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Leggere 1 Edipo Re di Sofocle. Sofocle Prof. don Mario Neva Appunti di conoscenza Corso di Filosofia Antica, Djimè 2012 1 I precedenti di questo saggio sono rispettivamente il commento all’Amleto di Shakespeare e la duplice analisi sul Faust di Goethe. A questo si aggiunge il costante dibattito con Nietzsche e in genere sulla filosofia e la filologia tedesca e contemporanea. Innumerevoli inoltre sono le esplorazione letterario filosofiche, nonché illazioni poetiche e teatrali. I tre lettori che mi competono troveranno qua e là delle ripetizioni. Rispetto ai saggi precedenti, la teologia, in quanto rivelazione, è qui controllata con maggiore fermezza, grazie a una consumata esperienza. Inoltre mi limito a delle allusioni contro la psicanalisi senza entrare volutamente nell’analisi del complesso di Edipo in sé, che merita a mio avviso un discorso particolare. Prendo le distanze dal classicismo e neoclassicismo considerando positivamente il Rinascimento come il grande anticipo sul ritardo. Non propongo un ritorno ai greci ma una loro comprensione leale; penso che, senza scomodare turbe escatologiche, sono in atto grandi rivolgimenti nei quali anche la ragione, umile e forte, conserverà il suo ruolo. Certamente trovo sorprendente la reiterazione accademica fuori dal contesto dell’umanità contemporanea e futura. Ciò che qui è inconcluso trova spiegazioni non facili e ugualmente semplici nell’esperienza di fede, ma per questo il passaggio d’obbligo è la Croce, di Cristo prima e la nostra di conseguenza. Ho già affrontato il tema che spero di riprendere. In poche parole non intendo lasciare questa terra ripetendo pallidi luoghi comuni. Rileggendo per il corso di filosofia le opere di Platone, Aristotele, Parmenide ed Eraclito, iin lingua francese ad usum studiorum, ho trovato normale immergermi di nuovo nell’autentico clima della Grecia, partendo dalla lingua e da alcuni suoi episodi significativi. All’interno di questa rilettura fa sentire il suo peso il paesaggio, soprattutto umano, dell’Africa, semplice, dimesso e straordinariamente intenso.

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Leggere1 Edipo Re di Sofocle.

Sofocle

Prof. don Mario Neva

Appunti di conoscenza

Corso di Filosofia Antica,

Djimè 2012

1 I precedenti di questo saggio sono rispettivamente il commento all’Amleto di Shakespeare e la duplice analisi sul Faust di Goethe. A questo si aggiunge il costante dibattito con Nietzsche e in genere sulla filosofia e la filologia tedesca e contemporanea. Innumerevoli inoltre sono le esplorazione letterario filosofiche, nonché illazioni poetiche e teatrali. I tre lettori che mi competono troveranno qua e là delle ripetizioni. Rispetto ai saggi precedenti, la teologia, in quanto rivelazione, è qui controllata con maggiore fermezza, grazie a una consumata esperienza. Inoltre mi limito a delle allusioni contro la psicanalisi senza entrare volutamente nell’analisi del complesso di Edipo in sé, che merita a mio avviso un discorso particolare. Prendo le distanze dal classicismo e neoclassicismo considerando positivamente il Rinascimento come il grande anticipo sul ritardo. Non propongo un ritorno ai greci ma una loro comprensione leale; penso che, senza scomodare turbe escatologiche, sono in atto grandi rivolgimenti nei quali anche la ragione, umile e forte, conserverà il suo ruolo. Certamente trovo sorprendente la reiterazione accademica fuori dal contesto dell’umanità contemporanea e futura. Ciò che qui è inconcluso trova spiegazioni non facili e ugualmente semplici nell’esperienza di fede, ma per questo il passaggio d’obbligo è la Croce, di Cristo prima e la nostra di conseguenza. Ho già affrontato il tema che spero di riprendere. In poche parole non intendo lasciare questa terra ripetendo pallidi luoghi comuni. Rileggendo per il corso di filosofia le opere di Platone, Aristotele, Parmenide ed Eraclito, iin lingua francese ad usum studiorum, ho trovato normale immergermi di nuovo nell’autentico clima della Grecia, partendo dalla lingua e da alcuni suoi episodi significativi. All’interno di questa rilettura fa sentire il suo peso il paesaggio, soprattutto umano, dell’Africa, semplice, dimesso e straordinariamente intenso.

