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edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 1 SILVIA MAZZONE - CLARA SILVIA ROERO LE EQUAZIONI DIFFERENZIALI NEL SETTECENTO * Introduzione È con la nascita del calcolo infinitesimale di Isaac Newton (1642-1727) e di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), nella seconda metà del 17° secolo, che troviamo i primi studi sulle equazioni differenziali. Essi hanno origine col cosiddetto problema inverso delle tangenti che consiste nel determinare la natura della curva che soddisfa a una data relazione fra le coordinate e i loro elementi differenziali (o momenti delle flussioni), ad esempio a una data proprietà sulla tangente o sulla normale, o sulla sottotangente, …, e corrisponde perciò a risolvere un’equazione differenziale del primo ordine. Il contesto iniziale è dunque geometrico, ma si estende in breve tempo ad altre branche della scienza, quali la meccanica, l’ottica, l’astronomia, l’idrodinamica, la iatromatematica, … . Fra i primi e più celebri problemi affrontati con successo fra l’ultimo decennio del Seicento e l’inizio del Settecento, ricordiamo ad esempio quelli che portarono alla determinazione di curve trascendenti, come la catenaria, la trattoria, la brachistocrona, il discusso problema delle famiglie di traiettorie ortogonali e gli studi sul moto di un corpo soggetto ad un campo di forze centrali nel vuoto o in un mezzo resistente. Da una congerie di esempi specifici di questo tipo si passa a individuare, già negli anni novanta del Seicento, metodi adatti a risolvere particolari classi di equazioni differenziali: sostituzioni e separazione delle variabili condussero alla soluzione delle equazioni omogenee, delle equazioni lineari del primo ordine e delle equazioni di Bernoulli. Inoltre, nel volgere di pochi anni a cavallo dei due secoli, si assiste a un graduale trapasso da ricerche ancora segnate da forte impronta geometrica a studi di carattere puramente analitico. [v. Dieudonné 1978, pp. 38-43, Kline 1991, pp. 546-585, Gilain 1994, pp. 440- 445]. Gli approcci degli esponenti delle due scuole, newtoniana e leibniziana, alla soluzione delle equazioni differenziali presentano fin dall’inizio elementi di diversità, che permangono nel corso del Settecento [v. Scriba 1962-66, Giusti 1990]. Gli Inglesi privilegiano l’uso delle serie come strumento fondamentale nel calcolo integrale e Newton fornisce una soluzione generale del problema dell’integrazione delle equazioni differenziali in termini di serie di potenze (v. 1.1 e 1.5). I Leibniziani preferiscono invece ricercare soluzioni in termini finiti, cioè soluzioni in cui le funzioni incognite sono espresse tramite un numero finito di operazioni algebriche fra funzioni algebriche, esponenziali e circolari. Quando ciò non è possibile essi ricorrono alla cosiddetta “integrazione per quadrature”, in cui le funzioni incognite sono espresse anche tramite un numero finito di integrali indefiniti. Dalle ricerche condotte fra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, cui tutti i matematici più autorevoli si applicano per risolvere le equazioni differenziali che si presentavano sempre più numerose nello studio di problemi geometrici o fisico-matematici, scaturisce un caleidoscopio di idee e di metodi che porta, nella seconda metà del Settecento, alla costituzione di una teoria autonoma. Alla fine del secolo la trattazione sistematica delle equazioni differenziali ordinarie si può considerare definita, almeno per ciò che concerne i metodi elementari di risoluzione (separazione delle variabili, sostituzioni, fattori integranti), l’individuazione della soluzione generale per alcune classi di equazioni (equazioni lineari, di Bernoulli, di d’Alembert, di * Ricerca eseguita nell’ambito del progetto MURST ex 40% “La Storia della matematica in Italia”, Università di Roma (prof. Silvia Mazzone) e di Torino (prof. Clara Silvia Roero).

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edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 1

SILVIA MAZZONE - CLARA SILVIA ROERO

LE EQUAZIONI DIFFERENZIALI NEL SETTECENTO*

Introduzione

È con la nascita del calcolo infinitesimale di Isaac Newton (1642-1727) e di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), nella seconda metà del 17° secolo, che troviamo i primi studi sulle equazioni differenziali. Essi hanno origine col cosiddetto problema inverso delle tangenti che consiste nel determinare la natura della curva che soddisfa a una data relazione fra le coordinate e i loro elementi differenziali (o momenti delle flussioni), ad esempio a una data proprietà sulla tangente o sulla normale, o sulla sottotangente, …, e corrisponde perciò a risolvere un’equazione differenziale del primo ordine. Il contesto iniziale è dunque geometrico, ma si estende in breve tempo ad altre branche della scienza, quali la meccanica, l’ottica, l’astronomia, l’idrodinamica, la iatromatematica, … . Fra i primi e più celebri problemi affrontati con successo fra l’ultimo decennio del Seicento e l’inizio del Settecento, ricordiamo ad esempio quelli che portarono alla determinazione di curve trascendenti, come la catenaria, la trattoria, la brachistocrona, il discusso problema delle famiglie di traiettorie ortogonali e gli studi sul moto di un corpo soggetto ad un campo di forze centrali nel vuoto o in un mezzo resistente. Da una congerie di esempi specifici di questo tipo si passa a individuare, già negli anni novanta del Seicento, metodi adatti a risolvere particolari classi di equazioni differenziali: sostituzioni e separazione delle variabili condussero alla soluzione delle equazioni omogenee, delle equazioni lineari del primo ordine e delle equazioni di Bernoulli. Inoltre, nel volgere di pochi anni a cavallo dei due secoli, si assiste a un graduale trapasso da ricerche ancora segnate da forte impronta geometrica a studi di carattere puramente analitico. [v. Dieudonné 1978, pp. 38-43, Kline 1991, pp. 546-585, Gilain 1994, pp. 440-445].

Gli approcci degli esponenti delle due scuole, newtoniana e leibniziana, alla soluzione delle equazioni differenziali presentano fin dall’inizio elementi di diversità, che permangono nel corso del Settecento [v. Scriba 1962-66, Giusti 1990]. Gli Inglesi privilegiano l’uso delle serie come strumento fondamentale nel calcolo integrale e Newton fornisce una soluzione generale del problema dell’integrazione delle equazioni differenziali in termini di serie di potenze (v. 1.1 e 1.5). I Leibniziani preferiscono invece ricercare soluzioni in termini finiti, cioè soluzioni in cui le funzioni incognite sono espresse tramite un numero finito di operazioni algebriche fra funzioni algebriche, esponenziali e circolari. Quando ciò non è possibile essi ricorrono alla cosiddetta “integrazione per quadrature”, in cui le funzioni incognite sono espresse anche tramite un numero finito di integrali indefiniti.

Dalle ricerche condotte fra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, cui tutti i matematici più autorevoli si applicano per risolvere le equazioni differenziali che si presentavano sempre più numerose nello studio di problemi geometrici o fisico-matematici, scaturisce un caleidoscopio di idee e di metodi che porta, nella seconda metà del Settecento, alla costituzione di una teoria autonoma. Alla fine del secolo la trattazione sistematica delle equazioni differenziali ordinarie si può considerare definita, almeno per ciò che concerne i metodi elementari di risoluzione (separazione delle variabili, sostituzioni, fattori integranti), l’individuazione della soluzione generale per alcune classi di equazioni (equazioni lineari, di Bernoulli, di d’Alembert, di

* Ricerca eseguita nell’ambito del progetto MURST ex 40% “La Storia della matematica in Italia”, Università di Roma (prof. Silvia Mazzone) e di Torino (prof. Clara Silvia Roero).

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Clairaut, ...) e i concetti basilari (soluzione generale, particolare, singolare), mentre per risultati fondamentali, quali il teorema di esistenza e unicità locale delle soluzioni per il problema con condizioni iniziali si devono attendere le lezioni di Augustin-Louis Cauchy (1789-1857) all’Ecole Polytecnique del 1823-24 e per lo studio della dipendenza dai dati occorre giungere alla fine del 19° secolo [v. Kolmogorov & Yushkevich 1998, pp. 86-92].

