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L’Attenzione di Alberto Moravia 1 I. BREVE PROFILO DI ALBERTO MORAVIA Quest'anno si celebreranno i vent'anni della morte di Alberto Pincherle Moravia (nato a Roma il 28 novembre 1907 e morto nel 1990). La sua importanza nel panorama culturale italiano è data non soltanto dalla sua importanza come romanziere, giornalista, critico cinematografico e saggista ma dal fatto che fu uno degli ultimi scrittori italiani capaci di accostare un impegno di tipo politico e civile al mestiere di scrittore. Nonostante le numerose dichiarazioni di Moravia stesso in cui egli distingueva nettamente il suo ruolo di operatore culturale da quello di scrittore 1 , la sua presenza nei dibattiti culturali del tempo e la sua statura d'intellettuale influenzarono gli interventi critici sulla sua produzione artistica, come se quel ruolo pubblico fosse un necessario complemento alla sua arte. Ciò fece sì che ogni uscita di un libro di Moravia costituisse un evento e portare un romanzo di Moravia sotto il braccio equivaleva allora ad uno status e voleva dire essere aggiornati sul presente dell'arte e della letteratura. Tra le sue innumerevoli attività va certamente citata la fondazione nel 1953 insieme ad Alberto Carocci, già direttore di Solaria e fondatore con Giacomo Noventa nei primi anni '40 della rivista Argomenti (non uscita a causa della guerra), di Nuovi Argomenti che avrebbe dovuto rappresentare in Italia qualcosa di simile a Temps Moderns di Sartre. La rivista doveva cioè avere nei confronti della realtà italiana un'attenzione di tipo oggettivo e non lirico cercando, al tempo stesso, di rompere il dogmatismo marxista. Moravia fu dunque uno scrittore e un intellettuale che poteva essere 1 «Io mi impegno come cittadino, mai come artista», N. AJELLO, Intervista sullo scrittore scomodo”, Roma-Bari , Laterza, 1978

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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I. BREVE PROFILO DI ALBERTO MORAVIA

Quest'anno si celebreranno i vent'anni della morte di Alberto

Pincherle Moravia (nato a Roma il 28 novembre 1907 e morto nel

1990). La sua importanza nel panorama culturale italiano è data non

soltanto dalla sua importanza come romanziere, giornalista, critico

cinematografico e saggista ma dal fatto che fu uno degli ultimi

scrittori italiani capaci di accostare un impegno di tipo politico e

civile al mestiere di scrittore. Nonostante le numerose dichiarazioni

di Moravia stesso in cui egli distingueva nettamente il suo ruolo di

operatore culturale da quello di scrittore1, la sua presenza nei dibattiti

culturali del tempo e la sua statura d'intellettuale influenzarono gli

interventi critici sulla sua produzione artistica, come se quel ruolo

pubblico fosse un necessario complemento alla sua arte. Ciò fece sì

che ogni uscita di un libro di Moravia costituisse un evento e portare

un romanzo di Moravia sotto il braccio equivaleva allora ad uno

status e voleva dire essere aggiornati sul presente dell'arte e della

letteratura. Tra le sue innumerevoli attività va certamente citata la

fondazione nel 1953 insieme ad Alberto Carocci, già direttore di

Solaria e fondatore con Giacomo Noventa nei primi anni '40 della

rivista Argomenti (non uscita a causa della guerra), di Nuovi

Argomenti che avrebbe dovuto rappresentare in Italia qualcosa di

simile a Temps Moderns di Sartre. La rivista doveva cioè avere nei

confronti della realtà italiana un'attenzione di tipo oggettivo e non

lirico cercando, al tempo stesso, di rompere il dogmatismo marxista.

Moravia fu dunque uno scrittore e un intellettuale che poteva essere

1 «Io mi impegno come cittadino, mai come artista», N. AJELLO, Intervista sullo scrittore scomodo”, Roma-Bari , Laterza, 1978

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contestato, e lo fu soprattutto a partire dagli anni '60, ma non poteva

essere ignorato, perché sempre in grado di cogliere i movimenti in

atto nei fatti di cultura, quasi sempre prima che divenissero tali e si

manifestassero. Bisogna però aggiungere che Moravia, come ha ben

scritto il critico Luigi Baldacci, fu spesso lodato ma mai veramente

accettato da quello stesso pubblico che ne aveva decretato il

successo, perché accettarlo «avrebbe voluto dire riconoscere la

monotonia e insieme la necessità di certi atti, un'ossessiva condanna a

ripeterli perché è in quegli atti che l'uomo stabilisce la propria continuità,

mentre il lettore di romanzi è semmai disposto a guardare morbosamente

nello specchio deformato che gli sia posto davanti, ma non sta al gioco di

chi gli assicura che quell'immagine è reale e non può essere diversa, e

infine che non c'è niente di male nell'essere uguali a se stessi». 2

La conferma che tutta la carriera di Moravia sia stata caratterizzata

da questo parallelismo tra la sua attività intellettuale e pubblica e

quella letteraria è confermata sin dagli esordi della sua carriera. Nel

1927 appare infatti l'articolo «C'è una crisi del romanzo?» su La

Fiera letteraria a firma Alberto Pincherle in cui viene affermato che

il romanzo soffriva di un anomalo squilibrio tra pensiero, cioè

commento psicologico del narratore e analisi della coscienza dei

personaggi, e azione reale dei personaggi. Egli non propone però un

ritorno alla narrazione pura e semplice dei fatti senza più alcun

commento psicologico, ma di evitare che esso superi, per mole e

importanza, il testo, cioè l'azione. Questo può essere fatto però solo

restaurando la funzione del personaggio e perciò proporrà come

modello da seguire la figura di Dostoevskij, il quale aveva superato

nettamente la struttura del romanzo realistico ottocentesco, ma senza 2 L. BALDACCI, in R. MANICA, Moravia, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2004, p. 11-12

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che ciò avesse come conseguenza quella di annullare la funzione del

personaggio che resterà sempre l'elemento centrale della poetica di

Alberto Moravia. La prima compiuta realizzazione di questi elementi

teorici, dopo le prime prove con le novelle pubblicate su 900, si avrà

con Gli indifferenti (1929), scritto durante la sua permanenza nel

sanatorio di Codivilla per una tubercolosi ossea (da cui trarrà poi lo

splendido racconto Inverno di malato), pubblicato a soli 22 anni

ottenendo un successo straordinario con ventimila copie stampate in

poco più di un anno. Lo stesso Moravia a proposito del progetto

formale del romanzo dirà:

«[...] mi ero messo in mente di scrivere un romanzo che avesse al tempo

stesso le qualità di un'opera narrativa e quelle di un dramma. Un romanzo

con pochi personaggi, con pochissimi luoghi, con un'azione svolta in poco

tempo. Un romanzo in cui non ci fossero che il dialogo e gli sfondi e nei

quali tutti i commenti, le analisi e gli interventi dell'autore fossero

accuratamente aboliti in una perfetta oggettività»3

E' evidente come in queste parole si possa ritrovare quella stessa

polemica contro il commento psicologico e come la ricerca di

oggettività coincida con la rivalutazione del personaggio e della sua

funzione, senza ovviamente escludere la presenza del narratore.

Questa non era però una scelta esclusivamente formale. In linea con

il suo progetto Moravia rappresentò infatti anche le passioni dei suoi

personaggi in una vicenda concentrata in due giorni consecutivi,

come in due atti di un dramma, accrescendo la fisionomia teatrale

del romanzo. Elemento teatrale che si riscontra anche nel luogo dove

3 A. MORAVIA, L'uomo come fine e altri saggi, Milano, Bompiani, 1964, p. 61-67

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si svolgono tutti gli avvenimenti principali del romanzo: la sala da

pranzo. È qui infatti che avvengono le liti e le riconciliazioni, le

accuse, le ribellioni, le promesse della famiglia Ardengo e, proprio

perché inserite tutte nell'ambito di una sola stanza, assumono un

valore rituale. Proprio questa continuità di svolgimento obbligò però

lo scrittore a descrivere anche gli avvenimenti non tragici ma

quotidiani e il romanzo divenne così modellizzazione dell'universo

familiare borghese. Grazie dunque ad una generale scelta “formale”

(quella della struttura teatrale con unità di tempo, di luogo e di

azione), il romanzo subiva un aggiustamento strutturale (i due giorni

diventavano consecutivi) che imponeva nuovi nuclei contenutistici

(la descrizione della vita quotidiana di una famiglia borghese). In

questo modo Gli Indifferenti assunsero un significato a cui l'autore

non aveva pensato ma che determinerà la presa di coscienza da parte

dello scrittore delle caratteristiche della famiglia, e più in generale

della vita borghese (elemento che diventerà una delle costanti di tutta

la sua produzione narrativa) svolgendo così, di fatto, un'involontaria

funzione antifascista. Un fatto non così sorprendente ma anzi

ricorrente in molti scrittori e che può essere teorizzato sotto il nome

lukàcsiano di «grande realismo». Lo scrittore, cioè, coscientemente

mette nella sua opera molte cose, ma ne mette anche tante di più di

cui non è perfettamente consapevole, ed è compito del lettore

riscoprirle e quasi insegnarle allo scrittore. Il libro non venne

bloccato però da nessuna censura ma, anzi, uno dei proprietari della

casa editrice Alpes che pubblicò il romanzo era addirittura Arnaldo

Mussolini, fratello del Duce. Il Fascismo, come nota lo stesso

Moravia, non era nel 1929 ancora preparato a condurre una battaglia

culturale e non comprese il pericolo di un romanzo del genere non

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dando alcuna importanza alla letteratura, ma considerandola come

«un'attività bizzarra, decorativa e innocua».4 La reazione del

fascismo non si fece naturalmente attendere e, dove non intervenne

la censura come nel caso della seconda edizione del romanzo satirico

La Mascherata (1941), tantissimi furono gli attacchi da parte degli

esponenti fascisti e della critica asservita al regime, si può citare il

commento dello stesso Arnaldo Mussolini che definì Moravia come

«negatore di ogni valore umano».Reazioni che, dal punto di vista

fascista, non furono assolutamente spropositate. Moravia infatti

demolendo la falsa moralità della triade Dio-Patria-Famiglia, alla

base del fascismo ma, più in generale, dell'etica borghese,

dimostrava proprio a coloro i quali sbandieravano quei valori che, in

realtà, gli autentici idoli del mondo borghese erano, e sono, il sesso e

il denaro. Un antifascismo quello di Moravia che sarà dunque

inizialmente inconsapevole e che non nascerà da una passione

politica, ma da un'analisi razionale della realtà e da un rifiuto nei

confronti di ogni potere che s'imponga con la violenza della retorica

e del conformismo di massa (dopo la guerra lo stesso atteggiamento

lo conserverà infatti nei confronti dello stalinismo). La tematica del

sesso e del denaro venne dunque affrontata da Moravia sin dal 1929

e poi ribadita nel resto della sua opera. Al punto che alcuni critici

affermarono che Moravia avesse scritto «sempre lo stesso libro». In

realtà Moravia, che di libri ne scrisse non uno ma cinquanta, pur

avendo delle costanti, delle chiavi con cui leggere e interpretare la

realtà – il sesso e il denaro appunto, cioè Freud e Marx – che

vennero poi approfondite.

4 A. MORAVIA, Io e il mio tempo, Conversazioni critiche con Ferdinando Camon, "Nord-Est",

Padova, 1988, p. 35-36

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La prima fase dell'opera di Moravia, quella del realismo borghese e

della fusione di elementi realistici, esistenzialistici e, negli anni

1935-1941 anche surrealistici e satirici, si concluderà con il romanzo

breve Agostino. Il romanzo, il quale fu strutturato in modo tale che

sembra costituito da «tre drammi in uno», racconta l'incontro di un

ragazzo tredicenne dall'estrazione sociale alto borghese, con i

problemi del sesso e delle differenze di classe. Inizialmente

Agostino, che ha nei confronti della madre una vera e propria

idolatria considerandola come il simbolo della perfezione umana,

odia il suo corteggiatore ma poi, nel corso del romanzo, inizierà a

considerarla come donna, modellando su di lei la forma dei propri

desideri maschili. Il secondo dramma di Agostino, dopo quello del

sesso, sarà quello nei confronti di alcuni suoi coetanei, figli di

pescatori e di popolani, con i quali Agostino instaurerà un rapporto

di rivalità-solidarietà. Egli infatti, avido di modelli da imitare, cerca

di instaurare con loro una sorta di primitiva associazione

esclusivamente maschile, ma non verrà mai completamente

accettato. Il terzo dramma è infine rappresentato dalla gita in barca

con Saro, venendo a contatto per la prima volta con l'omosessualità.

