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DIREZIONE CENTRALE POLITICHE DEL LAVORO E WELFARE Settore Sicurezza sul lavoro LA NUOVA SICUREZZA SUL LAVORO CASI, QUESITI E SOLUZIONI Maggio 2014

LA NUOVA SICUREZZA SUL LAVORO CASI, QUESITI E … · Esistono deroghe particolari al divieto di lavoro minorile? 7. Quali sono gli adempimenti e gli obblighi di sicurezza che competono

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DIREZIONE CENTRALE POLITICHE DEL LAVORO E WELFARE Settore Sicurezza sul lavoro

LA NUOVA SICUREZZA SUL LAVORO

CASI, QUESITI E SOLUZIONI

Maggio 2014

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DIREZIONE CENTRALE POLITICHE DEL LAVORO E WELFARE Settore Sicurezza sul lavoro

A cura di: Pierpaolo Masciocchi, Responsabile del Settore Sicurezza sul lavoro Grazia Nuzzi, Funzionario del Setore Sicurezza sul lavoro

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INDICE GENERALE

CAPITOLO 1

I SOGGETTI ATTIVI E PASSIVI DELLA TUTELA

Sezione I

Il datore di lavoro

1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del datore di

lavoro? Esiste, a livello normativo, una definizione di “datore di lavoro pubblico”?

2. Al di là della definizione giuridica, esistono degli indici specifici di riconoscimento di tale figura?

3. Come è possibile individuare nelle Amministrazioni pubbliche la figura del datore di

lavoro? In mancanza di qualifiche dirigenziali, a chi viene attribuita ai fini della

sicurezza la qualifica di datore di lavoro?

4. Come si sostanzia, in concreto, l’obbligo di vigilanza imposto ai datori di lavoro? Quali

sono le azioni positive che deve compiere per un corretto esercizio del dovere di controllo?

5. Le misure di tutela che deve adottare il datore di lavoro nell’esercizio della propria

attività devono essere indirizzate solo nei confronti dei propri dipendenti oppure

anche nei confronti di terzi che eventualmente versino in situazione di pericolo?

Sezione II

Il preposto

1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del preposto?

E’ necessaria un’investitura formale da parte del datore di lavoro o del dirigente?

2. Quali sono i tratti distintivi della figura del preposto?

3. Svolgo, nell’azienda in cui lavoro, mansioni che mi garantiscono un autonomo potere di iniziativa e di controllo sulle attività a tutela della salute e della sicurezza. Non ho

tuttavia mai ricevuto un formale incarico al riguardo. Posso essere assimilato alla

figura del preposto?

4. Sono preposto in un’azienda di piccole dimensioni. Che tipo di responsabilità ho in

ragione delle mie funzioni?

Sezione III

Il dirigente

1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del dirigente?

2. Quali sono i tratti distintivi della figura del dirigente?

3. Svolgo di fatto mansioni dirigenziali anche se non ho mai ricevuto formale nomina. Posso essere assimilato, quanto a compiti e responsabilità, al dirigente ai fini della

salute e sicurezza sul lavoro?

4. E’ compatibile, ai fini della sicurezza sul lavoro, la qualifica di dirigente con lo

svolgimento di mansioni esercitate con vincolo di dipendenza gerarchica?

5. Ai fini della sicurezza sul lavoro, sono assimilato al dirigente pur non avendo la gestione di alcuna una struttura organizzativa?

Sezione IV

L’impresa familiare

1. Cosa si intende per impresa familiare? Nell’ambito dell’impresa, quali soggetti sono

considerati “familiari”? 2. Al di là della definizione giuridica, vi sono degli indici di riconoscimento che

consentano, nella pratica, di individuare facilmente quando ricorrono le condizioni per

configurarsi un’impresa familiare?

3. Vi sono delle particolari formalità da porre in essere per la costituzione di un’impresa

familiare? 4. Chi sono i soggetti che possono formare un’impresa familiare?

5. Ricorre la fattispecie dell’impresa familiare quando la prestazione lavorativa è

esercitata dal convivente?

6. A chi spetta l’amministrazione dell’impresa familiare?

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7. A quale tipologia di lavoratori sono assimilati i collaboratori familiari?

8. Quali sono i diritti di collabora con l’impresa familiare? 9. Le disposizioni sull’impresa familiare si applicano anche nei casi di famiglia

coltivatrice?

10. Su chi ricadono gli obblighi di sicurezza nel caso di impresa familiare composta da

padre e figlio?

Sezione V Il lavoratore autonomo

1. Gli obblighi di sicurezza dettati dal D.Lgs 81/08 gravano anche sui lavoratori

autonomi? Quale norma lo prevede?

2. Cosa si intende per lavoratore autonomo?

3. Quali sono i tratti distintivi del lavoro autonomo e di quello subordinato? 4. Esistono degli indici di riconoscimento delle due figure?

5. Cosa deve intendersi per subordinazione?

Sezione VI

I coltivatori diretti del fondo e gli artigiani 1. Cosa deve intendersi, ai fini della sicurezza sul lavoro, per imprenditore artigiano? 2. Quali sono le caratteristiche dell’impresa artigiana? Esistono condizioni di ordine

dimensionale per la qualificazione dell’impresa?

3. L’impresa artigiana può essere svolta con la prestazione d’opera di personale

dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci?

4. Esistono criteri specifici per il calcolo dei dipendenti dell’impresa artigiana? 5. Cosa deve intendersi per coltivatore diretto? Esistono dei tratti specifici per

l’identificazione di tale figura?

Sezione VII

Il piccolo commerciante

1. Cose si intende per commerciante ai fini della sicurezza sul lavoro? 2. Come vengono classificate le attività commerciali?

3. Quali sono i criteri discretivi ai fine della distinzione tra piccolo, medio e grande

commerciante?

4. Esistono particolari indici di riconoscimento della figura del piccolo commerciante?

5. Può essere considerato un piccolo commerciante chi si avvale del lavoro proprio ma fa utilizzo dei macchine molto costose?

6. Come deve essere determinata la prevalenza del lavoro proprio rispetto al capitale

investito per la qualificazione del piccolo commerciane?

Sezione VIII

Tutela delle lavoratrici madri 1. Quali sono i principali diritti di una lavoratrice madre?

2. Cosa si intende per lavoratrice madre? Qual’è il campo di applicazione della

normativa?

3. Quale sono le norme che si applicano alle lavoratrici a domicilio?

4. Sono un datore di lavoro che ha assunto alle proprie dipendenze una

5. E’ necessario presentare il certificato medico di gravidanza per poter fruire dei diritti che la normativa concede alle lavoratrici madri?

6. Sono una lavoratrice divenuta da poco tempo madre. In seguito alla mia gravidanza il

datore di lavoro ha variato le mie mansioni. E’ legittimo?

7. Sono una lavoratrice madre addetta alla vigilanza di uno stabile. E’ frequente che la

mia attività mi porti a svolgere lavoro notturno. Quali sono i miei diritti in proposito? 8. In qualità di lavoratrice madre, ho diritto a permessi retribuiti dal lavoro?

9. Sono un datore di lavoro con alle dipendenze una lavoratrice madre. Quali obblighi di

sicurezza devo adottare? Quali, in particolare, sono i rischi che devo prendere in

considerazione?

10. Quali sono le misure di prevenzione e protezione che il datore di lavoro deve adottare

in caso di presenza nei luoghi di lavoro di lavoratrici madri?

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Sezione IX

Lavoro minorile 1. Cosa si intende per lavoro minorile?

2. Qual è la principale normativa di riferimento? Quali i suoi contenuti?

3. Rientrano nel campo di applicazione della normativa a tutela del lavoro minorile i

lavori occasionali o di breve durata?

4. A quali altre categorie di lavoratori non è applicabile la normativa sul lavoro minorile?

5. Qual’è l’età minima per l’accesso al lavoro? 6. Esistono deroghe particolari al divieto di lavoro minorile?

7. Quali sono gli adempimenti e gli obblighi di sicurezza che competono al datore di

lavoro con riferimento al lavoro minorile?

8. Esistono delle lavorazioni per le quali è vietato adibire al lavoro gli adolescenti?

9. E’ vero che per poter ottenere l’ammissione al lavori di adolescenti è necessario sottoporli a visita medica?

10. A quale tipologie di controlli medici devono essere sottoposti gli adolescenti?

11. E’ possibile adibire adolescenti al lavoro notturno?

12. Esistono eccezioni al divieto di adibire adolescenti al lavoro notturno?

Sezione X Disposizioni particolari

1. Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di contratto di somministrazione di

lavoro?

2. Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di distacco del lavoratore?

3. Nei confronti dei lavoratori a progetto o dei collaboratori coordinati e continuativi si applicano le norme dettate dal D.Lgs 81/08?

4. Quali sono le norme di sicurezza applicabili confronti dei lavoratori che effettuano

prestazioni occasionali di tipo accessorio?

5. Quali norme di sicurezza si applicano in caso di lavoratori a domicilio?

6. Nel lavoro a distanza quali delle disposizioni dettate dal D.Lgs 81/08 sono applicabili?

7. Quali sono i criteri per il computo dei lavoratori utilizzati mediante somministrazione di lavoro?

CAPITOLO 2

IL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

1. Nei casi in cui, un'attività è composta da titolare ed un solo lavoratore è necessaria la nomina del RSL? Per Gli RSPP e RSL sono necessari corsi di aggiornamento annuali?

2. Se una soc. coop. è formata da tutti soci lavoratori, il presidente della soc. coop. può

essere nominato Rls e Rspp? Le singole attività, tipo: srl; sas; snc; soc coop; az.

agricole, ecc. ss quando si può nominare il Rspp e il Rls?

3. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro con riferimento all’organizzazione della

prevenzione in azienda? 4. Il comma 7 stabilisce che nei casi di cui al comma 6 il RSPP deve essere interno. Il

mio caso riguarda alcune case di cura, che non hanno intenzione di assumere un

RSPP e non hanno personale interno disponibile. Conosce una scappatoia?

5. Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di

persone esterne alla azienda?

6. Il RSPP esterno di un azienda come deve comportarsi nei confronti di un impresa appaltatrice che svolge opere edili di manutenzione ordinaria all'interno della azienda,

utilizzando attrezzature difformi (per es. ponteggi). Quale è la documentazione da

richiedere?

7. Nel rispetto della normativa vigente, all'interno dello stesso servizio di prevenzione e

protezione, possono essere nominati 2 RSPP? 8. Con il D.Lgs 81/2008 la comunicazione del nominativo del RSPP (nel mio caso stesso

datore di lavoro) all'ispettorato del lavoro e all'asl non è più obbligatoria, servirà

comunque un foglio di nomina? Questo foglio deve comunque contenere l'indicazione

degli infortuni avvenuti in azienda? e se si, come si valutano le ore lavorate nel caso ci

siano lavoratori stagionali?

9. Con l'entrata in vigore del D.Lgs 81/08 è ancora in vigore l'obbligo di comunicazione delle competenze del RSPP all'ispettorato del lavoro e all'ASL di competenza?

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10. Esistono dei casi in cui l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno

dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria? 11. Nei casi di aziende con più unità produttive devono essere istituiti più servizi di

prevenzione e protezione?

12. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un ruolo della

carriera direttiva) all'interno dell'azienda possa contemporaneamente rivestire il ruolo

di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls)?

13. In un'impresa individuale artigiana, formata solo dal titolare, ci lavora il figlio come coadiuvante familiare (non figura in visura camerale). L'azienda rientra tra i soggetti

obbligati a fare la sicurezza? (cioè avere le figure richieste RSPP-RLS e fare i corsi sul

pronto soccorso e antincendio?)

14. Sono interessato a svolgere le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e

protezione. Quali requisiti professionali devo avere? 15. Quali sono i requisiti dei corsi di formazione per Rspp?

16. L'art. 32 comma 6 del D.Lgs. 81/08 rimanda all'accordo stato regioni e tale accordo fa

ancora riferimento al D.Lgs. 626/94. Essendo io professionista esonerato dalla

frequenza dei moduli A e B dei corsi per l'abilitazione, ed ottenendo quindi l'effettiva

abilitazione a seguito della frequenza del corso modulo C, da quando devo considerare

inizi l'obbligo di aggiornamento periodico e quali sono i riferimenti normativi che definiscono la decorrenza di tale obbligo?

17. Devo svolgere le funzioni di RSPP. Qual’è il modulo formativo di base che devo

frequentare e che durata ha?

18. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Qual’è il modulo formativo

che devo frequentare e che durata ha? 19. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Mi hanno detto che esiste un

modulo C da frequentare. Di cosa si tratta?

20. Mi trovo nella seguente situazione: ho frequentato nel 2002 un corso di 16 ore ai

sensi del DM 16/01/1997; attualmente non ho incarichi RSPP; vorrei avere la

possibilità di assumere l'incarico RSPP. Quali moduli, previsti dall'Accordo Stato-

Regioni, devo frequentare? Posso far valere il corso del 2002 come credito formativo ed essere esonerato dal modulo A?

21. Volevo chiedere parere all'esperto riguardo gli obblighi formativi relativi alle imprese

familiari (art. 21 dlgs 81/08) e se questi si limitano a quanto previsto dall'art. 37 o se

sussistono comunque gli obblighi di nomina del RSPP, addetto al primo soccorso e

alla gestione delle emergenze. 22. Quali sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di formazione?

23. Una azienda che eroga corsi di formazione professionale, con accreditamento

regionale, e con 5 sedi in tutta Italia (1 sede legale e 4 sedi secondarie) può avere un

SPP composto dal solo RSPP o deve designare anche degli addetti?

24. E’ possibile svolgere le funzioni di Rspp nei casi di mancato possesso del previsto

titolo di studio? 25. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione

devono essere registrate nel libretto formativo del cittadino?

26. Il RSPP esterno, ingegnere libero professionista ed abilitato ai sensi della L. 818/84 di

una azienda con rischio di incendio basso può effettuare la formazione della squadra

antincendio ed attestare l'avvenuta formazione?

27. Per formare ed attestare la formazione di dipendenti - preposti - datori di lavoro - RSPP - RLS ai sensi del nuovo testo unico, bisogna avere requisiti particolari o può

tranquillamente farlo un tecnico ambientale come me che mi occupo di pratiche sulla

sicurezza - HACCP ed ambiente in generale?

28. Quali sono i principali compiti del servizio di prevenzione e protezione?

29. Quali sono le principali aree di competenza del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione?

30. Possono essere utilizzate figure di supporto al Rspp?

31. Quali sono Quali sono le principali caratteristiche che deve avere un modello di Spp

interno all’azienda? le principali caratteristiche che deve avere un modello di Spp

interno all’azienda?

32. In quali casi è possibile organizzare un Servizio di prevenzione e protezione interno all'azienda con supporti esterni?

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33. E’ possibile organizzare un unico servizio di protezione e prevenzione per più aziende?

34. E’ possibile organizzare un servizio di protezione e prevenzione comparto produttivo? Quali caratteristiche deve avere?

35. Esistono delle indicazioni utili per orientarmi nella scelta del modello di prevenzione e

protezione?

36. Il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di

prevenzione e protezione dai rischi?

37. Nel caso il Datore di Lavoro voglia svolgere la mansione di RSPP in una società cooperativa che si occupa di movimentazione merci. In questo caso il limite di

dipendenti cui riferirsi nell'all. 2 del TU è 30 come aziende artigiane e industriali

oppure 200 come "altre aziende"?

38. Può un "Datore di lavoro delegato" svolgere anche la funzione di RSPP diretto se ha le

capacità/requisiti e rientrando nei casi previsti all'Allegato 2 del D.Lgs 81/08? 39. In caso di svolgimento diretto dei compiti di Rspp, il datore di lavoro deve frequentare

appositi corsi di formazione?

40. Quali sono i contenuti dei corsi di formazione per il datore di lavoro che intende

svolgere direttamente i compiti di Rspp?

41. Sono un datore di lavoro di un azienda con 16 lavoratori. Ho l’obbligo di convocare la

riunione periodica. In cosa consiste?

42. Per aziende con numero di dipendenti minore di 15, il RSL non è tenuto a convocare

la riunione periodica). Come deve allora comportarsi il RSPP, che necessita di questo

tipo di riunioni per definire, tra l'altro, la programmazione delle varie attività per la

sicurezza della ditta? 43. Quali sono gli adempimenti per i Datori di Lavoro che intendono svolgere direttamente

i compiti di prevenzione e protezione dai rischi?

44. Il datore di lavoro che intenda svolgere direttamente i compiti del servizio di

prevenzione e protezione deve comunicarlo all’organo di vigilanza?

45. Sono previsti corsi di aggiornamento per i Datori di Lavoro?

46. Se le aziende di cui all'articolo 31, comma 6, non hanno tra il personale soggetti in possesso dei previsti requisiti professionali, possono ricorrere a consulenti esterni per

la copertura del ruolo di responsabile del servizio prevenzione e protezione (Rspp)?

47. In riferimento all'articolo 34 del nuovo Testo unico, il Datore di Lavoro non deve

inviare la dichiarazione indicata nell'articolo 10, comma 2 della 626/94. Deve essere

semplicemente custodita in azienda?

48. Si fa l’ipotesi di una Srl composta da due soci e da un amministratore esterno senza compenso. Il responsabile del servizio prevenzione e protezione è uno dei due soci, che

al momento non è alle dipendenze dell'azienda. La Srl in questione è fuori norma?

49. Quando la legge stabilisce l'obbligatorietà del Rspp interno, è possibile nominare un

Rspp che è legato alla società da un contratto a progetto e che presta la propria opera

anche per altre imprese? 50. Quali sono le modalità di organizzazione e di gestione dei corsi per responsabile del

servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e addetto al servizio di prevenzione e

protezione (ASPP)? Quali sono i soggetti abilitati ad erogare la formazione, i requisiti

dei docenti, e le modalità di effettuazione della validazione e certificazione della

formazione?

CAPITOLO 3

I RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA

1. Lavoro in un’azienda con 8 dipendenti. Cosa prevede la recente normativa di sicurezza per l’elezione del rappresentante dei lavoratori?

2. Quali sono le procedure di elezione del rls in un’azienda con più di 15 lavoratori?

3. Qual è il numero minimo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza?

4. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un ruolo della

carriera direttiva) all'interno dell'azienda possa contemporaneamente rivestire il ruolo

di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) ? 5. Sono un Rls di una piccola azienda. Quali sono i miei principali compiti?

6. Può una stessa persona, dipendente di una specifica ditta, svolgere il ruolo di

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rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Dlgs 81/08) per tre diverse unità

produttive appartenenti a un unico gruppo?

7. Sono un rappresentante per la sicurezza. Come si configura il mio diritto di accesso ai

luoghi di lavoro? Quali poteri ho nel caso specifico?

8. Deve essere sempre rispettato i diritto del datore di lavoro a vedere preservato il

segreto industriale? Come si concilia con la facoltà di accesso ai locali?

9. Esistono accordi interconfederali che disciplinano le modalità di accesso del Rls nei

luoghi di lavoro? 10. Come si configura il diritto del Rls ad essere consultato? Quali sono i documenti che

devono essere fatti conoscere al Rls?

11. Esiste una formazione particolare che deve avere il Rls?

12. Sono un Rls appena designato in azienda. Mi dicono che tra i miei poteri vi è quello di

poter formulare al datore di lavoro proposte e osservazioni. Come si configura esattamente tale potere?

13. Quando si deve ricorrere all’elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

territoriale?

14. Quali sono le procedure di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza

territoriale?

15. Quali diritti e quali compiti ha il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale? Che tipologia di formazione deve avere?

16. Vorrei avere chiarimenti in merito alla nomina, formazione e aggiornamento dei

Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) nel caso di aziende con meno di 15

lavoratori.

17. In quali casi si deve designare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo

18. Opero in un’azienda industriale. Esiste una specifica disciplina sui rappresentanti dei

lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali?

19. Opero in un’azienda del terziario con 7 dipendenti. Esiste una specifica disciplina sui

rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali? 20. Opero in un’azienda del terziario con oltre 15 dipendenti. Esiste una specifica

disciplina sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi

interconfederali? 21. Sono Rls di un’impresa artigiana. Esiste una specifica disciplina sui rappresentanti

dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali?

22. E vero che la nomina dei Rls deve essere comunicata? In caso di risposta affermativa, a quale ente e con quale frequenza?

23. La comunicazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza deve essere

effettuata per ogni singola azienda o può essere effettuata cumulativamente in caso di

più aziende?

24. Quali sono le sanzioni in caso di mancata comunicazione del nominativo del Rls?

25. Devo provvedere alla comunicazione all'Inail dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in conformità di quanto previsto dall'articolo 47 del Dlgs 81/2008. Vorrei

sapere che cosa si intende per «unità produttiva». La nostra società esercita l'attività

di pulizie per conto di committenti pubblici e privati e, pertanto, opera presso le

strutture dei committenti. Tali strutture sono da ritenersi ciascuna «unità produttiva»

oppure no?

CAPITOLO 4

IL MEDICO COMPETENTE E IL MEDICO AUTORIZZATO

Sezione I Il medico competente

1. Sono un datore di lavoro di una piccola azienda che necessita di sorveglianza

sanitaria. Devo quindi nominare il medico competente. A quale soggetto posso

rivolgermi?

2. Chi è obbligato alla nomina del medico competente? Una società di servizi con 5 dipendenti è obbligata a fare le visite mediche?

3. Salve, l'art 18 del D.Lgs 81/08 indica tra gli obblighi del datore di lavoro quello di

nominare il medico competente e la designazione del responsabile del servizio. Dal

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punto di vista di adempimenti (incarico scritto, verbale di nomina ecc) che differenza

c'è? 4. In qualità di medico competente posso avvalermi della collaborazione di medici

specialisti?

5. E’ previsto che il medico competente debba collaborare con il datore di lavoro e con il

servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della

programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria. Come si esplica, in

concreto, tale attività? Quali compiti e quali obblighi mi competono? 6. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba programmare ed effettuare la

sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi

specifici. Come si attuano tali compiti?

7. Come si effettua la sorveglianza sanitaria per quanto riguarda i lavori con rischio di

esposizione alle radiazioni ionizzanti? 8. Nel caso si rendano necessari accertamenti complementari, a chi spetta la scelta?

Essa è rimessa al medico competente?

9. Quali informazioni devono essere contenute nella cartella sanitaria? Come deve essere

custodita e da chi?

10. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al datore di lavoro, alla

cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso? 11. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al lavoratore, alla

cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio e gli deve

fornire le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima?

12. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba fornire informazioni ai

lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad

accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta

l'esposizione a tali agenti. Come si forniscono tali informazioni? Sono previste

sanzioni?

13. Il medico competente deve fornire ai lavoratori anche le informazioni sull’esito degli

esami medici?. Deve rilasciare copia della documentazione sanitaria? 14. E’ vero che il medico competente deve comunicare per iscritto i risultati anonimi

collettivi della sorveglianza sanitaria e deve fornisce indicazioni sul significato di detti

risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità

psico_fisica dei lavoratori?

15. E’ un obbligo del medico competente visitare gli ambienti di lavoro o è una mera facoltà?

16. I sopralluoghi negli ambienti di lavoro devono essere effettuati alla presenza del datore

di lavoro?

17. Quali sono le modalità per effettuare le visite negli ambienti di lavoro?

18. Risponde al vero che il medico competente deve partecipare alla programmazione del

controllo dell'esposizione dei lavoratori? 19. E’ ancora valido l’obbligo del medico competente di comunicare, mediante

autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti al Ministero della salute?

20. La sorveglianza sanitaria affidata al medico competente ha riguardo ai soli

accertamenti sanitari previsti dalle norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori ovvero

anche agli accertamenti sanitari previsti dalle norme sul rapporto di lavoro?

21. Il medico competente ha l’obbligo di referto ? 22. L'art. 41, comma a) del D. Lgs. 81/08 stabilisce che la sorveglianza sanitaria è

effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle

direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui

all'art. 6. Si chiede quali sono in dettaglio questi casi e i relativi riferimenti legislativi e

inoltre se la sorveglianza riguarda anche le attività commerciali (negozi). 23. Quali sono i titoli o i requisiti per l’esercizio dell’attività di medico competente?

24. Quali percorsi formativi devono essere svolti dal medico competente?

25. Esiste un Albo dei medici competenti? Da chi è tenuto? 26. Sono lavoratore part time in un call center in fascia diurna per un totale di quattro ore

giornaliere. Quando sono in malattia sono assoggettato alla visita fiscale dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. Poiché svolgo un lavoro part time la mattina, la visita fiscale

dovrebbe ricadere solo nell'orario diurno?

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Sezione II Il medico autorizzato

1. Chi è il medico autorizzato?

2. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria A esposti deve essere effettuata

esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata anche dal medico

competente?

3. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria B esposti deve essere effettuata esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata anche dal medico

competente?

4. Quali sono le attribuzioni specifiche del medico autorizzato? Quale norma le

disciplina?

5. Quali sono gli obblighi del medico autorizzato? 6. Come deve essere tenuta la documentazione sanitaria?

7. I lavoratori hanno diritto di accedere risultati delle valutazioni che li riguardano?

8. Risponde al vero che i documenti sanitari personali devono essere consegnati

all'ISPESL?

9. In caso di violazioni da parte del medico autorizzato delle norme di sicurezza, quali

sanzioni sono previste? 10. Qual’è la procedura per l'adozione dei provvedimenti disciplinari nei confronti del

medico autorizzato?

11. Da chi viene conferita la qualifica di medico autorizzato?

12. Quali sono i titoli per l’esercizio dell’attività di medico autorizzato?

13. Esiste un elenco dei medici autorizzati. Come ci si può iscrivere?

CAPITOLO 5

GESTIONE DELLE EMERGENZE, PRIMO SOCCORSO E PREVENZIONE INCENDI

Sezione I

Gestione delle emergenze e primo soccorso

1. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro ai fini della gestione delle emergenze? 2. Esistono dei criteri o delle indicazioni per potersi orientare nell’individuazione dei

soggetti da designare come addetti alla gestione delle emergenze?

3. Il datore di lavoro è obbligato a predisporre un piano di emergenza? Quali contenuti

deve avere?

4. Quali sono gli obiettivi del piano di emergenza? 5. Esistono delle attività per le quali è obbligatorio il piano di emergenza?

6. Quale documentazione è necessaria ai fini della predisposizione di un piano di

emergenza?

7. Esiste una classificazione delle emergenze in termini di priorità degli interventi?

8. Risponde al vero che all’interno del piano di emergenza devono essere necessariamente

indicate le aree operative o il centro di controllo. In caso di risposta affermativa, esistono dei criteri per una loro individuazione?

9. Cosa sono le squadre di intervento per l’emergenza? Devono essere sempre previste?

10. Esiste un particolare tipo di equipaggiamento di emergenza da adottare?

11. Il piano di emergenza aziendale deve indicare necessariamente un piano di

evacuazione?. In cosa consiste? Come si può individuarlo? 12. Qualora avvenga un evento pericoloso di proporzioni non limitabili e comunque non

immediatamente circoscrivibili con i mezzi disponibili all'interno dell'azienda, cosa è

necessario fare? Esistono delle prescrizioni in proposito?

13. Cosa sono le verifiche del piano di emergenza? Quando devono essere effettuate?

14. Esistono diverse tipologie di piani di emergenza è è possibile fare riferimento ad un

unico modello? 15. Cos’è il piano di emergenza di unità? In quali circostanze deve essere predisposto?

16. Cos’è il piano di emergenza esterno?

17. A norma dell’art. 18, comma 1, let. b) del D.Lgs 81/08, il datore di lavoro deve

designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di primo

soccorso. Quali sono le caratteristiche principali che devono possedere tali soggetti?

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18. Che tipo di formazione devono ricevere i lavoratori incaricati dell’attuazione delle

misure di primo soccorso? 19. Esistono delle caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso?

20. Il decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 individua, tra le altre, attività lavorative

di Gruppo A). Quali sono?

21. Quali sono le aziende appartenenti al Gruppo C, ai fini delle caratteristiche minime

delle attrezzature di primo soccorso?

22. Sono un datore di lavoro di un’azienda con oltre sei lavoratori a tempo indeterminato del comparto dell'agricoltura. Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in

tema di primo soccorso? Quali sono i contenuti minimi della cassetta di pronto

soccorso?

23. Sono un datore di lavoro di un’azienda con tre lavoratori a tempo indeterminato.

Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso? Quali sono i contenuti minimi della cassetta di pronto soccorso?

24. Sono un datore di lavoro di un’azienda con meno di tre lavoratori. Quali sono gli

adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso? Devo avere una

cassetta di pronto soccorso o è sufficiente il pacchetto di medicazione?

25. Sono un datore di lavoro di una media impresa (con 43 dipendenti) che ha appena

nominato un addetto al primo soccorso. Qual è la formazione minima che devo garantire? Su chi gravano i costi? Chi deve svolgere la formazione? Con quale cadenza

deve essere ripetuta la formazione?

26. Sono un datore di lavoro un’azienda che produce e commercializza software con 5

dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato. Qual è la formazione minima

che devo garantire agli addetti al primo soccorso? Su chi gravano i costi? Chi deve svolgere la formazione? Con quale cadenza deve essere ripetuta la formazione?

27. Ho appena nominato un addetto al primo soccorso. Lavoro in una piccola azienda (3

dipendenti). Esistono dei corsi di formazione specifici per gli addetti al primo

soccorso? Quali sono i requisiti?

28. Per una corretta classificazione delle aziende ai fini del primo soccorso, come vanno

considerati i lavoratori? Esistono dei criteri di computo? 29. Il datore di lavoro deve comunicare alla Asl l’appartenenza alle varie categorie previste

dal DM 388/03? Come deve avvenire la comunicazione? Esistono delle indicazioni sui

contenuti che devono essere assicurati nella comunicazione?

30. Che differenza c’è tra la cassetta di pronto soccorso e il pacchetto di medicazione?

31. E’ possibile integrare i contenuti della cassetta di pronto soccorso in relazione ad specifici rischi presenti in azienda?

32. La cassetta di pronto soccorso come e dove deve essere custodita?

33. Lavoro in un’azienda appartenente al gruppo A. So che il DM 388/03 prevede che il

datore di lavoro deve garantire il raccordo tra il sistema di pronto soccorso interno e il

sistema di emergenza del SSN. Cosa significa? Che tipo di adempimenti devo

espletare? Esistono delle indicazioni in proposito? 34. Esistono prescrizioni particolare per l’organizzazione del sistema di primo soccorso

nelle attività edili?

35. Chi sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di primo soccorso?

36. Che differenza c’è tra pronto soccorso ed assistenza medica d’emergenza? Avendo

un’azienda di medie dimensioni appartenente al Gruppo A, devo approntare anche

l’assistenza medica d’emergenza? 37. Con quale frequenza devono essere ripetuti i corsi per addetti al primo soccorso?

38. Esiste un numero minimo di addetti da impiegare al primo soccorso o la scelta può

essere rimessa al datore di lavoro?

39. Nella mia azienda svolge le funzioni di addetto al servizio di pronto soccorso un

medico professionale. Deve svolgere lo specifico corso di formazione? 40. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del servizio

di prevenzione e protezione e quelli di pronto soccorso. Devo frequentare gli appositi

corsi per addetti al primo soccorso oppure la formazione che ho ricevuto come Rspp è

sufficiente?

41. Quali sono le attrezzature minime per gli interventi di pronto soccorso?

42. Sono il titolare di un piccolo mobilificio costituito da 4 falegnami e 2 impiegati (uno tecnico ed uno amministrativo). L'indice di inabilità INAIL per l'attività di falegnameria

11

è superiore a 4. Per classificare l'azienda secondo il DM 388/03 devo considerare il

totale dei dipendenti (vale a dire 6) e considerarmi nel gruppo "AII", oppure tenere conto solamente di coloro che esercitano l'attività a rischio infortunistico più elevato (i

4 falegnami) e ritenermi quindi nel gruppo "B" ?

43. I dipendenti della mia azienda hanno effettuato un corso di Primo Soccorso nel

dicembre 2001. La nuova normativa prevede che tale corso sia ripetuto con cadenza

triennale. Quando inizio a calcolare il triennio: dall'effettuazione dell'ultimo corso (in

questo caso dovrei ripeterlo entro il dicembre 2004), oppure dall'entrata in vigore del DM 388/03 prevista per il 3 febbraio 05 (in questo caso il corso dovrebbe essere

eseguito entro il febbraio del 2008) ?

44. Sono un datore di lavoro di una ditta di manutentori, che per il 90% della loro attività

sono impegnati in piccoli cantieri stradali. Gli operai si spostano prevalentemente in

coppia, su un automezzo munito di tutta l'attrezzatura di lavoro. Devo tenere su ogni vettura un pacchetto di medicazione?

45. Qualcuno mi ha detto che la cassetta di Pronto Soccorso deve essere sostituita tutte le

volte che viene utilizzata, perchè deve essere sempre sigillata in occasione di un

eventuale controllo. Dato che la cassetta costa circa 80 € ed il pacchetto di

medicazione si avvicina ai 20 € vorrei sapere se questa affermazione è vera.

46. Sono il proprietario di una piccola falegnameria di 7 dipendenti. Ho provveduto solo recentemente a nominare due miei dipendenti quali addetti al primo soccorso, a chi

mi devo rivolgere per far effettuare loro un corso di formazione specifico secondo il

D.M. 388/03 ?

47. Sono il direttore sanitario di una RSA lombarda: posso evitare di sottoporre il mio

personale infermieristico ai corsi di formazione per il primo soccorso? 48. In azienda ho nominato come addetto al Primo Soccorso Aziendale un lavoratore

dipendente che è anche volontario del 118: devo comunque procedere alla sua

formazione come previsto dal decreto?

49. Un'impresa rientrante nel gruppo A, per un malinteso tra medico competente e

consulente del lavoro, ha omesso di presentare la comunicazione per il pronto

soccorso. Chiede se la svista è sanzionata. 50. L'ente per cui lavoro ha la necessità di organizzare alcuni corsi di "aggiornamento per

quanto attiene alla capacità di intervento pratico" per gli addetti al pronto soccorso

aziendale che hanno seguito il corso tre anni fa.

51. Un'azienda mi chiede se sia consono procedere alla chiusura della cassetta di pronto

soccorso aziendale mediante apposita chiavetta a disposizione dei soli addetti al primo soccorso, onde garantire la custodia della stessa e la conservazione/reintegrazione del

contenuto della medesima. A mio giudizio questa prassi risulta oltremodo corretta e

opportuna in quanto la cassetta di pronto soccorso non è un presidio messo a

disposizione di tutti i lavoratori, bensì degli addetti al primo soccorso che dovrebbero

garantire l'attuazione, in caso di qualsiasi incidente, di precisi protocolli di intervento,

conformemente alle procedure aziendali (si veda il combinato disposto del comma 2 e 1 art. 15 D. Lgs. 626/1994). Qual'è la vostra opinione al riguardo?

Sezione II

Prevenzione incendi

1. La nomina degli addetti all’attuazione delle misure di prevenzione incendi può avvenire in un momento successivo all’avvio dell’attività, ovvero quando, nel caso

concreto, si presentino rischi per la sicurezza?

2. Che tipo di formazione devono possedere i soggetti incaricati della prevenzione

incendi?

3. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in attività a rischio di incendio basso? Quanto deve durare la formazione?

4. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in

attività a rischio di incendio medio? Quanto deve durare la formazione?

5. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in

attività a rischio di incendio elevato? Quanto deve durare la formazione?

6. Cos’è il certificato di prevenzione incendi? 7. Da chi è rilasciato il certificato?

12

8. In un condominio di 6 famiglie divise su 3 piani quanti estintori bisogna avere?

9. Il D.M. 10 marzo 1998 si applica su tutti i luoghi di lavoro? 10. Quali normative bisogna rispettare per un impianto promiscuo a gas e gasolio?

11. Vorrei sapere se i moduli per le certificazioni e dichiarazioni sono obbligatorie per i

professionisti.

12. Posso, in qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una

scuola, tenere corsi per addetti antincendio per rischio medio ai lavoratori e rilasciare

certificato controfirmato dal datore di lavoro? Oppure solo i Vigili del fuoco possono tenere questi corsi?Mi è stato riferito che posso tenere questi corsi tranne nel caso di

rischio elevato.

13. In riferimento agli adempimenti di prevenzione degli incendi, in attività produttiva,

non trovo notizie complete ed esaustive riguardo la corretta e completa compilazione

del registro di prevenzione incendi. 14. Vorremmo sapere se è obbligatoria, per un locale di spettacolo con più di 100 posti,

la presenza dei Vigili del fuoco nelle serate di spettacolo. Considerato il fatto che si

tratta di Teatro stabile con squadra interna addestrata e formata dal comando

Vigili locale e con attestato di idoneità conseguito e rilasciato dallo stesso comando.

15. Ho incaricato una ditta specializzata che, periodicamente, provvede alla

manutenzione degli estintori collocati nella mia azienda. Se, da un controllo, dovesse risultare che gli estintori non sono in regola o se, in situazione di incendio,

un dipendente subisce dei danni a causa di estintori difettosi, la responsabilita' su chi

ricade?

16. Se in un condominio fosse necessario adeguare i locali adibiti a posto macchina

alle norme antincendio, le spese relative spetterebbero a tutti i condomini, o ricadrebbero interamente sui soli proprietari dei posti macchina?

17. Vorrei sapere quali sono i requisiti per assumere la qualifica di tecnico certificatore

di prevenzione incendi.

18. Avendo un solo dipendente, vorrei sapere quali sono le misure di prevenzione incendi.

L'impianto elettrico dell'ufficio (un normale appartamento) è stato messo a norma.

19. Un'azienda artigianale lavora nel settore della carpenteria metallica leggera. I lavoratori non si assumono le responsabilità di prevenzione ed evacuazione. Che

cosa si deve fare?

20. Sono laureato in architettura e ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della

professione. Vorrei sapere quali requisiti occorrono per poter progettare e adeguare

gli impianti antincendio degli immobili sia pubblici che privati.

CAPITOLO 6

INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO

1. Il D.Lgs 81/08 impone ai datori di lavoro di provvedere a erogare “informazione” ai

propri lavoratori. In cosa consiste l’informazione. Esistono dei contenuti minimi? 2. Sono un datore di lavoro che fruisce dell’attività di lavoratori a domicilio. Devo

assicurare a tali lavoratori una qualche forma di informazione sui contenuti del d.lgs.

81/08?

3. In cosa consiste, concretamente, l’attività di informazione?

4. Da chi deve essere erogata l’informazione? Dal datore di lavoro o dal responsabile 5. L’obbligo di informazione dei lavoratori grava anche sul medico competente?

6. Esistono delle modalità specifiche per l’erogazione dell’informazione?

7. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del servizio

di prevenzione e protezione. Quali sono i contenuti della formazione che devo

ricevere? Quale norma lo prevede? Qual è la durata dei corsi?

8. Oltre all’informazione il datore di lavoro deve provvedere anche a formare i propri dipendenti? Qual’è la norma che lo prevede?

9. Quando deve avvenire la formazione dei lavoratori?

10. Quali sono i contenuti della formazione dei lavoratori? Qual è la durata dei corsi?

11. Anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto alla formazione?

Quali sono i contenuti ?

12. Sono un addetto alla gestione delle emergenze in una media impresa. Ho diritto alla

13

formazione e quale norma lo prevede?

13. A seguito dell’attività di formazione è necessario fornire una specifica documentazione al lavoratore?

14. Risponde al vero che i lavoratori devono ricevere informazione e formazione sulla

segnaletica di sicurezza?

15. In qualità di datore di lavoro, devo assicurare un’informazione specifica ai miei

dipendenti sulle attrezzature di lavoro presenti in azienda?

16. Sono un lavoratore di una impresa industriale e, per l’esercizio della mia attività, utilizzo dispositivi di protezione individuale? Devo ricevere dal datore di lavoro una

formazioni specifica in proposito?

17. Quali obblighi formativi gravano sul datore di lavoro in caso di movimentazione

manuale dei carichi?

18. In caso di utilizzo dei videoterminali, deve essere fornita adeguata formazione ai lavoratori?

19. Quali sono i contenuti della formazione che devono ricevere i lavoratori che sono

esposti ai rischi da agenti cancerogeni?

20. In caso di esposizione ad agenti biologici è necessario formare i lavoratori? Quali sono

le caratteristiche della formazione? Su chi grava l’obbligo formativo, sul datore di

lavoro o sul medico competente? 21. Lavoro in una ditta che movimenta agenti chimici? Devo ricevere formazione specifica

da parte del datore di lavoro?

22. In caso di attività che prevedono l’utilizzo o la movimentazione di piombo metallico e

suoi composti ionici, amianto e rumore, sono previsti particolari obblighi formativi nei

confronti dei lavoratori? Quali sono i contenuti della formazione? 23. È obbligatoria la partecipazione ai corsi di formazione, ai sensi del Dlgs 81/08, oltre

che dal personale dipendente infermieristico, anche dei medici specialisti

ambulatoriali interni?

24. In riferimento al Dlgs 81 del 9 aprile 2008 in tema di sicurezza sul lavoro, premesso

che sono legale rappresentante di una Sas nonché socio accomandatario che si

occupa di commercio al minuto di articoli di ferramenta, considerato che attualmente nel negozio ci lavoro solo io, quindi non ho dipendenti che lavorano con me, vi chiedo

se sono obbligato a svolgere un qualsivoglia corso previsto dal suddetto Dlgs per non

incorrere in sanzioni. Se sono obbligato, da quando decorre tale obbligo?

25. L'obbligo di frequenza ai corsi previsti in materia di sicurezza sul lavoro può essere

riconosciuto valido anche se frequentato dal collaboratore familiare e non dal titolare dell'impresa?

26. In tema di formazione ai neoassunti sulla D.Lgs 81/08, finora l'azienda ha risolto la

formazione con un Cd che veniva fatto visionare al neoassunto, con emissione di una

stampa che attestava l'avvenuto "corso"; sembra che adesso non sia più sufficiente e

quindi potremmo trovarci fuori legge. Vorremmo sapere se questa autoformazione è

ancora valida e, se non lo dovesse essere, da quando. 27. Sono un architetto e assolvo l'incarico di Rspp esterno da due anni. Devo frequentare

un corso di formazione specifico? In caso negativo, posso rilasciare attestati di

formazione Rspp ad altri soggetti? Il mio collaboratore diplomato perito meccanico,

dotato di attestato di formazione, che svolge funzione di Rspp esterno in aziende da

tre anni, può conferire attestati ad altri soggetti?

28. L'articolo 34 del decreto legislativo 81/08, prevede che il datore di lavoro che intende svolgere i compiti del servizio di prevenzione e protezione dai rischi "deve frequentare

apposito corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro,

promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro". Poiché questi corsi di

formazione risultano organizzati e gestiti da svariati soggetti senza che l'organo di

vigilanza abbia nulla da eccepire, sembrerebbe che l'inciso "promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro" possa essere inteso nel senso che tale formazione

può essere promossa da "chiunque" ivi comprese le associazioni dei datori di lavoro.

E' corretta questa interpretazione?

29. Sono un medico dentista in contabilità ordinaria; ho sostenuto la spesa per

frequentare il corso di responsabile della sicurezza obbligatorio ai fini della D.Lgs

81/08. Vorrei sapere se è deducibile totalmente (essendo obbligatorio) o nella misura del 50% come gli altri corsi di aggiornamento.

14

30. In qualità di amministratore di condominio, ho provveduto nei mesi addietro e per

alcuni dipendenti di fabbricato, ad adempiere agli obblighi previsti dal Dlgs 81/08, dando l'incarico a uno studio specializzato in sicurezza del lavoro, che ha

provveduto in seguito al corso di formazione-informazione per i dipendenti, a

elaborare le dovute certificazioni. E' corretta questa procedura?

31. Un datore di lavoro che ha nominato il responsabile del servizio di prevenzione

e protezione e ha assunto in proprio i compiti di prevenzione incendio e di

evacuazione e di pronto soccorso deve seguire specifici corsi per i ruoli assunti? 32. Svolgo da anni l'attività di esperto in sicurezza sul lavoro. Sono in possesso

anche di certificazione che attesta questa posizione e, da due anni, in occasione

dell'entrata in vigore delle nuove norme sulla sicurezza ricopro la funzione di

responsabile del servizio di prevenzione e protezione per varie aziende. Posso

ritenermi esente, anche parzialmente, dal corso di 120 (o 60) ore previsto dalla <direttiva cantieri>?

33. I lavoratori incaricati di attuare le misure relative al pronto soccorso, alla

prevenzione incendi e alla gestione dell'emergenza, devono essere adeguatamente

informati sul programma degli interventi da eseguire e devono ricevere, pertanto, una

formazione adeguata a cura del datore di lavoro. In proposito vorrei sapere se

questi corsi di formazione devono essere effettuati solamente dalle autorità istituzionali oppure possono essere effettuati anche da ditte od operatori

specializzati.

34. Amministro una piccola azienda commerciale di macchine utensili che ha sei

dipendenti di cui: tre addetti alla amministrazione (nessuno videoterminalista), un

magazziniere dotato di muletto elettrico per la movimentazione dei carichi, uno addetto ai collaudi e alle piccole riparazioni delle macchine presso i laboratori dei

clienti che a volte mette in funzione, per dimostrazione, qualche macchina presso il

nostro magazzino. Ritenendo il nostro un caso di scarsa pericolosità, vorrei

svolgere io direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi. Dove posso

svolgere il corso di formazione?

CAPITOLO 7

LA VALUTAZIONE DEI RISCHI

1. Nella mia qualità di datore di lavoro di una piccola impresa, vorrei sapere quali

devono essere gli obiettivi di miglioramento aziendale di cui devo tener conto nell’ambito del processo di valutazione dei rischi?

2. Esistono dei criteri o delle indicazioni oggettive che devono essere contemplate nella

valutazione dei rischi?

3. Esistono delle modalità semplificate che possono essere utilizzate per condurre la

valutazione dei rischi in una piccola impresa?

4. Devo condurre la valutazione dei rischi nella mia azienda. Come posso valutare il rischio di incidenti? Devo a tal fine utilizzare stime o statistiche specifiche?