Per quanto riguarda le equazioni alle derivate parziali, i matematici del Settecento non hanno ancora gli strumenti tecnici per trattarle, tranne che in alcuni casi particolari che provengono spesso da problemi di meccanica o di fisica. Il caso più celebre, che coinvolge tutti gli studiosi più eminenti e dà l’avvio ad accesi dibattiti nella seconda metà del Settecento, riguarda l’equazione del problema della corda vibrante e questo è anche l’unico caso esaminato in modo profondo e generale. A cavallo fra la fine del 18° e l’inizio del 19° secolo troviamo risultati importanti per la teoria delle equazioni alle derivate parziali del primo ordine, ma si devono attendere gli anni venti dell’Ottocento per avere con Cauchy una rappresentazione generale della soluzione di una equazione alle derivate parziali lineare a coefficienti costanti, con assegnate condizioni iniziali, e gli anni quaranta per il primo teorema di esistenza e unicità locale delle soluzioni analitiche di un sistema di equazioni analitiche, lineari rispetto alle derivate parziali delle funzioni incognite, con condizioni iniziali analitiche, ancora dovuto a Cauchy. [v. Dieudonné 1978, pp. 43-49, Kline 1991, pp. 586-635, Lützen 1994, pp. 452-465].

Ci proponiamo ora di ripercorrere, in ordine cronologico, quelle che, a nostro avviso, sono le tappe più significative della storia delle equazioni differenziali ordinarie e alle derivate parziali.

1. Il problema inverso delle tangenti e le equazioni differenziali ordinarie del primo ordine

La prima soluzione edita di un’equazione differenziale [v. Leibniz 1684, p. 473] riguarda il celebre problema, proposto da Florimond de Beaune (1601-1652) a René Descartes (1596-1650), di determinare la curva di sottotangente costante, che equivale a risolvere l’equazione

differenziale ydxdy

c= . Tale soluzione compare in appendice alla prima esposizione del calcolo

differenziale di Leibniz ed è ottenuta osservando che, fissato il differenziale dell’ascissa dx=b costante, infinitesimo, alla successione delle ascisse in progressione aritmetica corrisponde una successione di ordinate in progressione geometrica, per cui la curva soluzione è una Logaritmica, cioè il grafico di una funzione esponenziale.

A partire dal 1690, sugli Acta Eruditorum, Leibniz e i fratelli Jacob (1654-1705) e Johann (1667-1748) Bernoulli pubblicano una messe incredibile di soluzioni di problemi difficili e di grande attualità, risolti con eleganza e scioltezza, nei quali le equazioni differenziali giocano un ruolo di primo piano. A proposito di questi risultati l’insigne matematico Christiaan Huygens (1629-1695), che aveva assistito alla nascita del calcolo differenziale, scriverà a Leibniz nel maggio del 1694: “Ces sont des coups de maitre que vous vous estes reservé, Monsieur, … Vous pourriez faire un excellent Traité des usages divers de ce calcul, et je vous y exhorte comme à un ouvrage tres beau et utile, et qui doit plustost venir de vous que de tout autre.” [v. Leibniz GM 1, pp. 174-175].

Tra le prime questioni affrontate emerge il problema proposto da Leibniz ai Cartesiani sulle Nouvelles de la Republique des Lettres del settembre del 1687, che si inseriva nell’acceso dibattito sulla misura delle forze vive. Esso consiste nel determinare la natura della curva isocrona, cioè della curva lungo la quale un corpo soggetto al suo peso discende uniformemente e si avvicina ugualmente all’orizzonte in tempi uguali (velocità costante nella direzione verticale =

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−b). Nell’ottobre del 1687, sulla stessa rivista, Huygens presenta la soluzione senza la relativa dimostrazione e nel 1689 Leibniz, ritornando sulla questione negli Acta Eruditorum, verifica che la curva “parabolica quadrato-cubica” soddisfa al problema. Si deve però a Jacob Bernoulli la pubblicazione nel 1690 della formulazione e trattazione analitica dello stesso problema, con l’uso del calcolo leibniziano. Giunto all’equazione differenziale a variabili separate

dxadyayb 332 =− Bernoulli determina analiticamente la curva isocrona soluzione integrando (“Ergo et horum

integralia aequantur” [v. Bernoulli Jac. 1690, p. 218]): ( ) xaaybb

3322

23

32

=− .

Quando l’equazione differenziale non si presenta a variabili separate il procedimento utilizzato per costruire le soluzioni tramite le quadrature è la separazione delle variabili, cui si perveniva, se necessario, con opportune sostituzioni. Per esempio Leibniz nel 1691, nel suo carteggio con Huygens, risolve il problema di determinare le curve di sottotangente uguale a

axxay 222 −

, che si riconduce all’equazione differenziale a variabili separabili

axxay

dydx 22 −

=

e trova tre soluzioni. Negli Acta Eruditorum del 1694 sia Jacob Bernoulli che suo fratello Johann, dopo aver ricordato le innumerevoli regole particolari da loro ideate per separare le variabili nelle equazioni differenziali del primo ordine, acutamente osservano che non è sperabile di determinare una regola generale che fornisca la separazione delle variabili in una equazione qualunque [v. Bernoulli Jac. 1694b, p. 280; Bernoulli Joh. 1694, p. 435].

Un caso in cui la separazione delle variabili si ottiene facilmente tramite un’opportuna sostituzione è il problema di de Beaune presentato da Johann Bernoulli e Guillaume François de L’Hôpital (1661-1704) sul Journal des Sçavans nel 1692 e sugli Acta Eruditorum nel 1693: date le rette AC ed AI (Fig. 1) che formano l’angolo CAI di 45 trovare la curva ABB, riferita all’asse AC, tale che condotte da un suo punto qualunque B l’ordinata BC, la tangente BT e la

sottotangente CT, si abbia BICT

BC a= , con a costante assegnata.

Fig. 1 La costruzione geometrica della soluzione è data da Bernoulli senza la relativa trattazione

analitica. Essa dipende dalla quadratura dell’iperbole, dal momento che il problema proposto corrisponde a risolvere l’equazione differenziale

dydx

ay x

=−

che, con la sostituzione xyz −= , diventa dxza

zdz=

−. Integrando l’equazione precedente ed

imponendo la condizione z(0)=0 si ottiene infatti za

aazx

−+−= log .

Un altro risultato interessante è la soluzione, pubblicata da Leibniz nel settembre del 1693, del problema della trattoria, che Claude Perrault (1613-1688) gli aveva posto all’epoca del suo soggiorno a Parigi (1672-76): determinare la curva descritta su un piano orizzontale da un corpo

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pesante legato ad un estremo di una corda il cui altro estremo si muove lungo una retta fissa situata in quel piano. La proprietà geometrica caratteristica della curva è dunque che in ogni suo punto il segmento di tangente compreso tra il punto stesso e la retta fissa ha lunghezza costante, a, uguale alla lunghezza della corda. Da tale proprietà si deduce l’equazione differenziale

22 zaz

zadxdz

−=

di cui Leibniz fornisce la costruzione geometrica, legata alla quadratura dell’iperbole. Integrando l’equazione precedente ed imponendo la condizione z(0)=0 troviamo infatti che la trattoria è la curva trascendente di equazione

22

22

log zazza

zazaax −−

−−−

−= .

Anche gli studi sull’elasticità danno luogo ad altri notevoli contributi nell’ambito delle equazioni differenziali [v. Truesdell 1960, pp. 34-64, 75-141]. Nel 1691 Jacob Bernoulli pone il problema di determinare la forma di una trave uniforme ed elastica sotto tensione supponendo che essa sia fissata verticalmente a un estremo e che un peso sia attaccato all’altro estremo in modo da mantenerlo orizzontale. Nel giugno del 1694 egli stesso pubblica la soluzione del problema che, nel caso in cui le estensioni siano proporzionali alle forze applicate in ciascun punto (legge di Hooke), conduce all’equazione differenziale

44

2

xa

dxxdy

−=

ove a è la distanza orizzontale fra i due estremi della trave. Bernoulli fornisce la costruzione geometrica per quadrature della soluzione, costruzione che corrisponde alla formula analitica

∫−

=x

xa

dxaxay

044

2

, e calcola il differenziale dell’arco di lunghezza s, precisamente

44

2

xa

dxads

−= . Quest’ultimo risultato viene da lui immediatamente collegato ad un altro celebre

problema di grande attualità, quello dell’isocrona paracentrica, proposto da Leibniz ai Cartesiani nel 1689: determinare la natura della curva lungo la quale la caduta di un corpo soggetto al suo peso è tale che esso si allontana o si avvicina uniformemente da un punto assegnato (distanza dal punto fisso al tempo t proporzionale a t). Nello stesso mese del 1694 Jacob Bernoulli pubblica infatti un secondo articolo nel quale considera l’equazione differenziale dell’isocrona paracentrica che era già stata ricavata da suo fratello Johann all’epoca del soggiorno parigino (1691-92)

( ) ( ) aydxxdyyydyxdx −=+ . Dopo aver rilevato che di quest’equazione non era stata data né la soluzione analitica e

neppure la costruzione geometrica, a causa delle difficoltà nella separazione delle variabili, Bernoulli mostra come questa sia possibile quando si operino le sostituzioni tzay = e

22 zatax −= e fornisce la costruzione geometrica della curva soluzione, la cui espressione

analitica dipende da un integrale ellittico ( )

2

22

2

041

−= ∫

z

z zaz

dzat . Ponendo 2uz = si ottiene

edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 5

2

42

2

0

−= ∫

u

u ua

duat , in cui l’integrale a secondo membro rappresenta la lunghezza di un arco

dell’elastica, pertanto Bernoulli costruisce l’isocrona paracentrica tramite una rettificazione. In un successivo articolo, pubblicato nel settembre dello stesso anno sugli Acta Eruditorum, egli riconduce la costruzione della stessa curva alla rettificazione della lemniscata [v. Bernoulli Jac. 1694c].

