ciò deriva un profondo divario nella scelta delle misure, nella scelta dei rapporti fra le misure e in generale nei metodi antropometrici. L'antropometria medica è dunque quella branca della medicina che si propone di misurare l'uomo allo scopo di dedurne criterî intorno alle capacità funzionali, oppure all'eventuale stato patologico.

Antropometria costituzionalistica. - È questa la parte dell'antropometria medica che ha assunto, col risorgere ai giorni nostri delle dottrine costituzionalistiche, una reale importanza. Si tratta di determinare nell'uomo le varianti quantitative del corpo, considerando i valori delle singole parti o del tutto, sia nella loro espressione assoluta quantitativa, sia nella loro espressione relativa (proporzioni corporee), e ciò allo

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scopo di vedere se a conformazioni corporee diverse corrispondano tipi funzionali diversi e diverse inclinazioni alle malattie.

L'Elsholtz (sec. XVII) è da considerarsi il precursore di tali studî, ma le sue ricerche non hanno che un interesse storico. L'antropometria clinica a scopo costituzionalistico è stata inaugurata dal De Giovanni fin dal 1880. Il metodo, dapprima ancora incompleto e poco preciso, fu completato e rigorosamente fissato in tutti i particolari dal Viola (1902). Negli ultimi anni (1920-24) sono comparse, specialmente in Germania, varie proposte di metodi antropometrici ad uso clinico costituzionalista (Berliner, Borchardt, Brugsch, Friedenthal, Martin, ecc.). Il migliore è forse quello del Friedenthal perché considera le tre dimensioni e viene proposto dall'autore per lo studio della crescita. In Francia un metodo per lo studio della crescita, a scopo puramente morfologico (constatazione empirica dell'allungamento e allargamento delle varie parti del corpo), fu ideato dal Godin (1903); in America da Draper, Dunn e Seegal (1924). In complesso però non pochi di questi metodi tradiscono una scarsa preparazione ad affrontare il problema. Se, per intenderci meglio, noi confrontiamo ancora una volta l'antropometria costituzionalistica con quella militare, troviamo che l'antropometria militare ha metodi molto elementari, di scarsa precisione e circoscritti alla misurazione della statura e del perimetro toracico, che non servono ai fini dell'antropometria medico-costituzionale. Nonostante la sua grande semplicità, la militare dà tuttavia risultati pratici utilissimi, in quanto l'antropometria non mira (come apparentemente si potrebbe credere) a valutare ogni singolo coscritto, ma effettivamente solo a risultati collettivi: fonda insomma i suoi risultati sui grandi numeri. Lo stato mette un limite all'accettazione degli individui per il servizio militare: questo limite è dato da un minimum di statura e di perimetro toracico. Lo sforzo funzionale richiesto dalle fatiche fisiche dei militari è in rapporto con la possibilità di rendimento che ha la massa somatica, considerata in lunghezza (statura) e in larghezza e profondità (perimetro). Non importa se al disopra di un tale limite vi siano singoli individui per altre ragioni inadatti, e al disotto dello stesso limite singoli individui tuttavia atti alla vita militare. Lo stato trascura le eccezioni. Per la quasi totalità degli individui, una secolare esperienza ha dimostrato che fra una determinata quantità antropometrica e la quantità dello sforzo funzionale richiesto dalla vita militare si può istituire un rapporto statistico, fondato sui grandi numeri, il quale praticamente ci garantisce che, quando quel determinato rapporto è dentro certi limiti, la quasi totalità degli organismi umani supera felicemente lo sforzo funzionale militare.

Invece l'antropometria costituzionalistica mira a valutare precisamente ogni singola individualità; mira dunque non a determinare fatti collettivi, ma fatti individuali, a raccogliere con cura ogni deviazione dallo sviluppo normale (assoluto e relativo) di ogni singola parte del corpo e di tutto il corpo, per mettere tali deviazioni in rapporto con deviazioni funzionali, che formano il letto delle predisposizioni morbose. Ecco perché non bastano più metodi antropometrici semplicistici come quelli militari.