5. Qual’è il termine di legge previsto per svolgere la valutazione dei rischi secondo le

modalità indicate dal D.Lgs 81/08

6. Nel documento di valutazione dei rischi va sempre indicata la nomina del medico

competente? 7. L’obbligo di valutare i rischi aziendali ricade unicamente sul datore di lavoro? Può,

questi, avvalersi o utilizzare competenze esterne?

8. Devo predisporre il documento di valutazione dei rischi aziendali e, per la mia

azienda è troppo costoso ricorrere a consulenti esterni. Vorrei sapere quali sono i

passaggi che devo compiere e quali sono le varie fasi del processo valutativo.

9. Quali sono i principali pericoli da prendere in considerazione nell’ambito della valutazione dei rischi?

10. Esistono dei pericoli di natura ergonomia che devono essere presi in considerazione

nel documento di valutazione dei rischi? Se si quali sono?

11. Quali sono i pericoli specifici da valutare e prevenire nel sistema aziendale della

sicurezza sul lavoro?

12. Si può ritenere esistente il pericolo di assunzione per inalazione nel caso in cui le

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concentrazioni siano inferiori ai TLV7?

13. Come si determina il pericolo derivante dall’esposizione al rumore? Quali sono i criteri per determinarlo?

14. Nella valutazione dei rischi debbano essere considerati anche i pericoli di processo?

Quali sono e come si valutano?

15. Come si configura e come si valuta il pericolo di rilascio di sostanze tossiche e quello

derivante dal rilascio di energia termica?

16. Come si configura e come si valuta il pericolo di incendio e quello di esplosione? 17. Cosa si intende per pericoli organizzativi? Come si valutano e come si prevengono?

18. Esistono delle particolari categorie maggiormente sensibili ai rischi che devono

trovare una maggiore attenzione nell’ambito della valutazione dei rischi?

19. Ho appena terminato di valutare i rischi della mia azienda. Posso considerare

conclusi i miei compiti o devo compiere altri passaggi? 20. Se dalla valutazione dei rischi aziendali emerge l’esistenza di fonti di pericolo, quali

sono i passaggi che devo compiere? Come devo procedere? Devo nominare il medico

competente?

21. Quali sono le indicazioni per svolgere il processo di valutazione dei rischi? Come

rappresentare in un documento lo stato reale delle condizioni di lavoro della

azienda? 22. Esistono degli elementi o delle indicazioni per identificare i fattori di rischio

aziendali? Esistono dei metodi utilizzabili al riguardo?

23. Nella valutazione dei rischi deve essere ricompressa anche quella dello stress

lavorativo?

24. Come deve essere condotta la valutazione dello stress? 25. Su chi ricade la responsabilità dello stress lavoro correlato? Sul datore di lavoro? Se

si, come può il datore di lavoro svolgere da solo tale valutazione? Come deve fare?

26. La valutazione dello stress lavoro correlato ricomprende anche tutti i rischi

psicosociali. Che differenza c’è con il mobbing?

27. Che differenza intercorre tra lo stress lavorativo e la vera e propria violenza nel posto

di lavoro, che magari produce stress? 28. La valutazione dello stress lavorativo deve essere condotta singolarmente per ciascun

lavoratore?

29. La valutazione dello stress deve essere condotta sempre o solo nei casi in cui questo

possa incidere sulla sicurezza?

30. Lo stress lavorativo è una condizione puramente soggettiva. Anche la valutazione dello stress deve essere condotta in maniera soggettiva?

31. Esistono degli indicatori oggettivi di potenziale stress?

32. Come si conduce la valutazione dei rischi derivanti da stress lavorativo in mancanza

di particolari elementi o indicatori oggettivi di stress?

33. Come si conduce la valutazione dello stress qualora vi siano in azienda determinati

fattori che possono denotare la presenza di stress nel luogo di lavoro? 34. Sono titolare di una media azienda di servizi. All’esito del procedimento di

valutazione dei rischi è emerso che alcuni dipendenti manifestavano evidenti

problemi di stress lavorativo. Cosa devo fare? Quali misure devo prevedere?

35. A seguito del processo di valutazione dei rischi in azienda sono emerse alcune aree

di criticità e dei pericoli. Quali sono i passaggi da compiere e cosa va evidenziato nel

documento di valutazione? 36. Quali sono i casi in cui, a seguito della valutazione, è opportuno il ricorso a misure

di igiene industriale o a criteri valutativi più specifici? La normativa vigente fornisce

in proposito delle indicazioni puntuali?

37. Quali sono le misure generali di tutela che devono essere ricompresse nel documento

di valutazione dei rischi? 38. E’ possibile avere un esempio pratico di quali devono essere le azioni da

intraprendere in seguito alla conclusione della valutazione dei rischi?

39. Quali sono i criteri di redazione del documento di valutazione dei rischi?

40. Dove deve essere custodito il documento di valutazione dei rischi?

41. Sono un datore di lavoro di una piccola impresa che svolge direttamente i compiti di

Rspp. Devo dare comunicazione di tale incarico? A chi e cosa devo comunicare? 42. E’ ancora valida la possibilità di non redigere il documento di valutazione dei rischi

16

per le piccole imprese? Esistono dei criteri dimensionali d’impresa per rendere

possibile tale esclusione? 43. Ho appena aperto un’attività commerciale. Quanti giorni ho per procedere alla

valutazione dei rischi?

44. Ho sentito parlare della necessità di dover apporre la data certa al documento di

valutazione dei rischi. Come si fa in pratica? Esistono delle alternative?

45. E’ sempre obbligatoria la data certa nel documento di valutazione dei rischi?

Esistono delle esenzioni? 46. Può riportare degli esempi di situazioni di situazioni e di attività lavorative che

richiedono una valutazione dei rischi?

47. Un 'azienda esercente attività di trasporto e facchinaggio esplica servizi per conto di

tre aziende appaltanti in tre depositi di stoccaggio merci diversi. Quanti Dvr deve

redigere? 48. Il titolare di una ditta individuale con un figlio come coadiuvante, ai fini del Testo

unico 81/2008 è equiparato a un impresa con meno di 10 dipendenti e quindi con

tutti gli oneri che ne derivano, o è equiparato a un lavoratore autonomo, e quindi

non redige il Dvr, non nomina il medico competente, non nomina il Rspp e Rls,

eccetera?

49. L'articolo 5, comma 2, lettera d) del Dm 37/08 prevede l'obbligo del progetto elettrico nei «locali adibiti ad uso medico». Un medico di base ha un solo dipendente: è

soggetto al Dpr 462/01, articolo 2 per la messa in esercizio dell'impianto e

all'articolo 4, comma 1, per le verifiche periodiche biennali? E’ tenuto a frequentare il

corso di formazione come datore di lavoro rspp?

50. Vorrei sapere se la data del 16 maggio, per l'invio della relazione sullo stress correlato vedi Dl 81/2008, è stata prorogata e quali sono gli obblighi di legge

previsti. Posso fare la relazione anche io che sono consulente del lavoro?

51. In caso di trasferimento di sede in un'altra struttura, qual è il tempo massimo entro

cui bisogna eseguire la valutazione dei rischi e produrre un nuovo Dvr? Per

l'occasione, vorrei adottare una nuova struttura di documento, diversa dalla

precedente, in modo che risulti più aderente all'attuale normativa. Ci sono controindicazioni al riguardo? Per quanto tempo è necessario conservare le

precedenti versioni?

52. Rispetto all'obbligatorietà imposta dal Dlgs 81/08 di strutturare un Dvr all'interno di

ogni organizzazione che abbia almeno un dipendente, esiste una categoria che si

possa sentire esclusa? In una Snc che ha un'officina nella quale lavorano solo i due titolari, quali sono gli obblighi rispetto alla stesso decreto?

53. Nel caso di un lavoro edile, ad esempio la realizzazione della pavimentazione di una

rampa per la quale il Comune non ha richiesto nessun documento (né Dia né

permesso di costruire), affidato a una sola azienda il committente o il responsabile

dei lavori devono ottemperare solo all'articolo 90, comma 9; non è richiesto Duvri,

Pos o Dvr per lo specifico cantiere, solo il rispetto di quanto riportato dell'articolo 95 e 96. Se l'azienda subappalta a uno o più lavoratori autonomi deve rispettare anche

l'articolo 97?

54. Con l'entrata in vigore del Dlgs 81/2008 le aziende devono procedere alla valutazione

dei rischi. La normativa sulla sicurezza prevede un periodo transitorio per le aziende

al di sotto dei 10 dipendenti in cui possono anche non ottemperare alla normativa

sulla sicurezza e in particolare alla predisposizione della documento di valutazione dei rischi limitandosi a predisporre questa autocertificazione? Nel caso l'azienda

ottemperi all'adempimento dell'autocertificazione, ma di fatto non provveda alla

valutazione dei rischi, è in regola con la normativa sulla sicurezza? In caso di

eventuali controlli è soggetta a sanzione?

55. Quali sono i nuovi criteri stabiliti dal Testo Unico a cui deve essere adeguato il documento di Valutazioni dei Rischi?

56. In caso di nuova attività, quando deve essere effettuata la valutazione dei rischi?

57. Quali sono i contenuti minimi del Documento unico di valutazione dei rischi

interferenti (Duvri)?

17

CAPITOLO 8

LA SORVEGLIANZA SANITARIA

1. In cosa si sostanzia la sorveglianza sanitaria? E’ possibile disporre accertamenti

preventivi sui lavoratori o esami clinici e biologici?

2. Quale ruolo ha il medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria? Deve

solo eseguire le visite mediche o la sua attività si esplica anche nella prevenzione

primaria? 3. Quali determinazioni può assumere il medico competente qualora ravvisi la

necessità di escludere un lavoratore da determinati rischi?

4. In quali casi deve essere effettuata la sorveglianza sanitaria? Qual’è la normativa di

riferimento al riguardo?

5. E’ possibile effettuare visite mediche in fase preassuntiva? 6. E’ possibile effettuare visite mediche per accertare stati di gravidanza?

7. L’esito delle visite mediche deve essere comunicato al lavoratore o solo al datore di

lavoro? Dove devono essere conservate le risultanze delle visite mediche?

8. Quali sono i giudizi che possono essere espressi dal medico competente al termine

delle visite?

9. E’ possibile proporre ricorso avverso i giudizi espressi dal medico competente? Se si, in che termini?

10. Quali sono le modalità di esecuzione delle visite nei casi di lavorazioni che

espongono all'azione di agenti chimici, fisici e biologici o che risultano comunque

nocivi?

11. Qual è la periodicità con cui si devono effettuare le visite mediche? 12. Cos’è la visita medica preventiva?

13. In caso di lavoratori esposti alle radiazioni ionizzanti, come viene attivata la

sorveglianza sanitaria? Deve essere disposta la visita medica preventiva?

14. Oltre alle visite preventive, sono previste anche visite periodiche? Se si, come deve

essere effettuata?

15. Cosa si intende per visita straordinaria? 16. E’ fatto obbligo al medico competente di effettuare le visite mediche su richiesta del

lavoratore?

17. Cos’è la visita medica eccezionale?

18. Cosa sono gli accertamenti sanitari? In cosa consistono?

19. Quali sono gli accertamenti da eseguire in caso di rischi da radiazioni ionizzanti? 20. E’ obbligo del medico competente comunicare gli esiti della visita medica? L’obbligo,

eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità?

21. In caso di visite svolte su lavoratori esposti a rischi da radiazioni ionizzanti, è obbligo

del medico competente comunicare gli esiti della visita medica? L’obbligo,

eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità?

22. Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di informazione nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica? Come possono essere assolti

tali obblighi?

23. Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di informazione

nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica in quanto esposti ad agenti

biologici? Come possono essere assolti tali obblighi?

24. Quali obblighi ha il medico competente verso il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza?

25. Quali sono le modalità di formulazione del giudizio d'idoneità da parte del medico

competente?

26. Quali sono i giudizi di idoneità formulabili quale esito di una visita preventiva o

periodica in caso di radiazioni ionizzanti? 27. Quali obblighi ha il datore di lavoro in caso, all’esito della visita medica, il medico

competente formuli un giudizio di inidoneità alla mansione specifica?

28. Il giudizio di idoneità deve essere trasmesso anche al lavoratore? Esistono

particolari forme di comunicazione?

29. E lecito formulare giudizi di idoneità in fase di visita preventiva?

30. In caso di inidoneità al lavoro, quali obblighi ha il medico competente? 31. Quali sono le caratteristiche della sorveglianza sanitaria e, in particolare, dei giudizi

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di idoneità nel caso di lavoratori esposti ad agenti nocivi?

32. Quali sono i criteri clinici che potrebbero motivare un giudizio medico di non idoneità o di idoneità con limitazioni e/o prescrizioni in caso di esposizione a

radiazioni ionizzanti?

33. La visita medica preventiva, introdotta dal Dlgs 81/2008 in caso di attività lavorativa

considerata pericolosa dalla normativa sulla sicurezza, deve essere effettuata prima

dell’inizio dell’attività lavorativa o può essere effettuata anche qualche giorno dopo?

Nel caso venga effettuata successivamente all’assunzione, sono previste sanzioni? 34. Come devono essere condotti da parte del medico competente gli accertamenti

sull'uso di alcol in ambiente di lavoro (per le mansioni a rischio previste dalla legge)

?Attraverso l'audit test ed altre pratiche non invasive in prima istanza o direttamente

attraverso prelievi di sangue atti a rilevare il tasso alcolemico?In caso di analisi

invasive (prelievo sangue) è necessario il consenso da parte del lavoratore? 35. Se il medico aziendale prescrive ai dipendenti delle visite specialistiche, chi ne

sopporta il relativo onere economico? Nel caso in cui sia a carico del datore di

lavoro, di quali strutture puo' avvalersi?

36. Il decreto legislativo 81/08 prevede che <la sorveglianza sanitaria e' effettuata nei

casi previsti dalla normativa vigente. Si chiede quali sono in dettaglio questi

casi e i relativi riferimenti legislativi, e inoltre se la sorveglianza riguarda anche piccole aziende a conduzione familiare e studi professionali con un solo

dipendente.

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Premessa

Nonostante i recenti interventi correttivi operati dal legislatore, il quadro legislativo che caratterizza il settore della salute e della sicurezza sul lavoro rimane ancora oggi complesso ed articolato, soprattutto a causa dei

numerosi obblighi ed adempimenti cui sono tenuti i diversi soggetti coinvolti. Mancano ancora del tutto, inoltre, indicazioni interpretative ed applicative

volte a fornire risposte chiare e precise agli operatori sui numerosi aspetti ancora dubbi che sono emersi nel corso del periodo di vigenza del testo unico.

Proprio per rispondere a tale esigenza, e con l’obiettivo di offrire una chiave di lettura organica ed unitaria dell’intero corpo normativo, è stata

predisposta questa Guida, che raccoglie in maniera sistematica le soluzioni e le risposte concrete a oltre 400 quesiti che la Confederazione ha fornito

sugli aspetti inerenti la sicurezza sul lavoro, organizzandoli in ordine logico e metodologico all’interno di capitoli tematici.

Vengono così enucleate, in maniera pratica ed intuitiva, alcune categorie generali utili per la comprensione di una materia così complessa e frammentata, offrendo criteri operativi a fronte delle obiettive e molteplici

difficoltà affioranti in sede di interpretazione ed applicazione legislativa.

Il testo, utilizzando il metodo delle F.a.q. ripercorre in maniera critica i vari obblighi di sicurezza imposti dalla normativa, offre indirizzi utili per l'individuazione delle misure di tutela, dalla conformità normativa agli

aspetti gestionali e tecnico organizzativi.

Nella prima parte della Guida, vengono evidenziate le norme generali di riferimento per la realizzazione del sistema di gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro e vengono individuati i soggetti attivi e passivi della tutela,

ne vengono descritte le mansioni, le attività e le prerogative. Nella parte successiva vengono approfonditi tutti gli obblighi di sicurezza previsti all’interno dei luoghi di lavoro, che spaziano dalla sorveglianza sanitaria alla

gestione delle emergenze, al pronto soccorso, alla prevenzione incendi.

Vengono poi affrontati gli aspetti relativi alla formazione, informazione ed addestramento, anche alla luce dei recenti Accordi Stato Regioni in ordine alle modalità e ai contenuti dei percorsi formatividi tutti i soggetti destinatari

della sicurezza.

Un capitolo apposito è poi dedicato ai quesiti pervenuti concernenti le modalità e i criteri per la valutazione dei rischi, sia nelle forme ordinarie che attraverso l’applicazione delle procedure standardizzate.

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Capitolo 1 I soggetti attivi e passivi della tutela

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Sezione I Il datore di lavoro

1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del datore di lavoro? Esiste, a livello normativo, una definizione di “datore di

lavoro pubblico”? Nell’ambito delle disposizioni definitorie di portata generale, il D.Lgs. 81/08 ha espressamente individuato i soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza e di salute formulando una definizione più completa di “lavoratore” rispetto a quella contenuta nella legislazione precedente e giungendo ad offrire anche la definizione di “datore di lavoro”, della quale sono altresì stati tratteggiati anche alcuni caratteri distintivi in relazione alla natura pubblica del settore di attività. Sul piano generale, il parametro di riferimento per la individuazione della figura del datore di lavoro è rimasto invariato.

Tale figura è definita come il soggetto “titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”. Nelle pubbliche amministrazioni per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, esso è individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo. 2. Al di là della definizione giuridica, esistono degli indici specifici di riconoscimento di tale figura?

Gli indici di riconoscimento della figura datoriale sono dunque almeno due: l’uno di carattere formale, che si riconduce appunto alla titolarità del rapporto di lavoro col lavoratore, l’altro di natura sostanziale che si riconnette invece al concetto di responsabilità in relazione ai tradizionali indici della autonomia – potere decisionale e di spesa. Per la verità il decreto legislativo in questione, nell’ambito della richiamata definizione, nel fissare la natura sostanziale della figura in esame, ne “estende” il riconoscimento al così detto datore di lavoro di “fatto” a cui in qualche modo si aggancia la mozione di “datore di lavoro delegato” pure introdotta innovativamente dall’art. 16 del D.Lgs 81/08. Trattasi di un aspetto di grande rilevanza pratica per molte aziende, in particolare ovviamente per quelle di non modestissime dimensioni, in quanto l’esistenza di un valido atto di delega costituisce al tempo stesso una condizione indispensabile al trasferimento soggettivo della responsabilità penale (che notoriamente è personale) e sufficiente a produrne l’effetto. Non a caso, la concreta utilizzabilità in ambito giuridico e processuale di tal genere di delega richiede la sussistenza di specifici requisiti senza i quali l’effetto che le è proprio (del trasferimento della responsabilità penale) non potrebbe essere prodotto. La giurisprudenza ha autorevolmente ed efficacemente fissato i criteri necessari a far ritenere legittimamente applicabile la delega: essa deve essere conferita per iscritto, deve essere comprovata e non presunta (principio di certezza), debbono essere concretamente e dettagliatamente indicati i poteri delegati, deve essere esplicitamente accettata dal delegato, è valida solo se correlata alle più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione, ivi compreso il potere di disporre

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autonomamente delle risorse necessarie. Non potrebbe d’altro canto esserne consentito un uso strumentale, volto cioè all’aggiramento delle responsabilità, ma appunto unicamente quello previsto di contribuire ad una più efficace attribuzione delle competenze dei singoli nella gestione delle problematiche connesse alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. 3. Come è possibile individuare nelle Amministrazioni pubbliche la figura del datore di lavoro? In mancanza di qualifiche dirigenziali, a chi viene attribuita ai fini della sicurezza la qualifica di datore di lavoro? Allo stato attuale della legislazione, a partire dal D.Lgs. n. 29/93 e sue successive modificazioni, vige notoriamente un riparto di competenze in relazione al quale nelle Pubbliche Amministrazioni gli organi di governo ed elettivi sono titolari dei poteri di indirizzo politico - amministrativo, di dotazione organica, strumentale ed economico-finanziario e delle funzioni di controllo dell’ente; ai dirigenti spetta invece la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa delle risorse assegnate e la gestione del personale. Ai dirigenti pubblici è pertanto riconosciuta la titolarità degli stessi poteri di autonomia decisionale e di spesa propri dei datori di lavoro nel settore privato. A scanso di equivoci bisogna precisare che il rapporto di dipendenza funzionale esistente con gli organi di governo vale per ciò che attiene agli obiettivi definiti a livello di azione politico-amministrativa, non anche per altri, come quello della “tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”, che è la stessa legge a definire e ad imporre in modo indifferenziato alle imprese pubbliche e private. I dirigenti pubblici non sono pertanto equiparabili ai dirigenti del settore privato ma piuttosto – ai sensi dell’art. 2 – comma 2, let. b) del D.Lgs. 81/08 – ai datori di lavoro. Essi non hanno perciò vincoli di subordinazione in materia di adempimento degli obblighi di sicurezza e non debbono sottostare alla decisone di altri organi dell’ente di governo, fermo ovviamente restando il potere-dovere di controllo di quest’ultimo sul lavoro operato connesso al rapporto di servizio che comunque li lega all’ente. In mancanza di qualifiche dirigenziali, la figura del datore di lavoro negli enti locali individuata ai sensi e per le finalità della normativa di prevenzione, è quella del funzionario. In tale ambito, alla luce di alcune autorevoli pronunce della Suprema Corte e della dottrina prevalente, appare inequivoco il divieto di delega nel settore pubblico – inteso almeno nel senso di delega di responsabilità con gli effetti giuridici poc’anzi richiamati – sia in relazione alla insuperabile problematicità di conciliare l’esercizio della delega con le tutt’ora rigide, seppure semplificate, procedure di impegno della spesa che regolano l’azione della Pubblica Amministrazione, sia in considerazione della possibilità di creare situazioni di disquilibrio negli assetti funzionali dell’Ente Pubblico. E’ comunque certo che datori di lavoro da un lato e dirigenti dall’altro (in misura qualitativamente e quantitativamente inferiore i così detti preposti) siano i soggetti primariamente destinatari degli obblighi di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro sui quali incombe infatti il dovere di attuazione degli obblighi e degli adempimenti in materia di sicurezza e di salute). 4. Come si sostanzia, in concreto, l’obbligo di vigilanza imposto ai datori di

lavoro? Quali sono le azioni positive che deve compiere per un corretto esercizio del dovere di controllo? Il riferimento generale agli obblighi e ai connessi doveri di sicurezza, trova la propria specificazione nell’art. 18 del D.Lgs 81/08, che indica, tra gli obblighi del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti, quelli di attuare, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, le misure di sicurezza previste nel decreto, di informare i lavoratori sui rischi specifici derivanti dallo svolgimento delle loro mansioni e di esigere il rispetto e l’osservanza delle disposizioni impartite. La prescritta vigilanza sui comportamenti dei lavoratori ha carattere impositivo: l’imprenditore è infatti

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tenuto a pretendere l’applicazione delle misure di sicurezza, usando tutta l’autorità di cui è investito e adottando anche provvedimenti sanzionatori a carico dei lavoratori. Si configura la deroga dell’esclusione della responsabilità del datore di lavoro nel caso di comportamento anomalo del lavoratore che, se posto in essere, ha valore di causa del sinistro o che, quando vi sia una valutazione del datore di lavoro, può assumere il valore di causa sopravvenuta, da sola sufficiente a cagionare l’evento, sicchè debba dirsi che causa del sinistro è stata quella condotta, o che debba prendersi atto, constatato che qualcosa può rimproverarsi anche al datore di lavoro, che l’evento è riconducibile al solo lavoratore, per avere questi posto in essere una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento. Naturalmente l’obbligo del datore di lavoro di vigilare per impedire atti o manovre rischiose del dipendente non comporta un continuo controllo nell’esecuzione di ogni attività né il dovere di affiancare un preposto a ogni lavoratore impegnato in mansioni richiedenti la prestazione di una sola persona o di organizzare il lavoro in modo da moltiplicare i controlli fra i dipendenti, richiedendosi solo una diligenza rapportata in concreto al lavoro da svolgere, e cioè all’ubicazione del medesimo, all’esperienza e specializzazione del lavoratore, alla sua autonomia, alla prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione. Di conseguenza deve escludersi la responsabilità del datore di lavoro se l’infortunio accaduto a un lavoratore normalmente esperto trovi causa in una manovra dello stesso, estremamente pericolosa e non necessaria per l’esecuzione del compito affidatogli, poiché l’elevata pericolosità di tale condotta ne comporta l’imprevedibilità in un lavoratore di normale esperienza. In conclusione si configura l’esonero da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri della abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute, oppure dall’eccezionalità che si pone come causa esclusiva dell’evento, mentre la semplice irrazionalità della condotta, quando sia pensabile in anticipo, non vale a scagionare il datore di lavoro. 5. Le misure di tutela che deve adottare il datore di lavoro nell’esercizio della propria attività devono essere indirizzate solo nei confronti dei propri dipendenti oppure anche nei confronti di terzi che eventualmente versino in situazione di pericolo? Le misure garanti della sicurezza del lavoro devono proteggere anche l’integrità di persone estranee che possono trovarsi nella situazione di pericolo, e ciò in aderenza al principio in forza del quale, da un lato, il rischio ambientale deve essere coperto a cura di chi organizza il lavoro, e, dall’altro, chiunque possa incorrere in tale pericolo deve ritenersi destinatario di adeguata protezione. Un’applicazione particolare del principio si rinviene nei casi in cui si è ritenuto sussistente il delitto di omicidio colposo in danno di persone che siano entrate in fabbrica o in cantiere per un qualsiasi motivo connesso con il lavoro (es. ispettore, committente, fornitore) o che vi si trovino occasionalmente, con esclusione dei curiosi e degli abusivi. A tale logica interpretativa si ispira la fattispecie in cui un operaio avventizio, che fino al giorno prima aveva prestato la sua opera a richiesta del datore di lavoro, in un momento successivo, dissuaso dal farlo perché il suo apporto lavorativo non era necessario, si

era attivato spontaneamente agendo su una macchina prestante le aperture di alimentazione prive di idonei ripari e aveva riportato lesioni gravissime; la Cassazione1 ha ritenuto che tale intervento, non costituiva qualcosa di occasionale e imprevedibile, ma il naturale completamento dell’attività prestata e non faceva venir meno, nonostante la spontaneità, la riconducibilità dell’evento al datore di lavoro. Particolarmente interessante è l’ipotesi di infortunio verificatosi nell’ambiente ed in costanza di lavoro ma in relazione ad attività non direttamente

1 Cfr Cass. sentenza n. 827 del 25 gennaio 1993

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collegata allo stesso, come le aggressioni conseguenti alle condotte criminose di terzi. Si pensi all’impiegato di banca che nel corso di una rapina, avvenuta dopo due altri fatti analoghi, rimanga ferito nell’agenzia, la cui porta di accesso al pubblico era munita di un congegno automatico di apertura difettoso. La frequenza del fenomeno criminoso, che lo rendeva perciò stesso prevedibile, e l’interpretazione estensiva dell’art. 2087 C.C. giustificata dal rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e dai principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro, consentono di condividere la risarcibilità di simili danni indiretti. In tal modo, l’ambito di applicazione della disposizione richiamata viene a ricomprendere l’obbligo di preservare l’ambiente di lavoro anche dai rischi connessi ad azioni illecite di terzi.

Sezione II Il preposto

1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del preposto? E’ necessaria un’investitura formale da parte del datore di lavoro o del dirigente? A norma dell’art. 2 del D.Lgs 81/08 si intende, per preposto, "la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”. Col tale definizione devono intendersi, senz'altro, i sovrintendenti che hanno ricevuto l'investitura formale da parte dell'azienda. Ma ciò non è sufficiente. Infatti, se da un lato il conferimento della qualifica formale senza un corrispondente contenuto (si tratta del c.d. capo di se stesso, ossia sovrintendente senza dipendenti gerarchici: caso non infrequente nelle aziende) non è di per se sufficiente a riconnettere al lavoratore le responsabilità tipiche del preposto nella materia, dall'altro lato il mancato conferimento della qualifica a chi svolge compiti di sovrintendenza non basta a sottrarlo alle medesime responsabilità. Tanto la dottrina quanto la giurisprudenza infatti hanno riguardo, a tali fini, più alla situazione di fatto che non agli aspetti della gerarchia formale. 2. Quali sono i tratti distintivi della figura del preposto? Per la dottrina il preposto ha la funzione di controllo diretto e immediato dell'attività lavorativa e conseguentemente un certo potere d'impartire ordini ed istruzioni agli operai dipendenti e ancora la vigilanza del preposto e strettamente sussidiaria e si riferisce esclusivamente agli sviluppi esecutivi dell'opera: stante questa configurazione, ancora secondo la dottrina, egli “deve sollecitare direttive tecniche” e “non occorre che abbia una particolare qualifica”. 3. Svolgo, nell’azienda in cui lavoro, mansioni che mi garantiscono un autonomo potere di iniziativa e di controllo sulle attività a tutela della salute

e della sicurezza. Non ho tuttavia mai ricevuto un formale incarico al riguardo. Posso essere assimilato alla figura del preposto? La giurisprudenza con estrema chiarezza ha enunciato che2 la “individuazione dei destinatari delle norme di prevenzione degli infortuni va compiuta non soltanto in relazione alla qualifica rivestita dall'agente nell'ambito dell’organizzazione imprenditoriale, quanto e soprattutto in riferimento alle reali mansioni esercitate che

2 V. Cass. 22 gennaio 1969 n. 80, in Mass. giur. lav., 1969, 57, v. anche Cass. 29 gennaio 1981 n. 584.

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importano l'assunzione di fatto della responsabilità a queste inerenti”. Oscillazioni o almeno incertezze sussistono invece sulla figura del c.d. preposto di fatto, cioè di colui che (pur senza occupare nella gerarchia aziendale un ruolo, sia formalmente riconosciuto sia non ancora riconosciuto ma stabile e duraturo), solo contingentemente e/o per un'operazione specifica sovraintende o per disposizione aziendale o anche per propria iniziativa altri operai. Da un lato infatti si afferma che pur se la legge non prevede la figura del preposto di fatto, cioè la figura di un operaio che in un gruppo anche ristretto a due persone, agisca come capo-squadra e ne esplichi in concreto le mansioni, ove ciò sul piano pratico avvenga non e esclusa la responsabilità di questo soggetto nel caso in cui, in seguito agli ordini che egli abbia impartito, si verifichi un evento colposo, d'altro lato si afferma, con l'apparenza di smentire il precedente orientamento, che la legge non prevede la figura del preposto di fatto, cioè dell'operaio che in un gruppo, anche ristretto a due persone, agisca come capo squadra e ne esplichi le mansioni. Ove ciò avvenga di fatto, cioè senza la qualifica o in mancanza di incarico da parte di chi ha maggiori mansioni direttive, non è esclusa la corresponsabilità degli altri operai, i quali mai

potranno trincerarsi dietro l 'assunzione, contra legem, di iniziative da parte di chi non vi è abilitato3. 4. Sono preposto in un’azienda di piccole dimensioni. Che tipo di responsabilità ho in ragione delle mie funzioni? Quando si parla di responsabilità del preposto può intendersi o una responsabilità di tipo civilistico (che da luogo al solo risarcimento del danno) o una responsabilità di tipo penalistico (che da luogo alla sanzione penale oltrechè al risarcimento del danno). Nella normalità dei casi quando si parla di responsabilità del preposto ci si riferisce alla responsabilità penale sia per le più gravi conseguenze che essa comporta sia per il sistema del nostro ordinamento che relega la responsabilità meramente civilistica nella materia de qua ad una posizione marginale. Infatti ai sensi dell'art. 10 del T.U. approvato con D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) “l'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro” ma nei commi successivi il testo di legge precisa che “nonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio e derivato. Permane altresì la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice Civile. Le disposizioni dei due commi precedenti non si applicano quando per la punibilità del fatto dal quale l'infortunio e derivato sia necessaria la querela della persona offesa”. Potrà quindi sorgere problema di responsabilità di tipo civilistico, indipendentemente ed a prescindere da responsabilità di tipo penale, solo in casi marginali quali quello del lavoratore non soggetto all'obbligo assicurativo (c.d. lavoratore non tutelato: p.es. gli impiegati amministrativi in genere), quello del datore di lavoro obbligato alla denuncia assicurativa ed inadempiente (sarà tenuto alle penalità previste per

l'evasione e non beneficerà dell'esonero dalla responsabilità civile prevista dall'art. 10 T.U. n. 1124 del 1965), quello della responsabilità verso i terzi non dipendenti che subiscano un danno a seguito di inadempienze agli obblighi relativi alle misure di sicurezza. Nell'obbligo del risarcimento del danno, in tali casi, potrà restare coinvolto anche il preposto in una col datore di lavoro.

3 V. Cass. 17 novembre 1977 n. 14489, in Mass giur. lav., 1978, 771

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Sezione III

Il dirigente 1. Quali sono le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la figura del dirigente? A norma dell’art. 2, comma 1, let. d) del D.Lgs 81/08, come modificato dal D.Lgs 106/09, per dirigente deve intendersi “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa”. 2. Quali sono i tratti distintivi della figura del dirigente? Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale in dipendenza delle mansioni svolte, si deve tener conto che la figura del dirigente si caratterizza per la preposizione, quale alter ego dell'imprenditore, ad un intero settore di attività dell'azienda, con autonomia e discrezionalità decisionale, di modo da poter influenzare la vita dell'intera azienda o di un ramo rilevante ed autonomo di essa4. Ai fini predetti, per «ramo autonomo» dell'azienda deve intendersi «un complesso unitario di servizi finalizzati agli stessi scopi, che, pur operando nella sfera dello stesso organismo, acquista una configurazione sua propria assommando attività e mezzi che, diretti al medesimo fine, richiedono l'assoggettamento ad un unico indirizzo”5. 3. Svolgo di fatto mansioni dirigenziali anche se non ho mai ricevuto formale nomina. Posso essere assimilato, quanto a compiti e responsabilità, al dirigente ai fini della salute e sicurezza sul lavoro? Altre pronunce sembrano valorizzare maggiormente, al fine della qualificazione della categoria dirigenziale, l'elemento consistente nell'ampiezza del potere decisionale, in presenza del quale può ritenersi irrilevante la mancanza di preposizione ad uno specifico ramo dell'azienda, sia pure a condizione che il potere decisionale del dirigente fosse comunque idoneo di estendersi a tutte le attività e funzioni aziendali6. Va però segnalato che si tratta di pronunce aventi ad oggetto il problema inerente la configurabilità di una posizione dirigenziale di lavoratori che, pur in possesso del predetto potere decisionale, siano legati da un vincolo gerarchico ad altro dirigente. Al riguardo, secondo l'orientamento largamente prevalente, è «ammissibile - anche in riferimento alla prassi aziendale e alla concreta organizzazione degli uffici - la previsione di una pluralità di dirigenti (a diversi livelli, con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia, che però faccia salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale, circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore7.

4 Cass., 20 agosto 1991, n. 8975, in Dir. e Prat. Lav., 1991, 2934; Id., 25 ottobre 1989, n. 4358, ivi, 1990, 525; Id., 24 ottobre 1989, n. 4326, ibid., 439; Id., 28 gennaio 1989, n. 537, ivi, 1989, 1515; Id., 17 febbraio 1987, n. 1698, in Giust. Civ., 1989, I, 188; Id., 16 gennaio 1987, n. 362, in Dir. e Prat. Lav., 1987, 1650; Id., 23 aprile 1986, n. 2865, ivi, 1986, 2235; Id., 2 aprile 1986, n. 2274, ibid., 1937; Id., 18 maggio 1987, n. 3070, ivi, 1985, 1259 5 Cass., 17 marzo 1987, n. 2698, in Dir. e Prat. Lav., 1987, 2306.

6 Cass., 18 maggio 1985, n. 3069, in Orient. Giur. Lav., 1986, 318; Id., 11 dicembre 1987, n. 9195, ivi, 1988,1266; Id., 27 novembre 1987, n. 8842, ibid., 1193; Id., 29 agosto 1987, n. 7137, ibid., 370; Id., 5 giugno 1987, n. 4926, ivi, 1987, 3023 7 cfr., da ultimo, Cass., 25 febbraio 1994, n. 1899, in Dir. e Prat. Lav., 1994, 1610

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4. E’ compatibile, ai fini della sicurezza sul lavoro, la qualifica di dirigente con

lo svolgimento di mansioni esercitate con vincolo di dipendenza gerarchica? Secondo un'isolata pronuncia sussisterebbe incompatibilità tra la qualifica di dirigente e mansioni esercitate con vincolo di dipendenza gerarchica anche nei casi di aziende ad organizzazione complessa con pluralità di dirigenti con graduazione di compiti, occorrendo pure in tale ipotesi per la sussistenza delle funzioni dirigenziali che le mansioni nel loro svolgimento siano coordinate con quelle degli altri dirigenti e non già subordinate ad altre.8 Naturalmente, ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, il lavoratore è tenuto a provare non solo l'esercizio delle attività rivendicate, ma soprattutto che il loro espletamento è avvenuto in regime di autonomia e responsabilità proprio del livello dirigenziale9. 5. Ai fini della sicurezza sul lavoro, sono assimilato al dirigente pur non avendo la gestione di alcuna una struttura organizzativa? È interessante richiamare una pronuncia di merito secondo cui la mancata preposizione ad una struttura organizzativa non è preclusiva al riconoscimento della qualifica dirigenziale, in ipotesi di mansioni caratterizzate da elevata professionalità, da autonomia, discrezionalità e poteri di iniziativa, da responsabilità diretta verso i vertici dell'azienda e dal carattere fiduciario della prestazione10.

Sezione IV L’impresa familiare

1. Cosa si intende per impresa familiare? Nell’ambito dell’impresa, quali soggetti sono considerati “familiari”? L’impresa familiare è definita dall’art. 230-bis cod. civ. che recita: “Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato”. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi. Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo. Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari

indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, e altresì in caso di alienazione dell’azienda. Il pagamento può avvenire in più

8 Cass., 23 febbraio 1994, n. 1806 in Dir. e Prat. Lav., 1994, 1547.

9 Cass., 21 giugno 1989, n. 2969, in Dir. e Prat. Lav., 1989, 2822; Id., 15 gennaio 1988, n. 262, ivi, 1988, 1518; Id., 8 aprile 1987, n. 3462, ivi, 1987, 2509; Id., 23 luglio 1986, n. 4174, ivi, 1986, 2996; Id., 7 dicembre 1984, n. 6464, ivi, 1985, 515 10 cfr. Trib. Milano, 30 maggio 1984, in Lavoro 80, 1984, 815

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annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice. In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull’azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell’art. 732. Le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme. 2. Al di là della definizione giuridica, vi sono degli indici di riconoscimento che consentano, nella pratica, di individuare facilmente quando ricorrono le condizioni per configurarsi un’impresa familiare? Il concetto di impresa familiare è maggiormente esplicato dalla giurisprudenza. Con sent. n. 5603 del 18 aprile 2002, Sez. lavoro, la Cassazione si è così espressa: «Ai fini del riconoscimento dell’istituto – residuale – della impresa familiare è necessario che concorrano due condizioni, e cioè, che sia fornita la prova sia dello svolgimento, da parte del partecipante, di una attività di lavoro continuativa (nel senso di attività non saltuaria, ma regolare e costante anche se non necessariamente a tempo pieno), sia dell’accrescimento della produttività della impresa procurato dal lavoro del partecipante (necessaria per determinare la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi)». È importante il concetto di istituto residuale, in quanto viene a profilarsi l’ipotesi dell’impresa familiare solo nel caso in cui non rientri in nessun altro istituto e quindi in nessun altra specifica forma societaria. La sent. n. 5741 del 22 maggio 1991 della Cassazione civile, ha infatti disposto: «L’esclusione della sussistenza dell’impresa familiare prevista dall’art. 230-bis, cod. civ., che è istituto a carattere cosiddetto residuale, presuppone la prova dell’esistenza di un diverso rapporto – che si pone come eccezione alla figura tipica prevista dalla norma con riguardo all’ipotesi dell’esistenza di una famiglia nel cui ambito venga gestita un’attività produttiva con la collaborazione dei suoi componenti – e pertanto non può essere fatta discendere unicamente dall’esistenza di una clausola contrattuale in contrasto con il principio maggioritario previsto dal comma 1, cit. art. per le decisioni ivi indicate, derivando da tale circostanza solo la nullità della stessa clausola e l’automatica sostituzione della medesima a opera dell’indicata norma di legge».

