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1 Progetto FAD CIC LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE COMPLICANZE IN CHIRURGIA PARODONTALE Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) Autori della Revisione della Letteratura: Carlo Clauser, Claudia Dellavia, Carlo Ghezzi, Silvia Masiero, Fabio Vignoletti Progetto coordinato da: Claudia Dellavia

LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE COMPLICANZE IN ... · COMPLICANZE IN CHIRURGIA PARODONTALE Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) ... (Hellstein et al. 2011)

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Progetto FAD CIC

LA PREVENZIONE E LA GESTIONE DELLE

COMPLICANZE IN CHIRURGIA PARODONTALE

Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP)

Autori della Revisione della Letteratura:

Carlo Clauser, Claudia Dellavia, Carlo Ghezzi, Silvia Masiero, Fabio

Vignoletti

Progetto coordinato da:

Claudia Dellavia

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Indice

1. Introduzione

2. Inquadramento del paziente nella fase pre-operatoria

2.1. Anamnesi mirata alla chirurgia (in anestesia locale)

2.2. Esame obbiettivo

2.3. Esame radiografico

2.4. Esami di laboratorio

2.5. Esami strumentali

3. Progettazione dell’intervento chirurgico al fine di prevenire l’insorgenza di

possibili complicanze

3.1. Incisioni in chirurgia parodontale

3.2. Lembi in chirurgia parodontale

3.3. Considerazioni sulle strutture anatomiche di interesse per minimizzare i

rischi associati alla chirurgia parodontale

3.4. Norme di base per una corretta e sicura chirurgia parodontale

4. Gestione delle complicanze intervenute nella fase intra e post-operatoria

4.1. Chirurgia mucogengivale

4.2. Chirurgia rigenerativa

4. 3. Chirurgia resettiva

5. Conclusioni

6. Bibliografia

7. Domande

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1. Introduzione

Il paziente che si sottopone ad un intervento di chirurgia parodontale può andare

incontro a complicanze locali e sistemiche, che possono essere prevenute o gestite al

meglio, se la chirurgia viene correttamente pianificata. In particolare, nel periodo pre-

operatorio occorre inquadrare il paziente con un’accurata anamnesi medica e

farmacologica ai fini di intercettare tutti i possibili scenari clinici che possano

controindicare e/o complicare l’intervento. In base alle informazioni raccolte in

questa fase si può progettare la chirurgia in sicurezza tenendo conto delle opportune

precauzioni nella gestione dei pazienti con condizioni sistemiche o in terapia

farmacologica. Di fondamentale importanza è inoltre la conoscenza delle strutture

anatomiche regionali ai fini dell’identificazione della tecnica chirurgica ottimale e

dell’attuazione dell’intervento nel rispetto dei fasci fascolo-nervosi.

In questo progetto saranno quindi illustrati gli aspetti salienti della fase diagnostica,

gli accorgimenti da prendere durante la pianificazione e l’attuazione della chirurgia e

il management delle possibili complicazioni intervenute durante la seduta chirurgica

e nel corso del periodo post-operatorio.

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2. Inquadramento del paziente nella fase pre-operatoria

a cura di Carlo Clauser

Qualsiasi intervento, anche non chirurgico, può mettere a repentaglio la salute o

addirittura la sopravvivenza dei nostri pazienti, in presenza di patologie sistemiche e

in corso di trattamenti farmacologici o assunzione di diverse sostanze.

Non è compito dell’odontoiatra stabilire precise diagnosi mediche, ma è certamente

obbligo dell’odontoiatra identificare i soggetti a rischio di effetti indesiderabili a

seguito della somministrazione dei farmaci e dell’attuazione di procedure di

pertinenza odontoiatrica.

I mezzi per l’identificazione dei pazienti a rischio sono l’anamnesi, l’esame

obbiettivo e gli esami di laboratorio e strumentali.

L’urgenza può obbligarci a intervenire senza attendere gli esami di laboratorio, ma

non ci esime dalla raccolta di un’anamnesi mirata alla chirurgia e cioè a individuare

in ciascun paziente le terapie mediche in corso, gli stili di vita pericolosi, le patologie

in atto. Talvolta un’anamnesi esauriente non può essere raccolta per difetti cognitivi

del paziente o per mancanza di notizie sugli ascendenti: in questi casi è opportuno

annotare il motivo della carenza dei dati raccolti.

Seguiamo qui l’ordine tradizionale (anamnesi, esame obbiettivo, analisi delle

radiografie, esami di laboratorio e strumentali), anche se il percorso diagnostico reale

non è affatto vincolato a questa sequenza.

2.1. Anamnesi mirata alla chirurgia (in anestesia locale)

Non è sufficiente fare tutte le domande rilevanti e annotare eventuali problemi

sanitari: occorre anche dimostrare di aver posto tutte le domande, in particolare

quelle che non hanno messo in evidenza nulla di patologico. Quindi conviene

utilizzare una lista di controllo (checklist) e spuntare ciascuna voce, man mano che si

procede.

Il primo gruppo di domande riguarda direttamente le conseguenze di precedenti

interventi analoghi a quelli in programma. Si domanda quindi se ci sono stati effetti

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indesiderati di precedenti anestesie locali e interventi chirurgici subiti nel cavo orale

(incluse le avulsioni). In particolare si indaga se le anestesie sono state efficaci e se ci

sono state complicanze infettive, emorragiche o allergiche. Il disturbo più

frequentemente riscontrato è la sindrome vaso-vagale al momento dell’iniezione di

anestetico: la contromisura consiste nel rassicurare il paziente e predisporsi a metterlo

in posizione supina non appena si presentano i sintomi; può essere opportuno anche

avvicinare l’ossigeno e applicare il pulsossimetro almeno durante la

somministrazione dell’anestetico.

Poi si domanda se il paziente soffre di dolori del distretto testa-collo. La maggior

parte delle persone oggi dichiara qualche forma di cervicalgia, che può richiedere

attenzione alla disposizione del paziente sulla poltrona durante la chirurgia. Una

storia di dolore cronico, specialmente se localizzato al capo, impone la massima

attenzione alla terapia antalgica perioperatoria.

Le allergie possono determinare l’insorgenza di emergenze mediche gravi, fino al

decesso, anche in soggetti peraltro perfettamente sani. Quindi è della massima

importanza l’identificazione di soggetti potenzialmente allergici alle sostanze che

l’odontoiatra dovrà somministrare, soprattutto quelle per via parenterale. Purtroppo i

test allergici non sono innocui e dunque debbono essere richiesti solo nei casi di

sospetto fondato. Precedenti reazioni allergiche a farmaci o alimenti, specie se in

forma grave, impongono di avere già pronti tutti i farmaci e i dispositivi necessari a

fronteggiare una crisi allergica, tenendo conto del fatto che le reazioni più gravi sono

anche quelle che lasciano meno tempo per intervenire utilmente. Fortunatamente, le

allergie agli anestetici comunemente usati in odontoiatria (amidi) sono rare, anche se

conservanti, stabilizzanti ed eccipienti possono scatenare reazioni allergiche

(Finucane 2003). Da non sottovalutare, per gravità e prevalenza sempre crescente,

l’allergia al lattice (Marcer et al. 2008).

Oltre alle allergie, sono importanti anche alcune intolleranze o idiosincrasie: in

particolare il clavulanato, prezioso inibitore delle ß-lattamasi batteriche, in alcuni

individui scatena un vomito incoercibile poco dopo l’assunzione; più raramente si

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osservano fastidiose reazioni cutanee. Purtroppo l’uso talora sconsiderato degli

antibiotici, e in particolare dell’amoxicillina, ha fatto sì che i batteri produttori di ß-

lattamasi si siano diffusi prima alle vie aeree e ora anche nel cavo orale.

La storia del paziente può dare informazioni su precedenti interventi chirurgici, e

dunque sulle patologie che li hanno resi necessari e sulle eventuali complicanze.

Informazioni fondamentali sono fornite dalle terapie mediche eventualmente in corso

o effettuate di recente, che suggeriscono altre domande sulle patologie che hanno

reso necessarie le cure. Un ruolo particolarmente importante nel trattamento

chirurgico è rivestito dalla gestione del paziente in terapia con antiaggreganti o

anticoagulanti, che spesso impone accertamenti il giorno stesso dell’intervento (tipica

la necessità di disporre del valore di INR della mattina prima di operare pazienti in

cura con dicumarolici) e/o di modificare la terapia medica per poter operare in

sicurezza. Spesso è necessario richiedere la collaborazione del curante, anche se la

sospensione delle terapie antiaggreganti o anticoagulanti in occasione di interventi di

chirurgia stomatologica è diventata una rara eccezione: infatti le emorragie gravi a

seguito di chirurgia poco invasiva sono rare, mentre il rischio cardiovascolare a

seguito della sospensione della terapia è elevato (Nematullah et al. 2009; Pototski &

Amenabar 2007).