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Leggere il testo sottrae al

rischio di essere sopraffatti dal vero

protagonista, cioè l’attore, e in troppi

casi dalla fama del regista. Resta il

problema universale e necessario, nel

senso che non si può evitare, del

traduttore. La trama di Edipo RE,

Sofocle2 ne è l’autore in data incerta

(potrebbe essere nel 440-430 AC),

scorre dunque alla lettura, regale nel

contenuto e nella forma. Nietzsche

direbbe che essa intreccia in perfetto

equilibrio la dimensione apollinea e

quella dionisiaca; entrambe le

divinità, e più precisamente i

rispettivi altari, sono presenti nella tragedia3 come luoghi di costante

e inascoltata invocazione. E perché non pensare, da dopo Nietzschze

e contro Nietzsche, che la ragione è pur essa realtà e non proiezione,

in modo tale che non perde la sua forza e la sua consistenza in un

mondo reale, animale e Dionisiaco? Ci sembra più vera, sebbene

destinata al compimento ultimo della storia umana, la scena della

Scuola di Atene, e soprattutto il classicismo forte del Rinascimento

italiano, dove le forze, le intelligenze, le scuole, sono messe in

campo, senza per questo rinunciare all’armonia e alla bellezza che

dominano la scena. Certamente il Rinascimento segna il vertice più

elevato della cultura occidentale, forse troppo debole e certamente

troppo in anticipo rispetto alle reali energie collettive messe

costantemente in campo dagli uomini. A suo confronto il classicismo

e neoclassicismo posteriore hanno più il sapore di una fuoriuscita

dalla minorità che l’affermazione di una pienezza. In questo senso

Nietzsche, e gli altri con lui, appaiono degli adolescenti inquieti,

davanti all’opera concorde di Dante Alighieri e Michelangelo: come

per dire che è importante andare a scuola, ma più importante ancora è

trovare maestri adeguati.

Il lettore moderno trova il testo di Sofocle arcaico e primitivo; la

traduzione distrae4, ma è l’unica possibilità che è consentita ai

comuni mortali; in ogni caso la forma è aulica e il contenuto al limite

dell’impossibile. Potere sacrale, sesso trasgressivo e violenza, contro

gli altri e contro se stessi, vengono esaltate come le autentiche

minacce della collettività, della Polis. In verità la tragedia non chiede

di essere letta e discussa. Il teatro si fa a teatro, dicono gli esperti,

anche se per accorgersi del suo valore, oppure parimenti del suo

inganno, conviene riflettere. In Italia la generazione anni 50’ ricorda

il film di Pasolini del 67’5 che mescola attori divenuti famosi a

2 (Atene 497 a.c.- 406 a.c.) 3 Vv. 203 - 215 4 Ho davanti il testo originale a cura di GTaverna, ed.Ciranna & Ferrara , MI 1997. e le due traduzioni online due traduzione, la prima a cura di by Ian Johnston of Malaspina University-College, Nanaimo, BC (now Vancouver Island University) , la seconda di Ettore romagnoli. 5 La cecità di Edipo (un "innocente" perseguitato da un destino avverso e crudele),

simboleggia l'incapacità dell'uomo contemporaneo di "vedere" - e di sforzarsi di

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personaggi popolari, attualizzando la vicenda in una Bologna