3. Vi sono delle particolari formalità da porre in essere per la costituzione di un’impresa familiare? La legge non richiede per la costituzione dell’impresa familiare particolari formalità. Sul punto si vedano le seguenti sentenze: «La prestazione di lavoro nell’impresa familiare prevista dall’art. 230-bis cod. civ. – per il cui sorgere non è necessaria una manifestazione di volontà negoziale da parte dei soggetti interessati – può avvenire in regime di subordinazione o di collaborazione personale coordinata (senza vincolo di subordinazione), dando perciò luogo in entrambi i casi a rapporti le cui controversie sono assoggettate al rito del lavoro, ai sensi rispettivamente, della disposizione del n. 1 o del n. 3 dell’art. 409 cod. proc. civ., senza che (con particolare riguardo a quest’ultima previsione) possa attribuirsi alcuna rilevanza al fatto che la nuova disciplina del rito del lavoro (introdotta dalla legge 533 dell’11 agosto 1973) sia anteriore alla riforma del diritto di famiglia (attuata con la legge 19 maggio 1975, n. 151)» (Cass. civ., sent. n. 4651, 16 luglio 1981). La costituzione dell’impresa familiare, di cui all’art. 230-bis cod. civ., richiede una manifestazione di volontà, espressa o tacita, dei partecipanti, i quali devono essere muniti della qualità di coniuge, di parente entro il terzo grado o di affine entro il secondo grado; pertanto, come la nascita di detta impresa non deriva dalla mera qualità di familiare, nei termini specificati, così la cessazione dell’impresa stessa può verificarsi nonostante il perdurare della qualità di familiare (nella specie: qualità di coniuge, non esclusa dalla sopravvenienza di separazione personale), qualora intervenga una manifestazione di volontà contraria a quella che ne determinò la costituzione (per esempio, recesso) (Cass. civ., sent. n. 6069, 23 novembre 1984). Qualora l’impresa

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familiare prevista dall’art. 230-bis cod. civ., sia stata costituita a seguito di negozio ritualmente formalizzato mediante atto scritto, chi intenda contestare la configurabilità in concreto di siffatta impresa per essere rimasto ineseguito l’accordo che vi ha dato origine, ha l’onere di dimostrare rigorosamente tale inesecuzione, provando che è in realtà mancata quella effettiva collaborazione che dell’impresa familiare costituisce elemento essenziale (Cass., Sez. lav., sent. n. 1304, 12 febbraio 1997). 4. Chi sono i soggetti che possono formare un’impresa familiare? I soggetti che possono formare un’impresa familiare sono il coniuge, i parenti (entro il 3° grado), gli affini (entro il 2° grado). Un’impresa familiare può risultare anche dalla “mera collaborazione familiare tra coniugi” anche se la sent. della Cassazione, Sez. lavoro, n. 5781 dell’11 giugno 1999, precisa che è «di per sé insufficiente a integrare il requisito della partecipazione all’impresa disciplinata dall’art. 230-bis cod. civ. ove coincida con l’attività oggetto di uno degli obblighi e doveri dei coniugi di cui all’art. 143 e 147 cod. civ., può valere – soprattutto in caso di preesistenza di un atto coniugi la qualità di partecipe a detta impresa, qualora essa risulti strettamente correlata e finalizzata alla gestione della stessa, quale espressione di coordinamento e frazionamento dei compiti nell’ambito del consorzio domestico, in vista dell’attuazione dei fini di produzione o di scambio dei beni e servizi propri dell’impresa familiare». 5. Ricorre la fattispecie dell’impresa familiare quando la prestazione lavorativa è esercitata dal convivente? Diverso è il caso della prestazione lavorativa esercitata dal convivente ossia in presenza della cosiddetta famiglia di fatto: «L’art. 230-bis cod. civ., che disciplina l’impresa familiare, costituisce norma eccezionale, in quanto si pone come eccezione rispetto alle norme generali in tema di prestazioni lavorative ed è pertanto insuscettibile di interpretazione analogica; deve peraltro ritenersi manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 230-bis nella parte in cui esclude dall’ambito dei soggetti tutelati il convivente more uxorio, posto che elemento saliente dell’impresa familiare è la famiglia legittima, individuata nei più stretti congiunti, e che un’equiparazione fra coniuge e convivente si pone in contrasto con la circostanza che il matrimonio determina a carico dei coniugi conseguenze perenni e ineludibili (quale il dovere di mantenimento o di alimenti al coniuge, che persiste anche dopo il divorzio), mentre la convivenza è una situazione di fatto caratterizzata dalla precarietà e dalla revocabilità unilaterale ad nutum» (Cass., Sez. lav., sent. n. 4204, 2 maggio 1994). 6. A chi spetta l’amministrazione dell’impresa familiare? La legge prevede che l’amministrazione spetta alla maggioranza per quello che concerne l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa. Sul punto la Cass., Sez. lav., n. 10412, 4 ottobre 1995, ha specificato che «Il potere di gestione ordinaria dell’impresa familiare spetta ex art. 230-bis esclusivamente al titolare della stessa e l’eventuale esercizio di tale potere in violazione degli obblighi scaturenti dalla norma suddetta comporta non l’invalidità degli atti posti in essere ma unicamente l’obbligo di risarcire i danni provocati». Nell’impresa familiare i diritti dei collaboratori non toccano la titolarità dell’azienda e rilevano solo sul piano obbligatorio senza comportare alcuna modifica nella struttura dell’impresa facente capo al titolare della stessa, che solo ha la qualifica di imprenditore e al quale spettano i poteri di gestione e di organizzazione del lavoro implicanti la subordinazione dei familiari che lo coadiuvano. Consegue, da una parte, che in sede di ripartizione degli utili in favore dei familiari compartecipanti non deve tenersi

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conto degli incrementi del capitale né delle spese del relativo ammortamento; d’altra parte, che nella quantificazione dell’apporto lavorativo il giudice del merito ben può differenziare quello dell’imprenditore, ove più gravoso per le maggiori responsabilità assunte, da quello del familiare che ha prestato la sua attività in posizione di subordinazione (Cass. civ., Sez. lav., sent. n. 1917, 6 marzo 1999). 7. A quale tipologia di lavoratori sono assimilati i collaboratori familiari? I collaboratori familiari non rientrano né fra i lavoratori subordinati, né fra le forme di lavoro atipico (salvo il caso in cui sussista un contratto o incarico in tale senso). La loro attività deve essere caratterizzata dalla continuità intesa come “la continuità dell’apporto”, mentre non si esige la continuità della presenza in azienda (Cass., Sez. lav., sent. n. 13849, 23 settembre 2002). La Suprema Corte ha inoltre confermato la decisione di merito nella parte in cui essa aveva ritenuto accertata la sussistenza di un apporto continuativo idoneo a configurare la partecipazione all’impresa familiare alla stregua della redazione giornaliera della contabilità, della tenuta dei rapporti con i fornitori, dell’aiuto, anche se non continuativo, all’esercizio dell’attività aziendale. Anche la sent. n. 8033 della Cassazione, Sez. lav., 26 agosto 1997 sottolinea che «i requisiti dei famigliari per la collaborazione nell’impresa famigliare sono la continuità, coordinazione, esplicazione prevalentemente personale». 8. Quali sono i diritti di chi collabora con l’impresa familiare? L’art. 230-bis cod. civ. stabilisce che il familiare che presta in modo continuativo la propria attività di lavoro e quindi prevede che ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Ancora più chiara la sent. n. 6559 del 27 giugno 1990 della Cassazione civile: «Nell’ambito dell’istituto dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis, cod. civ., caratterizzato dall’assenza di un vincolo societario e dall’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i familiari e la persona del capo (quale riconosciuto dai partecipanti in forza della sua anzianità e/o del suo maggiore apporto all’impresa stessa), vanno distinti un aspetto interno, costituito dal rapporto associativo del gruppo familiare quanto alla regolamentazione dei vantaggi economici di ciascun componente, e un aspetto esterno, nel quale ha rilevanza la figura del familiare-imprenditore, effettivo gestore dell’impresa, che assume in proprio i diritti e le obbligazioni nascenti dai rapporti con i terzi e risponde illimitatamente e solidalmente con i suoi beni personali, diversi da quelli comuni e indivisi dell’intero gruppo, anch’essi oggetto della generica garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.; ne consegue che il fallimento di detto imprenditore non si estende automaticamente al semplice partecipante all’impresa familiare». 9. Le disposizioni sull’impresa familiare si applicano anche nei casi di famiglia coltivatrice? In tema di contratti agrari, la sent. n. 9693 della Cass. Civ., Sez. III, 14 settembre 1995, precisa che «l’art. 48 della legge 203/1982 ha esteso alla famiglia coltivatrice alcuni fondamentali principi dettati dall’art. 230- bis cod. civ. per l’impresa familiare, attribuendo rilevanza esterna all’attività di collaborazione di ciascuno dei suoi componenti, i quali nel loro insieme costituiscono un organismo collettivo formato dai familiari consorziati, finalizzato all’esercizio di un’impresa agraria, cui è applicabile il principio dell’amministrazione disgiuntiva nei confronti di tutti i partecipanti, ognuno dei quali ha il potere di rappresentare il gruppo; ne consegue che, mancando da parte della famiglia coltivatrice la nomina di un rappresentante, ciascuno dei componenti può agire o, comunque, stare in giudizio con relativa legittimazione attiva e passiva e con effetto nei confronti degli altri familiari, senza necessità della loro chiamata in

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causa, ove in relazione al rapporto dedotto non sia ipotizzabile una sua diversa posizione individuale». «Il requisito dell’abitualità della prestazione lavorativa ai fini della operatività in agricoltura dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro a norma dell’art. 205, comma 1, lett. b), D.P.R. 1124/1965, se non implica i connotati dell’assolutezza o dell’esclusività delle prestazioni di opera manuale del soggetto, richiede tuttavia sicuri e inequivoci profili di continuità e frequenza e pertanto una costante dedizione alle incombenze colturali dell’azienda agricola, esclusa quindi la rilevanza di un’attività saltuaria, sporadica o di occasionale sostituzione (fattispecie relativa a infortunio accaduto al marito della proprietaria del fondo mentre raccoglieva ciliegie: la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per l’inadeguatezza degli accertamenti e delle valutazioni riguardo al requisito dell’abitualità)» (Cass., Sez. lav., sent. n. 523, 21 gennaio 1998). 10. Su chi ricadono gli obblighi di sicurezza nel caso di impresa familiare composta da padre e figlio? Nel caso in cui un’impresa familiare sia composta da padre e figlio la prassi e la

giurisprudenza prevede che siano soci in posizione paritaria tra loro e che hanno l’obbligo di adottare le misure di sicurezza. La responsabilità di un evento dannoso ricade su ciascuno di essi. Tale caso è molto frequente e la sent. n. 18683 della Cass. pen., 22 aprile 2004, ha disposto: «Nell’ambito di un’impresa familiare, l’obbligo di adottare le misure necessarie alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori incombe su tutte le persone che hanno l’obbligo di fare rispettare la normativa antinfortunistica e, trovandosi i soci in una posizione tra loro paritaria, la responsabilità di un evento dannoso ricade su ciascuno di essi (fattispecie relativa all’utilizzo di una scala priva dei dispositivi di sicurezza)». «L’obbligo di adottare le misure idonee e necessarie alla tutela dell’integrità fisica dei lavoratori, quando si tratti di società di persone e non risulti l’espressa delega a persona di particolare competenza nel settore della sicurezza, incombe su ciascun socio» (cfr. Cass., sent. n. 8195, 5 settembre 1997 e sent. n. 6300, 16 febbraio 1989). Di conseguenza nella società di fatto, qual è l’impresa familiare, i soci si trovano in una posizione paritaria, e la responsabilità dell’evento dannoso ricade su ciascuno di essi, e quindi anche sul ricorrente. È ovvio che la violazione alle norme di sicurezza è a carico di tutte le persone che avevano l’obbligo di fare rispettare la normativa antinfortunistica e i relativi oneri. Si noti che l’omissione configura comunque un’ipotesi di responsabilità, prevista dall’art. 43 cod. pen. (colpa per violazione di leggi). Nessun problema di interpretazione è riscontrabile con il D.Lgs. 494/1996 che in modo chiaro all’art. 9 indica gli obblighi a carico dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e dispone che anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti e si impone l’adozione delle misure conformi alle prescrizioni di cui all’allegato IV, la cura delle condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il committente o il responsabile dei lavori.

Sezione V Il lavoratore autonomo

1. Gli obblighi di sicurezza dettati dal D.Lgs 81/08 gravano anche sui lavoratori autonomi? Quale norma lo prevede? Le disposizioni contenute nel D.Lgs 81/2008, secondo quanto indicato nell’art. 3 comma 4 dello stesso decreto e relativo al suo campo di applicazione, “si applicano a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati, fermo restando quanto previsto dai commi successivi del presente articolo” il quale al comma 11 precisa in più che “nei confronti dei lavoratori autonomi di cui

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all'articolo 2222 del codice civile si applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e 26“. 2. Cosa si intende per lavoratore autonomo? A norma dell’art. 2222 del codice civile ricorre la figura del lavoratore autonomo quando una persona si obbliga a compiere dietro un corrispettivo (1351) un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. 3. Quali sono i tratti distintivi del lavoro autonomo e di quello subordinato? L'ordinamento giuridico lascia l'imprenditore libero di avvalersi o dello strumento del lavoro subordinato o dello strumento del lavoro autonomo a seconda della sua convenienza e del suo insindacabile giudizio ed anche, d'altra parte, il lavoratore di fare liberamente una scelta corrispondente. Le parti, fatte le valutazioni del caso, dopo una trattativa faranno la loro scelta: quindi alla « volontà » delle parti che occorre guardare per comprendere se le stesse hanno scelto l'uno o l'altro

strumento per regolare i loro rapporti. Non è tanto al tipo di attività svolto o al rischio e alla sua incidenza o le singole modalità del rapporto che occorre guardare, ma piuttosto alla « volontà » delle parti contenuta nel negozio giuridico. La stessa attività potrà essere oggetto tanto di un rapporto di lavoro subordinato quanto di un rapporto di lavoro autonomo (p. es. l'attività di un medico, di un legale, ecc.). Sarà opera dell'interprete individuare la vera volontà delle parti tenendo peraltro presente vuoi la possibilità di una simulazione delle parti stesse vuoi quella di un negozio in frode alla legge. E’ noto infatti che al di là del nomen iuris del negozio l'interprete deve guardare alla effettiva natura ed al reale contenuto del rapporto che è stato messo in essere.

4. Esistono degli indici di riconoscimento delle due figure? Ed a questo punto si rende necessario approfondire la diversa struttura dei due istituti. Essi sono regolati da due norme ben distinte: l'art. 2094 definisce il prestatore di lavoro subordinato «chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore», l'art. 2222 definisce il lavoratore autonomo la «persona che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente». Messi a confronto i due articoli, il 2094 e il 2222 c.c., rivelano l'elemento differenziatore sostanziale: nel primo leggiamo «è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro... alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore», nel secondo leggiamo che è lavoratore autonomo chi «Si obbliga a compiere un'opera o un servizio... senza vincolo di subordinazione». «Subordinato» e «alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore» il primo; «senza vincolo di subordinazione» il secondo. È quindi a questo elemento della «subordinazione» che occorre guardare per avere l'elemento discriminatore. 5. Cosa deve intendersi per subordinazione? Qui ci soccorre la giurisprudenza che definisce la subordinazione quale «l'assoggettamento del lavoratore alle direttive ed alla vigilanza del datore di lavoro» e ancora «oggetto del contratto di lavoro subordinato è la prestazione di attività lavorativa in regime di collaborazione e di subordinazione con l'effetto dell'inserimento del prestatore di lavoro nell'organizzazione aziendale dell'imprenditore alle dipendenze e sotto la supremazia gerarchica e tecnico-amministrativa di costui». Non possiamo che condividere questi orientamenti accentuandone anzi i tratti essenziali col definire la subordinazione come una «potenziale dipendenza totale» del

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lavoratore intesa non solo come dipendenza alle direttive dell'imprenditore nell'attività specifica ma anche nella persona stessa del lavoratore per cui questi, una volta inserito nell'organizzazione, è tenuto a prestare la sua attività con continuità, può essere anche adibito ad altra attività (c.d. mutamento di mansioni) purchè equivalente, può essere trasferito ad altra sede, è tenuto all'osservanza di una disciplina e nel caso di infrazioni può essere assoggettato a provvedimenti disciplinari: connotati tutti questi che non ricorrono nel rapporto di lavoro autonomo dove le ingerenze del datore di lavoro sulla sfera del lavoratore non raggiungono un grado così elevato. Ovviamente la subordinazione in concreto si presenterà in forme più o meno intese e più o meno attenuate a secondo del tipo di attività esplicata dal lavoratore. Così sarà certamente più coinvolgente per i lavoratori svolgenti mansioni a carattere esecutivo e meno per i lavoratori esplicanti mansioni a più elevato contenuto, quali quelle del medico e del professionista in genere, anche se nella realtà concreta non mancano forme di forti condizionamenti dell'imprenditore anche su tali lavoratori e ciò con grave discapito delle stesse regole tecniche e professionali nonché deontologiche.

Sezione VI I coltivatori diretti del fondo e gli artigiani

1. Cosa deve intendersi, ai fini della sicurezza sul lavoro, per imprenditore artigiano? È imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. Sono escluse limitazioni alla libertà di accesso del singolo imprenditore all’attività artigiana e di esercizio della sua professione. Sono fatte salve le norme previste dalle specifiche leggi statali. L’imprenditore artigiano, nell’esercizio di particolari attività che richiedono una peculiare preparazione ed implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti, deve essere in possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti dalle leggi statali. 2. Quali sono le caratteristiche dell’impresa artigiana? Esistono condizioni di ordine dimensionale per la qualificazione dell’impresa? È artigiana l’impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano nei limiti dimensionali di cui alla presente legge, abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all’esercizio dell’impresa. È artigiana l’impresa che, nei limiti dimensionali di cui alla presente legge e con gli scopi di cui al precedente comma, è costituita ed esercitata in forma di società, anche cooperativa, escluse le società per azioni ed in accomandita per azioni, a condizione che la

maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale (comma così modificato dall’art. 13, c. 1, L. n. 57/2000). È altresì artigiana l’impresa che:

a) è costituita ed esercitata in forma di società a responsabilità limitata con

unico socio sempreché il socio unico sia in possesso dei requisiti indicati dall’art. 2 e non sia unico socio di altra società a responsabilità limitata o socio di una società in accomandita semplice;

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b) è costituita ed esercitata in forma di società in accomandita semplice,

sempreché ciascun socio accomandatario sia in possesso dei requisiti indicati dall’art. 2 e non sia unico socio di una società a responsabilità limitata o socio di altra società in accomandita semplice (comma aggiunto). In caso di trasferimento per atto tra vivi della titolarità delle società di cui al terzo comma, l’impresa mantiene la qualifica di artigiana purché i soggetti subentranti siano in possesso dei requisiti di cui al medesimo terzo comma (comma aggiunto). L’impresa artigiana può svolgersi in luogo fisso, presso l’abitazione dell’imprenditore o di uno dei soci o in appositi locali o in altra sede designata dal committente oppure in forma ambulante o di posteggio. In ogni caso, l’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana. 3. L’impresa artigiana può essere svolta con la prestazione d’opera di personale dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci? L’impresa artigiana può essere svolta anche con la prestazione d’opera di personale

dipendente diretto personalmente dall’imprenditore artigiano o dai soci, sempre che non superi i seguenti limiti:

a) per l’impresa che non lavora in serie: un massimo di 18 dipendenti,

compresi gli apprendisti in numero non superiore a 9; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 22 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti;

b) per l’impresa che lavora in serie, purché con lavorazione non del tutto

automatizzata: un massimo di 9 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 12 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti;

c) per l’impresa che svolge la propria attività nei settori delle lavorazioni

artistiche, tradizionali e dell’abbigliamento su misura, un massimo di 32 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 16; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 40 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti. I settori delle lavorazioni artistiche e tradizionali e dell’abbigliamento su misura saranno individuati con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le regioni ed il Consiglio nazionale dell’artigianato;

d) per l’impresa di trasporto: un massimo di 8 dipendenti;

e) per le imprese di costruzioni edili: un massimo di 10 dipendenti, compresi gli

apprendisti in numero non superiore a 5; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 14 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti. 4. Esistono criteri specifici per il calcolo dei dipendenti dell’impresa artigiana? Ai fini del calcolo di tali limiti comma: 1) non sono computati per un periodo di due anni gli apprendisti passati in qualifica ai sensi della legge 19 gennaio 1955, n. 25, e mantenuti in servizio dalla stessa impresa artigiana; 2) non sono computati i lavoratori a domicilio di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, sempre che non superino un terzo dei dipendenti non apprendisti occupati presso l’impresa artigiana; 3) sono computati i familiari dell’imprenditore, ancorché partecipanti all’impresa familiare di cui all’articolo 230 bis del codice civile, che svolgano la loro attività di lavoro prevalentemente e professionalmente nell’ambito dell’impresa artigiana; 4) sono computati, tranne uno, i soci che svolgono il prevalente lavoro personale nell’impresa artigiana; 5) non sono computati i portatori di handicaps, fisici, psichici o sensoriali; 6) sono computati i dipendenti qualunque sia la mansione svolta.

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5. Cosa deve intendersi per coltivatore diretto? Esistono dei tratti specifici per l’identificazione di tale figura?

La figura del coltivatore diretto era già nota al legislatore dal 1942 che la introdusse nel codice civile: nell'art. 1647 che la definisce in riferimento all'affitto dei fondi rustici e nell'art. 2083, che lo ha inquadrato nella tipologia dei piccoli imprenditori agricoli. Benché in dottrina ed in giurisprudenza si sia aperto un dibattito circa l'omogeneità o meno delle formule definitorie usate, ai predetti fini, dai menzionati articoli del codice civile, la giurisprudenza prevalentemente propende per una sostanziale omogeneità in ordine ai parametri definitori, specie quello della prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia, anche se tende a distinguere al nozione di coltivatore diretto da quella di piccolo imprenditore agricolo, relativamente al tipo di attività agricola, esigendo ai fini della prima qualifica che essa sostanzi in un'attività diretta alla coltivazione del fondo, ed escludendo quelle altre attività, quali l'allevamento e la silvicoltura, che pure l'art. 2135 c.c. enumera tra quelle agricole. Circa gli ulteriori tratti caratterizzanti la

figura del coltivatore diretto - premesso che la predetta qualifica rileva ai fini sociali per cui le singole leggi di volta in volta la richiedano e che in quanto tale va, altresì, tenuta distinta dalle altre differenti qualifiche rilevanti ai diversi fini specifici perseguiti dalle leggi speciali che la contemplano, (si veda ad es. la L. 203/82 la quale sebbene tenga distinte le qualifiche di coltivatore diretto ed imprenditore agricolo a titolo principale, a certi limitati effetti le equipara: così per la durata del contratto di affitto l'art. 22, comma 2, equipara all'affittuario coltivatore diretto l'affittuario non coltivatore diretto che sia imprenditore agricolo a titolo principale) - si osserva che essi si evincono in primo luogo dai richiamati artt. 1647 e 2083 cod. civ. (Cass. 4481/85), come integrati dalle leggi speciali di settore, specie in ordine al rapporto - espresso in termini di forza lavoro occorrente - tra capacità lavorativa familiare e fabbisogno lavorativo del singolo fondo (secondo Cass. 4481/85) ovvero di tutti i fondi in proprietà o in enfiteusi posseduti dal coltivatore (secondo Cass. 2052/88). In tal modo si specifica il requisito della prevalenza del lavoro del gruppo familiare rispetto ai fattori lavoro (esterno) e capitale attinenti alla organizzazione dell'attività ci coltivazione. Così la Cassazione (sent. 10430/91) ha sostenuto che la definizione di coltivatore diretto contenuta nell'art. 6, L. n. 203/82 è riferibile non solo all'ipotesi dell'affitto, espressamente considerata dallo stesso articolo 6, bensì a tutte le ipotesi di contratto contemplate dalla L. 203/82 che attribuiscono ad un determinato soggetto il compito della coltivazione. Nei predetti termini la S.C. valorizza una definizione tendenzialmente unitaria di coltivatore diretto: nozione che va completata dal requisito della professionalità, quale si evince dal carattere abituale ancorché non esclusivo, purché continuativo e stabile, dell'esercizio della coltivazione del fondo. I menzionati caratteri vanno, comprovati attraverso una documentazione amministrativa ( ad esempio certificazione del competente Ente Previdenziale) che sia idonea a suffragare la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà circa la qualità di coltivatore diretto ( di per se priva di valore probatorio, almeno in sede giudiziaria, poiché proveniente dall'interessato).

Sezione VII Piccolo commerciante

1. Cose si intende per commerciante ai fini della sicurezza sul lavoro? E' commerciante quel soggetto (persona fisica o societa') che esercita un'attivita' economica consistente nell'acquisto di merci allo scopo di rivenderle. Pertanto il commerciante e' una figura di operatore economico nettamente distinta dall'industriale e dall'artigiano, i quali acquistano merci non per rivenderle ma per

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trasformarle in nuovi prodotti. Naturalmente se l'industriale e l'artigiano vendono anche articoli da loro non prodotti, sono soggetti alla disciplina del commercio. 2. Come vengono classificate le attività commerciali? L'attivita' commerciale puo' essere classificata in 3 tipi: COMMERCIO ALL'INGROSSO Esercita il commercio all'ingrosso chi acquista merci e le rivende: • ad altri commercianti (grossisti, dettaglianti, esercenti pubblici) • a utilizzatori professionali (industrie, aziende artigiane ecc) Pertanto il grossista non puo' vendere al consumatore finale, anche se questi e' disposto ad acquistare grandi quantitativi. Rientra nell'ambito del commercio all'ingrosso anche il commercio di importazione ed esportazione. COMMERCIO AL DETTAGLIO E' il commercio esercitato da chi acquista merci e le rivende direttamente al consumatore finale, ovvero al pubblico in generale. Dunque il commercio all'ingrosso e il commercio al dettaglio si differenziano per il tipo di cliente a cui si rivolgono e non per la quantita' di merci scambiate. Il commercio al dettaglio puo' essere esercitato sotto diverse forme; le piu diffuse sono quella in sede fissa (negozi) e quella ambulante (o su aree pubbliche) SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE E' l'attivita' svolta da chi somministra al pubblico alimenti e bevande che sono consumati sul posto (bar, ristoranti, pizzerie ecc) 3. Quali sono i criteri discretivi ai fine della distinzione tra piccolo, medio e grande commerciante? Ai fini della distinzione tra piccolo, medio e grande commerciante, bisogna tener conto dell'attività svolta, dell'organizzazione dei mezzi impiegati, dell'entità dell'impresa e delle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale. In particolare, secondo la Suprema Corte di cassazione (Cass., Sez. I, sent. n. 3690 del 28-03-2000” l'esercente l'attività di commercio ambulante può perdere i connotati di "piccolo imprenditore", e divenire, pertanto, soggetto passivo di procedure concorsuali, qualora organizzi ed estenda la propria attività in modo ed in misura tali da far assumere alla stessa le caratteristiche della impresa industriale, e da indirizzarla al conseguimento del profitto, e non solo del guadagno - normalmente modesto - ricavabile da un'attività organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e della propria famiglia. Ne consegue che, ai fini dell'assoggettabilità a fallimento dell'esercente il commercio ambulante, assumono rilievo decisivo le dimensioni dell'attività dallo stesso svolta, le quali non possono essere desunte dalla entità della esposizione debitoria che non abbia origine nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, e che costituisce, in mancanza di tale nesso con detta attività, solo un elemento per stabilire lo stato di dissesto dell'imprenditore, ma non escludere la sua qualifica di piccolo imprenditore”. 4. Esistono particolari indici di riconoscimento della figura del piccolo commerciante?

Secondo autorevole dottrina il criterio discretivo consisterebbe nella prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia sul lavoro altrui e sul capitale investito e tale caratteristica costituirebbe il connotato distintivo di tutti i piccoli commercianti. La giurisprudenza segue l’orientamento dominante, infatti considera il criterio della prevalenza del lavoro proprio e familiare come il parametro distintivo di tutti i piccoli imprenditori. In sintesi occorrono dunque due elementi tra loro interdipendenti al fine di individuare il piccolo commerciante: a) che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa;

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b) che il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano nell’impresa prevalgano sia rispetto al lavoro altrui sia rispetto al capitale (proprio o altrui) investito nell’impresa. 5. Può essere considerato un piccolo commerciante chi si avvale del lavoro proprio ma fa utilizzo dei macchine molto costose? Non è perciò piccolo commerciante chi utilizzi nel processo produttivo macchine molto costose o, comunque, effettui ingenti investimenti di capitale, anche se non si avvale di alcun collaboratore o ricorre in misura assai limitata al lavoro di dipendenti. Emblematico è il caso del gioielliere, che non utilizzi commessi e stia di persona al banco di vendita. Egli non potrà essere considerato in ragione di ciò un piccolo commerciante, perché l’investimento del capitale, necessario in questo genere di attività commerciale, è nettamente prevalente sulla sua opera personale. Un primo orientamento minoritario opina per il ricorso al criterio quantitativo – aritmetico. Si tratterebbe di individuare il valore di mercato delle mansioni esecutive svolte personalmente dall’imprenditore (ed eventualmente dei suoi famigliari) facendo riferimento allo stipendio annuo che la contrattazione collettiva riserva a tali mansioni. 6. Come deve essere determinata la prevalenza del lavoro proprio rispetto al capitale investito per la qualificazione del piccolo commerciante? Per quanto attiene alla prevalenza del lavoro sul capitale investito occorrerebbe tenere conto non solo del capitale proprio, ma anche di quello risultante dal ricorso al credito. L’orientamento maggioritario e in genere la giurisprudenza sostengono che la prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia debba correttamente intendersi in senso qualitativo – funzionale. Si tratterebbe cioè di stabilire, se funzionalmente, in relazione all’attività esercitata e agli obiettivi perseguiti, l’apporto personale dell’imprenditore sia più rilevante dell’apporto altrui e /o dei capitali investiti. È da valutare l’impatto che sul tema potrà avere l’art. 1 della nuova legge fallimentare, norma che all’evidenza privilegia una valutazione eminentemente quantitativa del fenomeno della piccola impresa, in una prospettiva che sembra superare la tradizionale centralità della figura del piccolo imprenditore. Quest’ultimo, infatti, alla luce della novella potrebbe legittimamente effettuare investimenti e conseguire remunerazioni significative senza perdere la veste di piccolo imprenditore: e ciò potrebbe essere letto come una forte attenuazione della rilevanza del lavoro svolto dal piccolo imprenditore (e dalla sua famiglia), in ordine alla definizione del concetto di prevalenza. Il tema se il nuovo criterio proposto dall’art. 1 L. Fall. rivesta un valore sistematico che trascende la disciplina concorsuale e influenzi la stessa nozione di prevalenza, è importante anche per sue evidenti e gravi implicazioni pratiche: non si può escludere che su di esso si possa aprire un ampio dibattito interpretativo. Resta valido il rilievo che i due tradizionali criteri possono portare a soluzioni diametralmente opposte in casi analoghi – onde un criterio numerico certo agevolerebbe notevolmente gli accertamenti e le indagini.

Sezione VIII Lavoratrici madri

1. Quali sono i principali diritti di una lavoratrice madre? Le condizioni di lavoro devono consentire alla donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione. Nei periodi di gravidanza e puerperio la lavoratrice pertanto:

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è legittimata ad assentarsi dal lavoro, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo stabilito dalle leggi, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità;

ha diritto ad un trattamento economico previdenziale a carico dell'INPS (generalmente anticipato dal datore di lavoro) ovvero, in mancanza o ad integrazione dello stesso, a trattamenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva;

ha diritto al computo del periodo di assenza per le cause anzidette nell'anzianità di servizio.

2. Cosa si intende per lavoratrice madre? Qual’è il campo di applicazione della normativa? Le norme legislative con le quali è stata disposta una particolare tutela delle lavoratrici madri si applicano a tutte le lavoratrici, comprese le apprendiste, che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro e dalle società cooperative anche se socie di queste ultime (Art. 2, lett. e, D.Lgs. n. 151/2001).

Tale tutela si applica, altresì, alle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di età (art. 6, comma secondo, D.Lgs. 151/2001). 3. Quale sono le norme che si applicano alle lavoratrici a domicilio? Alle lavoratrici a domicilio ed a coloro addette ai servizi domestici e familiari si applicano le seguenti disposizioni di cui al D.Lgs. n. 151/2001:

art. 6, comma terzo, in ordine all'assistenza sanitaria;

artt. 16 e 17, circa il divieto di adibire al lavoro le donne;

art. 22, comma terzo, per quanto concerne il trattamento economico e previdenziale;

art. 54 (limitatamente alle lavoratrici a domicilio) in riferimento al divieto di licenziamento.

Tutto ciò salve, in ogni caso, le eventuali condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti e ogni altra disposizione. 4. Sono un datore di lavoro che ha assunto alle proprie dipendenze una lavoratrice madre. Quali sono i miei obblighi? Durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto, è vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai "... lavori pericolosi, faticosi ed insalubri" intendendosi per questi ultimi i lavori indicati dall'art. 5 del D.P.R. 25 novembre 1976, n. 1026 e riportati nell'Allegato A del D.Lgs. n. 151/2001 (art. 7 del D.Lgs. 151/2001). Ne consegue che nel periodo indicato è vietato adibire le lavoratrici a lavori quali il trasporto _ sia a braccia che a spalle, sia con carretti a ruote su strade o su guida, e al sollevamento dei pesi, compreso il carico e scarico e ogni altra operazione connessa _ o a lavori che comportino l'esposizione alle radiazioni ionizzanti o ancora a quelli da espletarsi su scale ed impalcature mobili e fisse. Per quanto concerne le radiazioni ionizzanti, peraltro, si rileva quanto stabilito

dall'art. 8 del D.Lgs. n. 151/2001 secondo cui "... le donne, durante la gravidanza, non possono svolgere attività in zone classificate o, comunque, essere adibite ad attività che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda un "millisievert" durante il periodo della gravidanza" aggiungendo che "... è fatto obbligo alle lavoratrici di comunicare al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, non appena accertato ..." e che "... è altresì vietato adibire le donne che allattano ad attività comportanti un rischio di contaminazione".

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Le lavoratrici madri, inoltre, non possono essere adibite a quei lavori che comportino il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro indicati nell'elenco di cui all'Allegato B del decreto medesimo (art. 7 del D.Lgs. n. 151/2001). In particolare, le lavoratrici madri non possono essere impiegate in lavorazioni che espongano loro ad agenti fisici _ lavoro in atmosfera di sovrappressione elevata, ad esempio in camere sotto pressione, immersione subacquea ovvero biologici (quali toxoplasma e virus della rosolia, a meno che sussista la prova che la lavoratrice è sufficientemente protetta contro questi agenti dal suo stato di immunizzazione) o, infine, chimici quali il piombo e suoi derivati, nella misura in cui questi agenti possono essere assorbiti dall'organismo umano. Parimenti è vietato impiegare le lavoratrici madri nell'espletamento di lavori sotterranei di carattere minerario. 5. E’ necessario presentare il certificato medico di gravidanza per poter fruire dei diritti che la normativa concede alle lavoratrici madri? Gli obblighi a carico del datore di lavoro derivanti dalle norme di tutela fisica diventano operativi solo dopo la presentazione del certificato medico di gravidanza. Tale certificato deve essere presentato il più presto possibile, senza che, tuttavia, eventuali ritardi comportino per la lavoratrice la perdita dei relativi diritti. L'inosservanza delle disposizioni evidenziate, infine, è punita con l'arresto fino a sei mesi (art. 7, comma settimo, D.Lgs. n. 151/2001). 6. Sono una lavoratrice divenuta da poco tempo madre. In seguito alla mia gravidanza il datore di lavoro ha variato le mie mansioni. E’ legittimo? Durante il periodo di gestazione e fino a 7 mesi dopo il parto le lavoratrici possono essere addette ad altre mansioni rispetto a quelle ordinariamente svolte. Ai sensi degli artt. 7 e 17 del D.Lgs. n. 151/2001, lo spostamento ad altre mansioni può essere altresì disposto per quelle lavoratrici che, a giudizio dei Servizi ispettivi del Ministero del lavoro, prestino la loro opera in condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli per la loro salute. Tale spostamento può essere disposto dai Servizi ispettivi del Ministero del lavoro sia d'ufficio che su istanza della lavoratrice. Il periodo per il quale è prevista la possibilità di spostamento ad altre mansioni può essere frazionato in periodi minori anche rinnovabili su disposizione dei Servizi ispettivi del Ministero del lavoro. Le lavoratrici adibite a mansioni inferiori a quelle abituali conservano la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte e la qualifica originale. Nel caso in cui le lavoratrici vengano adibite a mansioni equivalenti o superiori hanno diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta (ex art. 2103 cod. civ.). Nei casi in cui la lavoratrice non possa essere impiegata in altre mansioni, il Servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, può disporre inoltre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo necessario sulla scorta di idoneo accertamento sanitario. In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice (art. 17, comma terzo, D.Lgs. n. 151/2001). Si

evidenzia, infine, che tutti i citati provvedimenti adottati dai Servizi ispettivi sono definitivi e l'inosservanza degli stessi è punita con l'arresto sino a sei mesi.

7. Sono una lavoratrice madre addetta alla vigilanza di uno stabile. E’ frequente che la mia attività mi porti a svolgere lavoro notturno. Quali sono i miei diritti in proposito? Ai sensi dell'art. 53 del D.Lgs. n. 151/2001, è vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6 per tutto il periodo intercorrente dall'accertamento dello stato di

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gravidanza sino al compimento di un anno di età del bambino. Non può essere obbligata, altresì, a prestare lavoro notturno la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o la lavoratrice che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni. Ai sensi dell'art. 5, comma 2, lett. c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, infine, non può essere obbligata a prestare lavoro notturno la lavoratrice che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni. 8. In qualità di lavoratrice madre, ho diritto a permessi retribuiti dal lavoro? Ai sensi dell'art. 14 del D.Lgs. n. 151/2001 le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l'effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbono essere eseguiti durante l'orario di lavoro. Per la fruizione dei permessi in parola le lavoratrici devono presentare al datore di lavoro apposita istanza e, successivamente, la relativa documentazione giustificativa attestante la data e l'orario di effettuazione degli esami. 9. Sono un datore di lavoro con alle dipendenze una lavoratrice madre. Quali obblighi di sicurezza devo adottare? Quali, in particolare, sono i rischi che devo prendere in considerazione? Il datore di lavoro, nell'ambito e agli effetti della valutazione dei rischi di cui agli artt. 28 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008, è tenuto alla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento fino a sette mesi dopo il parto, ed alla valutazione in particolare dei rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato C _ peraltro non esauriente _ del D.Lgs. n. 151/2001 (art. 11, D.Lgs. n. 151/2001): 1. Agenti fisici Allorchè vengono considerati come agenti che comportano lesioni del feto e/o rischiano di provocare il distacco della placenta, in particolare: a) colpi, vibrazioni meccaniche o movimenti; b) movimentazioni manuale di carichi pesanti che comportano rischi, soprattutto dorsolombari; c) rumore; d) radiazioni ionizzanti; e) radiazioni non ionizzanti; f) sollecitazioni termiche; g) movimenti e posizioni di lavoro, spostamenti, sia all'interno sia all'esterno dello stabilimento, fatica mentale fisica e altri disagi fisici connessi all'attività svolta dalle lavoratrici. 2. Agenti biologici Agenti biologici dei gruppi di rischio da 2 a 4 nella misura in cui sia noto che tali agenti o le terapie che essi rendono necessarie mettono in pericolo la salute delle gestanti e del nascituro.

3. Agenti chimici Gli agenti chimici seguenti, nella misura in cui sia noto che mettono in pericolo la salute delle gestanti e del nascituro: a) sostanze etichettate R 40; R 45; R 46 e R 47 ai sensi della direttiva n. 67/548/CEE; b) agenti chimici individuati dal relativo allegato al D.Lgs. n. 81/2008; c) mercurio e suoi derivanti; d) medicamenti antimitotici;

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e) monossido di carbonio; f) agenti chimici pericolosi di comprovato assorbimento cutaneo. 10. Quali sono le misure di prevenzione e protezione che il datore di lavoro deve adottare in caso di presenza nei luoghi di lavoro di lavoratrici madri?

Qualora i risultati della valutazione dei rischi rivelino un rischio per la salute e la sicurezza delle lavoratrici gestanti, puerpere e in allattamento fino al settimo mese, il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinchè l'esposizione al rischio delle lavoratrici sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l'orario di lavoro (art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 151/2001). Nei casi in cui la modifica delle condizioni o dell'orario di lavoro non sia possibile per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro è tenuto a modificare le mansioni assegnate alla lavoratrice madre dandone contestuale informazione scritta al Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro competente per territorio il quale, ove ne ricorrano i presupposti può disporre l'interdizione dal lavoro per tutto il periodo necessario. L'omessa adozione di misure di sicurezza alternative e/o suppletive da parte del datore di lavoro è punita con l'arresto sino a sei mesi (art. 12, comma quarto, D.Lgs. 151/2001).

Sezione IX

Lavoro minorile

1. Cosa si intende per lavoro minorile? Con la locuzione "lavoro minorile" s'intende indicare il lavoro dei bambini e degli adolescenti. In particolare _ ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge n. 977/1967 _ "bambino" è il minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che è ancora soggetto all'obbligo scolastico mentre "adolescente" è il minore di età compresa tra i 15 ed i 18 anni di età e che non è più soggetto all'obbligo scolastico. L'età minima per l'ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni compiuti (art. 3 della legge n. 967/1977). 2. Qual è la principale normativa di riferimento? Quali i suoi contenuti? Il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345 _ di attuazione della direttiva n. 94/33 CE _ modificando la legge 17 ottobre 1967, n. 977 ha innovato profondamente la disciplina previgente in materia di tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti al fine di adeguare la stessa, in ragione della specificità dei soggetti coinvolti, agli standards europei. Una specificità, del resto, tradizionalmente considerata meritevole di una tutela particolarmente attenta e caratterizzata soprattutto dalla presenza di limiti alla capacità di lavoro in relazione sia all'età sia alle modalità di impiego. In tale ottica l'art. 37 della Costituzione afferma che "... La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato ..." aggiungendo che "... la Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione". Detta disposizione peraltro è strettamente connessa ad altri principi stabiliti dalla Carta fondamentale in materia di:

protezione dell'infanzia e della gioventù (art. 31, comma secondo, Cost. secondo cui "... La Repubblica ... protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo");

tutela della salute (art. 32 Cost.);

istruzione scolastica (art. 34, comma 2, Cost. secondo cui "... l'istruzione inferiore impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita").

In particolare, la nuova disciplina _ il cui impianto generale, in ogni caso, continua ad essere costituito dalla legge n. 977/1967, stante la scelta del legislatore nazionale di apportare modifiche ed integrazioni a tale provvedimento anziché

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abrogarlo _ intende promuovere soprattutto il miglioramento dell'ambiente di lavoro per garantire un livello più elevato di tutela della salute dei lavoratori minorenni. A tal riguardo, peraltro, si evidenzia che per quanto non diversamente stabilito dalla legge n. 977/1967 si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 626/1994, poi confluito nel D.Lgs. n. 81/2008. La nuova normativa ha unificato le disposizioni in materia di lavoro minorile estendendone l'applicazione a tutti i rapporti di lavoro, ordinari e speciali, che riguardino i giovani di età inferiore ai diciotto anni (c.d. minori). Le nuove disposizioni, pertanto, si applicano anche all'apprendistato, ai contratti di formazione e lavoro, al lavoro a domicilio, rapporti a termine, ecc. 3. Rientrano nel campo di applicazione della normativa a tutela del lavoro minorile i lavori occasionali o di breve durata? Non rientrano nell'ambito di applicazione della normativa in materia di lavoro minorile quei lavori occasionali o di breve durata svolti dagli adolescenti nei servizi domestici prestati in ambito familiare, nonché nelle imprese a conduzione familiare e semprechè tali prestazioni non si concretino in attività nocive e/o pregiudizievoli (art. 2 della legge n. 977/1967). Tali prestazioni _ così come precisato dalla circolare del Ministero del lavoro 5 gennaio 2000, n. 1 _ sono quelle che "... non consentono una previa programmazione, si concretano in attività fuori dalla logica della periodicità svolte da soggetti non inseriti nell'organizzazione della famiglia o dell'impresa a conduzione familiare". Con la stessa circolare, peraltro, il Ministero del lavoro ha precisato che "lavori occasionali" sono le prestazioni casuali, sporadiche o saltuarie. Saltuarietà che, tuttavia, di per sé non è elemento sufficiente ad escludere la presenza di un rapporto di lavoro; occorre, quindi, distinguere tra continuità di rapporto e continuità di prestazione, in quanto è possibile che alla continuità del rapporto si accompagni l'intermittenza delle prestazioni. I lavori di breve durata possono riferirsi a quelle prestazioni nelle quali l'elemento temporale non raggiunge quel minimo necessario affinché l'attività svolta possa essere inclusa nelle fattispecie tipiche previste dalla legge (es. tutte le ipotesi di contratto a termine).

4. A quali altre categorie di lavoratori non è applicabile la normativa sul lavoro minorile? Ai sensi dell'art. 2, comma secondo e terzo, la normativa in materia di lavoro minorile non si applica:

alle lavoratrici minori gestanti, puerpere o in allattamento nei confronti delle quali si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 645/1996 ove queste assicurino un trattamento più favorevole;

agli adolescenti occupati a bordo delle navi per i quali sono fatte salve le specifiche disposizioni legislative o regolamentari in materia di sorveglianza sanitaria, lavoro notturno e riposo settimanale in ragione di una riconosciuta peculiarità ed inderogabilità delle norme sul lavoro marittimo. L'interesse generale alla sicurezza della navigazione, infatti, è ritenuto prevalente rispetto alla tutela predisposta per il lavoro subordinato.

5. Qual’è l’età minima per l’accesso al lavoro? L'art. 3 della legge n. 977/1967 fissa l'età minima per l'ammissione al lavoro al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non prima che lo stesso abbia compiuto i 15 anni di età. Proprio l'assolvimento dell'obbligo scolastico costituisce il tratto distintivo tra la definizione di "bambino" _ minore che non ha ancora compiuto 15 anni di età o che è ancora soggetto all'obbligo scolastico _ e l'adolescente inteso, invece, come il minore di età compresa tra i 15 ed i 18 anni di età e non più soggetto all'obbligo scolastico (art. 1, comma secondo, lett. a) e b). Appare evidente, in sostanza, il

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principio secondo cui l'età minima di ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui cessa l'obbligo scolastico. Principio questo, confermato espressamente dall'art. 4 della legge n. 977/1967 secondo cui è vietato adibire al lavoro i bambini (salvo i casi di cui al paragrafo successivo). Con particolare riferimento alla sussistenza di tali requisiti, il Ministero della pubblica istruzione, con la circolare n. 22 del 1º febbraio 1999, in via transitoria e sino all'approvazione di un generale riordino del sistema scolastico e formativo che preveda l'obbligatorietà con durata decennale _ ha stabilito che attualmente l'obbligo di cui si discute è da considerarsi assolto:

da coloro che, nell'anno scolastico 1997/1998 hanno conseguito il diploma di licenza di scuola media;

da coloro che, alla data del 31 dicembre 1998, hanno compiuto il 15º anno di età e dimostrino di aver osservato, per almeno otto anni, le norme sull'obbligo;

da coloro che, alla data del 31 agosto 1999, hanno adempiuto, per almeno nove anni, all'obbligo in questione.

