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Editoriale GIORNALE STUDENTESCO UNIVERSITARIO INDIPENDENTE L’ arte è il linguaggio dell’anima, l’e- spressione del proprio io e talvolta della propria storia, raccontata e ma- nifestata attraverso molteplici attività, tal- volta bizzarre, ma spesso affascinanti e ric- che di un significato profondo e di libera in- terpretazione. Nonostante il termine abbia assunto oggi una vastità di significati tale da sconfinare quasi nel vago, questa potreb- be essere una definizione universale del concetto di arte, oggi non facilmente deli- neabile. Molti, quando si parla di arte, tendono a mettere in relazione quest’ultima con quel- la classica dei grandi pittori e scultori, le cui opere maestose e geniali sono e rimangono incondizionatamente ammirate nel tempo, ma che sono solo una facciata (seppur gran- diosa) della realtà artistica. Il mondo del- l’arte oggi è infatti caratterizzato da un’in- finità di giovani artisti di ogni genere, ricchi di ge- nio e creatività, i quali vo- gliono trasmettere al pros- simo idee e ideali, pensie- ri e opinioni, sogni e desi- deri, nei modi più dispa- rati e insoliti, ma con tanta passione in comune. Ep- pure spesso vengono igno- rati perché ritenuti super- ficiali e non profondi come in realtà sono. Alcuni si saranno sicura- mente domandati se sono molti i giovani che oggi si dedicano ad attività arti- stiche e soprattutto se que- st’ultime possano essere considerate al- trettanto maestose quali la pittura e la scul- tura di un tempo. La risposta la si trova par- lando con quei giovani artisti, perché così facendo si scopre che molti hanno fanta- sia, genio e capacità di espressione artisti- ca più ampie di quanto si possa pensare. Vi sono giovani che si dedicano ancora oggi alla pittura o alla scultura, altri che espri- mono il loro io attraverso la musica, molti attraverso la fotografia e altri ancora ester- nando temi della vita con graffiti sui muri delle città, suscitando talvolta un diffuso dissenso. Queste nuove forme di espressione artisti- ca (che sono un vero e proprio linguaggio) non sempre trovano il loro spazio e il giu- sto apprezzamento, non perché manchino di qualità, ma perché, quando le si incon- trano, occorre scoprirle e interpretarle, in- vece di limitarsi a stigmatizzarle in quanto frutto dei giovani. Le nuove forme di espressione artistica non sempre trovano il loro spazio. Occorre sco- prirle e interpre- tarle senza stig- matizzarle u Lorenzo Puglisi www.luniverso.com, [email protected], [email protected] – anno VIII – n. 4 – Mercoledì 20 aprile 2011 Italia Una radio per tutti gli atenei u Quando le nuove tecnologie ab- bracciano la volontà di condividere e di essere informati, nel segno del- la comunicazione bottom up, na- sce una Radio 2.0, interattiva e di- namica, giovane e attuale. In particolare, la piattaforma online Spreaker, la quale permette a chiun- que di creare e condividere con- tenuti audio sul web, e Ustation, il primo network dei media d’ateneo italiano e aggregatore di informa- zioni di carattere universitario, han- no annunciato di recente la loro collaborazione. Una partnership preziosa che ren- de le radio universitarie e i singoli producer sempre più protagonisti degli atenei di tutta Italia. «La Radio è il motore comune, il web il punto di incontro grazie al quale Spreaker e Ustation si impe- gnano nella reciproca diffusione dei contenuti delle radio sul web – spiega Gianluca Reale, ceo di Umedia srl, la società che ha dato vita a Ustation.it; «a rendere unica questa nuova collaborazione la complementarietà delle due piat- taforme che insieme offrono tec- nologia e contenuti di qualità dan- do spazio all'informazione e al- l'infotainment user generated». Grazie a questo progetto di Radio 2.0, gli studenti e chiunque ap- partenga al mondo universitario, avranno la possibilità di racconta- re a voce e condividere in rete le esperienze quotidiane vissute al- l’interno del campus. Un’ottima oc- casione anche per approfondire argomenti e tematiche, spunti di ri- flessione e di denuncia, insieme al- la condivisione di interessi comu- ni. Infatti, lo scopo di questo pro- getto «è la diffusione della cultura della radio 2.0 all'interno di quel- li che per definizione sono circuiti creativi ed innovativi: le università», commenta Francesco Banchieri di Spreaker srl. «Al centro dell'atten- zione la voglia di comunicazione e di espressione dei giovani univer- sitari che ritrovano nello strumento radiofonico un antico fascino rivi- sitato in chiave moderna. Inoltre, su entrambi i portali sopra citati, sarà possibile interagire con la comunità virtuale, proporre con- tenuti, partecipare agli eventi ed essere sempre aggiornati sulle ini- ziative promosse dalle varie sta- zioni radiofoniche universitarie di- slocate sul territorio. Questa iniziativa, che può interes- sare anche gli studenti elvetici, può essere spunto per dare il via a pro- getti simili anche sul nostro territorio. Di fatto, nel resto della Svizzera, molte università sono già organiz- zate in questo senso e sarebbe bel- lo poter stabilire un contatto, an- che se solo 2.0. t Per ulteriori informazioni: www.spreaker.com e www.ustation.it. Il team di Spreaker e Ustation. pagina 2 u Un giorno al Teatro Dimitri u Chiacchierata con i poeti Pu- sterla e Alborghetti sullo sta- to della poesia pagina 3 u Arte Urbana: la città come spazio di espressione u Ritratto di quattro giovani artisti ticinesi pagina 4 u Un’incursione nel mondo ar- tistico di Marcello Chiarenza pagina 6 u Politica con i giovani e non politica per i giovani pagina 7 u Uno skatepark per ricordare Vanja: intervista all’associa- zione nata in sua memoria pagina 8 u What’s up? Un concorso musicale per combattere la violenza L’arte giovane va promossa Diamo vita alla città A pagina 3 COMPLEMENTI SU www.luniverso.com Mancano solo due mesi alla fine dell’anno accademico: restano quindi ancora due oc- casioni per partecipare al Club del libro! In- viate la vostra recensione all’indirizzo e-mail [email protected] e potrete vincere così un buono dal valore di 20.– CHF per i vo- stri prossimi acquisti in libreria. La recensione non dovrà superare le 2.000- 2.500 battute spazi inclusi. Riportate anche titolo, autore, editore e numero di pagine. Non dimenticate di specificare nel e-mail il vostro nome, cognome, indirizzo e l’univer- sità che frequentate. La prtecipazione è gratuita e aperta agli stu- denti universitari di tutta la Svizzera. Buona lettura ;-) u A pagina 6 la recensione vincitrice di questo mese

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Editoriale

G I O R N A L E S T U D E N T E S C O U N I V E R S I T A R I O I N D I P E N D E N T E

L’arte è il linguaggio dell’anima, l’e-spressione del proprio io e talvoltadella propria storia, raccontata e ma-

nifestata attraverso molteplici attività, tal-volta bizzarre, ma spesso affascinanti e ric-che di un significato profondo e di libera in-terpretazione. Nonostante il termine abbiaassunto oggi una vastità di significati tale dasconfinare quasi nel vago, questa potreb-be essere una definizione universale delconcetto di arte, oggi non facilmente deli-neabile. Molti, quando si parla di arte, tendono amettere in relazione quest’ultima con quel-la classica dei grandi pittori e scultori, le cuiopere maestose e geniali sono e rimangonoincondizionatamente ammirate nel tempo,ma che sono solo una facciata (seppur gran-diosa) della realtà artistica. Il mondo del-l’arte oggi è infatti caratterizzato da un’in-

finità di giovani artisti diogni genere, ricchi di ge-nio e creatività, i quali vo-gliono trasmettere al pros-simo idee e ideali, pensie-ri e opinioni, sogni e desi-deri, nei modi più dispa-rati e insoliti, ma con tantapassione in comune. Ep-pure spesso vengono igno-rati perché ritenuti super-ficiali e non profondi comein realtà sono.Alcuni si saranno sicura-mente domandati se sonomolti i giovani che oggi sidedicano ad attività arti-stiche e soprattutto se que-

st’ultime possano essere considerate al-trettanto maestose quali la pittura e la scul-tura di un tempo. La risposta la si trova par-lando con quei giovani artisti, perché cosìfacendo si scopre che molti hanno fanta-sia, genio e capacità di espressione artisti-ca più ampie di quanto si possa pensare. Visono giovani che si dedicano ancora oggialla pittura o alla scultura, altri che espri-mono il loro io attraverso la musica, moltiattraverso la fotografia e altri ancora ester-nando temi della vita con graffiti sui muridelle città, suscitando talvolta un diffusodissenso.Queste nuove forme di espressione artisti-ca (che sono un vero e proprio linguaggio)non sempre trovano il loro spazio e il giu-sto apprezzamento, non perché manchinodi qualità, ma perché, quando le si incon-trano, occorre scoprirle e interpretarle, in-vece di limitarsi a stigmatizzarle in quantofrutto dei giovani.

Le nuove formedi espressioneartistica nonsempre trovanoil loro spazio.Occorre sco-prirle e interpre-tarle senza stig-matizzarle

u Lorenzo Puglisi

www.luniverso.com, [email protected], [email protected] – anno VIII – n. 4 – Mercoledì 20 aprile 2011

Italia Una radio per tutti gli ateneiu Quando le nuove tecnologie ab-bracciano la volontà di condivideree di essere informati, nel segno del-la comunicazione bottom up, na-sce una Radio 2.0, interattiva e di-namica, giovane e attuale.In particolare, la piattaforma onlineSpreaker, la quale permette a chiun-que di creare e condividere con-tenuti audio sul web, e Ustation, ilprimo network dei media d’ateneoitaliano e aggregatore di informa-zioni di carattere universitario, han-no annunciato di recente la lorocollaborazione.Una partnership preziosa che ren-de le radio universitarie e i singoliproducer sempre più protagonistidegli atenei di tutta Italia.«La Radio è il motore comune, il

web il punto di incontro grazie alquale Spreaker e Ustation si impe-gnano nella reciproca diffusionedei contenuti delle radio sul web –spiega Gianluca Reale, ceo diUmedia srl, la società che ha datovita a Ustation.it; «a rendere unicaquesta nuova collaborazione lacomplementarietà delle due piat-taforme che insieme offrono tec-nologia e contenuti di qualità dan-do spazio all'informazione e al-l'infotainment user generated». Grazie a questo progetto di Radio2.0, gli studenti e chiunque ap-partenga al mondo universitario,avranno la possibilità di racconta-re a voce e condividere in rete leesperienze quotidiane vissute al-l’interno del campus. Un’ottima oc-

casione anche per approfondireargomenti e tematiche, spunti di ri-flessione e di denuncia, insieme al-la condivisione di interessi comu-ni. Infatti, lo scopo di questo pro-getto «è la diffusione della culturadella radio 2.0 all'interno di quel-li che per definizione sono circuiticreativi ed innovativi: le università»,commenta Francesco Banchieri diSpreaker srl. «Al centro dell'atten-zione la voglia di comunicazione edi espressione dei giovani univer-sitari che ritrovano nello strumentoradiofonico un antico fascino rivi-sitato in chiave moderna. Inoltre, su entrambi i portali sopracitati, sarà possibile interagire conla comunità virtuale, proporre con-tenuti, partecipare agli eventi ed

essere sempre aggiornati sulle ini-ziative promosse dalle varie sta-zioni radiofoniche universitarie di-slocate sul territorio. Questa iniziativa, che può interes-sare anche gli studenti elvetici, puòessere spunto per dare il via a pro-getti simili anche sul nostro territorio.Di fatto, nel resto della Svizzera,molte università sono già organiz-zate in questo senso e sarebbe bel-lo poter stabilire un contatto, an-che se solo 2.0. t

Per ulteriori informazioni: www.spreaker.com ewww.ustation.it.