Un altro famoso problema su cui si cimentano i pionieri del nuovo calcolo è quello della brachistocrona proposto pubblicamente nel 1696 da Johann Bernoulli: dati due punti A e B in un piano verticale, determinare la curva descritta da un corpo soggetto al suo peso che partendo da A raggiunga B nel minor tempo possibile [v. Goldstine 1991, pp. 31-51, Peiffer 1989]. Già Galileo Galilei (1574-1642) nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) aveva mostrato che il cammino più veloce percorso da un corpo pesante fra due punti assegnati non coincide con quello più breve, cioè con il segmento congiungente i due punti, però aveva erroneamente dedotto che il cammino più veloce avviene lungo un arco di cerchio. Sul numero di maggio degli Acta Eruditorum del 1697 compaiono ben sei soluzioni corrette del problema, da parte di Leibniz, Johann Bernoulli, Jacob Bernoulli, L’Hôpital ed Ehrenfried Walter von Tschirnhaus (1651-1708); l’ultima soluzione è anonima e fu concordemente attribuita a Newton, su suggerimento di Johann Bernoulli che aveva riconosciuto “ex ungue leonem”. Johann Bernoulli riconduce il problema in modo elegante ad un’equazione differenziale, sulla base di una analogia con un problema di ottica, fondata sul principio di Fermat secondo cui la Natura si serve sempre dei mezzi e delle vie più facili e più veloci. Precisamente egli individua la brachistocrona come la curva descritta da un raggio di luce che si propaghi in un mezzo la cui densità è inversamente proporzionale alla velocità che un grave acquisterebbe cadendo. In ogni punto è

perciò gyv 2= e per la legge di rifrazione risulta kv

=αsin

, ove α è l’angolo formato fra la

tangente e la verticale in quel punto. Poiché 22

sindydx

dx

+=α Bernoulli ottiene

dyy

ydx

ak −

= 2

da cui conclude che la brachistocrona è una cicloide.

Alla fine di questo articolo sulla brachistocrona Bernoulli propone pubblicamente il problema di determinare le traiettorie ortogonali a una famiglia di curve logaritmiche. Questo tipo di questioni, legate al problema più generale di trovare la famiglia di curve che taglino un’altra famiglia di curve assegnata secondo un angolo dato, era già apparso nella corrispondenza fra Leibniz e i Bernoulli fin dal 1694, ma è fra la fine del Seicento e i primi venti anni del Settecento che riceve grande attenzione da parte dei matematici, sia del continente che inglesi, i quali concentrano sforzi ed energie alla ricerca di un metodo generale di soluzione [v. Engelsman 1984, pp. 59-123]. È infatti in occasione della disputa sulla priorità dell’invenzione del calcolo che Leibniz e Johann Bernoulli, fra la fine del 1715 e il 1716, ripropongono come sfida ai Newtoniani problemi di traiettorie ortogonali che essi ritengono atti a dimostrare quanto profonda fosse la loro abilità nel risolvere le equazioni differenziali. In particolare soluzioni del difficile problema di determinare la famiglia delle traiettorie ortogonali alle curve soluzione dell’equazione differenziale

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nn

n

xa

dxxdy

22 −=

sono pubblicate da Jacob Hermann (1678-1733) e Brook Taylor (1685-1731) nel 1717, da Johann Bernoulli e suo figlio Nicolaus II (1695-1726) nel 1718 e da Nicolaus I Bernoulli (1687-1759) nel 1719.

Fin dai primi studi sulle equazioni differenziali i Leibniziani si interrogano sulla possibilità di determinare procedimenti atti a risolvere specifiche classi di equazioni. Le equazioni differenziali omogenee sono le prime a presentarsi alla loro attenzione ed essi individuano facilmente la sostituzione generale che consente la separazione delle variabili. Già in una lettera a L’Hôpital del 1692-93 Leibniz afferma di saper ridurre alle quadrature le equazioni differenziali omogenee [v. Leibniz GM 12, pp. 219-220], quale ad esempio

22

2

cxbxyyy

dydx

++=

ed anche Johann Bernoulli conosce la sostituzione che separa le variabili, come risulta sia dalle Lectiones che diede a L’Hôpital nel 1691-92 [v. Bernoulli Joh. [1691-92], p. 422], sia dalla lettera a Leibniz del maggio del 1694 [v. Leibniz GM 2, pp. 138-139]. La pubblicazione della regola generale per le equazioni omogenee risale però al 1714 con l’articolo di Gabriele Manfredi edito sul Giornale de’ Letterati d’Italia. Egli considera l’equazione

( ) ( )dyyxUdxyxT ,, = , dove T ed U sono funzioni omogenee dello stesso grado, e con la sostituzione zxy = ottiene l’equazione a variabili separate

( )( ) ( )zzSzR

dzzSxdx

−= .

Altre importanti classi di equazioni ordinarie la cui soluzione viene determinata sugli Acta Eruditorum alla fine del Seicento sono le equazioni lineari del primo ordine e le cosiddette equazioni di Bernoulli.

Nel 1695, al termine di un lungo articolo tutto dedicato alle equazioni differenziali, Jacob Bernoulli propone il problema di separare le variabili ovvero di costruire per quadrature l’equazione differenziale che per questo da lui prende il nome,

dxbqypydxady n+= , dove p, q dipendono solo da x.

Nella Notatiuncula del 1696 Leibniz semplicemente afferma di aver ricondotto tale equazione ad un’equazione differenziale lineare, di cui ha già comunicato agli amici il metodo generale di risoluzione, e pertanto non giudica necessario fornire ulteriori spiegazioni. Egli aveva infatti trasmesso per lettera a L’Hôpital, nel novembre del 1694, una soluzione della generica equazione lineare non omogenea del primo ordine, mostrando che essa soddisfa all’equazione data. Precisamente per l’equazione

0=++ dynydxmdx

ove m, n dipendono solo da x, indicata con p la funzione tale che ∫ ∫= ndxp

dp, aveva verificato

che la funzione y, definita ponendo 0=+ ∫ mpdxpy , è una soluzione dell’equazione di partenza.

Jacob Bernoulli ritorna sulla sua equazione nel luglio del 1696 e negli Addenda del settembre 1697, che seguono cronologicamente la soluzione analitica della stessa equazione pubblicata da suo fratello Johann (marzo 1697). Nel primo articolo Jacob, riprendendo le considerazioni di Leibniz dapprima osserva che l’equazione da studiare è riconducibile ad una

edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 7

equazione lineare e poi mostra come quest’ultima si costruisce. Infatti l’equazione

dxbqypydxady n+= , con le sostituzioni dtpdx = e nv y −= 11

, diviene

dtpq

bvdtdvn

a+=

−1

che è una equazione lineare non omogenea nell’incognita )(tvv = , ove dxxpt ∫= )( . Egli

pertanto considera l’equazione differenziale lineare rdtvdtkdv +=

ove k è costante ed r dipende da t, e fornisce la costruzione geometrica di una soluzione. Tale costruzione equivale al seguente ragionamento analitico: posto v mn= , sostituendo nell’equazione considerata risulta rdtmndtkndmkmdn +=+ , che può essere soddisfatta semplicemente imponendo che sia

==

rdtkndmndtkdn

.

Osserviamo che la prima di queste due equazioni fornisce la soluzione n dell’equazione omogenea, mentre la seconda impone che mn sia una soluzione dell’equazione non omogenea: dunque il metodo di risoluzione adottato è quello che verrà poi denominato metodo della

variazione delle costanti arbitrarie. Dalla prima equazione segue kt

en = e quindi, sostituendo

nella seconda, si ha dte

rkdm

kt

= , per cui in conclusione si ottiene

∫=t

kt

kt

dte

rk

ev0

1.