Questo romanzo, al contrario delle sue altre opere che hanno sempre

previsto periodi di scrittura lenti e numerose revisioni, venne scritto

in un solo mese (Agosto, da cui il romanzo prenderà il nome) perché

sembrò allo scrittore romano «una storia ben scritta». La sua

importanza sarà però compresa da Moravia solo in seguito

definendola come «la cerniera che congiunge Gli Indifferenti ai miei

libri successivi […] e la conclusione del lungo travaglio dopo Gli

Indifferenti». Questo romanzo è stato collegato da più parti con

Inverno di malato (il romanzo ispirato alla sua convalescenza nel

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sanatorio), essendo presente in entrambi un rito di passaggio tra le

età rappresentato dall'iniziazione all'eros. I due romanzi sono però

anche due storie “inaugurali” perché intimamente connessi alla

vigilia e al risveglio dei sensi. Tutto il resto dell'opera di Moravia

racconterà invece cosa quei sensi diventano in un adulto.

Sesso e denaro saranno anche i temi de La romana, il romanzo del

1947 che segna l'esordio della seconda fase dell'opera di Moravia,

quella “neorealistica”, in cui i protagonisti sono personaggi popolari

che rappresentano un'alterità positiva perché capaci di adeguarsi alle

leggi naturali del corpo e dunque del vivere rispetto all'alienante e

indifferente mondo dell'intellettuale borghese che rimane prigioniero

della propria impotenza morale e vitale. La protagonista di questo

romanzo è Adriana, una bellissima ragazza che durante il periodo

della guerra etiopica dopo l'illusione di un primo amore viene

avviata dalla madre al mestiere della prostituzione, raccontando così

se stessa proprio attraverso l'atteggiamento dei suoi vari amanti:

dalla vigliaccheria di Gino alla misantropia del burocrate fascista

Astarita, dal violento Sonzogno al patetico studente Mino che

concluderà la sua patetica esistenza con il suicidio. Il rapporto sesso-

denaro qui dunque si dialettizza e un termine si completa con l'altro.

Da una parte c'è infatti il sesso mediante il quale Adriana riesce a

sopravvivere, dall'altra ci sono invece gli uomini che mediante il

denaro acquistano il sesso. Sesso perciò che produce denaro e denaro

che produce sesso. Paradossalmente chi esce pulita è proprio

Adriana, la prostituta, mentre i veri colpevoli sono soprattutto gli

uomini che con i loro comportamenti hanno trasformato Adriana in

una cosa che può essere acquistata con il denaro. Questo romanzo è

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stato definito come una lunga metafora dello strazio dell'Italia in cui

poca differenza fa se l'origine di esso sia stato il burocrate fascista

Astarita oppure i sottoproletari Sonzogno e Gino. In questo romanzo

Geno Pampaloni ha individuato una svolta tra l'esistenzialismo ante

litteram e quasi istintivo de Gli Indifferenti e quello storico e

cosciente da La Romana in poi. Questo, scrive sempre Pampaloni,

non vuol dire però che Adriana sia un personaggio esistenzialistico,

ma solo uno dei tanti aspetti che caratterizzano il personaggio

insieme alla sua vitalità, la sua speranza, e la solidarietà col

prossimo. Il romanzo che concluderà questa fase della sua

produzione, molto importante anche per motivazioni storiche e

politiche ancora prima che letterarie, sarà La ciociara (1957), che

rappresenterà il debito pagato da Moravia nei confronti della

Resistenza e della guerra. Il romanzo, ispirato all'esperienza dello

stesso Moravia insieme alla moglie Elsa Morante a Fondi, racconta

la storia di uno stupro, a liberazione avvenuto, da parte dei

marocchini che facevano parte dell'esercito francese tra le macerie di

una chiesa abbandonata. Uno stupro che rappresentava in realtà lo

stupro dell'Italia stessa. Ancora una volta Moravia dunque usa un

termine che appartiene alla realtà sessuale – la sua chiave di lettura

della realtà – per parlare di altro. In questo romanzo sarà presente

l'unico personaggio positivo di tutta l'opera di Moravia, Michele (e

non è probabilmente un caso che abbia lo stesso nome del

protagonista de Gli Indifferenti), che si sacrifica per i suoi parenti e

gli altri sfollati, lasciandosi portare via da un gruppo di tedeschi in

ritirata. Michele rappresenta dunque l'unica limpida opposizione alla

crudeltà della guerra. Della carica ideale che Michele rappresenta

Cesira prende coscienza ricordando quando, prima di morire, aveva

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cercato di leggere un passo del Vangelo su Lazzaro. I contadini non

lo avevano però compreso ed egli si era adirato nei loro confronti,

gridando che erano tutti morti «in attesa della resurrezione come

Lazzaro».

Il romanzo successivo, La noia (1960), rappresenterà la terza e

ultima fase della narrativa moraviana, in cui vengono abbandonati i

motivi neorealistici (pur se nella particolare visuale moraviana), e

ritorna la ripresa del motivo dell'indifferenza e dell'alienazione o,

meglio, per citare ancora Sanguineti, «l'alienazione dell'alienante». Il

borghese Dino, un pittore fallito che proviene da una ricca famiglia

borghese, cerca di sottrarsi a questa realtà (rappresentata dalla madre

e dal suo denaro), ma resta senza un'identità e in un impotenza vitale

che diventerà anche artistica (all'inizio del romanzo egli ha infatti

deciso di non dipingere più). A un certo punto incontra però la

misteriosa ed enigmatica Cecilia che diventerà un mezzo per

riappropriarsi della realtà. Anche lei diventa però per Dino “noiosa”,

ma quando scopre che ha un amante, il suo interesse per lei si

rianima cercando di possederla interamente. Tenta prima con il

denaro, poi con il matrimonio, ma senza risultati e alla fine Dino

decide di mandare la sua automobile a schiantarsi contro un albero

sperando di morire. Si salva miracolosamente e, durante la

convalescenza, scopre che la vita va accettata così com'è, senza

poterla possedere e senza poterla cambiare, abbandonandosi ad una

passività che è anche amore per la nuda realtà.

Sarà proprio questa pura fisicità dell'esistere che sarà l'elemento

caratteristico dell'ultimo Moravia. In questo periodo più interessanti

saranno certamente i libri di viaggio e i reportages, in particolare in

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Africa, dove la scoperta dei riti dei popoli primitivi avviene sulla

scorta della lettura di Cuore di tenebra di Conrad. In questo modo

l'ignoto, il mostruoso e l'estraneo vengono filtrati attraverso i

parametri della cultura occidentale. I suoi viaggi in Africa di questo

periodo verranno raccontati in tre testi: A quale tribù appartieni?

(1972), Lettere dal Sahara (1981) e Passeggiate africane (1981). A

differenza di quanti videro in questa scelta una professione di

disimpegno, questi testi rappresentarono al contrario un

coinvolgimento di Moravia negli avvenimenti e nei problemi del

Terzo Mondo. Testi che nulla ebbero a che fare con la tipica

letteratura di viaggio in Africa ma che descrissero i processi di

sviluppo del neocolonialismo capitalistico sotto la triplice violenza

economica, turistica e culturale. Estremamente significativo sarà

inoltre lo scontro tra il razionalismo illuministico dello scrittore e la

resistenza di una realtà sconosciuta e incomprensibile anche se il

fascino dei suoi resoconti di viaggio non sta tanto nella forza delle

idee quanto nel tono della voce che s'interroga di fronte a un

paesaggio, un incontro o un colloquio. Racconti interiori dunque più

che rappresentazioni fotografiche dell'Africa ed è per questo che

rientrano certamente nella sua migliore narrativa.

L'Attenzione è paradigmatico del modo di Moravia d'intendere il suo

essere scrittore e al tempo stesso intellettuale, capace di cogliere

tutte quelle tendenze culturali che si agitavano nella società del suo

tempo e di rielaborarle. Un metaromanzo scritto rifacendosi a quelle

teorie che negli anni '60 vennero introdotte dalla Neoavanguardia e,

in particolare, dal cosiddetto Gruppo 63.

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La Neoavanguardia nasce nel 1956 con un discorso scritto da

Luciano Anceschi per la rivista Il Verri rifacendosi «ai nuovi

rapporti fra l'uomo e la tecnica, e alle conseguenze che la soluzione di

questi critici rapporti può avere per la nostra vita e la vita stessa della

letteratura».5 Il primo modello di gruppo organizzato della

Neoavanguardia si avrà nel 1961 con l'antologia poetica de I

Novissimi a cura di Alfredo Giuliani, riunendo testi poetici di

Balestrini, dello stesso Giuliani, di Pagliarani, di Porta e di

Sanguineti. Questi autori, pur nelle loro profonde diversità, si

collegano alla lezione del Surrealismo e del Dadaismo prediligendo

il montaggio, il gioco e il nonsense, e opponendosi radicalmente a

tutta l'esperienza post-ermetica e neorealistica degli anni cinquanta,

forniscono l'immagine di una realtà «schizomorfa», per utilizzare le

parole di Giuliani, non più filtrata attraverso la prospettiva del

soggetto e priva di qualunque messaggio sociale, politico o morale:

«D'ora in poi [l'arte contemporanea] avrà due domini separati di

discorso, quello in cui si svolge una comunicazione circa i fatti

dell'uomo e i suoi rapporti[...] e quello in cui l'opera svolgerà al livello

delle strutture tecniche un discorso assolutamente formale»6. Una

ricerca che si rifaceva in particolare alla rivista francese Tel Quel,

privilegiando il linguaggio e l'innovazione formale perché,

basandosi su quanto affermato da Herbert Marcuse ne L'uomo a

una dimensione, la Neoavanguardia riteneva che la società

industriale moderna integrava ormai ogni opposizione politica e

che l'unico spazio possibile di contestazione rimasto fosse quello

linguistico e letterario.

5 L. ANCESCHI, Discorso generale, “Il Verri”, n°1 (1956), p. 2

6 U. ECO, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962

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Moravia, naturalmente, apparteneva al primo dominio di cui parla

Umberto Eco ma, nonostante ciò e nonostante le forti polemiche

che contraddistinsero i rapporti tra Moravia e il Gruppo 63 -

costituitosi sul modello del tedesco Gruppo 47 durante un

convegno organizzato a Palermo dal 3 all'8 ottobre 1963 - lo

scrittore romano ne L'Attenzione utilizzerà proprio le teorie sul

metaromanzo ideate dalla Neoavanguardia. In particolare si rifarà a

quelle ricavate dal nouveau roman della École du regard,

teorizzate da Alain Robbe-Grillet e da Jean Ricardou. che

rifiutavano il realismo e proponevano un romanzo che eliminasse

l'uomo dal racconto ed esplorasse soltanto i rapporti tra le varie

parti del testo. Il metaromanzo si caratterizzava come

un'espressione artistica basata sull'autoriferimento e

sull'autocontestazione, sulla consapevolezza critica e sull'ironia, in

cui le sue varie forme andavano dal rifiuto del narratore onnisciente

all'esigenza di rappresentare drammaticamente prima i fatti e poi i

sentimenti, dall'identificazione del narratore con il personaggio alla

scoperta del personaggio come romanzo che fa del proprio narrare

l'oggetto della narrazione, fino ad arrivare all'annullamento del

personaggio stesso come un entità autonoma. Una ricerca, come

abbiamo visto, che si configura come l'impossibilità stessa del

narrare. E proprio questo elemento sarà alla base, come vedremo,

del romanzo di Moravia in cui Merighi, non sapendo scegliere tra

l'agire ed il rappresentare, si chiuderà in un circolo da cui uscirà

soltanto accettando il romanzo come coscienza della vita.