Anche i preparati per uso topico sono soggetti ad assorbimento e suscettibili di

causare alterazioni sistemiche: per esempio, gli steroidi possono bloccare l’asse

ipofisi-surrene ed esporre il paziente a rischio di shock in caso di intervento

chirurgico, per mancata increzione di cortisolo in risposta allo stress.

Una classe di farmaci, la cui assunzione anche anni prima può condizionare

importanti scelte terapeutiche, è quella dei bifosfonati e degli altri agenti anti-

riassorbimento osseo, tutti suscettibili di determinare osteonecrosi dei mascellari.

Una storia positiva per l’uso di questi agenti, soprattutto se assunti per motivi

oncologici, richiede attenzione nel porre indicazioni alla chirurgia ed eventualmente

la massima delicatezza nell’operare (Hellstein et al. 2011).

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Una chemioterapia antiblastica in corso, o una radioterapia nel distretto testa-collo,

anche eseguita anni prima, possono condizionare gli esiti di altre terapie invasive,

come la chirurgia parodontale, e specialmente delle terapie rigenerative (Demian et

al. 2014).

Altre informazioni utili possono essere raccolte domandando quali sono i farmaci

antalgici preferiti o più spesso assunti dal singolo paziente: veniamo così a sapere

quali analgesici possono essere assunti senza reazioni avverse, anche nei casi di

allergie a farmaci, e quali sono risultati più efficaci nel singolo paziente. Questo tipo

di informazione risulta particolarmente utile quando il paziente riferisce precedenti

reazioni allergiche a farmaci, ma non è in grado di precisare di quali sostanze si

trattasse. Inoltre, la risposta del paziente permette di selezionare meglio i farmaci

antalgici, dato che i farmaci antalgici più raccomandati per contrastare il dolore

perioperatorio sono i FANS e che nessuna molecola di questa categoria è risultata più

efficace delle altre per tutti i pazienti. Considerazioni analoghe valgono per gli

antibiotici: un paziente che non tollera il clavulanato può di regola assumere

amoxicillina senza effetti indesiderati.

Gli stili di vita influenzano molte patologie orali, dal cancro alla parodontite, e

contribuiscono a determinare l’esito della terapia parodontale (Detels et al. 2004;

Petersen & Ogawa 2012). In particolare il fumo di sigaretta ha un ruolo importante

nell’insorgenza delle parodontiti e condiziona negativamente il risultato della terapia

parodontale, fino a determinare il fallimento delle terapie rigenerative a medio

termine. Alcune sostanze interferiscono con i farmaci usati in odontoiatria: per

esempio, la cocaina predispone a complicanze cardiologiche gravi, fino al decesso, in

concomitanza con la somministrazione di soluzioni anestetiche contenenti adrenalina.

Il paracetamolo scatena più facilmente una necrosi massiva del fegato in un paziente

che consuma quantità eccessive di alcol. Occorre quindi indagare sul consumo di

sigarette, bevande alcoliche, sostanze dopanti o stupefacenti. D’altra parte,

soprattutto nel trattamento degli anziani, sapere che il paziente è in grado di svolgere

attività fisica e non rifugge da attività sociali (anche solo intrafamiliari) rassicura

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l’odontoiatra sulla innocuità della chirurgia anche in un paziente cardiopatico o

potenzialmente depresso (Friedlander & Norman 2002).

Alle pazienti in età fertile va chiesto se c’è rischio che siano in stato interessante al

momento della chirurgia o comunque della somministrazione di farmaci, e se sono al

corrente del fatto che l’assunzione di alcuni farmaci, tra cui, per esempio,

l’amoxicillina, impedisce l’assorbimento intestinale dei contracettivi orali e dunque

ne azzera l’efficacia.

Molti pazienti perdono di lucidità per l’ansia associata alla prospettiva di subire un

intervento chirurgico. Altri semplicemente non considerano malattie le condizioni a

cui sono abituati. Quindi tocca all’odontoiatra assicurarsi che non vengano trascurate

patologie rilevanti ai fini della sicurezza del paziente sottoposto a chirurgia. Un

metodo efficace consiste nel fare domande per ciascun apparato, valendosi di una

lista di controllo (checklist).

Le prime domande in genere sono volte ad accertare lo stato di salute

cardiovascolare. Si chiede al paziente se sa di soffrire di soffi cardiaci (e in caso

affermativo si indaga ulteriormente per distinguere i soffi funzionali da quelli

organici, fermo restando che ogni soffio dichiarato dal paziente è da considerare

organico fino a prova contraria), se ha disturbi del ritmo cardiaco e se ha disturbi

della pressione. A questo punto è possibile scoprire che il paziente, abituato ad

assumere regolarmente i farmaci prescritti dal cardiologo, non li considera più

medicinali, ma innocue abitudini e quindi non ne aveva parlato quando gli si era

chiesto se era in terapia medica. I pazienti che assumono antipertensivi sono più

soggetti all’ipotensione ortostatica, quelli che assumono antiaritmici vanno trattati

dopo aver consultato il curante, quelli che hanno soffi cardiaci organici potrebbero

richiedere profilassi antibiotica prima della chirurgia e soprattutto prima della

detartrasi (Wilson et al. 2008). I ß-bloccanti non selettivi possono interferire con

l’adrenalina.

I pazienti asmatici possono andare incontro a una crisi al momento dell’anestesia; a

quelli con capacità respiratoria ridotta (broncopatie ostruttive, enfisema) non possono

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essere somministrati farmaci che deprimono la funzione respiratoria (per esempio,

benzodiazepine). I portatori di patologie polmonari ostruttive croniche dovrebbero

essere operati nella tarda mattinata, quando l’accumulo notturno di espettorato e

muco è smaltito e non si fa ancora troppo sentire la fatica.

Le patologie dello stomaco e dell’intestino possono condizionare le terapie mediche

di supporto, e specialmente la terapia antalgica, dato che i FANS sono i farmaci di

prima scelta, ma possono essere mal tollerati e addirittura pericolosi per alcuni

soggetti: il rischio di ulcere non è legato alla via di somministrazione orale, mentre il

fastidio soggettivo sì. I gastroprotettori assunti prima dell’assunzione degli analgesici

risolvono molti casi. In altri è meglio ricorrere al paracetamolo o agli oppioidi.

Viceversa, gli oppioidi possono procurare vomito (soprattutto il tramadolo) o stipsi

ostinata (codeina).

La maggior parte dei farmaci è metabolizzata dal fegato, le cui patologie si riflettono

sulla scelta e le posologie dei farmaci; le cause più frequenti di disfunzioni epatiche

sono l’epatopatia alcolica e le epatiti. La peculiarità dell’epatopatia alcolica sta nel

fenomeno dell’induzione enzimatica, per cui alcuni farmaci vengono degradati più

rapidamente e dunque le dosi usuali sono insufficienti. Invece, nelle fasi avanzate

dell’epatopatia alcolica e nell’epatite, i farmaci non vengono eliminati efficacemente:

in questi casi, le dosi devono essere ridotte e alcuni farmaci diventano pericolosi

(epatopatia tossica). Perciò FANS e paracetamolo sono sconsigliati nell’insufficienza

epatica; il tramadolo invece sembra essere ben tollerato (Radmand et al. 2013). Nei

casi di epatite virale non guarita, la somministrazione di quasi tutti i farmaci, inclusi

gli anestetici locali ad eccezione della novocaina, può aggravare la malattia.

I metaboliti dei farmaci vengono escreti per la maggior parte attraverso i reni. In caso

di insufficienza renale, penicillina, FANS, paracetamolo e vasocostrittori sono

pericolosi (Raja & Coletti 2006). Il dosaggio dei farmaci deve essere concordato con

il curante per ottenere l’effetto desiderato senza rischio eccessivo. Ai pazienti

dializzati deve essere chiesta anche la programmazione della dialisi, per operare nel

momento più favorevole, che è il mattino successivo al giorno della dialisi.

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Il diabete è considerato una malattia sociale: per il dentista è importante sapere se il

diabete è compensato (nel qual caso il paziente può essere considerato “normale”) o

scompensato: in questo caso occorre tener conto della malattia e delle sue numerose

possibili complicanze. In particolare è necessario sapere se si tratta di un diabete di

tipo 1 (insulino-dipendente) o 2 (non insulino-dipendente) e quale è il regime di

terapia applicato. Il dosaggio dell’emoglobina glicata è utile a stabilire il grado di

compenso. Le infezioni hanno un decorso più tumultuoso nel diabetico e aggravano il

diabete, rendendolo più difficile da controllare: per interrompere il circolo vizioso è

talvolta necessaria la collaborazione del dentista (che dovrà instaurare terapie

aggressive nei confronti delle infezioni orali) e del diabetologo (che dovrà adeguare il

regime terapeutico) (Lalla & Papapanou 2011).