Fig. 2 Per costruire geometricamente la funzione incognita )(tvv = Bernoulli considera allora la

Logaritmica FG (Fig. 2) di coordinate AB=t e BG= kt

e e preso BC=r(t) e AF=k costruisce BH

come quarto proporzionale fra BG, BC e AF, per cui BH=kt

e

kr. Se l’area del rettangolo AF×

AL= area della regione ABH= ∫t

kt

dte

trk

0

)(, per cui AL= ∫

t

kt

dte

tr

0

)(, l’ordinata v v t= ( ) da

edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 8

determinare non è altro che il segmento BD, quarto proporzionale fra AF, BG e AL, cioè

BD= ∫t

kt

kt

dte

trk

e0

)(1.

Johann Bernoulli, per risolvere l’equazione proposta dal fratello, pone invece direttamente y m z= ⋅ e ottiene l’equazione

dxzbqmpmzdxamdzazdm nn+=+ , che può essere soddisfatta semplicemente imponendo

=

=− dxzbqmadm

pzdxadznn 1

.

In questo modo la separazione delle variabili risulta effettuata e sia z che m sono determinabili in modo algebrico oppure per quadrature e quindi tale è anche la funzione incognita y.

Tra gli artifici ideati dai primi studiosi delle equazioni differenziali e contenuti nelle lezioni date ai loro allievi, vogliamo ricordare quello che, successivamente elaborato e sviluppato, è diventato l’attuale metodo del fattore integrante. In certi casi particolari sia Johann Bernoulli nelle Lectiones per L’Hôpital, che Jacopo Riccati (1676-1754) nel trattato Della separazione delle indeterminate, composto nel 1722-23 per gli allievi Lodovico da Riva (1698-1746) e Giuseppe Suzzi (1701-1764), consigliano di moltiplicare o dividere tutti i termini dell’equazione differenziale per una opportuna potenza di x o di y in modo da individuare immediatamente dei differenziali esatti. Negli anni 1734-35 la condizione per l’esattezza di una forma differenziale viene esplicitamente osservata da Leonhard Euler (1707-1783), che in questa occasione anche utilizza fattori integranti [v. Euler 1734-35a]. È negli articoli di Alexis-Claude Clairaut (1713-1765) editi sulle Mémoires de l’Académie des Sciences di Parigi del 1739 e del 1740 che troviamo la sistemazione teorica delle equazioni differenziali esatte. Qui egli dimostra che se l’equazione differenziale

( ) ( ) 0,, =+ dyyxNdxyxM verifica la condizione ( ) ( )yx

xN

yxyM

,,∂∂

∂∂

= essa è integrabile e i suoi integrali sono dati nella

forma implicita cyxF =),( , ove la funzione F è tale che MxF

=∂∂

e NyF

=∂∂

. Inoltre egli

mostra come la primitiva F può essere ottenuta dalle funzioni M, N integrando opportunamente la prima rispetto ad x e la seconda rispetto a y. Clairaut estende il risultato a funzioni di più variabili e determina opportuni fattori integranti; nel caso delle equazioni in tre variabili

( ) ( ) ( ) 0,,,,,, =++ dzzyxPdyzyxNdxzyxM stabilisce la condizione di integrabilità

0=

−+

−+

xN

yM

PzM

xP

NyP

zN

M∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

che garantisce l’esistenza di un fattore integrante.

Negli anni successivi Euler sviluppa notevolmente il metodo del fattore integrante tramite il quale ottiene integrali per quadrature e in un lungo studio del 1760-1761 pubblicato sui Novi Commentarii dell’Accademia di Pietroburgo, esamina le condizioni che debbono essere soddisfatte per l’esistenza di fattori integranti e individua numerose classi di equazioni per le quali è possibile determinare un fattore integrante.

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2. Le equazioni ordinarie del primo ordine non esplicitabili rispetto ad y’ e le soluzioni singolari

Le equazioni del primo ordine non esplicitabili rispetto al quoziente dxdy

, che si incontrano

numerose nei problemi geometrici e nelle applicazioni, ricevono particolare attenzione da parte di

vari studiosi. Nel caso di equazioni differenziali riconducibili alla forma

=

dxdy

fy oppure a

=

dxdy

gx essi individuano l’utilità della sostituzione pdxdy = per avere la soluzione in forma

parametrica. Operata tale sostituzione si ottiene infatti nel primo caso ( )

( )

=

=− )(1 pfdpdx

pfy e nel

secondo ( )

( )

==

)( pgpddypgx

. Da questi sistemi si può trarre la soluzione in funzione del parametro

p. Jean Le Rond d’Alembert (1717-1783), in un articolo edito nel 1748 sull’Histoire de

l’Académie des Sciences di Berlino, mostra che la sostituzione pdxdy = , utile nelle equazioni del primo ordine mancanti della x o della y, può applicarsi più in generale a equazioni del tipo

+

=

dxdy

gdxdy

xfy ,

attualmente note in letteratura come equazioni di d’Alembert. Differenziando l’equazione si ha infatti

( ) ( ) ( )

=+=−

pdxdypgdpfxddxpfp )()()(

da cui si ottiene la soluzione in funzione del parametro p, dal momento che la prima equazione è una equazione lineare se ( ) 0≠− pfp . Inoltre d’Alembert osserva che casi particolari dell’equazione considerata sono, oltre alle equazioni omogenee, le equazioni del tipo

0=++++

+ dyfhygxcbyax

dx

e le equazioni del tipo

+=

dxdy

gdxdy

xy ,

oggi denominate equazioni di Clairaut [v. Clairaut 1734, pp. 206-215]. Nel caso di queste ultime differenziando ricava

( )( )

+==+

pgxpydppFx 0)(

e pertanto le soluzioni sono date dal fascio di rette di equazione ( )y cx g c= + e dalla curva di

equazioni parametriche

+=−=

)()(

pgxpypFx

. Poiché tale curva non può essere ottenuta dalla

soluzione generale per alcun valore della costante arbitraria siamo in presenza di una soluzione singolare.

I concetti di soluzione o integrale generale (o completo), soluzione particolare e soluzione singolare vanno gradualmente chiarendosi nel corso del 18º secolo e anche la relativa

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terminologia non è univoca ma varia da studioso a studioso, ad esempio Joseph Louis Lagrange (1736-1813) nel 1774 chiama integrali particolari le soluzioni singolari.

Già nel 1694 Johann Bernoulli aveva mostrato che una equazione differenziale del primo ordine ammette infinite soluzioni [v. Bernoulli Joh. 1694] e Gabriele Manfredi nel De Constructione aequationum differentialium primi gradus aveva osservato che le soluzioni di una equazione del primo ordine dipendono da una costante arbitraria, rilevando che in alcuni casi le curve così ottenute differiscono per una traslazione, mentre in altri casi cambia la natura della curva [v. Manfredi 1707, pp. 61-64]. In modo esplicito i concetti di integrale generale e di integrale particolare vengono stabiliti da Euler in una memoria del 1743 in cui si afferma che l’integrale completo di una equazione ordinaria di ordine n dipende da n costanti arbitrarie e che gli integrali particolari si ottengono da quello completo assegnando alle costanti un valore fissato.

Si deve invece a Taylor la denominazione “soluzione singolare” introdotta nel Methodus incrementorum directa et inversa a proposito di una soluzione che non si può ottenere dall’integrale generale particolarizzando la costante arbitraria. Risolvendo l’equazione

differenziale ( )2

2223 144

+=−

dxdy

xyy egli determina, oltre alla soluzione generale

( )22

2

1

1

xaa

xy

++

+= , l’integrale 1=y , “quae est singularis quaedam solutio problematis”

[v. Taylor 1715, p. 27]. Clairaut, nelle Mémoires de l’Académie des Sciences di Parigi del 1734, partendo da un problema geometrico, trova esempi di equazioni differenziali, che ammettono soluzioni non comprese nell’integrale generale e queste risolvono sia l’equazione differenziale che il problema geometrico iniziale. Euler successivamente osserva che tali soluzioni singolari si ottengono differenziando e non integrando l’equazione da risolvere e mostra che la

loro equazione cartesiana si ottiene eliminando la dx

dyp = fra l’equazione data e la sua derivata

rispetto a p [v. Euler 1756]. A lui si deve pure un criterio, che fu poi approfondito da Pierre Simon de Laplace (1749-1827), per distinguere le soluzioni singolari dalle soluzioni particolari, senza conoscere la soluzione generale. Il contributo di Laplace, edito in una memoria del 1772, si applica anche alle equazioni differenziali in tre variabili e a quelle di ordine superiore.

L’interpretazione geometrica dell’integrale singolare come inviluppo della famiglia di curve integrale generale risale invece a Lagrange che la ottiene come conseguenza di un metodo, da lui presentato nel 1774, per determinare gli integrali singolari a partire dall’integrale generale.