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II. L’Attenzione

2.1 L’intreccio

L'Attenzione si divide in tre parti distinte e contigue: un prologo, una

parte centrale (il diario) e un epilogo. Nel prologo del romanzo il

giornalista Francesco Merighi confessa il motivo per cui aveva

sposato Cora, una popolana delle borgate romane, prostituta

occasionale e madre di una figlia avuta da un soldato tedesco durante

la guerra. Un amore da parte di Francesco che era dovuto da

un'infatuazione culturale, un'ideologia, un vero e proprio mito: quello

di voler vedere nel popolo l'unico elemento autentico all'interno della

falsa società borghese. Decide di scrivere un romanzo sulla storia

d'amore con Cora ma, pochi mesi dopo il matrimonio, Francesco si

accorge dell'illusione di cui era stato vittima, lo distrugge, e decide di

allontanarsi dalla famiglia e dalla moglie. Così, dopo avere

sperimentato molti amori mercenari (tra i quali particolarmente

significativo e simbolico sarà quello con una donna così magra da

somigliare ad uno scheletro, dandogli l'impressione di accoppiarsi con

la morte), accetterà l'offerta di un giornale conservatore (lui, uomo di

sinistra) che gli permette di viaggiare continuamente per il mondo e,

nei brevi ritorni a Roma, vive in casa propria come un estraneo, a

pigione, escludendosi totalmente dalla vita della propria moglie e della

figliastra Gabriella (detta Baba).

Il prologo da un punto di vista strutturale può essere definito come un

classico esempio di “romanzo saggio”. L'io narrante (Francesco

Merighi) inizialmente espone i fatti da un punto di vista soggettivo,

per poi calarvisi attraverso un'esemplificazione: egli inizia da

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un'analisi della propria esperienza per poi rendersi conto

dell'inautenticità (altro tema fondamentale del romanzo insieme alla

disattenzione) dell'Italia postbellica. Inautenticità della realtà che è

anche inautenticità dell'arte e, già dal prologo, l'io narrante denuncerà

l'inautentico messaggio espresso e trasmesso dal Neorealismo, quando

chiarisce il motivo per cui aveva distrutto il suo primo romanzo:

«Non vorrei essere tuttavia frainteso. Il romanzo poteva dirsi riuscito e non

avrebbe certo sfigurato tra la produzione narrativa di quegli anni.

Situazione, personaggi, stile, costruzione e strutture contribuivano

abbastanza naturalmente a formare un organismo complesso che aveva tutte

le apparenze della vitalità. E tuttavia, questa storia della ricerca

dell'autenticità attraverso l'amore per una donna del popolo, era

assolutamente inautentica. L'inautenticità non stava però nella pagina,

bensì, si sarebbe detto, nei fatti stessi che vi erano narrati. Era

un'inautenticità, per così dire, costituzionale, come se gli avvenimenti che

avevo cercato di raccontare fossero stati già in origine, prima ancora di

essere raccontati, irrimediabilmente inautentici […]. Dunque, una volta di

più, inautentico non era tanto il libro, quanto la realtà dalla quale era stato

ricavato».7

Il romanzo inizia dieci anni dopo gli eventi del prologo, quando

Francesco ha deciso di riprendere in mano il romanzo che aveva

distrutto perché “inautentico”: «L'inautenticità del romanzo derivava dal

fatto che vi si agiva. Io avevo infatti riscontrato che nella realtà della vita

non era possibile, almeno per me, agire in maniera autentica. Di

conseguenza... l'inautenticità era passata dalle cose che avevo cercato di

rappresentare nelle parole stesse di cui mi ero servito per rappresentarle».8

7 A. MORAVIA, L’Attenzione, Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 15-16

8 A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 32

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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Pensa pertanto a scrivere un romanzo senza storia e senza azione che

registri semplicemente il tran tran non drammatico del vivere

quotidiano e, per fare ciò, affiderà ad un diario tutti gli avvenimenti

che succederanno durante una sosta di due mesi a Roma. Un diario

che si doveva strutturare su due piani di narrazione: il primo come una

semplice registrazione degli eventi che avrebbero dovuto dar vita al

romanzo “autentico” cui aspirava, e l'altro costituito da una serie di

commenti che ne garantissero l'autenticità, quindi, da una parte il

“romanzo narrato” e dall'altra il “romanzo pensato”.

«[...] il romanzo come storia, come vicenda, con un principio, uno sviluppo

e una fine, come dramma insomma, ti è fallito. Prova allora a vedere se ti

riesce il romanzo senza storia, senza vicenda, senza dramma. Un romanzo

in cui non succede niente. Che cos'è il contrario dell'azione drammatica? Il

contrario dell'azione drammatica è il quotidiano, cioè il tran tran, come si

dice, della vita di tutti i giorni[...] L'autenticità che l'azione non poteva non

rifiutarti vedrai che l'otterrai in una rappresentazione che escluda ogni

specie di azione».9

Prima di tornare a Roma Francesco riceve una lettera anonima che gli

rivela che la moglie Cora invece di gestire una sartoria, come creduto

da tutti, era in realtà la ruffiana di una casa di prostituzione.

Francesco, accortosi così della “disattenzione” nei confronti della sua

famiglia, tornato a Roma, farà leggere la lettera a Baba, che ha ormai

vent'anni e frequenta la facoltà di Lettere, perfettamente al corrente

dell'attività della madre, che sei anni prima aveva anche cercato

invano di iniziarla al “mestiere”. Baba non la rimprovera però in alcun

9 A. MORAVIA, L'Attenzione, op. cit, Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 35-36

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modo per quell'avvenimento ma, anzi, le è molto affezionata per il

solo fatto di essere sua madre: per un'aderenza dunque meccanica alla

sua posizione di figlia. Conseguentemente a questa logica, rimprovera

il patrigno della sua indifferenza e gli chiede di occuparsi nuovamente

della sua famiglia. Francesco accetta e cerca, almeno formalmente, di

essere un buon padre ed un buon marito avendo però come reale

obiettivo quello di scoprire dalla moglie il suo passato e da Baba

quello di ricevere delle attenzioni non propriamente paterne essendo

attratto da lei. Del resto, la stessa Baba favorirà tale inclinazione di

Francesco con atteggiamenti e comportamenti ambigui e maliziosi che

sembrerebbero dover sfociare nell'incesto (un incesto puramente

ideologico essendo Baba la figliastra e non la figlia di Francesco). A

ciò lo stesso Francesco opporrà una dura resistenza e preferirà

conservare quel sentimento nel mondo astratto, poetico e puro della

contemplazione continuando ad amare la ragazza nel solo modo che

egli ritiene possibile: quello «del romanziere per il personaggio».

Francesco si rende infatti conto che, una volta consumato quel

rapporto sbagliato, esso rivelerebbe il suo carattere inautentico, e Baba

tornerebbe ad essere una qualunque ragazza borghese, allo stesso

modo in cui Cora, una volta che il mito nazionalpopolare aveva

svelato il suo carattere ingannevole, era tornata ad essere quella che

era sempre stata.

È per questo motivo che Francesco, per evitare nel suo futuro romanzo

l'inautenticità, nel diario inventa anche scene come, ad esempio, quella

del suo corteggiamento a Baba, oppure quella del colloquio avuto con

Cora per convincerla a ricoverarsi in un sanatorio. Immaginazioni

inautentiche che si sovrapporranno continuamente ad una realtà

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L’Attenzione di Alberto Moravia

17

ancora più inautentica, in particolare quando si cerca di raccontarla in

un romanzo, poiché ogni volta (anche se con l'intenzione di essere il

più oggettivi possibile) si compie comunque una scelta nei confronti

della realtà totale. Invenzioni non dichiarate per fare sì che il lettore

sia sempre nel dubbio se gli episodi descritti nel romanzo siano

accaduti o inventati: l'amore per Baba emerge al ritorno di Francesco

dall'Iran oppure risale a prima dei suoi viaggi all'estero? Egli in quel

periodo sapeva o no dell'attività di ruffiana di Cora?

In questo modo il diario dovrebbe riuscire ad integrare la vita,

modificandola e condizionandola, evitando che si riduca a quel

dramma borghese, artificioso, con trovate e colpi di scena che, se

trasferiti nel romanzo, risulterebbero essere falsi ed inautentici.

L'autore-personaggio è infatti convinto che il romanzo moderno - il

vero e il solo protagonista di tutta la vicenda10- dovesse avere un

carattere saggistico, sostenere un'ideologia ed indagare una situazione

psicologica.

Il romanzo si conclude senza la realizzazione dell'incesto da parte di

Francesco che lo realizzerà soltanto in sogno e, sempre in sogno,

immaginerà la morte di Cora uccisa dal padre di una delle ragazze che

lei prostituiva. Francesco così nell'Epilogo parte nuovamente in

viaggio per gli Stati Uniti e, dopo la vera morte di Cora, segue un

funerale simbolicamente velocissimo, durante il quale Baba dice addio

al suo patrigno, convinta ormai a sposarsi con il mediocre fidanzato

10 «Il romanzo, insomma, era il vero protagonista del diario, non io che tenevo il diario. E il diario era un romanzo bello e pronto perchè io non vi avevo raccontato la mia storia, bensì la storia di un romanzo che progettavo di scrivere»,A. MORAVIA, L'attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 295

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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Santoro che non ama ma con cui è pronta ad affrontare una normale

vita matrimoniale. Mentre Francesco riconosce che il vero romanzo è

il diario e decide di pubblicarlo così com'è: consacrazione di un

genere letterario promosso non più soltanto come coscienza che

registra il passato, ma vera e propria norma morale per l'azione.

Durante il colloquio con Baba era emerso il fatto che l'iniziale lettera

rivelatrice potrebbe essere stata recapitata dieci anni prima a

Francesco, il quale era stato il primo cliente di Baba ma, entrando

nella stanza dove lei lo aspettava, aveva sospettato che fosse un

tranello e perciò se n'era andato. Nel diario due giorni dopo Francesco

nega però che ciò sia avvenuto e ripristina la versione iniziale, a cui

segue una controsmentita ed una sospensiva. Forse le cose sono

andate in un modo o forse in un altro senza venire chiarito, poiché,

conclude Moravia, «[...] qualcuno vorrà sapere che cos'è realmente

avvenuto. Ma questo io non lo dirò, perché in fondo non è necessario che lo

dica».11 In realtà, la vera conclusione c'era stata precedentemente o,

per meglio dire, due diverse conclusioni. Nella prima, più vicina alle

aspirazioni fantastiche del personaggio, Francesco abbandona Roma

dopo una misteriosa scomparsa di Cora e Baba, che in seguito scoprirà

essere state uccise; nella seconda, più vicina invece alla realtà, la

scomparsa delle due donne si rivelerà una semplice assenza

temporanea. Quale dei due finali sia quello reale Francesco non lo

rivelerà, poiché essi dipendono dalla realizzazione o meno

dell'incesto. Se Francesco lo avesse realizzato, il romanzo avrebbe

avuto un finale drammatico attraverso una giusta punizione per Cora,

che questo incesto avrebbe favorito, e per Baba che l'avrebbe

accettato; nel caso invece non fosse riuscito, la morte sarebbe stato 11 A. Moravia, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 288

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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l'unico destino possibile per Cora che avrebbe ostacolato il sentimento

del protagonista per Baba. Qualunque sia la conclusione reale rimane

dunque il motivo centrale dell'incesto come simbolo dell'inautenticità

che dovrebbe coinvolgere sia le sorti del romanzo che quella della

realtà moderna. Così è se vi pare.

2.2 I personaggi

Tutta la vicenda, come è tipico nella struttura a sfondo teatrale dei

romanzi di Moravia, si struttura in base alla relazione dei tre

personaggi principali: Francesco Merighi, la moglie Cora Mancini e

sua figlia Baba.

Francesco è il protagonista della vicenda che, come abbiamo visto,

prende avvio da una presunta lettera rivelatrice sugli affari illeciti

della moglie e che si innamora della figliastra. Ancora una volta, come

in tutti i romanzi significativi di Moravia, il protagonista è un

intellettuale (in questo caso un giornalista con aspirazioni da

romanziere) - il solo personaggio positivo della classe media secondo

Moravia, perché riassumerebbe in sé tutti i caratteri della borghesia,

ma con gli strumenti culturali per farne una critica – che ha chiaro

come le strutture di cui l'hanno fornito la natura, l'educazione e la

società sono inadeguate per stabilire un autentico rapporto con il reale.