Il team di Spreaker e Ustation.

pagina 2u Un giorno al Teatro Dimitriu Chiacchierata con i poeti Pu-

sterla e Alborghetti sullo sta-to della poesia

pagina 3u Arte Urbana: la città come

spazio di espressioneu Ritratto di quattro giovani

artisti ticinesi

pagina 4u Un’incursione nel mondo ar-

tistico di Marcello Chiarenza

pagina 6u Politica con i giovani

e non politica per i giovani

pagina 7u Uno skatepark per ricordare

Vanja: intervista all’associa-zione nata in sua memoria

pagina 8u What’s up? Un concorso

musicale per combattere la violenza

L’arte giovaneva promossa

Diamo vita alla cittàA pagina 3

COMPLEMENTI SUwww.luniverso.com

Mancano solo due mesi alla fine dell’annoaccademico: restano quindi ancora due oc-casioni per partecipare al Club del libro! In-viate la vostra recensione all’indirizzo [email protected] e potrete vincerecosì un buono dal valore di 20.– CHF per i vo-stri prossimi acquisti in libreria.La recensione non dovrà superare le 2.000-2.500 battute spazi inclusi. Riportate anchetitolo, autore, editore e numero di pagine.Non dimenticate di specificare nel e-mail ilvostro nome, cognome, indirizzo e l’univer-sità che frequentate. La prtecipazione è gratuita e aperta agli stu-denti universitari di tuttala Svizzera. Buona lettura ;-)

u A pagina 6 la recensione vincitrice di questo mese

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u Verscio non è solo un paese. Ilpiccolo villaggio delle Terre di Pe-demonte, situato ai piedi della Val-le Onsernone e delle Centovalli, na-sconde un vero e proprio mondo asé stante, non ci si può sottrarre alsuo incanto...La montagna è il teatro dell’esisten-za. È questo il primo pensiero chebalza alla mente varcando i confi-ni di Verscio. Forse perché questopiccolo paesino ha fatto proprio lospirito degli artisti che vi dimorano,o forse perché qui la natura è tantosublime da apparire come luogoineccepibile di incontro tra il pro-prio corpo e la propria mente. Sui balconi delle case, fili per sten-dere il bucato esibiscono indumen-ti appena lavati, mentre fuori dalleporte biciclette rétro sono confusa-mente appoggiate ai muri delle ca-se. Solo qui elementi tanto semplicicolpiscono la vista e i sensi, comese fossero parti integranti di questopaesaggio. Ed è proprio in questo scenario chesi colloca la Scuola Dimitri, un luo-go dove si impara a conoscere al-la perfezione il proprio corpo perpoi essere in grado di usarlo comestrumento. Le discipline insegnatevanno dall’acrobazia, la danza, lapantomima, per finire con il ritmo, lavoce, il canto e l’improvvisazione.

La polivalenza è la linfa di questascuola, gli studenti imparano a fareteatro e lavorano duro al fine di sco-prire la propria personalità. «Si impara l’umiltà» ci dice Arno Fer-rera, studente al primo anno. «Nel-la scuola formiamo il nostro ego equesto viene distrutto tutti i giorni».Arno ci accoglie nella sua casa checondivide con altri quattro studen-ti, immediatamente questo spaziodiventa anche il nostro. È così, aVerscio. «Le dinamiche di gruppo sono mol-to forti, si condividono anche i latipiù intimi della persona, dalle abi-tudini quotidiane agli odori. Potreiriconoscere i miei compagni solocon l’olfatto». Catturiamo l’atmosfe-

ra di questo posto prestando atten-zione a tutti i particolari, come sevolessimo anche noi, in qualche mo-do, scoprire il segreto di questa con-vivenza. Spostandoci verso la scuo-la Arno ci racconta la sua vita a Ver-scio, scopriamo che la natura è unelemento centrale, ti aiuta a esserete stesso a prescindere dal giudiziodegli altri. In questo modo si sosti-tuisce il giudizio con l’esplorazione.«Impariamo a guardare le persone,osserviamo il loro modo di cammi-nare e di muovere gli arti, e così im-maginiamo una storia, che potrà es-sere ispirazione per un personag-gio». Arrivati alla scuola, i compagnie i maestri di Arno ci accolgono consimpatia. La lezione inizia, e anche

noi, a piedi nudi, en-triamo nella sala. Glistudenti comincianoa lavorare sullo spar-tito di una composi-zione musicale. Lo-ro conoscono le no-te, le leggono, manon come le legge-rebbe un musicista. L’intensità dellamusica qui è diversa, la si coglie«perché la percezione di quello chesentiamo è diversa dalla percezionedi quello che veramente è» dice ilmaestro. Una volta letto lo spartito,il corpo deve fare suo il ritmo dellamusica e gli studenti cominciano abattere con i piedi. Questo semplicema difficoltoso gesto ci affascina

molto, ma rifiutiamola proposta dell’in-segnante di prova-re anche noi; nonbasta un pomerig-gio per imparare anon avere timore delgiudizio degli altri. Dopo la pausa as-sistiamo alla lezio-ne di acrobazia. Ar-no ci avverte chequesta disciplina èben lontana daquella dei ginnasti.

Anche in questo caso quello che sicerca è un contatto tra il corpo e lamente: traspare dai loro movimenti,nell’eleganza delle capriole e deisalti. E continua a essere così an-che fuori dalle lezioni. Gli studentisi muovono con più leggerezza,spontaneità, camminano a piedi nu-di e se hanno voglia fanno una ruo-ta in mezzo alla strada. Sono tutti

personaggi unici, le loro origini so-no molto diverse, come le loro sto-rie. C’è chi arriva da ambienti arti-stici e chi, dopo aver finito l’univer-sità, ha deciso di coltivare la suapassione stravolgendo la propriavita. Questa multiculturalità è la ric-chezza della scuola ed è sorpren-dente scoprire questo microcosmo inun piccolo paesino ticinese. La scuo-la – diventata SUPSI e che rilasciail Bachelor in Arts of Theatre - è fa-mosa in tutta Europa e per questomolto selettiva. Oltre a dover pas-sare una prova all’entrata, tutti glianni si deve affrontare un esameper potere accedere all’anno suc-cessivo. Questo ci fa pensare a per-sone speciali e straordinarie.Alla fine della giornata salutiamo amalincuore questo luogo singolaree nel viaggio di ritorno pensiamoalle persone che abbiamo appenaincontrato; anche per noi loro sonopersonaggi, ma forse in un altro sen-so. Vivono in un luogo che rac-chiude un mondo dalle sfumatureincomprensibili, un mondo dietro alquale si cela la follia della verità.La stessa verità che ci è trasmessa daun palcoscenico. t

Beatrice Marchesi

Il teatro estremo dell’esistenzaUn viaggio a Verscio nel cuore della Scuola Dimitri

l’immagine stereotipata della poe-sia ci balena in mente come un ge-nere letterario destinato a personemalinconiche e dall’aspetto grave.Eppure Fabio Pusterla e Fabiano Al-borghetti non hanno l’aria dei poe-ti tristi e non passano le giornate chiu-si in una stanza ad attendere la loroMusa, anzi. Vivono e non condu-cono una vita ai margini della so-cietà, ma leggono «la propria espe-rienza del mondo da un punto di vi-sta non comunissimo», come ci rac-conta Pusterla. «È difficile scriveresenza vivere intensamente, indipen-dentemente dall’età. Un giovane nonavrà decenni di esperienza alle spal-le, però ne ha settanta davanti».La poesia deve quindi riguardare tut-ti. O almeno dovrebbe. E di questoparliamo durante il nostro incontro.Dove è finita la poesia? Perché è co-sì difficile trovarla e perché l’imma-gine che abbiamo (o che ci pro-pongono i media) è di una poesiadestinata all’élite intellettuale, e ancheun po’ snob, della popolazione? «Seti limiti a sfogliare il giornale, già at-to encomiabile, o a guardare la te-levisione, che è la normalità, la poe-sia non esiste. È un genere che è sta-to sottratto alla visibilità, con la con-vinzione, secondo me errata, chesia un genere che non vende, nonpiace. Non credo sia vero», incalzaPusterla.Dello stesso parere è Alborghetti, ilquale conduce sulla radio online Ra-dio Gwendalyn (www. ra-diogwen.com) un programma, Lavoce di Gwen, dedicato proprio al-la diffusione della poesia; una ra-diotrasmissione unica nel suo gene-re in Svizzera. Ma non solo, spie-ga Alborghetti: «Oltre a La voce diGwen, con altri appassionati scrit-tori abbiamo creato le riviste UNO(disponibile sempre su ra-diogwen.com) e Ground Zero, cheusano la letteratura e un’altra seriedi linguaggi, come il fumetto o la fo-tografia, per portare qualcosa dimolto valido che possa incuriosiretutti. «Ed infatti gli utenti apprezza-no l’iniziativa».Pusterla sottolinea tuttavia che più diogni altra cosa sono i canali istitu-

La poesia ci è stata sottratta, ridiamole visibilitàChiacchierata con i poeti Pusterla e Alborghetti sullo stato della poesia in Ticino

VIDEO SUwww.luniverso.com

zionali quelli da potenziare, soprat-tutto la televisione che «fa troppo po-co per la diffusione della letteratura.Non c’è quasi nulla che parli di li-bri, e di questo la televisione è col-pevole. Si tratta di una tv pubblicache ha un mandato importante dinatura educativa; e che la culturasia relegata a orari impossibili e mar-ginalizzata è l’espressione di unagestione sbagliata. Che parte da unpregiudizio sbagliato: alla gente noninteressa». Una televisione pubblicache dunque dimentica spesso i suoicompiti al servizio della popolazio-ne, che ha fame anche di cultura.Anche la scuola, secondo Pusterla,ha un potenziale da (ri) scoprire, da-to che «la frequentano tutti e tutti do-vrebbero avere un’esperienza fortedi contatto con il libro. Questo con-tatto c’è, ma forse non avviene nelmodo giusto. Bisogna insegnare aleggere, a leggere come attività per-sonale».E la poesia entra anche in ambiti for-se un po’ inaspettati ma che in realtàsi rivelano esperienze importanti, co-me può esserlo la cura in ospedale.Alborghetti è stato uno dei promo-tori in Ticino, del progetto «Leggerecon cura», che ha portato la poesianegli ospedali, prefiggendosi di aiu-tare non solo il malato, ma pure la fa-miglia e il curante. Con le parole diAlborghetti, il progetto ha portatouna «carezza poetica tramite poe-sia di ottimo livello».La poesia meglio della morfina, quin-di? «Non proprio» sorride Pusterla,che ha partecipato al progetto scri-vendo alcune delle poesie distribui-te nelle cliniche,«la morfina toglie ildolore; la poesia non può togliereil dolore. Te lo fa guardare meglio infaccia. Guardare in faccia il dolo-re vale la pena e quando non è piùpossibile... datemi la morfina».Altro tema affrontato con i due poetiticinesi è quello molto attuale dellapromozione della lingua e cultura ita-liana fuori dal Canton Ticino. Puster-la ribatte che per quanto riguarda l’i-taliano si potrebbe fare di più: «Intantocercare di evitare luoghi comuni: in-vece di portare risotto e luganiga al-le manifestazioni ufficiali oltre il can-

tone italofono, si potrebbe veramen-te far parlare la cultura della Svizze-ra italiana, che è interessante e di-gnitosa e non così conosciuta».Nell’attesa che ciò avvenga, rima-

ne la domanda: Cosa si deve farecon la poesia? Forse basterebbe ini-ziare a leggere una poesia. Una so-la. O anche due t

Giada Peter

Fabio Pusterla, vincitore del premio Schiller. Fabiano Alborghetti.

Lamento degli animalicondotti al macello

Canto 2Occorre l’ordine al vestire, occorre la coerenzaper l’inganno. Così ripeteva mentre a mani lisce tutto il bordodella giacca a risalire, i risvolti, la camicia intonsa attorno al collo

troppo stretta eppure esatta per l’immagine allo specchio.Un ampio gesto, un ritocco anche ai capelligià perfetti nell’assetto e tutto il resto: perfezione ripeteva

offrirsi certi come il volto di quell’uomo imparato alla tivù.Sono meglio a ben vedere, anche più vero:guardava gli occhi nel riflesso, l’adesione

dell’immagine per il verso che voleva…Anche la pelle era esatta nel colore, con il tono preso a temponel solarium dietro casa. Perfezione ripeteva

e si mostrava sulla porta alla moglie già vestita.Mano a mano senza dire. Non dicevano mai nulla. Troppo spessoNon trovavano che dire. E non trovava altre cose a ben vedere:

una ragione per restare soprattutto…

( da Registro dei fragili. 43 canti, Casagrande, 2009)

Guarda: ci portano via. Nella canzonedei giorni ci stramazzano. E cantiamoper questa ultima ora: noi cantiamola nostra bellezza negata. E siamo vivi.

Vagano spore al vento, ali del cuoreche chiama il sangue a sé, che lo fa scorrerenei fiumi delle vene, ai venti caldidei desideri che ci sono tolti. E siamo vivi.

E sono mari i nostri desideri,percorriamo foreste di memoriatra poco incenerite, ed ora splendide.

Cenere i tronchi, i mari in secca. Ma noi vivi,vivi più vivi della mano che martoria. Chi ci negala luce ignora questo: siamo vivi

nella gloria del male che ci è dato,nel silenzio del colpo che ci è inferto.Muti, dimenticati.