autobiografica, che ha il sapore di autobiografia, cominciando dagli

anni venti. Con Gasmann, prima maniera, rintracciabile su Youtube6,

si scopre poi che l’Italiano, un po’ rigirato nella costruzione del

verso, diciamo pure declamato alla ‘greca’, sembra essere in grande

armonia con una lingua fatta di vocali aperte e suoni duri, come si

addice alle pietre e al sole. Sarebbe per questo interessante sapere

dove le altre lingue possono davvero spingersi rispetto al greco e al

latino, prive come sono della visione di coste frastagliate e delle isole

mediterranee. La vicenda, le parole, la poetica stessa, che coinvolge

tutte le direzioni del cielo e della terra, conservano ancora oggi il

potere di avvincere.7 Sul teatro greco infine è facile la parodia, ma

occorre avvertire che essa fu già ugualmente sviluppatissima tra i

greci che avevano sì il gusto del tragico, ma altresì il gusto

dell’ironia, dello scherzo, a cui i filologi sono certamente meno

portati. Fu anche sviluppato il teatro morboso e trasgressivo, quello

che riempie le scalinate e le sale, ieri come oggi. Al fine la vita è fatta

in modo tale che non mancheranno mai i comici a fare da controcanto

ad ogni solennità dovuta o cerimoniosa. E’ significativo pensare che,

per fare almeno un esempio notevole, la questione omerica è iniziata

già con i greci, e che la critica alla ‘fiction’ non doveva aspettare la

follia geniale di Cervantes per affermarsi, essendo già ironicamente

applicata da Platone mentre finge, nella POLITEIA o Repubblica, di

costruire la città ideale. Insomma, non divinizziamo i greci, ma

neppure riduciamoli a nostro uso e consumo terapeutico8.

comprendere - le situazioni in cui si trova, situazioni per molti versi drammatiche e

terribili. Il suo vagare in un paesaggio desertico, in totale assenza di rapporti umani e

di qualsivoglia comunicazione, senza che pronunci alcuna parola e soprattutto senza

una meta che non sia quella che il "destino" stesso gli indica ineluttabilmente, dà il

senso preciso di questo estraniamento, di questo tremenda, assoluta mancanza di

possibilità e di volontà di "vedere".

L'intento autobiografico - che c'è ed è volutamente svelato da Pasolini perfino dal

particolare dell'ambientazione a Bologna del prologo e dell'epilogo del film - è

evidente, ma non è il solo che il poeta si propone. Egli, infatti, inizia con Edipo rea

percorrere, con i suoi lavori, la via di una denuncia sempre più aperta, provocatoria e

priva di intenti giustificatori, che avrà la sua massima espressione nella

rappresentazione delle atrocità di Salò. Pasolini è un intellettuale checonosce la realtà,

l'avvenuta "mutazione antropologica" del suo tempo, e che sente, quale suo primario

compito morale, civile e politico, di dovere richiamare l'attenzione dei suoi

contemporanei affinché non diventino "ciechi", affinché non accettino come ineluttabile

il divenire dei fatti e della Storia.

[...][da S. Murri, Pier Paolo Pasolini, Editrice Il Castoro- l'Unità 1995, Milano]

6 Oso citare internet. 7 Lo stile è solenne ed elevato, straordinariamente poetico nelle odi corali, ma

anche leggiadro e agile, con una larga gamma di toni. Meno esuberante di Eschilo, Sofocle è grandioso senza essere ampolloso, denso senza apparire retorico o artificioso. La sua più grande realizzazione drammatica fu quella di reinterpretare gli antichi miti attraverso un maggiore sviluppo del carattere individuale e di conferire a ciò che in apparenza risulta marginale profondi significati simbolici. Una recente teoria critica ha sottolineato l’immaginazione mitica di Sofocle e il lato più cupo della sua famosa “classica serenità”. Queste forze spiegano ampiamente il potente effetto che le sue tragedie continuano ad esercitare ancora ai giorni

nostri.inhttp://utenti.multimania.it/lgreca/sofocle.htm 8 L’esempio clamoroso di un intellettuale di valore come G Reale che pensa davvero ad una utilità dei greci.