Un rapporto che, così come il Michele de Gli Indifferenti, il Luca de

La Disobbedienza, il Dino de La Noia, cercherà di recuperare

attraverso un'astrazione (in questo caso scrivere un romanzo). È un

giornalista celebre per i suoi servizi all'estero con l'apparente capacità

di riproduzione del reale, pur sentendosi del tutto indifferente al

mondo che descrive. Seduto al proprio tavolino con enciclopedie e

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L’Attenzione di Alberto Moravia

20

libri di viaggio, Francesco Merighi preleva un frammento qualsiasi

della realtà trasformandola in un articolo, in una «piccola, perfetta

macchina per leggere», trasparente ed irreale, ed è forse proprio per

questo che riesce a renderlo attraente al lettore. Riproducendo la realtà

che osserva senza nessuna partecipazione all'oggetto contemplato,

Francesco, che rivela tanta attenzione ai dati più esteriori della civiltà

di massa e dei paesi esotici, non è però riuscito ad accorgersi che la

sua vita gli è franata addosso. Egli soffre infatti di disattenzione,

unendo le caratteristiche sia della noia che dell' indifferenza: «Che fa la

persona disattenta? Guarda lontano e, magari con l'aiuto di un potente

cannocchiale, vede benissimo le rovine della città che il terremoto ha

distrutto durante la notte. Ma nello stesso tempo non si accorge che lì, sotto

il suo naso, il terreno sta franando, la propria casa è in procinto di

crollare».12

Ad un impegno nella vita politica e sociale e al rapporto con la moglie

egli ha sostituito immagini fasulle ed artificiose di paesi remoti e

occasionali e rapporti con prostitute. Sarà solo con il ritorno a Roma

che Francesco effettuerà due scoperte: la scoperta di Baba e la

scopertà della realtà attraverso Baba.

I rapporti ritrovati con la moglie e con la figliastra saranno in realtà

inautentici anch'essi: egli parlerà infatti con Cora e con Baba (dialoghi

che in realtà somigliano a dei veri e propri interrogatori simili a quelli

de La Noia) solo per cercare di ricostruire la scena primordiale della

sua vita familiare, l'iniziazione di Baba alla prostituzione. Ed è per

questo che nel corso del romanzo Francesco si aggirerà molte volte

intorno alla casa di tolleranza gestita da Cora, fingendosi addirittura 12

A. Moravia, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 10

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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idraulico per osservare la stanza in cui Baba aveva esercitato la

professione. Un desiderio di una vera e propria ricostruzione storica

che allude ad un'inespressa e simbolica volontà di possedere la

ragazza.

Numerose saranno poi le riflessioni del protagonista sulla sua impresa

e sui suoi sentimenti più nascosti. Il suo punto di vista, attraverso

l'utilizzo della prima persona, coincide perfettamente con quello del

narratore interno, con una focalizzazione interna fissa, ed il racconto

viene definito “autodiegetico”. In altre parole, c'è perfetta

identificazione tra romanziere e protagonista, tra personaggio e autore,

tra la vita e l'arte, tra l'evento e la sua rappresentazione. Il romanziere

perde perciò definitivamente il suo carattere onnisciente, divenendo

un personaggio tra gli altri che non guarda da lontano la vicenda ma

ne fa parte, e nel momento stesso in cui scrive il diario, acquisirà

quella consapevolezza che lo porterà ad adottare un particolare modo

di condotta piuttosto che un altro.

«[...] La posizione, in fondo, in cui lo situava il romanzo tradizionale

dell'ottocento, per il quale il romanziere era onnisciente, onniveggente,

arbitro, giudice e,comunque, superiore di gran lunga agli altri personaggi,

un vero piccolo demiurgo o, se si preferisce, burattinaio. Ora questo

romanziere tradizionale non può fornirci alcuna informazione sul problema

del romanzo ossia sui rapporti tra il romanziere e la propria materia. Non

può fornircela, perché esso non ha che dei problemi tecnici; oppure, se ne

ha degli altri, la sua superiorità glieli fa risolvere in maniera astratta e, a ben

guardare, conformistica. Quello che non si era capito, insomma, era che la

sola maniera, probabilmente, di scrivere un romanzo del romanzo, è di fare

del romanziere un personaggio come gli altri, per niente affatto

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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onniveggente e onnisciente, capace dunque di sbagliare e di soffrire dei

propri errori e di pentirsene e così via. In altri termini, il romanzo del

romanzo è soprattutto, alla fine, un esame di coscienza del romanziere».13

Egli potrebbe sembrare il deus ex machina della vicenda: inizialmente

pare che annoti obiettivamente tutti gli avvenimenti a posteriori, ma

poi si lascia prendere dalla sua soggettività e trasportare come

personaggio agente del romanzo. Sarà il diario ad impedirgli di vivere

la vita come un romanzo scoprendo quale sia, secondo lui, l'unica

forma di moralità possibile: quella di vivere come si scrive, criticando

i propri sentimenti e le proprie azioni come se fossero stampate in un

libro. È per questo che rinuncia ad agire, dedicandosi soltanto alla

contemplazione: guarda, interroga, credendo in questo modo di

dedicare alle cose una rinnovata attenzione. In realtà però i suoi occhi

fissano soltanto «il corrimano della balaustra, fatto di un mosaico di pezzi

di maiolica di diversi colori e cementati insieme; il muro giallo chiaro con

lo zoccolo giallo senape; gli scalini di marmo bianco, sudici e impolverati».

Come sempre, insomma, non appena il suo sguardo incontra la realtà,

essa diviene vuota ed insignificante ed il mondo piomba in un sonno

da cui non riesce a svegliarsi. La presunta “attenzione” a cui

Francesco dichiarava di essere tornato alla conclusione del romanzo si

scoprirà essere una diversa forma di “disattenzione” con cui Francesco

vede ed osserva le cose intorno a lui. Francesco Merighi rientra,

dunque, a pieno titolo, tra i migliori personaggi moraviani,

dibattendosi in un mondo corrotto, senza mai ribellarsi però realmente

alla società, ma adattandosi ad essa in una cinica complicità, in cui le

13 A. MORAVIA, Il romanzo del romanzo. Appunti per l'Attenzione, “Nuovi Argomenti”, n°1, (Gennaio-Marzo 1966), p. 3

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L’Attenzione di Alberto Moravia

23

rivolte alla fine si svuotano sempre di contenuto rientrando nel tran

tran quotidiano.

Cora Mancini, probabilmente a detta di molti critici il personaggio

meglio riuscito del romanzo, è una ragazza di borgata che da giovane

aveva esercitato la prostituzione e, in seguito, dietro la rispettabile

professione di sarta fa la ruffiana. A differenza di molti dei personaggi

femminili moraviani, La Romana su tutti, Cora non è costretta da

qualcuno o da qualcosa in questa professione. La sua è una missione,

una fede, una «sacerdotessa del ministero fallico» secondo la

definizione di Guido Piovene14. Gli uomini per lei non esistono in

quanto commercianti, professori, ingegneri o medici ma solo come

esseri sessuali e, se riuscisse a vedere altro, vedrebbe andare in pezzi

la legge universale che la giustifica, come un sacerdote o un filosofo

che scoprisse falsa la propria religione o teoria. Mescolata alla

prostituzione o no, venale o meno, per Cora l'attività sessuale è

sempre la stessa e unica legge che regola la vita degli uomini. Cora è

dunque l'unico personaggio che crede in qualcosa, per il quale la realtà

sia reale, assumendo per questo la funzione di personaggio tragico.

Cora comprende inoltre, più di Francesco, il motivo per il quale il loro

amore si è perso per sempre. Ha compreso come il marito riesca ad

essere vivo se non attraverso mitologiche illusioni. Cora si è accorta

che Francesco, invece di vivere la realtà, l'ha spiata o sognata ed il

loro stesso amore è stato un sogno continuo da parte di entrambi. Lei

14 «Cora è una maschera drammatica che si decifra facilmente. È una sacerdotessa del ministero fallico, una credente invasata nel sesso ed una ruffiana per fede; nel suo culto si consuma e muore», Guido PIOVENE, Moravia è un baobab vorace, “Successo”, VII (Luglio 1965), p. 73

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ha sognato il suo ragazzo di buona famiglia, lui la sua popolana di

borgata, la sua «romana». Da queste illusioni reciproche ne è nato

perciò un conflitto che Cora ha cercato di risolvere attraverso l'offerta

della figlia al marito, compiendo un vero e proprio transfert,

proiettando in Baba la vita e l'amore per Francesco, continuando a

tenerlo legato all'immagine che lui ha di lei e di cui lui si vuole

liberare. Ogni gesto della donna è dettato dalla spontaneità, ogni

azione ne tradisce un'altra taciuta, ogni sua parola un pensiero

impossibile da esprimere in maniera diversa. Francesco, d'altra parte,

ad un certo punto si rende conto come soltanto la morte di Cora potrà

liberarlo da quell'ossessione ed illusione. Una volta avvenuta, i fatti si

evolvono proprio in questa maniera: Baba si sposa con Santoro e

viene ricondotta al suo ruolo di donna qualsiasi, Merighi non scriverà

più il romanzo, accontentandosi di pubblicare il diario così com'è

perchè esso non doveva essere altro che la registrazione della morte di

Cora. E così è stato.

Per Baba, il personaggio in cui si identifica il motivo del desiderio di

Francesco, la figlia sacrificata dalla madre per continuare ad avere un

rapporto con il marito e, in seguito, oggetto della tentazione

dell'incesto da parte del patrigno, è più difficile darne una definizione:

se sia o meno inautentica e fino a che punto. Baba è una Cecilia – la

protagonista femminile de La Noia - che ha raggiunto il traguardo

della coscienza, capace di una scelta e di provare pietà per la madre.

Per lei la corruzione è un fatto naturale, riesce ad essere normale sia

nel suo essere seria che nel suo essere corrotta, non biasima sua madre

per il fatto di averla spinta a prostituirsi ma, in quanto madre, la ama,

si diverte ad eccitare la fantasia di Francesco ma vorrebbe, con tutta

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sincerità, trovare in lui un buon padre di famiglia. Ella riesce a

compiere tutto, sostenendo di non essere mai la stessa persona, ma la

Baba di quel particolare momento, subito svanita per fare posto alla

Baba del momento successivo. Baba ha dunque imparato a prendere le

distanze dalla propria identità, negandole qualunque parentela con

quella attuale, per eliminare le ferite che la madre le ha inferto. Così,

la Baba che provoca Francesco non è la stessa Baba che la madre

voleva prostituire al marito.

2.3 La dimensione spazio-temporale

In questo romanzo particolare rilevanza assumono le categorie del

tempo e dello spazio, con elementi innovativi rispetto alla precedente

produzione di Moravia.

Il punto di partenza dell'autore per la prospettiva temporale di questo

romanzo è quella del romanzo-saggio in cui la materia viene ordinata

secondo un tempo ideale ed ideologico, e non più quello naturalistico

delle rappresentazioni dirette e drammatiche. In un articolo del 197115,

Moravia parla, a questo proposito, del «tempo presente della

riflessione saggistica», utilizzato come elemento interno alla

narrazione, come vera materia del raccontare. È grazie a questo

elemento che l'accento nel romanzo non cade più sui personaggi o

sugli eventi, ma sul rapporto tra questi e l'Io narrante.

15 A. MORAVIA, Lo stile narrativo saggistico-continuo, “Paragone”, n° 260 (ottobre 1971), p. 16-24

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L’Attenzione di Alberto Moravia

26

Per questo, anche il movimento del tempo non è più un meccanico

susseguirsi di eventi oggettivi, come nel romanzo naturalistico, ma

rapporto tra avvenimenti e coscienza. Una durata che può dunque

essere definita soggettiva e necessaria, con un forte rilevanza tematica

e non soltanto formale.