6. Esistono deroghe particolari al divieto di lavoro minorile? Una deroga al generale divieto di adibire al lavoro i bambini _ sancito dall'art. 4 della legge n. 977/1967 _ è costituita dall'impiego degli stessi, in via eccezionale, in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo. In tali casi _ ai sensi dell'art. 4 citato e secondo le modalità autorizzatorie dettate dall'art. 2 del D.P.R. n. 365/1994 _ la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio può autorizzare, previo assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale, l'impiego dei minori purché si tratti di attività che non pregiudichino la sicurezza, l'integrità psico_fisica e lo sviluppo del minore, la frequenza scolastica o la partecipazione ai programmi di orientamento o di formazione professionale. La prestazione lavorativa del minore impiegato in tali attività, in ogni caso, non può protrarsi per un periodo di tempo superiore alle ventiquattro ore. Con particolare riferimento a tale autorizzazione si evidenzia quanto stabilito dalla circolare del Ministero del lavoro 5 gennaio 2000, n. 1 secondo cui è da intendersi esclusa l'autorizzazione per tutte quelle attività che, per la loro natura intrinseca, per le modalità di svolgimento o per il loro carattere episodico ed estemporaneo, non siano in alcun modo assimilabili al concetto di lavoro e neanche ad una vera e propria "occupazione" che, di per sé, è caratterizzata da elementi soggettivi, oggettivi, temporali e programmatici. Parimenti, si potrà prescindere dalla preventiva autorizzazione nel caso di attività non retribuita svolta nell'ambito di iniziative didattiche promosse da organismi pubblici istituzionali aventi compiti di educazione e formazione dei minori. 7. Quali sono gli adempimenti e gli obblighi di sicurezza che competono al datore di lavoro con riferimento al lavoro minorile? Come è noto, l'art. 17 del D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce l'obbligo per il datore di lavoro di valutare i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori in relazione

alla natura dell'attività svolta, con particolare riguardo alla scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro. L'art. 7 della legge n. 977/1967 _ riprendendo quanto disposto in via generale dall'art. 4 citato _ stabilisce che il datore di lavoro, prima di adibire i minori al lavoro e in occasione del verificarsi di qualsivoglia modifica rilevante delle condizioni di lavoro, deve effettuare la suddetta valutazione dei rischi avendo riguardo, in particolare:

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a) allo sviluppo non ancora completo, alla mancanza di esperienza e di consapevolezza nei riguardi dei rischi lavorativi, esistenti o possibili, in relazione all'età; b) alle attrezzature ed alla sistemazione del luogo e del posto di lavoro; c) alla natura, grado e durata di esposizione agli agenti chimici, biologici e fisici; d) alla movimentazione manuale dei carichi; e) alla sistemazione, alla scelta, alla utilizzazione ed alla manipolazione delle attrezzature di lavoro e, segnatamente degli agenti, macchine, apparecchi e strumenti; f) alla pianificazione dei processi di lavoro e dello svolgimento del lavoro e della loro interazione sull'organizzazione generale; g) alla situazione della formazione e dell'informazione dei minori. Si evidenzia peraltro, nel caso in cui siano impiegati dei minori, l'obbligo per il datore di lavoro di fornire le informazioni di cui all'art. 36 del D.Lgs. n. 81/2008 anche ai titolari della potestà genitoriale (art. 7, comma 2, legge n. 977/1967). Per quanto concerne, infine, le lavoratrici minori gestanti, puerpere o in allattamento il datore di lavoro deve valutare i rischi per la salute e la sicurezza di tali lavoratrici e procedere alla modifica temporanea delle condizioni o dell'orario di lavoro ottemperando all'obbligo di informazione (artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 645/1996). 8. Esistono delle lavorazioni per le quali è vietato adibire al lavoro gli adolescenti? Ai sensi dell'art. 6 della legge n. 977/1967 è vietato adibire gli adolescenti alle lavorazioni, ai processi ed ai lavori indicati nell'Allegato I della legge citata così come modificata dal D.Lgs n. 345/1999. Il suddetto allegato, in particolare, elenca tutte le lavorazioni, i processi ed i lavori distinguendo tra esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici. Con riguardo ai singoli agenti il Ministero del lavoro, con la circolare n. 1/2000, ha evidenziato quanto segue: a) Rumore Il divieto di esposizione al rumore non opera automaticamente ma discende dalla valutazione dei rischi e scatta a partire da un livello di 80 dbA. La valutazione deve essere operata sulla base delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81/2008 _ che regola la materia già regolata dall'art. 40 del D.Lgs. n. 277/1991 e dall'art. 49 quinquies del D.Lgs. n. 626/1994. b) Agenti chimici Fermo restando il divieto assoluto di esposizione agli agenti etichettati come molto tossici, tossici, corrosivi, esplosivi ed estremamente infiammabili, per gli agenti nocivi ed irritanti il divieto vige solo per quelli etichettati con le frasi di rischio riportate nel relativo Allegato. Ad esempio, tra gli agenti irritanti sono vietati solo quelli sensibilizzanti per inalazione o per contatto cutaneo. Per tutti gli agenti sopra considerati il divieto vige indipendentemente dalle quantità presenti nell'ambiente di lavoro. Si ritiene, comunque, opportuno evidenziare che,

laddove il divieto è riferito solo ad alcune fasi del processo produttivo, lo stesso si riferisce a tali specifiche fasi e non all'attività nel suo complesso. Ad esempio, il divieto di lavoro nei magazzini frigoriferi riguarda solo l'accesso a tali luoghi e non l'attività nel suo complesso (supermarket, magazzini ortofrutticoli, ecc.). Lo stesso art. 6, in ogni caso, prevede la possibilità di derogare al divieto di adibizione ai lavori indicati nell'Allegato I, per scopi didattici e di formazione professionale. In tali casi gli adolescenti possono essere impiegati per il tempo "strettamente" necessario alla formazione e purché tali lavori siano svolti _ in aula o in laboratorio appositamente adibiti oppure in ambienti di lavoro di diretta

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pertinenza del datore di lavoro _ sotto la sorveglianza di formatori competenti anche in materia di prevenzione e di protezione e nel rispetto di tutte la condizioni di sicurezza e di salute previste dalla vigente normativa. L'attività di formazione _ fatta eccezione per gli istituti di istruzione e di formazione professionale _ deve essere preventivamente autorizzata dalla Direzione provinciale del lavoro (art. 6, comma 3, legge n. 977/1967). Sul punto, peraltro, la circolare n. 1/2000 sottolinea che "...l'autorizzazione riguarda l'attività di formazione e, pertanto, deve essere richiesta per specifiche qualifiche e non va ripetuta per ogni singola assunzione di minore". Un'ultima considerazione, infine, circa l'inclusione dell'apprendistato tra i rapporti di lavoro con contenuti formativi di cui all'art. 6, comma secondo. L'apprendista, infatti, è chiamato a svolgere _ durante il periodo di tirocinio _ oltre che un'attività lavorativa anche un'attività di formazione pratica continua, in affiancamento al datore di lavoro artigiano, oppure ai lavoratori qualificati o specializzati presenti in azienda. Ne consegue che tale attività concretizza quella "formazione professionale" di cui alla deroga citata. Per il contratto di apprendistato il formatore deve essere identificato con il tutore previsto dall'art. 16 della legge n. 196/1997 purché quest'ultimo sia competente in materia di sicurezza e salute (circolare Ministero del lavoro n. 1/2000). 9. E’ vero che per poter ottenere l’ammissione al lavori di adolescenti è necessario sottoporli a visita medica? Ai sensi dell'art. 8 della legge n. 977/1967 gli adolescenti ed i bambini _ questi ultimi soltanto nei casi in cui siano impiegati in attività lavorative di carattere culturale, artistico sportivo o pubblicitario e nel settore dello spettacolo regolarmente autorizzate _ possono essere ammessi al lavoro purché siano riconosciuti idonei, a seguito di visita medica, all'attività lavorativa cui saranno adibiti. Idoneità all'attività lavorativa che, altresì, deve essere periodicamente accertata con visite mediche da effettuare ad intervalli non superiori ad un anno a cura ed a spese del datore di lavoro presso l'Azienda unità sanitaria locale territorialmente competente (sul punto Cass. pen. 29 agosto 2002, n. 30164). Peraltro, nel caso in cui il lavoratore raggiunga la maggiore età anteriormente alla scadenza del termine di un anno dalla visita medica precedente, quest'ultima "non deve essere ripetuta e non può ipotizzarsi un'anticipazione dell'obbligo che il legislatore non ha inteso prevedere ... la stessa ratio legis è rivolta alla verifica annuale della persistenza dell'idoneità dei lavoratori minorenni all'attività lavorativa cui sono addetti, ma non estende detta peculiare tutela oltre il raggiungimento della maggiore età" (Cass., sez. pen., 18 settembre 2000, n. 9772). Costituisce eccezione all'art. 8 citato il caso di attività lavorative per le quali la vigente normativa dispone la sorveglianza sanitaria ai sensi degli artt. 38 e 42 del D.Lgs. n. 81/2008. In tali ipotesi _ come è stato puntualizzato dal Ministero del lavoro con la circolare 17 gennaio 2001, n. 11 _ le visite mediche preventive e periodiche devono essere effettuate dal medico competente individuato tra i dipendenti "... di una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l'imprenditore per lo svolgimento dei compiti di sorveglianza sanitaria o un libero professionista o un dipendente del datore di lavoro ...". 10. A quale tipologie di controlli medici devono essere sottoposti gli adolescenti? In particolare, gli adolescenti devono essere sottoposti ai soli seguenti controlli e cioè:

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a) ad accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica; b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. Il giudizio sull'idoneità o sull'inidoneità parziale o temporanea o totale del minore al lavoro deve essere, altresì, comunicato per iscritto al datore di lavoro, al lavoratore ed ai titolari della potestà genitoriale. Questi ultimi, inoltre, hanno la facoltà di richiedere copia della documentazione sanitaria. I minori che a seguito di visita medica periodica risultano non idonei ad un determinato lavoro non possono essere ulteriormente adibiti allo stesso. 11. E’ possibile adibire adolescenti al lavoro notturno? Ai sensi dell'art. 15 della legge n. 977/1967 è vietato adibire i minori al lavoro notturno in ragione della sua particolare gravosità, specie nell'età giovanile. Con il termine "notte" si intende un periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l'intervallo tra le ore 22 e le ore 6, o tra le ore 23 e le ore 7 (art. 15, comma 2). Tali periodi possono essere interrotti nei casi di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati o di breve durata nella giornata. 12. Esistono eccezioni al divieto di adibire adolescenti al lavoro notturno? Tale divieto non opera _ ai sensi dell'art. 17 della legge n. 977/1967 _ in due ipotesi affermate espressamente: a) la prestazione lavorativa del minore impiegato nelle attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o nel settore dello spettacolo di cui all'art. 4, comma secondo, può protrarsi non oltre le ore 24. In tal caso, peraltro, il minore deve godere, a prestazione compiuta, di un periodo di riposo di almeno 14 ore consecutive; b) gli adolescenti che abbiano compiuto almeno 16 anni possono essere adibiti al lavoro notturno _ eccezionalmente e per il tempo strettamente necessario _ quando si verifica un caso di forza maggiore che ostacola il funzionamento dell'azienda, purché tale lavoro sia temporaneo e non ammetta ritardi, non siano disponibili lavoratori adulti e siano concessi periodi equivalenti di riposo compensativo entro tre settimane. Il datore di lavoro deve dare immediata comunicazione alla direzione provinciale del lavoro indicando i nominativi dei lavoratori, le condizioni costituenti la forza maggiore, le ore di lavoro. Spetta in tal caso, al minore, un equivalente periodo di riposo compensativo che deve essere fruito entro tre settimane, oltre alle maggiorazioni retributive.

Sezione X

Disposizioni particolari 1. Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di contratto di somministrazione di lavoro?

Nell’ipotesi di prestatori di lavoro nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro (articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico dell’utilizzatore, fatto salvo l’obbligo a carico del somministratore di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali viene assunto. 2. Su chi gravano gli obblighi di sicurezza in caso di distacco del alvoratore? Nell’ipotesi di distacco del lavoratore (articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276), tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del

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distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato. 3. Nei confronti dei lavoratori a progetto o dei collaboratori coordinati e continuativi si applicano le norme dettate dal D.Lgs 81/08? Nei confronti dei lavoratori a progetto (articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) e dei collaboratori coordinati e continuativi (articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile), le disposizioni del decreto si applicano ove la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente. 4. Quali sono le norme di sicurezza applicabili confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio? Nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio (articolo 70 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276), il decreto e tutte le altre norme speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute si applicano con esclusione dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili. 5. Quali norme di sicurezza si applicano in caso di lavoratori a domicilio? Relativamente ai lavoratori a domicilio (legge 18 dicembre 1973, n. 877) trovano applicazione gli obblighi di informazione e formazione di cui agli articoli 36 e 37 del decreto in seguito commentate. Ad essi devono inoltre essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate. 6. Nel lavoro a distanza quali delle disposizioni dettate dal D.Lgs 81/08 sono applicabili? A tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico, compresi quelli di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70 e di cui all’accordo-quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002, si applicano le disposizioni di cui al Titolo VII del decreto (Attrezzature munite di videoterminale), indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo IX (Sostanze pericolose). I lavoratori a distanza sono informati dal datore di lavoro circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano correttamente le direttive aziendali di sicurezza. Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza è previsto che il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti abbiano accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia

svolta presso il suo domicilio. Il datore di lavoro deve poi garantire l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali. 7. Quali sono i criteri per il computo dei lavoratori utilizzati mediante somministrazione di lavoro?

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Viene poi previsto che i lavoratori utilizzati mediante somministrazione di lavoro (articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) e i lavoratori assunti a tempo parziale (decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61), si computino sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell’arco di un semestre, mentre per i lavoratori stagionali si prevede il computo sulla base del numero di giornate di lavoro complessivamente prestate nell’arco di un anno. Il numero degli operai impiegati a tempo determinato, anche stagionali, nel settore agricolo si computa per frazioni di unità lavorative anno (ULA) come individuate sulla base della normativa comunitaria.

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Capitolo 2

IL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

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1. Nei casi in cui, un'attività è composta da titolare ed un solo lavoratore è necessaria la nomina del RSL? Per Gli RSPP e RSL sono necessari corsi di aggiornamento annuali? Nel caso di specie la nomina del r.l.s. ex art. 47, D.lgs. n. 81/2008, sembrerebbe, invero, non sorretta da logica giuridica, essendo per definizione ridondante la nomina di un rappresentante dei lavoratori rappresentante solo di se stesso. Potrebbe, semmai, farsi luogo alla nomina del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (RLST) ovvero di per la sicurezza di sito produttivo (RLSSP) qualora ne ricorrano i presupposti previsti dagli articoli 48 e 49 come richiamati dall'art. 47, c. 8, D.lgs. citato. 2. Se una soc. coop. è formata da tutti soci lavoratori, il presidente della soc. coop. può essere nominato Rls e Rspp? Le singole attività, tipo: srl; sas; snc; soc coop; az. agricole, ecc. ss quando si può nominare il Rspp e il Rls? Ai sensi dell'art. 34, D.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro può, nei casi previsti dall'allegato II al D.lgs. medesimo (e salvo le eccezioni ivi previste) svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione. Rileva, peraltro, una evidente incompatibilità tra la figura di datore di lavoro e quella del rappresentante dei lavoratori, deducibile dalla lettera della legge, mentre l'incompatibilità tra il ruolo di r.s.p.p. e quello di rappresentante dei lavoratori è stato ben delineato, tra le altre, da Cassazione Civile, sez. Lavoro, con sentenza n. 19965 del 15 settembre 2006. 3. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro con riferimento all’organizzazione della prevenzione in azienda? L’articolo 31 del D.Lgs 81/08, tenendo conto di quanto originariamente disposto dall’art. 8 del D.Lgs 626/1994, prevede che il datore di lavoro debba organizzare il servizio di prevenzione e protezione all’interno della azienda o della unità produttiva, o deve incaricare persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole di cui al presente articolo. 4. Il comma 7 stabilisce che nei casi di cui al comma 6 il RSPP deve essere interno. Il mio caso riguarda alcune case di cura, che non hanno intenzione di assumere un RSPP e non hanno personale interno disponibile. E’ possibile derogare? Ai sensi dell'art. 31, commi 6 e 7, D.lgs. n. 81/2008, non sembra praticabile un elusione del disposto di legge talché l'azienda, qualora non dotata di risorse interne, sarà costretta ad integrare la pianta organica con l'assunzione di adeguato soggetto in possesso delle qualifiche richieste per il r.s.p.p. 5. Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può

avvalersi di persone esterne alla azienda? Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio. Ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia.

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6. Il RSPP esterno di un azienda come deve comportarsi nei confronti di un impresa appaltatrice che svolge opere edili di manutenzione ordinaria

all'interno della azienda, utilizzando attrezzature difformi (per es. ponteggi). Quale è la documentazione da richiedere? Il quesito riguarda diverse figure interessate all'intervento indicato. Per prima cosa, il Rspp è così indicato nell'art. 2.1 lett. f) del d.lgs. n. 81/2008: "persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi;". I compiti del servizio di prevenzione e protezione sono delineati dall'art. 33 del decreto. In secondo luogo, il quesito presuppone l'esistenza di un cantiere edile all'interno dell'azienda. Non è però indicato se vi sia o meno il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. Se la risposta fosse positiva, sarebbe costui che deve vigilare sull'attività esecutiva e sui materiali utilizzati. In caso contrario, spetta agli altri soggetti, tra cui il direttore dei lavori, garantire la sicurezza in cantiere. In ogni caso, spetta all'impresa esecutrice dei lavori redigere il piano operativo di sicurezza, che comprende anche l'utilizzo dei materiali. Questo è quindi il documento da richiedere. 7. Nel rispetto della normativa vigente, all'interno dello stesso servizio di prevenzione e protezione, possono essere nominati 2 RSPP? Un'interpretazione letterale della norma (come è noto da privilegiare secondo la previsione dell'ar. 12, c. 1, delle Disposizioni sulla legge in generale) farebbe tendere per una risposta negativa al quesito, testualmente affermando l'art. 17, c. 1, lett. b, D.lgs. n. 81/2008, l'indelegabilità, da parte del datore di lavoro, della designazione "del" responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Rileva, peraltro, la possibilità di nominare più addetti al servizio di prevenzione e protezione "...in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell'azienda" ai sensi dell'art. 31, c. 2, D.lgs. medesimo. 8. Con il d.Lgs. 81/2008 la comunicazione del nominativo del RSPP (nel mio caso stesso datore di lavoro) all'ispettorato del lavoro e all'asl non è più obbligatoria, servirà comunque un foglio di nomina? Questo foglio deve comunque contenere l'indicazione degli infortuni avvenuti in azienda? e se si, come si valutano le ore lavorate nel caso ci siano lavoratori stagionali? Il quesito ha risposta negativa, nel senso che la comunicazione non è più necessaria. Ai sensi dell'art. 34, D.lgs. n. 81/2008 sarà, comunque, necessaria, la preventiva informazione al r.l.s. e il possesso dei requisiti di formazione previsti dalla menzionata disposizione al comma 2. 9. Con l'entrata in vigore del d.lgs.81/08 è ancora in vigore l'obbligo di comunicazione delle competenze del RSPP all'ispettorato del lavoro e all'ASL di competenza? Il quesito ha risposta negativa. Il D.lgs. n. 81/2008 non ha reiterato, invero, tale obbligo già previsto dall'abrogato art. 8, c. 11, D.lgs. n. 626/1994 (cfr. articoli 17 e

18, D.lgs. n. 81/2008), talché, fermo restando l'indelegabilità della nomina del r.s.p.p. ex art. 17, D.lgs. n. 81/2008, il suo nominativo non dovrà essere comunicato come avveniva in passato. 10. Esistono dei casi in cui l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria? L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:

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a) nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;

b) nelle centrali termoelettriche; c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto

legislativo 19 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni; d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi,

polveri e munizioni; e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori; f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori; g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50

lavoratori. 11. Nei casi di aziende con più unità produttive devono essere istituiti più servizi di prevenzione e protezione? Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese,

può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile. 12. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un ruolo della carriera direttiva) all'interno dell'azienda possa contemporaneamente rivestire il ruolo di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls)? Diversamente da quanto è previsto per il Rspp dall’articolo 50, comma 7 del Dlgs 81/2008 non sussistono ragioni di incompatibilità funzionale; è dunque possibile e ragionevole che il Rappresentante dei lavoratori della sicurezza (Rls) possa essere individuato tra i “preposti”, secondo i criteri e le modalità stabilite dall’articolo 47 del Dlgs 81/2008.

13. In un'impresa individuale artigiana, formata solo dal titolare, ci lavora il figlio come coadiuvante familiare (non figura in visura camerale). L'azienda rientra tra i soggetti obbligati a fare la sicurezza? (cioè avere le figure richieste RSPP-RLS e fare i corsi sul pronto soccorso e antincendio?) La definizione giuridica del soggetto deve essere identificata meglio. Se l'impresa individuale artigiana agisce mediante contratti d'opera di cui agli artt. 2222 ss. c.c., trova applicazione l'art. 3.11 del d.lgs n. 81/2008. Se invece agisce come impresa famigliare (art. 230.bis c.c.), trova applicazione il successivo comma 12 dell'art. 3. In ogni caso, si applica il decreto legislativo 81 solo per le parti ivi indicate. 14. Sono interessato a svolgere le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Quali requisiti professionali devo avere? Per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti interessati, è necessario

essere in possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore nonché di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative. Per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di cui al precedente periodo, è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di

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comunicazione in azienda e di relazioni sindacali. I corsi di cui ai periodi precedenti devono rispettare quanto previsto dall’accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, serie generale, del 14 febbraio 2006, n. 37, e successive modificazioni e integrazioni. 15. Quali sono i requisiti dei corsi di formazione per Rspp? In ordine all'organizzazione dei corsi di formazione, essi dovranno avere i seguenti requisiti:

- individuazione di un responsabile del progetto formativo; - impiego di docenti con esperienza almeno biennale in materia di prevenzione

e sicurezza sul lavoro; - numero dei partecipanti per ogni corso: massimo 30 unità; - tenuta del registro di presenza dei «formandi» da parte del soggetto che

realizza il corso; - assenze ammesse: massimo 10% del monte orario complessivo.

Per quanto concerne la metodologia di insegnamento/apprendimento occorre privilegiare le metodologie «attive», che comportano la centralità del discente nel percorso di apprendimento. A tali fini è necessario: - garantire un equilibrio tra lezioni frontali, esercitazioni in aula e relative

discussioni, nonché lavori di gruppo, nel rispetto del monte ore complessivo prefissato per ogni modulo;

- favorire metodologie di apprendimento basate sul problem solving, applicate a simulazioni e problemi specifici, con particolare attenzione ai processi di valutazione e comunicazione legati alla prevenzione.

16. L'art. 32 comma 6 del D.Lgs. 81/08 rimanda all'accordo stato regioni e tale accordo fa ancora riferimento al D.Lgs. 626/94. Essendo io professionista esonerato dalla frequenza dei moduli A e B dei corsi per l'abilitazione, ed ottenendo quindi l'effettiva abilitazione a seguito della frequenza del corso modulo C, da quando devo considerare inizi l'obbligo di aggiornamento periodico e quali sono i riferimenti normativi che definiscono la decorrenza di tale obbligo? Il punto 3 dell'allegato I dello stesso Accordo della Conferenza Stato/regioni prevede, ai sensi dell'abrogato art. 8 BIS, c. 5, del D.lgs. n. 626/1994, un obbligo di aggiornamento formativo quinquennale a carico dei responsabili e per gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro, da adempiere attraverso la frequentazione ad appositi corsi di formazione di aggiornamento. Detto punto prevede, in particolare, che tali corsi di aggiornamento (frequentabili anche con modalità di formazione a distanza), dovranno comunque far riferimento ai contenuti dei moduli del rispettivo percorso formativo, con particolare riguardo: a) al settore produttivo di riferimento; b) alle novità normative nel frattempo eventualmente intervenute in materia; c) alle innovazioni nel campo delle misure di prevenzione. E',

inoltre, prevista la durata minima di detti corsi, in funzione del settore ATECO dell'azienda di provenienza. Un'interpretazione secondo buon senso non può che considerare la decorrenza dell'obbligo dal termine del precedente corso di formazione. 17. Devo svolgere le funzioni di RSPP. Qual’è il modulo formativo di base che devo frequentare e che durata ha?

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Il corso di base, per lo svolgimento della funzione di RSPP e di ASPP ha la durata di 28 ore. I contenuti delle attività formative: a) sono conformi a quanto indicato nel D.M. 16 gennaio 1997 del Ministro del lavoro (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 3 febbraio 1997, n. 27), recante individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e protezione; b) integrano quelle di cui al D.M. 16 gennaio 1997, richiamato alla lettera a). Al termine di questo modulo, obbligatorio per tutte le classi di attività lavorative e propedeutico agli specifici moduli di specializzazione, i partecipanti devono conseguire l'idoneità alla prosecuzione del corso, mediante test di accertamento delle conoscenze acquisite. Tale idoneità, una volta conseguita, resta valida per tutti i percorsi formativi successivi e relativi alle diverse specializzazioni. L'elaborazione delle prove è di competenza del Gruppo Docente, supportato da un Coordinatore/Tutor del corso. Al termine del modulo base, è rilasciato un attestato di frequenza che certifica la frequenza al corso (almeno il 90% del monte ore) e l'idoneità, ove riscontrata, a frequentare i moduli di specializzazione. La frequenza al modulo vale per qualsiasi macrosettore e costituisce Credito Formativo permanente. 18. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Qual’è il modulo formativo che devo frequentare e che durata ha? Il modulo di specializzazione, è il corso adeguato alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative. La sua durata varia da 12 a 68 ore, a seconda del macrosettore di riferimento. Come il modulo A, anche il modulo B è comune alle due figure professionali di RSPP e di ASPP. Esso inoltre è idoneo alla formazione dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e per quelli territoriali oltre che per i datori di lavoro che intendono svolgere direttamente le funzioni di RSPP. Il modulo, adeguato alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, è obbligatorio per RSPP e ASPP. Esso inoltre è idoneo alla formazione dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e per quelli territoriali oltre che per i datori di lavoro che intendono svolgere direttamente le funzioni di RSPP La valutazione si articola in verifiche intermedie e verifiche finali: Verifiche intermedie: durante lo svolgimento del modulo di specializzazione il

livello di apprendimento è controllato tramite verifiche, strutturate sia a test, che come soluzioni di casi;

Verifica finale: tale valutazione si svolge secondo le seguenti modalità, anche in forma integrata:

- simulazione obbligatoria al fine di misurare le competenze tecnico-professionali (come da standard formativi minimi) in situazione lavorativa durante l'esecuzione di compiti coerenti con l'attività dei

due diversi ruoli; - colloquio o test obbligatori, in alternativa tra loro, finalizzati a

verificare le competenze cognitive relative alla normativa vigente. L'elaborazione delle prove è di competenza del Gruppo Docente, supportato dal Coordinatore/Tutor del corso. L'esito positivo della verifica finale, unitamente a una presenza pari almeno al 90% del monte ore, consente il rilascio, al termine del modulo di specializzazione, dell'attestato di frequenza con verifica dell'apprendimento. L'attestato dovrà

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riportare anche il macro-settore di riferimento del corso, in quanto è solo all'interno del macrosettore interessato che il «formato» potrà svolgere le proprie funzioni. La frequenza del modulo B costituisce Credito Formativo con fruibilità quinquennale anche per l'eventuale nomina a RSPP o ASPP in altra azienda dello stesso macrosettore. In ogni caso, dopo i cinque anni scatta l'obbligo dell'aggiornamento. 19. Devo frequentare un corso di specializzazione per RSPP. Mi hanno detto che esiste un modulo C da frequentare. Di cosa si tratta? Il Modulo C) di specializzazione per le sole funzioni di RSPP, è il corso PREVISTO dall’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, su prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psico-sociale, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali; La sua durata è di 24 ore ed è obbligatorio solo per RSPP. Quanto ai criteri di valutazione dei tre moduli A, B e C, si evidenzia quanto segue: La valutazione si articola in verifiche intermedie e verifiche finali:

Verifiche intermedie: durante lo svolgimento del modulo C, il livello di apprendimento sarà controllato tramite verifiche strutturate sia a test, che con metodologie di problem solving (es. simulazioni di riunioni di lavoro, discussione di casi);

Verifica finale: colloquio obbligatorio e finalizzato a verificare le competenze organizzative, gestionali e relazionali previste dal D.Lgs 81/08.

L'esito positivo della verifica finale (colloquio), unitamente a una presenza pari almeno al 90% del monte ore, consente il rilascio dell'attestato di frequenza con verifica dell'apprendimento. La frequenza al modulo C, vale per qualsiasi macrosettore e costituisce Credito Formativo permanente. 20. Mi trovo nella seguente situazione: ho frequentato nel 2002 un corso di 16 ore ai sensi del DM 16/01/1997; attualmente non ho incarichi RSPP; vorrei avere la possibilità di assumere l'incarico RSPP. Quali moduli, previsti dall'Accordo Stato-Regioni, devo frequentare? Posso far valere il corso del 2002 come credito formativo ed essere esonerato dal modulo A? Ai sensi dell'Accordo della Conferenza Stato regioni del 26 gennaio 2006 per svolgere le attività di R.S.P.P. è necessario la frequentazione con successo anche dei moduli B e C ivi previsti. Verosimilmente dovrebbe valere l'esonero anche dal corso di cui al modulo A in forza di quanto previsto all'Allegato I, par. I, del citato Accordo. Le tabelle A4 e A5 del medesimo Accordo recano, peraltro, il dettaglio delle esperienze e attività pregresse quali valide al fine dell'esonero che interessa il lettore. 21. Volevo chiedere parere riguardo gli obblighi formativi relativi alle imprese

familiari (art. 21 dlgs 81/08) e se questi si limitano a quanto previsto dall'art. 37 o se sussistono comunque gli obblighi di nomina del RSPP, addetto al primo soccorso e alla gestione delle emergenze. Quanto agli obblighi formativi l'articolo 21 del D.lgs. n. 81/2008 lascia, effettivamente, la "facoltà" ai componenti dell'impresa familiare di "partecipare ai corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro...secondo le previsioni di cui all'articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali". Non risultano, peraltro, deroghe (se non quelle previste a livello generale)

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relativamente alla nomina del r.s.p.p. e addetti alla prevenzione incendi ed emergenze. 22. Quali sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di formazione? Per quanto riguarda, in particolare, i corsi di formazione per responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e di addetto al servizio di prevenzione e protezione (ASPP), i soggetti abilitati ad effettuarli sono quelli di cui al citato art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 81/2008, il quale, a sua volta, richiama quanto previsto al punto 4 dell’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, e successive modificazioni. Tale accordo oltre ad individuare, al punto 4.1, gli ulteriori soggetti formatori rispetto a quelli già indicati dal citato art. 32, comma 4, d.lgs. n. 81/2008, - come pure i requisiti del personale docente impiegato nell’attività formativa - al punto 4.2, stabilisce che altri soggetti, oltre a quelli espressamente indicati nel paragrafo precedente, possono esercitare attività di formazione, ricorrendo i seguenti requisiti: “a) essere accreditato nella Regione o Provincia autonoma in cui intendono operare, in conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia autonoma, ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 25 maggio 2001 n. 166; b) dimostrare di possedere esperienza almeno biennale, maturata in ambito di prevenzione e sicurezza sul lavoro; c) dimostrare di disporre di docenti con esperienza almeno biennale in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro”. Sembra opportuno notare che, in tali casi, e, in generale, in tutti i casi in cui la normativa si limita a stabilire i requisiti minimi della formazione, senza indicare particolari soggetti abilitati allo svolgimento dei relativi corsi, gli stessi possono essere svolti da qualsiasi centro di formazione con esperienza nel settore della sicurezza in conformità alla normativa che li ha istituiti e alla eventuale disciplina dettata in materia dalle Regioni e dalle Province autonome. Per quanto riguarda, infine, la certificazione di avvenuta formazione dei RSPP e degli ASPP, la materia è disciplinata al punto 2.5 del predetto Accordo sancito in data 26 gennaio 2006, il quale prevede che gli attestati di frequenza, con verifica dell’apprendimento, vengano rilasciati dalle Regioni e Province autonome competenti per territorio, sulla base dei verbali, redatti in sede di accertamento dell’apprendimento dalle Commissioni di docenti interni, nei quali è formulato il giudizio della medesima Commissione in termini di valutazione globale. Da tale previsione sono esclusi gli attestati di frequenza rilasciati dai soggetti individuati dall’art. 32 del d.lgs. n. 81/2008 e di quelli di cui al punto 4.1 dell’Accordo stesso, che possono certificare autonomamente la avvenuta formazione. 23. Una azienda che eroga corsi di formazione professionale, con accreditamento regionale, e con 5 sedi in tutta Italia (1 sede legale e 4 sedi secondarie) può avere un SPP composto dal solo RSPP o deve designare anche degli addetti? Ai sensi dell'art. 31, c. 1, D.lgs. n. 81/2006, gli addetti e i responsabili del servizio

di prevenzione e protezione devono, tra l'altro, essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell'azienda. Il fatto che l'azienda disponga di cinque sedi in Italia potrebbe non rilevare quanto alla presenza del solo r.s.p.p., purché il medesimo sia in grado di assolvere professionalmente ai propri compiti presso tutte le sedi aziendali. 24. E’ possibile svolgere le funzioni di Rspp nei casi di mancato possesso del previsto titolo di studio?

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Possono altresì svolgere le funzioni di responsabile o addetto coloro che, pur non essendo in possesso del previsto titolo di studio, dimostrino di aver svolto una delle funzioni richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003 previo svolgimento dei corsi secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma precedente. I corsi di formazione sono organizzati dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, dalle università, dall’ISPESL, dall’INAIL, o dall’IPSEMA per la parte di relativa competenza, dal Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dall’amministrazione della difesa, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o dagli organismi paritetici, nonché dai soggetti paritetici nel rispetto dei limiti e delle specifiche modalità previste. Coloro che sono in possesso di laurea triennale in “Ingegneria della sicurezza e protezione”, in “Scienze della sicurezza e protezione”, in “Ingegneria della sicurezza industriale e nucleare”, in “Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro” e della laurea magistrale ovvero di altre lauree e lauree magistrali riconosciute corrispondenti ai sensi della normativa vigente con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su parere conforme del Consiglio universitario nazionale, sono esonerati dalla frequenza ai corsi di formazione. 25. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione devono essere registrate nel libretto formativo del cittadino? Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione nei confronti dei componenti del servizio interno sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni e integrazioni se concretamente disponibile in quanto attivato nel rispetto delle vigenti disposizioni o nel libretto formativo di cui all’Allegato IIIC del D.Lgs 81/08. Negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari il datore di lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione individuandolo tra il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti che si dichiari a tal fine disponibile. Il datore di lavoro che si avvale di un esperto esterno per ricoprire l’incarico di responsabile del servizio deve comunque organizzare un servizio di prevenzione e protezione con un adeguato numero di addetti.

26. Il RSPP esterno, ingegnere libero professionista ed abilitato ai sensi della L. 818/84 di una azienda con rischio di incendio basso può effettuare la formazione della squadra antincendio ed attestare l'avvenuta formazione? Si ritiene che la risposta al quesito debba differenziarsi a seconda del tipo di attività condotta dall'azienda in questione. Qualora essa ricada negli elenchi di attività soggette a controllo dei Vigili del Fuoco (ed obbligo del c.p.i.) In caso difforme (attività non soggette a controllo dei Vigili del Fuoco nel senso

di non ricadere nei sopra menzionati elenchi) si ritiene che sia lecita anche una formazione erogata in via privata da parte di professionisti qualificati in tal senso, purché conforme all'art 37, c. 9, del D.lgs. n. 81/2008. 27. Per formare ed attestare la formazione di dipendenti - preposti - datori di lavoro - RSPP - RLS ai sensi del nuovo testo unico, bisogna avere requisiti particolari o può tranquillamente farlo un tecnico ambientale come me che mi occupo di pratiche sulla sicurezza - HACCP ed ambiente in generale?

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L'articolo 37 comma 5, del D.lgs. n. 81/2008, afferma come l'addestramento debba essere condotto da "persona esperta e sul luogo di lavoro". Inoltre il

medesimo articolo al comma 2 demanda alla Conferenza Stato/regioni la definizione dei contenuti minimi e della modalità della formazione da erogare ai sensi del precedente comma 1. 28. Quali sono i principali compiti del servizio di prevenzione e protezione? Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali deve provvedere:

a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;

b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive e i sistemi di controllo di tali misure;

c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;

e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica;

f) a fornire ai lavoratori le informazioni necessarie. 29. Quali sono le principali aree di competenza del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione? Il Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione è caratterizzato da due aree di competenza: una gestionale ed una tecnico-specifica, fra loro integrate. La prima area attiene a capacità organizzative, relazionali ed amministrative cioè alla capacità di programmare, pianificare, comunicare (con vari soggetti) gli obiettivi, di reperire, sviluppare, gestire e motivare le risorse umane. Nell'area tecnico-specifica invece possono essere rappresentate varie competenze culturali che concorrono a definire più in generale la prevenzione. In particolare si può trattare di conoscenze ricavate dall'igiene industriale o dalla sicurezza sul lavoro, dall'ergonomia e dalle tecniche di analisi dell'organizzazione del lavoro nonché da altre discipline correlate per aziende e/o unità produttive che si caratterizzano per particolari pericoli e/o rischi e naturalmente dalla profonda conoscenza delle norme di legge e delle norme di buona tecnica. Va ricordato che, il Responsabile del SPP non è definito nel D.Lgs

81/08 né dirigente nè preposto11

, nè tantomeno assoggettato a responsabilità penale in quanto non menzionato nel titolo IX del D.Lgs, relativo alle sanzioni conseguenti alle violazioni delle norme. Il problema della sua eventuale responsabilità in caso di infortunio sul lavoro, sarà valutato dalla magistratura sulla base della sua collocazione interna o esterna all'azienda e di un'attenta analisi del processo che ha portato al verificarsi dell'infortunio. Se il Responsabile aveva mancato di individuare un pericolo, e di conseguenza individuare le necessarie misure preventive, non fornendo al datore di lavoro l'informazione necessaria per attuare le stesse, potrebbe essere chiamato a rispondere, ovviamente in concorso con il datore di lavoro, dell'evento; ove invece il Responsabile aveva correttamente individuato il problema e indicate le soluzioni, ma il datore di lavoro o il dirigente o

il preposto non ha dato seguito alle sue indicazioni, egli dovrebbe essere sollevato da qualsiasi responsabilità nel merito dell'evento. Sarà naturalmente l’autorità giudiziaria a pronunciarsi su questioni di questo tipo.

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Naturalmente non esiste nessuna formale incompatibilità tra l’essere dirigente o preposto ad una specifica funzione “x” e l’assumere anche la funzione di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione. In questo caso, la persona mantiene ovviamente lo status (e le responsabilità) di dirigente o preposto per la specifica funzione “x”, ma non viene a configurarsi tale status (e responsabilità) per la funzione di “responsabile del servizio di prevenzione e protezione”.

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30. Possono essere utilizzate figure di supporto al Rspp?

Altre figure di supporto possono essere di volta in volta individuate a seconda della complessità e specificità dei problemi di prevenzione emersi dalla valutazione del rischio e dal programma di prevenzione e protezione scaturito da questo nonché dal piano di informazione e formazione necessario per sostenerlo. Tali figure possono naturalmente (ed in genere lo saranno) essere anche esterne al SPP o addirittura all'azienda stessa (anche nel caso di un SPP aziendale). 31. Quali sono le principali caratteristiche che deve avere un modello di Spp interno all’azienda? Questo modello che opera dall'interno dell'azienda è soprattutto applicabile nelle aziende di media e grande dimensione, sicuramente in quelle che impiegano più di 1000 lavoratori nello stesso luogo, ma probabilmente anche in quelle con almeno 500 addetti, e sono in grado di avere una equipe a tempo pieno con una composizione multidisciplinare. La forza di questo modello di servizio interno consiste, al di là del fatto di poter contare su un'équipe a tempo pieno: negli stretti legami tra il servizio e gli altri settori dell'azienda, come la direzione, le unità produttive, i rappresentanti per la sicurezza eletti dai lavoratori; e nell'accesso all'informazione sull'attività dell'azienda, con i piani per la modifica o per la realizzazione di nuovi posti lavoro, dell'organizzazione del lavoro, dei cicli produttivi e delle attrezzature, etc. Un limite di questo modello è che esso richiede un alto numero di lavoratori impiegati nella stessa azienda.

32. In quali casi è possibile organizzare un Servizio di prevenzione e protezione interno all'azienda con supporti esterni? Riteniamo questa la soluzione migliore per le aziende industriali con più di 200 addetti (per legge tenute ad avere il SPP interno) ma con meno di 1000 addetti (o 500, vedi punto precedente). In questo caso il SPP non avrà al suo interno tutte le competenze necessarie, ma sarà più snello e agile, e sarà supportato da un'adeguata rete di competenze esterne. 33. E’ possibile organizzare un unico servizio di protezione e prevenzione per più aziende? Organizzato congiuntamente da diverse aziende di piccola e media dimensione generalmente localizzate nella stessa area geografica. L'amministrazione ed il finanziamento del servizio può essere garantito congiuntamente dalle aziende del gruppo interessato. Il vantaggio di questo modello è la vicinanza con il posto di lavoro e la diretta proprietà da parte delle aziende, che sono i clienti del servizio, e la sua flessibilità nel rispondere ai diversi bisogni delle piccole e medie aziende. Ammesso che la popolazione di lavoratori di cui occuparsi sia sufficientemente ampia, un'équipe a tempo pieno, ben equipaggiata e multidisciplinare, può essere organizzata in modo assai simile a quella dei servizi delle grandi aziende. I problemi evidenziati in questo tipo di modello sono invece legati al fatto che: l'attività viene

condotta dall'esterno delle aziende, e ciò potrebbe causare problemi particolarmente se le aziende sono disperse in una vasta area geografica; si possono incontrare anche ostacoli nel tentativo di rispondere a bisogni molto diversificati dato il grande numero di clienti. 34. E’ possibile organizzare un servizio di protezione e prevenzione per comparto produttivo? Quali caratteristiche deve avere? E' questo un modello di servizio specificatamente organizzato per un particolare settore dell'attività economica, come potrebbe essere quello delle costruzioni, quello

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alimentare, quello agricolo, etc. La copertura geografica di tale servizio può variare, a seconda del comparto in questione, da un'area geografica circoscritta, fino ad una dimensione regionale o interregionale. La forza di questo modello consiste nella possibilità di organizzare servizi grandi, ben equipaggiati e con buon personale, dotati, se necessario, di mezzi mobili, con la possibilità di concentrarsi su specifici problemi del singolo comparto, e con la possibilità di portare avanti programmi di prevenzione o azioni di promozione attraverso l'intero comparto. I problemi possono derivare dal carattere esterno del servizio e, in alcuni casi, dalla localizzazione remota rispetto all'azienda. Non vi è tuttavia dubbio sul fatto che in questo modello come nel primo, è fortemente aumentata la possibilità di integrare l'attività di prevenzione con il processo produttivo, seguendo in questa integrazione logiche organizzative di "Total Quality". 35. Esistono delle indicazioni utili per orientarmi nella scelta del modello di prevenzione e protezione? La scelta del modello dovrebbe essere basata sulla realistica capacità di dare soddisfazione ai bisogni delle aziende e dei lavoratori in questione e di assicurare la più ampia copertura, senza, tuttavia, compromettere professionalità e qualità. Oltre alla consulenza tecnico-scientifica i Servizi di prevenzione e protezione dipendono in modo vitale dalla possibilità di accedere ad informazioni tecnico-scientifiche su problemi di prevenzione nei luoghi di lavoro e a dati sulle condizioni di rischio e di salute a livello nazionale e di singole aziende. I sistemi informativi locali, regionali e nazionali dovrebbero fornire informazioni sulla forza lavoro e sui lavoratori occupati, sui pericoli e rischi, anche rilevanti, presenti a livello di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, prodotti e anche nell'ambito di attività individuate per comparto produttivo, sulla situazione attuale e sulle tendenze degli infortuni sul lavoro, sulle patologie professionali e su quelle correlate col lavoro e, dove è possibile, sui dati di monitoraggio ambientale e biologico nonché sulle soluzioni di bonifica sperimentate con efficacia e del loro impatto organizzativo. Questi dati sono importanti come riferimenti per stimare la situazione dei rischi nella azienda in cui il Servizio è interessato. Il Servizio ha bisogno, inoltre, di dati a livello di azienda, sui cicli produttivi, sui piani di ristrutturazione, sulle condizioni di salute dei lavoratori e sui livelli di assenteismo per motivi di salute, sugli infortuni e sulle malattie professionali. L'accesso a tali dati dovrebbe essere organizzato in forma sistematica e su base permanente che assicuri un flusso tempestivo verso il Servizio su tutti gli aspetti più rilevanti per le finalità dallo stesso perseguite. Poiché inoltre, solo i Servizi di prevenzione e protezione nei luoghi di lavoro più grandi sono autosufficienti per tutti i tipi di attività delineati, la maggior parte di questi, per realizzare propriamente tutti i compiti, hanno bisogno del supporto di esperti esterni. Questi ultimi potrebbero essere utilizzati come supporto di tipo informativo, di ricerca e di formazione ma anche essere integrati per completare l'arco delle competenze del personale del Servizio. Le aree di competenza che più frequentemente sono necessarie sono diverse e ricoprono il campo dell'igiene della tossicologia, dell'analisi di sicurezza, della tecnologia di controllo, dell'ergonomia, etc. Fondamentale quindi è la scelta di tali supporti

secondo criteri che certificano l’adeguatezza delle capacità nonché l'efficienza e l'efficacia dei risultati. 36. Il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi? Il datore di lavoro (Articolo 34 del D.Lgs 81/08, ex art. 10 del D.Lgs 626/1994) può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nelle

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ipotesi previste nell’allegato dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi. 37. Nel caso il Datore di Lavoro voglia svolgere la mansione di RSPP in una società cooperativa che si occupa di movimentazione merci. In questo caso il limite di dipendenti cui riferirsi nell'all. 2 del TU è 30 come aziende artigiane e industriali oppure 200 come "altre aziende"? Effettivamente l'attività di movimentazione merci potrebbe essere assimilabile ad un'attività di "trasporto per terra, per acqua o per aria" di cui al n. 3 dell'art. 2195, c. 1, del codice civile (imprenditori soggetti all'obbligo di iscrizione al registro delle imprese) e, in quanto tale, espressamente distinta dall'attività industriale tout court (diretta alla produzione di beni o di servizi - art. 2195, c. 1, n. 1, citato), talché a ragione la stessa potrebbe essere distinta dalle attività industriali o artigianali ai sensi dell'art. 34 e allegato II, D.lgs. n. 81/2008. In qualsiasi caso dalla lettura integrale del certificato di iscrizione alla Camera di Commercio potrà risalirsi ad un corretto inquadramento dell'impresa in tal senso. 38. Può un "Datore di lavoro delegato" svolgere anche la funzione di RSPP diretto se ha le capacità/requisiti e rientrando nei casi previsti all'Allegato 2 del D.Lgs. 81/08? L'articolo 34 del D.lgs. n. 81/2008 consente, nei casi aziendali previsti dall'allegato II, D.lgs. medesimo, lo svolgimento diretto da parte del "datore di lavoro" anche dei compiti di r.s.p.p.. La fattispecie prospettata nel quesito risulta, invero, differente, trattandosi non già del datore di lavoro bensì di "datore di lavoro delegato" con la quale espressione si dovrebbe intendere, si ritiene, un manager delegato ai sensi dell'art. 16, D.lgs. n. 81/2008, per talune problematiche afferenti alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Non essendo sovrapponibili le due qualifiche soggettive (datore di lavoro e datore di lavoro "delegato") si ritiene, altresì, che l'ipotesi eccezionale prevista dall'art. 34 non sia ampliabile, per analogia, a favore di altre qualifiche, neanche se contigue. 39. In caso di svolgimento diretto dei compiti di Rspp, il datore di lavoro deve frequentare appositi corsi di formazione? Il datore di lavoro che intende svolgere tali compiti, deve frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottati il 21 dicembre 2011. 40. Quali sono i contenuti dei corsi di formazione per il datore di lavoro che intende svolgere direttamente i compiti di Rspp? I percorsi formativi sono articolati in moduli associati a tre differenti livelli di richio Basso – 16 ore

Medio – 32 ore Alto – 48 ore I moduli sono così definiti: MODULO 1 - NORMATIVO giuridico MODULO 2 – GESTIONALE gestione e organizzazione della sicurezza

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MODULO 3 – TECNICO individuazione e valutazione dei rischi MODULO 4 – RELAZIONALE formazione e consultazione dei lavoratori Salvo che nei casi di cui all’articolo 31, comma 6, del D.Lgs 81/08, nelle imprese o unità produttive fino a cinque lavoratori il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, anche in caso di affidamento dell’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione a persone interne all’azienda o all’unità produttiva o a servizi esterni così come previsto all’articolo 31 del medesimo decreto, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e previa frequenza degli specifici corsi di formazione previsti agli articoli 45 e 46 del D.Lgs 81/08. 41. Sono un datore di lavoro di un azienda con 16 lavoratori. Ho l’obbligo di convocare la riunione periodica. In cosa consiste? Nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indice almeno una volta all’anno una riunione (Articolo 35 del D.Lgs 81/08, ex art. 11 del D.Lgs 626/1994) cui partecipano:

a) il datore di lavoro o un suo rappresentante; b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi; c) il medico competente, ove nominato; d) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti: a) il documento di valutazione dei rischi; b) l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della

sorveglianza sanitaria; c) i criteri di scelta, le caratteristiche tecniche e l’efficacia dei dispositivi di

protezione individuale; d) i programmi di informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti e dei

lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute. Nel corso della riunione possono essere individuati:

a) codici di comportamento e buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di malattie professionali;

b) obiettivi di miglioramento della sicurezza complessiva sulla base delle linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro. La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori. Nelle ipotesi di cui al periodo precedente, nelle unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori è facoltà del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza chiedere la convocazione di un’apposita riunione. Della riunione deve essere redatto un verbale che è a disposizione dei partecipanti

per la sua consultazione. 42. Per aziende con numero di dipendenti minore di 15, il RSL non è tenuto a convocare la Riunione Periodica (d.lgs. 81-2008, art. 35, comma 4). Come deve allora comportarsi il RSPP, che necessita di questo tipo di riunioni per definire, tra l'altro, la programmazione delle varie attività per la sicurezza della ditta? L'art. 35, c. 4, D.lgs. n. 81/2008 riconosce in tal senso una facoltà al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, eletto ai sensi dell'art. 47, c. 3, D.lgs.