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Leggendo si scopre con sorpresa che la tragedia poteva finire già nel

momento in cui Edipo vede Giocasta, suicida, pendere da una trave; è

l’ultima volta che egli vede il mondo, quel mondo che scopre

improvvisamente ‘violato’ dal suo duplice delitto. In realtà la storia

continua e la scelta è quella dell’esilio che esalta la nobiltà di Creonte

e in seguito la pietas di Antigone...la spiegazione più intelligente di

questo, comunque duro, ammorbidirsi della tragedia in un fatto

patetico, come l’errare di un cieco che sembra improvvisamente

diventato vecchio, si trova nel fatto che almeno 20 anni prima

Sofocle ha già raccontato la vicenda di Antigone, simbolo del

dissidio tra la legge umana e i decreti più profondi della pietas e della

divinità.9 Del resto Edipo o l’Edipeide, come dir si voglia, conoscono

una quantità di versioni e di dilatazioni tra le quali Sofocle opera una

scelta, diciamo pure intelligente.

Opera anche questa incommensurabuile10,

dunque, che, a ragione della sua linearità e per il

fatto di aver concentrato tutta l’energia su un solo

personaggio principale, messo modernamente in

contrappunto con gli altri personaggi, rivela una

coerenza di sviluppo, che ne fanno, a detta di

Aristotele, la prima delle tragedie, la tragedia

delle tragedie e il cantico dei cantici del dolore

che non trova riparo. Il crescendo corre a

precipizio verso lo svelamento...ogni passo è

presentito, il pubblico deve capire, deve avvertire

con dolore dove conduce la vicenda, ciò che

avverrà aleggia già sulla situazione in atto, ma ciò

che accade è pur sempre nuovo, appare costantemente sotto forma di

enigma e di nodo da sciogliere...se dunque il personaggio chiave è

Edipo, la situazione chiave della vicenda è il dialogo dello stesso

Edipo con Tiresia, profeta veggente, che oppone resistenza a rendere

nota una verità che coincide con il dolore puro. Tiresia è colui che

non vede ma conosce, come Omero, perché il vero sapere viene dagli

dei11

. La vicenda è dominata dal Fato, Divino e cieco. Ma dire che il

9 Antigone (442-441), dramma che scaturisce dal sentimento di devozione dell’eroina per Pollinice, il fratello morto al quale vuole dare sepoltura nonostante il divieto del re, rappresenta il conflitto fra i valori di una donna religiosa e sentimentale e il virile secolare razionalismo di Creonte, re di Tebe. L’interpretazione hegeliana della tragedia come un contrasto tra lo Stato e l’individuo, contiene una certa verità anche se semplifica eccessivamente le questioni poste dal dramma. 10 Il riferimento è a Goethe che così definisce il Faust dialogando con Eckermann. 11 (Entra Tiresia, vecchissimo, cieco, guidato per mano da un bimbo) ÈDIPO: Tiresia, o tu che pènetri ogni cosa, palese o arcana, terrena o celeste, Tebe, tu ben lo sai, se pur nol vedi da che morbo è percossa. Or noi te solo scorgiam patrono e salvatore. Apollo, se i messi ancor non te l'han detto, a noi diede responso che da questo morbo solo abbiamo uno scampo; ove, scoperti quelli che ucciser Laio, li uccidessimo, o dalla terra in bando li cacciassimo. Or, degli alati non voler negarci il responso, o se tu della profetica arte conosci altro sentiero. Salva te stesso, e Tebe, salva me, distruggi ogni contagio del defunto. Siamo nelle tue mani. E dar soccorso quanto s'abbia o si possa, è la più nobile opera. TIRESIA: Ahi, ahi! Sapere quanto è duro, quando a chi sa nulla giova! Io ben sapevo,

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Fato Divino è cieco vuol dire parlare per analogia. Fato cieco si può

tradurre con: . inesorabile distanza, crudeltà, indifferenza, giustizia

inflessibile e crudele. Edipo mette in campo la sua attitudine a svelare

gli enigmi, ma, mentre la soluzione dell’enigma della Sfinge ha

portato alla salvezza, lo scioglimento dell’enigma sulla sua origine

porta alla morte. L’esito teatrale si raggiunge attraverso l’espediente

dei riconoscimenti e dei colpi di scena improvvisi, che capovolgono

la situazione di partenza. In tal modo la tragedia prende una tinta

forte, solare e livida; e la tragedia è proprio tale perché la vicenda

narrata e vissuta dagli attori, si affaccia sull’orrido abisso, senza

ritorno.