Entrando nel merito dell'opera, ne L’Attenzione esiste innanzitutto un

tempo logico del diario che condiziona tutti i tempi grammaticali dei

verbi. Il romanzo è perciò costituito da una reversibilità temporale,

prodotta da un continuo confronto tra un'azione collocata in vari

momenti storici ed un presente logico, che è quello dell'Io narrante che

registra nel diario i vari eventi, ogni volta che questi si verificano. Vi è

un'identificazione tra il romanzo e la vita, con il romanziere che è, al

tempo stesso, colui che vive la sua vita e che scrive il romanzo e colui

che, scegliendo un determinato modo di azione, sceglie anche un

determinato materiale per il romanzo che scriverà. Il risultato sarà che

il romanzo si sposterà dal tempo e dallo spazio oggettivi in una

dimensione interiore, in cui valgono sia le cose che accadono

realmente, sia quelle immaginate, fantastiche ed ipotetiche. Rispetto al

romanzo-saggio propriamente detto, inoltre, L’Attenzione è

caratterizzata dalla presenza esplicita del tempo presente della

riflessione saggistica come nel passo seguente:

«[...] i motivi per cui ogni tanto sento il bisogno di cambiare i fatti via via

che li riporto nel diario sono molteplici e variano secondo la natura dei fatti

medesimi e il genere di rapporto che ho con essi».16

16 A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X edizione, 2008, p. 187

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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Questo è l'elemento innovativo del romanzo-saggio e, ancor di più, del

metaromanzo, che deriva, come scrive Moravia17, da una serie di

innovazioni che avevano preso avvio da Flaubert fino a Joyce.

Innovazioni che modificavano in maniera sostanziale la natura del

personaggio tradizionale che distribuiva le sue azioni in un arco di

tempo, per dimostrare l'esistenza dei personaggi. Il romanzo moderno

aveva, invece, scoperto il quotidiano, grazie al quale personaggio ed

intreccio venivano annullati, rispecchiando perfettamente la situazione

dell'uomo occidentale nella moderna civiltà di massa.

Per quanto riguarda gli spazi, questo romanzo si differenzia

notevolmente da Gli Indifferenti, in cui gli avvenimenti fondamentali

avvengono tutti all'interno della casa della famiglia Ardengo. In

questo caso, gli avvenimenti principali e gli stessi dialoghi (o, per

meglio dire, interrogatori) tra Francesco, Cora e Baba, si svolgono in

ambienti diversi che svolgono una funzione narrativa, in quanto

oggettivazione del carattere dei personaggi e del loro stato d'animo, e

rappresentazione della situazione di corruzione che fa da sfondo

all'intera vicenda.

Tutti gli ambienti vengono descritti nei più minuziosi particolari, con

la solita tecnica teatrale moraviana, da cui emerge quel degrado

morale che coinvolge ormai tutto e tutti senza più alcuna distinzione,

tutto orridamente uguale, uniforme e conformistico. Il parallelo tra

degrado morale e descrizione degli spazi e degli ambienti risulta

17 A. MORAVIA, A che punto è la polemica letteraria in Italia, “L'Espresso”, 24 maggio 1964

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evidente quando Francesco si reca alla villa gestita dalla moglie. Una

villa «intonacata di una trista tinta grigia, la facciata liscia e senza cornici

sparsa di grandi macchie scure di umidità e rigata dall'alto in basso di

scolastici rugginosi […] affiancata da una specie di torre che le dava un'aria

arcigna e utilitaria, tra il silos e il castelletto medievale»18, i cui interni

erano costituiti da «un vestibolo lungo e spoglio con lo zoccolo di legno

scuro, poi una porta dai vetri opachi, infine la scala stretta e ripida come

ricavata nello spessore del cemento»19. La stessa situazione si ritrova

nella sua casa con «[...]le due tende a grosse strisce verticali che

nascondevano altrettante finestre le quali davano sul cortile; le tre consolle

Impero sormontate da specchi, tra l'una porta e l'altra; le quattro stampe

incorniciate di legno scuro negli spazi tra le tende. Perché avevo arredato la

casa in una maniera così convenzionale?[...]per un'aspirazione inconscia ad

un ordine qualsiasi, persino un meschino ed anacronistico ordine borghese,

che mi nascondesse il disordine profondo, a me ancora sconosciuto, della

mia vita»20.

La descrizione di spazi ed ambienti di questo romanzo non servono

però soltanto per una critica nei confronti del degrado morale e di

corruzione dei personaggi, ma riguarda (come sempre) anche

importanti temi sociali, come quello dello sfruttamento urbanistico di

Roma del dopoguerra, diventata una città anonima, omologata ed

alienante anche all'interno dei quartieri cosiddetti borghesi. Moravia,

quasi di sfuggita, vuole dimostrare come, negli anni '60, non vi siano

ormai più differenze tra le «due file di baracche di un piano solo, di un

brutto colore giallognolo, con le finestre incorniciate di una maldipinta

18 A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X edizione, 2008, p. 114 19

A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X edizione, 2008, p. 114

20

A. MORAVIA, L'Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X edizione, 2008, p. 37

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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fascia bianca e i tetti di lamiera ondulata grigia, allineate ai due lati di un

enorme stradone grigio»21 della borgata Gordiani, e Via Tuscolana

«incassata profondamente tra due fila di casamenti popolari»22. La

descrizione degli ambienti e degli spazi ha, infine, un'importante

funzione simbolica nella descrizione, ad esempio, della camera in cui

Baba aspetta il suo primo cliente, che forse risulta essere proprio

Francesco. Una stanza formata da un divano, due poltrone ed uno

specchio, in cui si scoprirà che il patrigno aveva visto la figliastra e la

figliastra aveva visto il patrigno. Elemento fondamentale è il simbolo

dello specchio che, da Freud in poi, nella moderna psicanalisi, verrà

definito come «un altro nome del padre»23, rappresentando l'altro da sé

che «permette di scoprire la verità di sé»24. Non possiamo sapere, in

questo caso, come ne Gli Indifferenti e in altri testi moraviani, se

l'autore romano fosse a conoscenza di queste teorie (anche se

propendiamo per il no) ma, sicuramente, ancora una volta Moravia ha

saputo fiutare le tendenze culturali che emergevano dalla società del

suo tempo e rappresentarle anche attraverso strumenti che possono

sembrare di sola descrizione.

21 A. MORAVIA, L'Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X edizione, 2008, p. 175 22

A. MORAVIA, L'Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X edizione, 2008, p. 178

23 R. LUCIONI, adhikara, <http://www.adhikara.com/edizioni-hualfin/volume-1-2/nomedelpadre.pdf>, ultima consultazione: 15.06.2010

24 R. LUCIONI, adhikara, op. cit., <http://www.adhikara.com/edizioni-hualfin/volume-1-2/nomedelpadre.pdf>, ultima consultazione: 15.06.2010

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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2.4 Lingua e stile

Prima di poter parlare dello stile e della lingua utilizzata ne

L’ Attenzione, è necessaria una premessa generale.

Lo stile e la scrittura sono l'elemento specifico di uno scrittore ed è

sempre necessario definire cosa sia lo stile per lo scrittore di cui si sta

parlando e se lo stile da lui utilizzato possa essere limitato alla sola

forma del testo. Esso va analizzato in base a due criteri:

• come il risultato di una fusione tra atteggiamento critico e

realizzazione pratica da parte dello scrittore. In questo caso

nello stile di un particolare scrittore non sarà presente soltanto

la scrittura tecnica del testo, ma l'insieme delle sue idee – più o

meno consapevoli – sul suo lavoro e sulla sua funzione

• come un momento di scambio tra scrittore e pubblico, che è

parte fondamentale di qualunque opera letteraria.

Moravia, anche da parte dei suoi critici più feroci, è sempre stato

considerato un grande narratore. Ne è stata invece sottovalutata spesso

la sua natura critica, letteraria e stilistica. Si è sempre evidenziato il

carattere civile ed ideologico che ne ha caratterizzato l'opera,

minimizzando l'elemento stilistico e di scrittura (come se uno non

condizioni sempre l'altro). Notevole è, invece, a partire da Gli

Indifferenti, il rapporto tra critica e scrittura in Moravia. E' un rapporto

che non si risolve nel primato della scrittura, nel gesto stilistico,

nell'artificioso formalismo linguistico, allontanando il pubblico e

diventando un'operazione da laboratorio utile soltanto per gli addetti ai

lavori. La scrittura, per Moravia, è uno scambio di esperienza e

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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comunicazione tra scrittore e pubblico, che rivela quale sia la sua idea

del ruolo dello scrittore.

Prima di entrare nello specifico della lingua utilizzata da Moravia, in

particolare ne L’Attenzione, è utile citare quattro testi in cui lo scrittore

esprime le sue idee sul suo stile: L'uomo come fine e altri saggi del

1963, L'intervista a uno scrittore scomodo del 1978, L'impegno

controvoglia del 1980, Autobiografia letteraria del 1986.

In queste pagine viene confermato il parallelismo tra l'idea che

Moravia aveva del suo stile ed il suo esserci nel mondo

contemporaneo, ritenendo che lo stile sia una qualità distintiva e

personale dell'autore, ma anche incontro e comunicazione con il

lettore, che è sempre presente in ogni progetto narrativo ed inventivo

di Moravia. È, perciò, inevitabile che la questione dei personaggi e

delle strutture romanzesche sia al centro di ogni suo romanzo. Ciò

avviene anche in un romanzo come L’Attenzione dove, nonostante la

sua apparenza sperimentale, attraverso l'identificazione tra il narratore

ed il protagonista, lo scrittore non si nasconde o sparisce ma, anzi,

assume un ruolo forse ancora più centrale. Sono i dialoghi che ne

L’Attenzione hanno un ruolo principale, che mettono in campo la

funzione del narratore, interrogando, chiedendo spiegazioni e

informazioni, avviando la macchina narrativa sia come azione che

come introspezione, descrivendo e comunicando al lettore ciò che egli

non sa.

Per quanto riguarda l'aspetto linguistico, l'Attenzione riprende lo

sviluppo, che inizia con La noia, con l'azione raccontata in prima

persona attraverso dei dialoghi incessanti come fossero degli

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L’Attenzione di Alberto Moravia

32

interrogatori. Come sempre, Moravia utilizza una lingua corrente che

testimonia il cammino dalla lingua italiana. Se mettiamo a confronto

un passo de Gli Indifferenti e uno de L'attenzione, ci accorgiamo

infatti come, più che un cambiamento di stile di Moravia, siamo di

fronte ad un cambiamento della lingua italiana comune, dalla sua

pesante letterarietà alla sua moderna scioltezza.

Innanzitutto citiamo un passo tratto da Gli Indifferenti:

«Il primo ad addormentarsi fu Leo; l'impreveduta seppure inesperta

sfrenatezza di Carla l'aveva spossato. Dopo l'ultimo abbraccio poiché

stettero per qualche istante ambedue immobili, con le membra madide

confuse tra di loro, gli occhi socchiusi e le teste unite sul capezzale in una

specie di esausto dormiveglia, la fanciulla sentì l'amante ritirar piano piano

il braccio dalla sua vita, districar le gambe dalle sue e voltarsi verso la

parete». 25

Ed ora l'incipit de L'attenzione:

«Prima di tutto debbo dire perché ho scritto un diario. Molte sono le ragioni

per cui si scrive un diario: per annotare dei fatti che si ritengono importanti;

per quell'istinto di economia che qualche volta suggerisce agli scrittori di

mettere a profitto anche le briciole della loro vita allo scopo di avere un

libro di più da pubblicare; per vanità e compiacimento di se stessi. Questo

diario è stato invece scritto per ricavarne più tardi un romanzo: cioè come

raccolta di materiale per servire a un romanzo da farsi».26

25A. MORAVIA, Gli Indifferenti, Milano, Bompiani, Euroclub Italia, III Edizione, 1988, p. 127

26 Alberto MORAVIA, L'Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 7

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L’Attenzione di Alberto Moravia

33

Come si può notare immediatamente, nel secondo brano è presente

un'aggettivazione semplice e consueta, con l'intento di spiegare quasi

didascalicamente. E ciò avviene anche nelle descrizioni presenti nel

romanzo, nelle quali si avverte il piacere di un'osservazione

implacabile, con una funzione di decorazione e di semplicità.