I distiroidismi clinicamente evidenti sono pericolosi, ma non sempre facili da

riconoscere: in caso di dubbio, meglio ricorrere ad una valutazione endocrinologica.

L’ipertiroidismo si caratterizza spesso per irrequietezza e magrezza tipiche e si

associa ad aritmie cardiache: l’adrenalina può scatenare in questi soggetti la

“tempesta tiroidea”, cioè una crisi tireotossica con manifestazioni gravi e pericolose:

in attesa dell’assistenza medica si può far ricorso a cortisone e applicazioni di

ghiaccio (Little 2006a). L’ipotiroidismo si associa ad apatia e problemi cognitivi,

difficili da distinguere, soprattutto nell’anziano, da quelli causati da altre malattie,

come la demenza. Analgesici, sedativi e narcotici possono precipitare il coma

nell’anziano ipotiroideo (Little 2006b).

Le malattie dell’apparato emopoietico sono numerose e di diversa gravità: dalla

leucemia all’anemia mediterranea; molte possono interferire con la guarigione delle

ferite, e con l’uso di farmaci: di regola il paziente è già stato informato su i farmaci

da evitare e su quelli sicuri nel suo caso. Naturalmente, in caso di dubbi, occorre

comunicare con il curante. Il paziente che sa di essere anemico richiede il

monitoraggio dell’ossigenazione.

Le malattie emorragiche ereditarie sono spesso riconosciute già dall’infanzia, ma

l’anamnesi familiare e personale negativa non danno garanzie assolute, in quanto

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alcune malattie, come l’emofilia, pur essendo sicuramente genetiche, sono

relativamente spesso effetto di mutazioni di un gene instabile, mentre altre, come la

malattia di von Willebrand, si presentano anche in forme meno eclatanti e sono assai

più varie e diffuse di quanto si ritenesse (Michiels et al. 2005). Quindi, per operare in

sicurezza, l’anamnesi negativa per disturbi emorragici non esime dalla richiesta degli

esami di laboratorio standard.

Per indagare sui disturbi psichici e le malattie neurologiche, prima fra tutte

l’epilessia, è meglio evitare domande dirette, che possono mettere in moto

meccanismi difensivi: meglio domandare, col tono più neutro possibile, se il paziente

fa uso di medicinali attivi sul sistema nervoso, magari spiegando che alcuni farmaci

interferiscono con quelli che noi dobbiamo somministrare. La depressione

dell’anziano è spesso misconosciuta e non trattata: per questo è bene informarsi sulle

attività sociali, da cui il depresso tende a rifuggire; la gestione del paziente depresso è

comunque impegnativa e richiede pazienza e sensibilità, ma può dare grandi

soddisfazioni, perché l’opera del dentista, capace di restituire funzione ed estetica, è

in grado di contrastare le forme depressive associate al declino dell’immagine di sé

(Friedlander & Norman 2002).

Le patologie oftalmologiche possono interferire con la chirurgia perché il glaucoma

ad angolo acuto può essere aggravato dall’adrenalina, mentre uveite e iridociclite

possono essere influenzate da infezioni orali e potrebbero richiedere la profilassi

antibiotica. Inoltre molti colliri contengono derivati del cortisone.

L’infezione da Herpes Simplex si manifesta clinicamente nei momenti di

immunodepressione associata spesso a fatica, stress, insonnia o esposizione al sole. In

tali occasioni, conviene rinviare la chirurgia per non operare in un momento in cui il

rischio di infezione è più elevato, e in cui è possibile reinoculare il virus in un’altra

sede dello stesso paziente (temibile la localizzazione alla congiuntiva) (Arduino &

Porter 2008). L’Herpes in fase attiva è pericoloso anche per l’operatore: temibile il

patereccio erpetico, dolorosissimo. Si chiede se il paziente sta facendo cure

dermatologiche, perché alcune malattie dermatologiche e molte terapie interferiscono

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con i farmaci di uso odontoiatrico e anche perché è un modo discreto di indagare su

eventuali malattie veneree, che possono avere un impatto considerevole anche sui

piani di trattamento odontoiatrici. Infine ricordiamo che chi soffre di afte è soggetto a

lesioni più facilmente dopo manipolazioni dei tessuti.

La raccolta dell’anamnesi medica e odontoiatrica è fondamentale in prima visita, ma

alcuni dati, soprattutto quelli relativi a gravidanze e terapie, debbono essere

confermati prima di ogni intervento invasivo (chirurgia, somministrazione di farmaci,

radiografie), per ovvii motivi di sicurezza.

2.2. Esame obbiettivo

Ogni intervento parodontale deve essere preceduto dall’esame parodontale di tutta la

bocca (Società Italiana di Parodontologia 1998). L’ispezione fa apprezzare il colore

roseo della gengiva sana e il tipico aspetto a buccia d’arancio, oppure l’arrossamento

e l’aspetto liscio tipico della gengiva infiammata. L’ispezione permette anche di

rilevare tumefazioni localizzate o diffuse, riferibili a ipertrofie, iperplasie o neoplasie

spontanee o associate all’uso di farmaci, come i calcio-antagonisti. Meno frequenti le

lesioni erosive o vescicolo-bollose localizzate alla gengiva.

Il sondaggio parodontale misura il livello di attacco clinico, la profondità di

sondaggio e l’entità di eventuali recessioni, in 6 siti per dente. La sonda misura anche

l’interessamento delle bi-triforcazioni, che viene categorizzato in gradi, da 0 a 3. Il

sondaggio può evocare sanguinamento, che costituisce il primo segno di flogosi: la

chirurgia parodontale elettiva è in genere controindicata quando la terapia causale e la

collaborazione del paziente non sono sufficienti a ridurre la proporzione di siti

sanguinanti al disotto del 20%.

I dati raccolti con il sondaggio sono essenziali per porre l’indicazione chirurgica e per

pianificare l’eventuale intervento. Quindi è fondamentale registrare in dettaglio i

risultati del sondaggio prima di ogni intervento.

La mobilità dentale clinica, categorizzata in gradi, da 0 a 3, fornisce informazioni

utili, insieme all’esame radiografico e all’analisi occlusale.

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L’esame delle mucose orali può rivelare alterazioni del colore oppure lesioni rilevate

o erosive: la ricerca di lesioni cancerose o cancerizzabili è obbligatoria, dato che

anche i soggetti a rischio riconosciuti spesso non si presentano agli screening

programmati (Shepperd et al. 2015). La ricerca di lesioni cancerose impone l’esame

del ventre linguale, che è un’area ad alto rischio. In questa occasione, si rivela

facilmente un’eventuale iperreflessia, che può essere efficacemente contrastata al

momento della chirurgia, con una semplice premedicazione a base di benzodiazepine.

Questa necessità richiede un approfondimento dell’anamnesi per assicurarsi che non

vi siano controindicazioni specifiche.

Non si intende qui dare suggerimenti su come condurre una visita medica completa.

Ricordiamo solo alcune informazioni che possono essere raccolte facilmente e che

possono cambiare il comportamento clinico dell’odontoiatra.

Per esempio, la misura approssimativa (vale a dire a paziente vestito) del peso

corporeo guida il clinico nella determinazione della posologia appropriata di molti

farmaci e del limite superiore della dose ammissibile di anestetico locale.

Un’anemia rilevante può facilmente essere scoperta (nei casi di urgenza, dove non è

stato possibile attendere i risultati degli esami preoperatori) invitando il paziente a

distendere le dita e il palmo della mano: le pliche palmari, nel sano rosa o rosse,

nell’anemico risultano bianche, più chiare della cute circostante (segno di Wintrobe).

Odore di alcol, pallore, magrezza estrema e obesità possono indurre l’odontoiatra ad

approfondire l’anamnesi, a richiedere esami di laboratorio mirati o a rivolgersi al

curante.

2.3. Esame radiografico

L’esame radiografico standard in parodontologia è una serie di radiografie endorali,

senza le quali non può essere correttamente stabilita l’indicazione a quasi tutte le

terapie chirurgiche parodontali (Società Italiana di Parodontologia 1998). Un esame

radiografico è comunque necessario prima di eseguire anche interventi, come la

copertura radicolare, la cui indicazione può essere posta con l’esame obbiettivo.