Ci si deve chiedere a

questo punto perché la Tragedia in

genere? Perché la tragedia di

Sofocle? Perché gli ateniesi e con

loro i greci amano la tragedia?

Perché la tragedia dopo i greci?:

Seneca, Shakespeare, Schiller,

Goethe, Manzoni, Camus … perché

ancora oggi gli uomini amano vedere

sangue e morte, il compiersi di

destini ciechi, il levarsi della protesta

contro il male senza remissione, o

contro un Dio che non risponde? Sì è

già detto del tentativo maldestro di

Nietzsche che interpreta appieno, a

nostro avviso, gli esiti di un periodo

circoscrivibile della cultura umana, maldestro ma non sprovveduto.

Già facendo memoria sintetica della vicenda riesce difficile, se non

impossibile, distinguere la messa in scena, la finzione teatrale,

mimesi ed esagerazione del mondo reale, dall’esperienza personale e

collettiva, in un mondo che continua ad essere flagellato dal male.

Quando piove forte l’acqua impetuosa percorre tutti i rivoli già

scavati e ne apre di nuovi. La mimesi inoltre, teorizzata con

sfumature diverse da Platone ed Aristotele, nasce dal piacere,

dall’istinto dalla natura stessa dell’uomo, in particolare dall’attitudine

propria del linguaggio umano di imitare e riprodurre le cose che

avvengono, avendole assimilate, rivissute, e mantenendo vivo il

gusto innato dell’espressione. A questo punto è necessario ribadire

ed obliai. Venir qui non dovevo. ÈDIPO: Che c'è? Cosí scorato fra noi giungi? TIRESIA: Lasciami andare! Ci sarà piú facile compier cosí tu ed io la nostra sorte. ÈDIPO: Non parli giusto; e la città non ami che ti nutrí, se tal responso neghi. TIRESIA: Inopportuno giunge il tuo discorso anche per te: lo stesso non m'accada. ÈDIPO: Tu che sai, per gli Dei, non ti schermire: c'inginocchiamo tutti innanzi a te! TIRESIA: E tutti siete dissennati! I mali miei non dirò: ché i tuoi svelar dovrei!

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ancora che discutere di tragedia non è come parteciparvi…non è la

stessa cosa andare a teatro con l’abbonamento e assistere a

improbabili attualizzazioni conformistiche e trasgressive, oppure

essere un Ateniese del V secolo, quando la peste ha seminato la

morte dentro i palazzi del potere e tra le case dei cittadini e degli

schiavi e la lunghissima guerra contro Sparta volge improvvisamente

verso il peggio, vanificando un passato fatto di azioni eroiche.

Ci mettiamo dunque dalla parte dello spettatore

sottolineandone, come di prammatica, il ruolo fondamentale

costitutivo della triade teatrale (autore attore spettatore). Qui è

d’obbligo introdurre il concetto e l’esperienza stessa della Catarsi.

Dobbiamo immaginare il teatro di Epidauro o di Efeso, con centinaia,

migliaia di spettatori, che fanno

da cassa di risonanza, affacciati

sul mare o avvolti nel paesaggio

circostante, seguendo il ritmo

cosmico del sole che nasce e che

muore, realtà e metafora delle

vicende umane e del perpetuo,

ritmico, scandire del tempo. In

tutto questo si può forse

esagerare, ma non è certamente

sbagliato pensare al teatro greco come ad una solenne liturgia

dell’esistenza umana, che nella società moderna è surrogata in

indefiniti modi, fino ad arrivare alla colossale frantumazione catartica

e virtuale dei media. Catarsi vuole forse l’esito di un coinvolgimento

totale nella finzione, vuol dire possibilità di fare uscire la propria

situazione di vita, riconoscerla senza veli, senza bisogno di varcare la

soglia a pagamento dello psicanalista. Lo svelamento si oppone alla

rimozione, al non voler dire a noi stessi ciò che porta dolore: desideri

inappagati, limiti non accettati, a partire dal corpo, mete

irraggiungibili, solitudine, sensi di colpa, colpe veramente commesse,

situazioni dolorose, angoscia per il futuro… Nell’Edipo RE il

protagonista è un uomo che compie una duplice grave trasgressione

opponendosi al compimento del vaticinio sfavorevole. Situazione ben

diversa da quella dell’Innocente, del buono o addirittura del bambino

che soffre senza motivo, situazioni queste per le quali la formula è ‘la

sofferenza del giusto’ e per la quale si consiglia di aprire altri libri.