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Se per esempio, allo scopo di semplificazione metodologica, noi partiamo dalla supposizione che il corpo umano individuale, una volta che sia stato determinato nella sua statura e nella circonferenza toracica, sia determinato anche in ogni altra dimensione di lunghezza, larghezza e profondità e anche nella lunghezza e nel diametro trasverso degli arti superiori (non compresi nell'altezza personale), commettiamo un errore, perché partiamo da una supposizione che si verifica solo (ed entro certi limiti) per le medie fondate sui grandi numeri, entro le quali medie si compensano tutte le eccezioni individuali, anche le più gravi. Una tale supposizione nel caso dell'antropometria individualistica non si verifica mai. Nel caso della media collettiva noi mettiamo in evidenza una legge di correlazione, per cui, variando due misure del corpo (statura e perimetro), variano anche tutte le altre parti di conserva. Ma i singoli individui si differenziano tra loro in virtù del fatto che, appunto entro le leggi di correlazione, esiste una certa possibilità di offesa a dette leggi, le quali pertanto non sono rigide, ma alquanto elastiche, entro determinati limiti.

In questi limiti di elasticità, si muovono tutte le individualità con le loro infinite varianti, che costituiscono il fondamento della predisposizione morbosa. Di qui anche la condanna di tutti quei metodi che si vogliono compendiare in indici generali antropometrici, con un risultato numerico unico, in funzione di numerosi singoli valori. L'individualità umana presenta varianti e disposizioni morbose localistiche e domanda prima di tutto un'indagine analitica di ognuna, presa per sé e in rapporto con le altre. La valutazione sintetica, con un numero indice unico, è priva di ogni valore pratico. La valutazione sintetica deve essere la sintesi delle già avvenute valutazioni analitiche.

Nell'istituire un metodi antropometrico, ai fini dello studio della individualità morfologico-funzionale, si deve badare altresì, per quanto riguarda le predisposizioni relative, a scegliere una misura fondamentale, alla quale riportare poi tutte le altre misure (senza che sia vietata peraltro la possibilità che una qualsiasi singola misura venga confrontata a qualsiasi altra). Tale misura basale, assunta come centro di riferimento, e la scelta dei rapporti che si vogliono studiare devono essere rigorosamente discusse e fatte in base a concetti ben precisi e con scopi ben determinati. Infine si richiedono: precisione di punti di ritrovo, preferibilmente scheletrici e sottratti quindi alle varianti dello stato di nutrizione; apparecchi di precisione che immobilizzino il soggetto durante la misurazione; determinazione di tutte e tre le dimensioni del corpo e limitazioni del numero delle misure allo stretto necessario, per evitare calcoli ingombranti.

Il metodo adottato dalla scuola costituzionalista italiana soddisfa queste premesse. Con la misurazione delle tre dimensioni del torace moltiplicate fra loro e similmente per il segmento addominale ipocondriaco e per il segmento addominale inferiore, si ottengono gli indici volumetrici o valori cubici del torace, dell'addome superiore e inferiore; la somma di questi tre valori dà la cubicità-indice di tutto il tronco, la quale viene assunta come misura fondamentale, cui si confrontano tutte le altre dimensioni

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lineari e cubiche rilevate. La lunghezza dell'arto superiore, sommata a quella dell'arto inferiore, dà l'indice o valore degli arti. Il valore-indice del tronco, come rappresentante del sistema vegetativo, viene contrapposto al valore-indice degli arti, come rappresentanti del sistema di relazione. Il rapporto del malore del tronco col valore degli arti costituisce il rapporto fondamentale nella determinazione della individualità. In un secondo tempo si studiano i rapporti fra la cavità toracica e quella addominale, fra l'addome superiore e l'inferiore, fra l'arto superiore e l'arto inferiore, fra diametri transversi e diametri antero-posteriori delle singole cavità (testa, torace, addome superiore, addome inferiore) e così via.

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Tipologie di unità abitative

Per unità abitativa si intende il minimo spazio architettonico composto da uno o

più ambienti sistematicamente legati e nel loro insieme indipendenti e tali da consentire la funzione

dell'abitare. L'unità abitativa corrisponde quindi alla singola abitazione, che può corrispondere anche al

concetto più antropologico di casa.

Per casa si intende una qualunque struttura utilizzata dall'uomo per ripararsi dagli agenti atmosferici.