(da Corpo Stellare, Marcos y Marcos, 2010)

u«Sempre caro mi fu quest’ermocolle...». Di solito è questo, o qual-che altro verso famoso, che asso-ciamo alla poesia. Releghiamo lapoesia a un esercizio scolastico, ap-

preso a memoria e per obbligo: qual-cosa che non ci riguarda più, lon-tano da noi sia nel tempo che nellospazio.Non a caso cito Leopardi, perché

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Ritratto di quattro giovani artisti ticinesiTalento ma anche tanto sacrificio per emergere e dare voce alle proprie passioni

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uCaterina Righenzi è innamoratadel teatro. Gli occhi scuri le brilla-no, mentre rac-conta della primavolta in cui, appena quattordicen-

ne, calcò il palcoscenico. «Ho su-bito sentito che quello sarebbe sta-to il mio mondo!», dice entusiasta.È trascorso oltre un lustro, ma leemozioni sono ancora tutte lì, fre-sche e palpabili.Quando, due anni dopo quellaprima vibrante esperienza, si pre-senta la grande chance, lei è pron-ta. Inizia così la fortunata avven-tura di Affari di famiglia, serie TVnella quale interpreta Sara Britti,personaggio con cui entra nellecase e nei cuori dei ticinesi. Giu-sto durante l’intervista, s’avvicinauna signora che le fa i compli-menti. Caterina, timida, sorride eringrazia, quasi imbarazzata. «Pro-prio questo mi spinge a superaredifficoltà e sacrifici», confessa.«Non c’è nulla di più bello del sa-pere che il proprio duro lavoroviene apprezzato. A volte bastaun unico sorriso genuino per farti

saltare oltre l’ostacolo». Tuttavia,per quanto soddisfacente, il setnon è paragonabile al teatro.«Quest’ultimo ti entra sottopelle enon ti molla più. Il lavoro sui per-sonaggi è così profondo che loporti dentro per molto tempo. Ognispettacolo mi lascia qualcosa diimportante, che diventa parte diciò che sono e sarò», spiega. Co-sì, a diciotto anni, si unisce allacompagnia Il Cortile, con la qua-le mette in scena parecchie rap-presentazioni di rilievo in giro peril Ticino.Sostenuta dalla passione per il tea-tro e dall’amore per la sua fami-glia, Caterina sta progettandoun’esperienza all’estero, restandosempre umile e fedele al suo mot-to: «le tre C della vita: Cuore, Cer-vello e Cogl… dai, si capisce!». Inbocca al lupo, Cate. t

Luca Bortone

uPrendete un’atmosfera surreale al-la Luis Buñuel e aggiungeteci unsound dal ruvido sapore under-ground; otterrete così una prima im-pressione dello stile dei video di An-drea Todaro.Il legame fra i suoi lavori e la musicaè forte ed essenziale; ritmi ed atmo-sfere prendon forma e vengono abil-mente tradotte in immagini.Fra alcuni dei suoi recenti lavori tro-viamo dei videoclip per i Dream-shade, per i Nakaruga e per la gio-vane cantante Orpheline.Lo studio intrapreso da Andrea è sta-to quello per diventare grafico pres-so la CSIA di Lugano. Il suo talento, ma soprattutto la suadeterminazione, l’hanno portato lon-tano dalla sua città natale, dritto trale fauci del sovversivo Oliviero To-scani.Il famoso fotografo l’ha voluto nel suoteam di giovani promettenti a Pisa,

nell’agenzia di comunicazione LaSterpaia.Nonostante i suoi studi la grafica è asuo avviso limitata da una gabbia,una griglia, la quale detta regole piut-tosto rigide e spesso ripetitive. Il vi-deo permette una maggiore speri-mentazione, più libertà, una vera epropria vastità di porte aperte.

La difficoltà sta nello trovare un com-promesso tra le proprie idee e leaspettative del committente.L’ideale è avere carta bianca e darlibero sfogo alle proprie idee. Que-sta possibilità non è affatto sconta-ta, soprattutto in Ticino.In questa sorta di limbo geografico,delimitato da Italia e Svizzera interna,c’è poco spazio per questo generedi progetti. È dunque fondamentale riuscire a far-si conoscere attraverso i propri lavoriall’estero e Oltralpe. Infine, cura ed attenzione ai dettaglisono essenziali in ogni singolo pro-getto. Ogni creazione è un bigliettoda visita, ma la fortuna di esser notatidalla «persona giusta» è più unicache rara.Potete trovare i video di Andrea sul-la sua pagina Vimeo:http://vimeo.com/user2845134 t

Gaia Mathieu

Andrea Todaro Ritmi e atmosfere prendono forma

uGiovane fotografo ticinese, IgorPonti ha scoperto la sua passioneper vie traverse. Non sapeva di ave-re questo talento latente, ma unavolta scovato ha cominciato a col-tivarlo. Su un treno di ritorno da Fi-renze diretto verso casa: è qui cheè nato il frutto della sua passione, unfrutto che – ci tiene a precisare –non è ancora maturo e mai matu-rerà fintanto che saranno infinite lecose da vedere e imparare. Ha sot-tolineato più volte che il percorsodi ognuno è del tutto personale, nonesiste la ricetta per diventare foto-grafo: Igor si serve della metaforadella cipolla per spiegare che to-gliendo strati esterni è ciò che ab-biamo dentro a renderci unici. Ladimensione umana del suo lavoroè ciò a cui tiene di più: una fitta re-te di amicizie e conoscenze nel mon-do della fotografia gli ha permes-so di imparare molto, confrontan-

dosi con gli altri e facendosi consi-gliare. Conoscere dei maestri perscoprire il loro lato umano gli haconsentito di capire molto del loromodo di fotografare. Tra i suoi pro-getti vi sono: la raccolta di ritratti in-titolata «Skate Generation», che mo-stra la brulicante e vivace scena ska-te di Lugano, o quello più recente«Chronicles of a Chocolate Coun-

try». Quest’ultimo è una raccolta diimmagini che raccontano una Sviz-zera dinamica, colorata, naturalee nel contempo artificiale. Una Sviz-zera come la vede Igor e come vor-rebbe mostrarla agli altri. Parlandodei suoi progetti il fotografo ticineseafferma che «ogni progetto è figliodi quelli passati, e tutti quanti si rial-lacciano al proprio vissuto». Spie-ga inoltre che fotografare – fare«click» - non è un mero meccanismoautomatico: bisogna trovare ispira-zione nel proprio passato come an-che nel proprio profondo, facen-dosi guidare dal proprio istinto. Es-sendo un fotografo professionista,Igor cerca di imprimere su di unapellicola con la massima fedeltà delsuo punto di vista e del suo stile per-sonale. Il sentore di un’istante otte-nuto fotografando un soggetto, de-ve essere onesto, semplice e ge-nuino. t

Igor Ponti e Anthony Neuenschwander Due modi di vivere e di dare vita alla fotografiauAnthony Neuen-schwander, nato aSan José (Costa Ri-ca) il 13 aprile1982. Queste sonole prime righe delsuo curriculum vitae.Il curriculum di ungiovane e promet-tente fotografo, ol-tre che un avventu-roso viaggiatore.Anthony si sente po-co a suo agio ad usare le parolecome mezzo di espressione. Un’in-sicurezza che non si manifesta dicerto quando comunica attraverso leimmagini catturate con la sua mac-china fotografica. Ed è proprio lafotografia il grande amore diAnthony. Riceve in regalo il suo pri-mo apparecchio a sedici anni e ini-zia così a sperimentare. Consegueil diploma al C.S.I.A, per poi iscri-

versi alla scuola difotografia di Vevey,che decide di ab-bandonare dopo unanno per trasferirsia MIlano. Ottiene ildiploma allo IED nel-la capitale lombar-da, dove resta altridue anni a lavorarecome assistente. Fapratica nello studiodi Carlo Borlenghi –

fotografo ufficiale per Alinghi Ame-rica’s Cup - il quale offre a Anthonyl’opportunità di collaborare per unreportage fotografico in Liguria, du-rante una regata. Tornato in Ticinonon perde tempo: allestisce dellemostre e partecipa a delle collettivesotto il nome di «Quattro starnazzie 1 birra». Un reportage molto significativo perAnthony è stato quello sul reparto

di cure palliative dell’Ospedale SanGiovanni di Bellinzona, nel qualeha trascorso un mese. Oltre a fare il fotografo di scena du-rante le riprese di un film - di Moham-med Soudani «Roulette» –, negli ul-timi due anni ha anche lavorato alFilm Festival di Locarno. Impegna-to tutti i giorni nel suo studio di stam-pa fotografica analogica - «Biancoe Nero al confine» –situato a Chias-so, ma che prossimamente trasfe-rirà a Lugano, Anthony continua lasua vita come un uccello migrato-re. La sua esistenza è «bipolare»,divisa tra Sud America ed Europa,la prima è la terra in cui è nato, laseconda è quella in cui è cresciu-to. Recentemente Anthony è statoinsignito del primo premio al con-corso «Addio Lugano Bella», con lafotografia intitolata «C’era una vol-ta... quello che avevamo». t

Andrea Brezec

Caterina Righenzi L’emozione sul palcoscenico

Foto di Rabbitrevolver.

Foto di Anthony Neuenschwander.

u Negli ultimi tempi nuovi colori,punti, spunti di vista hanno ridatoforma ad alcune vie di Lugano eanche i più distratti e frettolosi han-no probabilmente fermato per unmomento lo sguardo sui muri e diogni giorno. Chi ha posizionatofile di cartelli segnaletici sulle fac-ciate immacolate e annoiate e per-ché? E da quando George e Eli-sabetta sorridono amichevoli dal-l’ex Macello senza timore di mo-strare il loro lato meno... vitale? Insieme ad altri progetti e ad al-cuni concorsi, i lavori realizzati so-no il frutto di una riflessione che èil motore di Arte Urbana Lugano,progetto che ha come scopo quel-lo di «mettere in relazione il pub-blico con lo spazio urbano, attra-verso la promozione della crea-zione artistica emergente» e chenasce «dalla volontà di interroga-re in qualche modo la città, i suoispazi e i suoi abitanti».Il progetto, che vede la luce nel2009 e lanciato ufficialmente conuna conferenza stampa il 10 no-vembre 2010, diviene così l’occa-sione di sperimentare nuove visua-li e per i giovani artisti emergenti,di esprimere la propria arte.A raccontarci qualcosa di più èproprio il gruppo coordinatore diAUL, anima dell’iniziativa e prin-

cipale fonte delle proposte,composto da Valeria Donna-rumma e Damiano Merzari.Da che tipo di riflessionenasce il progetto?«Nasce inizialmente come ri-sposta ai numerosi muri im-brattati della città con tag,scritte, esteticamente fastidio-se e spesso con poco senso.La necessità di sfruttare comespazio di espressione la città,dimostrava per noi una vo-lontà di fondo dei cittadini diappartenenza al territorio, diri-appropriazione dello spa-zio. È assecondando questanecessità, ma in maniera in-telligente, dando uno spazioreale di espressione ai gio-vani artisti locali e non, chesi è sviluppato il progetto Ar-te Urbana Lugano, il cui obiet-tivo centrale è appunto quel-lo di favorire gli artisti emer-genti, facendo allo stesso tem-po riflettere i cittadini sullo spa-zio in cui vivono, la propriacittà e le sue dinamiche».Chi è l’anima di Arte Ur-bana?«Si tratta di un progetto vo-luto dal Municipio di Lugano. Pri-ma del lancio “ufficiale”, le rifles-sioni in merito erano già in atto

da circa un anno, Damiano giàci lavorava nel 2009 ed ha rea-lizzato anche un primo evento:

Skate Generation (con le fotogra-fie di Igor Ponti della generazio-ne skaters di Lugano). Queste fo-

tografie sono state esposte inPiazza Manzoni nel 2009ed è anche stato pubblicatoun libro. Diciamo che dopoquesto primo evento, il pro-getto è rimasto un po’ fermo.Da quando ho iniziato a la-vorarci con Damiano nel2010 poi, il progetto ha ri-preso piede iniziando ad ave-re una programmazione piùo meno regolare sull’arco del-l’anno. Da novembre 2010ad oggi abbiamo organiz-zato in particolare l’esposi-zione Cartelli di Andreas Gy-sin e Sidi Vanetti, l’esposi-zione Datatown, di Collec-tif_fact, l’esposizione To beor not to be degli Ortica-noodles e il concorso AddioLugano Bella?. Dunque direchi è l’anima di Arte Urbanaè difficile... Diciamo che l’a-nima di Arte Urbana Luganoè l’unione di me e Damiano.Oltre chiaramente di altri col-leghi con cui collaboriamo,che sempre ci aiutano a svi-luppare le idee per i progetti.Formiamo un’ottima équipe;da quando ci lavoriamo in-

sieme, il progetto si è sviluppatomoltissimo».C’è un’iniziativa che ha avuto

più successo di altre finora oche ha fatto più parlare di sé?«Devo dire che tutti gli eventi sonostati ben accolti dal pubblico. Maprobabilmente è il concorso AddioLugano Bella? (in cui abbiamo po-tuto misurare chiaramente la parte-cipazione trattandosi di un evento in-terattivo: vedi www.luganoche-cambia.ch) ad aver avuto un ri-scontro particolarmente importante,sia nel pubblico che nella stampascritta. Moltissimi infatti i parteci-panti: il successo di questa iniziati-va rispecchia quanto il tema tratta-to sia particolarmente sentito dallapopolazione luganese».Qual è il prossimo appunta-mento da non perdere con Ar-te Urbana?«In programma c’è un’esposizionedel giovane artista luganese AlexDorici che avrà luogo nel mese dimaggio 2010. Ci sarà un’esposi-zione al Lab-Comacina (il nostrospazio espositivo al chiuso, in Via-le Cassarate 4) ed allo stesso tem-po diversi interventi e installazionitemporanee nello spazio urbano.Non aggiungo altro... ci piace crea-re gli eventi a sorpresa. Comunquemanca poco... e inizierete a vede-re in giro i nostri manifesti!». t

Anna Brunati

La città come spazio di espressioneNuove visuali rianimano le strade che percorriamo ogni giorno

La foto di Anthony Neuenschwander vincitrice del concorso «Addio Lugano bella?».