Precisamente il metodo consiste nel calcolare ,cy

∂∂

a partire dall’espressione dell’integrale

generale ( ) 0,, =cyxV e nel ricercare le soluzioni singolari fra le soluzioni dell’equazione che si

deduce eliminando la costante c fra le equazioni 0=V e 0=cy

∂∂

. Lo stesso può farsi a partire

da cx

∂∂

. Anche Leibniz aveva avuto un’intuizione di questo tipo, come risulta nello studio

condotto nel 1694 sugli inviluppi di una famiglia di curve [v. Leibniz 1694a].

3. Le equazioni ordinarie di ordine superiore al primo e l’equazione di Riccati

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Le equazioni differenziali di ordine superiore al primo si incontrano fin dalle prime applicazioni del calcolo a problemi di geometria o di fisica matematica. Tra i primi esempi che conducono a equazioni di questo tipo troviamo il celebre problema della catenaria, già affrontato, ma non risolto da Galileo nel 1638 e riproposto all’attenzione dei matematici da Jacob Bernoulli nel 1690: determinare la curva lungo la quale si dispone una fune flessibile, soggetta al suo peso, liberamente sospesa tra due punti fissi. Sugli Acta Eruditorum del 1691 appaiono le soluzioni di Leibniz, dei Bernoulli e di Huygens che, pur contenendo interessanti proprietà sulla curva non indicano però il procedimento analitico di risoluzione [v. Truesdell 1960, pp. 43-44, 64-88]. È nelle Lectiones de methodo integralium di Johann Bernoulli che vediamo in che modo i Leibniziani possono aver dedotto la soluzione di questo problema che si traduce nell’equazione differenziale del secondo ordine in cui manca la variabile y

dydydxxadsa

dxdy 222 ovvero +== .

In questo periodo molti matematici, fra cui Leibniz, i Bernoulli e J. Riccati, si dedicano alla ricerca di artifici atti ad abbassare l’ordine delle equazioni differenziali e su questo tema all’inizio del Settecento sorgono anche accesi dibattiti. Alludiamo ad esempio alla polemica sul problema inverso delle forze centrali che fra il 1710 e il 1716 coinvolge Johann e Nicolaus I Bernoulli, J. Hermann, J. Riccati e Giuseppe Verzaglia (1669-1730). Anche in questo caso uno dei molti temi oggetto di discussione riguarda il modo con cui Hermann, partendo dall’equazione del secondo

ordine ( )( ) 2

322

22

yx

xdyydxxxd

+

−=− , è riuscito a ricondursi ad una del primo ordine [v. Mazzone,

Roero 1997, pp. 87-88, 132-136]. Nel 1712 Riccati, esaminando il problema inverso dei raggi osculatori, ovvero il problema

di determinare la curva avente raggio di curvatura assegnato, mostra che un’equazione del secondo ordine in cui non compare esplicitamente la variabile indipendente è riducibile, con un’opportuna sostituzione, ad un’equazione del primo ordine. Studi ulteriori negli anni venti lo portano a generalizzare questo risultato e a concludere che ogni equazione del secondo ordine, in cui non compare esplicitamente una delle variabili, è riducibile al primo; in tal caso, infatti basta “prendere la prima differenza che fluisce, e porla uguale a una nuova incognita moltiplicata nella costante assunta, o che si assume ad arbitrio, in caso non fosse stata fissata costante” [v. Riccati J. [1722/1723], p. 573]. Riccati applica poi analoghe considerazioni a equazioni di ordine superiore al secondo. In questi stessi anni Euler inizia uno studio sistematico sulle equazioni differenziali di ordine superiore, ricercando metodi per abbassarne l’ordine. L’idea guida che egli segue si basa sull’osservazione che nella funzione esponenziale e nei suoi differenziali successivi la variabile indipendente si trova sempre solo all’esponente; quindi, se in un’equazione di ordine superiore si sostituisce un esponenziale ad una variabile, quella variabile si troverà sempre solo all’esponente e dunque, se è possibile semplificare l’esponenziale introdotto, si potrà eliminare dall’equazione una delle variabili, rientrando così nel caso considerato da Riccati. Euler individua poi tre classi di equazioni alle quali è sempre possibile applicare questo artificio [v. Euler 1728]. Approfondimenti successivi di questo tema si incontrano nella memoria, pubblicata sui Novi Commentarii di Pietroburgo del 1758/59, in cui Euler studia il problema di determinare fattori integranti finiti o differenziali per equazioni del secondo ordine e di ordine superiore. In particolare egli dimostra che la conoscenza di un fattore integrante permette di abbassare di un’unità l’ordine dell’equazione e osserva che la conoscenza di due fattori integranti riduce alle quadrature il problema dell’integrazione di un’equazione del secondo ordine.

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L’equazione non lineare del primo ordine, nota come equazione di Riccati, dxbydxaxdy m 2+=

è strettamente connessa alle equazioni del secondo ordine e su di essa, nella prima metà del Settecento, si concentrano gli studi di numerosi matematici [v. Bottazzini 1996, pp. 142-165, 176-188].

Già nel 1694 Johann Bernoulli considera un caso particolare di quest’equazione, precisamente ( ) dyadxyx 222 =+ , allo scopo di illustrare un suo metodo generale per costruire le equazioni del primo ordine, senza procedere alla separazione delle variabili. Suo fratello Jacob dà invece l’avvio, fra il 1694 e il 1696, ai primi studi sull’integrazione per serie dell’equazione di Riccati [v. Bernoulli Jac. Opera, pp. 1053-1054] e in una lettera a Leibniz del 1702 comunica di essere riuscito a separare le variabili, nel caso particolare studiato da Johann, riconducendosi ad un’equazione del secondo ordine [v. Leibniz GM 2, p. 65].

Nuova attenzione viene rivolta a questo argomento a partire dal 1718, allorché Riccati propone per lettera a Nicolaus I Bernoulli, tramite Giovanni Poleni (1683-1761), il problema di determinare i valori degli esponenti m, p e q per i quali è possibile separare le variabili nell’equazione

dxybxdxaxdy qpm += . In questa stessa lettera Riccati afferma di aver ottenuto la separazione in quattro casi, fra cui

−−==

432

pmq

è relativo all’equazione che porta il suo nome. In questi anni assistiamo a vivaci

dibattiti e scambi di risultati in proposito fra i Bernoulli: Johann, Nicolaus I, Nicolaus II e Daniel (1700-1782), i loro corrispondenti Christian Goldbach (1690-1764) e Pierre Rémond de Montmort (1678-1719) e gli italiani Riccati, G. Manfredi, G. Poleni, Giovanni Rizzetti (1675-1751) e Suzzi. Riccati viene inoltre sollecitato dai Bernoulli a proporre pubblicamente sugli Acta Eruditorum il problema di determinare per quali valori di m l’equazione

dxqdx

ydydqx m 2+=

dove nxq = , è integrabile per quadrature. In seguito a tale proposta pubblica vengono editi molti dei risultati comunicati per lettera fra il 1721 e il 1722. Di particolare importanza sono quelli ottenuti da Daniel Bernoulli, che nel 1722, in una lettera a suo fratello Nicolaus II, dimostra che è

possibile separare le variabili nell’equazione di Riccati se Nkk

km ∈

±−

= ,12

4 oppure 2−=m .

Un risultato, questo, che sarà ratificato da Joseph Liouville (1809-1882) nel 1841, dimostrando che questi sono tutti e soli i valori di m per i quali l’equazione di Riccati può essere integrata in termini finiti.

Euler inizia a studiare l’equazione di Riccati intorno al 1731 e, riprendendo l’approccio di Jacob Bernoulli, trova un metodo generale per svilupparne in serie la soluzione, fornendo una costruzione generale, valida anche nei casi in cui non avviene la separazione delle variabili. Più tardi, nel 1760-61, applicando il suo metodo del fattore integrante, esprime l’integrale generale dell’equazione di Riccati tramite la quadratura di un suo integrale particolare e, considerata l’equazione di Riccati generalizzata

( ) ( ) ( ) dxyxQydxxPdxxRdy 2++= , dimostra che, noti due integrali particolari, l’integrazione di tale equazione si può ricondurre alle quadrature. Euler presenta inoltre nel 1762-63 una nuova dimostrazione per ricavare i valori dell’esponente m per i quali l’equazione è integrabile in termini finiti.

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L’equazione di Riccati generalizzata è studiata pure da d’Alembert, come si vede da una lettera inviata a Lagrange nel 1769, in connessione all’equazione differenziale lineare del secondo

ordine aLex

dxd

2

22

2

2 ζπλζ −= da lui ottenuta, con il metodo della separazione delle variabili, per il

problema delle corde vibranti di spessore variabile. È noto infatti che ad ogni equazione differenziale lineare omogenea del secondo ordine corrisponde una equazione di Riccati generalizzata e viceversa.