Moravia, in questo romanzo tende sempre di più ad un discorso sciolto

e facilmente traducibile, con inflessioni quasi didattiche in cui

introduce, specialmente nelle descrizioni, brevi passaggi dalla forte

concentrazione e tensione stilistica, con l'uso frequente delle locuzioni

discorsive, come “in altri termini” oppure “o meglio”, tipiche del

parlato.

Un altro elemento importante sono i modi e tempi verbali. Ne

L'Attenzione è abolito il passato remoto e viene quasi tutto raccontato

con il passato prossimo, il quale costituisce una via di mezzo tra il

passato remoto e l'indicativo presente utilizzato dal Nouveau Roman,

per sottolineare che chi scrive è completamente all'interno

dell'esperienza che racconta. L'utilizzo del passato prossimo da parte

di Moravia sta invece ad indicare una forte aderenza all'esperienza

raccontata, ma non al punto da rinunciare a distinguersi per dominarla.

Un altro elemento da sottolineare è che in molti casi Moravia adopera,

come prospettiva modale dell'autore, il condizionale, sottolineando, in

questo modo, la consapevolezza del carattere provvisorio delle

vicende e dei suoi commenti. Anche le due conclusioni, che vengono

presentate apparentemente all'indicativo, nascondono nella loro

ambiguità il condizionale. “Potrebbe essere così ma potrebbe anche

essere in un altro modo”, sembra infatti dire l'io narrante.

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L’Attenzione di Alberto Moravia

34

L'analisi linguistica de L'Attenzione dimostra nuovamente come

alcune definizioni nei riguardi di Moravia siano state avventate. Non

solo Moravia non ha scritto un solo romanzo, ma non ha neanche

scritto sempre nello stesso modo. A partire da La Noia e in maniera

ancora più significativa ne L'Attenzione, egli si distacca

definitivamente da ogni forma di tradizionalismo narrativo. Questo si

verifica non tanto sul piano esteriore della narrazione - ridotta ad un

dialogato invasivo senza didascalie, con una serie di domande e di

risposte, cioè allo scambio dialogico puro27 - ma, piuttosto, alla

semplificazione sintattica della frase nelle parti argomentative e

descrittive, attraverso un percorso cominciato col Disprezzo e

completato proprio con L'Attenzione. Confrontiamo, adesso, due passi

tratti dal prologo de La Noia e da quello de L'Attenzione:

«Finché mi dico che questo bicchiere è un recipiente di cristallo o di

metallo fabbricato per metterci un liquido e portarlo alle labbra senza che si

spanda, finché, cioè, sono in grado di rappresentarmi con convinzione il

bicchiere, mi sembrerà di avere con esso un rapporto qualsiasi, sufficiente a

farmi credere alla sua esistenza e, in linea subordinata, anche alla mia. Ma

fate che il bicchiere avvizzisca e perda la sua vitalità al modo che ho detto,

ossia che mi si palesi come qualche cosa di estraneo, col quale non ho alcun

rapporto, cioè, in una parola, mi appaia come un oggetto assurdo, e allora

da questa assurdità scaturirà la noia la quale, in fin dei conti, è giunto il

momento di dirlo, non è che incomunicabilità e incapacità di uscirne»28;

27 «Nella Noia scandivo nel dialogo l'azione stessa. Insomma mi accorsi che tutto era superfluo, tranne quel che i personaggi dicevano. E allora perché continuare a scrivere romanzi?», Enzo SICILIANO, Alberto Moravia: vita, parole e idee di un romanziere, Milano, Bompiani, 1982, p. 90

28 A. MORAVIA, La noia, Milano, Bompiani, XVII Edizione, 2008, p. 8

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L’Attenzione di Alberto Moravia

35

«Benché non fossi iscritto ad alcun partito, le mie idee politiche erano note,

e così non pochi furono coloro che mi giudicarono severamente e dissero

che, alla fine, mi ero comportato come tanti ambiziosi i quali, dopo essersi

messi in valore a sinistra, si vendono a destra».29

Come si nota, notevole è nel primo brano la coordinazione di due

proposizioni temporali durative, introdotte da “finché”, anticipate

rispetto alla sovraordinata a cui corrisponde un'analoga struttura nel

brano successivo, dove è anticipata una proposizione concessiva. Nei

due brani, tuttavia, la sintassi del periodo ha una struttura

profondamente diversa, con un'accentuazione ne La Noia del numero

delle proposizioni subordinate dello stesso rango sintattico. Dal

confronto, inoltre, emerge che la tendenza a ridurre ne L'Attenzione

l'importanza della subordinazione deriva dal diverso ruolo sintattico

delle due frasi relative. Nel primo caso, il valore appositivo-

aggiuntivo della proposizione («la noia... la quale... non è che

incomunicabilità e incapacità di uscirne») non è paragonabile con

quello restrittivo del secondo («tanti ambiziosi i quali... si vendono a

destra»), dove il rapporto consecutivo con l'antecedente nominale

(tanti ambiziosi) riduce l'autonomia sintattica della relativa e tiene più

coesa la parte finale del periodo. Il testo, come tutti quelli di Moravia,

rivela dunque «una inaspettata cura della resa formale da parte di un autore

troppo spesso giudicato sul parametro di formule critiche poco

pregnanti»30, il che ha indubbie conseguenze critico-interpretative non

riferibili esclusivamente ad analisi di tipo linguistico e formale. A tale

29 A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 8 30 R. TESI, La lingua invisibile. Appunti in margine a uno studio sugli aspetti linguistico-stilistici della narrativa di Alberto Moravia, “Studi e problemi di critica testuale”, LXXIV (2007), p. 213-232

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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proposito concludiamo questo paragrafo con una citazione dello stesso

Moravia, per il quale:

«Dal punto di vista della durata, si direbbe che abbiano più probabilità di

essere letti in futuro i romanzieri che lasciano parlare le cose di quelli che

vogliono prima di tutto essere scrittori e stilisti [nel senso di 'soggettivisti',

'espressionisti']; e questo per la buona ragione che lo stile di uno scrittore,

ancor più della personalità, sovente rispecchia il gusto o la moda dell'epoca,

che sono cose periture».31

2.5 I temi

I livelli di lettura de L'Attenzione sono numerosi e, per questo, le

tematiche affrontate sono diverse. In questo studio cercheremo di

analizzarne le principali e, in particolare, il tema dell'alienazione e

dell'inautenticità della realtà, della fine del populismo e dell'incesto

collegato al mito di Edipo.

L'alienazione è fondamentale nell'opera di Moravia ed è uno dei

principali della letteratura e della vita contemporanea. Per meglio

comprendere cosa Moravia intendesse per alienazione è utile riferirsi

al testo che meglio espone le sue idee da un punto di vista non soltanto

letterario ma anche ideologico e politico, il già citato L'uomo come

fine e altri saggi, in cui sono presenti molte delle tematiche

rappresentate narrativamente ne L'Attenzione. Qui Moravia scrive:

«C'è alienazione ogni volta che l'uomo è adoperato come mezzo per

raggiungere un fine che non è l'uomo stesso, bensì qualche feticcio che può

31 A. MORAVIA, L'uomo come fine e altri saggi, op. cit., I Edizione, 1964, p. 293

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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essere via via il denaro, il successo, il potere, l'efficienza, la produttività e

via dicendo. […] L'alienazione grazie al neocapitalismo s'è estesa su tutta la

faccia della terra, fino ad investire zone remote che aveva sinora

risparmiato. […] Ce ne rendiamo conto attraverso i frutti dell'albero, ossia

attraverso la bruttezza, stupidità, volgarità, ignobilità, disumanità e

insomma irrealtà delle cose e degli uomini intorno a noi... Insomma il

termine alienazione viene adoperato oggi così frequentemente perché la

cosa che il termine designa esiste in maniera massiccia... Stando così le

cose (cioè essendo l'alienazione ossia la crisi del rapporto con la realtà il

fenomeno fondamentale del mondo moderno), non è affatto sorprendente

che gli scrittori se ne occupino sia parlandone direttamente nei saggi, sia

cercando di rappresentarlo nelle opere di narrativa... Oggi c'è la tetra,

squallida, mentecatta alienazione e noi siamo tenuti a parlarne finché ci

sarà, ossia finché non saremo riusciti a oggettivarla completamente, cioè a

liberarcene».32

Dalla citazione è evidente come Moravia tenda a far sì che l'uomo non

sia più un mezzo, ma torni ad essere un fine. È, in altre parole, un

umanista, avendo ben chiaro cosa l'uomo dovrebbe essere e cosa è

invece nella realtà o, per meglio dire, irrealtà del mondo moderno che

utilizza tutti i mezzi a sua disposizione (la religione, il lavoro, le

convenzioni sociali, la cultura) per convincerlo del contrario. Spesso

l'uomo si lascia anche convincere «Ma basta», continua Moravia, «che

sopravvenga una crisi decisiva, e l'uomo spezzi il ritmo serrato delle sue

distrazioni e si dia la pena di riflettere seriamente e allora si accorge

facilmente che il lavoro è servitù, che onori, compensi e incoraggiamenti

sono inganni, illusioni e sonniferi, che la cultura è lusinga per sedurlo,

32 A. MORAVIA, L'uomo come fine e altri saggi, op. cit., 1964, p. 380

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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fracasso per non farlo pensare, propaganda per convincerlo, e la religione

un chiodo per tenerlo ben fermo sulla croce».33

Tale stato d'animo, da molti interpretato come un semplice male di

vivere, di natura quasi decadente, è invece per Moravia la premessa

necessaria per la realizzazione di un mondo diverso e per la rinascita

dell'uomo. Uno dei mali principali del mondo moderno, che è alla

base del romanzo, è la preminenza dell'azione sulla contemplazione

che qui precisa in maniera più chiara:

«Nell'impossibilità di agire secondo un fine, ossia di agire per essere uomo,

egli accetta di agire comunque, pur di agire... L'uomo d'azione è un

disperato che cerca di riempire il vuoto di questa sua disperazione con degli

atti legati meccanicamente gli uni agli altri... L'azione fine a se stessa ha un

effetto profondamente disgregante sull'animo umano. Essa sostituisce il

meccanismo alla natura e rompe ogni reale rapporto tra l'uomo che opera e

la materia sulla quale opera... L'azione per l'azione è il trionfo del tecnico,

dello specializzato, dell'uomo-mezzo insomma. […] La contemplazione nel

mondo moderno non significherà obbligatoriamente ascesi e misticisimo.

La contemplazione nel mondo moderno significherà invece puramente e

semplicemente spostare l'energia umana da un piano all'altro. […] Soltanto

in un mondo fatto secondo la sua misura l'uomo potrà ritrovare, attraverso

la contemplazione, un'idea adeguata di se stesso e riproporre se stesso come

fine e cessare di essere mezzo».34

La contemplazione-attenzione, per Moravia, non è dunque rinuncia,

non vuol dire isolarsi in un mondo a parte e non ha nulla a che vedere

con la fuga da una realtà che non piace e che si vorrebbe abolire. Al

33 A. MORAVIA, L'uomo come fine e altri saggi, op. cit., 1964, p. 401 34

A. MORAVIA, L'uomo come fine e altri saggi, op. cit., 1964, p. 241

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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contrario, è attentissima ed incalzante, non rifiuta né esclude, ma è il

luogo in cui le cose trovano una verità.

Dopo questa necessaria premessa per meglio comprendere quale sia

stato l'ideale moraviano dell'uomo e cosa egli intendesse per

alienazione, entriamo nel merito di come tali questioni siano state

affrontate ne L'Attenzione.

Come abbiamo visto nell'analisi dell'intreccio, il romanzo è inaugurato

dalla constatazione della fine del mito illusorio del popolo (o, sarebbe

meglio dire, del populismo), identificato in Cora, sua moglie.

Moravia, qui, sancisce il definitivo crollo di questo mito che, nelle

opere precedenti, aveva cercato di contrapporre al falso e chiuso

mondo borghese. Immediatamente egli paragona tale illusione a quella

nei confronti del mondo in generale, dimostrando come l'analisi di

Moravia trascenda dalla vita soggettiva di Francesco Merighi, ma

comprenda tutta la realtà e la storia, che si dimostreranno inautentiche.