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u L’architettura e il design, per defi-nizione, non dovrebbero essere con-siderate «arti». Per arte si intende«qualcosa che non abbia nessunoscopo oltre a se stessa, nessuna fun-zione». L’architettura certo non rien-tra in questa definizione. Si può im-maginare una casa senza ingressi?Il design tantomeno. Chi compre-rebbe mai uno spremiagrumi che nonspreme agrumi? Che ti lascia la cu-cina imbrattata di succo e poi ti pro-spetta davanti due ore di intense pu-lizie? No, l’arte non può essere rin-chiusa in una definizione. L’arte èqualcosa di libero e sfuggente. An-che quando si spiegano, in classemagari, le varie correnti artistiche,non ci si può limitare alla semplicedescrizione che, per quanto ap-profondita possa essere, non mo-strerà mai la vera essenza dell’arte.Sono i sentimenti che essa provocaquando si posano gli occhi su di Lei,la sua vera anima. È lo strabuzzaregli occhi, è il sentirsi impotenti, è quel-l’esclamazione di sorpresa uguale a

tutte le età: «Wow…». Qui si posso-no inserire l’architettura e il design.Charles-Edouard Jeanneret-Gris, èuno, se non il più grande architettodel XX secolo. Le sue opere si posso-no ammirare in 17 nazioni, e i suoiprogetti sono avveniristici ancora og-

Le Corbusier Come nasce un genioLa stravagante vena del celebre architetto svizzero

Marcello Chiarenza, nato in Si-cilia nel 1955, laureato in ar-chitettura presso il Politecnicodi Milano, da decenni opera nelcampo della figurazione sim-bolica e della drammaturgiadella festa, nei diversi ruoli discultore, pittore, scenografo,conduttore di laboratori, auto-re e regista teatrale.

u In cosa consiste il suo la-voro?«Ho insegnato per una ventina d’an-ni per mantenere me e la mia fami-glia, ma nel frattempo esercitavo lamia vera passione che riguarda l’ar-te figurativa. Ora mi dedico solo aquesta passione. Trovo difficile spie-gare in cosa consiste il mio lavoroin quanto in questi anni ho fatto mol-te cose diverse: dal lavoro nel settoredell‘industria, alla pittura, alla scul-tura, al teatro per bambini, al teatrodi piazza, al teatro-circo. Mi sonooccupato di molte cose per passio-ne ma anche perché, avendo bi-sogno di lavorare, non potevo sce-gliere ma dovevo accettare le op-portunità della vita. A distanza ditanti anni, però, posso dire che lavarietà del mio lavoro non è un ca-so poiché tutte le cose che faccio eche ho fatto concorrono insieme». Ha sempre desiderato fare que-sto lavoro? Qualcuno l’ha aiu-tata a capire che questa era lasua strada? «Quando ero in prima media, miamadre andò a parlare con il profes-sore di disegno perché pensava cheio dovessi intraprendere gli studi ar-tistici. Il professore le sconsigliò di far-mi frequentare il liceo artistico per-ché riteneva che questa carriera fos-se difficile e poco redditizia. In terzamedia, però, lo stesso insegnantechiamò mia madre e le disse che avreidovuto fare assolutamente quellascuola . Probabilmente avevo mo-strato dei segni d’interessamento perl’argomento figurativo. Forse ho ini-ziato a pensare a questa prospettivadal momento in cui mi sono iscritto alliceo artistico. Nella mia vita ho avu-to molti insegnanti ma solo alcuni diquesti sono stati dei maestri per mein quanto mi hanno aiutato a capirequale fosse la mia strada».Quale materiale utilizza percreare le sue opere?«Si tratta di una domanda molto im-portante poiché il rapporto che sirealizza tra il materiale e la figura èfondamentale. Faccio l’esempio di unpiccolo cervo costruito con dei le-gnetti, dei semi, dei rami d’alberoe un osso di seppia infilato nel ra-mo più alto. I semi, che si trovanosottoterra, rappresentano gli organiinterni dell’animale, i rami rappre-sentano le corna che come albericrescono verso l’alto, l’osso di sep-

pia, invece, è la luna. L’utilizzo del-l’osso di seppia, che è materia delmare, come luna, richiama l‘influenzadi essa sulle maree. Questo piccoloanimale fatto di ramoscelli, di semiinterni che sono il sottosuolo, di alberiche crescono sopra la terra e di cie-lo fra le corna è sì un cervo ma èanche una rappresentazione del co-smo. È interessante costruire un cer-vo con i legni del bosco in quanto l’a-nimale stesso rappresenta, simboli-camente, il bosco. Il rapporto tra ilmateriale usato e la forma disegna-ta deve essere un rapporto di signi-ficato e non di casualità. Il materia-le non è scelto a caso ma spesso èla ragione dell’invenzione. Ciò checonta è che la scelta del materiale siaquella giusta in rapporto a ciò chesi vuole fare».C’è stata un’evoluzione nel suomodo di creare con il passaredegli anni?«C’è stata un’evoluzione nel mio mo-do di percepire lo spazio. Per anniho creduto che lo spazio fosse quel-lo figurativo, della visione. Uno deimiei primi esperimenti è stata la co-struzione di un condominio fatto conle cassette della frutta. In ogni cas-setta venivano ritagliati dei buchi divaria grandezza dai quali tanti gio-vani si affacciavano verso il pubbli-co e recitavano con un gesto o conla voce. La visione era quella di tan-ti pezzi di uomini all’interno di un gran-de edificio. Lo spazio era quello fi-gurativo, disegnato dalla grande strut-tura composta dalle cassette. Nei pri-mi anni del mio lavoro, pensavo chelo spazio fosse quello architettonico,quello della scenografia viva. Oggi,invece, ritengo che lo spazio sia ol-tre tutto questo, oltre la percezionedei nostri sensi. È invisibile, inudibi-le, inodore, insapore, è l’infinito. Og-gi dire spazio non significa dire unacosa misurabile, ma è una sorta diarchetipo. È un mondo interiore. Il no-stro lavoro di artisti è quello di aprireuna finestra verso quell’infinito. Ciòche conta veramente non è ciò che

Immagini per una poetica del creatoUn’incursione nel mondo artistico di Marcello Chiarenza

vedo ma ciò che immagino grazie aquello che vedo, non è quello chesento ma ciò che immagino grazie aquello che sento. Mentre da giova-ne pensavo che lo spazio fosse quel-lo che si disegna e si costruisce, og-

gi so che esso è una visione interiorecollettiva. Lo spazio si può estende-re e diventare grandissimo anche seil palcoscenico è piccolo, è una na-vigazione psichica».Quali lavori ha già realizzato qui

in Ticino e quali sonoi suoi eventuali pro-getti futuri?«L’estate scorsa ho diret-to un piccolo laboratorioper il Dicastero GiovaniEventi. Durante questo la-boratorio, con un grup-po di giovani, abbiamocostruito degli oggetti sce-nografici e di gioco tea-trale che hanno accom-pagnato una cena or-

ganizzata dal Dicastero nel giardi-no della loro sede. In questo mo-mento, invece, sto lavorando per ilteatro Pan di Lugano. Stiamo met-tendo in scena uno spettacolo perbambini piccoli da 1 a 3 anni. Que-sto spettacolo s’intitola «Il giardino diGaia». Quest’estate è previsto un nuo-vo lavoro per il dicastero. Si tratta direalizzare ,per il festival estivo di Lu-gano, una grande porta in rami dinocciolo. Questa struttura sarà co-struita a terra e poi issata ed installa-ta sulla spiaggia alla foce del fiumeCassarate così da incorniciare il la-go e le montagne».Come nasce un’idea?«Le idee non sono mie, sono del mon-do. Un’artista può solo dare corpoad un’idea attraverso una forma, in-tesa come ciò che i nostri sensi pos-sono guardare, ascoltare, leggere e

gustare. Un giorno stavo riflettendosui temi della creazione e ricordo an-cora, a tanti anni di distanza, cheun’idea apparve come una visionead occhi aperti: ho visto una rete dapesca emergere dalle acque scurepescando migliaia di gocce di luce.Così nacque la pesca delle stelle, unoggetto scenico costituito da una re-te da pesca con appesi 2000 pic-coli specchi. Il cielo che si stacca dal-le acque primordiali è l’idea, l’ar-chetipo che è patrimonio dell’uma-nità. La rete degli specchi è la formada me realizzata per dare corpo al-la visione. Il mondo delle idee è ununiverso infinito da cui l’uomo può at-tingere dando corpo alle forme.Mi piace dire che nel momento in cuinasce un oggetto, una scultura, undesign, una scenografia, mi interro-go sul suo significato, gli chiedo co-me si chiama. Se l’opera dichiara ilsuo titolo è un buon segno e allora sitratta di una nuova forma emersa dal-la storia dell’arte, dall’inconscio col-lettivo. Non credo che l’artista pos-sa individuare un’idea, una soluzio-ne con la semplice volontà di trovar-la. L’artista ha il dovere di impegnar-si, ma solo l’angelo, la musa, il ge-nio della lampada o chi sa chi gli pos-sono aprire il terzo occhio per potercogliere la visione». t

Maddalena Chiarenza

gi, a quasi 50 anni dalla sua morte.Ogni artista eccelle in un’arte parti-colare. Che sia il cinema o la pittura,la scultura o il teatro non fa differen-za, basta che si crei del Bello. Le Cor-busier scelse l’architettura per crea-re il Bello. E lo fece.Ma come nasce un genio? Natural-mente non ci si sveglia la mattina, siguarda fuori dalla finestra e, ancorain pigiama, si urla alla propria ma-dre: «Mamma! Ho deciso! Da gran-de farò il genio». La risposta potreb-be essere solo: «Basta Vodka appe-na sveglio!». Figlio di uno smaltatore di orologi edi un’insegnante di pianoforte, nac-que a La-Chaux-de-Fonds, nel Can-ton Neuchâtel il 6 ottobre del 1887.Frequentò la scuola di architettura nel-la città natale, dove seguì le lezionidi Charles l’Eplattenier e di Renè Cha-pallaz, entrambi esponenti dell’ArtNouveau svizzera, la cui influenzasi nota già nelle sue prime opere. Ilsuo primo progetto risale proprio al-l’epoca degli studi. A19 anni, infat-ti, progettò la sua prima abitazione.Le Corbusier fu sempre spinto dallafamiglia a non porre un freno alla suavena artistica. Da bambino amavadedicarsi alla pittura e lo fece fino aquando, convinto dal suo maestrol’Eplattenier, si orientò verso l’archi-tettura. Conclusi gli studi iniziò a viag-giare per il mondo. Fu proprio in que-sti viaggi che balenò nella sua men-

te l’idea che lo ispirò poi in tutti i suoilavori. Un’architettura a misura d’uo-mo, una via di mezzo tra linee sem-plici e praticità (caratteristica chespesso i designer moderni dimenti-cano). Dopo questo periodo itine-rante studiò storia, matematica e in-gegneria a Parigi e poi, successiva-mente, mise in pratica ciò che avevaimparato in uno studio di architettu-ra a Berlino, insieme ad altri suoi gio-vani colleghi. Tornato a casa, inse-gnò nella scuola fondata dal suo mae-stro. Quella piccola cittadina di pro-vincia però gli stava stretta e così partìalla volta di Parigi. Iniziò a utilizzarelo pseudonimo Le Corbusier pren-dendolo dal bis-nonno, Monsier LeCorbezier de Bruxelles e cominciò avestirsi con stretti abiti neri, cappellicircolari neri, occhiali dalle lenti ro-tonde e a girare in bicicletta. Per da-re un’idea del personaggio, venivanotato perfino nel «bohemianissimo»quartiere latino di Parigi, nel qualeviveva. I suoi amici inoltre gli diede-ro il soprannome di «Corbu», un evi-dente riferimento alla parola corbeau(corvo). Da qui in poi progettò finoalla sua morte, il 27 agosto 1965 aRoquebrune-Cap-Martin, in CostaAzzurra, a seguito di un attacco dicuore mentre stava nuotando. Fu sep-pellito in una tomba da lui stesso pro-gettata. La più grande caratteristicadi quest’uomo fu certamente il genio.Non si tratta di semplice ingegnositào originalità, è qualcosa di più. Cas-sina, una delle più importanti azien-de di arredamento del mondo, uti-lizza ancora oggi i suoi progetti, chesono tra i più celebri ed eleganti esem-pi di design mai creati. Allora, come nasce un genio? Nonsi può rispondere a questa doman-da. Si possono formulare ipotesi, sipossono immaginare splendide mu-se accanto a questi maestri, ma è im-possibile sapere quale sia «la culla»del genio. È però un dovere moraleapprezzarlo e trarne ispirazione. Al-la fine, riprendendo una frase di unapersona alla quale sono molto lega-to e che mi ha insegnato tutto quelloche so sull’Arte (mia madre), «è il Bel-lo che salverà il mondo». t