Altre ricerche sulle equazioni differenziali lineari di ordine superiore scaturiscono dagli studi di numerosi problemi di carattere fisico-matematico, quali quelli sulla vibrazione di corpi elastici, sulla conduzione del calore, sulla teoria del potenziale, …, che conducono appunto a equazioni di questo tipo. Le più semplici equazioni differenziali lineari sono quelle omogenee a coefficienti costanti

0 ... 2

2

=++++n

n

dxyd

Ldx

ydC

dxdy

BAy

che, in alcuni casi particolari, sono risolte da Daniel Bernoulli e d’Alembert, ma la cui soluzione generale si deve a Euler, che già negli anni 1739-41 aveva discusso di questo argomento con Johann Bernoulli [v. Euler Commercium s. 4, v. 2, lettere 24-32]. Egli pubblica nel 1743 la ben nota soluzione delle equazioni differenziali lineari omogenee di ordine n a coefficienti costanti e stabilisce che l’integrale completo di un’equazione lineare omogenea si ottiene come combinazione lineare di n integrali particolari, che oggi riconosciamo essere linearmente indipendenti, anche se Euler non lo rileva esplicitamente. Egli osserva infatti che con la sostituzione qxey = l’equazione differenziale lineare omogenea si muta nell’equazione, attualmente detta caratteristica,

0 ... 2 =++++ nLqCqBqA , pertanto, se q è una radice dell’equazione caratteristica, allora qxey = è una soluzione dell’equazione differenziale. Egli ottiene inoltre l’espressione delle soluzioni particolari sia nel caso delle radici reali (semplici o multiple), sia nel caso delle radici complesse coniugate.

In una successiva memoria Euler affronta le equazioni differenziali lineari non omogenee a coefficienti costanti, trovando un metodo che riconduce il problema dell’integrazione di una equazione di ordine n all’integrazione di una equazione di ordine n–1 [v. Euler 1750-51]: pertanto, iterando il procedimento, l’equazione di partenza si riduce ad una equazione lineare non omogenea del primo ordine, la cui soluzione generale era stata trovata da Leibniz e Jacob Bernoulli (v. supra, p. *).

Negli anni sessanta sia d’Alembert, che Lagrange gettano le basi della teoria delle equazioni differenziali lineari a coefficienti non costanti e, con metodi diversi, arrivano alla loro risoluzione [v. Demidov 1983, pp. 370-373]. Nel carteggio con Lagrange del 1765 d’Alembert mostra come la conoscenza di n–1 integrali particolari dell’equazione omogenea associata permetta di ridurre l’equazione di partenza ad un’equazione non omogenea del primo ordine [v. d’Alembert 1762-65, pp. 381-382]. Allo stesso risultato giunge Lagrange con un metodo che consiste nel moltiplicare l'equazione per una funzione arbitraria e integrare per parti; in questo modo egli perviene al concetto di equazione aggiunta e alle sue proprietà e tramite l'aggiunta riesce ad abbassare di un’unità l’ordine dell’equazione di partenza [v. Lagrange 1762-65, pp. 179-186; 190-199]. A Lagrange si deve inoltre il celebre metodo della variazione delle costanti arbitrarie, già intuito da Jacob Bernoulli nel 1696 (v. supra, p. *) che permette di determinare una soluzione particolare di una equazione non omogenea, una volta noto l’integrale generale

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dell’equazione omogenea [v. Lagrange 1775, pp. 190-195]. L’idea guida è quella di determinare, ad esempio nel caso di una equazione del secondo ordine

( ) ( ) ( ) ( )xfdx

ydxC

dxdy

xByxA =++2

2

,

due funzioni ( )xc1 e ( )xc2 in modo che l’equazione ammetta una soluzione del tipo ( ) ( ) ( ) ( ) ( )xyxcxyxcxy 2211 += , dove ( )xy1 e ( )xy2 sono due soluzioni indipendenti

dell’equazione omogenea associata.

4. Le equazioni alle derivate parziali

I primi studi sulle equazioni alle derivate parziali risalgono agli anni quaranta del 18° secolo, nonostante la nozione di differenziazione parziale fosse già nota nel secolo precedente [v. Engelsman 1984], ma è solo verso la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento che prende avvio una trattazione sistematica, almeno per ciò che concerne le equazioni alle derivate parziali del primo ordine [v. Demidov 1982b]. La notazione oggi utilizzata per le derivate parziali

... , ,yx ∂

∂∂∂

, che adotteremo nel seguito, non si incontra fin dalle origini, ma si deve attribuire a

Adrien Marie Legendre (1752-1833) e fu generalmente accettata solo nella seconda metà dell’Ottocento.

Euler è il primo a imbattersi in espressioni, che si possono interpretare come equazioni alle derivate parziali, precisamente quando, generalizzando i risultati da lui ottenuti sulle funzioni

omogenee, si pone il problema di determinare funzioni ( )axyy ,= tali che ay

∂∂

soddisfa a

relazioni del tipo 0,,,, =

ay

xy

ayxF∂∂

∂∂

. La tecnica risolutiva qui adottata consiste nell’eliminare

ay

∂∂

dall’equazione e dall’espressione del differenziale totale e nell’utilizzare opportuni fattori

integranti per ricondursi a un’equazione differenziale esatta [v. Euler 1734-35b]. La finalità insita nell’articolo di Euler non è però l’integrazione delle equazioni alle derivate parziali, bensì il problema studiato, per cui questo lavoro non si può ancora considerare l’origine della teoria delle equazioni alle derivate parziali [v. Demidov 1982a, pp. 4-5].

È d’Alembert che, affrontando problemi di fisica matematica, in particolare quelli sulle vibrazioni della corda, sente la necessità di considerare le equazioni alle derivate parziali come oggetto di studio in sé e di elaborare metodi per la loro risoluzione. Per questo motivo concordiamo con Demidov nel considerare d’Alembert il fondatore della teoria delle equazioni alle derivate parziali non solo perché ha trovato le soluzioni di alcune equazioni alle derivate parziali del secondo ordine, fra cui quella della corda vibrante, e ha ideato alcuni importanti metodi di risoluzione, ma anche perché ha dato contributi alla risoluzione delle equazioni del primo ordine e l’avvio alla nascita del concetto di soluzione classica o regolare per un’equazione alle derivate parziali [v. Demidov 1982a].

Nella prima edizione del Traité de dynamique (1743) il problema delle piccole vibrazioni di una corda pesante, di lunghezza l, sospesa ad un estremo è ricondotto all’equazione

( )2

2

2

2

xy

xlxy

ty

∂∂

∂∂

∂∂

−−= ovvero ( )xq

xlqtp

∂∂

∂∂

−−= , in cui xy

qty

p∂∂

∂∂

== , ,

edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 15

che d’Alembert non è ancora in grado di risolvere. Pochi anni dopo egli elabora un metodo per equazioni alle derivate parziali del secondo ordine che applica poi ad alcuni problemi specifici [v. d’Alembert 1747a, pp. 164-172]. D’Alembert considera le espressioni differenziali:

( ) ( )( ) ( ) ( ) ( )dxxuduxuAdxxuduxu

duxudxxu,,,,

,,Γ+++

+νβρα

βα

(dove le costanti ρ e ν e le funzioni A e Γ sono assegnate), che rappresentano il differenziale totale di due funzioni incognite z(u,x) e w(u,x) e, applicando la condizione di Clairaut-Euler (v. supra, p. *), deduce il sistema di equazioni

Γ−+=

=

uxA

xu

xu

∂∂

∂∂

∂∂α

ρ∂∂β

ν

∂∂β

∂∂α

che in termini delle derivate parziali seconde delle funzioni z e w può essere espresso nella forma più significativa, non utilizzata però da d’Alembert,

Γ−=−

Γ−=−

xuA

xw

uw

uxA

xz

uz

∂∂

ρ∂∂

ν∂∂

ρ∂∂

ν

∂∂

∂∂

∂∂

ρ∂∂

ν

2

2

2

2

2

2

2

2

Egli manipola poi le espressioni differenziali di partenza in modo da ottenere delle loro combinazioni lineari, i cui coefficienti sono numeri o funzioni, ed opera su queste, con opportuni cambiamenti delle coordinate e delle funzioni incognite, allo scopo di pervenire ad espressioni integrabili in virtù della condizione di esattezza delle forme differenziali. Tale procedimento è applicato ad alcuni problemi specifici.