Essa generalmente ospita uno o più nuclei famigliari e talvolta anche animali. A seconda del numero dei

nuclei familiari che questa può contenere, esistono due tipologie di case:

a) CASE UNIFAMILIARI;

b) CASE PLURIFAMILIARI.

Questi due gruppi a loro volta sono suddivisi secondo il seguente schema:

CASE UNIFAMILIARI

ISOLATE SINGOLE

ASSOCIATE

CON ALLOGGI ABBINATI

CON ALLOGGI RAGGRUPPATI

CON ALLOGGI SOVRAPPOSTI

A SCHIERA

CASE PLURIFAMILIARI

ISOLATE A TORRE

CONTIGUE

IN LINEA

A BLOCCO

A BALLATOIO COLLETTIVE

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A A

A A

Pianta piano terra

Pianta piano primo

Sezione A-A

SCALA 1:200

CASE UNIFAMILIARI

Le case unifamiliari isolate (singole) sono destinate ad ospitare un solo nucleo famigliare esono appunto isolate e circondate generalmente da uno spazio verde privato. Questa tipologiaabitativa richiede un considerevole uso di suolo, condutture per i servizi, elevati costi di produzione

e di manutenzione, ed è caratteristica delle aree a densità abitativa molto bassa.

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Prospetto EST

Prospetto OVEST

Prospetto SUD

Prospetto NORD

SCALA 1:200

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AA

Le case unifamiliari associate sono edifici che pur essendo composti da più alloggi prevedonoun ingresso indipendente. Questa tipologia incude al suo interno 3 gruppi diversi :

-Con alloggi abbinati: hanno in comune tra loro solo un muro perimetrale mentre gli altri tre latisono liberi.

-Con alloggi raggruppati : sono tipi di abitazioni costituiti dall'unione di 4 appartamenti accostatitra loro in modo tale che ciascuno di essi presenti 2 muri perimetrali in comune e 2 liberi ed accessidiretti ed indipendenti.Questa tipologia presenta alcuni inconvenienti quali: orientamento e ventilazione.

Muro in comuneSEZIONE A-A

Pianta alloggioScala 1:200

Muratura comune

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-Con alloggi sovrapposti si presentano con un appartamento posto al piano terra e comunicante

direttamente all’esterno con il livello stradale, ed un altro appartamento posto al 1 piano, cui si accede

direttamente all’esterno mediante una scala indipendente.

Come si può notare questa tipologia viene impiegata nei casi dove il suolo su cui sorge l'abitazione è in

pendenza.

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L2

S P

K

WC

R

INGRESSO

STUDIO

L3

L1

WC/

LAVANDERIA

R

BOX AUTO

RISERVA

IDRICA

INTERCAPEDINE

WC

TAVERNETTA

WCL1

A AA

A

AA A

A

B

Scala 1:200 Piano seminterrato Piano rialzato Piano 1° Pianta copertura

B

Le case associate a schiera sono l'elemento edilizio che ha maggiormente caratterizzato leespansioni delle città medievali ed è una tipologia ripresa ai nostri tempi per soddisfare i bisogni dicasa indipendente ma con inferiori costi, rispetto la casa singola, sia di produzione che dimanutenzione.Le principali caratteristiche di questa tipologia sono: sviluppo su di un suolo lungo e rettangolareavente un'ampiezza di 5-6 metri, la presenza della strada su di un lato, muri perimetrali comunicantie l'affaccio limitato solo sui due lati corti, si sviluppa su 2 o 3 piani, quello inferiore adibito a zonagiorno mentre il superiore e zona notte.A questi si aggiungono il piano seminterrato o interrato.

Esempio di casa a schieraProgettato ed eseguito dall'alunno Facendola Nicola, con la supervisione del docente di disegno eprogettazione Arch. Perrone Lucia. (AS 2012/2013)

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Pianta abitazionevista planimetrica

Sezione trasversale A-A

Sezione longitudinale B-B

Prospetto Sud

Prospetto Nord

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CASE PLURIFAMILIARI

Le case plurifamiliari isolate sono fabbricati liberi da ogni lato, aventi al centro una zona diingresso comune che comunemente è il vano scala- ascensore.

La casa torre appartiene alla classe tipologica delle residenze plurifamiliari. E' costituita daorganismi abitativi elementari, generalmente con affacci su più fronti, distribuiti su più pianicollegati fra loro da una scala comune, anche con ascensore. Sono classificati a torre anche edifici disoli 2 piani, purché isolati e aperti su tutti i lati.