Quello che bisogna dire comunque sul tema della catarsi, per non far

distendere e addomesticare la tragedia greca su un comodo Sofà, è

che la liberazione in questione ha il sapore di un presupposto e non di

una conclusione, di una diagnosi e non di una terapia; in povere

parole la liberazione catartica è emotiva e illusoria, non ti sposta di

un millimetro dalla realtà. La verità non ci sottrae dalla necessità di

scoprire che il senso di colpa è connaturato all’animo umano e radice

di costante dolore, prima ancora delle sue interpretazioni o dei suoi

oscuramenti. L’essere umano perde la memoria, tra l’altro senza mai

aver conosciuto il tutto della sua origine, solo quando perde il senno.

Un ulteriore elemento va considerato, senza il quale ci si

chiede perché tutta la vicenda in questione non si possa pensare come

semplicemente stupida, poiché assurda. La tragedia greca è

verticalizzata in modo che possiamo dire semplicemente vertiginoso

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al punto che se si cerca un livello più basso non resta che l’artificio e

il vezzo letterario. In poche parole la tragedia è una azione divina e la

sua interpretazione profonda al fine è teologica. Da questo punto di

vista il classicismo e in genere il pensiero moderno hanno preteso di

relativizzare questo aspetto chiudendo le porte all’interpretazione.

Questo si deve dire anche di tutta la filosofia, soprattutto dei testi

solari di Aristotele e Platone. A confronto i testi illuministi, ricchi di

genialità ed erudizione, sono semplicemente meno significativi, come

del resto si autocondanna allo ‘sbiadito’ il pensatore distaccato e

oggettivo che impera nella cultura contemporanea.

In questo senso il preambolo dell’Edipo RE è decisivo: la trama

prende avvio da un oracolo più volte ribadito, inflessibile sarà la sua

realizzazione. Il crimine estremo, parricidio e incesto, sta dinnanzi ad

un Olimpo divino, Olimpo disordinato ma ugualmente sovrumano,

fissato nell’idea irremovibile di una giustizia che riguarda solo i fatti

e non le situazioni, i limiti e la fragilità umana. Si tratta di un vezzo

umano, pesante, che attraversa tutta l’esperienza mentale degli

uomini, quello di attribuire a Dio, come in questo caso, una fissità

assurda, oppure semplicemente negandone l’esistenza, roba per

ciechi mentali. Il vezzo di attribuire a Dio o negare a Dio ciò che gli

compete, è stato più volte stigmatizzato cominciando da Xenofane

antesignano dei laici demitizzatori che, forse solo in questo caso,

sono in compagnia con i teologi santi, pensatori di razza. E’ forse

giusto considerare la teologia tragica di Sofocle, forse consapevole

del grande nodo, sostanzialmente primitiva e infantile, come del resto

lo sono a dismisura molti paradigmi biblici sulle soglie del Nuovo

Testamento. La cosa peggiore resta comunque l’assenza di religione

che trascina con sé la scomparsa di intere civiltà. Al senso di colpa

primigenio, già teorizzato in sede metafisica nell’aulico verso di

Anassimandro sul principio, Principio teologicamente definito come

Infinito, APEIRON, corrisponde inesorabile il castigo divino,

accettato e introiettato dai protagonisti-vittime: Giocasta si uccide,

Edipo si acceca, la discendenza ne porta ovunque le conseguenze.