Antonio Nucci

uC’è chi lasnobba e chi laguarda con in-teresse, chi pa-ga per averla echi la considerauno spreco didenaro, chi ridedi essa e chipensa sia soloun modo perconvincere ilconsumatore a

sprecare soldi. Sulla pubblicità sono stati espres-si i pareri più variegati e curiosi, ma una cosaè certa: la pubblicità è arte!Alcuni spot pubblicitari o advertising possono ri-sultare veramente orrendi, addirittura inguar-dabili, pensati solo per presentare un prodottoa chi lo produce oppure lo rivende.Altri, però, sono spettacolari, ci fanno ridere ed

emozionare proprio come farebbero una can-zone, un film, un quadro o una fotografia.Non è per niente facile ideare una pubblicità chepossa catturare il pubblico e affascinarlo, ma conun po’ d’ingegno e immaginazione si può gio-care con l’impiego di diversi registri linguistici,con le immagini e, non da ultimo, con i colori.Ci sono aziende che hanno fatto storia per illoro impiego superlativo della pubblicità, nehanno capito il potenziale e hanno assunto imigliori creativi per comunicare ai consumato-ri, non solo i loro prodotti, ma i valori aziendalie la filosofia che guida il proprio lavoro.Con uno spot, andato in onda nel 2006, Illy, no-ta azienda italiana produttrice di caffè, ha sa-puto trasmettere con delicatezza e armonia lacura e l’attenzione che l’azienda afferma di de-dicare alla qualità del suo prodotto.La versione originale del commercial dura circaun minuto e 32 secondi, la musica ( «Atlantico»di Roberto Cacciapaglia) guida uno scorrere

di immagini che si alternano con eleganza esofisticatezza. La cura del dettaglio, la bellez-za dei soggetti ripresi e la qualità della foto-grafia comunicano allo spettatore un senso di ri-cerca della perfezione.Il caffè è danza, un ballo armonioso ed emo-zionante; il caffè è ispirazione, equilibrio eamore.Una sensazione di piacere e serenità entrano innoi, come due amanti che si baciano, comeuna musica che pervade la foresta.La natura è presente in ogni scena, l’acqua e l’a-ria sono gli elementi principali, sinonimo di per-fezione ed eternità. Il fuoco fa il suo ingressoin uno degli ultimi fotogrammi, come elementocapace di bilanciare, donatore di equilibrio,rimane protagonista solo per pochi attimi.«La bellezza ha un gusto: Illy» un sapore cheesalta il palato, che pervade la nostra anima.Questa è arte. t

Arianna Fareri

Perché anche la pubblicità è arte!

Opera di Marcello Chiarenza, in alto a destra una fotografia dell’artista.

Charles-EdouardJeanneret-Gris,conosciuto comeLe Corbusier.

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Writers:ridisegnare la città a cura di Emanuela Musto

uC’era, e c’è ancora, un muro gri-gio. C’era e c’è ancora una bom-boletta spray. C’era e c’è ancora lavoglia di colorare, divertire, dare unsenso all’omologazione urbana. Sichiamano graffiti, street art; opered’arte che vivono nella e per la cittàcontemporanea, sfoghi di creativitàla cui esistenza è sancita dal confi-ne tra la legalità, dove è possibile,e l’illegalità, la culla «oscura» in cuisono nati.Nata e cresciuta negli Stati Uniti acavallo tra il perbenismo degli anni‘60 e la spinta reazionaria degli an-ni ‘70, questa forma d’arte rappre-sentava una vera e propria sfida deigraffitari all’ordine costituito che vo-leva che le città fossero prive di quel-la personalità selvaggia che invecedominava nelle zone suburbane.Questa sfida, questo agire nell’ille-gale, in realtà rappresentò il veropunto di svolta per i graffiti che dasemplici firme sui muri diventaronoincredibili opere d’arte proprio perla voglia di trasgredire e colorare lemetropoli in cui abitavano i writers.Dagli anni ‘80 in poi i graffiti co-minciarono a essere sdoganati gra-

zie alla nascita di riviste specializ-zate e ai primi riconoscimenti ad ar-tisti nati in questo contesto (il più fa-moso di tutti fu Jean-Michel Basquiat).In questo periodo, il legame con al-tre discipline di «strada» tra cui il rapo la break dance, ha fatto sì che mol-ti ragazzi si avvicinassero a questaforma d’arte e che potesse essereesportata in tutto il mondo. Nel ven-tennio successivo poi gli spazi di il-legalità si assottigliano sempre dipiù lasciando spazio a quei Writersche colorano e disegnano alla luce

del sole, che sposano la propria ar-te al vissuto urbano, spesso e volen-tieri sponsorizzati e ingaggiati dacomuni e istituzioni.Grazie alla commistione di tecni-che diverse, sempre più influenza-to da design, pittura, grafica, il graf-fito è diventato oggi un punto di in-contro di diverse esperienze arti-stiche convogliate nel bisogno dicontrastare l’anonimato della ce-mentazione dei luoghi in cui vivia-mo con un’invasione di immaginie colori.

Nella Svizzera Italiana, la NeverCrew, formata da Pablo Togni eChristian Rebecchi, è forse la realtàpiù rappresentativa di questa scuo-la di graffiti; lavori commissionatiche uniscono la trasgressione clas-sica del graffito al gusto per sog-getti e tecniche più raffinate e fi-gurative, frutto della possibilità dilavorare senza il bisogno di «guar-darsi le spalle» dall’intervento del-le forze dell’ordine. Ex studenti delCSIA e dell’Accademia delle BelleArti di Brera, Pablo e Christian so-

no forse l’esempio più calzante del-l’artista di strada contemporaneo:influenzato da diversi generi e stili,creativo, visionario, rispettoso del-le regole e degli spazi pubblici, ingrado di coniugare inventiva e pra-ticità, fantasia e coerenza. E nonsolo writing o graffiti, la NeverCrew spazia dalla creazione dispazi artistici alla grafica, dal webdesign alla video art. Un connubiodi arte e sensazioni che rendonounici Pablo e Christian. Per farsiun’idea della bravura dei due wri-ters nostrani basta spingersi fino al-lo Skate Park di Lugano o visitare glistudi di Rete Tre a Besso completa-mente ridisegnati da loro.Spiegare dove sta il confine tra giu-sto e sbagliato nel mondo dei graf-fiti non è così semplice; se la forzareazionaria di quest’arte nasce eresta legata a un gesto di ribellionealle regole della società, è pur ve-ro però, che si può riuscire a inca-nalare questa rabbia artistica instrutture che ne incoraggino la cre-scita e la valorizzino, e in questamaniera trovare un ottimo compro-messo. t

Nuove Tendenze

Le copertine dei vinili: opere divenute immortaliu La musica è l’unica forma d’arte in cuil’udito è il senso principale. L’ascolto è un’at-tività totalmente immersiva, non si può smet-tere fisicamente di sentire, a differenza delvedere per cui basta chiudere gli occhi.Questa caratteristica era utile ai nostri an-tenati quanto a noi per percepire i perico-li, ma il solo suono senza il canale visivo,non permette di ricostruire la totalità del con-testo e ci porta a smarrire parte del senso.Così avviene un’unione. La musica si legò indissolubilmente all’im-magine con l’arrivo del disco in vinile, ilquale formato fece fiorire le fervide mentidi artisti e fotografi.Le cover raffiguravano gruppi musicali, fo-tografie, disegni, contenevano i testi deibrani e si era trasportati in un mondo, do-ve il suono era sostenuto dall’immagine e inqualche modo creavano senso. Molti artisti attraverso le copertine dei 33gi-ri, hanno dato una svolta alle loro carriere. Ian McMillan, nome ignoto, grazie allo

scatto dei quattro Beatles che attraversanola strada ad Abbey Road, intricò ulterior-mente la leggenda della morte di Paul Mc-Cartney e furono vendute un sacco di copiedell’ultimo album del gruppo.Caesar Monti diventò uno dei più cono-

sciuti fotografi italiani col-laborando con Lucio Bat-tisti e molti altri artisti.Celebre è la banana diAndy Warhol disegnatasulla copertina di The Vel-vet Undergroud and Ni-co.La rivista Rolling Stone hastilato nel lontano 1991una classifica delle 100migliori cover album: sulpodio al primo e al ter-

zo posto ci sono i Beatles con Sgt. Pepper’sLonely Hearts Club Band e The Beatles (Whi-te album) mentre altre classifiche citano Re-volver. Secondi i Sex Pistols con la coperti-

na di Never Mind the Bollocks Here’s theSex Pistols, quelle seguenti sono ancora piùbelle.Poi arrivò il CD e la fantasia degli artisti siassopì. Il formato piccolo piaceva solo al-le industrie discografiche e le cover diven-nero presto delle trascurabili fotocopie rim-picciolite.Oggi la musica è digitale, si scarica ille-galmente o legalmente se preferite, e il no-do all’immagine si è allentato, per evolver-si nel video clip che si può considerare unaforma d’arte. Michel Gondry nel 2009 hacreato una lista dei 25 migliori video mu-sicali, ma è rimasto molto ancorato ai miti-ci anni ‘80 e ‘90 dimenticando l’attualità.Queste sono solo liste, niente a che farecon una bella copertina. Le vie dell’arte so-no infinite sebbene siano sempre più na-scoste dagli abomini dei tempi che corrono,godiamoci le rare bellezze di questo paz-zo mondo e impariamo a stupirci! t

Enza Di Santo

u La città di Lugano racchiude unfascino misterioso che ha ispiratonel corso della storia, con il suo pae-saggio unico, poeti, pittori e scrit-tori provenienti da tutto il mondo,diventando il soggetto stesso delleloro opere.Durante i primi decenni dell’800,il poeta inglese William Word-sworth si reca per la prima volta sul-le sponde del Lago di Lugano incompagnia della moglie e della so-rella durante una tappa del suo lun-go viaggio in Europa.Il paesaggio ticinese colpisce im-mediatamente la sensibilità di Word-sworth, che in pochi giorni visita tut-te le mete che toccano la sua im-maginazione, come il monte SanSalvatore, al quale il poeta dedicasuccessivamente la poesia «The chur-ch of San Salvador seen from theLake of Lugano».Nella poesia, il poeta rimane im-pressionato dalla «splendida ferti-lità, dalla ricchezza dei boschi edalla stupefacente acqua racchiu-sa dalle sponde del lago intenta aconfondersi con il cielo», nonchédalla visione delle Alpi, le «più altee audaci» da lui mai viste.Nel 1820 Wordsworth componela poesia «The eclipse of the sun»,nella quale osserva il processo dioscuramento del cielo su di una Lu-

gano sonnolenta, «dove il sole di-segnava i contorni delle ville, le sueterrazze e le sue torri, gli oliveti di Al-bogasio e il campo verdeggiantedi Porlezza».La Svizzera italiana è stata nel cor-so della storia una terra di rifugioper molti reietti italiani ed europeiche tentavano di sfuggire dai loropaesi di origine, devastati dalle guer-re o dai regimi. Per qualcuno Luga-no è stata una città di passaggio,per altri è stata la città che li ha ac-colti per tutta la vita. È il caso del premioNobel Herman Hes-se che è stato resi-dente della Svizze-ra italiana per oltre40 anni, a partiredal periodo dellaprima Guerra Mon-diale. Hesse riescea trovare nella suadimora di Monta-gnola una dimensione di pace ovat-tata, dedicandosi alla pittura oltreche alla scrittura e riuscendo anchea sottrarsi alle pressioni dei nazistiche volevano riportarlo in Germa-nia, insieme ad altri intellettuali, persostenere la propaganda di regi-me. Il paesaggio luganese è statoimpresso da Hesse in acquarello sutela, raffigurando scorci paesaggi-

stici di Lugano e dintor-ni riconducibili ad unostile espressionista per

la particolare ricerca del colore eper le linee poco definite. Già nel-l’Ottocento, il pittore Richard Parkesdipinse con tutt’altro approccio, uti-lizzando tenui colori ad olio, lo stes-so scorcio luganese. Coloro che invece hanno vissuto Lu-gano frugalmente, nel passaggioobbligato verso altre terre, o chesono stati costretti a lasciare la città

per cause politiche, hanno trasmessoalle loro opere un sentimento alter-nato di gratitudine e malinconia.Nel 1985 giunge dall’Italia un ri-voluzionario italiano, Pietro Gori,costretto a scappare a Lugano perl’accusa di capeggiare una violen-ta organizzazione anarchica. Il suo soggiorno luganese dura so-lo un anno: viene presto catturatodalla polizia italiana che lo rin-chiude in prigione. È proprio du-rante il carcere che Gori compone

la celebre «Addio a Lugano», can-zone nostalgica di denuncia socialee di attaccamento alla città che hasaputo riaccendere gli animi deglianarchici italiani in prigione: «ad-dio Lugano bella, o dolce terra pia,scacciati senza colpa, gli anarchi-ci van via [..] Addio cari compa-gni, amici luganesi, addio bianchedi neve montagne ticinesi, i cava-lieri erranti son trascinati al nord. Epartono cantando con la speranzain cuor».