Senza dubbio il protagonista aveva inteso in maniera errata il vero

significato di “popolo”, con un tipico sfasamento di giudizio per il

quale al “borghese onesto” (quale è senza dubbio Moravia stesso)

sembra che il popolo possa essere autentico solo perché povero, e

dunque immune dalla corruzione del denaro e del potere. Sembra

perciò che venga ribadita la consueta tesi moraviana: il denaro

corrompe e porta alienazione da se stessi e dagli altri, ed è uno dei

fattori principali dell'alienazione della borghesia mentre, al contrario,

la mancanza di denaro consente al popolo di rimanere autentico. In

questo romanzo, in realtà, si assiste però ad un superamento radicale

di queste tesi, sia dell'ideologia del denaro come elemento corruttore e

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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sia del mito dell'autenticità del popolo, «[...]un cimitero di idee false via

via adoperate e poi abbandonate; un magazzino di camuffamenti del quale,

neppure una volta sola, il volto della realtà si era spogliato».35

A questo inautentico rapporto fra l'uomo e la realtà si collega, inoltre,

quello fra l'intellettuale e la sua materia, un'altra delle tematiche più

importanti di questo romanzo. Il tema rimanda al dibattito, in corso in

quegli anni, sulla cosiddetta “crisi del romanzo”, che sarebbe coincisa

con la crisi del protagonista-attore. Moravia intervenne ripetutamente

su tale questione. Riportiamo, perché estremamente significativo,

l'ultimo suo intervento prima dell'uscita de L'Attenzione, apparso su

Paese Sera nel marzo del 1965, partecipando ad una tavola rotonda

sul tema «Requiem per il romanzo?»:

«Credo che si debba riconoscere che la nostra vita sociale è piena di

cadaveri, di rifiuti, di detriti secolari, che è possibile recuperare in quanto

tali. Noi viviamo in mezzo a delle cose morte che ci sembrano vive, ma in

realtà sono morte. Che siano morte diviene evidente quando si viene a

toccarle con una pietra di paragone come il romanzo, capace di svelarne

tutta la sua inautenticità. La vita sociale è un tessuto di cose inautentiche».36

Il messaggio fondamentale che emerge da questo romanzo (già

presente, come abbiamo visto, ne L'uomo come fine e altri saggi) è

che inautentica è l'azione e tutta la realtà e, conseguentemente, anche

la letteratura, in quanto rispecchiamento di questa realtà.

35

A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 16 36

A. MORAVIA, Requiem per il romanzo?, “Paese Sera”, 26 marzo 1965

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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«[...] E non si poteva agire che in maniera inautentica, come probabilmente

non si potevano scrivere che dei romanzi inautentici, dal momento che un

romanzo senza azione non era un romanzo».37

La realtà è talmente inautentica che, ad un certo punto, l'io narrante

comprende come alcune delle sue immaginazioni fossero destinate a

nascondere la realtà, mentre altre sottolineavano proprio il senso della

realtà, mettendone il luce gli aspetti meno evidenti.

«L'uomo comune non ha che i sogni, sia quelli che fa dormendo che quelli

che fa ad occhi aperti; ma il romanziere, oltre ai sogni, ha le invenzioni dei

suoi romanzi. Come i sogni, queste invenzioni non sono quello che

sembrano; e significano altro da quello che pretendono di significare».38

La decisione di Francesco di rinunciare all'azione e dedicarsi alla sola

contemplazione (nel senso moraviano) è la sua conquista come uomo

e come letterato; una posizione simile a quella che assume il Dino de

La noia dopo il tentato suicidio. In questo caso tale scelta risulta

essere meno miracolistica e più consapevole, preparata attraverso

l'attenta ed impietosa analisi che il personaggio aveva condotto sulle

pagine del romanzo-diario su se stesso e sul mondo. Ciò che scaturisce

è, perciò, ancora una volta, una condanna nei confronti della società

moderna e degli uomini, da cui trapela anche una speranza nella

rinascita dell'uomo proprio grazie alla contemplazione, intesa come

nuova forma di saggezza. Moravia fa intendere che solo in questo

modo l'uomo riuscirà a sottrarsi a quella che sembra ormai una sua

condizione perenne: l'essere un mezzo, una cosa, una macchina, in una 37

A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 245 38

A. MORAVIA, L’Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 275

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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società e in un mondo che stava diventando sempre più meccanizzato,

tecnologico e disumano. Un messaggio che dimostra, ancora una

volta, l'attualità di Moravia.

Un altro elemento tematico importante scaturisce dalla divisione, fatta

da Francesco, di sogni di primo, secondo e terzo grado, per cercare di

cogliere la differenza tra immaginazione e realtà. Questa divisione

viene però capovolta, e il protagonista capisce che i suoi sogni

potevano essere considerati realtà di primo, secondo, e terzo grado.

Egli, cioè, ritiene che se è vero che le cose sognate non sono reali,

almeno nel modo normale di intendere le cose, il fatto di sognare

invece lo è, e questi sogni, o verità di secondo grado, gli sembrano

ugualmente utili per comprendere se stesso.

Una realtà di secondo grado è, ad esempio, l'incontro immaginato con

il nonno di Baba, che nel diario viene rappresentato come un alienato

che non riconosce nessuno, neanche se stesso, mentre in realtà è

semplicemente ubriaco. Se venisse accettata la verità del diario, si

potrebbe arrivare a dire che il nonno non riconosce nessuno per la

vergogna di vivere del denaro di Cora, guadagnato grazie allo

sfruttamento della prostituzione: sarebbe quindi il denaro la vera causa

della sua alienazione. La scena del diario, dunque, è sì una bugia, ma è

anche una realtà di secondo grado, non meno vera della prima.

Molto più difficile da afferrare è certamente la verità di una realtà di

terzo grado, come l'interpretazione del mito di Edipo (che è un altro

dei temi fondamentali di questo romanzo) che Francesco mette in

relazione con la sua tentazione all'incesto. Tebe, corrotta dalla peste,

rappresenta la sua famiglia e lui, novello Edipo, dopo avere

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L’Attenzione di Alberto Moravia

43

interrogato numerosi testimoni per sapere quale sia la causa, scopre il

colpevole nella propria persona. Come Edipo, anche Francesco

Merighi era stato disattento, e il passaggio all'attenzione segnerebbe il

passaggio verso una nuova consapevolezza grazie ad una rivelazione.

Trasformato in personaggio di romanzo, ridotto cioè nel contesto del

quotidiano, Edipo perde la sua natura tragica e, così come Francesco,

diventa colpevole d'incoscienza, di codardia, di basso calcolo, di

disattenzione. Grazie alla rilettura di quel mito, che diventa così una

realtà di terzo grado, egli si rende conto che la colpa del mestiere di

Cora e del tentativo di corruzione di Baba è attribuibile solo a lui, alla

sua disattenzione. In tal modo il diario dimostra che non vi sono limiti

al realismo, che niente può mai essere escluso dalla realtà, non i sogni,

non le bugie, e neppure i miti.

Come in tutti i romanzi moraviani, anche ne L'Attenzione un ruolo

predominante lo assume infine il sesso. Ci si può e ci si deve però

chiedere che ruolo potrà mai avere in un mondo dominato

dall'inautenticità. La spiegazione deriva probabilmente dal fatto che,

per Moravia, anche l'inautentico ha diversi piani, e il sesso occupa

certamente il primo, rappresentando la faccia quasi reale con cui si

presenta l'irrealtà, il suo maggiore sforzo per apparire reale. Così,

anche in questo romanzo, molte delle persone che Moravia descrive

(Cora su tutte), raggiungono soltanto nel sesso una parvenza di

autenticità con se stesse. Domande analoghe si possono porre anche a

proposito del concetto di corruzione, che non è altro se non

l'inautenticità vista dall'angolo di visuale moraviano. È la normalità, il

tran-tran quotidiano senza significato e senza alcuna importanza. Una

corruzione “normale”, che si manifesta soprattutto nel sesso, a cui

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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Moravia non vi si contrappone moralisticamente, perché immorale o

illecita, ma perché insensata, insignificante e, appunto, inautentica.

2.6 Un filo di continuità con gli altri romanzi: la figura

dell’intellettuale

In quest'ultimo paragrafo cercheremo di effettuare una comparazione

tra le varie opere di Moravia, fino a L'Attenzione, attraverso l'utilizzo

di una figura topica e fondamentale di tutta l'opera moraviana, quella

dell'intellettuale. Una figura che, come vedremo, sarà presente sin da

Gli Indifferenti e non introdotta certo da La Noia, come ha scritto in

un recente intervento Giorgio Pullini, per il quale

«[...] Ma con La Noia del 1960 Moravia esaurisce la sua vena realistica, che

tanti spunti e felici soluzioni aveva offerto[...] e introduce la funzione

dell'intellettuale come cardine del racconto, spia critica del modo di

guardare alla realtà, specchio degli scompensi fra aspirazioni e

realizzazioni, misura di una alienazione montante dell'artista e dell'uomo di

pensiero da una condizione sociale sempre più meccanizzata dal denaro e

dal progresso scientifico e dalla produzione industriale».39

In realtà, come abbiamo anticipato, questo modo di guardare alla

realtà è presente già dal suo esordio narrativo e guiderà tutta la sua

vita letteraria.

È necessario, innanzitutto, definire cosa Moravia intendesse per

intellettuale:

39 G. PULLINI, Un personaggio scomodo come una coscienza critica, in Alberto Moravia: Il narratore e i suoi testi, a cura di F. Longobardi, W. Mauro, G. Pullini, M. Ricciardi, Roma, La nuova Italia scientifica, 1987, p. 19

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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«[...] Un amministratore del pensiero, e anche un dispensatore di pensieri.

Ciò che una volta si chiamava philosophe. Nell'ancien regime, il philosophe

era qualcuno che distillava le sue teorie in privato. Con la rivoluzione

francese è venuto fuori l'intellettuale che analizza e magari organizza la

realtà. […] La massa si aspetta dall'intellettuale ciò che una volta si

aspettava dal prete: una verità, una direttiva, una consolazione».40

Entrando nel merito dell'importanza dell'intellettuale all'interno della

sua produzione artistica, sarà sempre Moravia a chiarirlo:

«[...] Ad una visione panoramica, appare subito che i miei romanzi e

racconti potrebbero essere divisi in due grandi categorie: quelli in cui il

protagonista è un popolano e quelli in cui è invece un intellettuale».41

Inoltre, c'è da dire come anche nei romanzi del periodo neorealistico,

in cui il protagonista è un popolano, la figura dell'intellettuale è

sempre presente, ricalcando sempre la perenne figura del Michele de

Gli Indifferenti. Egli sarà sempre alla ricerca della sincerità, quella

forza che permette di vedere la realtà per quella che è, e che Moravia

definisce «speranza», «ragione totalizzante», oppure più

semplicemente «ragione». Per Moravia l'intellettuale, il philosophe, è

quello che maggiormente incarna la sua idea di verità, che non varierà

mai sostanzialmente nel corso di tutta la sua attività artistica e

culturale:

«[...] La posizione dell'intellettuale più o meno è sempre la stessa. È la

società che cambia. L'intellettuale è un testimone della verità, perciò non

40

N. AJELLO, Intervista sullo scrittore scomodo, op. cit., Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 69-72

41 A. MORAVIA, Breve autobiografia letteraria, in Opere, 1927-1947, op. cit., p. XIX-XX

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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cambia secondo i tempi. Se noi leggiamo Diderot, oppure leggiamo Marx,

scopriamo che l'immagine dell'intellettuale è sempre la stessa».42

Inizieremo ad analizzare i vari romanzi di Moravia fino a

L'Attenzione, avendo sempre come punto di riferimento le figure che

possono essere lette come intellettuali philosophes.

I primi che esamineremo sono: Michele de Gli Indifferenti, Agostino

del romanzo omonimo, Giacomo de La Romana, Luca de La

disobbedienza e Marcello della prima parte de Il conformista.

Tutti questi personaggi, che Tommaso Soldini ha definito

«intellettuali in formazione»43 si caratterizzano, in particolare, nel

rapporto con gli altri personaggi, soprattutto con la donna e con

l'antagonista, che divengono simboli di quella verità borghese contro

cui gli intellettuali si rivoltano, ma verso cui al tempo stesso provano

un'attrazione.