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citato. E', dunque, opportuno che quest'ultimo inoltri formalmente una richiesta scritta di indizione della riunione periodica, meglio se su modulo di comunicazione interna o mail con ricevuta di risposta. 43. Quali sono gli adempimenti per i Datori di Lavoro che intendono svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi? I Datori di Lavoro che intendono svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi, devono (art. 34): dare preventiva informazione al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza; - frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48

ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.

In sostanza questi adempimenti sono invariati rispetto a quanto previsto nel precedente Dlgs. 626/94. La novità introdotta dall’attuale normativa consiste nella variazione della durata dei corsi. Inoltre per la definizione dei contenuti e delle articolazioni dei corsi il nuovo TU rinvia alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, accordo che è intervenuto il 21 dicembre 2011. 44. Il datore di lavoro che intenda svolgere direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione deve comunicarlo all’organo di vigilanza? Da un raffronto tra l’art. 10 dell’abrogato d.lgs. 626/94 e l’attuale art. 34 (svolgimento diretto da parte del d.d.l. dei compiti del servizio di prevenzione e protezione) effettivamente si desume che non vi sia più l’obbligo di trasmettere all’ organo di vigilanza territorialmente competente alcuna comunicazione, nè l’attestazione della frequenza del corso di formazione nonché la relazione sull’andamento degli infortuni.

45. Sono previsti corsi di aggiornamento per i Datori di Lavoro? Certamente, infatti i Datori di Lavoro che intendono svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi (art. 34) devono frequentare corsi di aggiornamento quinquennale, così come individuati in sede di Accordo della conferenza Stato-Regioni. E’ importante ricordare che sono altresì sottoposti all’obbligo di aggiornamento coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’articolo 3 del DM 16 gennaio 1997 e coloro che erano stati esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’articolo 95 del Dlgs 626/94. 46. Se le aziende di cui all'articolo 31, comma 6, non hanno tra il personale soggetti in possesso dei previsti requisiti professionali, possono ricorrere a consulenti esterni per la copertura del ruolo di responsabile del servizio prevenzione e protezione (Rspp)? Il comma 7 dell'articolo 31 è abbastanza esplicito nel prevedere che nell'ipotesi di attività elencate nel comma 6, «il responsabile del servizio di prevenzione e protezione deve essere interno». Pertanto, non essendo ammesse deroghe, l'azienda dovrà assumere appositamente un soggetto in possesso dei requisiti di cui all'articolo 32 per lo svolgimento dei compiti di responsabile del servizio prevenzione e protezione, fermo restando che tale mansione non dovrà essere necessariamente esclusiva.

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47. In riferimento all'articolo 34 del nuovo Testo unico, il Datore di Lavoro non deve inviare la dichiarazione indicata nell'articolo 10, comma 2 della

626/94. Deve essere semplicemente custodita in azienda? L'articolo 29, comma 5, nel recepire il contenuto dell'articolo 10 del decreto legislativo 626/94, in attuazione del principio della semplificazione delle procedure, ha riformulato le deroghe in materia di valutazione dei rischi da parte del Datore di Lavoro che occupi fino a 10 dipendenti. È, infatti, ora previsto che tali datori effettuino la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate individuate con decreto interministeriale del 27 novembre 2012 ed entrate in vigore dal 1° giugno 2013. 48. Si fa l’ipotesi di una Srl composta da due soci e da un amministratore esterno senza compenso. Il responsabile del servizio prevenzione e protezione è uno dei due soci, che al momento non è alle dipendenze dell'azienda. La Srl in questione è fuori norma? Ipotizzando che non svolga alcuna delle attività previste dall'articolo 31, comma 6 il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere anche non interno all'azienda. Per interno all'azienda deve ritenersi che tra azienda e responsabile del servizio prevenzione e protezione deve esistere un rapporto tale da garantire la continuità della prestazione e della presenza che, in linea di massima, configura un rapporto di lavoro subordinato. 49. Quando la legge stabilisce l'obbligatorietà del Rspp interno, è possibile nominare un Rspp che è legato alla società da un contratto a progetto e che presta la propria opera anche per altre imprese? L'articolo 31, comma 7, del decreto legislativo 81/08 stabilisce che nelle ipotesi di attività indicate nel comma 6, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) deve essere interno. Tale scelta fatta dal legislatore, in considerazione delle particolari attività di cui al comma 6, si ritiene sia avvenuta per garantire la costante presenza del Rspp sul posto di lavoro Peraltro, gli stessi compiti individuati dall'articolo 33, correlato con il citato comma 6, non sembrano lasciare discrezionalità circa la scelta del rapporto di lavoro, atteso che il contratto a progetto, ai sensi dell'art. 61 e seguenti del decreto legislativo 276/03 si caratterizza per la determinatezza o la determinabilità della prestazione. Tali imprescindibili condizioni sembra che contrastino con il principio introdotto dal comma 7 dell'articolo 31 del decreto legislativo 81/08 che, prevedendo che il Rspp sia interno all'azienda, ne presuppone l'inserimento nell'organizzazione anche ai fini di una continua presenza. 50. Quali sono le modalità di organizzazione e di gestione dei corsi per responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e addetto al servizio di prevenzione e protezione (ASPP)? Quali sono i soggetti abilitati ad erogare la formazione, i requisiti dei docenti, e le modalità di effettuazione della validazione e certificazione della formazione?

Il d.lgs. n. 81/2008 (c.d. “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro), nel valorizzare la formazione dei lavoratori come uno dei principali strumenti di prevenzione e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, prevede varie tipologie di corsi di formazione, dettando al proposito una disciplina differenziata. Per quanto riguarda, in particolare, i corsi di formazione per responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e di addetto al servizio di prevenzione e protezione (ASPP), i soggetti abilitati ad effettuarli sono quelli di cui al citato art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 81/2008, il quale, a sua volta, richiama quanto previsto al punto 4

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dell’Accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, e successive modificazioni. Tale accordo oltre ad individuare, al punto 4.1, gli ulteriori soggetti formatori rispetto a quelli già indicati dal citato art. 32, comma 4, d.lgs. n. 81/2008, - come pure i requisiti del personale docente impiegato nell’attività formativa - al punto 4.2, stabilisce che altri soggetti, oltre a quelli espressamente indicati nel paragrafo precedente, possono esercitare attività di formazione, ricorrendo i seguenti requisiti: “a) essere accreditato nella Regione o Provincia autonoma in cui intendono operare, in conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia autonoma, ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 25 maggio 2001 n. 166; b) dimostrare di possedere esperienza almeno biennale, maturata in ambito di prevenzione e sicurezza sul lavoro; c) dimostrare di disporre di docenti con esperienza almeno biennale in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro”. Sembra opportuno notare che, in tali casi, e, in generale, in tutti i casi in cui la normativa si limita a stabilire i requisiti minimi della formazione, senza indicare particolari soggetti abilitati allo svolgimento dei relativi corsi, gli stessi possono essere svolti da qualsiasi centro di formazione con esperienza nel settore della sicurezza in conformità alla normativa che li ha istituiti e alla eventuale disciplina dettata in materia dalle Regioni e dalle Province autonome. Per quanto riguarda, infine, la certificazione di avvenuta formazione dei RSPP e degli ASPP, la materia è disciplinata al punto 2.5 del predetto Accordo sancito in data 26 gennaio 2006, il quale prevede che gli attestati di frequenza, con verifica dell’apprendimento, vengano rilasciati dalle Regioni e Province autonome competenti per territorio, sulla base dei verbali, redatti in sede di accertamento dell’apprendimento dalle Commissioni di docenti interni, nei quali è formulato il giudizio della medesima Commissione in termini di valutazione globale. Da tale previsione sono esclusi gli attestati di frequenza rilasciati dai soggetti individuati dall’art. 32 del d.lgs. n. 81/2008 e di quelli di cui al punto 4.1 dell’Accordo stesso, che possono certificare autonomamente la avvenuta formazione.

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Capitolo 3 I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza

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1. Lavoro in un’azienda con 8 dipendenti. Cosa prevede la recente normativa di sicurezza per l’elezione del rappresentante dei lavoratori?

Ai sensi dell'art. 47 del D.Lgs 81/08 in tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante per la sicurezza. Nelle aziende, o unità produttive, che occupano sino a 15 lavoratori, il rappresentante per la sicurezza:

è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno;

può essere individuato per più aziende nell'ambito territoriale ovvero del comparto produttivo12;

può essere designato o eletto dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze sindacali, così come definite dalla contrattazione collettiva di riferimento.

2. Quali sono le procedure di elezione del rls in un’azienda con più di 15 lavoratori? Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori, il rappresentante per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze

sindacali in azienda; in assenza di tali rappresentanze, è eletto dai lavoratori dell'azienda al loro interno. Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante per la sicurezza, nonchè il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l'espletamento delle funzioni, sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva. 3. Qual è il numero minimo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza? In ogni caso il numero minimo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza è il seguente: a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 dipendenti; b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 dipendenti; c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende ovvero unità produttive. Qualora non si proceda alle elezioni, le funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono esercitate dai rappresentanti territoriali o di sito produttivo, salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. 4. È possibile che chi ricopre l'incarico di preposto (nel caso in esame un ruolo della carriera direttiva) all'interno dell'azienda possa contemporaneamente rivestire il ruolo di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) ? Diversamente da quanto è previsto per il Rspp dall’articolo 50, comma 7 del Dlgs 81/2008 non sussistono ragioni di incompatibilità funzionale; è dunque possibile e ragionevole che il Rappresentante dei lavoratori della sicurezza (Rls) possa essere individuato tra i “preposti”, secondo i criteri e le modalità stabilite dall’articolo 47 del Dlgs 81/2008 (si veda anche l’ Accordo interconfederale 22 giugno 1995 in tema di Rls, siglato tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil). 5. Sono un Rls di una piccola azienda. Quali sono i miei principali compiti?

12 Con l'accordo provinciale del 18 luglio 1998, le Organizzazioni territoriali di categoria (ACER, INTERSIND e FENEAL, FILCA, FILLEA) hanno istituito una nuova figura: il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di ambito territoriale (R.L.S.T.). L'accordo _ la cui vigenza è sperimentalmente fissata in quattro anni, con decorrenza dal 1º gennaio 1998 al 31 dicembre 2001 _ prevede che il Rappresentante territoriale svolga la propria attività nell'ambito di operatività delle imprese edili ed affini di Roma e provincia con cantieri operanti nelle quali non sia stato nominato il rappresentante per la sicurezza. Il R.L.S.T. deve comunicare preventivamente all'impresa interessata i sopralluoghi che intende effettuare, compatibilmente con le esigenze produttive, negli ambienti di lavoro. Nel corso di dette visite il Rappresentante territoriale, affiancato dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione, verifica l'efficacia delle misure adottate nel cantiere in materia di prevenzione dei rischi e, al termine delle stesse, redige un verbale che sarà poi conservato presso la sede del Comitato tecnico paritetico della provincia di Roma. Nel caso in cui sorgano controversie con le imprese è lo stesso Comitato tecnico _ in qualità di organo di prima istanza _ che esprime un parere entro 3 giorni (10 giorni nei casi particolarmente complessi).

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Il rappresentante per la sicurezza: a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni; b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell'azienda ovvero unità produttiva; c) è consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all'attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori; d) è consultato in merito all'organizzazione della formazione degli incaricati all'attività di pronto soccorso, lotta antincendio ed evacuazione dei lavoratori; e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente la valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti le sostanze e i preparati pericolosi, le macchine, gli impianti, l'organizzazione e gli ambienti di lavoro, gli infortuni e le malattie professionali; f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza; g) riceve una formazione adeguata; h) promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori; i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti; l) partecipa alla riunione periodica in materia di salute e sicurezza sul lavoro; m) fa proposte in merito all'attività di prevenzione; n) avverte il responsabile dell'azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività; o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonee a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è inoltre agevolato, nello svolgimento delle sue funzioni dalla circostanza che il decreto legislativo n. 81/2008 impone al datore di lavoro, dirigente e preposto di permettere ai lavoratori di verificare mediante il rappresentante per la sicurezza l'applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute e di consultare il rappresentante dei lavoratori sulla:

valutazione dei rischi, individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell'azienda ovvero nell'unità produttiva;

designazione dei lavoratori addetti al servizio di prevenzione, all'attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso, all'evacuazione dei lavoratori e sulla formazione di tali lavoratori.

6. Può una stessa persona, dipendente di una specifica ditta, svolgere il ruolo di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Dlgs 81/08) per tre diverse unità produttive appartenenti a un unico gruppo? L'articolo 47, comma 2 del Dlgs 81/2008 afferma il diritto dei lavoratori di eleggere o designare il responsabile della sicurezza dei lavoratori in tutte le aziende o unità produttive. Va chiarito che l'elezione o designazione del Rls non è un obbligo dell'azienda ma un diritto dei lavoratori. Pertanto, nel caso citato dal lettore, i lavoratori possono eleggere o designare il/i Rls secondo le modalità previste dal Ccnl dove sono anche definiti i tempi di lavoro retribuito da dedicare all'attività e le modalità di espletamento dell'incarico. Nel caso in cui i lavoratori di un'azienda decidessero di non avvalersi di questo diritto, il legislatore ha previsto che le funzioni di Rls siano espletate dai Rlst (Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali), articolo 47, comma 8 del Dlgs 81/2008.Quindi, nel caso citato, o i lavoratori eleggono/designano i Rls nelle singole unità produttive oppure si avvalgono dei Rlst nei modi e nei termini previsti dall'articolo 48 del citato decreto.

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7. Sono un rappresentante per la sicurezza. Come si configura il mio diritto di

accesso ai luoghi di lavoro? Quali poteri ho nel caso specifico? Il diritto di accedere ai luoghi di lavoro da parte del RLS non fa parte di disposizioni «nuove» che il decreto 81/08 ha introdotto in materia di salute e sicurezza. Tale diritto, anche se non in forma esplicita, era già contenuto nell’art. 9, dello Statuto dei lavoratori, ove si precisa che «I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali». La determinazione delle modalità per l’esercizio del diritto di accesso ai luoghi di lavoro è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva nazionale. Il diritto di accesso deve essere esercitato «nel rispetto delle esigenze produttive con le limitazioni previste dalla legge» secondo la maggior parte degli accordi collettivi (nel testo dell’accordo per il commercio vengono peraltro evidenziate anche le «esigenze organizzative»), richiamando anche il segreto industriale al quale il RLS è tenuto.

8. Deve essere sempre rispettato i diritto del datore di lavoro a vedere preservato il segreto industriale? Come si concilia con la facoltà di accesso ai locali? L’obbligo a carico del RLS del rispetto del segreto industriale è espressamente sancito dall’art. 50, comma 6, del D.Lgs 81/08. In esso si legge che: «Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è tenuto al rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei rischi e nel documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 26, comma 3, nonché al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle funzioni». Il «rispetto delle esigenze produttive» peraltro può essere fatto valere dal datore di lavoro solo in presenza di «reali» esigenze, delle quali egli possa dimostrare l’esistenza, eliminando così il rischio di un uso mirato ad ostacolare o rendere difficile l’attività del rappresentante. I tempi e i termini relativi alla segnalazione preventiva delle visite del RLS in azienda sono previsti dalla disciplina collettiva. 9. Esistono accordi interconfederali che disciplinano le modalità di accesso del Rls nei luoghi di lavoro? Negli accordi Confindustria e pubblica amministrazione il riferimento è generico («il RLS segnala preventivamente al datore di lavoro le visite che intende effettuare agli ambienti di lavoro»). Nell’accordo del commercio è prevista una diversa regolamentazione per il RLS eletto direttamente dai lavoratori all’interno dell’azienda e per il rappresentante territoriale per la sicurezza. A carico del primo è disposto l’obbligo di segnalare al datore di lavoro le visite che intende effettuare con preavviso di «almeno 2 giorni lavorativi»; per il secondo con preavviso di «almeno 7 giorni». Più in generale è da dire che l’utilizzo dei permessi da parte del RLS deve comunque essere comunicato alla direzione aziendale con un periodo di preavviso che, laddove non espressamente indicato dalla contrattazione collettiva, è da ritenersi stabilito in 24 ore, in analogia a quanto previsto dall’art. 23, ultimo comma, dello Statuto dei lavoratori, per i permessi sindacali retribuiti. In genere gli accordi prevedono che le visite si possano «anche svolgere congiuntamente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione o ad un addetto da questi incaricato» (vedi ad esempio l’accordo Confindustria). Diversa, al riguardo, è l’impostazione dell’accordo per il settore artigiano. In esso si prevede, per le imprese che occupano fino a 15 dipendenti, che l’accesso ai luoghi di lavoro da parte del rappresentante territoriale per la sicurezza (RLTS) avvenga «alla presenza dell’Associazione cui l’impresa è iscritta o alla quale conferisce mandato»,

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previa comunicazione scritta alla componente datoriale dell’Organismo paritetico territoriale. L’eventuale conferma della disponibilità alla visita del r.l.t.s nei luoghi di lavoro dell’impresa dovrà pervenire dall’associazione a cui l’impresa è iscritta o ha dato mandato «entro 7 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione di cui sopra». L’accesso all’impresa da parte del RLTS dovrà comunque effettuarsi entro i successivi 7 giorni. I termini di cui sopra sono ridotti a «3 giorni», per «emergenze che attengano al pregiudizio della sicurezza dei lavoratori». Il diritto di accesso ai luoghi di lavoro è garantito sul piano penale. 10. Come si configura il diritto del Rls ad essere consultato? Quali sono i documenti che devono essere fatti conoscere al Rls? Il rappresentante per la sicurezza deve essere consultato dal datore di lavoro preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, alla programmazione, alla realizzazione ed alla verifica della prevenzione nell'azienda ovvero unità produttiva. Deve essere consultato, altresì, sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all'attività di prevenzione

incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori. In tale ottica, peraltro, lo stesso rappresentante partecipa alla riunione periodica in materia di sicurezza e salute sul lavoro, propone iniziative in merito all'attività di prevenzione e, infine, avverte il responsabile dell'azienda dei rischi individuati nei luoghi di lavoro. 11. Esiste una formazione particolare che deve avere il Rls? Il rappresentante per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza, concernente la normativa in materia di sicurezza e salute e i rischi specifici esistenti nel proprio ambito di rappresentanza, tale da assicurargli adeguate nozioni sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. Il rappresentante per la sicurezza non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali. I rappresentanti per la sicurezza sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni (art. 50, D.Lgs. n. 81/2008). Un ultimo cenno, infine, al ruolo del rappresentante per la sicurezza ed al suo coinvolgimento durante le ispezioni delle autorità competenti. Al riguardo il Ministero del lavoro ha evidenziato la necessità di un maggiore coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori da parte degli organi e dei servizi di ispezione e controllo "... sia prima che durante il sopralluogo ispettivo" (Ministero del lavoro _ direttiva 23 febbraio 2000). Un coinvolgimento, più in particolare, finalizzato all'acquisizione di dati e notizie più precise e dettagliate circa le effettive situazioni di rischio presenti nell'azienda. Coerentemente, appare evidente che il personale ispettivo e di controllo non solo attingerà notizie ed informazioni utili direttamente dal rappresentante per la sicurezza, ma dovrà comunicare a quest'ultimo le eventuali irregolarità riscontrate tramite consegna della copia del verbale di ispezione "... opportunamente depurato degli aspetti strettamente penali". 12. Sono un Rls appena designato in azienda. Mi dicono che tra i miei poteri vi è quello di poter formulare al datore di lavoro proposte e osservazioni. Come si configura esattamente tale potere? Uno degli aspetti più significativi del D.Lgs 81/08 risiede nel radicale mutamento culturale da una logica di semplice riparazione del danno a quella della prevenzione, rafforzando e privilegiando così quel potere d’iniziativa proveniente anche dal «basso» voluto espressamente dal legislatore. In questa cornice si collocano le attribuzioni del RLS, previste dall’art. 50, 1° comma, lettere h), i) ed m). Tali compiti, tra i più delicati fra quelli di cui il RLS è titolare, richiedono un ruolo di forte stimolo e di piena interattività nel luogo di

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lavoro soprattutto nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, dal datore di lavoro agli stessi lavoratori. Una corretta azione propositiva presuppone peraltro l’acquisizione di conoscenze sui modi di produzione e sull’intera organizzazione aziendale. Da qui l’importanza di una adeguata preparazione, anche tecnica, del RLS. Il potere di formulare proposte da parte del RLS non rappresenta una totale novità nel panorama normativo italiano. Già la seconda parte dell’art. 9 dello Statuto dei lavoratori riconosce ai lavoratori, mediante loro rappresentanze, un potere di iniziativa circa la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione delle misure di sicurezza. 13. Quando si deve ricorrere all’elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale? Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (Articolo 48 del decreto e articolo 1, comma 2, lett. g) della legge 123/2007) esercita le competenze del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza con riferimento a tutte le aziende o unità produttive del territorio o del comparto di competenza nelle quali non sia stato eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. 14. Quali sono le procedure di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale? Le modalità di elezione o designazione del rappresentante sono quelle individuate dagli accordi collettivi nazionali, interconfederali o di categoria, stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. 15. Quali diritti e quali compiti ha il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale? Che tipologia di formazione deve avere? Per l’esercizio delle proprie attribuzioni, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale accede ai luoghi di lavoro nel rispetto delle modalità e del termine di preavviso individuati. Il termine di preavviso non opera in caso di infortunio grave. In tale ultima ipotesi l’accesso avviene previa segnalazione all’organismo paritetico. Ove l’azienda impedisca l’accesso, nel rispetto delle modalità di cui al presente articolo, al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, questi lo comunica all’organismo paritetico o, in sua mancanza, all’organo di vigilanza territorialmente competente. L’organismo paritetico comunica alle aziende e ai lavoratori interessati il nominativo del rappresentante della sicurezza territoriale. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva secondo un percorso formativo di almeno 64 ore iniziali, da effettuarsi entro 3 mesi dalla data di elezione o designazione, e 8 ore di aggiornamento annuale. L’esercizio delle funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale è incompatibile con l’esercizio di altre funzioni

sindacali operative. 16. Vorrei avere chiarimenti in merito alla nomina, formazione e aggiornamento dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) nel caso di aziende con meno di 15 lavoratori. La durata, i contenuti specifici e le modalità della formazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei requisiti minimi individuati da comma 11 dell’ art. 37.

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La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione, con verifica di apprendimento. La contratatzione collettiva andrà a disciplinare inoltre le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico. 17. In quali casi si deve designare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo (Articolo 49 del decreto e articolo 1, comma 2, lett. g) della legge 123/2007) sono individuati nei seguenti specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri:

a) i porti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere b), c) e d) della legge 28 gennaio 1994, n. 84, sedi di autorità portuale nonché quelli sede di autorità marittima da individuare con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e dei trasporti da emanare entro dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto;

b) centri intermodali di trasporto di cui alla direttiva del Ministro dei trasporti del 18 ottobre 2006, n. 3858;

c) impianti siderurgici; d) cantieri con almeno 30.000 uomini-giorno, intesa quale entità presunta

dei cantieri, rappresentata dalla somma delle giornate lavorative prestate dai lavoratori, anche autonomi, previste per la realizzazione di tutte le opere;

e) contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti nell’area superiore a 500. Nei contesti di cui al punto precedente il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo è individuato, su loro iniziativa, tra i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza delle aziende operanti nel sito produttivo. 18. Opero in un’azienda industriale. Esiste una specifica disciplina sui

rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali? Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante per la sicurezza è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori i rappresentanti vengono designati di norma nell'ambito delle R.S.U. (l'elezione diretta è prevista solo in assenza di tali organismi). I rappresentanti per la sicurezza restano in carica 3 anni. Il numero dei rappresentanti ed i permessi loro attribuiti per l'espletamento dei compiti istituzionali risultano dal prospetto che segue:

N. dipendenti (*) dell'unità

produttiva N. rappresentanti per la

sicurezza Ore annue di permesso

retribuito

per

rappresentante

in

complesso

fino a 5 1 12 12

da 6 a 15 1 30 30

da 16 a 200 1 40 40

da 201 a 300 3 (**) 40 120

da 301 a 1.000 3 40 120

oltre 1.000 6 40 240

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(*) L'accordo Confapi specifica che, ai fini dell'applicazione delle classi dimensionali, sono conteggiati tutti i dipendenti a libro matricola che prestano la loro attività nelle sedi aziendali; i lavoratori a tempo parziale vengono conteggiati "pro_quota". (**) Di cui _ secondo l'accordo Confindustria _ 1 eletto tra i lavoratori e 2 individuati tra i componenti della R.S.U. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione specifica impartita secondo un programma base di 32 ore che deve comprendere: - conoscenze generali sugli obblighi e diritti previsti dalla normativa in materia di

igiene e sicurezza del lavoro; - conoscenze generali sui rischi dell'attività e sulle relative misure di prevenzione e

protezione; - metodologie sulla valutazione del rischio; - metodologie minime di comunicazione. Alla contrattazione nazionale di categoria è demandata l'individuazione di ulteriori contenuti specifici della formazione (anche per quanto riguarda la metodologia didattica).

Per lo svolgimento del programma di formazione sono concessi permessi retribuiti aggiuntivi rispetto a quelli risultanti dalla tabella che precede. E' stato inoltre previsto che la riunione annuale, di cui all'art. 35 del D.Lgs. n. 81 del 2008, deve essere convocata con un preavviso non inferiore a 5 giorni lavorativi e su un ordine del giorno scritto. 19. Opero in un’azienda del terziario con 7 dipendenti. Esiste una specifica disciplina sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali? Nelle aziende che occupano fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. Per l'espletamento dei propri compiti istituzionali, al rappresentante per la sicurezza sono riconosciuti permessi pari a: a) 12 ore annue nelle aziende fino a 5 dipendenti; b) 16 ore annue nelle aziende da 6 a 10 dipendenti; c) 24 ore annue nelle aziende da 11 a 15 dipendenti. Per le aziende stagionali il monte ore suindicato viene riproporzionato in relazione alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di: 4 ore annue nel caso previsto sub a); 5 ore annue nel caso sub b) e 7 ore annue nel caso sub c). In considerazione delle peculiarità del settore e in attuazione del criterio sussidiario contenuto nell'art. 18 del D.Lgs. n. 626 (vedi ora artt. 47 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008) è stato previsto anche un modello di rappresentanza territoriale. In questo caso i rappresentanti territoriali sono designati dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori. 20. Opero in un’azienda del terziario con oltre 15 dipendenti. Esiste una specifica disciplina sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali? Nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti i rappresentanti vengono designati di norma nell'ambito delle R.S.A. (l'elezione diretta è prevista solo in assenza di tali organismi). Il numero di rappresentanti per la sicurezza è così individuato: _ 1 rappresentante nelle unità produttive fino a 200 dipendenti; _ 3 rappresentanti nelle unità produttive da 201 a 1.000 dipendenti; _ 6 rappresentanti nelle unità produttive oltre 1.000 dipendenti. Per l'espletamento dei loro compiti istituzionali, i rappresentanti per la sicurezza hanno diritto, individualmente, a 30 ore annue nelle unità produttive da 16 a 30 dipendenti e a 40 ore annue nelle unità produttive oltre 30 dipendenti.

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Per le aziende stagionali il monte ore suindicato viene riproporzionato in relazione alla durata del periodo di apertura e comunque con un minimo di 9 ore annue nelle unità produttive da 16 a 30 dipendenti e di 12 ore annue nelle unità produttive oltre 30 dipendenti. I rappresentanti per la sicurezza durano in carica 3 anni. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione specifica impartita secondo un programma base di 32 ore analogo a quello previsto per il comparto industriale. Per lo svolgimento del programma di formazione sono concessi permessi retribuiti aggiuntivi rispetto a quelli indicati sub A) e B). 21. Sono Rls di un’impresa artigiana. Esiste una specifica disciplina sui rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dettata da accordi interconfederali? Per le aziende aderenti alle Confederazioni dell'artigianato, l'ipotesi di accordo del 22 novembre 1995 prevede _ in attuazione del criterio sussidiario contenuto nell'art. 18 del D.Lgs. n. 626 del 1994 (vedi ora artt. 47 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008) _ l'adozione del modello di rappresentanza territoriale. La designazione dei rappresentanti territoriali viene formalizzata dalle Organizzazioni sindacali dei lavoratori (Organizzazioni confederali unitamente alle rispettive Federazioni di categoria). Tali rappresentanti possono essere scelti anche tra i dipendenti delle imprese interessate (con esclusione comunque delle aziende con meno di 5 dipendenti). I dipendenti eventualmente designati avranno diritto ad un periodo di aspettativa per tutta la durata del mandato e l'azienda potrà assumere a tempo determinato un altro lavoratore in sostituzione del lavoratore distaccato. Fermo restando l'impegno delle parti alla realizzazione in via generalizzata del modello territoriale, l'accordo prevede comunque, nelle condizioni e secondo le modalità che verranno definite a livello di categoria, l'eventuale individuazione di un rappresentante per la sicurezza nelle imprese fino a 15 dipendenti, nonchè _ in attuazione dell'obbligo di legge _ l'elezione di un rappresentante per la sicurezza nelle imprese con più di 15 dipendenti nell'ambito delle rappresentanze sindacali aziendali ovvero in mancanza fra i dipendenti dell'impresa. Richiamando la specifica normativa in vigore per il comparto, l'accordo precisa che gli apprendisti ed i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro non concorrono alla determinazione del limite dei 15 dipendenti. I rappresentanti hanno diritto a permessi retribuiti per 40 ore all'anno, da utilizzare con un preavviso di almeno 48 ore, salvo i casi di forza maggiore e tenendo conto delle esigenze tecnico_produttivo_organizzative dell'impresa, nonchè a permessi retribuiti aggiuntivi per complessive 32 ore destinati alla formazione secondo un programma base analogo a quello sopra esaminato per il comparto industriale. Per il finanziamento del meccanismo di rappresentanza territoriale le imprese sono tenute all'accantonamento in un apposito Fondo regionale di un importo pari a € 5 (L. 10.000) annue per dipendente.

22. E vero che la nomina dei Rls deve essere comunicata? In caso di risposta affermativa, a quale ente e con quale frequenza? L’art. 13, lettera f) del decreto legislativo n.106 del 5 agosto 2009 ha modificato la lettera aa) dell’art.18 del Decreto legislativo n. 81/2008 in materia di obblighi del datore di lavoro e del dirigente. In base a tale modifica i suddetti soggetti devono comunicare in via telematica all’INAIL (e all’IPSEMA per quanto riguarda le categorie tutelate dallo stesso Ente) in caso di nuova nomina o designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima applicazione l’obbligo

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di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già eletti o designati”. Rimane invariata la previsione di cui all’art.47 che stabilisce i criteri e le modalità di elezione e designazione dei suddetti Rappresentanti nelle aziende e/o nelle unità produttive. A differenza di quanto previsto nella formulazione della norma in oggetto contenuta nel decreto legislativo n. 81/2008, la comunicazione in argomento non va più effettuata con cadenza annuale, ma solo in caso di nuova nomina o designazione. In fase di prima applicazione del Decreto legislativo n. 106/2009, l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già eletti o designati”.

Pertanto: a) coloro i quali hanno ottemperato all’obbligo - secondo le istruzioni emanate

dall’Istituto in attuazione del Decreto legislativo n.81/2008 - comunicando il nominativo (o i nominativi se piu’ di uno) con riferimento alla situazione al 31 dicembre 2008 non devono effettuare alcuna comunicazione, se non nel caso in cui siano intervenute variazioni di nomine o designazioni nel periodo dal 1° gennaio 2009 alla data della presente circolare.

b) coloro i quali non hanno effettuato alcuna comunicazione secondo le istruzioni

emanate dall’Istituto con la richiamata circolare n. 11/2009 devono inviare la segnalazione per la prima volta seguendo le istruzioni operative come di seguito specificato.

Per coloro i quali non versano nelle enunciate fattispecie, l’obbligo di comunicazione scatta in occasione di prima elezione o designazione del RLS. Successive comunicazioni dovranno essere effettuate solo nel caso in cui dovesse essere nominato o designato RLS differente da quello segnalato. In difetto si ritiene immutata la situazione già comunicata. Si ricorda che rientrano nell’obbligo di comunicazione i datori di lavoro ovvero i dirigenti - se tale compito rientra nelle competenze attribuite loro, nell’ambito dell’organizzazione, dal datore di lavoro - di qualsiasi settore privato e pubblico (art. 3, comma 1). Sono escluse da tale obbligo le Amministrazioni, gli Istituti e le Organizzazioni così come previsto dall’art. 3, commi 2 e 3bis, al cui riguardo si esprime riserva di dare indicazioni in considerazione del rinvio alla emanazione di Decreti attuativi, contenuto nelle disposizioni succitate. Appare inoltre utile rimarcare come le elezioni o le designazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza non costituiscono un obbligo per il datore di lavoro ma una facoltà dei lavoratori, che potrebbe non essere esercitata dai medesimi. Infatti, il datore di lavoro non ha alcun titolo decisionale al riguardo e non deve ingerire in alcuna forma o modo per non violare le libertà delle organizzazioni sindacali previste dalla legge n. 300/70.

23. La comunicazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza deve essere effettuata per ogni singola azienda o può essere effettuata cumulativamente in caso di più aziende? La comunicazione deve essere effettuata per la singola azienda, ovvero per ciascuna unità produttiva in cui si articola l’azienda stessa, nella quale operano i Rappresentanti. 24. Quali sono le sanzioni in caso di mancata comunicazione del nominativo del Rls?

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L’art. 55 del Decreto legislativo n. 81/2008, cosi’ come modificato dall’art. 32 del Decreto legislativo n. 106/2009: “Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente” prevede, in caso di violazione dell’art. 18 comma 1, lettera aa) del Decreto legislativo n. 81/2008, nel testo modificato dall’art. 13 lettera f) dal Decreto legislativo n. 106/2009, una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50,00 a 300,00. 25. Devo provvedere alla comunicazione all'Inail dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in conformità di quanto previsto dall'articolo 47 del Dlgs 81/2008. Vorrei sapere che cosa si intende per «unità produttiva». La nostra società esercita l'attività di pulizie per conto di committenti pubblici e privati e, pertanto, opera presso le strutture dei committenti. Tali strutture sono da ritenersi ciascuna «unità produttiva» oppure no?

La definizione di «unità produttiva» è contenuta all’articolo 2, comma 1, lettera t) del Dlgs 81/2008 e indica lo «stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale». Peraltro va precisato che l’«unità produttiva» in relazione alla quale deve essere adempiuto, da parte del datore di lavoro, l’obbligo della comunicazione annuale all'Inail dei nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (articolo 18, comma 1, lettera aa) del Dlgs 81/2008) è quella relativa alla propria organizzazione imprenditoriale (azienda), non quelle di terzi datori di lavoro committenti, presso le quali si opera in regime di «appalto interno» ex articolo 26 del Dlgs 81/2008. Ne deriva che, nel caso prospettato, l’obbligo di comunicazione non sussiste.

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Capitolo 4 Il medico competente e il medico autorizzato

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Sezione I Il medico competente

1. Sono un datore di lavoro di una piccola azienda che necessita di sorveglianza sanitaria. Devo quindi nominare il medico competente. A quale soggetto posso rivolgermi? A norma dell’art. 39, comma 2, del D.Lgs 81/08, il medico competente, che deve essere nominato dal datore di lavoro, svolge la propria opera in qualità di: a) dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, ivi comprese quelle costituite su iniziativa delle organizzazioni datoriali, convenzionata con l'imprenditore; b) libero professionista; c) dipendente del datore di lavoro. Il datore di lavoro ha quindi piena libertà di scelta del proprio collaboratore, ricordando però che se decide di rivolgersi ad un dipendente da una struttura pubblica, quest'ultimo non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, l'attività di medico competente qualora esplichi attività di vigilanza (D.Lgs. n. 81/2008, art. 39, comma 3).

2. Chi è obbligato alla nomina del medico competente? Una società di servizi con 5 dipendenti è obbligata a fare le visite mediche?

Non si vede perché il datore di lavoro in questione non dovrebbe procedere alla nomina del medico competente, sottraendosi, in tal senso, all'obbligo su di esso gravante ai sensi dell'art. 18, c. 1, lett. a, D.lgs. n. 81/2008, sanzionato penalmente, in caso di omissione, con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da da Euro 3.000,00 ad Euro 18.000,00 (art. 55, c. 4, lettera F, D.lgs. citato). Il medico, a propria volta, dovrà esplicare la sorveglianza sanitaria prevista dalla legge all'art. 41 del D.lgs. medesimo (a) visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica....; c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione specifica; e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente). E', peraltro, evidente come nel caso in questione più che di nomina si parlerà di un contratto all'uopo intercorso con professionista all'uopo individuato ed in possesso delle qualifiche previste dall'art. 38, D.lgs. n. 81/2008.

3. L'art 18 del D.lgs 81/08 indica tra gli obblighi del datore di lavoro quello di nominare il medico competente e la designazione del responsabile del servizio. Dal punto di vista di adempimenti (incarico scritto, verbale di nomina ecc) che differenza c'è?

Trattandosi di un obbligo penalmente sanzionato in caso di inadempimento (arresto da tre a sei mesi o ammenda da 3.000 a 10.000 euro - art. 55, c. 4, lett. F, D.lgs. n. 81/2008) si ritiene che un dettagliato incarico scritto e controfirmato (per

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accettazione) dall'interessato sia una buona prassi operativa, valida ad evitare l'applicabilità della sanzione medesima. 4. In qualità di medico competente posso avvalermi della collaborazione di medici specialisti? Il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri (D.Lgs. n. 81/2008, art. 39, comma 5). Viene così risolto il problema riguardante la sorveglianza sanitaria delle piccole e medie unità produttive; infatti per piccole attività artigianali o industriali è possibile per il medico competente gestire tutti gli adempimenti che gli sono affidati dal D.Lgs. n. 81/2008, mentre nelle grandi aziende è di fatto indispensabile la presenza di un servizio di medicina del lavoro che garantisca l'organizzazione anche per l'attività di un medico che non sia dipendente. Anzi, lo stesso articolo 39, al comma 6, precisa che nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi di imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento. Nelle situazioni intermedie, per le quali sarebbe troppo oneroso istituire un vero servizio medico, è bene che venga fornito un minimo supporto logistico e organizzativo e che, nella lettera d'incarico al professionista, vengano esplicitati quali mezzi e condizioni gli saranno assicurati e quali compiti, oltre quelli tipicamente professionali, dovrà esplicare. In ogni caso, per alcuni adempimenti il datore di lavoro deve mettere a disposizione la propria struttura organizzativa al medico, quale che sia il tipo di rapporto in essere; si ricordano in particolare alcuni obblighi che possono configurare la necessità di fornire un supporto:

- il datore di lavoro fornisce al medico competente informazioni in merito a (D.Lgs. n. 81/2008, art. 18, comma 2):

- la natura dei rischi; - l'organizzazione del lavoro, la programmazione e l'attuazione delle

misure preventive e protettive; - la descrizione degli impianti e dei processi produttivi; - i dati relativi ai provvedimenti presi per evitare che le misure tecniche

adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno

- i dati relativi alle malattie professionali; - i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza;

- il datore di lavoro concorda con il medico competente il luogo di custodia delle cartelle sanitarie d di rischio;

- il datore di lavoro, tenendo conto della natura dell'attività e delle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, sentito il medico competente ove nominato, prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati (D.Lgs. n. 81/2008, art. 45, comma 1).

5. E’ previsto che il medico competente debba collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria. Come si esplica, in concreto, tale attività? Quali compiti e quali obblighi mi competono? E' evidente che il medico competente non può, come avveniva un tempo in molti casi, limitarsi ad effettuare solo visite mediche su lavoratori inviati dal datore di lavoro, talora al suo studio professionale e quindi senza la sua presenza in fabbrica,

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sulla base di generiche descrizioni di attività lavorative, senza conoscere a fondo le caratteristiche dell'azienda. La nuova formulazione del primo degli obblighi del medico competente amplia i compiti a lui assegnati nell'ambito della predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico_fisica dei lavoratori, con particolare riguardo a:

- programmazione della sorveglianza sanitaria: non è più quindi un semplice esecutore di visite mediche, deve invece farsi parte attiva nella valutazione dei protocolli di sorveglianza sanitaria, come meglio definito nella successiva lettera b);

- attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori: deve quindi farsi parte attiva nell'organizzazione dei numerosi corsi di informazione e formazione previsti dal D.Lgs. n. 81/2008;

- organizzazione del servizio di primo soccorso: è quindi il medico che, conoscendo i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e quindi i rischi sanitari correlati, può meglio indicare le caratteristiche del primo soccorso da attuare in azienda;

- attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione della salute: il medico competente, stante la sua conoscenza nel campo della medicina preventiva, deve estendere la sua opera anche verso quegli obiettivi di miglioramento della salute che bene possono inserirsi in un contesto aziendale.

6. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici. Come si attuano tali compiti? Viene qui ribadito l'obbligo per il medico competente, già citato nella lettera precedente, di farsi parte attiva nel programmare, oltre che ovviamente eseguire, la sorveglianza sanitaria obbligatoria per legge. Viene inoltre sancito l'ulteriore obbligo di predisporre dei protocolli sanitari (visite mediche, visite specialistiche, accertamenti strumentali e di laboratorio) calibrati sui rischi specifici, non dimenticando comunque lo stato generale di salute del lavoratore. Particolare importanza riveste l'inciso tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati: viene infatti richiesto al medico competente un costante aggiornamento scientifico come peraltro previsto dall'articolo 38 del D.Lgs. n. 81/2008 in merito all'obbligo di partecipare al programma di educazione continua in medicina ai sensi del D.Lgs. n. 229/1999 e s.m.i.. L'articolo 41 citato precisa, in modo giustamente generico, che la sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente, nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva permanente, oltre che a richiesta del lavoratore. Rispetto alla rigidità prevista dal D.Lgs. n. 626/1994 che prevedeva le visite esclusivamente nei casi previsti dalla legislazione nazionale, la formulazione attuale rende subito applicative, per questo scopo, le eventuali direttive europee che dovessero in futuro essere emanate, eliminando in questo modo gli inevitabili ritardi dovuti al recepimento delle direttive stesse. Si ottiene così, grazie ad una minore rigidità di norme, una migliore tutela della salute dei lavoratori. Ugualmente degna di nota è la possibilità di adeguarsi con

immediatezza alle indicazioni della Commissione consultiva i cui compiti sono, tra l'altro; a) esaminare i problemi applicativi della normativa di salute e sicurezza sul lavoro e formulare proposte per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente; b) validare le buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. 7. Come si effettua la sorveglianza sanitaria per quanto riguarda i lavori con rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti? Per quanto riguarda i lavori con rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti la sorveglianza sanitaria e le relative modalità sono regolamentate dal D.Lgs. n.