Nello stesso anno d’Alembert presenta all’Accademia delle Scienze di Berlino due importanti memorie [v. d’Alembert 1747b, 1747c] in cui fornisce la soluzione del celebre problema della corda vibrante, su cui tutti i più eminenti matematici si cimentano per il rilievo che aveva assunto in fisica e nella teoria della musica [v. Truesdell 1960]. Il problema delle piccole vibrazioni di una corda tesa lungo l’asse x si traduce nello studio dell’equazione alle derivate parziali del secondo ordine:

( ) ( )2

2

2

2

2

,,1x

txyt

txyk ∂

∂∂

∂= (1)

in cui k è costante e y(x,t) rappresenta la deviazione dalla posizione di riposo, del punto x al tempo t. D’Alembert scrive l’equazione della corda vibrante nella forma

+=

+=

dxk

dtdq

dxdtdp

2

αν

να

in cui xy

qty

p∂∂

∂∂

== , e applicando il suo metodo giunge alla soluzione

( ) ( ) ( )xktxkttxy −Γ++Ψ=, dove Ψ e Γ sono funzioni arbitrarie di una variabile. Nella prima memoria d’Alembert considera il caso 12 =k e nella seconda 12 ≠k . In quest’ultima egli inoltre affronta per la corda di

lunghezza l, il problema con le condizioni iniziali ( ) ( ) ( ) ( )xgxty

xfxy == 0, ,0,∂∂

e le condizioni

agli estremi ( ) ( ) 0,,0 == tlyty e ottiene la soluzione

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( ) ( ) ( )xktxkttxy −Ψ−+Ψ=, dove Ψ è una funzione periodica di periodo 2l tale che ( ) ( ) ( ) xfxx =−Ψ−Ψ e

( ) ( ) ( ) 1

dxxgk

xx ∫=−Ψ+Ψ .

In questa stessa memoria, a proposito dello studio delle vibrazioni di una corda fissata agli estremi la cui configurazione iniziale sia una retta oppure una sinusoide, troviamo le origini del metodo della separazione delle variabili [v. Lutzen 1987, pp. 247-259]. Egli osserva infatti che la soluzione ( )txy , può essere scritta come prodotto di due funzioni, l’una della variabile x e l’altra della variabile t

( ) ( ) ( )tTxStxy =, . In una successiva memoria, edita nel 1752, d’Alembert esplicita questa osservazione e

partendo dalla uguaglianza ( ) ( ) ( ) ( )tTxSxtxt =−Ψ−+Ψ

determina, senza servirsi dell’equazione differenziale che rappresenta il problema, le funzioni S e T. Nel 1758 il metodo della separazione delle variabili è utilizzato, operando direttamente sull’equazione, per risolvere quella particolare equazione alle derivate parziali, relativa alle vibrazioni di una corda sospesa a un estremo, che d’Alembert non sapeva trattare nel 1743. Nella seconda edizione del Traité de dynamique (1758) infatti egli cerca la soluzione dell’equazione

( )xq

xlqtp

∂∂

∂∂

−−=− , in cui xy

qty

p∂∂

∂∂

== , ,

nella forma ( ) ( )S x T t e sostituendo nell’equazione differenziale trova le equazioni lineari ordinarie:

( )nS

dxdS

dxSd

xlnT

dtTd

=+−−=−2

2

2

2

;

ove n è costante. Più tardi, come si è già detto (v. supra p. *), d’Alembert applica l’idea della separazione delle variabili allo studio delle vibrazioni di una corda di spessore variabile.

Considerata l’equazione ( ) ( )

2

2

22

2 ,2,x

txyxT

aLet

txy∂

∂∂

∂= egli cerca soluzioni della forma

( ) ( )T

txtxy

λπζ cos, = e ottiene per ζ l’equazione ordinaria

aLex

dxd

2

22

2

2 ζπλζ −= .

Negli anni 1748-61 si sviluppa fra Euler e d’Alembert un acceso dibattito sulle proprietà di regolarità della soluzione del problema della corda vibrante, dibattito che pone l’accento sul concetto di soluzione di un’equazione alle derivate parziali e si vedono affiorare negli scritti dei due autori le nozioni di soluzione debole e di soluzione classica. Le discussioni sul problema delle piccole vibrazioni della corda coinvolgono in questo periodo e negli anni immediatamente successivi i più eminenti matematici dell’epoca e sollevano importanti questioni circa il concetto di funzione e la rappresentabilità di una funzione tramite serie trigonometriche. Già nel 1713 Taylor aveva dato la schematizzazione fisica e geometrica del problema, studiando le vibrazioni di una corda di lunghezza l fissata agli estremi e aveva osservato che in ogni istante essa assume la forma sinusoidale

lx

Ayπ

sen = .

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Daniel Bernoulli, basandosi su questa osservazione e su considerazioni puramente fisiche senza far ricorso all’equazione (1), nel 1753 aveva asserito che la soluzione del problema poteva essere sempre rappresentata nella forma (oggi nota come serie di Fourier)

ltn

lxn

an

nππ

cossen1

∑+∞

=

(2)

dove an sono costanti opportune. Bernoulli giustificava tale risultato osservando che i successivi valori di n (cioè n=2, 3, …) dovevano corrispondere alle successive armoniche di una corda vibrante, cioè a suoni che effettivamente la corda può dare simultaneamente al suono fondamentale (n=1). L’asserzione di Bernoulli pone a Euler e d’Alembert, che partendo dalla (1) hanno anch’essi ottenuto soluzioni espresse in termini di serie trigonometriche, l’interrogativo se tutti i moti possibili della corda possono essere rappresentati nella forma (2). Essi concludono che ciò avviene solo in alcuni casi particolari, cioè quando la configurazione iniziale della corda si può esprimere nella forma

( )lxn

axfn

nπ∑

+∞

=

=1

sen ,

il che non è possibile, secondo loro, per una funzione qualunque. La chiarificazione e precisazione del concetto di funzione e della rappresentabilità di una funzione tramite serie trigonometriche avverrà solo nel corso dell’Ottocento, per merito soprattutto di Cauchy e di Joseph Fourier (1768-1830).

Gli studi successivi sulle equazioni alle derivate parziali del secondo ordine non seguono più la via di cercare di ricondursi a differenziali totali, ma approfondiscono il metodo della separazione delle variabili e quello delle coordinate caratteristiche. Euler ad esempio utilizza questi metodi per trattare problemi matematici o fisico matematici, quali l’equazione delle onde generalizzata [v. Euler 1762-65], la propagazione del suono, le piccole vibrazioni di una corda pesante sospesa verticalmente, oppure di una membrana elastica rettangolare e, in quest’ultimo caso, ricava l’equazione delle onde in due coordinate spaziali [v. Truesdell 1960, pp. 316-335].

A questo stadio gli sforzi degli studiosi sono concentrati nella risoluzione di equazioni del secondo ordine di tipo iperbolico, mentre per le equazioni di tipo ellittico e parabolico occorre arrivare a cavallo fra la fine del Settecento (per l’equazione di Laplace) e gli inizi dell’Ottocento (per l’equazione del calore).

Euler si era imbattuto nell’equazione del potenziale, oggi detta equazione di Laplace,

02

2

2

2

2

2

=∂∂

+∂∂

+∂∂

zS

yS

xS

in occasione dei suoi studi sulla meccanica dei fluidi, ma si era limitato a considerare casi particolari in cui S è un polinomio [v. Euler 1756-57]. Va appunto a Laplace il merito di aver attirato l’attenzione dei matematici sull’equazione che oggi porta il suo nome e che è alla base della teoria del potenziale. Nelle celebri memorie del 1782, sulla teoria dell’attrazione esercitata dagli sferoidi e sulla forma dei pianeti, e del 1787, sulla teoria dell’anello di Saturno, Laplace determina infatti l’equazione che deve essere soddisfatta dal potenziale V della forza esercitata da uno sferoide su un punto esterno, sia in coordinate sferiche [v. Laplace 1782]:

( ) ( )0

11

12

2

2

2

22 =+

−+

rrV

rVV

∂∂

∂ϕ∂

µ∂µ∂

µ∂µ∂

sia in coordinate cartesiane ortogonali [v. Laplace 1787]:

edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 18

02

2

2

2

2

2

=++zV

yV

xV

∂∂

∂∂

∂∂

.