SCALA 1:200

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Le case plurifamiliari contigue hanno i muri perimetrali in comune e si suddividono in:

plurifamiliari contigue in linea, a blocco e a ballatoio.

-Le case in linea vanno a sostituire le case a schiera nel momento in cui le esigenze abitative cambiano.

Questa tipologia è un impianto strutturale determinato dall'aggregazione di almeno due palazzine

unifamiliari. Il numero di piani varia da tre fino a sei, per ogni piano possono esserci da due fino a

quattro e più alloggi e infine il vano scala che è in comune.

Il corpo di fabbrica ha generalmente dimensioni costanti lungo l'asse trasversale e può crescere

indefinitamente lungo l'asse longitudinale. Questo tipo di soluzione abitativa è detta "a stecca" (a)

quando l'asse longitudinale è rettilineo, "a crescente" (b) quando tale asso è curvo, "ad angolo" (c)

quando segue assi di aggregazione ortogonali.

a)

b)

c)

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- Le case a blocco sono caratterizzate da un fabbricato che prevede vari appartamenti disposti supiù piani, raggruppati intorno a un cortile scoperto, che solitamente distribuisce accessidifferenziati alle varie porzioni residenziali, raggiungibile direttamente dalla strada mediante uno opiù portoni d'ingresso, a seconda delle dimensioni e dell'estensione planimetrica dell'edificio.

SCALA 1:200

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SCALA 1:200

SEZIONEPIANTA ALLOGGI DUPLEX LIVELLO ZONA GIORNO

PIANTA ALLOGGI DUPLEX LIVELLO ZONA NOTTE

-Le case a ballatoio (anche dette di ringhiera) rappresentano una particolare tipologia diappartamenti in cui i ballatoi sono usati come spazi comuni per accedere alle diverse stanze o, nelcaso di un condominio, alle singole unità abitative.

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Le case collettive sono quelle case plurifamiliari che hanno molte cellule abitative all’interno del

quale si possono trovare ristoranti, lavanderie, bar ecc.

Esempio di questa tipologia abitativa sono:

a) Residenza universitaria: soddisfa le esigenze degli studenti fuori sede di avere, con costi minimi, una abitazione in cui sia garantita la privacy e la personalizzazione. In genere i mini alloggi sono abitati da due, massimo tre studenti. E’ completata da diverse strutture di servizio collettive.

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b) l'Unità Abitativa di Marsiglia è una delle opere più importanti dell'architetto Le Corbusier e si

tratta di un edificio conosciuto a livello mondiale, il cui realizzatore sosteneva che le costruzioni, così

come le persone, hanno piedi, corpo e testa. Questo edificio ospita 1600 abitanti ed è caratterizzato da

appartamenti uniti da lunghi corridoi e da una terrazza con vari giochi. Ogni unità abitativa è del tipo

"duplex", cioè disposto su due livelli diversi accessibili mediante una scala interna. Gli ingressi sono

disposti lungo un corridoio-strada situato ogni due piani. Al settimo e ottavo piano sono presenti una

parte dei servizi generali necessari alla popolazione (asilo nido, negozi, lavanderia, ristorante, ecc.), in

modo da eliminare, secondo la teoria di Le Corbusier, il salto dimensionale tra il singolo edificio e la

città, cosicché il primo divenga un sottomultiplo della seconda. L'architetto iniziò il progetto della

struttura nel 1946 e lo terminò nel 1952; attualmente è possibile visitare uno dei piani intermedi in cui

visono servizi in comune ed inoltre l'ufficio turistico propone visite guidate all'intero complesso.

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c) la Torre David o Torre de David è un palazzo modernissimo, ricoperto su tre lati di vetrate a

specchio, nel cuore di Caracas: una grande incompiuta di 45 piani. I primi 28, da anni, sono occupati

da circa 2500 squatter che hanno eletto la torre come loro casa. Non ci sono bagni, mancano

pure i muri e anche le balaustre dei terrazzi, fatte in mattoni, sono un "accessorio" che è spuntato da

poco: questo dopo che più di qualche inquilino è volato nel vuoto per oltre 20 piani.