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230/1995 che attribuisce al medico competente la facoltà di effettuare la sorveglianza medica esclusivamente nei confronti dei lavoratori esposti di categoria B. Gli accertamenti sanitari comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 4). Tali accertamenti devono prevedere, nei casi previsti dalla legislazione, la verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Si estende l'obbligo per il medico competente di accertarsi di queste due condizioni in mansioni che comportano particolari rischi di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l'incolumità e la salute dei terzi; ovviamente gli accertamenti relativi alla tossicodipendenza devono essere espletati presso un SERT. Gli esiti della visita medica, in particolare degli accertamenti complementari, devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio di cui all'articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi contenuti nell'Allegato III del D.Lgs. n. 81/2008. E' ovvio che una corretta sorveglianza sanitaria deve iniziare e concludersi con un'ottima visita medica che rispetti tutti i canoni classici della semeiotica, dalla raccolta approfondita dell'anamnesi, all'esecuzione di un attento e mirato esame obiettivo. Inoltre, per alcuni rischi lavorativi, regolamentati da apposite leggi, esistono precisi protocolli diagnostici minimi obbligatori, comunque implementabili a giudizio del medico competente. 8. Nel caso si rendano necessari accertamenti complementari, a chi spetta la scelta? Essa è rimessa al medico competente? Per la maggioranza dei rischi invece, la scelta di accertamenti complementari è lasciata alla valutazione del medico cui spetta il compito di non trascurare l'esecuzione delle indagini utili per una diagnosi precoce, anche in periodo preclinico, di eventuali malattie professionali e, nel contempo, constatare il permanere delle condizioni di sopportabilità del rischio. Queste indagini devono essere eseguite ad intervalli di tempo idonei, secondo quanto suggerito dalla letteratura scientifica, ed evitando accertamenti inutili ``a largo spettro'' o non mirati al rischio specifico. Si ricorda che il medico competente può avvalersi, per motivate ragioni e quindi per queste indagini complementari, della collaborazione di medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri (D.Lgs. n. 81/2008, art. 39, comma 5). Si può in sintesi ricordare che, ai fini di una corretta esecuzione della sorveglianza medica, il medico competente deve perseguire un costante aggiornamento scientifico in considerazione, soprattutto, del continuo evolversi delle tecnologie lavorative e dell'affinamento delle tecniche diagnostiche. 9. Quali informazioni devono essere contenute nella cartella sanitaria? Come deve essere custodita e da chi? Le notizie contenute nella cartella sanitaria sono in buona parte sottoposte al vincolo del segreto professionale; ne consegue che solo il medico può istituirla ed aggiornarla. In alcuni casi particolari le cartelle sanitarie devono essere conformi a modelli specifici. Per una migliore valutazione di tutti i dati anamnestici, è concesso al medico competente di accedere alle cartelle relative ad eventuali attività

precedenti del lavoratore, che, nei casi previsti dalla legge, sono state inviate all'ISPESL alla cessazione del precedente rapporto di lavoro. Nel D.Lgs. n. 626/1994 le cartelle sanitarie dovevano essere custodite presso il datore di lavoro; il D.Lgs. n. 81/2008 prevede invece che per le aziende con meno di 15 dipendenti sia il medico competente unico responsabile della custodia delle stesse; negli altri casi il medico competente concorda con il datore di lavoro il luogo di custodia. Tale custodia deve essere effettuata in modo da garantire il rispetto del segreto professionale: in pratica in locale o armadio con chiusura di sicurezza e di cui una copia delle chiavi sia sempre disponibile, ma controllata, presso l'azienda. Le modalità di istituzione,

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aggiornamento e tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio sono meglio delineate nella sede specifica dove sono riportate anche delle proposte di modulistica. 10. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al datore di lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso? E’ vero. Si tratta di un obbligo non contemplato dalla precedente legislazione; si semplificano così tutti quei casi in cui, per vari motivi, non era possibile un passaggio diretto tra il medico uscente e quello subentrante. Ovviamente la consegna deve avvenire con le stesse attenzioni previste dalla lettera precedente. 11. Risponde al vero che il medico competente deve consegnare al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio e gli deve fornire le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima? Si. Anche questo è un nuovo obbligo, già in vigore per il Documento Sanitario Personale previsto per i lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti (D.Lgs. n. 230/1995, art. 90, comma 2). Non viene precisato se debbano essere consegnati gli originali, ovvero una copia; si propende per quest'ultima opzione anche considerando la possibile interpretazione della successiva lettera f). Le informazioni riguardo la necessità di conservazione saranno indirizzate sull'importanza della documentazione sanitaria e lavorativa, sia come valida storia clinica del soggetto, sia per raccolta anamnestica in caso di successive esposizioni lavorative. Non va infine dimenticata l'importanza di tale documentazione in caso di eventuali contenziosi medico_legali. 12. Il D.Lgs 81/08 prevede che il medico competente debba fornire informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta l'esposizione a tali agenti. Come si forniscono tali informazioni? Sono previste sanzioni? La previsione legale rende obbligatoria, e conseguentemente sanziona, quella che dovrebbe essere una generale norma di comportamento di tutti i medici. In occasione della visita medica, nell'ambito del colloquio anamnestico, il medico competente deve rendere edotto il lavoratore sui rischi collegati alla sua particolare attività lavorativa, sul significato di eventuali indici di esposizione e, nel caso di lavoratori esposti ad agenti nocivi misurati, sulle dosi ricevute, spiegando anche l'esistenza o meno di eventuali rischi correlati. Poiché l'obbligo di informazione è sanzionato, può essere opportuno far sottoscrivere al lavoratore una dichiarazione in cui affermi di aver ricevuto le informazioni previste. Tale dichiarazione può essere inserita nella cartella sanitaria e di rischio o nel giudizio d'idoneità: si rimanda alle sedi specifiche per una trattazione più accurata. Per quanto riguarda gli agenti nocivi con effetti a lungo termine, viene normalizzato il vecchio concetto della "visita medica conclusiva'' più volte auspicata dagli organi di vigilanza. Poiché spesso la

cessazione dell'esposizione coincide con la risoluzione del rapporto, il datore di lavoro deve darne tempestiva comunicazione in modo da permettere al medico di completare tutti gli accertamenti integrativi della visita prima della cessazione del rapporto di lavoro. In tale occasione, in caso di esposizione ad agenti che possono manifestare i loro effetti nocivi anche a distanza di tempo (tempo di latenza), verranno fornite al lavoratore tutte le indicazioni che, sulla base della storia lavorativa e delle conclusioni cliniche, debba eventualmente seguire sia come abitudini di vita che, soprattutto, come accertamenti sanitari. È bene che tali indicazioni vengano fornite in forma scritta, chiara e schematica ed è opportuno far

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sottoscrivere al lavoratore un'ulteriore dichiarazione in cui affermi di aver ricevuto le informazioni previste. Tutte queste informazioni _ in forma anonima, collettiva e utilizzando ogni sistema che eviti la possibilità di risalire agli interessati _ potranno essere fornite, a richiesta, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. 13. Il medico competente deve fornire ai lavoratori anche le informazioni sull’esito degli esami medici?. Deve rilasciare copia della documentazione sanitaria? L'informazione sugli esami medici (visita, accertamenti specialistici, esami strumentali e di laboratorio) è un obbligo per qualunque medico ed è il giusto preambolo alla comunicazione del giudizio d'idoneità. L'informazione non deve limitarsi ad una mera elencazione di dati, ma deve prevedere un ampio commento degli stessi in modo da far comprendere le reali condizioni di salute, fornendo validi consigli se necessari o, come sperabile, confermando uno stato di benessere. E' buona norma consegnare comunque copia degli accertamenti complementari per fornire un'eventuale utile documentazione per il medico curante. Anche in questo caso può essere opportuno far sottoscrivere al lavoratore una dichiarazione in cui affermi di aver ricevuto le informazioni previste. Anche tale dichiarazione verrà eventualmente inserita nella cartella sanitaria e di rischio o nel giudizio d'idoneità. 14. E’ vero che il medico competente deve comunicare per iscritto i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria e deve fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico_fisica dei lavoratori? E’ vero. In tale occasione il medico competente presenterà una relazione annuale il cui scopo non è tanto quello di elencare le azioni svolte, quanto di valutare la validità e congruità delle stesse. Uno dei punti essenziali di tale relazione è l'analisi della sorveglianza sanitaria e la valutazione, in modo collettivo e variamente aggregato, a seconda dei risultati che si vogliono ricavare, degli accertamenti clinici, di laboratorio e strumentali eseguiti. Anche in questo caso i dati devono essere forniti in forma anonima e utilizzando ogni sistema per evitare che si possa risalire agli interessati. Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano più di 15 dipendenti, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indice almeno una volta all'anno una riunione cui partecipano: a) il datore di lavoro o un suo rappresentante; b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi; c) il medico competente ove nominato; d) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008, art. 35). 15. E’ un obbligo del medico competente visitare gli ambienti di lavoro o è una mera facoltà? Il D.Lgs 81/08 prevede chiaramente che il medico competente debba visitare gli ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o a cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi; la indicazione di una periodicità diversa

dall'annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di valutazione dei rischi. 16. I sopralluoghi negli ambienti di lavoro devono essere effettuati alla presenza del datore di lavoro? Considerando che la responsabilità delle attività a rischio in azienda ricade sul datore di lavoro, è opportuno che i sopralluoghi sugli ambienti di lavoro vengano effettuati anche in presenza del datore di lavoro, oltre che con il responsabile del

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Servizio di prevenzione e protezione dai rischi e che ne rimanga traccia scritta mediante verbali sottoscritti da tutti i partecipanti. 17. Quali sono le modalità per effettuare le visite negli ambienti di lavoro? Le visite negli ambienti di lavoro devono essere eseguite con le lavorazioni in atto e, quando esista una certa variabilità delle attività, il medico competente deve poter osservare e analizzare le singole postazioni e le diverse fasi delle lavorazioni. È utile nell'occasione un colloquio diretto con i lavoratori addetti, possibilmente con la partecipazione di un preposto che conosca a fondo l'insieme dei possibili rischi presenti. Per quelle attività lavorative che comportano una valutazione dell'esposizione alle varie noxae chimiche o fisiche è di indubbia utilità la partecipazione del medico, sia pure saltuaria, all'esecuzione di monitoraggi ambientali; in tal modo gli sarà possibile comprendere meglio i risultati di tali valutazioni che gli devono essere inviati con tempestività. Si suggerisce che, in caso di esposizioni accidentali o di emergenza, la comunicazione delle valutazioni basate sui dati disponibili sia immediata (anche se soggetta a errore) e rapidamente aggiornata con dati definitivi. Si realizza in pratica, anche per i rischi convenzionali, una sorta di comunicazione delle dosi ricevute, in analogia a quanto previsto per l'esposizione alle radiazioni ionizzanti la cui sorveglianza, per i lavoratori esposti di categoria B può essere eseguita anche dal medico competente. Questi sopralluoghi periodici rappresentano inoltre un momento essenziale per la compilazione e la revisione della scheda di destinazione lavorativa e sono indispensabili al medico per fornire al datore di lavoro la propria collaborazione in merito al miglioramento della tutela della salute dei lavoratori e nella stesura del documento per la valutazione dei rischi (D.Lgs. n. 81/2008, art. 28). Resta ferma l'obbligatorietà di visite ulteriori allorché si modifichino le situazioni di rischio. 18. Risponde al vero che il medico competente deve partecipare alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori? Si. In tutti quei casi in cui il controllo dell'esposizione è possibile, spesso obbligatoria (agenti fisici, chimici, cancerogeni e/o mutageni, biologici), il medico competente, in considerazione anche delle sue conoscenze specifiche, deve partecipare attivamente alla programmazione dei controlli di esposizione, pretendendo nel contempo una regolare esecuzione e trasmissione dei risultati. Tali risultati, essenziali per la valutazione dei rischi cui il medico competente è tenuto a partecipare, sono anche indispensabili per una corretta sorveglianza sanitaria mirata al rischio specifico. 19. E’ ancora valido l’obbligo del medico competente di comunicare, mediante autocertificazione, il possesso dei titoli e requisiti al Ministero della salute? Il comma 4 dell'articolo 38 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che i medici in possesso dei titoli e dei requisiti idonei e previsti dal comma 1 dello stesso articolo, sono iscritti nell'elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute. Per tale motivo si rende necessaria la suddetta comunicazione. Va infine ricordato l'obbligo sancito dall'articolo 40 del D.Lgs. n. 81/2008, comma 1, che prevede che il

medico competente, entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento trasmetta, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati collettivi sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B del decreto stesso. 20. La sorveglianza sanitaria affidata al medico competente ha riguardo ai soli accertamenti sanitari previsti dalle norme sulla sicurezza e salute dei

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lavoratori ovvero anche agli accertamenti sanitari previsti dalle norme sul rapporto di lavoro?

E' ancora in discussione la questione se la sorveglianza sanitaria affidata al medico competente riguardo i soli accertamenti sanitari previsti dalle norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori (Cfr. All. I del D.Lgs. n. 758 del 1994) ovvero anche gli accertamenti sanitari previsti dalle norme sul rapporto di lavoro (es. gli accertamenti per l'inidoneità fisica diversa da quella derivante dai rischi professionali e i controlli sugli invalidi assunti obbligatoriamente al lavoro ai sensi della legge n. 482 del 2 aprile 1968). Al riguardo la Corte Costituzionale con sentenza n. 354 del 21 novembre 1997 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 del D.Lgs. n. 626 del 1994 sollevata in riferimento agli artt. 35 e 38 della Costituzione nella parte in cui prevede che il "medico di fabbrica" debba svolgere accertamenti preventivi anche sui lavoratori invalidi avviati obbligatoriamente al lavoro. Secondo l'Alta Corte le leggi in esame sono tra loro compatibili in quanto da un lato hanno diversi ambiti soggettivi e oggettivi e dall'altro lato operano in tempi successivi, nel senso che dopo l'eventuale valutazione di inidoneità da parte del medico competente per la sorveglianza sanitaria, l'invalidità può con ricorso, domandare l'accertamento sanitario al collegio medico ai sensi dell'art. 20 della legge n. 482 del 1968 in considerazione del carattere speciale di tale normativa. 21. Il medico competente ha l’obbligo di referto ? L'art. 365, cod. pen. stabilisce che chiunque avendo, nell'esercizio di una professione sanitaria, prestato la propria assistenza o opera (per Cass. pen. n. 9199 del 10 ottobre 1997 tali sono quei soggetti che sono intervenuti nell'immediatezza del fatto) in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirne all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne (art. 361, cod. pen.) è punito con la multa fino a L. 1.000.000. Il suddetto obbligo anche se trova applicazione più frequentemente con riferimento ai medici del pronto soccorso e ai medici degli ospedali, in quanto obbligo rivolto a "chiunque esercita una professione sanitaria", riguarda anche il medico competente. La Corte di Cassazione ha precisato che per far scattare l'obbligo di referto è sufficiente che si ravvisi la concreta possibilità di un delitto perseguibile d'ufficio13. Inoltre perché la denuncia sia liberatoria dall'obbligo derivante dalla norma penale generale essa deve essere diretta ad una autorità che abbia con il soggetto un rapporto in virtù del quale l'informativa ricevuta valga a farle assumere l'obbligo medesimo in via primaria ed esclusiva. In particolare la Suprema Corte ha escluso che tra le "altre Autorità" di cui all'art. 361 cod. pen. possa individuarsi l'INAIL giacché l'informativa fatta a detto istituto è effettuata in base a disposizioni aventi scopi diversi da quello perseguito dall'art. 365 cod. pen. (Cass. pen. n. 4400 del 30 aprile 1996).

22. L'art. 41, comma a) del D. Lgs. 81/08 stabilisce che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa

vigente, dalle direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'art. 6. Si chiede quali sono in dettaglio questi casi e i relativi riferimenti legislativi e inoltre se la sorveglianza riguarda anche le attività commerciali (negozi).

13 Cass. pen. n. 1170 del 29 gennaio 1998; Cass. pen. n. 6 del 5 gennaio 1998; Cass. pen. n. 8761 del 27 settembre 1997; Cass. pen. n. 8143 del 3 settembre 1997; Cass. pen. n. 4400 del 30 aprile 1996; Cass. pen. n. 1598 dell'11 ottobre 1995. Per Cass. pen. n. 68 dell'8 gennaio 1998 il reato di omissione di referto può essere punito solo a titolo di dolo

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La norma citata si riferisce ovviamente alla generalità dei casi in cui è obbligatoria la sorveglianza sanitaria. Occorre quindi valutare in concreto quale sia l'attività alla quale ci si riferisce. Per le attività commerciali, è quindi indispensabile chiarire di che si tratta (es. grande distribuzione o meno, localizzazione in centri commerciali o meno, tipologia merceologica food - no food ecc.) 23. Quali sono i titoli o i requisiti per l’esercizio dell’attività di medico competente? Possono essere nominati medico competente coloro che abbiano:

- specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica;

- docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro;

- autorizzazione di cui all'art. 55 del D.Lgs. n. 277/1991; trattasi di laureati in medicina e chirurgia che, pur non possedendo i precedenti requisiti, hanno svolto alla data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs. n. 277/1991 l'attività di medico competente per almeno quattro anni e che hanno ottenuto dall'assessorato regionale alla sanità l'autorizzazione ad esercitare la funzione di medico competente;

- specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale. Relativamente a questi ultimi due titoli, trattandosi di specializzazioni nel cui cursus studiorum non sono previsti tutti gli insegnamenti inerenti la medicina del lavoro, lo stesso articolo 38, al comma 2, precisa che tali medici sono tenuti a frequentare appositi percorsi formativi universitari che saranno definiti con apposito decreto del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica di concerto con il Ministero della salute. Precisa inoltre che i medici che dimostrino, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008 (15 maggio 2008), di avere svolto tali attività per almeno un anno nell'arco dei tre anni anteriori sono abilitati a svolgere le medesime funzioni. A tal fine sono tenuti a produrre alla Regione attestazione del datore di lavoro comprovante l'espletamento di tale attività;

- con esclusivo riferimento al ruolo dei sanitari delle Forze Armate, compresa l’Arma dei carabinieri, e della Polizia di Stato, svolgimento di attività di medico nel settore del lavoro per almeno quattro anni.

24. Quali percorsi formativi devono essere svolti dal medico competente? Il decreto precisa altresì che, per lo svolgimento delle funzioni di medico competente, è necessario partecipare al programma di educazione continua in medicina ai sensi del D.Lgs. n. 229/01999 e s.m.i., a partire dal programma triennale successivo all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008. I crediti previsti dal programma triennale dovranno essere conseguiti nella misura non inferiore al 70 per cento del totale nella disciplina medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro.

25. Esiste un Albo dei medici competenti? Da chi è tenuto? I medici in possesso dei titoli e dei requisiti di medico competente devono essere iscritti nell'elenco dei medici competenti istituito con D.M. 4 marzo 2009 (G.U. 26/6/2009, n. 146) presso l’Ufficio II della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. I sanitari che svolgono l'attività di medico competente sono tenuti a comunicare, mediante autocertificazione, al predetto Ufficio il possesso dei titoli e requisiti abilitanti per lo svolgimento di tale attività; sono altresì tenuti a comunicare, con le stesse modalità, eventuali successive variazioni comportanti la perdita di requisiti

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precedentemente autocertificati e la cessazione dello svolgimento dell'attività. Il conseguimento dei crediti formativi del programma triennale di educazione continua in medicina, ovvero il completo recupero dei crediti mancanti entro l'anno successivo alla scadenza del medesimo programma triennale di educazione continua in medicina, previsto dall'art. 38, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, quale requisito necessario per poter svolgere le funzioni di medico competente, comporta, per l'interessato, l'obbligo della comunicazione del possesso del necessario requisito formativo mediante l'invio all'Ufficio della certificazione dell'Ordine di appartenenza o di apposita autocertificazione. Il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali effettua con cadenza annuale verifiche, anche a campione, dei requisiti e dei titoli autocertificati. L'esito negativo della verifica comporta la cancellazione d'ufficio dall'elenco. L'elenco dei medici competenti è consultabile attraverso il portale del Ministero del lavoro della salute e delle politiche sociali. L'iscrizione all'elenco non costituisce di per sè titolo abilitante all'esercizio dell'attività di medico competente. 26. Sono lavoratore part time in un call center in fascia diurna per un totale di quattro ore giornaliere. Quando sono in malattia sono assoggetato alla visita fiscale dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. Poiché svolgo un lavoro part time la mattina, la visita fiscale dovrebbe ricadere solo nell'orario diurno? Lo stato di malattia, comunicato dal lavoratore e certificato dal medico curante, può essere controllato, su richiesta del datore di lavoro o dell'Inps, mediante l'utilizzo di apposite strutture sanitarie pubbliche (articolo 5, legge 638/83; articolo 2 legge 33/80). La legge indica tali verifiche con il termine di "visite di controllo" che possono essere effettuate nelle cosiddette "fasce orarie di reperibilità". Per consentire le visite di controllo il lavoratore deve comunicare, in occasione dell'invio della certificazione medica, l'indirizzo della località dove si trova durante la malattia (se diversa dal domicilio abituale). Allo scopo di rendere possibile il controllo dello stato di malattia il lavoratore (con qualsiasi rapporto di lavoro in corso) ha l'obbligo di essere reperibile presso l'indirizzo indicato durante tutta la durata della malattia, nel corso delle fasce orarie di reperibilità, fissate dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di ogni giorno, comprese le domeniche e i festivi ( Dm 15 luglio 1986). La reperibilità del lavoratore è dunque esclusivamente finalizzata a consentire il controllo dello stato di malattia da parte del medico competente, iscritto nelle apposite liste speciali istituite presso l'Inps, a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.

Sezione II Il medico autorizzato

1. Chi è il medico autorizzato? Il medico responsabile della sorveglianza medica dei lavoratori esposti al rischio da radiazioni ionizzanti classificati come lavoratori esposti di categoria A viene definito medico autorizzato.

2. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria A esposti deve essere effettuata esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata anche dal medico competente? I datori di lavoro, nell'ambito di queste attività, devono assicurare la sorveglianza medica del personale dipendente avvalendosi esclusivamente di tale figura professionale.

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3. La sorveglianza sanitaria su lavoratori di categoria B esposti deve essere effettuata esclusivamente dal medico autorizzato o può essere realizzata

anche dal medico competente? La sorveglianza medica sui lavoratori esposti classificati in Categoria B, oltre che dal medico autorizzato, può essere effettuata anche dal medico competente (art. 83, comma 2, D.Lgs. n. 230/1995). E' competenza esclusiva del medico autorizzato la sorveglianza medica eccezionale (art. 91, D.Lgs. n. 230/1995) e la consulenza al datore di lavoro in caso di esposizioni accidentali o di emergenza (art. 89, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 230/1995). 4. Quali sono le attribuzioni specifiche del medico autorizzato? Quale norma le disciplina? Le attribuzioni del medico autorizzato sono elencate nell'art. 89 del D.Lgs. n. 230/1995 e consistono in:

- analisi dei rischi individuali connessi alla destinazione lavorativa e alle mansioni ai fini della programmazione di indagini specialistiche e di laboratorio atte a valutare lo stato di salute del lavoratore, anche attraverso accessi diretti negli ambienti di lavoro;

- istituzione e aggiornamento dei documenti sanitari personali e loro consegna all'ISPESL;

- consegna al medico subentrante dei documenti sanitari personali, nel caso di cessazione dall'incarico;

- consulenza al datore di lavoro per la messa in atto di infrastrutture e procedure idonee a garantire la sorveglianza medica dei lavoratori esposti, sia in condizioni di lavoro normale che in caso di esposizioni accidentali o di emergenza.

5. Quali sono gli obblighi del medico autorizzato? Per ogni lavoratore esposto il medico addetto alla sorveglianza medica deve istituire, tenere aggiornato e conservare un documento sanitario personale in cui sono compresi:

- i dati raccolti nella visita preventiva e nelle visite mediche periodiche, straordinarie ed in occasione della sorveglianza medica eccezionale;

- la destinazione lavorativa, i rischi ad essa connessi e i successivi mutamenti; - le dosi ricevute dal lavoratore, derivanti sia da esposizioni normali, sia da

esposizioni accidentali o di emergenza, ovvero soggette ad autorizzazione speciale, utilizzando i dati trasmessi dall'esperto qualificato.

6. Come deve essere tenuta la documentazione sanitaria? Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentiti l'ANPA e l'ISPESL, sono determinate le modalità di tenuta della documentazione e sono approvati i modelli della stessa. Fino all'adozione del suddetto decreto, valgono le disposizioni dell'allegato XI del D.Lgs. n. 241/2000.

7. I lavoratori hanno diritto di accedere risultati delle valutazioni che li riguardano? I lavoratori hanno diritto ad accedere ai risultati delle valutazioni di dose, delle introduzioni e degli esami medici e radiotossicologici, nonchè ai risultati delle valutazioni di idoneità, che li riguardano, e di ricevere, dietro loro richiesta, copia della relativa documentazione. Copia del documento sanitario personale deve essere consegnata dal medico all'interessato alla cessazione del rapporto di lavoro. Il documento sanitario personale deve essere conservato sino alla data in cui il lavoratore compie o avrebbe compiuto il settantacinquesimo anno di età, ed in ogni

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caso per almeno trenta anni dopo la cessazione del lavoro comportante esposizione alle radiazioni ionizzanti. 8. Risponde al vero che i documenti sanitari personali devono essere consegnati all'ISPESL? Il medico addetto alla sorveglianza medica provvede entro sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o dalla cessazione dell'attività di impresa comportante esposizioni alle radiazioni ionizzanti a consegnare i predetti documenti sanitari personali all'ISPESL, che assicurerà la loro conservazione. Entro tre giorni dal momento in cui ne abbia effettuato la diagnosi il medico deve comunicare all'Ispettorato provinciale del lavoro e agli organi del Servizio sanitario nazionale competenti per territorio i casi di malattia professionale. I medici, le strutture sanitarie pubbliche e private, nonchè gli istituti previdenziali o assicurativi pubblici o privati, che refertano casi di neoplasie da loro ritenute causate da esposizione lavorativa alle radiazioni ionizzanti, trasmettono all'ISPESL copia della relativa documentazione clinica ovvero anatomopatologica e quella inerente l'anamnesi lavorativa (art. 90, D.Lgs. n. 230/1995). L'ISPESL inserisce nell'archivio nominativo i casi di neoplasia. 9. In caso di violazioni da parte del medico autorizzato delle norme di sicurezza, quali sanzioni sono previste? Su segnalazione degli organismi di vigilanza il capo dell'Ispettorato medico centrale può disporre, previa contestazione degli addebiti, senza pregiudizio delle altre sanzioni previste dalla legge, la sospensione, non superiore a sei mesi, dall'esercizio delle funzioni del medico autorizzato, in caso di accertata inosservanza dei rispettivi compiti. Nei casi più gravi il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, su proposta del capo dell'Ispettorato medico centrale del lavoro può disporre la cancellazione del medico autorizzato dagli elenchi ministeriali; lo stesso Ispettorato si avvale, nella valutazione, del parere della Commissione per l'iscrizione nell'elenco nominativo dei medici autorizzati (D.Lgs. n. 241/2000, all. V). I provvedimenti di cui sopra possono essere adottati dopo che sia stato assegnato all'interessato un termine di sessanta giorni per presentare le proprie controdeduzioni sugli addebiti contestati. Tali provvedimenti non possono essere adottati decorsi sei mesi dalla presentazione delle controdeduzioni da parte dell'interessato. La procedura per l'adozione dei provvedimenti disciplinari viene iniziata d'ufficio in caso di condanna definitiva a pena detentiva del medico autorizzato per reati inerenti alle funzioni attribuite. 10. Qual’è la procedura per l'adozione dei provvedimenti disciplinari nei confronti del medico autorizzato? La procedura per l'adozione dei provvedimenti viene iniziata d'ufficio anche in caso di sentenza non passata in giudicato con condanna a pena detentiva (art. 93, D.Lgs. n. 230/1995). Avverso il giudizio in materia di idoneità medica all'esposizione alle radiazioni ionizzanti è ammesso ricorso, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio stesso, all'Ispettorato medico centrale del lavoro (art.

94, D.Lgs. n. 230/1995); lo stesso Ispettorato si avvale, nella valutazione del ricorso, del parere della Commissione per l'iscrizione nell'elenco nominativo dei medici autorizzati (D.Lgs. n. 241/2000, all. V). Decorsi trenta giorni dalla data di ricevimento del ricorso senza che l'Ispettorato abbia provveduto, il ricorso si intende respinto. Il medico autorizzato, alla cessazione dell'incarico deve consegnare il Documento sanitario personale e tutta la documentazione relativa alla sorveglianza medica al medico autorizzato subentrante che firma per ricevuta. 11. Da chi viene conferita la qualifica di medico autorizzato?

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La qualifica di medico autorizzato viene conferita dal Ministero del lavoro previo accertamento del possesso dei requisiti, successivamente indicati, attraverso una apposita commissione. 12. Quali sono i titoli per l’esercizio dell’attività di medico autorizzato? I requisiti richiesti sono costituiti da:

- laurea in medicina e chirurgia nonchè il titolo di medico competente secondo il decreto legislativo n. 626/1994 (All. V, D.Lgs. n. 230/1995);

- siano cittadini italiani o di Stati membri dell'Unione europea, ovvero cittadini di altri Stati nei cui confronti vige un regime di reciprocità;

- godano dei diritti politici e non risultino essere stati interdetti; - non siano stati cancellati dagli elenchi nominativi degli esperti qualificati e

dei medici autorizzati negli ultimi cinque anni. 13. Esiste un elenco dei medici autorizzati. Come ci si può iscrivere? L'istanza, al fine dell'iscrizione nell'elenco dei medici autorizzati, deve essere indirizzata al Ministero del lavoro che, annualmente, attraverso una commissione di esame valuta la validità dei titoli prodotti. La tassa di esame è stabilita con il D.M. 8 giugno 2001 (L. 388.000 pari a euro 200, 38). Le iscrizioni negli elenchi nominativi degli esperti qualificati e dei medici autorizzati istituiti dal decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1964, n. 185, conservano a tempo indeterminato la loro validità, numero progressivo e, se presenti, le loro limitazioni all'attività in campo sanitario. Il Ministero del lavoro, con comunicazione n. 778 del 14 maggio 1998, ha trasmesso alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici l'elenco nominativo dei medici autorizzati; in conseguenza di ciò, presso ogni Ordine provinciale è stato istituito un apposito elenco e la suddetta qualifica è compresa nei certificati e negli attestati di iscrizione, con ogni validità di legge.

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Capitolo 5

Gestione delle emergenze, primo soccorso e prevenzione incendi

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Sezione I Gestione delle emergenze e primo soccorso

1. Quali sono gli obblighi del datore di lavoro ai fini della gestione delle emergenze? Sulla base del combinato disposto dell’art. 18, comma 1, let. b) del D.Lgs 81/08 con gli artt. da 43 a 46 del D.Lgs 81/08, il datore di lavoro ha l’obbligo di nominare preventivamente i lavoratori incaricati della gestione delle emergenze. Il datore di lavoro deve inoltre:

a) organizzare i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza;

b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

c) informare tutti i lavoratori che possono essere esposti a un pericolo grave e

immediato circa le misure predisposte e i comportamenti da adottare; d) programmare gli interventi, prende i provvedimenti e dà istruzioni affinché

i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, possano cessare la loro attività, o mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro;

e) adottare i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone e nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili;

f) garantire la presenza di mezzi di estinzione idonei alla classe di incendio ed al livello di rischio presenti sul luogo di lavoro, tenendo anche conto delle particolari condizioni in cui possono essere usati. L’obbligo si applica anche agli impianti di estinzione fissi, manuali o automatici, individuati in relazione alla valutazione dei rischi. 2. Esistono dei criteri o delle indicazioni per potersi orientare nell’individuazione dei soggetti da designare come addetti alla gestione delle emergenze? Ai fini delle designazioni, il datore di lavoro tiene conto delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici dell’azienda o della unità produttiva. I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva. Il datore di lavoro deve, salvo eccezioni debitamente motivate, astenersi dal chiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato.

3. Il datore di lavoro è obbligato a predisporre un piano di emergenza? Quali contenuti deve avere? Dall’analisi della nuova disciplina normativa si evince che il concetto di piano di emergenza ha subito una significativa evoluzione: l'andamento e l'evoluzione di una situazione di emergenza sono fatti dipendere dal livello organizzativo interno dell'azienda (risorse umane predisposte e disponibili, sistemi impiantistici idonei, etc.) e dalla capacità di contenere i danni (formazione professionale dei lavoratori). Il D.Lgs 81/08 richiede, in sostanza, al sistema aziendale che l'organizzazione interna

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per affrontare l'eventuale stato di emergenza sia uno strumento operativo facente parte a tutti gli effetti dell'insieme dei provvedimenti di sicurezza da attuare. Le situazioni critiche, che possono dar luogo a situazioni di emergenza, possono essere grossolanamente suddivise in: - eventi legati ai rischi propri dell'attività (incendi e esplosioni, rilasci tossici e/o

radioattivi, etc.) - eventi legati a cause esterne (allagamenti, terremoti, condizioni meteorologiche

estreme, etc.). 4. Quali sono gli obiettivi del piano di emergenza? Obiettivi principali e prioritari di un piano di emergenza aziendale, sono pertanto quello di:

- ridurre i pericoli alle persone; - prestare soccorso alle persone colpite; - circoscrivere e contenere l'evento (in modo da non coinvolgere impianti e/o

strutture che a loro volta potrebbero, se interessati, diventare ulteriore fonte di pericolo) per limitare i danni e permettere la ripresa dell'attività produttiva al più presto.

5. Esistono delle attività per le quali è obbligatorio il piano di emergenza? Il piano di emergenza deve essere sicuramente predisposto per quelle attività, che comportando il rischio specifico di incendio, esplosione, rilascio tossico e/o radioattivo, sono soggette ad una o più normative tecniche o legislative specifiche. In tutte le restanti attività, salvo diversa determinazione, non si ritiene necessaria la stesura di un vero e proprio piano di emergenza, bensì può essere sufficiente la predisposizione di procedure formalizzate che prevedano:

- una adeguata informazione e formazione dei lavoratori per quanto riguarda l'utilizzo degli equipaggiamenti di emergenza (estintori, autorespiratori, etc.) determinati ed introdotti in base alla valutazione dei rischi;

- una corretta gestione dei luoghi di lavoro (non ostruzione delle vie di esodo, rimozione, occultamento o manomissione degli equipaggiamenti di emergenza, etc.)

- una corretta e tempestiva manutenzione degli impianti. 6. Quale documentazione è necessaria ai fini della predisposizione di un piano di emergenza? Un piano di emergenza comporta, in fase preliminare, l'acquisizione di informazioni necessarie alla sua predisposizione ed alla sua successiva gestione. In particolare la documentazione deve contenere:

- informazioni sul sito e sull'ambiente, intesi come vicinanza di insediamenti civili e industriali, corsi fluviali e grandi vie di comunicazione, orografia della zona, etc.;

- indicazioni su tutte le vie di accesso interne ed esterne all'azienda con dettaglio sulla viabilità, larghezza, etc.;

- indicazioni sui cicli produttivi (materie prime e ausiliarie, prodotti intermedi,

prodotti finiti, etc.); - indicazioni sul lay-out dell'attività con la segnalazione delle zone o aree nelle

quali è stata individuata la possibilità di eventi incidentali (incendi, esplosioni, rilasci, etc.);

- indicazioni sui sistemi di protezione attiva (mezzi di estinzione incendi, sistemi di abbattimento e/o inertizzazione, etc.) o passiva (compartimentazione, sistemi di rilevazione, percorsi di esodo protetti, etc.);

- informazioni su eventi analoghi avvenuti in precedenza e relativi interventi di contenimento attuati (case history);

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- organigrammi generali e particolari di reparto. La conoscenza dettagliata della composizione dei reparti e delle competenze professionali presenti in azienda permette di individuare le diverse figure che dovranno gestire il piano di emergenza sia in fase preventiva (addestramento e formazione, verifica della funzionalità dei sistemi di protezione) sia in fase di intervento.

7. Esiste una classificazione delle emergenze in termini di priorità degli interventi? Lo studio e la valutazione delle possibili conseguenze degli eventi incidentali ed una loro classificazione sono necessari a dimensionare adeguatamente gli interventi da attuare. La classificazione può essere organizzata, ad esempio:

- per scala di gravità (Tabella 1), - considerando che uno stesso evento incidentale può interessare una singola

unità o impianto, più unità e, nei casi più gravi, anche zone o aree esterne allo stabilimento,

- per tipologia di evoluzione (Tabella 2), - per tipologia di evento.

Tabella 1 - Classificazione degli incidenti secondo la gravità

Incidenti minori Possono essere facilmente controllati dal solo personale operativo o di sicurezza dell'unità (o impianto). (non richiede la mobilitazione di forze esterne)

Incidenti di

categoria 1

Come per la categoria precedente, ma con massiccio impiego

delle risorse interne dell'azienda (è consigliabile mettere in preallarme le forze esterne per il caso di escalation dell'incidente).

Incidenti di categoria 2

Possono essere controllati con l'ausilio di forze esterne limitate.

Incidenti di categoria 3

Se controllabili, possono esserlo solo attraverso l'impiego di massicce risorse (è necessaria la mobilitazione di tutte le forze disponibili, anche su vasta scala territoriale).

Tabella 2 - Classificazione degli incidenti secondo la tipologia di evoluzione

Incidenti di

entità limitata o a

lenta evoluzione

Possono richiedere al più l'evacuazione del personale interno e della popolazione nelle immediate adiacenze dell'azienda (esempi tipici: incendio o limitato rilascio di tossici).

Incidenti ad escalation potenziale

Pongono in pericolo l'integrità di serbatoi o apparecchiature maggiori contenenti materiali pericolosi, ma lasciano a disposizione un periodo di tempo ragionevole per l'evacuazione (esempi tipici: incendio o danno meccanico)

Incidenti a

rapido

sviluppo

Non è assolutamente consigliabile l'evacuazione, ma occorre affidarsi ai comportamenti mitiganti individuali, in particolare il

rifugio indoor, e quindi alla preventiva corretta istruzione della popolazione (esempi tipici: incipiente BLEVE con fireball oppure rilascio tossico con formazione di nube non eccessivamente estesa).

Incidenti catastrofici improvvisi

Le possibili azioni pianificate sono necessariamente limitate alle sole operazioni di soccorso e di bonifica (esempi tipici: grosse esplosioni o rilasci massicci e persistenti di tossici)

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8. Risponde al vero che all’interno del piano di emergenza devono essere necessariamente indicate le aree operative o il centro di controllo. In caso di risposta affermativa, esistono dei criteri per una loro individuazione? All'interno di un piano di emergenza devono sempre essere individuati in modo puntuale i luoghi, aree operative e centro di controllo, da cui dirigere e sovraintendere le operazioni di emergenza. Alle aree operative, collocate in luoghi sicuri e in prossimità delle zone in cui potrebbero verificarsi gli incidenti, afferiscono generalmente le squadre di intervento, i responsabili locali e il responsabile di piano di emergenza per l'effettuazione del primo intervento e di una prima e immediata stima sull'evoluzione dell'accaduto. Il centro di controllo viene invece utilizzato e attivato quando l'incidente assume proporzioni tali da richiedere più squadre ed una loro gestione coordinata: esso rappresenta, nella gestione dell'emergenza, sicuramente l'elemento più delicato e vulnerabile in quanto è il luogo univoco di riferimento dal quale e con il quale deve essere sempre possibile comunicare, sia dall'esterno che dall'interno, in modo da disporre in tempo reale di tutte quelle informazioni e direttive utili alla conduzione dell'emergenza stessa. Al centro di controllo afferisce il responsabile del piano di emergenza che coordina tutte le successive operazioni predisponendo, se necessario, la richiesta di soccorso esterno, l'evacuazione del personale e l'attivazione del pronto soccorso. Ovviamente a seconda delle dimensioni e delle tipologie aziendali o delle tipologie di eventi ipotizzati le aree operative possono coincidere con il centro di controllo. All'interno del centro di controllo deve essere sempre disponibile (e aggiornata) la documentazione inerente la gestione dell'emergenza (planimetrie, schede di sicurezza dei prodotti, collocazione degli equipaggiamenti e delle attrezzature supplementari, etc.). 9. Cosa sono le squadre di intervento per l’emergenza? Devono essere sempre previste? Le squadre di intervento sono costituite da personale interno, espressamente individuato per effettuare anche questo tipo di lavoro, immediatamente disponibile all'occorrenza. La pronta disponibilità va intesa come presenza fisica sempre assicurata sia dal punto di vista della composizione prevista per la squadra, che per qualificazione professionale dei componenti, anche in caso di lavoro a turni o assenze; il numero delle squadre e la loro composizione vanno stabiliti in funzione dei rischi e della dimensione dell'attività. Particolare attenzione va posta alla qualificazione professionale degli operatori che compongono la squadra, in quanto deve essere direttamente correlata al compito da svolgere. 10. Esiste un particolare tipo di equipaggiamento di emergenza da adottare? Sulla base della classificazione delle emergenze devono essere individuati e predisposti i relativi equipaggiamenti. Questi sono generalmente costituiti dai mezzi personali di protezione, dai mezzi di salvataggio, dalle attrezzature necessarie per fronteggiare l'emergenza e dalla specifica segnaletica (ad esempio per la restrizione

degli accessi e per l'ulteriore segnalazione delle vie di fuga) e dei quali devono essere dotate le squadre di intervento. Gli equipaggiamenti devono essere collocati in luoghi prefissati (aree operative); in particolare è opportuno che la specifica dotazione delle squadre sia posta in luoghi protetti e in prossimità delle zone in cui potrebbero verificarsi gli eventi ipotizzati. Una scorta di equipaggiamenti, valutata sulla base di possibili esigenze legate all'evoluzione dell'incidente, deve essere sempre collocata in luogo protetto (cioè situato a distanza di sicurezza interna rispetto alle possibili zone pericolose) e facilmente accessibile. E' opportuno sottolineare che, in alcune situazioni (es. rilasci tossici), è necessario mettere a

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disposizione dei lavoratori, non impegnati nelle squadre di intervento, i mezzi di protezione personale per potersi allontanare dal luogo pericoloso. Tutte le informazioni sulla collocazione degli equipaggiamenti devono essere riportate su planimetrie opportunamente dislocate all'interno dei locali. L'equipaggiamento di emergenza deve essere periodicamente verificato per accertarne lo stato di conservazione e l'efficienza: le verifiche devono essere annotate su un apposito registro, con data e firma della persona incaricata del compito. In occasione delle esercitazioni o prove di simulazione, le squadre di intervento e le altre persone coinvolte devono fare uso di quanto predisposto (DPI, attrezzature, etc.) 11. Il piano di emergenza aziendale deve indicare necessariamente un piano di evacuazione?. In cosa consiste? Come si può individuarlo? Fermo restando la predisposizione di vie ed uscite di emergenza, il piano di emergenza deve individuare tutti i percorsi, preferenziali ed alternativi, che da ciascun posto di lavoro devono essere seguiti per raggiungere i luoghi sicuri. In situazioni con elevato affollamento di persone, ed in particolare in presenza di pubblico, può essere necessario predisporre nuclei di operatori esclusivamente addetti all'evacuazione, cioè capaci di indirizzare e convogliare verso le vie di fuga, prestabilite dal piano di emergenza, i flussi di persone; loro compito specifico è anche quello di verificare che l'evacuazione sia completa e avvenga in modo ordinato verso luoghi sicuri o centri di raccolta. I centri di raccolta sono zone in cui devono confluire inizialmente le persone per poi essere allontanate definitivamente ed in modo ordinato per evitare intralcio agli eventuali mezzi di soccorso. Nei luoghi di lavoro non aperti al pubblico il centro di raccolta deve essere utilizzato anche per censire le persone evacuate. Qualora l'evacuazione sia predisposta esclusivamente verso i centri di raccolta sarà necessario prevedere un appropriato numero di sistemi o mezzi di trasporto per effettuare l'ulteriore allontanamento delle persone. Dai centri di raccolta deve essere possibile comunicare con il centro di controllo dell'emergenza. I luoghi sicuri e le vie di emergenza devono essere riportati sulle planimetrie citate per gli equipaggiamenti; in situazioni particolarmente complesse può essere necessario predisporre planimetrie separate. 12. Qualora avvenga un evento pericoloso di proporzioni non limitabili e comunque non immediatamente circoscrivibili con i mezzi disponibili all'interno dell'azienda, cosa è necessario fare? Esistono delle prescrizioni in proposito? Il coinvolgimento della pubblica Autorità (Prefettura, Vigili del fuoco, etc.) è una decisione che va ponderata accuratamente e deve essere presa quando non si è in grado di valutare l'entità dell'evento oppure ci si rende conto che è impossibile arrestare l'emergenza con le procedure previste o questa può travalicare i confini dello stabilimento. Pertanto ogni qualvolta un evento pericoloso assume proporzioni non limitabili e comunque non immediatamente circoscrivibili con i mezzi disponibili all'interno dell'azienda vanno attivate, per gradi, le risorse esterne predisposte dalla pubblica Autorità. Nel richiedere l'aiuto esterno vanno fornite, anche in tempi successivi, il maggior

numero di informazioni possibili e utili a migliorare l'intervento stesso quali ad esempio:

- stato dell'emergenza (allarme, preallarme) - ubicazione dell'evento, - dimensioni dell'evento, - tipo e quantità delle sostanze coinvolte, - equipaggiamenti di emergenza presenti in azienda, - condizioni climatiche (ad esempio in caso di rilascio di sostanze pericolose) - previsioni sulle possibili conseguenze esterne

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- dati identificativi di chi trasmette. E' anche necessario che vengano individuate una o più persone che sul posto siano in grado di fornire informazioni più dettagliate sull'evento ai responsabili della pubblica Autorità intervenuti sul luogo. Le procedure di richiesta di intervento della pubblica Autorità, all'interno di un piano di emergenza, devono includere in modo preciso i diversi enti da coinvolgere (a seconda del tipo di incidente), le modalità di richiesta, i soggetti incaricati di effettuare la richiesta, ed infine i vari livelli di attivazione (Vigili del fuoco, AUSL, Sindaco, Prefettura, Regione, etc.) 13. Cosa sono le verifiche del piano di emergenza? Quando devono essere effettuate? Un piano di emergenza, prima di essere definitivamente adottato, deve essere sottoposto ad una sorta di "analisi di congruità" che ne accerti l'effettiva capacità di applicazione in tutte le situazioni esaminate. In particolare occorre valutare e verificare:

- la risposta dei piano di emergenza in merito all'eliminazione o minimizzazione delle conseguenze;

- la capacità/tempestività decisionale ed applicativa delle procedure espressa dai responsabili di piano di emergenza;

- l'efficienza e l'affidabilità degli equipaggiamenti predisposti; - l'adeguatezza delle vie di esodo e delle eventuali aree di sicurezza (o centri di

raccolta); - l'affiatamento, la capacità tecnica e la tempestività delle squadre di

intervento; - il grado di conoscenza delle procedure da parte di tutti i lavoratori presenti in

azienda. Queste verifiche, devono essere effettuate con simulazioni ed esercitazioni; è opportuno che siano coerenti con gli eventi ipotizzati e con la dimensione dell'attività, non devono cioè essere limitate solo ai singoli impianti, ma prevedere anche situazioni più ampie, come il coinvolgimento dell'intero stabilimento o della pubblica Autorità; devono ovviamente essere affrontate in tutte le condizioni possibili (dì, notte, giorni festivi, condizioni di maltempo, etc.) ove richiesto dalla tipologia e dalle caratteristiche dell'attività. I risultati delle simulazioni, esercitazioni o prove possono fornire, infine, utili indicazioni sia in merito a modifiche, integrazioni, predisposizioni di procedure alternative sia alla reale risposta dei sistemi o presidi di emergenza predisposti. 14. Esistono diverse tipologie di piani di emergenza è è possibile fare riferimento ad un unico modello? A seconda delle caratteristiche della attività (intese come dimensione, numero di addetti o persone presenti, tipo di impianti, collocazione urbanistica) possono essere individuati diversi livelli di piano di emergenza ciascuno dei quali, pur rispettando i criteri e le procedure generali, ha un diverso grado di approfondimento e di complessità in una possibile scala di gravità; questi possono essere sintetizzati in:

- piano di emergenza di unità o di impianto; - piano di emergenza di stabilimento; - piano di emergenza esterno o generale.