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2.4. Esami di laboratorio

Gli esami preoperatori standard, quelli cioè che sono richiesti abitualmente anche per

i soggetti apparentemente e anamnesticamente sani, possono essere suddivisi in due

categorie:

- ricerca di marker generici, a bassa invasività e basso costo, capaci di intercettare

patologie sistemiche asintomatiche: sono esami ad alta sensibilità e per lo più a

bassa specificità. In altre parole, se risultano positivi non portano ad una diagnosi

precisa, ma richiedono un approfondimento diagnostico. Comprendono la velocità

di eritrosedimentazione (VES), la glicemia, l’urea ematica, l’esame standard delle

urine, l’emocromo;

- il “profilo dell’emostasi”, che raggruppa una serie di esami capaci di intercettare

patologie emorragiche o a monitorare terapie anticoagulanti o antiaggreganti, al fine

di ridurre il rischio di emorragie postoperatorie inattese e facilitare il controllo di

quelle prevedibili. Risultati fuori dagli intervalli di riferimento impongono una

diagnosi ematologica prima di qualsiasi chirurgia. Consiste nella conta delle

piastrine (già compresa nell’emocromo), l’attività protrombinica sotto forma di INR

(international normalized ratio), la tromboplastina parziale attivata (aPTT), anche

questa oggi espressa come “ratio”, e il tempo di emorragia (utile per identificare

casi di malattia di von Willebrand, se l’esame è effettuato con la tecnica di Mielke o

di Ivy modificata).

L’utilità degli esami preoperatori è stata comunque oggetto di dibattito e mancano

tuttora dati inequivocabili, nonostante la prassi sia consolidata (Kash et al. 2015).

2.5. Esami strumentali

L’elettrocardiogramma (ECG) è il mezzo per riconoscere le aritmie cardiache, per lo

più innocue, ma talvolta insidiose. Molti pazienti svolgono attività sportiva e

vengono controllati abitualmente; i più, invece, non sono stati controllati. Un ECG

preoperatorio è una misura di sicurezza prima di ogni intervento impegnativo e in

tutti i casi in cui l’anamnesi faccia sorgere sospetti. L’utilità dell’ECG prima di

interventi a basso rischio è discutibile (Feely et al. 2013).

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Come per gli esami di laboratorio, i soggetti più a rischio sono i giovani che non

hanno mai subito interventi chirurgici né si sono sottoposti a esami clinici. Il dolore e

l’ansia possono scatenare aritmie gravi, fino alla morte improvvisa, in soggetti

portatori di alcune rare anomalie, come la sindrome del QT lungo, che, in molti casi,

controindica qualsiasi intervento fuori da strutture protette bene attrezzate e allertate.

La misurazione della pressione arteriosa permetterebbe di riconoscere i soggetti che

non sanno di essere ipertesi, ma non è sempre banale e le misurazioni effettuate nello

studio odontoiatrico, ancora ansiogeno per buona parte della popolazione, non sono

attendibili.

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3. Progettazione dell’intervento chirurgico al fine di prevenire

l’insorgenza di possibili complicanze

a cura di Claudia Dellavia e Fabio Vignoletti

Gli interventi di chirurgia parodontale come tutti gli interventi a cielo aperto

prevedono incisioni che possono danneggiare i tessuti molli sani limitrofi che

permettono l’accesso all’area di interesse. La pianificazione ottimale deve quindi

prevedere da un lato una ideale visualizzazione della zona chirurgica e dall’altro la

minimizzazione dei danni tissutali. Per far ciò è necessario garantire una sufficiente

vascolarizzazione dei lembi che devono essere mobilizzati passivamente in modo da

coprire al meglio l’area di intervento e consentire così una buona guarigione con il

minimo difetto estetico residuo.

La conoscenza e il rispetto dell’anatomia vascolare giocano quindi un ruolo chiave

per salvaguardare la sicurezza del paziente dall’insorgenza di complicanze di tipo

emorragico e contemporaneamente per ottenere una ottimale guarigione dei tessuti in

termini di trofismo, funzionalità ed estetica. La scelta del lembo e quella del tipo di

incisione devono pertanto prendere in considerazione il decorso dei principali fasci

vascolo nervosi regionali e la loro distribuzione terminale (Kleinheinz et al. 2005).

Sono qui di seguito riportate una breve descrizione delle incisioni e dei lembi

utilizzati nella chirurgia parodontale ed alcune considerazioni sulle strutture

anatomiche vascolo-nervose coinvolte negli interventi.

3.1. Incisioni in chirurgia parodontale

Le incisioni in chirurgia parodontale si possono classificare principalmente in base

alla loro localizzazione, ovvero attorno ai denti o in aree edentule. Si aggiungono le

incisioni di rilascio o di svincolo per aumentare l’accesso chirurgico senza estendere

l’area d’intervento.

Incisioni attorno ai denti

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Le incisioni attorno ai denti si dividono in intrasulculari o paramarginali. Le incisioni

paramarginali, si possono a loro volta differenziare in lineari o festonate a seconda

del proprio andamento attorno al dente. Inoltre, in base all’inclinazione dello

strumento tagliente, si descrivono a bisello interno o esterno.

L’incisione intrasulculare, prevede l’inserimento dello strumento tagliente nel solco

gengivale, allineato in maniera parallela all’asse lungo del dente, con una direzione

orientata verso la cresta ossea.

L’incisione paramarginale è posizionata ad una certa distanza dal margine gengivale

e può essere festonata presentando un disegno parallelo a quello del margine

gengivale oppure retta o lineare.

Questo tipo d’incisione si può eseguire a bisello interno o esterno.

L’incisione a bisello interno (o inverso) è eseguita con lo strumento tagliente

orientato sempre in maniera parallela all’asse lungo del dente ed è posizionata ad una

certa distanza dal margine gengivale.

L’incisione a bisello esterno è eseguita con lo strumento tagliente parallelo all’asse

lungo del dente con una inclinazione di circa 30 gradi e diretto in posizione coronale

ed è posizionata ad una certa distanza dal margine gengivale.

Una sottocategoria delle incisioni attorno ai denti è quella specifica delle aree

interprossimali.

Le tecniche d’incisione della papilla si possono differenziare in tecniche di

preservazione dell’intera quota di tessuto papillare e tecniche di separazione della

papilla che prevedono l’inclusione di una quota di tessuto papillare nel lembo

vestibolare e un’altra quota nel lembo palatino/linguale.

Per quanto riguarda le tecniche di preservazione di papilla, queste si differenziano per

il tipo di incisione vestibolare che prevede di preservare una maggiore (Cortellini et

al. 1995) o minore (Cortellini et al. 2001) quota di tessuto papillare che viene inclusa

nel lembo.

La tecnica di separazione può essere eseguita assottigliando la papilla lasciando la

maggior parte del tessuto papillare nella zona interprossimale. Questa viene poi

18

escissa posteriormente, oppure può essere separata mantenendo la maggior quantità

di tessuto papillare nel lembo.

L’incisione si esegue in entrambi i casi a bisello interno con lo strumento tagliente

parallelo all'asse lungo del dente e orientato in direzione apicale all’interno del solco

gengivale.

Incisioni in aree edentule

Le incisioni sovracrestali sono collocate al centro della cresta edentula oppure

possono essere dislocate in una posizione vestibolare linguale o palatale con

un’inclinazione dello strumento perpendicolare alla cresta ossea.

Bisogna inoltre menzionare l'incisione a cuneo con forma triangolare o rettangolare.

Normalmente quest’incisione è di assottigliamento. Viene eseguita come una

incisione bisellata interna, con l’obiettivo di ridurre la porzione di tessuto incorporato

nel lembo. Viene usata soprattutto per ridurre la componente connettivale ben

rappresentata a livello delle tuberosità mascellari distali, dei lembi palatali, delle zone

retromolari mandibolari.

Incisioni di scarico o rilascio

L’incisione di scarico (o di rilascio), può essere eseguita in maniera perpendicolare o

bisellata. Questa incrementa l’accesso ai tessuti profondi limitando l’inclusione nel

campo operatorio di zone non interessate dalla chirurgia, diminuisce la tensione del

lembo e ne permette un posizionamento finale apicale, coronale o laterale.

Tra le incisioni di scarico è da annoverare il “cutback”, creato apicalmente

all’incisione di rilascio verticale di un lembo peduncolato. Per evitare di danneggiare

il supporto vascolare del lembo questa incisione non dovrebbe superare i 2-3 mm di

lunghezza.

L’incisione di rilascio periostale taglia in maniera continua le fibre periostali e

muscolari presenti alla base di un lembo a spessore totale, o solo le fibre muscolari

19

presenti alla base di un lembo a spessore parziale, permettendo lo spostamento del

lembo libero da tensioni.

3.2. Lembi in chirurgia parodontale

La chirurgia parodontale si può dividere in chirurgia parodontale per l’eliminazione

e/o la riduzione delle tasche, che si divide in conservativa o resettiva, chirurgia

parodontale rigenerativa, e chirurgia parodontale mucogengivale.

Chirurgia per l’eliminazione e/o riduzione delle tasche

Scopo della chirurgia per l’eliminazione/riduzione delle tasche è di facilitare

l’accesso ed ottenere una migliore rimozione della placca e del tartaro sottogengivale,

una riduzione della profondità di sondaggio, una riduzione del sanguinamento al

sondaggio con una possibile recessione del tessuto marginale e conseguente modifica

del livello di attacco clinico.