Sullo stesso registro di Edipo Re posto dagli eventi sugli altari e poi

cieco e mendico, gettato nella polvere, muove i suoi passi tragici il

Manzoni, quando il personaggio reale e storico è Napoleone. Ma con

Manzoni, dopo la conversione, la tragedia può svilupparsi solo dentro

una storia reale che si rivela come storia di salvezza, vivendo egli

intimamente un surplus di dramma e non accettando la finzione

simbolica e la licenza creativa fatta ad arte per creare la situazione

assurda, irredimibile, che non trova soluzione. Ci sono dunque

ragioni molto profonde per questo. In caso contrario all’eccezione,

gli espedienti narrativi diventano necessari all’economia della

tragedia: l’oracolo nefasto di Sofocle nell’Edipo RE, la permissione

diabolica di Giobbe ripresa in altro modo dal Faust di Goethe, non

meno degli spiriti che parlano sui bastioni con l’Amleto di

Shakespeare e infine nei personaggi limite, demoni e scarafaggi, di

Dostoevskij e Kafka.

Percorso della Conoscenza umana e tracotanza o Ubris, restano al

fine i due luoghi comuni filosofici della tragedia: entrambi diventano

come i protocolli irrinunciabili nell’interpretazione del complesso

animo greco e in genere della situazione umana. Il protagonista salva

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la città risolvendo il famoso enigma della SFINGE, mostro

divoratore; l’enigma con il quale tutti noi abbiamo giocato da

bambini, come sappiamo, riguarda le età dell’uomo. Non è meno

insidioso il gioco originario con il mito della Genesi, altro topos

dell’infanzia, o le stesse favole di Grimm…La Sfinge conosce più

degli uomini ma meno di Edipo, il quale viene ora considerato un

semidio tendenzialmente capace di conoscere il bene e il male,

capace perciò di governare un popolo, di promulgare leggi sagge e

farle osservare. Questa sete di conoscenza contiene, dentro la

tragedia, conducendolo sull’abisso, rivelando, se ce ne fosse ancora

di bisogno, che i greci hanno maturato con estrema lucidità ciò che in

modo meno originale forse caratterizza il pensiero moderno dove la

parola più alta è alienazione o frustrazione: la sete di sapere

dell’uomo si trova di fronte, deve necessariamente fare i conti, con il

limite, ma ben più del limite, deve fare i conti con il male. A questo

riguardo potremmo rinforzare l’idea estrema con innumerevoli testi

dell’Edipo Re ma anche di altre tragedie, percorrendo a ritroso un

cammino che ci riporta ad Omero e ai primi poeti e pensatori greci.

La preferenza va ancora una volta ad Aristotele ‘maestro di color che

sanno, quando nel primo libro della metafisica intende spiegare

perché i filosofi hanno molto insistito nell’individuare gli opposti (es

bene e male, vita e morte, notte e giorno, guerra e pace, donna e

uomo ecc.) quali principi della realtà, principi rispettivamente del

Caos o dell’Armonia, quale esito di una guerra generatrice. La

spiegazione lapidaria che ne da Aristotele rivela seccamente

l’insufficienza di questa dottrina dualista che serpeggia sempre nei

pensieri umani, contemporaneamente egli illumina con forza sul

problema reale che vi soggiace. Per intenderci, la filosofia è un atto

di riflessione profondo per cui, posto che non condividi una dottrina,

hai sempre l’onere di spiegare perché questa dottrina è nata, quali

sono i suoi presupposti. Ebbene, Aristotele che figura nelle ingenue

storiografie come l’antesignano dei filosofi ottimisti, non a caso è

amato maldestramente da Leibniz, si limita dire che nel mondo ci

sono tante cose meravigliose e positive, ma che ci sono anche le

cose negative, e infine che le cose negative sono più numerose di

quelle positive. La cosa più straordinaria di Aristotele è che

mantiene contemporaneamente l’idea, oggi diremo forte , sul valore

sommo della ragione e del Logos, pur misurandosi costantemente

con la realtà concreta. Detto in poche parole anche l’intelletto sano,

capace di giudicare, conoscere e costruire sistema, fa parte della

realtà del mondo. Non avere compreso questo sta alla radice del

costante fraintendimento di Aristotele e dell’intera filosofia.