15. Cos’è il piano di emergenza di unità? In quali circostanze deve essere predisposto? Il piano di emergenza di unità (o di impianto) è quella parte del piano di emergenza complessivo che riguarda espressamente la singola unità o impianto. Prende in

98

considerazione tutti gli eventi incidentali che possono verificarsi nell'unità o nell'impianto e deve individuare chiaramente:

- responsabili locali per ciascun turno - area/e operativa/e dove devono recarsi il responsabile del piano di

emergenza di stabilimento, il responsabile locale, le squadre di intervento, i soccorritori ed il nucleo degli addetti all'evacuazione. In caso di incidente il responsabile di PE di stabilimento, effettuata una immediata valutazione dell'entità e dei possibili sviluppi quali-quantitativi dell'evento, deciderà se attivare o meno i piani di emergenza di altre unità o dell'intera attività (piano di emergenza di stabilimento) o che interessano anche l'esterno (piano di emergenza esterno);

- composizione delle squadre di intervento, - composizione del nucleo di soccorritori, - composizione dell'eventuale nucleo di evacuatori, - collocazione dell'equipaggiamento di emergenza e specificazione dei mezzi da

utilizzare in base al tipo di evento incidentale, - collocazione dell'equipaggiamento di emergenza di scorta, - ubicazione dei DPI a disposizione del personale da evacuare, - sistemi di allarme per allertare le squadre di intervento, i soccorritori e gli

addetti all'evacuazione, nonchè le procedure per la loro attivazione, - sistemi di comunicazione tra aree operative, centri di raccolta e centro di

controllo, - vie di esodo, centri di raccolta ed eventuali mezzi per l'ulteriore

allontanamento delle persone, nonchè le zone ad accesso limitato o interdetto.

Il piano di emergenza di unità viene predisposto esclusivamente per l'unità che presenta potenzialmente il rischio di eventi incidentali; si identifica con il piano di stabilimento quando quest'ultimo coincide con l'unità stessa. Nel caso di incidenti minori o emergenze facilmente circoscrivibili può risultare sufficiente e risolutivo. Il piano di emergenza di stabilimento viene predisposto quando l'azienda presenta più unità a rischio di eventi incidentali, o quando unità di per sè non a rischio possono essere interessate da incidenti verificatisi in altre unità. Esso è costituito dai piano di emergenza delle varie unità (o impianti) e dalle necessarie correlazioni tra gli stessi; deve inoltre individuare con precisione:

- responsabile del piano di emergenza di stabilimento e i suoi sostituti, - collocazione del centro di controllo, - modalità di comunicazione tra centro di controllo, centri di raccolta e aree

operative, - modalità di comunicazione tra centro di controllo e l'esterno dello

stabilimento, - modalità di attivazione della pubblica Autorità, sia da parte dei responsabili

locali che da parte del responsabile del piano di emergenza di stabilimento 16. Cos’è il piano di emergenza esterno? Il piano di emergenza esterno è quel piano che viene messo a punto dalla pubblica

Autorità per tutelare l'incolumità della popolazione e la salvaguardia dell'ambiente. La sua applicazione (in caso di eventi legati ai rischi propri dell'attività) viene richiesta, dal responsabile del piano di emergenza di stabilimento o dalla pubblica Autorità (VVF, AUSL, etc.) intervenuta in fase di emergenza, quando l'evento evolve o può evolvere verso situazioni gravi che interessano aree esterne allo stabilimento. Il piano di emergenza esterno può essere preparato espressamente per ogni stabilimento che sia potenziale sorgente di pericolo, oppure avere carattere più generale e onnivalente per tutte le necessità comuni alle varie emergenze (es:

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gestione dell'ordine pubblico, regolamentazione del traffico, utilizzo degli ospedali, etc.). 17. A norma dell’art. 18, comma 1, lett. b) del D.Lgs 81/08, il datore di lavoro deve designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di primo soccorso. Quali sono le caratteristiche principali che devono possedere tali soggetti? Per queste figure professionali il mandato è richiamato sommariamente nel D.Lgs 81/08. La variabilità degli ambienti di lavoro, in termini di dimensioni, localizzazione, rischi specifici, non consente a questo livello di trattazione specificazioni; d’altra parte è prevista una ulteriore normazione in tal senso. Si ritiene che nella maggior parte delle attività soggette all’obbligo di osservare il D.Lgs 81/08, queste figure dovranno svolgere un ruolo di “attesa attiva” delle strutture esterne preposte ai pronto soccorso, limitandosi ad evitare l’aggravarsi di danni già eventualmente instaurati ed evitando atteggiamenti eccessivamente “interventistici”. È da sottolineare come verosimilmente tale ruolo non potrà essere indifferentemente svolto da qualsiasi soggetto, per cui andranno opportunamente valutati aspetti di tipo personale e caratteriale. Devono essere distinti in relazione al grado di complessità aziendale e alla specifica natura dei rischi ivi presenti, anche dopo verifica dell’andamento del fenomeno infortunistico (sede, natura e gravità delle lesioni) e tenendo presente il ruolo di indirizzo che dovrà svolgere al proposito il medico competente. Ad un livello di base si potrà prevedere:

- conoscenza di nozioni elementari del primo soccorso in relazione a danni oculari, ferite, emorragie, ustioni gravi, arresto cardio-respiratorio, perdita di conoscenza.

In situazioni più strutturate o a rischio o logisticamente disagevoli potrà essere utile una formazione più specialistica nell’ambito di una particolare strutturazione organizzativa, finalizzata al primo trattamento di:

- danni oculari, ustioni e causticazioni, ferite, amputazioni, distorsioni, lesioni muscolo-tendinee, lussazioni, fratture, traumi cranici, politraumatismi gravi, folgorazione, intossicazione acuta da inquinanti aerodispersi, avvelenamenti, punture di insetto, morso di vipera, patologia acuta da calore e da basse temperature, epistassi, perdita di coscienza, arresto cardio-respiratorio.

In ogni caso la formazione dovrà comprendere l’acquisizione delle seguenti capacità: - saper descrivere alle unità di soccorso esterno lo stato del soggetto da

soccorrere e le caratteristiche topografiche del luogo da raggiungere; - sapere proteggere la propria persona dai rischi derivanti dall’opera di pronto

soccorso. Le caratteristiche individuali di scolarità possono essere molto varie; è comunque opportuno un discreto livello di cultura generale. È da vedere con favore l’esistenza di una personale propensione verso l’argomento. 18. Che tipo di formazione devono ricevere i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di primo soccorso? La formazione dovrà essere pratica ed essenziale, in grado di dare luogo, al bisogno,

a comportamenti precisi ed efficaci e potrà essere direttamente curata dal medico competente. Il datore di lavoro, tenendo conto della natura della attività e delle dimensioni dell’azienda o della unità produttiva, sentito il medico competente ove nominato, prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.

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19. Esistono delle caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso?

Le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio sono individuati dal decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 e dai successivi decreti ministeriali di adeguamento. In particolare, il decreto prevede che le aziende ovvero le unità produttive sono classificate, tenuto conto della tipologia di attività svolta, del numero dei lavoratori occupati e dei fattori di rischio, in tre gruppi. 20. Il decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 individua, tra le altre, attività lavorative di Gruppo A). Quali sono? I) Aziende o unità produttive con attività industriali, soggette all'obbligo di dichiarazione o notifica, di cui all'articolo 2, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, centrali termoelettriche, impianti e laboratori nucleari di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, aziende estrattive ed altre attività minerarie definite dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 624, lavori in sotterraneo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320, aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni; II) Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori appartenenti o riconducibili ai gruppi tariffari INAIL con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a quattro, quali desumibili dalle statistiche nazionali INAIL relative al triennio precedente ed aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno. Le predette statistiche nazionali INAIL sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale; III) Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori a tempo indeterminato del comparto dell'agricoltura. 21. Quali sono le aziende appartenenti al Gruppo C, ai fini delle caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso? Gruppo B: Aziende o unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A. Gruppo C: Aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A. 22. Sono un datore di lavoro di un’azienda con oltre sei lavoratori a tempo indeterminato del comparto dell'agricoltura. Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso? Quali sono i contenuti minimi della cassetta di pronto soccorso? Il datore di lavoro, sentito il medico competente, ove previsto, deve identificare la categoria di appartenenza della propria azienda od unità produttiva e, come nel caso di riportato nel quesito, appartenendo al gruppo A, la comunica all'Azienda Unità Sanitaria Locale competente sul territorio in cui si svolge l'attività lavorativa, per la predisposizione degli interventi di emergenza del caso.

Nel caso in cui l'azienda o l’unità produttiva sia classificata di gruppo A, il Datore di Lavoro dota il luogo di lavoro di una cassetta di pronto soccorso (il cui contenuto è conforme a quanto indicato nella tabella seguente), integrata dai materiali eventualmente scelti, su parere anche del medico competente, in funzione dei rischi specifici aziendali e di un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.

CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO

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Guanti sterili monouso (5 paia). Visiera paraschizzi Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro (1). Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro - 0, 9%) da 500 ml (3). Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (10).

Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (2). Teli sterili monouso (2). Pinzette da medicazione sterili monouso (2). Confezione di rete elastica di misura media (1). Confezione di cotone idrofilo (1). Confezioni di cerotti di varie misure pronti all'uso (2). Rotoli di cerotto alto cm. 2,5 (2). Un paio di forbici. Lacci emostatici (3). Ghiaccio pronto uso (due confezioni). Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2). Termometro. Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa.

La cassetta di Pronto Soccorso deve essere tenuta presso ciascun luogo di lavoro e deve essere adeguatamente custodita in un luogo facilmente accessibile ed individuabile con segnaletica appropriata. 23. Sono un datore di lavoro di un’azienda con tre lavoratori a tempo indeterminato. Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso? Quali sono i contenuti minimi della cassetta di pronto soccorso? Se l'azienda è ricompresa nel gruppo B, il datore di lavoro dota il luogo di lavoro di una cassetta di pronto soccorso (il cui contenuto è conforme a quanto indicato nella tabella sottostante), integrata dai materiali eventualmente scelti, su parere anche del medico competente, in funzione dei rischi specifici aziendali e di un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.

CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO

Guanti sterili monouso (5 paia).

Visiera paraschizzi Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro (1). Flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro - 0, 9%) da 500 ml (3). Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (10). Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (2). Teli sterili monouso (2). Pinzette da medicazione sterili monouso (2). Confezione di rete elastica di misura media (1). Confezione di cotone idrofilo (1). Confezioni di cerotti di varie misure pronti all'uso (2). Rotoli di cerotto alto cm. 2,5 (2). Un paio di forbici. Lacci emostatici (3).

Ghiaccio pronto uso (due confezioni). Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (2). Termometro. Apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa.

La cassetta di Pronto Soccorso deve essere tenuta presso ciascun luogo di lavoro e deve essere adeguatamente custodita in un luogo facilmente accessibile ed individuabile con segnaletica appropriata.

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24. Sono un datore di lavoro di un’azienda con meno di tre lavoratori. Quali sono gli adempimenti che devo porre in essere in tema di primo soccorso?

Devo avere una cassetta di pronto soccorso o è sufficiente il pacchetto di medicazione? Nel caso prospettato l’azienda appartiene al gruppo C. E’ quindi sufficiente un pacchetto di medicazione (il cui contenuto è conforme a quanto indicato nella tabella sottostante), integrato dai materiali eventualmente scelti, su parere anche del medico competente, sulla base dei rischi specifici aziendali. Anche in questo caso è necessario che vi sia a disposizione un sistema per le comunicazioni sanitarie di emergenza.

CONTENUTO MINIMO DEL PACCHETTO DI MEDICAZIONE

Guanti sterili monouso (2 paia). Flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 125 ml (1). Flacone di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 250 ml (1). Compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole (1).

Compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole (3). Pinzette da medicazione sterili monouso (1). Confezione di cotone idrofilo (1). Confezione di cerotti di varie misure pronti all'uso (1). Rotolo di cerotto alto cm 2,5 (1). Rotolo di benda orlata alta cm 10 (1). Un paio di forbici (1). Un laccio emostatico (1). Confezione di ghiaccio pronto uso (1). Sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari (1). Istruzioni sul modo di usare i presidi suddetti e di prestare i primi soccorsi in attesa del servizio di emergenza.

Il pacchetto di medicazione di Pronto Soccorso deve essere tenuto presso ciascun luogo di lavoro e deve essere adeguatamente custodito in un luogo facilmente accessibile ed individuabile con segnaletica appropriata. 25. Sono un datore di lavoro di una media impresa (con 43 dipendenti) che ha appena nominato un addetto al primo soccorso. Qual è la formazione minima che devo garantire? Su chi gravano i costi? Chi deve svolgere la formazione? Con quale cadenza deve essere ripetuta la formazione? Gli addetti al pronto soccorso, designati dal Datore di lavoro, sono formati con istruzione teorica e pratica per l'attuazione delle misure di primo intervento interno e per l'attivazione degli interventi di pronto soccorso. La formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico, in collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di altro personale specializzato. La formazione degli addetti andrà ripetuta con cadenza triennale almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico. Nel caso prospettato, l’azienda rientra nel Gruppo A)

Gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della formazione dei lavoratori designati al pronto soccorso per le aziende di gruppo A sono indicati nelle Tabelle seguenti.

OBIETTIVI DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Prima giornata modulo A

Totale n. 6 ore

Allertare il sistema di soccorso

Cause e circostanze dell'infortunio (luogo dell'infortunio, numero delle persone coinvolte, stato degli infortunati, ecc.);

Comunicare le predette informazioni in maniera

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chiara e precisa ai Servizi di assistenza sanitaria di emergenza.

Riconoscere un'emergenza sanitaria

a) Scena dell'infortunio: raccolta delle informazioni; previsione dei pericoli evidenti e di quelli

probabili; b) Accertamento delle condizioni psico-fisiche del

lavoratore infortunato: funzioni vitali (polso, pressione, respiro); stato di coscienza; ipotermia e ipertermia;

c) Nozioni elementari di anatomia e fisiologia dell'apparato cardiovascolare e respiratorio.

d) Tecniche di autoprotezione del personale addetto al soccorso.

Attuare

gli interventi di primo soccorso

a) Sostenimento delle funzioni vitali:

posizionamento dell'infortunato e manovre per la pervietà delle prime vie aeree;

respirazione artificiale; massaggio cardiaco esterno.

b) Riconoscimento e limiti d'intervento di primo

soccorso: lipotimia, sincope, shock; edema polmonare acuto; crisi asmatica; dolore acuto stenocardico; reazioni allergiche; crisi convulsive; emorragie esterne post-traumatiche e

tamponamento emorragico;

Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta

OBIETTIVI DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Seconda giornata modulo B

Totale n. 4 ore

Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro

Cenni di anatomia dello scheletro; Lussazioni, fratture e complicanze;

Traumi e lesioni cranio-encefalici e della colonna vertebrale.

Traumi e lesioni toraco-addominali.

Acquisire conoscenze generali sulle patologie specifiche in ambiente di lavoro

Lesioni da freddo e da calore. Lesioni da corrente elettrica. Lesioni da agenti chimici. Intossicazioni. Ferite lacero contuse. Emorragie esterne.

OBIETTIVI

DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Terza giornata Modulo C

Totale n. 6 ore

Acquisire capacità di Intervento pratico

Tecniche di comunicazione con il sistema di emergenza del S.S.N.

Tecniche di primo soccorso nelle sindromi cerebrali acute.

Tecniche di primo soccorso nella sindrome di insufficienza respiratoria acuta.

Tecniche di rianimazione cardiopolmonare.

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Tecniche di tamponamento emorragico. Tecniche di sollevamento, spostamento e trasporto

del traumatizzato. Tecniche di primo soccorso in casi di esposizione

accidentale ad agenti chimici e biologici.

26. Sono un datore di lavoro un’azienda che produce e commercializza software con 5 dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato. Qual è la formazione minima che devo garantire agli addetti al primo soccorso? Su chi gravano i costi? Chi deve svolgere la formazione? Con quale cadenza deve essere ripetuta la formazione? L’azienda appartiene al Gruppo B. Gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della formazione dei lavoratori designati al pronto soccorso per le aziende di gruppo B sono indicati nelle Tabelle seguenti.

OBIETTIVI

DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Prima giornata modulo A

Totale n. 4 ore

Allertare il sistema di soccorso

a) Cause e circostanze dell'infortunio (luogo dell'infortunio, numero delle persone coinvolte, stato degli infortunati, ecc.); b) Comunicare le predette informazioni in maniera chiara e precisa ai Servizi di assistenza sanitaria di emergenza.

Riconoscere un'emergenza sanitaria

a) Scena dell'infortunio: raccolta delle informazioni; previsione dei pericoli evidenti e di quelli

probabili; b) Accertamento delle condizioni psico-fisiche del

lavoratore infortunato: funzioni vitali (polso, pressione, respiro); stato di coscienza; ipotermia e ipertermia;

c) Nozioni elementari di anatomia e fisiologia dell'apparato cardiovascolare e respiratorio.

d) Tecniche di autoprotezione del personale addetto al soccorso.

Attuare gli interventi di primo soccorso

a) Sostenimento delle funzioni vitali: posizionamento dell'infortunato e manovre per

la pervietà delle prime vie aeree; respirazione artificiale; massaggio cardiaco esterno.

b) Riconoscimento e limiti d'intervento di primo soccorso:

lipotimia, sincope, shock; edema polmonare acuto; crisi asmatica; dolore acuto stenocardico; reazioni allergiche;

crisi convulsive; emorragie esterne post-traumatiche e tamponamento

emorragico.

Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta

OBIETTIVI DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Seconda giornata modulo B

Totale n. 4 ore

Acquisire Cenni di anatomia dello scheletro.

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conoscenze generali sui

traumi in ambiente di lavoro

Lussazioni, fratture e complicanze. Traumi e lesioni cranio-encefalici e della colonna

vertebrale.

Traumi e lesioni toraco-addominali.

Acquisire conoscenze generali sulle patologie specifiche in ambiente di lavoro

Lesioni da freddo e da calore. Lesioni da corrente elettrica. Lesioni da agenti chimici. Intossicazioni. Ferite lacero contuse. Emorragie esterne.

OBIETTIVI DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Terza giornata Modulo C

Totale n. 4 ore

Acquisire capacità di Intervento pratico

Tecniche di comunicazione con il sistema di emergenza del S.S.N.

Tecniche di primo soccorso nelle sindromi cerebrali

acute. Tecniche di primo soccorso nella sindrome di

insufficienza respiratoria acuta. Tecniche di rianimazione cardiopolmonare. Tecniche di tamponamento emorragico. Tecniche di sollevamento, spostamento e trasporto del

traumatizzato. Tecniche di primo soccorso in casi di esposizione

accidentale ad agenti chimici e biologici.

27. Ho appena nominato un addetto al primo soccorso. Lavoro in una piccola azienda (3 dipendenti). Esistono dei corsi di formazione specifici per gli addetti al primo soccorso? Quali sono i requisiti? L’azienda appartiene al Gruppo C. Gli obiettivi didattici e i contenuti minimi della formazione dei lavoratori designati al pronto soccorso per le aziende di gruppo C sono indicati nelle Tabelle seguenti

OBIETTIVI DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Prima giornata modulo A

Totale n. 4 ore

Allertare il

sistema di soccorso

a) Cause e circostanze dell'infortunio (luogo

dell'infortunio, numero delle persone coinvolte, stato degli infortunati, ecc.); b) Comunicare le predette informazioni in maniera chiara e precisa ai Servizi di assistenza sanitaria di emergenza.

Riconoscere un'emergenza sanitaria

a) Scena dell'infortunio: raccolta delle informazioni; previsione dei pericoli evidenti e di quelli

probabili;

b) Accertamento delle condizioni psico-fisiche del lavoratore infortunato:

funzioni vitali (polso, pressione, respiro); stato di coscienza; ipotermia e ipertermia;

c) Nozioni elementari di anatomia e fisiologia dell'apparato cardiovascolare e respiratorio.

d) Tecniche di autoprotezione del personale addetto al soccorso.

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Attuare gli interventi

di primo soccorso

a) Sostenimento delle funzioni vitali: posizionamento dell'infortunato e manovre per

la pervietà delle prime vie aeree; respirazione artificiale; massaggio cardiaco esterno.

b) Riconoscimento e limiti d'intervento di primo soccorso:

lipotimia, sincope, shock; edema polmonare acuto; crisi asmatica; dolore acuto stenocardico; reazioni allergiche; crisi convulsive; emorragie esterne post-traumatiche e

tamponamento emorragico.

Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta

OBIETTIVI

DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Seconda giornata

modulo B

Totale n. 4 ore

Acquisire conoscenze generali sui traumi in ambiente di lavoro

Cenni di anatomia dello scheletro. Lussazioni, fratture e complicanze. Traumi e lesioni cranio-encefalici e della colonna

vertebrale.

Traumi e lesioni toraco-addominali.

Acquisire conoscenze generali sulle patologie specifiche in ambiente di lavoro

Lesioni da freddo e da calore. Lesioni da corrente elettrica. Lesioni da agenti chimici. Intossicazioni. Ferite lacero contuse.

Emorragie esterne.

Conoscere i rischi specifici dell'attività svolta

OBIETTIVI DIDATTICI

PROGRAMMA TEMPI

Terza giornata Modulo C

Totale n. 4 ore

Acquisire capacità di Intervento pratico

Tecniche di comunicazione con il sistema di emergenza del S.S.N.

Tecniche di primo soccorso nelle sindromi cerebrali acute.

Tecniche di primo soccorso nella sindrome di insufficienza respiratoria acuta.

Tecniche di rianimazione cardiopolmonare. Tecniche di tamponamento emorragico. Tecniche di sollevamento, spostamento e trasporto

del traumatizzato. Tecniche di primo soccorso in casi di esposizione

accidentale ad agenti chimici e biologici.

28. Per una corretta classificazione delle aziende ai fini del primo soccorso,

come vanno considerati i lavoratori? Esistono dei criteri di computo? Con nota del 22 giugno 2004, il Ministero della Salute ha chiarito che, ai fini della classificazione delle aziende, vanno considerati tutti i lavoratori dell'azienda. La classificazione dipenderà, oltre che dal numero di lavoratori occupati, dalla tipologia di attività svolta e dai rischi cui sono esposti i lavoratori. In particolare, se l'azienda o l'unità produttiva svolge attività lavorative comprese in diversi gruppi tariffari INAIL - nel caso ci si debba ricondurre a tali gruppi per identificare la categoria di appartenenza -, il datore di lavoro dovrà riferirsi all'attività con indice più elevato,

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fermo restando che il numero di lavoratori riconducibili a tale attività sia superiore a 5. Una tale classificazione porta le aziende suddivise in più unità produttive a poter classificare in maniera differente (e dunque a darsi differenti organizzazioni nella gestione del pronto soccorso) le singole unità produttive. Riteniamo che risulti assimilabile ad unità produttiva ogni sede dell’azienda con diversa ubicazione territoriale. 29. Il datore di lavoro deve comunicare alla Asl l’appartenenza alle varie categorie previste dal DM 388/03? Come deve avvenire la comunicazione? Esistono delle indicazioni sui contenuti che devono essere assicurati nella comunicazione? E’ previsto che il datore di lavoro, sentito il medico competente ove previsto, identifichi la categoria di appartenenza dell’Azienda / Unità produttiva e, qualora di gruppo A, invii comunicazione all’Azienda USL competente territorialmente. La comunicazione dovrà essere inoltrata tramite un’apposita autocertificazione. Le diverse regioni potranno indicare dove inviare l’autocertificazione (Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, Centrale del 118 territorialmente competente), l’importante è che le informazioni riportate non risultino un mero esercizio di raccolta cartacea, ma servano nel caso di intervento, a rispondere correttamente e tempestivamente all’emergenza. 30. Che differenza c’è tra la cassetta di pronto soccorso e il pacchetto di medicazione? Le aziende o le unità produttive di gruppo A e B devono avere la cassetta di pronto soccorso mentre per le aziende o unità produttive di gruppo C basta il pacchetto di medicazione. I contenuti minimi di cassetta e pacchetto, indicati agli allegati n. 1 e 2 del Decreto 388/2003, differiscono dal punto di vista qualitativo (nella cassetta ci sono alcuni componenti in più, quali visiera paraschizzi, teli sterili monouso, rete elastica, termometro, apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa), e soprattutto quantitativa (ad es. maggior numero di guanti sterili monouso nella cassetta, soluzione fisiologica in flaconi da 500 cc anziché 250, ecc.). 31. E’ possibile integrare i contenuti della cassetta di pronto soccorso in relazione ad specifici rischi presenti in azienda? Trattandosi di contenuti minimi è possibile che vengano integrati quali e quantitativamente in base ai rischi specifici presenti e alle dimensioni dell’azienda. Nel caso della cassetta di pronto soccorso l’integrazione è effettuata da parte del datore di lavoro in base alle indicazioni del medico competente, se previsto. In ogni caso il datore di lavoro deve garantire la completezza e il corretto stato d’uso dei presidi contenuti. Nel caso del pacchetto di medicazione il decreto non prevede chi dovrà fornire le indicazioni per l’integrazione pur tuttavia richiama il ruolo, svolto dal medico competente quando previsto, di collaborazione con il datore di lavoro per assicurare

la completezza ed il corretto stato d’uso dei presidi. 32. La cassetta di pronto soccorso come e dove deve essere custodita? Sia la cassetta di pronto soccorso che il pacchetto di medicazione devono essere custoditi in un luogo facilmente accessibile e segnalato (il decreto limita la segnalazione alla cassetta ma ci sembra doveroso segnalare in ogni azienda il luogo dove sono tenuti i presidi di pronto soccorso). In ogni caso, ciascun lavoratore deve essere correttamente informato sul luogo ove sono custoditi tali presidi e sul nominativo/i dell’addetto/i al pronto soccorso.

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33. Lavoro in un’azienda appartenente al gruppo A. So che il DM 388/03

prevede che il datore di lavoro deve garantire il raccordo tra il sistema di pronto soccorso interno e il sistema di emergenza del SSN. Cosa significa? Che tipo di adempimenti devo espletare? Esistono delle indicazioni in proposito? Questa dicitura, riportata all’art 2, comma 4, del DM 388/03 potrebbe lasciare spazio a diverse ipotesi interpretative. Infatti non è perfettamente chiaro a cosa si riferiscano alcuni termini quali:

- consorziate in quanto mai nel decreto si parla di possibile consorzio tra ditte nella gestione del pronto soccorso aziendale;

- raccordo non è chiaro tra chi e a che livello (tra il responsabile del pronto soccorso aziendale e il sistema di emergenza del SSR, tra quest’ultimo e il datore di lavoro).

- sistema di pronto soccorso interno: Si tratta di quanto previsto dall’art. 45 del D.Lgs 81/08 oppure il termine "sistema" lascia intendere qualcosa di più complesso (presenza di infermeria, autoambulanza, ecc.).

Comunque, in base alle considerazioni sopra riportate, si deve intendere che le aziende di gruppo A, richiamate all’art 2 comma 4, anche in forma consorziata, in aggiunta a quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo (cassetta di medicazione e mezzo di comunicazione), qualora dotate di un proprio sistema di pronto soccorso (infermeria, mezzo di primo soccorso, …) debbono garantire il raccordo tra questo sistema interno e il sistema di emergenza del SSR. 34. Esistono prescrizioni particolare per l’organizzazione del sistema di primo soccorso nelle attività edili? E’ indispensabile che nei cantieri edili, nell’impossibilità che ogni singola impresa disponga di una persona adeguatamente formata, si realizzi una gestione unitaria delle emergenze (e dunque del pronto soccorso) e che questa, progettata dal coordinatore della sicurezza, sia gestita da un datore di lavoro di una delle imprese presenti (quando presente dell’impresa appaltatrice), anche tramite un proprio preposto. A questa gestione, tutte le imprese dovranno partecipare in modo da garantire la costante presenza nel cantiere di almeno una persona formata nella gestione del pronto soccorso.. Un’organizzazione simile potrebbe essere fatta per tutti quei casi in cui l’azienda manda i suoi lavoratori a lavorare presso altre strutture (squadre di pulizia, addetti alla ristorazione collettiva operanti presso mense aziendali) o nei casi in cui le aziende sussistono in un'unica struttura (poliambulatori, centri commerciali). L’art. 45 del D.Lgs 81/08 prevede che l’organizzazione del pronto soccorso tenga conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro. Comunque un’organizzazione coordinata ed integrata tra più aziende operanti nello stesso ambiente lavorativo deve essere valutata, pianificata e portata a conoscenza dei lavoratori e dei loro rappresentanti per la sicurezza. 35. Chi sono i soggetti abilitati allo svolgimento dei corsi di primo soccorso?

I corsi devono prevedere un’istruzione teorica ed una pratica, possono essere tenuti esclusivamente da personale medico in collaborazione, se possibile, con il sistema di emergenza del SSN. Possono essere chiamati a collaborare personale infermieristico ed altro soggetto specializzato. Gli obiettivi didattici dei corsi indicano la necessità di una collaborazione tra il medico competente, il sistema di emergenza del SSR, il sistema di vigilanza delle Aziende Sanitarie. Gli stessi obiettivi indicano che la struttura formativa debba dimostrare di possedere tutta l’attrezzatura necessaria per lo svolgimento della parte pratica (manichino, ecc). In considerazione del fatto che la gran parte delle

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aziende è dislocata in zone dotate di viabilità adeguata e raggiungibili in modo relativamente agevole dai mezzi di emergenza, i corsi dovrebbero dare maggior spazio a come allertare il sistema di soccorso interno ed esterno ed a come agevolarne l’intervento, alle tecniche di autoprotezione del personale addetto al soccorso e a quegli interventi di primo soccorso realmente effettuabili da personale non sanitario. 36. Che differenza c’è tra pronto soccorso ed assistenza medica d’emergenza? Avendo un’azienda di medie dimensioni appartenente al Gruppo A, devo approntare anche l’assistenza medica d’emergenza? Si ritiene al riguardo che i termini "pronto soccorso" ed "assistenza medica d’emergenza", genericamente utilizzati nella normativa siano poco appropriati. Infatti questi termini caratterizzano specificamente le prestazioni erogate dai presidi di "Pronto Soccorso territoriale" che dispongono di mezzi, professionalità e procedure ben codificate, tali da permettere, "…oltre agli interventi diagnostico terapeutici di urgenza compatibili con le specialità di cui sono dotati, almeno il primo accertamento diagnostico, clinico, strumentale e di laboratorio, nonché gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente". Nei luoghi di lavoro invece, un intervento in caso di infortunio o malore si configura come un "primo soccorso", sia per la differenza di risorse a disposizione (interventi effettuati da personale non medico né paramedico, dotazione di attrezzature mediche non sostitutive di quelle disponibili nei presidi sanitari pubblici), sia perché l’attività di soccorso sanitario è di competenza esclusiva del SSN. 37. Con quale frequenza devono essere ripetuti i corsi per addetti al primo soccorso? I corsi di formazione per gli addetti al pronto soccorso, attestati dalla presenza di un programma, elenco docenti e certificazione del soggetto/i formato/i, ultimati entro la data di entrata in vigore del decreto ministeriale 388/03 (3 febbraio 2005) sono validi come è enunciato dal comma 5 dell’articolo 3. Ogni tre anni la formazione deve essere ripetuta, almeno nella sua componente pratica. La ripetizione dei corsi deve riguardare anche quelli effettuati prima del 3.2.2005. Per questi la scadenza dei 3 anni decorre a partire dalla data di svolgimento. Ricordiamo che per i corsi effettuati antecedentemente la data indicata e di cui non risulti l’effettuazione della parte pratica, questa va comunque programmata il prima possibile. 38. Esiste un numero minimo di addetti da impiegare al primo soccorso o la scelta può essere rimessa al datore di lavoro? Non viene specificato nel decreto il numero di addetti da formare ed adibire al pronto soccorso; si deve dedurre che il datore di lavoro debba prevedere la formazione di un numero di lavoratori tale da garantire la copertura di tutti i turni di lavoro e che a tale copertura sia addetto un numero di persone formate che garantisca l’effettiva efficienza e funzionalità del sistema di emergenza in funzione dei rischi specifici valutati per ciascuna azienda o unità produttiva. Si deve pur tuttavia ritenere indispensabile che per le aziende con un 1 dipendente o dove lavori un solo lavoratore in assenza di altre persone, compresa quella del datore di lavoro e dove quindi non risulta necessaria l’attività di formazione prevista dal Decreto, il datore di lavoro debba provvedere a formare il lavoratore al corretto utilizzo di quanto contenuto nel pacchetto di medicazione e a fornire un idoneo mezzo di comunicazione.

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39. Nella mia azienda svolge le funzioni di addetto al servizio di pronto soccorso un medico professionale. Deve svolgere lo specifico corso di

formazione? Non sono tenuti a svolgere la formazione tutte quelle aziende od unità produttive che indicano come addetto al servizio di pronto soccorso un medico o un infermiere professionale. 40. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e quelli di pronto soccorso. Devo frequentare gli appositi corsi per addetti al primo soccorso oppure la formazione che ho ricevuto come Rspp è sufficiente? Anche il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, qualora si attribuisca i compiti di pronto soccorso, è tenuto alla formazione così come prevista dal Decreto. I corsi di formazione potranno essere frequentati da lavoratori di aziende diverse, dato che gli argomenti trattati sono di interesse generale; dovrà peraltro essere cura del datore di lavoro, in collaborazione con il medico competente ove previsto, integrare gli argomenti trattati nei corsi in relazione ai rischi specifici presenti ed alla organizzazione dell'azienda. Si intende con ciò sottolineare il fatto che il programma dei corsi esaurisce la preparazione di base minima per ogni addetto, che dovrà essere eventualmente integrata per ogni singola azienda. La frequentazione del corso da parte degli addetti al primo soccorso, quindi, può non essere esaustiva degli obblighi di formazione ed informazione previsti a carico del datore di lavoro, che dovranno invece essere compiutamente individuati in sede di valutazione dei rischi. 41. Quali sono le attrezzature minime per gli interventi di pronto soccorso? Senza distinzione di gruppo di appartenenza dell’azienda o unità produttiva il datore di lavoro in collaborazione con il medico competente, ove previsto, e sulla base dei rischi specifici, individua e rende disponibili le attrezzature minime di equipaggiamento ed i dispositivi di protezione individuale per gli addetti al primo intervento interno ed al pronto soccorso. Le attrezzature ed i dispositivi di cui sopra devono essere appropriati rispetto ai rischi specifici connessi all’attività lavorativa dell’azienda o dell’unità produttiva e devono essere mantenuti in condizioni di efficienza e di pronto impiego e custoditi in luogo idoneo e facilmente accessibile. Il luogo di custodia deve essere noto ai lavoratori incaricati del pronto soccorso.. 42. Sono il titolare di un piccolo mobilificio costituito da 4 falegnami e 2 impiegati (uno tecnico ed uno amministrativo). L'indice di inabilità INAIL per l'attività di falegnameria è superiore a 4. Per classificare l'azienda secondo il DM 388/03 devo considerare il totale dei dipendenti (vale a dire 6) e considerarmi nel gruppo "AII", oppure tenere conto solamente di coloro che esercitano l'attività a rischio infortunistico più elevato (i 4 falegnami) e ritenermi quindi nel gruppo "B" ? Se l'azienda o unità produttiva svolge attività lavorative comprese in gruppi tariffari

INAIL diversi (nel caso in cui ci si debba ricondurre a tali gruppi per identificare la categoria di appartenenza), il datore di lavoro deve riferirsi all'attività con indice più elevato, fermo restando che il numero di lavoratori riconducibili a tale attività sia superiore a 5. In conclusione, la sua azienda rientra nel gruppo "B". 43. I dipendenti della mia azienda hanno effettuato un corso di Primo Soccorso nel dicembre 2001. La nuova normativa prevede che tale corso sia ripetuto con cadenza triennale. Quando inizio a calcolare il triennio: dall'effettuazione dell'ultimo corso (in questo caso dovrei ripeterlo entro il

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dicembre 2004), oppure dall'entrata in vigore del DM 388/03 prevista per il 3 febbraio 05 (in questo caso il corso dovrebbe essere eseguito entro il febbraio

del 2008) ? In questo caso la nuova norma ci sembra chiara ed esauriente. Infatti all'art. 3 comma 5 è riportato testualmente: "Sono validi i corsi di formazione per gli addetti di primo soccorso ultimati entro la data di entrata in vigore del presente decreto. La formazione dei lavoratori designati andrà ripetuta con cadenza triennale almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico". Le due affermazioni sono concatenate ed inserite (non a caso) nello stesso comma, perciò la triennalità parte dalla data di effettuazione dell'ultimo corso di primo soccorso. 44. Sono un datore di lavoro di una ditta di manutentori, che per il 90% della loro attività sono impegnati in piccoli cantieri stradali. Gli operai si spostano prevalentemente in coppia, su un automezzo munito di tutta l'attrezzatura di lavoro. Devo tenere su ogni vettura un pacchetto di medicazione? Anche l'autovettura usata dall'impiegato per spostarsi tra gli uffici deve avere il pacchetto? Si tratta di un'attività di cantiere di breve durata, che si svolge verosimilmente in luoghi non urbanizzati e che coinvolge un numero esiguo di dipendenti; riteniamo che sia necessaria ed al tempo stesso sufficiente la presenza del pacchetto di medicazione su ogni automezzo. Nel caso della vettura che si sposta in città tra un ufficio e l'altro è nostro parere che non sia obbligatoria la presenza del pacchetto di medicazione, anche se la presenza dello stesso non è vietata. Riportiamo di seguito il testo dell'art. 2 comma 5 del Decreto.... "Nelle aziende o unita' produttive che hanno lavoratori che prestano la propria attivita' in luoghi isolati, diversi dalla sede aziendale o unita' produttiva, il datore di lavoro e' tenuto a fornire loro il pacchetto di medicazione di cui all'allegato 2, che fa parte del presente decreto, ed un mezzo di comunicazione idoneo per raccordarsi con l'azienda al fine di attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale." 45. Qualcuno mi ha detto che la cassetta di Pronto Soccorso deve essere sostituita tutte le volte che viene utilizzata, perchè deve essere sempre sigillata in occasione di un eventuale controllo. Dato che la cassetta costa circa 80 € ed il pacchetto di medicazione si avvicina ai 20 € vorrei sapere se questa affermazione è vera. No, l'affermazione non è vera. Il decreto dice che la cassetta di pronto soccorso deve "essere adeguatamente custodita in un luogo facilmente accessibile .... contenere la dotazione minima indicata nell'allegato 1 ... da integrare sulla base dei rischi presenti nei luoghi di lavoro ... su indicazione del medico competente, ove previsto, .... e della quale sia costantemente assicurata la completezza ed il corretto stato d'uso dei presidi ivi contenuti".

Se ne deduce che: - il requisito fondamentale è che la dotazione minima sia presente, completa

ed in buone condizioni; - su indicazione del Medico Competente la dotazione può anche essere

aumentata, e dunque la cassetta può anche essere "assemblata" a partire dai singoli presidi, sempre con la collaborazione del Medico Competente;

- tutte le volte che si usa il ghiaccio pronto, ad esempio, sarà poi sufficiente reintegrare prontamente la dotazione minima con una nuova confezione, senza sostituire l'intera cassetta.

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- Analogo discorso si può fare per il pacchetto di medicazione. 46. Sono il proprietario di una piccola falegnameria di 7 dipendenti. Ho provveduto solo recentemente a nominare due miei dipendenti quali addetti al primo soccorso, a chi mi devo rivolgere per far effettuare loro un corso di formazione specifico secondo il D.M. 388/03 ? Riteniamo che per l'effettuazione dei corsi di formazione agli addetti al pronto soccorso il datore di lavoro debba rivolgersi in primo luogo al medico d'azienda. Il D.Lgs. 81/08 infatti definisce il ruolo del medico competente in maniera dettagliata stabilendo che il medico competente collabora con il datore di lavoro alla predisposizione del servizio di pronto soccorso e che collabora all'attività di formazione ed informazione. In caso di mancata disponibilità del medico competente (oppure in assenza dello stesso in quanto non previsto) l'azienda può rivolgersi alle Associazioni Imprenditoriali che potrebbero avere già attivato corsi specifici per i lavoratori addetti al pronto soccorso delle aziende loro associate. Ovviamente tali corsi, a partire dal 3 febbraio 2005 (data di entrata in vigore del D.M. 388), dovranno essere svolti da personale medico che, per quanto riguarda lo svolgimento della parte pratica, potrà avvalersi della collaborazione di personale infermieristico. Le caratteristiche dei corsi sono riportate negli allegati 3 e 4 del DM 388. 47. Sono il direttore sanitario di una RSA lombarda: posso evitare di sottoporre il mio personale infermieristico ai corsi di formazione per il primo soccorso? Nel corso delle indagini svolte negli anni scorsi nelle Case di Riposo o RSA (Residenze Sanitarie Assistite), è stato verificato che talvolta la Direzione Sanitaria di queste strutture considera tutto il personale sanitario già adeguatamente formato sugli argomenti di primo soccorso e pertanto non ritiene necessario fornire ulteriore formazione al riguardo. In realtà, la circolare della Regione Lombardia del 24 mag 04 sul DM 388/03 e l'analoga circolare del 27 lug 04 indicano che: "Tutte le imprese, senza esclusione alcuna, sono tenute alla formazione degli addetti al primo soccorso individuati al proprio interno... Nel caso particolare delle strutture sanitarie si ritiene che il personale sanitario facente parte del sistema di emergenza possa essere esonerato, qualora sia designato quale addetto al pronto soccorso, esclusivamente dalla formazione relativa alla gestione dell'emergenza sanitaria e all'attuazione delle misure di pronto soccorso, ma non dalla parte di formazione relativa all'allertamento del sistema di pronto soccorso." Ne consegue, a nostro giudizio, che:

- Il personale sanitario delle RSA che opera direttamente sul paziente con

interventi clinico-terapeutici (medici ed infermieri professionali), nominato quale addetto al primo soccorso, possa ritenersi adeguatamente preparato all'emergenza sanitaria in quanto, per gli studi compiuti, ha già avuto una preparazione di base. Si tratterà semplicemente di approfondire le procedure di allertamento del sistema di pronto soccorso;

- Il personale sanitario delle RSA che effettua solamente interventi di tipo assistenziale nei confronti del paziente (ASA e OSA), nominato come addetto al primo soccorso, deve invece essere adeguatamente formato allo specifico

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ruolo con corso di formazione specifico di 12 ore (come previsto dall'art. 3 del DM 388/03 per le aziende dei gruppi B e C).

48. In azienda ho nominato come addetto al Primo Soccorso Aziendale un lavoratore dipendente che è anche volontario del 118: devo comunque procedere alla sua formazione come previsto dal decreto? Il documento del Coordinamento Tecnico Interregionale della Prevenzione nei Luoghi di Lavoro denominato "Primi Indirizzi applicativi del D.M. 388/2003" chiarisce che "non sono tenuti a svolgere la formazione tutte quelle aziende od unità produttive che indicano come addetto al servizio di pronto soccorso un medico o un infermiere professionale" Quindi formalmente solo i medici e gli IP, nominati come addetti al PS aziendale, sono esonerati dall'effettuazione di un corso specifico. Nel concreto riteniamo che un'azienda possa fare a meno del corso nei confronti del proprio addetto che è già volontario presso strutture territoriali di pronto intervento sanitario (118, Croce Rossa, Croce Bianca, et cetera) solamente se è in grado di dimostrare che il lavoratore ricopre presso la struttura territoriale di pronto intervento sanitario un ruolo attivo nel prestare i primi soccorsi. Ovvero possiede la qualifica di "soccorritore" o di "istruttore", ed ha ottenuto la certificazione di qualificazione rilasciata da una Azienda Sanitaria abilitata. In questo caso si tratterà semplicemente di fornire al lavoratore le procedure di allertamento del sistema aziendale di pronto soccorso, e di verificare che la formazione venga ripetuta almeno ogni triennio. 49. Un'impresa rientrante nel gruppo A, per un malinteso tra medico competente e consulente del lavoro, ha omesso di presentare la comunicazione per il pronto soccorso. Chiede se la svista è sanzionata. No, la mancata comunicazione non è sanzionata. Quindi, dando per scontato che il primo soccorso aziendale sia stato correttamente organizzato, la comunicazione può essere effettuata anche in ritardo (in presenza di un malinteso) o comunque quando si avverano le condizioni per l'appartenenza al gruppo A. 50. L'ente per cui lavoro ha la necessità di organizzare alcuni corsi di "aggiornamento per quanto attiene alla capacità di intervento pratico" per gli addetti al pronto soccorso aziendale che hanno seguito il corso tre anni fa. L'art. 3, comma 5, del D.M. 388/2003 non specifica però la durata che deve avere questo "corso di aggiornamento". Mi chiedevo se la durata fosse in qualche modo legata al numero di addetti dell'impresa e quindi potesse variare dalle 4 alle 6 ore di formazione. Ringrazio per le delucidazioni e saluto cordialmente. La parte "pratica" occupa la terza giornata (modulo C) dei corsi di formazione descritti negli allegati 3 e 4 del DM 388. Perciò parliamo di 6 ore per il gruppo A e di 4 ore per i gruppi B e C. Tenga presente che il Decreto richiede l'aggiornamento triennale almeno per la parte pratica: significa che non è obbligatorio ripetere l'intero corso.

51. Un'azienda mi chiede se sia consono procedere alla chiusura della cassetta di pronto soccorso aziendale mediante apposita chiavetta a disposizione dei soli addetti al primo soccorso, onde garantire la custodia della stessa e la conservazione/reintegrazione del contenuto della medesima. A mio giudizio questa prassi risulta oltremodo corretta e opportuna in quanto la cassetta di pronto soccorso non è un presidio messo a disposizione di tutti i lavoratori, bensì degli addetti al primo soccorso che dovrebbero garantire l'attuazione, in

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caso di qualsiasi incidente, di precisi protocolli di intervento, conformemente alle procedure aziendali (si veda il combinato disposto del comma 2 e 1 art. 15

D. Lgs. 626/1994). Qual'è la vostra opinione al riguardo? Concordiamo perfettamente con questa impostazione. Sempre che, ovviamente ma vale comunque la pena ribadirlo, in azienda ci sia un numero "adeguato" di addetti in maniera da coprire, comunque e sempre, tutti i turni di lavoro. Le alternative d'altronde potrebbero essere:

- cassetta senza chiave con possibile rischio di "saccheggio" del contenuto; - cassetta chiusa a chiave con quest'ultima collocata in un luogo noto a

disposizione di chiunque la richieda. In entrambe queste alternative si rischia però che il singolo lavoratore si automedichi senza avere adeguate conoscenze in materia e senza seguire le procedure aziendali per l'intervento di primo soccorso.