Il disegno dei lembi prevede incisioni intrasulculari o paramarginali che continuano

nell’area interprossimale dividendo la papilla in una porzione vestibolare e una

porzione linguale/palatale. La scelta tra un'incisione intrasulculare o paramarginale

dipende dalla quota di tessuto cheratinizzato. Il lembo può essere scollato a spessore

totale, a spessore parziale o a spessore misto e può includere o meno incisioni

verticali di rilascio per facilitare lo spostamento apicale del lembo.

Lembo palatino assottigliato

Per riposizionare apicalmente i tessuti a livello palatale si esegue un’incisione

bisellata interna a una certa distanza dal margine gengivale, con il fine di ridurre la

porzione di tessuto incorporato nel lembo che si riposiziona pertanto in posizione

apicale, una volta rimossa la quota di gengiva coronale.

Chirurgia rigenerativa

20

Scopo della chirurgia rigenerativa è quello di ottenere un guadagno di tessuto di

supporto attorno ad elementi dentari gravemente compromessi dalla malattia

parodontale. Le procedure chirurgiche rigenerative possono essere applicate con

risultati clinici prevedibili nei difetti ossei angolari. I risultati attesi della terapia

rigenerativa includono la riduzione della profondità di sondaggio, il guadagno del

livello clinico di attacco e l’assenza di recessioni del tessuto gengivale marginale.

Il disegno dei lembi prevede un'incisione intrasulculare o paramarginale a seconda

delle tecniche, combinata con una tecnica di preservazione della papilla. Anche qui, il

lembo può essere scollato a spessore totale, a spessore parziale o a spessore misto e

può includere o meno incisioni verticali di rilascio per facilitare l’accesso al difetto

osseo e mobilizzare coronalmente il lembo.

Chirurgia mucogengivale

Scopo della chirurgia mucogengivale è la copertura delle superfici radicolari esposte

e l’aumento di volume e di quantità del tessuto gengivale per esigenze estetiche,

protesiche od ortodontiche. I risultati attesi della terapia mucogengivale includono il

guadagno del livello clinico di attacco, l’eliminazione o la riduzione delle recessioni

del tessuto marginale e l’incremento del tessuto cheratinizzato.

3. 3. Considerazioni sulle strutture anatomiche di interesse per minimizzare i

rischi associati alla chirurgia parodontale

Aspetti istologici dei tessuti orali e parodontali

La mucosa orale è divisa in gengiva e mucosa alveolare ed è costituita da due strati:

epitelio di superficie e una lamina propria sottostante. Al di sotto della lamina

propria, oltrepassata la linea mucogengivale, vi è la sottomucosa che vincola la

lamina propria alle strutture sottostanti. Le normali procedure chirurgiche prevedono

incisioni che iniziano nell’epitelio e si approfondiscono nel tessuto sottostante

attraversando la lamina propria, la sottomucosa se l’incisione è in mucosa ed infine

raggiungendo il periostio. Al contrario, le incisioni di rilascio periostali iniziano nel

21

periostio e si approfondiscono nella sottomucosa e possibilmente nello strato

muscolare a seconda della posizione dell’incisione e si evita l’incisione dell’epitelio

(che causerebbe una fenestrazione del lembo). Per una corretta incisione è molto

vantaggioso pensare microscopicamente ai tessuti che debbono essere incisi

(Greenstein et al. 2009). Quando si incide in gengiva, il primo strato ad essere

penetrato è quello epiteliale composto da 4 strati cellulari. E’un tessuto avascolare

ricco in cellule e scarsissimo in matrice extracellulare. Questo si interfaccia più in

profondità attraverso una membrana basale con la lamina propria. Questo è un

connettivo denso costituito da fibroblasti che depositano e rimodellano le proteine

che compongono la matrice extracellulare, ricca in fibre collagene e numerose altre

proteine che garantiscono la struttura tridimensionale della gengiva. Al di sotto vi èil

periostio, una sottile guaina di connettivo denso che riveste l’osso sottostante. Questo

è costituito da due strati, uno interno definito “cambium” che contiene cellule e fibre

di Sharpey, che si inseriscono nell'osso. Lo strato esterno è definito strato fibroso ed è

innervato e contiene i vasi sanguigni. Il periostio è composto da più strati cellulari

con uno spessore fino a 0.375mm e non è molto elastico a causa della mancanza di

fibre di elastina. Interposta tra la lamina propria e il periostio vi è la sottomucosa che

consiste in un tessuto connettivo di diversa densità e spessore. La sottomucosa è ricca

in fibre elastiche e vi si alternano zone con fibre collagene densamente raggruppate e

zone di tessuto più lasso contenente tessuto adiposo, ghiandole salivari minori, vasi

sanguigni, e nervi. La sottomucosa poggia sui fasci del muscolo buccinatore nella

zona delle guance e su quelli del muscolo orbicolare nella zona adiacente alle labbra.

Vascolarizzazione dei tessuti parodontali

Il sistema vascolare ai margini di una ferita rappresenta la struttura nutritizia

fondamentale per la sopravvivenza del lembo e la guarigione indisturbata del sito e

va quindi preservato il più possibile durante l’intervento chirurgico. A seconda del

tipo di chirurgia parodontale e dell’incisione prescelta occorre tenere conto di tali

22

apporti vascolari che, se lesionati, possono ridurre il potenziale di successo con

l’eventuale comparsa di necrosi e altre complicanze indesiderate.

L’apporto sanguigno ai componenti del parodonto è garantito da tre fonti vascolari

che in parte si anastomizzano fra loro. La gengiva aderente è nutrita da rami delle

arteriole sovraperiostali (sottolinguale, buccale, palatina, labiali) che decorrono nella

lamina propria in direzione postero-anteriore parallelamente alla cresta ossea

alveolare fino a raggiungere la gengiva libera dove terminano formando reti capillari.

Nella gengiva marginale e nella zona dell’attacco epiteliale questi rami terminali si

anastomizzano infatti con i vasi perforanti che provengono dai setti interdentali e

raggiungono lo spazio del legamento periodontale tramite i forellini situati nella

lamina dura e con i collaterali delle arterie pulpari che prima di entrare nell’apice

radicolare rilasciano rami che si portano in senso apico-coronale entro il legamento

verso la zona dell’attacco connettivale. Nella gengiva libera si viene quindi a creare

un plesso che si estende con strati regolari di capillari disposti parallelamente a

partire dalla base del solco fino al margine gengivale. Questo plesso presenta inoltre

numerosi shunt artero-venosi che a livello interdentale attraversano la papilla sopra la

cresta ossea, zona quindi di particolare delicatezza dal punto di vista trofico per la cui

salvaguardia sono state proposte le sopra citate tecniche di preservazione durante la

chirurgia parodontale. In particolare nell’area del colle si trova una distribuzione

mista di capillari anastomotici e di veri e propri loop. In caso di edentulia si forma

una zona pressocché avascolare di circa 1-2mm in corrispondenza della cresta ossea

dove non sono presenti anastomosi arteriolari fra i due fronti vestibolare e linguale

(Kleinheinz et al. 2005). Questa zona risulta ideale per effettuare le incisioni di

accesso lasciando indisturbati gli apporti vascolari dal lato buccale e linguale.

Tuttavia la localizzazione di tale zona è soggetta a variazioni legate al riassorbimento

della cresta edentula soprattutto in senso orizzontale; in tali casi si suggerisce di

osservare l’ampiezza della gengiva cheratinizzata dei denti adiacenti per orientarsi

sulla sede della zona avascolare. Il rischio di errore e la conseguente gravità del

danno sono maggiori nelle regioni anatomiche con tessuti sottili (più frequenti nella

23

cresta edentula mandibolare) in quanto i tessuti spessi forniscono una superficie

maggiore per l’arrivo di vasi collaterali (Park & Wang 2007).

Strutture vascolo-nervose di interesse nelle varie regioni orali

Qui di seguito è brevemente riportata la localizzazione dei principali fasci vascolo-

nervosi da rispettare negli interventi di chirurgia parodontale in modo da evitare

complicanze che possono rappresentare un rischio per la qualità (ovvero il successo)

della chirurgia e/o per la sicurezza (ovvero per la salute generale) del paziente.

Settore Mascellare Posteriore

Rami dell’arteria infraorbitaria emergono dal forame infraorbitario e si

anastomizzano con suddivisioni delle arterie facciale e buccale. Questi vasi sanguigni

si trovano all'interno del tessuto della guancia, che ha uno spessore tra i 10 ai 19mm.