Anche se, come si è detto, le maggiori energie furono rivolte alle equazioni del secondo ordine, per il rilievo che esse hanno nella soluzione dei problemi della fisica matematica, gli studiosi del Settecento non trascurarono le ricerche sulle equazioni del primo ordine. Fra il 1760 e il 1770, sotto lo stimolo degli scritti di d’Alembert, Euler elabora metodi per la risoluzione delle equazioni alle derivate parziali del primo ordine e li applica a problemi particolari, ottenendo un gran numero di risultati interessanti, poi raccolti in modo sistematico e generale nel terzo volume delle Institutiones calculi integralis. Nella sua trattazione egli mostra che una famiglia di funzioni ( )bayxfz ,,,= ove a e b sono parametri, verifica l’equazione

( ) 0,,,, =qpzyxF , dove yz

qxz

p∂∂

∂∂

== ,

che si ottiene eliminando a e b fra le espressioni di z, p, q e osserva che viceversa la soluzione di tale equazione dipende da una funzione arbitraria. L’idea guida del metodo di Euler consiste nel ricondursi, tramite vari artifici, a differenziali totali e nell’integrare le espressioni differenziali ottenute per mezzo di opportuni fattori integranti. Euler interpreta tutte le variabili come variabili indipendenti, senza privilegiare le variabili spaziali x e y e ciò gli permette di semplificare le sue procedure scegliendo le variabili in modo opportuno.

Nel 1768 d’Alembert pubblica una memoria che si può considerare conclusiva di tutti i suoi contributi, in quanto vi troviamo i suoi metodi applicati alla risoluzione di equazioni alle derivate parziali sia del primo ordine, che di ordine superiore.

Sulla base dei risultati di Euler e d’Alembert, Laplace presenta nel 1773 all’Accademia delle Scienze di Parigi uno studio sull’integrazione delle equazioni alle derivate parziali nel quale espone un proprio metodo per risolvere l’equazione

( ) ( ) 0,,, =++ zyxfyz

yxxz

∂∂

λ∂∂

.

Un contributo fondamentale alla teoria delle equazioni alle derivate parziali del primo ordine è dovuto a Lagrange [v. Engelsman 1980, Demidov 1982b] che, nella memoria Sur l’intégration des équations à différences partielles du premier ordre (1772), affronta il problema di stabilire quando una soluzione debba considerarsi completa. Euler nelle Institutiones calculi integralis aveva asserito che un integrale di un’equazione alle derivate parziali di ordine n è completo quando dipende da n funzioni arbitrarie; Lagrange distingue invece qui fra soluzione completa e soluzione generale. Completa è una famiglia di soluzioni

( ) 0,,,, =bazyxF che dipende da due parametri a, b. Se si pone ( )ab ϕ= , dove ϕ è una funzione arbitraria, si ricava una famiglia di soluzioni ( )( ) 0,,,, =aazyxF ϕ dipendenti da un solo parametro. L’insieme di soluzioni che si ottengono risolvendo il sistema

( )( )

=

=

0

0,,,,

aF

aazyxF

∂∂

ϕ

e che rappresentano gli inviluppi della precedente famiglia a un parametro, è la soluzione generale, dal momento che dipende da una funzione arbitraria. Lagrange infine denomina “integrale particolare” (oggi soluzione singolare, v. supra p. *) la soluzione che si ottiene eliminando sia a che b dal sistema

edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 19

( )

=

=

=

0

0

0,,,,

bFaF

bazyxF

∂∂∂∂

e che è l’inviluppo della famiglia di superfici soluzione completa. Con questi nuovi concetti Lagrange affronta lo studio delle equazioni alle derivate parziali non lineari del primo ordine, del tipo

( )pzyxfq ,,,= (3) e cerca di determinare p in termini delle variabili x, y, z in modo che, moltiplicando per un fattore integrante (“moltiplicatore”) ( )zyxM ,, , la forma differenziale qdypdxdz −− diventi esatta e dunque l’equazione differenziale 0=−− qdypdxdz sia integrabile. Lagrange osserva che se si conosce una funzione g(x,y,z,a), dove a è un parametro, tale che l’equazione differenziale

0)),,,(,,,(),,,( =+ dyazyxgzyxfdxazyxg ammetta una soluzione del tipo F(x,y,z,a)−b=0, questa soluzione è una soluzione completa. Egli utilizza poi la condizione di Clairaut per l’esistenza di un fattore integrante (v. supra p.*) e ottiene un’equazione lineare nelle derivate parziali della funzione g:

0=+++ Uzg

Tyg

Sxg

R∂∂

∂∂

∂∂

(4)

ove

),,,(),,,(

),,,,(),,,( ,1 ),,,,(

gzyxzf

ggzyxxf

U

gzyxpf

ggzyxfTSgzyxpf

R

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

−−=

−==−=.

Così il problema di risolvere l’equazione non lineare (3) è ricondotto al problema di risolvere l’equazione lineare (4). Solo in una memoria del 1779 Lagrange mostra come si ottiene la soluzione di una equazione lineare nelle derivate parziali della funzione incognita

( )nxxxzz ,...,, 21= ,

),,..,(),,..,(.....),,..,(),,..,( 1112

121

11 zxxAxz

zxxAxz

zxxAxz

zxxA nnn

nnnn +=+++∂∂

∂∂

∂∂

,

facendo vedere che essa si può ricondurre al sistema di equazioni ordinarie

11

1 ...+

===nn

n

Adz

Adx

Adx

. (5).

Egli però stranamente non rileva che a questo punto ha dimostrato che la generica equazione alle derivate parziali del primo ordine (3) è riconducibile ad un sistema di equazioni ordinarie e ancora nel 1785, a proposito di un’equazione di questo tipo, afferma che non è risolubile con i metodi conosciuti. Si deve a Paul Charpit (?-1784) l’osservazione esplicita che i metodi ideati da Lagrange per risolvere le equazioni non lineari e le equazioni ordinarie lineari (v. supra) permettono di trovare la soluzione della generica equazione alle derivate parziali del primo ordine.

Una proficua interpretazione geometrica degli integrali del sistema (4) è data da Gaspard Monge (1746-1818) che tra il 1784 e il 1795 introduce un concetto analogo a quello che oggi chiamiamo varietà caratteristica. Si apre così la via ad una teoria geometrica delle equazioni

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differenziali che sarà ampiamente sviluppata nel secolo successivo. Accanto a questa proseguiranno le ricerche sui metodi più convenienti per risolvere specifiche classi di equazioni alle derivate parziali. Però con gli anni venti dell’Ottocento il punto di vista teorico si sposterà e inizierà una nuova epoca per gli studi sulle equazioni differenziali: la considerazione dei problemi con condizioni iniziali o al contorno concentrerà l’attenzione sugli integrali particolari, a scapito dell’integrale generale o completo, e la ricerca di teoremi di esistenza, di unicità e, più tardi, di regolarità delle soluzioni di questi problemi diverrà la questione centrale della teoria [v. Demidov 1992].

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1 Notazioni e abbreviazioni utilizzate: le parentesi tonde indicano la data di edizione del volume dell’Accademia, le parentesi quadre la presunta datazione dello scritto, AE = Acta Eruditorum; CE = Commercium Epistolicum; CP = Commentarii Petropolitani; GLI = Giornale de’ Letterati d’Italia; Hist. Acad. Sci. Berlin = Histoire de l’Académie royale des Sciences et Belles Lettres, Berlin; Hist. Acad. Sci. Paris = Histoire de l’Académie royale des Sciences avec les Mémoires de Mathématiques et de Physique, Paris; NCP = Novi Commentarii Petropolitani; Nouv. Mém. Acad. Sci. Berlin = Nouveaux Mémoires de l’Académie royale des Sciences et Belles Lettres, Berlin; Opera = Opera omnia; Oeuvres = Oeuvres complètes de …; Phil. Trans. = Philosophical Transactions; Streitschriften = Die Streitschriften von Jacob und Johann Bernoulli, Werke = Die Werke von ...

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dxdz

xb

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aadtddz

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Leibniz G. W. 1691 De linea in quam flexile se pondere proprio curvat, ejusque usu insigni ad inveniendas quotcunque medias proportionales et logarithmos, AE Junii, pp. 277-281 – GM 5, pp. 243-247.

Leibniz G. W. 1693 Supplementum geometriae dimensoriae, seu generalissima omnium tetragonismorum effectio per motum …., AE Septembris, pp. 385-392 – GM 5, pp. 294-301.

Leibniz G. W. 1694 Nova calculi differentialis applicatio et usus ad multiplicem linearum constructionem ex data tangentium conditione, AE Julii, pp. 311-316 – GM 5, pp. 301-306.

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Leibniz G. W. 1697 Communicatio suae pariter duarumque alienarum ad edendum sibi primum a Dn. Joh. Bernoullio, deinde a Dn. Marchione Hospitalio communicatarum solutionum problematis curvae celerrimi descensus a

edito in Storia della scienza, VI, L’età dei lumi, Enciclopedia Italiana Treccani, 2002, pp.418-430 25

Dn. Joh. Bernoullio geometris publice propositi, una cum solutione sua problematis alterius ab eodem postea propositi, AE Maji, pp. 201-205 – GM 5, pp. 331-336.

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