Nel 1977 anche il cantautoreabruzzese Ivan Graziani fa di Lu-gano il soggetto di una sua canzo-ne: racconta di una donna dai «ca-pelli fermi come il lago» che cantaLugano addio rievocando nostalgi-camente la frontiera, il lago, i con-trabbandieri.Nella letteratura, Lugano compareda protagonista nel breve roman-zo breve di Hesse L’ultima estate diKlingsor, racconto di un uomo chevive a Lugano l’ultima estate primadi morire, tra momenti di dolce tre-gua e confusi presagi di morte.È incantevole leggere i passaggidescrittivi del romanzo che rimar-ranno indissolubilmente legati allacittà: «Nei giorni di calura, pas-seggiavo per i villaggi e i boschi dicastagni, sedevo sulla seggiola pie-ghevole e, con i colori ad acqua,tentavo di preservare qualcosa delfluttuante incanto [..]».È incantevole ancor di più pensa-re come una città possa attraver-sare i secoli rimanendo sostan-zialmente immutata, come i laghi ele montagne siano ancora gli stes-si che hanno guardato grandi per-sonaggi, che gli alberi più vecchiattorno a noi abbiano fatto respi-rare tutti quelli che sono passati daqui. t

Eleonora Biondi

Lugano Musa ispiratrice nella storiaCantautori, poeti e pittori si sono lasciati incantare dalla città

La Nevercrew composta da PabloTogni e Christian Rebecchi. A destralo skatepark di Lugano.

A sinistra, Ivan Graziani sulla copertina del suo album. Sopra, la veduta sul Monte San Salvatore eHermann Hesse fotografato al Monte Verità.

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u In tempo di elezioni é sempre in-teressante dare un'occhiata alle li-ste e ai programmi dei vari partitiin corsa. Ci si rende subito contoche una buona parte delle compa-gini nei loro programmi danno par-ticolare importanza alle proposteconcernenti i giovani.Ma scorrendo le liste ci si nota un fat-to: la mancanza, soprattutto in al-cuni partiti, di giovani candidati chepossono proporre politiche giova-nili laddove vengono decise, ovve-ro in parlamento.Per queste elezioni cantonali vi éuna percentuale del 9,91 % di can-didati nella fascia d'età 18-25(escluso partito scendiamo già al6,74 %), di certo migliore rispettoal 6,05 % del 2007 (che era mol-to simile al dato del 2003, circa il6%), ma sempre ben lontano dal13 % che la popolazione giovani-le rappresenta fra gli elettori.Inoltre la situazione peggiora im-mediatamente quando parliamo dieletti in Gran Consiglio, in questocaso passiamo a nessuno nel 2003,ed a 2 (su 90) nel 2007.Resta ancora da capire quali sianole cause di questa situazione. Si trat-ta di una mancanza d'interesse daparte dei giovani nei confronti diuna politica che vedono con di-stanza oppure la causa è l'assenzadi strumenti utili ad avvicinare la gio-ventù al mondo politico, come adesempio l'offerta di spazi dedicati al-la discussione nelle scuole?Probabilmente é vero che vi é an-che un problema culturale di fondo,infatti oggi una parte dei giovanipreferisce occupare il suo tempo inaltre attività. Osservando però quel10 % di giovani che si mettono adisposizione come candidati, forsenon é vero che fra i giovani non visono più interessati.A mio avviso, i motivi principali del-la sottorappresentanza giovanile inparlamento sono piuttosto da ricer-care in una mancanza di fiducianei confronti dei giovani, parzial-mente dovuta alla loro inesperien-za, e altresì alle difficoltà spessoanche di carattere economico le-gate ai costi delle campagne elet-

torali, che precludono le possibilitàdi successo ad un giovane candi-dato.Va inoltre sottolineato che uno deimotivi che spingono una parte deigiovani a non interessarsi alla poli-tica é il fatto che essi svolgono gli stu-di fuori dal proprio Cantone, e chesolo al rientro dagli stessi una voltastabilizzatasi la loro situazione eco-nomica e famigliare iniziano a par-tecipare attivamente al mondo po-litico.Guardando gli altri Cantoni la si-tuazione non pare migliore, mentrea livello federale é addirittura peg-giore: non vi é nessuno al di sottodei 25 anni (il più giovane ha 28anni).Comunque, col passare degli annisi riscontra un progressivo miglio-ramento almeno a livello di canditatie quindi di partecipazione giova-nile al mondo politico.Dal mio punto di vista l'apporto chei giovani possono portare alla de-mocrazia, non può essere che po-sitivo, poiché potrà renderli gli stes-si più responsabili, li coinvolgerà inquelle che hanno un impatto fon-damentale sul loro futuro, e proba-bilmente potrà portare un aria dicambiamento in mondo spesso sta-tico come quello parlamentare. t

Evaristo Roncelli

Cara politica...... dove sono i giovani?

u Si è conclusa quella che possia-mo già indicare come la prima edi-zione di «LuMi - Per Voce Sola», or-ganizzata di concerto dall’Istitutodi Studi Italiani dell’USI, dai Frigo-riferi Milanesi e dal Dicastero Gio-vani ed Eventi della Città di Luga-no. Il Kohlaas di Marco Baliani, il trit-tico Passioni e contemplazioni del-la giovane pianista Edna Stern, gliEsercizi spirituali della danzatriceCaterina Sagna, i cunti di MimmoCuticchio: quattro spettacoli che,secondo le testimonianze di chi hapartecipato, hanno trasformato divolta in volta il modo di essere spet-tatore. Quattro artisti che hanno sa-puto convocarci a un nuovo sguar-do, a un nuovo ascolto, a un’aper-tura all’emozione partecipata, sen-za «pareti».Con «Per Voce Sola» si è potutorinnovare l’interrogativo sulla scel-ta e sul senso della modalità poe-tica e drammaturgica dell’assolo,spesso meramente assunta per ov-viare a restrizioni economiche, persottrarsi all’impegno dell’organiz-zazione dei corpi, delle voci, ecc.Baliani, Stern, Sagna e Cuticchiohanno invece mostrato come lo sta-re soli in scena «performi» innan-zitutto un’assunzione di responsa-bilità dell’individuo: catalizzare losguardo e l’attenzione senza er-

gersi a exemplum autoritario di so-lista che prescrive l’ascolto o la vi-sione senza dialogo, ma richia-mando noi spettatori alla riflessio-ne, ponendo domande, coinvol-gendoci attraverso le energie deicorpi, delle voci, in reciproco con-tinuo scambio. Come non ricordare, emblema diquesta esperienza condivisa, quan-do Edna Stern, il 19 novembre scor-so, dopo aver suonato il «pro-gramma» delle sue «Passioni e con-templazioni», ha regalato un’altramezz’ora di musica, rivolgendosidirettamente al pubblico, assecon-

dando le emozioni che si erano in-crociate in sala. Così, appare evi-dente come in quella terza voce,quella che nasce dal dialogo trascena e spettatori nello scambioemotivo, possa condensarsi dav-vero l’esperienza dell’intera rasse-gna: la possibilità di sentire nuovevoci attraverso altre voci. Nel dia-logo artistico dell’emozione, in in-calcolabile divenire, gratuito, cuiperformer e spettatori si abbando-nano, si crea l’impensato spazioper l’inascoltato, l’inespresso e l’i-nesprimibile – come se il titolo po-tesse, infine, mutare da sé in «Per

dare voce a una voce sola», per im-parare a sentire anche i volumi piùbassi, modulando i nostri. «Per Voce Sola» è stata anche un’oc-casione unica per incontrare i quat-tro artisti, conoscere le loro storiepersonali nello stretto legame tra vi-ta e professione (il conflittuale tra-mandarsi di un’eredità culturale eaffettiva per Mimmo Cuticchio), isegreti del mestiere teatrale (Balia-ni nello «smontaggio» del suo Koh-laas lo scorso febbraio), per inter-rogarli sull’essenza della loro arte(«l’armonie du contraste» secondoEdna Stern), sulle contraddizioni di

una tradizione (superare la dualitàanima-interiorità vs corpo-esterioritànella creazione coreografica perSagna).Dall’esercizio del silenzio gestualee dalla profondità degli spazi inte-riori di Sagna-Loyola, attraverso ipianissimo, «sottovoce», di Stern-Schumann, ai gesti ampi e agli spa-zi dilatati dalla voce e dagli sguar-di di Kohlaas-Baliani, fino al so-vrapporsi delle voci secolari e del-le umane storie di guerra di cavalierinarrate da Mimmo Cuticchio, chenell’ultima serata di «Per Voce So-la», interrompendo il suo cuntu su

Garibaldi e la battaglia di Palermocon la tipica formula «adesso non hotempo, il resto lo racconto un’altravolta», ci ha proiettato verso la pros-sima edizione.Così attendiamo di sentire nuova-mente il piede battere forte sul le-gno del palco perché «ricuminci»l’emozione, prima di tutto quella del-l’esperienza di essere lì a teatro,presenti, disarmati, insieme: «…que-ste energie, che assumono la formadella resistenza individuale, non so-no affatto, in se stesse, di natura pu-ramente individuale». t

Melissa Melpignano

Per Voce Sola Sottovoce, sentireQuattro artisti hanno illuminato la prima edizione di LuMi

«Smart Cities»Le città si fanno intelligentiTrarre vantaggio dalla tecnologia e fornire ai cittadini e alle im-prese un posto migliore e più intelligente in cui vivere: questo si-gnifica essere una Smart City. Attraverso sensori distribuiti sulterritorio, collegati tra loro, vengono raccolti innumerevoli dati am-bientali e trasferiti via web su portali internet e su mobile. Loscopo? Rendere la città in grado di rilevare e reagire in tempo rea-le a potenziali pro-blemi energetici eambientali.Ne par-liamo con unesperto, il Dott.Maurizio Savioli,COO presso l’a-zienda ENVEVE lacui mission quoti-diana è prendersicura dello stato disalute dell’am-biente facendo af-fidamento a tecno-logie sempre piùavanzate.

getici, la gestione della rete elettri-ca e tutela il territorio e l’ambientecircostante come boschi, monta-gne, fiumi, bacini artificiali e dighe. Inoltre, è caratterizzata dalla pre-senza di amministrazioni pubbli-che che hanno colto l’importanzafondamentale dell’utilizzo di tec-nologie innovative per la prote-zione dell’ambiente, con l’obiettivodi sviluppare dei modelli virtuosi digestione delle risorse e degli spre-chi».Quali città europee si stannoimpegnando nel diventareSmart? «Sono molte le città che stanno pren-dendo a cuore i problemi ambien-tali. In Italia Torino, Trento, Bari, Ber-gamo e Imperia sono tra le più atti-ve in tal senso, nel resto dell’Euro-pa spiccano invece Copenhagen,Monaco ed Edimburgo.Imperia, per esempio, sfruttando lanostra tecnologia ha istallato un si-stema integrato di monitoraggio del-l’elettrosmog, fireless e floodalert.Inoltre, il Politecnico di Torino haadottato un sistema di risparmio ener-getico per ridurre del 30% il costoannuo delle Utilities grazie ad un’ap-plicazione che, studiando diversevariabili ambientali, permette di ca-pire attraverso un software di ge-stione se e quando operare su illu-

minazione, arieggiamento dei lo-cali e riscaldamento per ottimizzarei consumi energetici.La città di Atene invece è ricorsa adun sistema che monitora il livello del-le vasche di raccolta dei liquamisparse lungo la costa cittadina ilquale invia un allarme in tempo rea-le in caso di scarico in mare».Quali sono gli ostacoli alla rea-lizzazione di una città virtua-le? Secondo lei sono superabi-li?«Il limite, che si traduce in una sfida,è mettere a conoscenza le pubbli-che amministrazioni e i cittadini del-la possibilità di migliorare la qualitàdella vita grazie all’utilizzo del webe delle nuove tecnologie, anche seinvestimenti in questo settore nonsono percepiti come una priorità. Nonostante ciò siamo molto fidu-ciosi: oggi esiste un nuovo orien-tamento europeo sulle Smart Citiese sono previsti nel breve terminemolteplici finanziamenti per la pro-mozione di progetti sul tema. Nona caso workshop e convegni si stan-no moltiplicando in tutta Europa.Tutto ciò credo favorirà notevolmentel’apertura alla realizzazione di pro-getti Smart, portando le PA allagrande innovazione di domani: leSmart cities». t

Irene Rivolta

u L’inverno per noi sta finendo, ma io non rie-sco a dimenticare l’immagine di un vaporettoche sbuffa nella sera con a bordo ormai solo dueragazzi della mia età che vanno verso il loro fu-turo in una laguna veneta fredda, bagnata e im-

mersa nella nebbia, mi-steriosa, ma romantica,si sa. È il novembre del1999, il primo di dieciinverni dolceamari.Una casetta sganghera-ta, piena di spifferi e pie-na di vita è il punto d’ini-zio di un’inconsapevole(rin)corsa all’amore e neè anche il traguardo; unbarchino giallo è uno deimezzi per rincorrere que-st’amore.?La storia si di-pana attraverso le pa-role di due giovani, Ca-milla e Silvestro, lei in-

troversa e studiosa, lui allegro e sfacciato. Ve-nezia e Mosca sono teatro dei loro incontri vo-luti dal caso e forse non solo, chissà. Sconosciuti,confidenti, distaccati, innamorati, lontani, mapur sempre coinvolti in una sorta di mulinello chegira, gira fino a farli coincidere. Quanto ci vuo-le per accorgersi di essere innamorati? A voltesiamo lenti come le lumache che Silvestro alle-va. «Una chiocciola percorre in media 5-6 cmall’ora. Per fare il giro di Venezia impieghereb-be circa dieci anni».Questo racconto è per chi, come me, pensa chesolo nei romanzi e al cinema i belli di turno si av-vistano e si innamorano al primo sguardo e lapassione travolgente li guida subito l’uno versol’altra: è un libro che apre degli squarci da cuisbirciare la vita di due ragazzi normali, che sba-gliano, che non sono perfetti né bellissimi, chehanno paure, indecisioni, che crescono e cam-biano, non sempre in meglio, che non si perdo-no mai completamente, ma che neppure rie-scono a ritrovarsi completamente, almeno fino

all’ultima pagina.Lo si legge in un po-meriggio e si restaintrappolati in un’at-mosfera un po’ ma-gica e sospesa, do-ve non tutto è pre-determinato, pro-prio come nella vita vera. A volte le circostanzesono imprevisti, da ognuno temuti e desiderati,che deviano il corso della nostra vita. Solo leg-gendo (solo vivendo) scopriamo l’epilogo del-la storia, la nuova via intrapresa.?Ogni invernoscorre sotto i nostri occhi originale, unico, in unostile leggero, incalzante, fatto di pause e acce-lerazioni che non lasciano mai delusi. Strano adirsi, questo libro trae spunto dal film, non vice-versa come solitamente accade, eppure risulta,ancora una volta, più avvincente, perché lasciaa me, a te lettore, la libertà d’immaginarti la Ca-milla, il Silvestro, la Venezia e l’amore che pre-ferisci. Anna Piccoli

La recensione vincitrice di questo mese

Autore: Mieli ValerioEditore: Rizzoli, Pagine: 205

u L’espressione Smart Cityoggi è sempre più diffusa.Ma cosa rende una cittàdavvero Smart?