Sia l’arteria alveolare postero superiore, rilasciata dall’infraorbitaria prima di

impegnare l’omonimo canale, sia l’arteria facciale decorrono in profondità e sono

circondate da molto tessuto fibroadiposo, risultando poco probabile una loro lesione

durante l’atto chirurgico parodontale. Il dotto di Stenone decorre anteriormente sul

massetere e gira ad angolo retto a livello del secondo molare per perforare il

buccinatore ed emergere nella cavità orale. Il condotto è distante dalla zona di

incisione del lembo ed è improbabile che possa essere danneggiato. In generale, i

rami dei nervi facciale (nervi motori) e del nervo trigemino (nervi sensitivi) si

trovano anch’essi in profondità all'interno dei tessuti e difficilmente possono essere

lesi. In ogni modo, in caso fosse necessario eseguire incisioni periostali per ottenere

una maggior liberazione del lembo nella regione premolare superiore, è prudente

palpare la faccia inferiore della cresta infraorbitaria. Il canale infraorbitario si trova di

norma 5mm apicalmente lungo una linea retta immaginaria tracciata verticalmente

attraverso la pupilla. Il rilascio del lembo deve rimanere distante da questa struttura

per evitare di ledere il nervo infraorbitario e le sue branche terminali. Forami

infraorbitari accessori sono stati rilevati in 11.5% dei pazienti. In generale, è

24

consigliabile non incidere troppo in profondità i tessuti, perché non si sa esattamente

dove risiedono i rami accessori dei vasi sanguigni e dei nervi.

Per quanto riguarda l'aspetto palatale del mascellare posteriore, le strutture

anatomiche che devono essere rispettate sono il forame palatino maggiore e l’arteria

palatina maggiore. L'arteria emerge dal forame e attraversa il palato anteriormente. Il

forame si incontra tra la cresta ossea alveolare e il rafe mediano e solitamente si trova

nella zona del secondo-terzo molare. Pertanto, quando si esegue un lembo a spessore

parziale, è prudente limitarsi alla zona del primo molare. Inoltre è importante valutare

l'altezza del palato per determinare quanto un lembo possa essere sollevato senza

invadere l'arteria palatina. E’ prudente lasciare 2mm tra l'arteria e l’incisione

chirurgica. La posizione dell’arteria palatina è stata ubicata in relazione alla posizione

della giunzione smalto cemento ed al tipo di anatomia palatale: volta orizzontale

(piatta) = 7mm; volta media = 12mm; e volta verticale (U) = 17mm (Reiser et al.

1996).

Settore Mascellare Anteriore

Nella regione anteriore della bocca, l’arteria labiale superiore si trova tra la

sottomucosa e il muscolo orbicolare e non è suscettibile di essere lesa durante le

procedure chirurgiche di routine.

Di scarsa rilevanza per emorragie e parestesie significative è una eventuale lesione

del fascio vascolo-nervoso che fuoriesce dal canale incisivo.

Settore Mandibolare posteriore

L'arteria buccale si trova sulla parete esterna del muscolo buccinatore e di solito non

è in pericolo di essere incisa durante le procedure chirurgiche di routine. Allo stesso

modo, altri nervi (per esempio, nervi motori e sensitivi) decorrono profondi

all'interno del tessuto e non sono a rischio di essere danneggiati. Al contrario, i tre

rami del nervo mentoniero, emergono dal foro omonimo e debbono essere gestiti con

estrema attenzione per evitare lesioni durante l’atto chirurgico (Mraiwa et al. 2003).

25

Qualsiasi procedimento chirurgico si esegua nella zona del forame mentoniero,

questo deve essere identificato in primis radiograficamente e, in alcune situazioni

cliniche, va isolato chirurgicamente (Quirynen et al. 2003). Per isolarlo, si consiglia,

una volta sollevato il lembo a spessore totale ed oltrepassata la linea mucogengivale,

di utilizzare una garza umida (un scolla periostio può essere utilizzato per spingere la

garza) per raggiungere il tetto del forame mentoniero. L'uso della garza aiuta ad

evitare danni ai nervi. Questo comporta lo scollamento dei muscoli depressore

dell’angolo della bocca e divaricatore del labbro inferiore. Una volta scoperto il tetto

del foro, si utilizza lo scolla periostio mesialmente e distalmente per spingere il

lembo qualche millimetro apicalmente oltre il bordo inferiore del foro, permettendo

di isolare totalmente il nervo. In caso sia necessario eseguire un lembo a spessore

parziale in questa regione, è importante mantenere lo strumento tagliente parallelo ai

piani superficiali, tra lamina propria e sottomucosa, per non correre il rischio di

ledere rami accessori del nervo all'interno della sottomucosa.

Per quanto riguarda il lato linguale della mandibola, si deve considerare che il nervo

linguale si trova di solito distante 2mm dalla corticale ossea in senso orizzontale e

3mm apicalmente. Tuttavia, la sua posizione può variare: si riporta in letteratura che

nel 22% dei casi può contattare la corticale ossea (Behnia et al. 2000) e che nel 15-

20% dei casi si può incontrare coronale alla cresta ossea all’altezza del terzo molare

Conseguentemente, bisogna evitare incisioni verticali sull’aspetto linguale della zona

mandibolare posteriore. Come norma generale, si consiglia di sollevare il lembo in

questa regione attraverso un’incisione sul lato buccale del trigono retromolare.

E’ inoltre bene prestare attenzione al passaggio dell’arteria facciale in corrispondenza

dell’incisura antegoniale della mandibola in caso di interventi di approfondimento del

fornice vestibolare; si suggerisce di scollare sempre a spessore totale e di proteggere

l’arteria con divaricatori o spatole metalliche.

Settore Mandibolare Anteriore

26

Nella zona vestibolare, nervi e vasi sanguigni (come per esempio, il nervo e l’arteria

labiale inferiore ed il nervo ed arteria mentale) scorrono all'interno dei tessuti e sono

protetti. Tuttavia, sull'aspetto linguale, bisogna avere cautela quando si solleva o

rilascia il lembo, in quanto rami accessori delle arterie sottomentoniera e sublinguale

possono raggiungere la corticale linguale attraverso fori accessori e nel caso si vada a

ledere questi vasi, il sanguinamento può essere cospicuo (Hofschneider et al. 1999).

3.4. Norme di base per una corretta e sicura chirurgia parodontale

Le regole base da osservarsi per operare in sicurezza debbono prevedere un’adeguata

valutazione radiografica e strumentale, un’adeguata conoscenza dell’anatomia e

un’adeguata esecuzione della procedura chirurgica (Greenstein et al. 2009).

Pertanto, prima dell’intervento chirurgico è necessario rivalutare il sito chirurgico

con l’ausilio di una sonda parodontale, eseguendo misure cliniche che includono la

profondità di sondaggio, il livello d’attacco clinico e la quantità di tessuto

cheratinizzato dei denti a trattare o nelle zone adiacenti. In alcune situazioni cliniche

si può inoltre considerare la possibilità di un sondaggio osseo (trans-gengivale), da

eseguire in anestesia locale, per confermare le stime effettuate sull’anatomia dei

difetti ossei e della posizione della cresta alveolare. In questa fase di rivalutazione è

fondamentale associare la diagnosi clinica a quella radiografica (endorale,

panoramica, tomografica). Durante tale rivalutazione, il chirurgo deve riconsiderare

le strutture nobili particolarmente prossime al sito chirurgico. E’inoltre importante

considerare in questa fase le eventuali complicanze intra-operatorie e le loro possibili

soluzioni. L’operatore progetterà il disegno d’incisione ideale in funzione del tipo

d’intervento programmato e di quest’ultima rivalutazione del sito chirurgico,

prestando grande attenzione alla gestione delle aree nobili a rischio di complicanze e

di aree estetiche della bocca per ridurre la possibilità di compromissioni estetiche.

Quando si disegna il lembo bisogna, se possibile, è preferibile ottenere una base del

lembo più ampia nel suo aspetto coronale per mantenere una vascolarizzazione

ottimale. Se si utilizzano incisioni verticali, bisogna considerare il lembo come

27

peduncolato. Questo peduncolo contiene l’apporto vascolare del lembo e pertanto è

consigliabile includere la sottomucosa, che contiene la maggior parte dei vasi

sanguigni. Si deve inoltre considerare che il tempo in cui i tessuti rimangono esposti

e disidratati può influire sulla quantità di edema postoperatorio. Si consiglia di

mantenere i tessuti umidi durante tutta la chirurgia, specialmente quando questa è

molto lunga. Ogni procedimento chirurgico quindi, deve essere eseguito in modo

efficiente per ridurre il tempo operatorio. Compatibilmente con il tipo di chirurgia, la

sutura dei lembi deve essere per prima intenzione e senza tensioni. La gestione dei

tessuti è molto importante: lo scollaperiostio va appoggiato sull'osso in ogni

momento e si deve mantenere l’aspirazione in movimento per non irritare i tessuti

molli. Bisogna essere altresì consapevoli delle strutture vitali presenti nei siti

riceventi la chirurgia. E infine particolare attenzione deve essere dedicata alla sutura,

che deve provvedere all’adattamento del lembo sul proprio letto vascolare. Questa

deve posizionare i tessuti senza creare una necrosi da compressione.