La costruzione risale al 1990: doveva ospitare appartamenti di lusso, uffici e anche la sede di una delle

piu importanti banche del Venezuela con tanto di eliporto. A finanziare la costruzione fu il magnate

David Brillembourgh, allevatore di cavalli, uomo d'affari e amico di Hugo Chavez, scomparso per una

malattia nel 1993.

Allora il governo venezuelano, riporta il New york Times, aveva acquisito tutti i suoi beni ma il palazzo

non fu mai completato a causa della crisi economica che colpì lo stato.

La Torre de David, dal nome del suo creatore, compare anche nel libro "Shadow Cities: A Billion

Squatters, A New Urban World" scritto dal giornalista americano Robert Neuwirth come,

probabilmente, il più grande edificio occupato del ''mondo''.

Urban-Think Tank, Iwan Baan e Justin McGuirk, indagano il carattere di un grattacielo occupato e, con

un bar temporaneo alle Corderie, portano a Venezia un pezzo di Caracas vincendo così il Leone d'Oro.

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Le scale di riduzione

Le dimensioni di un oggetto, quando sono troppo grandi perché siano riportate sul foglio da disegno, si riducono in scala.

Scala 1 a 200 (si scrive 1 : 200) rappresenta una divisione. In scala 1: 200, il valore

che riporterai sulla carta sarà il valore reale della lunghezza diviso per 200, in scala

1:50 sarà diviso per 50, in scala 1:1000 sarà diviso per 1000.

Per esempio, partiamo da una misura sul terreno di 8,40 m.

Trasformiamo prima in centimetri, (perché si disegna in centimetri).

8,40 m => 840 cm e riduciamo in scala 1: 200 => 840 : 200 = 4,2 cm

Abbiamo ottenuto che una lunghezza di 8,40 m, corrisponde a un segmento di 4,2 cm sulla carta, in un disegno in scala 1:200.

Se poi dovremo passare dal valore misurato su carta al valore reale, faremo

l'operazione inversa, cioè moltiplicheremo la lunghezza del segmento misurato sul

disegno per 200, o per 50, o per 1000, per ottenere la lunghezza nella realtà.

Andiamo ora a vedere le formule generali.

Abbiamo detto che per passare dalla misura reale a quella del disegno si divide la misura reale per la scala:

𝐿𝐷 =𝐿𝑅

𝑁

dove LD è la lunghezza sul disegno, LR quella reale e N è il denominatore della scala (1:N).

Quindi 840 cm : 200 = 4,2 cm (lunghezza sul disegno).

Se conosco la misura reale dell’oggetto e la sua misura sul disegno, posso ricavare la

scala con cui è stato eseguito il disegno dalla formula:

𝑁 =𝐿𝑅

𝐿𝐷

840 cm : 4,2 cm = 200 => la scala è quindi 1:200.

Se si vuole la misura reale, nota la misura del disegno e la scala:

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𝐿𝑅 = 𝐿𝐷 𝑥 𝑁

4.2 cm x 200 = 840 cm (lunghezza reale)

Altro esempio: 320 m => scala 1:2000

LD =320 m / 2000 = 0.16 m

LR = 0.16 x 2000 = 320 m

N = 320 m / 0.16 m = 2000

Calcolo dell’area su un disegno

b

h

Facciamo riferimento a un rettangolo, ma il ragionamento vale per tutte le figure.

In un disegno, eseguito in scala 1:2000, un terreno di forma rettangolare ha

dimensioni h = 4.3 cm e b =7.2 cm. Determinare l'area reale del terreno.

Per determinare l'area di una figura in scala bisogna prima di tutto trovare le

dimensioni reali e poi, in seguito, calcolare l'area.

L’area del rettangolo, com’è noto, si determina con la formula: A = b x h

Trasformiamo prima i lati in metri:

7.2 cm / 100 = 0.072 m e 4.3 cm / 100 = 0.043 m

Poi troviamo le misure reali (quelle del terreno) moltiplicando i lati per la scala:

0.072 m x 2000 = 144 m e 0.043 m x 2000 = 86 m

Il terreno avrà quindi queste dimensioni: 144 m

86 m

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e la sua area varrà : A = 86 m x 144 m =12 384 m2

E’ sbagliato calcolare l’area con le dimensioni del disegno e poi moltiplicare per la

scala:

0.072*0.043*2000=6.192 m2

bisogna invece moltiplicare per la scala al quadrato

0.072*0.043*20002 =12 384 m2

Altri esercizi:

Un terreno rettangolare, disegnato in scala 1:2000, sul disegno misura 12 cm

di base e 5.5 cm di altezza. Calcolare l’area reale del terreno.