«Una Smart City innanzitutto affrontain maniera più intelligente aspettidi estrema rilevanza quali l’inqui-namento, il traffico, gli sprechi ener-

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Lo scorso 21 febbraio è sbar-cato in Ticino il nuovo promet-tente social network made inSwitzerland: Ucalenda.com, sitratta di una community che col-lega i calendari delle Univer-sità nazionali e quindi degli stu-denti stessi. A due mesi dal suoarrivo in Ticino, L’universo haavuto il piacere di fare duechiacchiere con gli esponenti delprogetto.

u Ucalenda, un nome par-ticolare per un'idea genialecon un forte potenziale disuccesso. Chi è la mente ecome e quando è nato il pro-getto?«Il nostro nome, in base alle parolelatine “universitas Calendae”, riflet-te come il calendario è il nostro co-re. Fin dall'inizio, Ucalenda è statoconcepito come il primo calenda-rio globale per la comunità univer-sitaria.Due anni fa, Raphaël Héraïef, unostudente dell'Università di Losanna,ha rilevato una mancanza di infor-mazioni complete riguardanti la vi-ta universitaria e mezzi inadeguatiper la comunicazione tra i membridella comunità universitaria. Per-tanto, nel 2009, decise che era ilmomento di creare uno strumentoche potesse ottimizzare il tempo deimembri della comunità universita-ria».Dietro ad un grande progetto, cisono grandi obiettivi. Quali so-no per Ucalenda?«Ucalenda mira ad essere il leadermondiale dei calendari communityper gli studenti e le loro Università.Questo è un grande compito checercheremo di realizzare con lacreazione di un ambiente di scam-bio di informazioni affidabili con unvero spirito di comunità universita-ria.Ucalenda riesce a cogliere le esi-genze degli studenti, perché siamonoi stessi studenti. Pertanto, siamoorientati verso l'offerta continua dinuovi vantaggi perché evolviamoinsieme con la comunità.Ci piace dire che è Ucalenda Uni-

Il social network che unisce tutte le università Un calendario virtuale riporta gli eventi organizzati dagli atenei della Svizzera

TecnologieTecnologieTi è mai capitato di lavorare di fronte a un computer e viveremomenti di frustrazione non capendo il funzionamento di unprogramma o perché questo non faceva il suo dovere? Pur-troppo, spesso è proprio il creatore del programma che in-consciamente può renderti la vita più difficile. Colui che pro-gramma, fiero della sua opera, si perde in mille idee su comeaggiungere funzionalità all'applicazione. L'errore nel qualespesso incorre, sta proprio nell’aggiungere continuamentenuove funzionalità, senza però porsi la questione della veranecessità.E così ci ritroviamo di fronte a una schermata piena di bottonie opzioni delle quali non comprendiamo nemmeno il senso!Ci chiediamo il motivo di tante funzionalità. Queste estensio-ni lo rendono di fatto più pesante e prolungano i tempi di ca-ricamento, bloccando l'intero sistema e facendo perdere tem-po prezioso e documenti importanti. Sorgono poi incom-prensioni, che si accumulano in frustrazione e stress.A mio avviso uno dei problemi è la differenza tra gli obiettividei programmatori e quelli dei fruitori. Da un lato troviamo in-dividui appassionati che vogliono creare nuove funzionalità,mentre dall'altro c’è una persona indaffarata che vuole por-

tare a termine un buon lavoro con efficienza. Funzionalità ecreatività da una parte, semplicità ed efficienza dall'altra.Non è quindi colpa dell’utente che non capisce il funziona-mento di un programma, ma è il programma stesso a essereimmaturo e ad avere un margine di perfezionamento.Per fare dei miglioramenti ci vorrebbero dei professionisti cheda una parte capiscono il mondo dei programmatori, mentredall'altra si occupano di rendere i programmi il più conforte-voli e agevoli possibile per l’utenza. Una perfetta conoscen-za delle esigenze dell'utente è d'obbligo! In poche parole, sicrea il bisogno di avere un tramite che favorisca l’equilibrio trai due poli. Se nel mondo dell'informatica volessimo migliora-re in questo senso, in futuro, per ogni programma in proget-tazione, dovrà esserci un team o almeno un responsabile chesi dedichi a questo equilibrio. Ricordati, quindi, caro lettore,che quando ti arrabbi di fronte al computer, non è soltanto col-pa tua. Il prodotto che stai utilizzando è probabilmente ancoraimmaturo e necessita ancora tempo e qualche ritocco affin-ché tu ti possa abituare al gusto acerbo del programma, op-pure, con un po' di pazienza e qualche aggiornamento, saràil programma a diventare più dolce. Oe.

La mela aspra e il cacciavite senza manico

versity 3.0: un nuovo spazio, pie-no di possibilità, dove tutti i mem-bri della comunità universitaria pos-sono interagire sinergicamente».Ucalenda e Facebook, un So-cial Network nascente e un So-cial Network dal successo af-fermato. Quali i timori e quali irischi?«Non dobbiamo essere considera-ti solo come una rete sociale, mapiuttosto come uno strumento per ot-timizzare il tempo dei membri dellecomunità universitarie. Ucalenda èl'unico calendario per gli eventi uni-versitari, sia accademici sia inerentiil tempo libero. Quindi non abbia-mo concorrenti diretti e non abbia-mo paura perché siamo un gruppodi amici che forniscono un servizioper la comunità universitaria di cuisiamo parte. I rischi? Probabilmen-te il rischio principale è di perderealcuni degli entusiasmi che abbiamoverso Ucalenda».Su Ucalenda è possibile colle-garsi con un account Facebook,

ma per quanto ri-guarda gli eventi, perche cosa si differenziaUcalenda da Face-book?«Sì, quando gli utenticreano il loro profilo Uca-lenda possono facilmen-te importare i contatti daFacebook e dall’accountdi posta elettronica. Que-sta è solo una delle ca-ratteristiche del nostro si-to, il quale è stato svilup-pato con le tecnologiepiù avanzate, tra cuiHTML5. Ucalenda puògestire un numero illimi-tato di università e di uten-ti.In relazione alle differenze con Fa-cebook, come ho detto prima, noisiamo molto più di un social networkper gli studenti. Vi offriamo tutte le ca-ratteristiche che gli utenti danno perscontato sui social network e, inoltre,abbiamo un sito per ciascuna uni-

versità nella propria lingua, fuso ora-rio, calendario degli eventi, albume barra di ricerca, pur mantenendola possibilità d'interazione tra il di-versi siti.Facebook si basa su rapporti vaghie superficiali tra le persone. Men-

tre noi siamo il primo verocalendario comunitario perla vita universitaria. Il ca-lendario è il nostro nucleoinequivocabile e le univer-sità sono il nostro ambiente.Dal 21 febbraio 2011,Ucalenda è accessibile an-che agli studenti Ticinesi chehanno accolto calorosa-mente la novità. Le altre re-gioni attive della Svizzerasono: Friborgo, Ginevra,Neuchatel, Vaud. Quali so-no le prossime mete geo-grafiche di questa piat-taforma? Saranno esclusi-vamente nazionali oppure sisconfinerà a livello interna-zionale?

Ucalenda è un'idea svizzera, manon ha frontiere. Miriamo a essereil calendario universitario a livellomondiale e per far ciò è necessa-rio espandersi a livello internazio-nale. Siamo già in fase di sviluppo in al-

tri paesi europei, come Spagna, Por-togallo, Francia e Italia. L'universitàè una istituzione diffusa in tutto il mon-do e noi abbiamo intenzione di for-nire un terreno comune dove le as-sociazioni accademiche, gli studentie le istituzioni accademiche si riuni-ranno su scala globale.Passiamo ai fatti: quanto suc-cesso ha ottenuto finora Uca-lenda e che cosa vi aspettateper il futuro da questa piat-taforma?Ucalenda si sta sviluppando soli-damente in tutta la Svizzera. I risul-tati di un sondaggio condotto pres-so le Università della Svizzera ro-manda hanno mostrato che circa il70% degli studenti ha visitato Uca-lenda.com, e il 98% di essi ha ap-prezzato la buona qualità del ser-vizio e lo hanno caldamente rac-comandato ad altri utenti. Infine nel-l’anno accademico 2009-2010 ab-biamo avuto un tasso di crescita del300%. t

Nadia Lischer

u Come nasce lo SkateparkVanja? Perché proprio uno Ska-tepark?«Lo Skatepark Vanja nasce graziead un gruppo di ragazzi che in me-moria del loro amico Vanja,mortonel 2004 in un incidente stradale,decidono di creare un luogo dovepoter esprimere liberamente la loroarte in movimento, ovvero lo skate-board. Spinti dalla voglia di tra-sformare in realtà il grande sogno diVanja, nel 2008, grazie all'aiutoed alla perseveranza di suo fratelloIgor (presidente dello Skatepark ) edi sua madre Dragana, nasce l'As-sociazione Skatepark CopertoVanja. Il 25 luglio 2009 invece,dopo il superamento di vari osta-coli, viene finalmente inaugurato ilprimo Skatepark Coperto in Ticino».

Quale è il messaggio che vole-te lanciare?«Grazie a questo Skatepark, Vanjavive ancora! I nostri giovani hannoveramente bisogno di avere un taleluogo, dove poter passare il lorotempo libero, skateando o standoin compagnia, dove ognuno è il

Uno skatepark per ricordare Vanja«Vogliamo regalare positività ed entusiasmo ai nostri giovani»È sempre straordinario osservare come anche da una tragedia puòemergere qualcosa di positivo. C’è chi si arrende al dolore lace-rante e non trova più ragione di vita. Poi ci sono delle persone spe-ciali che grazie alla loro determinazione e al loro coraggio trovanola forza per reagire, per fare nascere un fiore laddove non sem-brava più possibile. Lo Skatepark Coperto Vanja di Riazzino ap-partiene proprio a questa categoria di eventi straordinari. At-traverso alcune domande ai responsabili dell’associazione ab-biamo provato a capire da dove nasce questa forza speciale cheha spinto tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazionedella struttura a non mollare mai, neanche nei momenti più dif-ficili, in nome di un ragazzo scomparso troppo presto e che og-gi rivive grazie a loro.

protagonista, dove si danno ap-puntamento per vivere le loro pas-sioni e scambiarsi delle emozioniautentiche».Avete creato questa infrastrut-tura partendo da zero: quali so-no state le difficoltà, e cosa viha spinto ad andare avanti nei

momenti difficili?Le difficoltà sono state innumerevo-li, ma le abbiamo superate tutte, af-finché Vanja continuasse a vivere.Quasi nessuno aveva creduto nelnostro progetto, ma il messaggio diforza di volontà era forte e ce l'ab-biamo fatta, convinti che bisogna

credere nei sogni. Ora, purtroppo,abbiamo grosse difficoltà finanzia-rie perciò per mantenere vivo lo Ska-tepark Vanja organizziamo diversieventi, concerti, gare di skate e digraffiti. La spesa maggiore è l'affit-to, abbastanza alto, quindi ogni aiu-to è benvenuto!