Tutti i protagonisti intellettuali di questi romanzi incontrano anche un

personaggio che fa loro intravedere la sincerità a cui tendono: per

Michele la prostituta, per Agostino Sandro, per Giacomo Adriana, per

Luca l'infermiera, per Marcello prima una prostituta e poi Lina.

Una ulteriore indicazione è data anche dalla comparazione delle

situazioni iniziali e finali dei romanzi in cui Michele, Agostino,

42 L. GERVASUTTI, I fantasmi di Moravia: gli intellettuali tra romanzo e realtà, Udine, Aviani Editore, 1993, p. 23

43 T. SOLDINI, Alberto Moravia e la figura dell'intellettuale da Gli Indifferenti a La Ciociara, “Versants”, n°49 (2005), p. 75-115

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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Giacomo, Luca e Marcello, da borghesi inconsapevoli, acquisiscono la

consapevolezza del vuoto morale del mondo borghese a cui sono

destinati, che farà nascere in loro il primo germe della rivolta. Questo

primo fondamentale indizio della loro natura intellettuale li

costringerà a mettere in discussione tutte le certezze precedenti e il

loro rapporto con la realtà (primo germe di quel sentimento nei

confronti dell'inautenticità del mondo che ne L’Attenzione

raggiungerà, come abbiamo visto, il suo apice più importante). In

questi romanzi i loro fallimenti avvengono perché, in definitiva, essi

non riescono a liberarsi mai definitivamente dei valori e della morale

borghese che sopravvive in loro (come probabilmente nello stesso

Moravia) e che si contrappone a quella meta religiosa e totalizzante a

cui aspirano. La pistola di Michele, dunque, è scarica non per

distrazione, ma perché egli non vuole uccidere veramente Leo. Luca,

al contrario, tenta la strada della contemplazione, così come farà

Francesco Merighi, scegliendo una ribellione che si concretizza

soltanto quando l'intellettuale sceglie la via della contemplazione e

della ricerca interiore.

Questi primi spunti di una nuova visione dell'intellettuale da parte di

Moravia saranno maggiormente sviluppati nella formazione di

personaggi come Riccardo Molteni de Il Disprezzo e Silvio Baldeschi

de L'Amore coniugale, la cui novità è duplice: entrambi sposati ed

entrambi aspiranti artisti, identificano la ricerca della sincerità (quella

che in seguito Francesco Merighi chiamerà «autenticità») nel rapporto

uomo-donna e nell'espressione creativa. L'arte viene così a sostituire

la dimensione sociale presente nei precedenti romanzi, poi ripresa

durante il periodo neorealista con La Romana e La Ciociara.

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L’Attenzione di Alberto Moravia

48

Anche questi personaggi moraviani, però, si caratterizzano in

confronto ad altre figure, l'antagonista in particolare. Per Silvio è il

barbiere che importuna la moglie, ma che lui, per mero opportunismo,

non licenzia, portando Leda tra le sue braccia. Per Riccardo, invece, è

il produttore cinematografico che corteggia Emilia, ma che lui non

affronta scatenando un odio nei suoi confronti da parte della moglie

(che si manifesterà con una smorfia molto simile a quella di Leda). Su

un piano più intellettuale Riccardo ha un altro antagonista, Rheingold,

il celebre regista deciso a difendere le proprie idee per il film tratto da

L’Odissea (Jean Luc Godard, nel 1963, con Le mépris porterà sullo

schermo il romanzo di Moravia facendo interpretare Rheingold a Fritz

Lang, come lui regista della Germania pre-nazista e come lui scappato

negli Stati Uniti).

In questo episodio già si iniziano a rilevare i primi significativi

rapporti con L'Attenzione. Nello scontro tra Riccardo e Rheingol su

cosa sia l'arte, notevoli sono infatti le somiglianze con quello tra

Francesco Merighi e il suo amico e nuovo direttore Consolo, in

relazione alla letteratura e alla scrittura giornalistica.

«[...] Ecco il letterato che parla, perché io ti conosco, Francesco, e so che tu

sei o meglio vuoi essere prima di tutto letterato e poi giornalista. Ma la

letteratura, scusami, ha fatto il suo tempo. È artigianato, come sono gli

articoli, appunto letterari, di tanti tuoi colleghi. Viviamo in epoca

industriale e i tuoi articoli, grazie a Dio, sono dei buoni, degli ottimi

prodotti industriali».44

44 A. MORAVIA, L'Attenzione, op. cit., Milano, Bompiani, X Edizione, 2008, p. 231

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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Un altro elemento che avvicina fortemente Il disprezzo e L'Amore

coniugale a L'Attenzione è il rapporto che i protagonisti hanno con la

realtà e l'idea di aver raggiunto l'autenticità tramite il matrimonio con

due donne che ritengono possedere naturalezza e istintività. La

disillusione avverrà a fine romanzo, proprio nel punto dove comincia

L'Attenzione. Anche per Silvio e Riccardo, inoltre, il loro bisogno

d'arte è la possibilità di raggiungere quella sincerità-autenticità che il

mondo esterno ha negato, senza il quale un intellettuale non può

vivere.

I due romanzi in cui la presenza dell'intellettuale come protagonista è

più centrale saranno La Noia e, appunto, L'Attenzione: in entrambi

l'azione, il dramma, sono l'effetto di una paralisi della coscienza, sono

“disattenzione”. Moravia, ne La Noia, esaminerà – dopo il disprezzo,

il conformismo, la disubbidienza – un altro stato d'animo caratteristico

della borghesia. Anche in questo caso, così come ne Gli Indifferenti, la

noia di Moravia ha poco a che fare con l'apatia comunemente intesa:

«Per molti la noia è il contrario del divertimento; e il divertimento è

distrazione, dimenticanza» - precisa Dino - «Per me, invece, la noia non è

il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi

aspetti essa assomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca

distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia,

per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o

scarsità della realtà».45

45 A. MORAVIA, La Noia, op. cit., Milano, Bompiani, XVII Edizione, 2008, p. 7

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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In questo caso, Moravia ricorre alla figura di un intellettuale in crisi

per simboleggiare la crisi di tutta la società. Il motivo di fondo di

questo romanzo è la sua incapacità ad instaurare un rapporto con la

realtà, la sua incapacità a realizzarsi come pittore e come uomo. La

consapevolezza della propria crisi diventa più acuta quando Dino si

rende conto dell'impossibilità a ricorrere all'espressione artistica per

ristabilire un rapporto con la realtà, alla società borghese rappresentata

dalla madre. Ancora una volta è, dunque, una donna a rappresentare la

società borghese contro cui si contrappongono gli intellettuali. In un

primo momento Dino individua nella sua condizione di ricco borghese

l'origine della suo malessere esistenziale, lascia così la villa della

madre e va a vivere da solo in un piccolo appartamento per dipingere.

In questo abbandono può intravedersi una comparazione con i viaggi

di Francesco Merighi, una volta compresa l'inautenticità del suo

matrimonio e della sua vita con Cora.

Fondamentale sarà ne La Noia l'apparizione di Cecilia, che così come

la madre, rappresenta la realtà a cui Dino inconsapevolmente si

contrappone: una Baba senza coscienza, come abbiamo scritto

precedentemente. Dino, però, non cerca in nessun modo di stabilire un

rapporto che vada oltre quello sessuale, e solo quando Cecilia lo

tradisce riesce a comprendere che la noia che continua a tormentarlo

dipende dalla vacuità della loro relazione. Egli inizia ad intuire, più

dei precedenti personaggi moraviani, che essere intellettuali all'interno

della società neocapitalistica richiede una svalutazione della realtà da

un punto di vista morale ed intellettuale. Il protagonista però si

dimostra inconsciamente attaccato a quei valori borghesi che dice di

rifiutare, pensando di possedere Cecilia attraverso il denaro. Solo

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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dopo il tentato suicidio comprenderà come l'obiettivo a cui deve

tendere un intellettuale non è l'azione ma la contemplazione.

Si sviluppa perciò il problema, iniziato con Il Disprezzo, del rapporto

tra intellettuali e l'azione, da superare a favore della contemplazione

perché la realtà appaia nella sua vera essenza.

Quest'analisi sul ruolo dell'intellettuale nella narrativa moraviana

raggiungerà, come abbiamo visto, il suo apice con L'Attenzione che è

una vera e propria continuazione de La Noia, in cui Moravia prosegue

l'indagine sui rapporti tra l'intellettuale e la realtà, la cui crisi viene

trasferita sul piano degli strumenti espressivi che, per un artista, sono

l'unico reale rapporto cosciente con la realtà.

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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III. CONCLUSIONI

In questa tesi ho voluto dimostrare come, contrariamente a quanto

affermato da alcuni critici, L'Attenzione non è stata una mera

operazione intellettualistica ad imitazione delle mode della

Neoavanguardia. Al contrario, è stato l'approdo di un percorso iniziato

nel 1929 con Gli Indifferenti (e che sarebbe poi continuato) in cui

Moravia riprenderà e riformulerà i temi a lui cari.

Così, dopo una necessaria introduzione alle opere ed al pensiero di

Alberto Moravia ho analizzato il testo dal punto di vista dell'intreccio

e dei personaggi, mettendo subito in evidenza l'elemento centrale

dell'opera, ovvero il rapporto del protagonista con la realtà ed il

romanzo come vero e reale protagonista della vicenda.

In seguito, nei paragrafi dedicati al tempo, allo spazio e alla lingua del

romanzo, ho analizzato gli elementi innovativi e quelli che si

conservano rispetto all'opera complessiva dello scrittore. Pur

analizzando in questa sezione gli elementi esclusivamente formali, si

può notare come anch'essi riflettano l'ideologia di Moravia. Tali

elementi, che mai sono banali né tantomeno casuali, riflettono una

poetica, un pensiero, una visione sulla vita e sul mondo, riflettendosi

su un piano puramente tematico. Un esempio tipico di tale

procedimento di Moravia, presente in tutta la sua opera e in particolar

modo proprio ne L'Attenzione, è l'utilizzo del passato prossimo, con

cui l'autore riesce ad immedesimarsi nella vicenda ma, al tempo

stesso, senza rifarsi totalmente al modo espressivo del Nouveau

Roman.

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Proprio per questa forte impronta tematica presente anche negli

elementi formali, la parte centrale della tesi è costituita dai paragrafi

dedicati alle tematiche de L'Attenzione e ai rapporti con gli altri

romanzi precedenti, in base al personaggio che Moravia considerava

come l'unico positivo fuoriuscito dalla borghesia, l'intellettuale.

Nella sezione dedicata alle tematiche si può notare come esse

ricalchino, senza mai essere uguali a se stesse, quelle della narrativa

meglio riuscita di Moravia: l'alienazione vitale, il rapporto con la

realtà, la sua inautenticità, l'importante ruolo della donna come

contraltare al protagonista e il fallimento dell'intellettuale all'interno di

una società che ha le sue fondamenta nel denaro e nel potere, a cui

aggiungerà una forte critica nei confronti del populismo e del

neorealismo, che pure aveva entusiasmato il Moravia de La Romana e

de La Ciociara, ma del quale rileva un'inautenticità simile a quella

della borghesia.

Tali elementi verranno riscontrati, in particolare, nell'ultimo paragrafo

in cui gli elementi tematici de L'Attenzione vengono rapportati ad una

serie di precedenti romanzi moraviani, da Gli Indifferenti a La Noia.

Grazie a questa comparazione è possibile rendersi conto di come

L'Attenzione, pur nella diversa veste formale del metaromanzo, abbia

proseguito il discorso di Moravia e la sua visione critica di un mondo

che vede l'uomo non più come fine ma come mezzo. Una linea ideale

che inizia con la perdita dell'innocenza da parte dell'intellettuale per

proseguire con la messa in dubbio dei valori borghesi, e concludersi

con la fine delle illusioni nei confronti dell'autenticità del popolo,

trovando nella contemplazione l'unico mezzo per potersi esprimere.

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Una contemplazione non mistica o ascetica che isoli dal resto della

comunità e del mondo ma che abbia come unico fine quello di

ricercare la verità.

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L’Attenzione di Alberto Moravia

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