12 cm

5,5 cm 1: 2000

12 cm x 2000 = 24000 cm = 240 m

5,5 cm x 2000 = 11000 cm = 110 m

Area rettangolo = 240 m x 110 m = 26 400 m2

Un rettangolo ha l’area A = 500 000 m2 e la larghezza b = 1000 m .

Determinare l’altezza h del rettangolo e la scala da utilizzare per disegnare il

rettangolo in un foglio formato A4

b

h

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A = b x h => h = A/b = 500 000 / 1000 = 500 m

Proviamo, ad esempio, con una scala 1:2000

b=1000 m / 2000 = 0,50 m = 40 cm [eccessiva per il formato A4 (max 29,7 cm)]

h=500 m / 2000 = 0,25 m = 25 cm [eccessiva per il formato A4 (max 21 cm)]

Proviamo allora con la scala 1:5000

1000 m / 5000 = 0,2 m => 20 cm => b

500 m / 5000 = 0,1 m => 10 cm => h

Si eseguirà quindi il disegno in scala 1:5000

Invece di procedere a tentativi potevamo calcolare un valore approssimato della

scala da arrotondare poi tra i valori delle scale più utilizzati.

Usiamo la formula: 𝑁 =𝐿𝑅𝐿𝐷 LR1 = 1000 m

LR2 = 500 m

Per LD prendiamo le dimensioni del foglio (21 cm x 29,7 cm) e troviamo due valori

della scala:

𝑁1 = 1000 𝑚

0,297 𝑚= 3367

e

𝑁2 = 500 𝑚

0,21 𝑚= 2380

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Ovviamente utilizzeremo una riduzione in scala maggiore di 3367 per verificare le

due condizioni. Arrotondiamo la scala 1: 3367 alla scala più prossima 1: 5000.

Lo studente può poi controllare, per esercizio, che il disegno eseguito in scala 1:2000

non entra nel foglio formato A4

Dello stesso rettangolo si vuole staccare un triangolo con base B =240 m e

area 10000 m2. Calcolare l’altezza h che avrà il triangolo e rappresentarla sul

disegno.

Area triangolo => A = B x h/ 2 = 240 x h / 2 = 10000 m2

Ricaviamo h dalla formula inversa dell’area:

h = 2 x A /B = 2x10000/240 = 83,33 m =8333 cm

e poi calcoliamo la misura in scala 1:2000:

h = 8333 cm/2000 = 4,16 cm h

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Le scale maggiormente utilizzate sono:

Disegno tecnico e meccanico

Scala 2:1 = Scala ingrandita: serve per ingrandire gli oggetti;

Scala 1:1 = Scala reale: serve per rappresentare gli oggetti in misura naturale

Scala 1:2 = Scala rimpicciolita;

Scala 1:2,5

Scala 1:5

Scala 1:10

Scala 1:20

Disegno architettonico e urbanistico

Scala 1:5 (dettagli di particolari)

Scala 1:10 (dettagli di particolari)

Scala 1:20 (particolari costruttivi e di arredamento)

Scala 1:50 (progetto esecutivo, arredamento)

Scala 1:100 (progetto architettonico)

Scala 1:200 (progetto preliminare, planimetrie catastali di immobili)

Scala 1:500 (Planimetria)

Cartografia

Scala 1:500 (Planimetria catastale, Carta Tecnica Comunale)

Scala 1:1000 (Planimetria catastale, Carta Tecnica Comunale)

Scala 1:2000 (Planimetria catastale, Carta Tecnica Comunale)

Scala 1:5000 (Carta Tecnica Regionale)

Scala 1:10000 (Carta Tecnica Regionale)

Scala 1:25000 (Carta IGM)

Scala 1:50000 (Carta IGM)

Scala 1:100000 (Carta IGM)

Scala 1:200000/250000 (Carta stradale di dettaglio)

Scala 1:500000 (Carta stradale)