Quali sono i vostri progetti, ivostri sogni per il futuro?La nostra più grande speranza èche lo Skatepark Coperto Vanja pos-sa continuare ad esistere, regalan-do positività ed entusiasmo ai no-stri giovani che potranno continua-re ad occupare il loro tempo libe-ro, esprimendo pienamente la pro-pria creatività e la propria espres-sività in prima persona e in modolibero, indipendente e sicuro.Come si può sostenere lo Ska-tepark Vanja?È possibile sostenerci diventando so-cio dell'Associazione o facendo unadonazione, contattando [email protected], oppure partecipan-do alla moltitudine di eventi di variotipo che organizziamo per racco-gliere fondi. Oltre a ciò vi è anche lapossibilità di patrocinare finanzia-riamente una delle rampe o delle strut-ture di cui lo Skatepark è dotato, bat-tezzandole e in tal modo far parte diun’associazione che si rispecchia neinomi delle rampe già acquisite daiprimi sostenitori: Rampa di Vanja,Rampa di Damiano (Tamagni), Ram-pa della Vita, Rampa del Cuore, Ram-pa della Forza, Rampa dell' Alfa eOmega. Ogni nome rappresentauno specchio di Fiducia, di Amiciziae di Amore per la Vita. t

Alessia Bergamaschi

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L’appuntamento è per il 30 apri-le 2011 al Mercato Coperto diMendrisio. Una serata diversa.Un concerto che si propone diriunire artisti emergenti ticinesisullo stesso palco e gridare incoro che i giovani non hanno in-tenzione di stare a guardare unasocietà che sembra non appar-tenere più loro. Facciamo un passo indietro eparliamo del progetto con Mar-co Barzaghini, presidente del-l’associazione «Amici Ticino peril Burundi» e organizzatore del-l’evento.

u Com’è nata questa idea? «È nata dalle molte notizie che com-paiono sui giornali e mostrano solo igiovani violenti in Ticino. Così, assie-me alla Fondazione Damiano Tama-gni, abbiamo voluto dare la possibi-lità ai giovani ticinesi di scrivere unacanzone per lanciare un messaggiodi Pace e non violenza. Per fare vedereche in Ticino non ci sono solo giovaniviolenti.Un concorso musicale quale mez-zo di comunicazione, vi aspetta-vate un riscontro così importante?

Sinceramente no! 51 iscritti sono ve-ramente molti, anzi moltissimi! I testisono fatti bene e con un grande im-pegno! Colgo l’occasione per rin-graziare tutti gli artisti!»Qual è la soddisfazione più gran-de di questi mesi?«Ho incontrato molti giovani conuna grande voglia di fa-re e di aiutare il pros-simo. Molti di lorohanno organizza-to concerti in fa-vore del progettoe ci sosterrannoanche attraversola vendita dei loroCD. Un pensiero specia-le va alla canzone scrit-ta e cantata dai KarmaKrew «Prova a Immaginare»: bandie-ra del concorso e carica di significa-to!»Qualche anticipazione del con-certo?«Il 30 aprile riuniremo sotto lo stessotetto gruppi di vario genere musicalequali Black Water City, Hot Pants XXL,S.O.S., Loloway, Denis Angelucci, Zo-na Sun e New Skills. Una serata che

lancerà un messaggio forte a tutti, ca-rico di speranza e positività. L’inizio èprevisto alle 18.00 con la sigla«What’s up?» composta da un grup-po di 11 ragazzi formatosi in questimesi di lavoro: una vera Squadra del-la pace. Vi aspettiamo numerosi!»

Cosa resterà concretamente diquest’avventura?

«Durante il concerto verràpresentato il cofanettoche comprende sia ilDVD con le 51 can-zoni in gara che il CDcon le 20 tracce piùbelle decise da unagiuria composta da ar-

tisti di casa nostra! La stessa sera partirà da

Mendrisio il nastro della Pa-ce e della non violenza con ap-

pese tutte le foto dei gruppi, passeràpoi nelle scuole ticinesi e le classi po-tranno aggiungere le loro fotografie.L’intento è quello di unire tutti coloroche credono nella Pace! t

Carol Galbusera

Per ulteriori informazioni, domande oidee www.30aprile2011.ch . Ag-giungetevi al coro… mancate solo voi!

La creatività per sconfiggere la violenzaUn concorso musicale dà voce a chi crede nella convivenza pacifica

Notizie flash sulle ricerche universitarie

Un caffé al giorno... e via il medico!Futuro prossimo u

Il caffè: una bevanda dagli effetti discordantiUn recente studio condotto da ricercatoridel National Institute of Environmental Me-dicine del Karolinska Institutet dichiarache bere una tazza di caffè al giorno ri-duce del 25% il rischio nelle donne di in-correre in un ictus. In particolare, il caffèriduce l'infiammazione e migliora la sen-sibilità all'insulina. La ricerca è durata ol-tre un decennio e ha visto coinvolte quasi35 mila donne tra i 49 e gli 83 anni, con-sumatrici o meno di caffè.I risultati hanno evidenziato che un bassoo mancante consumo di caffeina è legatoall’aumento del rischio di ictus nelle don-ne, mentre coloro che bevono una tazzi-na di caffè al giorno hanno un rischio diictus più basso dal 22 al 25%.Tuttavia è ancora presto consigliare unconsumo regolare della bevanda, in quan-to se da un lato gli effetti del caffè sono po-sitivi per prevenire il rischio di cancro alpancreas, al colon, al cervello e alla go-la, dall’altro, dosi inadeguate di caffeinapotrebbero causare effetti negativi sullasalute.Ulteriori informazioni all’indirizzo Internet:http://ki.se/ki/jsp/polopoly.jsp?d=130&a=119115&l=en&newsdep=130.

Cari lettori de L’universo, la rubri-ca “Futuro Prossimo” vi proponeper il mese di marzo tre notizie fla-sh riguardanti cervello, caffè e il no-stro sistema immunitario.Il primo flash riprende uno studiosulla percezione del terzo braccio equindi la possibilità di “illudere” ilcervello umano facendogli credereed accettare l’esistenza di un ulte-riore arto come parte del corpo.Nel secondo flash l’ennesima ricer-ca sul caffè ci svela un altro effettopositivo della caffeina per la salute,questa volta, della donna: riduzio-ne del rischio di ictus.Infine, nel terzo flash un gruppo diricercatori ticinesi ci svela la doppiaidentità dei linfociti T regolatori eapre così una nuova strada per laricerca e lo sviluppo di nuove tera-pie contro le malattie autoimmuni.Per chi lo desiderasse si possonoapprofondire gli argomenti con i ri-spettivi riferimenti al termine deiflash. E ricordatevi che «Futuro Prossimo»è la vostra finestra sul mondo chegira.

a cura di Nadia Lischer

Il cervello e la percezione del terzo braccioUn’équipe dell'Università clinica svedese Ka-rolinska Institutet ha dimostrato che è possi-bile fare in modo che individui sani faccianol'esperienza di avere tre braccia contempo-raneamente grazie ad un’ «illusione». Infat-ti, è stato chiesto ad un gruppo di 154 vo-lontari di sedere a un tavolo con un braccioprotesico verosimile posizionato di fianco alloro braccio destro. I ricercatori hanno quin-di accarezzato la mano destra dei parteci-panti e contemporaneamente la mano di pla-stica con due piccole spazzole in punti omo-loghi provocando un conflitto nel cervello:quali delle due mani destre appartiene al cor-po del soggetto? Si è scoperto così che il cer-vello risponde accettando entrambe le manidestre come parti del corpo permettendo diconseguenza all’individuo di fare esperien-za di un braccio aggiuntivo. Il responsabiledello studio, Henrik Ehrsson dichiara che «infuturo potrebbe essere possibile offrire a unpaziente colpito da ictus, con una parte delcorpo paralizzata, un braccio protesico chepuò essere usato e vissuto come proprio».Ulteriori informazioni all’indirizzo Internet:www.nature.com/neuro/journal/vaop/ncurrent/full/nn.2744.html

La doppia identità dei linfociti T regolatoriIl sistema immunitario deve essere tenuto co-stantemente sotto controllo per evitare un’at-tivazione eccessiva dei globuli bianchi conconseguente sviluppo di malattie autoim-muni. I linfociti T regolatori sono dei globu-li bianchi che hanno effetto di immunosop-pressione, ovvero bloccano l’attivazione deiglobuli bianchi quando questa è eccessiva.Uno studio svolto da un gruppo di ricerca-tori della Svizzera italiana ha però scoper-to che i linfociti T regolatori hanno una dop-pia identità, in quanto possono perdere laloro funzione immunosoppressiva e diven-tare molto pericolosi per la salute.Il team di ricercatori condotto da Fabio Gras-si dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina dell’Università della Svizzera italiana è riuscitoa individuare il recettore presente su questecellule che, in seguito all’attivazione da par-te della molecola adenosina-trifosfato (ATP)presente nei tessuti infiammati, ne determi-na il mutamento in cellule aggressive. Que-sta scoperta sarà utile allo sviluppo di nuo-vi medicinali per le malattie autoimmuni.Ulteriori informazioni all’indirizzo Internet: http://www.irb.ch/index.php?option=com_jresearch&view=researcharea&id=10&task=show&Itemid=108.

Il principee il drago«Avevamo lasciato il nostro cava-liere alle prese con un drago gran-de e grosso. La principessa incar-cerata nella torre del castello dellastrega cattiva gridava e si lamenta-va. L'unico accesso al passaggioper poter arrivare alla torre era cu-stodito dal drago. Infatti il sentieropassava per forza dalla grotta in cuiviveva il bestione e solo uccidendo-lo il cavaliere avrebbe avuto la pos-sibilità di passare. L'entrata della tor-re era protetta da un incantesimo chesono un mago buono poteva scon-figgere.All'improvviso il mago buono, cheaveva la barba lunga e un bastonemagico con il quale lanciava gli in-cantesimi contro le persone cattive,ti ricordi? ecco lui comparve dal bo-sco in sella al suo magnifico caval-lo nero. Gridò “eccomi amico mio”e scagliò degli incantesimi contro ildrago. Dalla grotta che si trovavadietro le spalle della bestia usciro-no allora degli orchi brutti brutti. Congli occhi infuocati e delle asce affi-late come rasoi e cominciarono acolpire il mago. Menomale che ilsuo bastone era fatto del legno piùduro del mondo e quindi lui si pote-va proteggere dai colpi. Il cavalie-re capì che quello era il momentobuono per colpire il drago, che eradistratto dal tutto quel casino. Salìin groppa al suo destriero e con lasua lancia partì alla carica. Il dra-go che non si era accorto perchéstava seguendo il combattimentodei suoi alleati, vide il cavaliere so-lo all'ultimo momento e non ebbe iltempo di scansarsi. La lancia si con-ficcò proprio nel cuore. Gli orchi al-la vista della morte del drago fug-girono nel bosco spaventati.La strega cattiva, che aveva assisti-to alla battaglia si spaventò quan-do vide il cavaliere e il mago ca-valcare verso di lei. Sapeva benis-simo che non avrebbe potuto vin-cere contro la loro potenza. Rac-colse quindi le sue cose, salì in grop-pa alla sua scopa volante e volò via,lontano lontano, per non tornaremai più. La principessa fu così libe-ra perché l'incantesimo era statosconfitto. Il cavaliere, che come saiera anche un principe molto bello,coi capelli biondi, assomigliava unpo' allo zio, ecco lui prese in brac-cio la principessa, tornarono ne suoregno, si sposarono e vissero tutti fe-lici e contenti.»Il bambino, terminato il racconto,strinse la mano malata del padre. Ilrespiro affannoso si sentiva già datempo, segno che la sua mente ave-va cominciato a vagare nel mondodei sogni già da tempo. Il ricordodei bei tempi passati, quando era ilbambino ad addormentarsi con que-ste fiabe era ancora ben presentenella mente del genitore. Un giornosarà ancora così. Luca Cetti

l’AngolodiAmleto

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uÈ tutto made in Rete Tre il ge-niale ed innovativo «Yes SheCan», programma radiofonicodel sabato mattina condotto daCarlotta «Charlie» Gallino as-sieme al suo team tutto di rosa ve-stito. Yes She Can non si pro-pone come il solito programmatagliato e cucito sull’ascoltatoretipo ma prova a scardinare unparadigma tanto obsoleto quan-to bigotto, dando la parola alledonne su argomenti di mecca-nica, bricolage, lavoretti fai date, tinteggiatura e tutte quelle pra-tiche universalmente associateall’universo maschile. La sfida ègrande ma l’atteggiamento èquello giusto: non si pretende diinsegnare la tecnica perfetta, sicerca di trasmettere più sicurez-za alle donne e di rimarcare l’i-dea che non esistono confini net-ti tra i due sessi, che gli uominiposso occuparsi di cucina men-tre le donne lavorano con viti,

dadi e bulloni giù nel garage.Alla fine, qual è se non questo lospirito dei nostri tempi? La trasmissione è condotta confreschezza ed ironia, prendespunto da racconti di storie per-sonali coinvolgendo gli inter-locutori comuni, anche i piùgiovani; queste sono le moti-vazioni che hanno indotto lagiuria a conferire a Yes SheCan il premio Ermiza, nel-l’ambito delle pari opportunitànei media radio e TV dellaSvizzera italiana.E che dire donne..viva le bru-gole! t

Eleonora Biondi

Con Rete Tre, the women can!