All’ombra di questa incomprensione stanno le intelligenti deviazioni

e i ritardi rispettivamente di Nietzsche, Heidegger, e l’allegra

compagnia antifilosofica delle università contemporanee. Ora, qui

come altrove, nono siamo necessitati a seguire Aristotele, ne tanto

meno, per quello che ci riguarda, a considerarlo definitivo. Quello

che qui importa è che di ogni cosa noi possiamo sondare, qualche

volta soffrendo qualche volta animati dalla classica meraviglia,

confini e significati. A questo livello la nostra indagine sull’Edipo è

diventata eminentemente filosofica.

Certamente la diffusa corsa tutta contemporanea a fare delle

psicologie ferite fonte di sapienza teologia e filosofica appare

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patetica, in ritardo sugli innumerevoli anticipi, solo preoccupata dei

pensatori precedenti, in ultima analisi inadeguata.12

Campeggia alla fine il tema della UBRIS, termine tradotto più o

meno felicemente come ‘tracotanza’, atteggiamento di sfida davanti

alla divinità e davanti agli uomini, questa tracotanza contro un

destino avverso, spiega un altro elemento chiave della tragedia. Gli

alunni del liceo ne sentono parlare ossessivamente per cinque anni,

chiedendosi, legittimamente, se abbia senso studiare il greco per una

sola parola. Consapevoli dell’inghippo ne parliamone ora

sobriamente. La tracotanza, come Nietzsche, ed altri con lui, hanno

messo in risalto, può essere di duplice natura: trasgressiva, in quanto

c’è una legge, una norma, un tabù, un confine proibito che non si

deve valicare … oppure attiva, in quanto l’uomo rifiuta la

sottomissione allo scopo di realizzare appieno la sua umanità a

beneficio degli uomini. Il primo caso è quello di Adamo, che

Nietzsche considera un mito semita, il secondo, da lui definito come

felicemente pagano, incarnato dalla figura di Prometeo di Sisifo e

altri eroi.. La distinzione ci basta per capire che nel nostro caso Edipo

invade entrambi i terreni trasgredendo una norma senza saperlo,

condotto dal Fato avverso, e comunque eroico, pieno di sé, nella

volontà assoluta di risolvere i nodi della conoscenza fino in fondo,

eroico nella conoscenza e nel castigo…insomma, Edipo esercita la

sua UBRIS ambivalente, rifiutando altri interventi, nel giudizio e

nella pena. Oltre è meglio non andare…

Vorrei finire con una sintesi suggestiva affermando che la tragedia è

tale perché e cieca, cieca come Auschwitz e Hiroshima, cieca come

le sofferenze incomprensibili di tanti uomini. Cieca come il Dio che

gli uomini si costruiscono sulla misura della propria esperienza,

buona o cattiva che sia.. Ci si chiede legittimamente se qualcuno non

sia in grado, magari con un po’ di fango impastato con la saliva, di

guarire questa cecità, o di fare in mondo, impresa cosmica e

desiderata palingenesi, che si possa guardare il mondo a viso aperto

spalancando gli occhi di meraviglia, come quelli di un bambino,

magari per sempre. Il Fato è cieco e

divora, Omero è cieco e canta, Tiresia

è cieco e profetizza, Edipo si è fatto

cieco ed è ramingo…Forse il suo

dolore più grande e attuale, per stare al

gioco della metafora, è quello di

essere accudito, quasi segregato, da un

intellettuale austriaco di indubbio

valore e soprattutto di origine ebraica,

che pur avvertendo la tragica urgenza

del tema, ne ha fatto un uso

diagnostico, distribuendolo poi a

piccoli dosi in pastiglie terapeutiche,

come ansiolitico di una intera civiltà

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Costretto a citare Jonas, con il suo ragguardevole Dio dopo Auschwitz, Vattimo con la sua tesi sul pensiero debole, Mancuso con i suoi pasticci filosofico-teologici, la fissazione ossessiva di Severino, il Narcisismo laico di Scalfari e tutti i fautori di questa linea dolente comprensibile,

ma da gestire … che aggiunge paglia alla tragedie dell’esistenza.

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Bohicon Benin 15 settembre 2012