28

4. Gestione delle complicanze intervenute nella fase intra e post-

operatoria

a cura di Carlo Ghezzi e Silvia Masiero

Tutte le procedure di chirurgia parodontale non sono esenti da complicanze anche

nella fase post-chirurgica: tali complicanze possono dipendere da una gestione

chirurgica o pre-chirurgica non correttamente programmate o eseguite oppure da un

non attento protocollo di controllo della fase post-chirurgica sia da parte

dell’operatore che da parte del paziente. A tale proposito ci rifacciamo ai contenuti

del Progetto Sicurezza in Chirurgia e ricordiamo qui di seguito brevemente quali

siano i fattori fondamentali in termini di tecnica chirurgica e di monitoraggio della

ferita e del paziente che riteniamo strettamente correlati alla probabilità che il post

operatorio possa evolversi con o senza delle complicanze.

Il paziente deve giungere alla fase di chirurgia parodontale avendo eseguito terapia

non chirurgica per il controllo del biofilm (Nyman et al. 1976) raggiungendo valori di

FMPS (Full Mouth Plaque Score) inferiori al 20% (Cortellini et al. 1995) o avendo

corretto, in caso di difetti mucogengivali le procedure di spazzolamento e flossing

(Zucchelli 2012).

L’operatore deve attentamente formulare il piano di trattamento definitivo sulla base

della guarigione dei tessuti che segue la strumentazione non chirurgica (Segelnick et

al. 2006) e sulla valutazione del fattori di rischio del paziente (fumo-diabete); ogni

singola chirurgia deve essere pianificata scrupolosamente sia nel disegno del lembo

che nell’eventuale necessità di utilizzo di biomateriali. E’ fondamentale controllare

che la fase chirurgica sia inserita all’interno di un corretto workflow che consideri:

terapie conservative, endodontiche e protesiche come necessità prechirurgiche

finalizzate alla riduzione di fattori prognostici negativi (Cortellini & Tonetti 2001a,

2015; Zucchelli et al. 2011).

Il giorno della chirurgia il paziente seguirà nel dettaglio la somministrazione di

analgesici, antibiotici e l’eventuale modifica della posologia o della prescrizione dei

29

farmaci inerenti la sua condizione sistemica (vedi cap. 2).

Il paziente deve eseguire uno sciacquo pre-operatorio di clorexidina 0.12% per

diminuire la carica batterica del cavo orale (Addy et al. 1991; Vekselr et al. 1991).

Deve essere eseguita una corretta anestesia loco-regionale (Haas 2002).

4.1. Chirurgia mucogengivale

Gestione delle complicanze intervenute nella fase intra-operatoria

Durante la fase intra-operatoria le possibili complicanze sono:

- fenestrazione del lembo peduncolato: gestibile con l’immediata sutura dello stesso

con utilizzo di sutura di dimensioni adeguate;

- emorragia nella sede del prelievo palatino: gestibile con compressione della ferita,

sutura compressiva della ferita, utilizzo di presidi che favoriscono il processo di

coagulazione (ugurol- tabotamp), sutura della arteria palatina;

- eccessivo sanguinamento con riduzione della visibilità in sede primaria: gestibile

con incremento della anestesia loco-regionale e compressione.

Gestione delle complicanze intervenute nella fase post-operatoria

Durante la fase post operatoria le possibili complicanze sono:

a. necrosi del lembo in sede palatina in caso di tecniche con guarigione per prima

intenzione (envelope - trap door-L shaped) (Zucchelli 2012): controllo della

sovrainfezione (eventuale somministrazione di antibioticoterapia sistemica)

localmente va effettuata una corretta detersione professionale della ferita con

clorexidina gel 1% e sciacqui domiciliari con clorexidina 0.12% (Cortellini et

al. 2008; Heitz et al. 2004; Sanz et al. 1989);

b. necrosi del lembo peduncolato: come sopra;

c. necrosi dell’innesto epitelio connettivale: come sopra;

d. infezione: come sopra;

e. edema: non propriamente una complicanza è facilmente gestita attraverso

l’applicazione di crioterapia (Greenstein 2007);

30

f. ematoma: non propriamente una complicanza si risolve senza influire direttamente

sulla morbidità ma solo sull’aspetto estetico- relazionale;

g. emorragia nel palato: gestibile con compressione della ferita, crioterapia o nuova

sutura di stabilizzazione;

h. emorragia nella sede primaria: gestibile con compressione della ferita, crioterapia

o nuova sutura di stabilizzazione;

i. spostamento del lembo in direzione apicale: non gestibile nel post-chirurgico

provocherà una guarigione con incompleta copertura di radice (Cairo et al.

2014);

j. dolore nella sede del prelievo palatino: gli ultimi dati della letteratura danno

indicazione relativa ad una diminuzione del dolore rapportato alla estensione

apicale del prelievo (Wessel & Tatakis 2008; Zucchelli et al. 2010, 2014) e al

suo spessore se inferiore ai 2mm (Burkhardt et al. 2015). Non vi è invece

diretta la correlazione tra dolore e tecnica utilizzata o estensione del prelievo.

Questo sintomo viene controllato con la somministrazione di farmaci

analgesici (Curtis et al. 1985; Pearlman et al. 1997);

k. complicazioni legate all’assunzione del farmaco analgesico.

4.2. Chirurgia rigenerativa

Gestione delle complicanze intervenute nella fase intra-operatoria

Durante la fase intra-operatoria le possibili complicanze sono:

a. lesione completa o parziale del tessuto della papilla: se parziale gestibile con

attenta sutura di dimensioni adeguate; se totale non gestibile, si consiglia la

sospensione della chirurgia;

b. eccessivo sanguinamento con riduzione della visibilità: gestibile con incremento

della anestesia loco-regionale e compressione.

Gestione delle complicanze intervenute nella fase post-operatoria

Durante la fase post operatoria le possibili complicanze sono:

31

a. deiscenza della ferita: si va incontro a questa complicanza per ragioni traumatiche

o infettive che conducono ad un minore supporto vascolare e quindi alla

necrosi del lembo nella zona di competenza: la ferita si contamina, il coagulo

diviene instabile e la guarigione esiterà in un minor guadagno di attacco

clinico, maggiore recessione e maggiore probabilità di avere una profondità di

sondaggio residua superiore ad un lembo non complicato. Anche la guarigione

istologica della ferita virerà verso una maggiore riparazione (Wjkesjo et al.

1999).

La revisione di Needleman et al. (2006) riporta un range medio compreso tra il

20% e il 60% con un valore di 53.6% a 3 settimane. Questa complicanza

chiaramente influisce sull’esito della chirurgia ad un anno in termini di

guadagno di attacco (3.7mm+/- 1.8mm nei casi senza esposizione contro

3.3mm+/- 2.6mm nei casi nei quali invece ci sia stata esposizione). Esposito et

al. nella loro revisione su questo argomento (2005) danno indicazione a

supporto del maggior numero di deiscenze del lembo in caso di chirurgia di

rigenerazione tissutale eseguita con utilizzo di osso eterologo e membrana in

collagene se paragonato alla chirurgia di induzione della rigenerazione eseguita

con applicazione di amelogenina. Cortellini & Tonetti (2007) confermano

questi dati e sottolinea come al miglioramento della tecnica chirurgica in

termini di migliore preservazione della papilla e di esecuzione della tecnica

con magnificazione e microchirurgia (utilizzo strumenti dedicati di ridotte

dimensioni) migliorano gli outcomes relativi all’ottenimento di una duratura

guarigione della ferita per prima intenzione senza deiscenza della ferita stessa.

Infatti questa complicanza si presentava nel 27% dei casi con la tecnica MPPT

(Cortellini et al. 1995), nel 33% dei casi eseguendo una SPPT (Cortellini et al.

1999), scende al 7.7% (Cortellini & Tonetti 2001b) se queste due tecniche

vengono eseguite al microscopio, diminuisce ancora al 5% (Cortellini &

Tonetti 2007) quando la tecnica chirurgica diviene mini invasiva e giunge al

valore minimo del 2.2% se si esegue la chirurgia rigenerativa utilizzando la

32

tecnica M-MIST (Cortellini & Tonetti 2011);

a. infezione: il controllo della sovrainfezione (eventuale somministrazione di

antibioticoterapia sistemica) va effettuato localmente con una corretta

detersione professionale della ferita con clorexidina gel 1% e sciacqui

domiciliari con clorexidina 0.12% (Cortellini et al. 2008; Heitz et al. 2004;

Sanz et al. 1989);

b. ipersensibilità dentinale: riferita in una percentuale di pazienti che può

raggiungere il 45% (Tonetti et al. 2004), raggiunge un picco in terza settimana.

La gestione di tale complicanza può prevedere l’utilizzo di presidi fluorati o a

base di nitrato di potassio in pasta o collutori o in caso di permanenza del

sintomo va valutata l’applicazione di terapia laser (Porto et al. 2009);

c. edema, dolore e discomfort: sono parziali complicanze praticamente annullate

attraverso l’utilizzo delle tecniche mini-invasive e con la riduzione sia in

numero che in estensione delle incisioni verticali di rilascio;

d. complicanze legate all’assunzione del farmaco analgesico/antibiotico.

4.3. Chirurgia resettiva

Gestione delle complicanze intervenute nella fase intra-operatoria

Durante la fase intra-operatoria le possibili complicanze sono:

a. fenestrazione del lembo peduncolato: gestibile con l’immediata sutura dello stesso

con utilizzo di sutura di dimensioni adeguate;

b. emorragia nella sede palatale: gestibile con compressione della ferita ed

incremento della anestesia loco-regionale;

c. eccessivo sanguinamento con riduzione della visibilità in sede primaria: gestibile

con incremento della anestesia loco-regionale e compressione.

Gestione delle complicanze intervenute nella fase post-operatoria

33

Durante la fase post-operatoria le possibili complicanze sono:

e. infezione: il controllo della sovrainfezione (eventuale somministrazione di

antibioticoterapia sistemica) va effettuato localmente con una corretta

detersione professionale della ferita con clorexidina gel 1% e sciacqui

domiciliari con clorexidina 0.12% (Heitz et al. 2004; Sanz et al. 1989);

a. emorragia nel palato: gestibile con compressione della ferita, crioterapia o nuova

sutura di stabilizzazione;

b. dolore: questo sintomo viene controllato con la somministrazione di farmaci

analgesici (Canakci &Canakci 2007; Curtis et al. 1985; Pearlman et al.1997);

c. edema: non propriamente una complicanza è facilmente gestita attraverso

l’applicazione di crioterapia (Greenstein 2007);

d. complicanze legate alla assunzione del farmaco analgesico.

Le tecniche chirurgiche di chirurgia resettiva sono indicate per la correzione di difetti

intraossei multipli e poco profondi; l’applicazione della tecnica con la conservazione

delle fibre permette di diminuire l’invasività della chirurgia in termini di perdita di

attacco ma anche di migliorarne le caratteristiche in termini di diminuzione della

morbidità e delle complicanze post-operatorie: infatti la maggior parte degli eventi

avversi diminuiscono alla esecuzione della chirurgia con questa modalità

conservativa: edema presente a 1 settimana nel 60% dei casi anziché nell’87%,

sanguinamento 0% anziché 13%, dolore ad una settimana presente con un valore di

7.7 su scala VAS anziché 38.3, minore utilizzo di farmaci analgesici e sensibilità

dentinale su scala VAS ad un anno pari a 0.6 (Cairo et al. 2013).

La morbidità successiva a questa tipologia di chirurgia risulta essere bassa, ma

influenzata dalla esperienza dell’operatore e dalla durata dell’intervento (Lopez et al.

2011; Tan et al. 2014).

34

5. Conclusioni

L’attuale evidenza scientifica sembra supportare le seguenti conclusioni:

- Nella pianificazione di un intervento di chirurgia parodontale è fondamentale il

controllo dei fattori di rischio legati al paziente raccogliendo una completa

anamnesi medica e farmacologica.

- Quando il paziente soffre di patologie infrequenti o gravi e quando è sottoposto a

terapie mediche complesse, solo la collaborazione con il medico curante

assicura il massimo della sicurezza al paziente e della tranquillità all’operatore.

- E’ necessaria un’accurata diagnosi parodontale ai fini della corretta

identificazione dei fattori di rischio locali avvalendosi di eventuali esami

strumentali che approfondiscano gli aspetti anatomici utili per quel determinato

intervento.

- E’ necessaria l’esecuzione della terapia non chirurgica per il controllo del biofilm

(Parodontiti) o per la correzione di scorrette abitudini di Igiene orale (casi

muco gengivali) e l’attesa del periodo di guarigione successivo al fine di

giungere ad una rivalutazione che permetta la corretta formulazione del piano

di trattamento definitivo, con un buon controllo di placca (FMPS<20%), con

un numero limitato di siti con sondaggio >5mm e con assenza di

infiammazione in sede marginale.

- Se indicata una procedura di chirurgia parodontale questa va attentamente

programmata: disegno del lembo, utilizzo di biomateriali, sutura.

- Vi è evidenza scientifica a supporto di una diminuzione della morbidità post

chirugica parodontale in caso di utilizzo di tecniche mini-invasive condotte con

ausilio di strumentario micro-chirurgico, magnificazione (loops e microscopio

operatorio) e corretta illuminazione.

- La fase post-chirurgica è di fondamentale importanza per la corretta guarigione

della ferita: astensione dallo spazzolamento, terapia farmacologica, utilizzo di

sciacqui di clorexidina, controllo della alimentazione e controlli professionali

35

6. Bibliografia

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43

7. Domande

1- Che cosa è tenuto a fare l’odontoiatra, prima di operare un paziente diabetico?

a. richiedere il dosaggio dell’emoglobina glicata

b. controllare l’andamento della glicemia nell’ultimo mese

c. informarsi sul regime terapeutico

d. prescrivere un supplemento di insulina.

2 - Quando è utile una lista di controllo per la raccolta dell’anamnesi medica?

a. in tutte le occasioni

b. solo in vista di interventi particolarmente invasivi

c. solo se il paziente viene invitato a compilare un modulo

d. sono nel caso di pazienti anziani.

3 - Quali accertamenti pre-operatori non possono essere tralasciati, neppure in caso di

interventi d’urgenza?

a. elettrocardiogramma e misura della pressione arteriosa

b. anamnesi

c. radiografia panoramica

d. analisi dell’occlusione.

4 - Il trofismo delle gengive:

a. dipende per la maggior parte dalle arterie che decorrono nella sottomucosa

b. avviene tramite vasi a decorso mesio-distale

c. a livello papillare presenta una tipica distribuzione con vasellini terminali

d. nel versante palatale è di competenza per lo più dell’arteria alveolare superiore.

5 - Quando si opta per una chirurgia rigenerativa:

a. si procede sempre a spessore parziale

b. l’incisione non è mai intrasulculare

44

c. il successo non è prevedibile nei difetti angolari

d. occorre valutare ogni volta se fare o meno la preservazione della papilla.

6 - Se si opera nel settore mandibolare posteriore:

a. il rischio di lesione dell’arteria buccale è molto elevato

b. occorre localizzare con attenzione in radiografia l’emergenza del nervo

mentoniero

c. il nervo linguale non rappresenta una struttura a rischio in quanto contatta la

corticale ossea alveolare solo nel 5% dei soggetti

d. negli interventi sugli ultimi molari inferiori è preferibile fare incisioni sul lato

linguale.

7 - Nel disegno del lembo parodontale:

a. è meglio escludere la sottomucosa

b. occorre prevedere sempre incisioni verticali di rilascio

c. è consigliabile mantenere sempre lo scollaperiostio appoggiato sul processo

alveolare

d. la durata dell’incisione e quella complessiva dell’intervento non hanno rilevanza

sull’insorgenza di complicanze post-operatorie.

8 - Quale è la percentuale di deiscenza della ferita in chirurgia rigenerativa eseguita

con la tecnica minimamente invasiva ?

a. 5%

b. 2%

c. 33%

d. 7.7%.

9 - Quali tra questi aspetti può evitare di valutare l’operatore prima di procedere alla

chirurgia mucogengivale con tecnica bilaminare?

45

a. sesso del paziente

b. spessore del palato

c. disegno del lembo

d. tessuto cheratinizzato presente.

10 - Ha sempre senso far eseguire al Paziente lo sciacquo pre-operatorio con

clorexidina?

a. Sì, sempre

b. No. Solo se il paziente ha FMPS>15%

c. No. Solo se il paziente ha la parodontite

d. No. Solo se il paziente non ha necessità di eseguire terapia antibiotica.

11 - Se il paziente sottoposto a chirurgia mucogengivale presenta la necrosi del

lembo:

a. occorre controllare la sovrainfezione

b. è necessario sempre somministrare antibiotici per via sistemica

c. va invitato ad applicare un gel antisettico domiciliare per almeno un mese

d. tale evenienza si può verificare solo nella sede del prelievo palatino.

12 - Quando si pianifica una chirurgia parodontale in pazienti in terapia con

anticoagulanti:

a. è necessario sempre sospendere i farmaci

b. non è possibile operare se il paziente è in trattamento da molto tempo

c. occorre richiedere il valore di INR del giorno dell’intervento

d. è preferibile modificare il regime di trattamento.