Sezione I

Prevenzione incendi 1. La nomina degli addetti all’attuazione delle misure di prevenzione incendi può avvenire in un momento successivo all’avvio dell’attività, ovvero quando, nel caso concreto, si presentino rischi per la sicurezza? La legge è chiara in proposito. A norma dell’art. 18, comma 1, let. b) del D.Lgs 81/08, il datore di lavoro deve designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato e si salvataggio.

2. Che tipo di formazione devono possedere i soggetti incaricati della

prevenzione incendi? I soggetti incaricati all’attuazione delle misure di prevenzione incendi dovranno possedere una qualificazione specificamente tecnica (salvataggio, lotta antincendio, attivazione di dispositivi di sicurezza), ma anche essere dotati di particolari requisiti personali, sia in termini di capacità di prendere decisioni rapide e razionali in situazioni di emergenza, che nella direzione di fornire un supporto psicologico rassicurativo onde evitare o contenere eventuali situazioni di panico. Mentre sulle competenze tecniche una adeguata formazione può essere considerata strumento necessario e sufficiente, per quanto attiene al secondo blocco di requisiti è necessario prevedere in partenza particolari doti caratteriali e personali sulle quali potranno utilmente innestarsi gli interventi di natura formativa, ovvero:

- conoscenza dei principi della lotta antincendio - conoscenza di situazioni che possono dar luogo a stati di emergenza

(sversamenti, rilasci di sostanze nocive, ecc.) - conoscenza degli specifici compiti assegnati nell’ambito del piano di

emergenza - conoscenza dei percorsi e dei siti strategici della procedura di evacuazione - conoscenza della dislocazione e del funzionamento dei dispositivi di

sicurezza, dei dispositivi di protezione individuale e dei presidi antincendio e dei sistemi di abbattimento e contenimento

- conoscenza di siti critici dell’azienda in relazione a situazioni di emergenza (depositi di materiale infiammabile, tossico, nocivo, etc.)

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- capacità di individuare l’entità dell’evento e le sue possibili conoscenze, in relazione alla necessità o meno di attivare interventi esterni (VVFF, Agenzie regionali per l'ambiente, etc:)

- capacità di prevenire o almeno contenere eventuali situazioni di panico tramite opportuno supporto psicologico-rassicurativo.

Le caratteristiche di scolarità di questi soggetti possono essere di varia natura, mentre sarà verosimile prevedere che essi saranno scelti tra personale collocato precedentemente in posizioni lavorative intermedie (capireparto, capiturno, etc.) Ciò appare opportuno sia per il grado di conoscenza dell’azienda che queste figure hanno e che è particolarmente utile in situazioni di emergenza, sia per il ruolo gerarchico da essi svolto ordinariamente, che può essere prezioso al momento in cui sia necessario attivare una procedura che dovrà essere eseguita fedelmente. 3. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in attività a rischio di incendio basso? Quanto deve durare la formazione? Il DM 10/03/98 introduce (All. IX) i "Contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze, in relazione al livello di rischio dell'attività", individuando in modo preciso e dettagliato i contenuti del corso, la cui durata è di 4 ore: L'INCENDIO E LA PREVENZIONE (1 ora):

- principi della combustione; - prodotti della combustione; - sostanze estinguenti in relazione al tipo di incendio; - effetti dell'incendio sull'uomo; - divieti e limitazioni d'esercizio; - misure comportamentali.

PROTEZIONE ANTINCENDIO E PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI INCENDIO (1 ora):

- principali misure di protezione antincendio; - evacuazione in caso di incendio; - chiamata dei soccorsi.

ESERCITAZIONI PRATICHE (2 ore):

- Presa visione e chiarimento sugli estintori portatili; - Istruzioni sull'uso degli estintori portatili effettuata o avvalendosi di sussidi

audiovisivi o tramite dimostrazione pratica. 4. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in attività a rischio di incendio medio? Quanto deve durare la formazione? Il DM 10/03/98 introduce (All. IX) i "Contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze, in relazione al livello di rischio dell'attività", individuando in modo preciso e dettagliato i contenuti del corso, la cui durata è di 8 ore: L'INCENDIO E LA PREVENZIONE INCENDI (2 ore):

- Principi sulla combustione e l'incendio; - le sostanze estinguenti; - triangolo della combustione; - le principali cause di un incendio; - rischi alle persone in caso di incendio; - principali accorgimenti e misure per prevenire gli incendi.

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PROTEZIONE ANTINCENDIO E PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI INCENDIO (3 ore):

- Le principali misure di protezione contro gli incendi; - vie di esodo; - procedure da adottare quando si scopre un incendio o in caso di allarme; - procedure per l'evacuazione; - rapporti con i vigili del fuoco; - attrezzature ed impianti di estinzione; - sistemi di allarme; - segnaletica di sicurezza; - impianti elettrici di sicurezza; - illuminazione di sicurezza; - illuminazione di emergenza.

ESERCITAZIONI PRATICHE (3 ore):

- Presa visione e chiarimento sui mezzi di estinzione più diffusi; - Presa visione e chiarimenti sulle attrezzature di protezione individuale; - Esercitazioni sull'uso degli estintori portatili e modalità di utilizzo di naspi e

idranti. 5. Quali sono i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio in attività a rischio di incendio elevato? Quanto deve durare la formazione? Il DM 10/03/98 introduce (All. IX) i "Contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze, in relazione al livello di rischio dell'attività", individuando in modo preciso e dettagliato i contenuti del corso, la cui durata è di 16 ore: L'INCENDIO E LA PREVENZIONE INCENDI (4 ORE)

- Principi sulla combustione; - le principali cause di incendio in relazione allo specifico ambiente di lavoro; - le sostanze estinguenti; - i rischi alle persone e all'ambiente; - specifiche misure di prevenzione incendi; accorgimenti comportamentali per

prevenire gli incendi; - l'importanza del controllo degli ambienti di lavoro; - l'importanza delle verifiche e delle manutenzioni sui presidi antincendio.

LA PROTEZIONE ANTINCENDIO (4 ore)

- Misure di protezione passiva; - vie di esodo, compartimentazioni, distanziamenti; - attrezzature ed impianti di estinzione, - sistemi di allarme; - segnaletica di sicurezza; - impianti elettrici di sicurezza;

- illuminazione di sicurezza. PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI INCENDIO (4 ore)

- Procedure da adottare quando siscopre un incendio; - procedure da adottare in caso di allarme; - modalità di evacuazione; - modalità di chiamata dei servizi di soccorso; - collaborazione con ivigili del fuoco in caso di intervento;

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- esemplificazione di una situazione di emergenza e modalità procedurali-operative.

ESERCITAZIONI PRATICHE (4 ore)

- Presa visione e chiarimenti sulle principali attrezzature e impienti di spegnimento;

- presa visione sulle attrzzature di protezione individuale (maschere, autoprotettore, tute, etc.);

- esercitazioni sull'uso delle attrezzature di spegnimento e di protezione individuale.

6. Cos’è il certificato di prevenzione incendi?

Il certificato di prevenzione incendi attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei locali, attività, depositi, impianti ed industrie pericolose, individuati, in relazione alla detenzione ed all'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti che comportano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni ed in relazione alle esigenze tecniche di sicurezza, con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare a norma dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, sentito il Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi. Con lo stesso decreto è fissato il periodo di validità del certificato per le attività ivi individuate. 7. Da chi è rilasciato il certificato? Il certificato di prevenzione incendi è rilasciato dal competente Comando provinciale dei vigili del fuoco, su istanza dei soggetti responsabili delle attività interessate, a conclusione di un procedimento che comprende il preventivo esame ed il parere di conformità sui progetti, finalizzati all'accertamento della rispondenza dei progetti stessi alla normativa di prevenzione incendi, e l'effettuazione di visite tecniche, finalizzate a valutare direttamente i fattori di rischio ed a verificare la rispondenza delle attività alla normativa di prevenzione incendi e l'attuazione delle prescrizioni e degli obblighi a carico dei soggetti responsabili delle attività medesime. Resta fermo quanto previsto dalle prescrizioni in materia di prevenzione incendi a carico dei soggetti responsabili delle attività ed a carico dei soggetti responsabili dei progetti e della documentazione tecnica richiesta. In relazione ad insediamenti industriali ed attività di tipo complesso, il Comando provinciale dei vigili del fuoco può acquisire, ai fini del parere di conformità sui progetti, le valutazioni del Comitato tecnico regionale per la prevenzione incendi, avvalersi, per le visite tecniche, di esperti in materia designati dal Comitato stesso, nonchè richiedere il parere del Comitato centrale tecnico scientifico. Ai fini del rilascio del certificato di prevenzione incendi, il Comando provinciale dei vigili del fuoco, oltre ad eseguire direttamente accertamenti e valutazioni, acquisisce dai soggetti responsabili le certificazioni e le dichiarazioni attestanti la conformità delle attività alla normativa di prevenzione incendi, rilasciate da enti, laboratori o professionisti, iscritti in albi professionali,

autorizzati ed iscritti, a domanda, in appositi elenchi del Ministero dell'interno. Il rilascio delle autorizzazioni e l'iscrizione nei predetti elenchi sono subordinati al possesso dei requisiti stabiliti con decreto del Ministro dell'interno. Qualora l'esito del procedimento rilevi la mancanza dei requisiti previsti dalle norme tecniche di prevenzione incendi, il Comando provinciale non provvede al rilascio del certificato, dandone comunicazione all'interessato, al sindaco, al prefetto e alle altre autorità competenti ai fini dei provvedimenti da adottare nei rispettivi ambiti. Le determinazioni assunte dal Comando provinciale sono atti definitivi. Indipendentemente dal periodo di validità del certificato di prevenzione incendi,

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l'obbligo di richiedere un nuovo certificato ricorre quando vi sono modifiche di lavorazione o di strutture, nei casi di nuova destinazione dei locali o di variazioni qualitative e quantitative delle sostanze pericolose esistenti negli stabilimenti o depositi e ogni qualvolta sopraggiunga una modifica delle condizioni di sicurezza precedentemente accertate. 8. In un condominio di 6 famiglie divise su 3 piani quanti estintori bisogna avere? Il D.M. 16 maggio 1987, n. 246 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.148 del 27 giugno1987) recante "Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione " non prescrive, come misura obbligatoria, la presenza di estintori presso i suddetti fabbricati. Tuttavia è facoltà dei singoli condomini tenere a disposizione presso le singole unità immobiliari o negli spazi comuni, mezzi di estinzione anche non espressamente previsti dalle norme vigenti. 9. Il D.M. 10 marzo 1998 si applica su tutti i luoghi di lavoro? Il D.M. 10 marzo 1998 si applica alle attività che si svolgono nei luoghi di lavoro. 10. Quali normative bisogna rispettare per un impianto promiscuo a gas e gasolio? Per l'installazione di che trattasi può farsi riferimento alle prescrizioni più restrittive dettate al D.M. 12 aprile 1996 (S.O.G.U. n° 103 del 4 maggio 1996) per gli impianti termici a gas, e dalla circolare del Ministero dell'Interno 29 luglio 1971, n° 73, per gli impianti termici alimentati a combustibile liquido. In particolare il Comitato Centrale Tecnico Scientifico per la prevenzione incendi nell'esaminare un quesito analogo, ha ritenuto ammissibile l'installazione in un'unica centrale termica di bruciatori funzionante con alimentazione mista gasolio - G.P.L.. purchè: - la centrale termica abbia accesso dall'esterno; - venga realizzato all'esterno del locale un contenimento con soglia rialzata di

altezza non inferiore a 20cm ad almeno 60cm dall'apertura di ventilazione; - venga installato un rilevatore di G.P.L. a pavimento collegato ad un allarme e ad

una elettrovalvola per l'intercettazione del gas all'esterno del locale. 11. Vorrei sapere se i moduli per le certificazioni e dichiarazioni sono obbligatorie per i professionisti. I moduli per le dichiarazioni e le certificazioni da allegare alla domanda di sopralluogo ai fini del rilascio del Certificato di prevenzione incendi, sono stati predisposti dalla Direzione Generale della Protezione Civile e di Servizi Antincendi del Ministero dell'Interno, in collaborazione con i Consigli e i Collegi professionali, in linea con le indicazioni del D.M. 4 maggio 1998. Ciò premesso, pur non adottando con un atto ufficiale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, se ne raccomanda la stretta osservazione al fine di garantire la necessaria uniformità e facilitare la fase di controllo da parte dei Comandi dei Vigili del Fuoco.

12. Posso, in qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una scuola, tenere corsi per addetti antincendio per rischio medio ai lavoratori e rilasciare certificato controfirmato dal datore di lavoro? Oppure solo i Vigili del fuoco possono tenere questi corsi?Mi è stato riferito che posso tenere questi corsi tranne nel caso di rischio elevato. I corsi di formazione nella materia della prevenzione incendi possono essere svolti sia dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sia da enti pubblici e privati. Peraltro solo il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è competente per il rilascio dell’attestato di idoneità ai lavoratori designati dai datori di lavoro previo

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superamento di una prova tecnica. Secondo quanto dispone l’articolo 17, comma 4 del Dlgs 8 marzo 2006, n. 139 le attività per le quali sussiste la

competenza esclusiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in merito alla formazione e all’addestramento del personale addetto alla prevenzione, all’intervento antincendio e alla gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro, sono in particolare quelle a rischio di incendio elevato, soggette al rilascio del certificato di prevenzione incendi (locali, attività, depositi, impianti e industrie pericolose, individuati sia in relazione alla detenzione e all’impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti che comportano, in caso di incendio, gravi pericoli per l’incolumità della vita e dei beni, sia in relazione alle esigenze tecniche di sicurezza). 13. In riferimento agli adempimenti di prevenzione degli incendi, in attività produttiva, non trovo notizie complete ed esaustive riguardo la corretta e completa compilazione del registro di prevenzione incendi. Il registro dell'antincendio è uno strumento atto a fornire un quadro d'insieme sintetico sulle attività svolte dal titolare dell'azienda (Enti e privati) in merito alla "gestione della sicurezza antincendi". Il registro, obbligatorio dal 10 maggio 1998, deve essere mantenuto costantemente aggiornato e disponibile per i controlli dei Comandi provinciali dei Vigili del fuoco. La normativa vigente e la "prassi amministrativa" non richiamano modalità per la "corretta" compilazione del "registro". 14. Vorremmo sapere se è obbligatoria, per un locale di spettacolo con piu` di 100 posti, la presenza dei Vigili del fuoco nelle serate di spettacolo. Considerato il fatto che si tratta di teatro con squadra interna addestrata e formata dal comando Vigili locale e con attestato di idoneita` conseguito e rilasciato dallo stesso comando. In assenza di indicazioni specifiche del Dm 19 agosto 1996 riteniamo che debbano valere le direttive della circolare del ministero dell'Interno 27 del 7 ottobre 1991. Secondo tali direttive, la vigilanza deve essere effettuata, fra l'altro, nei teatri con capacità superiore ai 500 posti e nei teatri di posa (per riprese cinematografiche e televisive) con capacità superiore a 100 posti. 15. Ho incaricato una ditta specializzata che, periodicamente, provvede alla manutenzione degli estintori collocati nella mia azienda. Se, da un controllo, dovesse risultare che gli estintori non sono in regola o se, in situazione di incendio, un dipendente subisce dei danni a causa di estintori difettosi, la responsabilita' su chi ricade? La responsabilita' ricade, in primo luogo, sugli organi della linea operativa-produttiva aziendale, In secondo luogo, su chiunque renda inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio. Così come previsto dall'articolo 451 del Codice penale.

16. Se in un condominio fosse necessario adeguare i locali adibiti a posto macchina alle norme antincendio, le spese relative spetterebbero a tutti i condomini, o ricadrebbero interamente sui soli proprietari dei posti macchina? Le spese attengono direttamente all'adeguamento di alcuni locali (posti macchina). Pertanto la spesa stessa si ripartisce a carico dei relativi proprietari (articolo 1123 terzo comma del Codice civile). Tuttavia la questione e' controversa. Infatti sotto altro profilo si puo' sostenere la tesi

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che la spesa in questione si rifletterebbe pur sempre nella sicurezza dell'edificio in generale, sicchè la spesa stessa sarebbe di competenza di tutti

i condomini. Occorre quindi verificare le circostanze del caso singolo e il tipo di spesa di cui al quesito. 17. Vorrei sapere quali sono i requisiti per assumere la qualifica di tecnico certificatore di prevenzione incendi. Non sono stati 'codificati' i requisiti professionali necessari per la progettazione e gli adeguamenti degli impianti antincendio. I tecnici (laureati e diplomati) abilitati all'esercizio della professione possono svolgere questa attivita' nei limiti delle loro competenze e attribuzioni. Per quanto riguarda l'attivita' professionale di certificazione in materia di prevenzione incendi, invece, esiste una consistente normativa che, fra l'altro, prevede l'istituzione di 'elenchi' presso il ministero dell'Interno, elenchi che vengono periodicamente aggiornati. 18. Avendo un solo dipendente, vorrei sapere quali sono le misure di prevenzione incendi. L'impianto elettrico dell'ufficio (un normale appartamento) è stato messo a norma. L'impianto elettrico, realizzato a regola d'arte (secondo le norme del Comitato elettrotecnico italiano), deve essere dichiarato dall'impresa installatrice conforme alle norme di sicurezza (articolo 9, legge 46/90). Ai fini della prevenzione incendi il piccolo ufficio sarà dotato di: una lampada di illuminazione sussidiaria alimentata in bassa tensione (con batteria in tampone), installata al di sopra della porta di uscita, contrassegnata da segnaletica di sicurezza; un estintore portatile di primo intervento ad anidride carbonica (CO2) da 5 chilogrammi agganciato a parete, a portata di mano, segnalato da apposito cartello antincendio. 19. Un'azienda artigianale lavora nel settore della carpenteria metallica leggera. I lavoratori non si assumono le responsabilità di prevenzione ed evacuazione. Che cosa si deve fare? Il datore di lavoro designa preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza. I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni ovvero dei rischi specifici dell'azienda ovvero dell'unità produttiva. I compiti di prevenzione incendi e di evacuazione possono essere svolti direttamente dal datore di lavoro che assume le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. 20. Sono laureato in architettura e ho conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione (1995). Vorrei sapere quali requisiti occorrono per poter progettare e adeguare gli impianti antincendio degli immobili sia pubblici

che privati. Non sono stati 'codificati' i requisiti professionali necessari per la progettazione e gli adeguamenti degli impianti antincendio. I tecnici (laureati e diplomati) abilitati all'esercizio della professione possono svolgere queste attivita' nei limiti delle loro competenze e attribuzioni. Per quanto concerne l'attivita' professionale di certificazione in materia di prevenzione incendi, invece, esiste una consistente normativa che, tra l'altro, prevede l'istituzione di 'elenchi' , periodicamente aggiornati, presso il ministero dell'Interno.

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Capitolo 6 Informazione, formazione e addestramento

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1. Il D.Lgs 81/08 impone ai datori di lavoro di provvedere a erogare

“informazione” ai propri lavoratori. In cosa consiste l’informazione. Esistono dei contenuti minimi? Ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze provvedono affinché ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione su: a) i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale; b) le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate; c) i rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia; d) i pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica; e) le procedure che riguardano il pronto soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione dei lavoratori; f) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente; g) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di emergenza. 2. Sono un datore di lavoro che fruisce dell’attività di lavoratori a domicilio. Devo assicurare a tali lavoratori una qualche forma di informazione sui contenuti del D.Lgs 81/08? I contenuti dell’informazione previsti dall’art. 36 del D.Lgs 81/08 devono essere forniti anche ai lavoratori a domicilio o con contratto di portierato di diritto privato. I soggetti suddetti, inoltre, adottano le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico e informano il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione. 3. In cosa consiste, concretamente, l’attività di informazione? A tal proposito va rilevato che quando la legge stabilisce l'obbligo di informare circa i rischi specifici non vuole significare che il destinatario della norma debba, di volta in volta, spiegare al lavoratore il modo di comportarsi in qualsiasi operazione elementare propria della sua attività e al suo livello professionale ma, piuttosto, intende imporre il dovere di avvertire, in via preliminare, e una volta per sempre, quali rischi specifici caratterizzano l'attività lavorativa che si va ad intraprendere; ciò, peraltro, risulta evidente dalla esemplificazione dei mezzi e delle modalità tramite le quali i lavoratori debbono (o possono) essere informati14. Dal canto loro, i lavoratori sono tenuti all'osservanza delle disposizioni e delle istruzioni impartite loro dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale (art. 20, D.Lgs. n. 81/2008). Peraltro, appare opportuno segnalare che obblighi di informazione già erano previsti dalle normative degli anni cinquanta secondo le quali i datori di lavoro i dirigenti e i preposti nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze devono rendere edotti

i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione, negli ambienti di lavoro, di estratti delle norme o, nei casi in cui non sia possibile l'affissione, con altri mezzi15.

14

Cass., sez. pen., 23 marzo 1994, n. 3483 15 così l'art. 4, lett. b) del D.P.R. n. 547 del 1955; cfr. anche l'art. 49 dello stesso D.P.R., l'art. 4, lett. a) del D.P.R n. 303 del 1956 che non riproduce peraltro l'obbligo di affissione e l'art. 4, lett. a) del D.P.R. n. 128 del 1959

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Lo stesso Ministero del Lavoro ha ritenuto opportuno intervenire in materia precisando che:

con riferimento agli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori, le relative attività devono incentrarsi proprio sugli esiti complessivi della valutazione dei rischi e sulle conseguenti misure di protezione adottate (Ministero del lavoro circolare 7 agosto 1995, n. 102);

appare fondamentale l'esigenza di fornire una tempestiva informazione ai lavoratori circa gli aspetti relativi alla consultazione e partecipazione dei lavoratori in rapporto alla necessità di consentire agli stessi l'adozione delle determinazioni di propria competenza (Ministero del lavoro circolare 7 agosto 1995, n. 102);

ai fini dell'assolvimento degli obblighi di informazione e formazione nei confronti dei lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato, il datore di lavoro nei condomini va individuato nella persona dell'amministratore condominiale pro_tempore (Ministero lavoro circolare 5 marzo 1997, n. 28).

4. Da chi deve essere erogata l’informazione? Dal datore di lavoro o dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione? Pur essendo obbligo proprio del datore di lavoro, dirigente e preposto, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, le informazioni sono fornite _ se presente _ dal servizio di prevenzione e protezione che ha, tra l'altro, il compito di proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori (art. 33 del D.Lgs. n. 81 del 2008). 5. L’obbligo di informazione dei lavoratori grava anche sul medico competente? Si. Il medico competente, infatti:

fornisce informazioni ai lavoratori sul significato degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

informa ogni lavoratore interessato dei risultati degli accertamenti sanitari e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria;

collabora all'attività di formazione e informazione. 6. Esistono delle modalità specifiche per l’erogazione dell’informazione? E' buona regola di esperienza quella di fornire le informazioni ai lavoratori in forma semplice ed immediata, nella lingua loro facilmente comprensibile e facendo preferibilmente uso anche di immagini e figure, specie con riferimento ai lavoratori di bassa scolarizzazione. Spesso si fa luogo alla consegna di brevi opuscoli illustrati controfirmati per ricevuta dai lavoratori o, in azienda dove ciò è possibile, in film su schermi del circuito televisivo chiuso aziendali, in locali dove i lavoratori sono soliti sostare (es. in sala mensa). Tuttavia secondo la giurisprudenza la mera consegna di opuscoli non basta, ma deve essere accompagnata ad un'opera di sensibilizzazione ed ausilio sulla loro effettiva lettura e comprensione (cfr. Cass. sez. pen. 3 giugno 1995, n. 6486).

7. Sono un datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Quali sono i contenuti della

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formazione che devo ricevere? Quale norma lo prevede? Qual è la durata dei corsi?

I corsi di formazione, secondo l’Accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2011, devono prevedere, quale contenuto minimo, i seguenti moduli: MODULO 1. NORMATIVO – giuridico

il sistema legislativo in materia di sicurezza dei lavoratori; la responsabilità civile e penale e la tutela assicurativa; la “responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle

associazioni, anche prive di responsabilità giuridica” ex D.Lgs. n. 231/2001, e s.m.i. ;

il sistema istituzionale della prevenzione; i soggetti del sistema di prevenzione aziendale secondo il D.Lgs. 81/08: compiti,

obblighi, responsabilità; sistema di qualificazione delle imprese.

MODULO 2. GESTIONALE - gestione ed organizzazione della sicurezza

I criteri e gli strumenti per l’individuazione e la valutazione dei rischi; la considerazione degli infortuni mancati e delle modalità di accadimento degli

stessi; la considerazione delle risultanze delle attività di partecipazione dei lavoratori; il documento di valutazione dei rischi (contenuti specificità e metodologie); modelli di organizzazione e gestione della sicurezza; gli obblighi connessi ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione; il documento unico di valutazione dei rischi da interferenza; la gestione della documentazione tecnico amministrativa; l’organizzazione della prevenzione incendi, del primo soccorso e della gestione

delle emergenze; MODULO 3. TECNICO - individuazione e valutazione dei rischi

i principali fattori di rischio e le relative misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione;

il rischio da stress lavoro-correlato; rischi ricollegabili al genere, all'età e alla provenienza da altri paesi; i dispositivi di protezione individuale; la sorveglianza sanitaria;

MODULO 4. RELAZIONALE – formazione e consultazione dei lavoratori

l’informazione, la formazione e l’addestramento; le tecniche di comunicazione; il sistema delle relazioni aziendali e della comunicazione in azienda; la consultazione e la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori per la

sicurezza: natura, funzioni e modalità di nomina o di elezione dei rappresentanti dei

lavoratori per la sicurezza.

Aggiornamento

L’aggiornamento che ha periodicità quinquennale (cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione dell’ Accordo – 11 gennaio 2012), ha durata, modulata in relazione ai tre livelli di rischio sopra individuati, come segue: BASSO 6 ore MEDIO 10 ore ALTO 14 ore

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L’obbligo di aggiornamento va preferibilmente distribuito nell’arco temporale di riferimento e si applica anche a coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’articolo 3 del decreto ministeriale 16 gennaio 1997 (di seguito D.M. 16/01/1997) e agli esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’articolo 95 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. Per gli esonerati appena richiamati il primo termine dell’aggiornamento è individuato in 24 mesi dalla data di pubblicazione dell’Accordo e si intende assolto con la partecipazione ad iniziative specifiche aventi ad oggetto i medesimi contenuti previsti per la formazione del DL SPP. Nei corsi di aggiornamento quinquennale non dovranno essere meramente riprodotti argomenti e contenuti già proposti nei corsi base, ma si dovranno trattare significative evoluzioni e innovazioni, applicazioni pratiche e/o approfondimenti nei seguenti ambiti:

- approfondimenti tecnico-organizzativi e giuridico-normativi; - sistemi di gestione e processi organizzativi; - fonti di rischio, compresi i rischi di tipo ergonomico; - tecniche di comunicazione, volte all’informazione e formazione dei lavoratori

in tema di promozione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Al fine di rendere dinamica e adeguata all’evoluzione dell’esperienza e della tecnica l’offerta formativa dell’aggiornamento sono riportate di seguito alcune proposte per garantire qualità ed effettività delle attività svolte:

- utilizzo della modalità di apprendimento e-Learning; - possibilità da parte delle Regioni e Province Autonome di riconoscere singoli

percorsi formativi d’aggiornamento, connotati da un alto grado di specializzazione tecnica ed organizzati da soggetti diversi da quelli previsti dall’Accordo.

Adempimento degli obblighi formativi in caso di esercizio di nuova attivita’

In caso di inizio di nuova attività il datore di lavoro che intende svolgere, nei casi previsti dal decreto stesso, i compiti del servizio di prevenzione e protezione dai rischi deve completare il percorso formativo di cui al presente accordo entro e non oltre novanta giorni dalla data di inizio della propria attività.

Disposizioni transitorie

In fase di prima applicazione, non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di cui sopra i datori di lavoro che abbiano frequentato – entro e non oltre sei mesi dalla entrata in vigore dell’accordo– corsi di formazione formalmente e documentalmente approvati alla data del 12 gennaio 2012, rispettosi delle previsioni di cui all’articolo 3 del D.M. 16/01/97 per quanto riguarda durata e contenuti. 8. Oltre all’informazione il datore di lavoro deve provvedere anche a formare i propri dipendenti? Qual’è la norma che lo prevede? Ai sensi dell'art. 37 del D.Lgs. n. 81 del 2008 "il datore di lavoro o il dirigente assicura che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori a domicilio e quelli con contratto di portierato di diritto privato del D.Lgs. medesimo "riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni". Il datore di lavoro, in ogni caso, non deve limitare l'obbligo di formazione ai rischi specifici disinteressandosi dell'ordinario svolgimento del lavoro e dei rischi comuni sul presupposto di una loro evidenza che li rende percepibili direttamente dal lavoratore"16.

16

Cass. pen. 6 febbraio 2004, n. 4870

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La Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni, dopo un complesso e articolato iter, ha approvato il 21 dicembre 2011 gli Accordi sulla formazione dei datori che svolgono direttamente le funzioni di Spp, dei lavoratori, preposti e dirigenti, dando così attuazione a quanto previsto, rispettivamente, dagli artt. 34 e 37 del D.Lgs 81/08 (c.d. Testo Unico sulla sicurezza). Gli Accordi, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 8 del 11 gennaio 2012, regolamentano contenuti, durata e modalità dei percorsi formativi e dell’aggiornamento, diversamente articolati in base al tre specifiche condizioni di rischio (basso – medio – alto). L’accordo che disciplina la formazione per i lavoratori chiarisce la netta distinzione tra formazione e informazione e prevede un percorso formativo che si snoda in due momenti, uno di base (formazione generale) identico per tutti e l’altro più specifico per le differenti attività produttive individuate secondo la classificazione ATECO. Vengono poi previste le modalità per l’utilizzo di metodi di formazione e-learning, precisando i casi per le quali è possibile fare ricorso alla stessa e specificando le condizioni da rispettare e riportate in un apposito allegato. 9. Quando deve avvenire la formazione dei lavoratori? La formazione deve avvenire in occasione: a) dell'assunzione; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) dell'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi. La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all'evoluzione dei rischi ovvero all'insorgenza di nuovi rischi. 10. Quali sono i contenuti della formazione dei lavoratori? Qual è la durata dei corsi? La formazione dei lavoratori deve essere articolata in due moduli. A. Formazione Generale La durata del modulo generale non deve essere inferiore alle 4 ore, e deve essere dedicata alla presentazione dei concetti generali in tema di prevenzione e sicurezza sul lavoro. Contenuti:

concetti di rischio,

danno,

prevenzione,

protezione,

organizzazione della prevenzione aziendale,

diritti, doveri e sanzioni per i vari soggetti aziendali,

organi di vigilanza, controllo e assistenza.

Durata Minima:

4 ore per tutti i settori.

B. Formazione Specifica La formazione deve avere durata minima di 4, 8 o 12 ore, in funzione dei rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda. Tali aspetti e i rischi specifici di cui ai Titoli del D.Lgs. n. 81/08

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successivi al I costituiscono oggetto della formazione. Infine, tale formazione è soggetta alle ripetizioni periodiche previste al comma 6 dell’articolo 37 del D.Lgs. n. 81/08, con riferimento ai rischi individuati ai sensi dell’ articolo 28.

Contenuti:

Rischi infortuni,

Meccanici generali,

Elettrici generali,

Macchine,

Attrezzature,

Cadute dall’alto,

Rischi da esplosione,

Rischi chimici,

Nebbie - Oli - Fumi - Vapori – Polveri,

Etichettatura,

Rischi cancerogeni,

Rischi biologici,

Rischi fisici,

Rumore,

Vibrazione,

Radiazioni,

Microclima e illuminazione,

Videoterminali,

DPI Organizzazione del lavoro,

Ambienti di lavoro,

Stress lavoro-correlato,

Movimentazione manuale carichi,

Movimentazione merci (apparecchi di sollevamento, mezzi trasporto),

Segnaletica,

Emergenze,

Le procedure di sicurezza con riferimento al profilo di rischio specifico,

Procedure esodo e incendi,

Procedure organizzative per il primo soccorso,

Incidenti e infortuni mancati,

Altri Rischi.

La durata minima della formazione specifiche dei lavoratori è determinata come segue:

4 ore per i settori della classe di rischio basso;

8 ore per i settori della classe di rischio medio;

12 ore per i settori della classe di rischio alto. 11. Anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto alla formazione? Quali sono i contenuti ? Il rappresentante per la sicurezza ha diritto ad una formazione adeguata e comunque ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza, concernente la normativa in materia di sicurezza e salute e i rischi specifici esistenti nel proprio ambito di rappresentanza, tale da assicurargli adeguate nozioni sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi.

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Le modalità, durata e contenutispecifici della formazione del rls sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi: a) principi giuridici comunitari e nazionali; b) la legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro; c) i principali soggetti coinvolti ed i relativi obblighi; d) la definizione e l'individuazione dei fattori di rischio; e) la valutazione dei rischi; f) l'individuazione delle misure (tecniche, organizzative, procedurali) di prevenzione e protezione; g) aspetti normativi dell'attività di rappresentanza dei lavoratori; h) nozioni di tecnica della comunicazione. La durata dei corsi per i rappresentanti dei lavoratori è di trentadue ore, di cui 12 sui rischi specifici dell’azienda e misure di prevenzione e protezione. 12. Sono un addetto alla gestione delle emergenze in una media impresa. Ho diritto alla formazione e quale norma lo prevede? Ai sensi del quinto comma dell'art. 37 del D.Lgs. n. 81 del 2008 i lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza devono essere adeguatamente formati. 13. A seguito dell’attività di formazione è necessario fornire una specifica documentazione al lavoratore? L'attestazione della avvenuta formazione deve essere conservata in azienda a cura del datore di lavoro. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni se concretamente disponibile. Il contenuto del libretto formativo del cittadino è considerato dal datore di lavoro ai fini della programmazione della formazione e di esso gli organi di vigilanza tengono conto ai fini della verifica degli obblighi di cui al presente decreto. 14. Risponde al vero che i lavoratori devono ricevere informazione e formazione sulla segnaletica di sicurezza? Ai sensi del Titolo V del D.Lgs. n. 81/2008 il datore di lavoro provvede affinché: a) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sia informato di tutte le misure adottate e da adottare riguardo alla segnaletica di sicurezza impiegata all'interno dell'impresa ovvero dell'unità produttiva; b) i lavoratori siano informati di tutte le misure adottate riguardo alla segnaletica di sicurezza impiegata all'interno dell'impresa ovvero dell'unità produttiva. Il datore di lavoro provvede affinché il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed i lavoratori ricevano una formazione adeguata, in particolare sotto forma di istruzioni precise, che deve avere per oggetto specialmente il significato della segnaletica di sicurezza, soprattutto, quando questa implica l'uso di gesti o di

parole, nonché i comportamenti generici e specifici da seguire. 15. In qualità di datore di lavoro, devo assicurare un’informazione specifica ai miei dipendenti sulle attrezzature di lavoro presenti in azienda? Il datore di lavoro provvede affinché per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i lavoratori incaricati dispongano di ogni informazione e di ogni istruzione d'uso necessaria in rapporto alla sicurezza e relativa:

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a) alle condizioni di impiego delle attrezzature anche sulla base delle conclusioni eventualmente tratte dalle esperienze acquisite nella fase di utilizzazione delle attrezzature di lavoro;

b) alle situazioni anormali prevedibili. Le informazioni e le istruzioni d'uso devono risultare comprensibili ai lavoratori interessati. Il datore di lavoro si assicura che: a) i lavoratori incaricati di usare le attrezzature di lavoro ricevono una formazione

adeguata sull'uso delle attrezzature di lavoro; b) i lavoratori incaricati dell'uso delle attrezzature che richiedono conoscenze e

responsabilità particolari, ricevono un addestramento adeguato e specifico che li metta in grado di usare tali attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in relazione ai rischi causati ad altre persone.

I lavoratori si sottopongono ai programmi di formazione o di addestramento eventualmente organizzati dal datore di lavoro. Essi lavoratori utilizzano le attrezzature di lavoro messe a loro disposizione conformemente all'informazione, alla formazione ed all'addestramento ricevuti. 16. Sono un lavoratore di una impresa industriale e, per l’esercizio della mia attività, utilizzo dispositivi di protezione individuale? Devo ricevere dal datore di lavoro una formazioni specifica in proposito? Il datore di lavoro fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori, informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge e rende disponibile nell'azienda, ovvero unità produttiva, informazioni adeguate su ogni DPI. Egli inoltre assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno specifico addestramento circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico dei DPI. In ogni caso l'addestramento è indispensabile: a) per ogni DPI che appartenga alla terza categoria; b) per i dispositivi di protezione dell'udito. I lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all'informazione e alla formazione ricevute e all'addestramento eventualmente organizzato. 17. Quali obblighi formativi gravano sul datore di lavoro in caso di movimentazione manuale dei carichi? Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda: a) il peso di un carico; b) il centro di gravità o il lato più pesante nel caso in cui il contenuto di un imballaggio abbia una collocazione eccentrica; c) la movimentazione corretta dei carichi e i rischi che i lavoratori corrono se queste attività non vengono eseguite in maniera corretta, tenuto conto degli elementi di cui al relativo allegato. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata.

18. In caso di utilizzo dei videoterminali, deve essere fornita adeguata formazione ai lavoratori? Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda: a) le misure applicabili al posto di lavoro, in base all'analisi dello stesso; b) le modalità di svolgimento dell'attività; c) la protezione degli occhi e della vista.

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Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto sopra indicato. 19. Quali sono i contenuti della formazione che devono ricevere i lavoratori che sono esposti ai rischi da agenti cancerogeni? Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda: a) gli agenti cancerogeni o mutageni presenti nei cicli lavorativi, la loro dislocazione, i rischi per la salute connessi al loro impiego, ivi compresi i rischi supplementari dovuti al fumare; b) le precauzioni da prendere per evitare l'esposizione; c) le misure igieniche da osservare; d) la necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi e dispositivi individuali di protezione ed il loro corretto impiego; e) il modo di prevenire il verificarsi di incidenti e le misure da adottare per ridurre al minimo le conseguenze. 20. In caso di esposizione ad agenti biologici è necessario formare i lavoratori? Quali sono le caratteristiche della formazione? Su chi grava l’obbligo formativo, sul datore di lavoro o sul medico competente? Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda: a) i rischi per la salute dovuti agli agenti biologici utilizzati; b) le precauzioni da prendere per evitare l'esposizione; c) le misure igieniche da osservare; d) la funzione degli indumenti di lavoro e protettivi e dei dispositivi di protezione individuale ed il loro corretto impiego; e) le procedure da seguire per la manipolazione di agenti biologici del gruppo 4; f) il modo di prevenire il verificarsi di infortuni e le misure da adottare per ridurne al minimo le conseguenze. L'informazione e la formazione di cui ai sopra sono fornite prima che i lavoratori siano adibiti alle attività in questione, e ripetute, con frequenza almeno quinquennale, e comunque ogni qualvolta si verificano nelle lavorazioni cambiamenti che influiscono sulla natura e sul grado dei rischi. Nel luogo di lavoro sono apposti in posizione ben visibile cartelli su cui sono riportate le procedure da seguire in caso di infortunio od incidente. 21. Lavoro in una ditta che movimenta agenti chimici? Devo ricevere formazione specifica da parte del datore di lavoro? I datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti informano i lavoratori nonché i loro rappresentanti dei rischi specifici cui sono esposti e delle misure di prevenzione adottate; informano altresì i lavoratori sulle misure da osservare nei casi di emergenza o di guasti; provvedono ad un adeguato addestramento all'uso dei mezzi individuali di protezione; curano informazione e formazione completa e periodica dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti su:

1) i rischi connessi con l'esposizione dei lavoratori all'agente e le misure tecniche di prevenzione; 2) i metodi per la valutazione dei rischi, l'indicazione dei valori limite e, ove fissate, le misure da prendere o già prese per motivi di urgenza, in caso di loro superamento, per ovviarvi. E' inoltre previsto l'accesso dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti ad un'informazione adeguata, atta a migliorare le loro conoscenze dei pericoli cui sono esposti.

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22. In caso di attività che prevedono l’utilizzo o la movimentazione di piombo metallico e suoi composti ionici, amianto e rumore, sono previsti particolari

obblighi formativi nei confronti dei lavoratori? Quali sono i contenuti della formazione? I datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti che esercitano o sovrintendono alle varie attività nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze: a) informano i lavoratori nonché i loro rappresentanti dei rischi specifici dovuti all'esposizione all'agente ed alle mansioni dei lavoratori medesimi e delle misure di prevenzione adottate, anche mediante dettagliate disposizioni e istruzioni lavorative, volte anche a salvaguardare il controllo strumentale; forniscono ai medesimi informazioni anonime collettive contenute nei registri di cui all'art. 4, comma 1, lettera q), e, tramite il medico competente, i risultati anonimi collettivi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati, nonché indicazioni sul significato di detti risultati; informano altresì i lavoratori sulle misure da osservare nei casi di emergenza o di guasti (lett. b dell'art. 5, cit.); b) provvedono ad un adeguato addestramento all'uso dei mezzi individuali di protezione (lett. d dell'art. 5, cit.). Con particolare riferimento al rischio derivante dall'esposizione al piombo metallico o ai suoi composti ionici, inoltre, il D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce l'obbligo per il datore di lavoro di fornire ai lavoratori, prima che essi vengano adibiti a tali attività, nonché ai loro rappresentanti, informazioni su: a) i dati ottenuti attraverso la valutazione del rischio e ulteriori informazioni ogni qualvolta modifiche importanti sul luogo di lavoro determinino un cambiamento di tali dati; b) le informazioni sugli agenti chimici pericolo presenti sul luogo di lavoro, quali l'identità degli agenti, i rischi per la sicurezza e la salute, i relativi valori limite di esposizione professionale e altre disposizioni normative relative agli agenti; c) la formazione ed informazioni su precauzioni ed azioni adeguate da intraprendere per proteggere loro stessi ed altri lavoratori sul luogo di lavoro; d) l'accesso ad ogni scheda dei dati di sicurezza messa a disposizione dal fornitore. L'informazione deve essere ripetuta con periodicità triennale e comunque ogni qualvolta vi siano delle modifiche nelle lavorazioni che comportino un mutamento significativo nell'esposizione. In relazione a tali attività il datore di lavoro inoltre deve informare ogni singolo lavoratore, tramite il medico competente, dei risultati, delle misurazioni della piombemia e di altri indicatori biologici che lo riguardano, nonchè dell'interpretazione data a tali risultati, ed i lavoratori ovvero i loro rappresentanti dei risultati statistici non nominativi del controllo biologico. In riferimento alle attività che comportano le condizioni di esposizione di legge, il datore di lavoro è tenuto a fornire altresì informazioni, per iscritto e con periodicità annuale, circa: a) l'esistenza dei valori limite e la necessità del controllo dell'esposizione dei lavoratori al piombo nell'aria e del controllo biologico; b) il corretto uso degli indumenti protettivi e dei mezzi individuali di protezione. Al fine di evidenziare l'obbligo di "fornire informazioni per iscritto", infine, la

Suprema Corte ha precisato che l'informazione dei lavoratori, fuori dalle ipotesi contemplate dal citato art. 72 octies, può essere orale17. 23. È obbligatoria la partecipazione ai corsi di formazione, ai sensi del Dlgs 81/08, oltre che dal personale dipendente infermieristico, anche dei medici specialisti ambulatoriali interni (Sumai)?

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Secondo quanto dispone l’articolo 37 del Dlgs 81/2008, i corsi di formazione in materia di sicurezza sul lavoro sono previsti indistintamente per tutti i lavoratori dipendenti, o a questi assimilabili. Con riguardo al caso di specie, – qualora non si tratti di lavoratori dipendenti – l‘obbligo formativo sussiste solo qualora i medici specialisti ambulatoriali siano inquadrati con contratto «a progetto» ai sensi dell’articolo 61 del Dlgs 276/2003, e sempre che la loro attività sia svolta in forma esclusiva a favore del committente. 24. In riferimento al Dlgs 81 del 9 aprile 2008 in tema di sicurezza sul lavoro, premesso che sono legale rappresentante di una Sas nonché socio accomandatario che si occupa di commercio al minuto di articoli di ferramenta, considerato che attualmente nel negozio ci lavoro solo io, quindi non ho dipendenti che lavorano con me, chiedo se sono obbligato a svolgere un qualsivoglia corso previsto dal suddetto Dlgs per non incorrere in sanzioni. Se sono obbligato, da quando decorre tale obbligo? Stante l’assenza di lavoratori subordinati (o equiparati), ed essendo unico il socio accomandatario, questi non acquista, nel caso di specie, la qualifica di datore di lavoro ai fini della sicurezza, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b) del Dlgs 81/2008. Ne consegue l’esenzione da qualsivoglia obbligo formativo. 25. L'obbligo di frequenza ai corsi previsti in materia di sicurezza sul lavoro può essere riconosciuto valido anche se frequentato dal collaboratore familiare e non dal titolare dell'impresa? È obbligo del titolare dell’impresa, in quanto datore di lavoro, qualora intenda svolgere direttamente i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di frequentare uno specifico corso di formazione. Si tratta di un obbligo personale, direttamente correlato alla qualifica prevenzionistica posseduta. 26. In tema di formazione ai neoassunti sulla D.Lgs 81/08, finora l'azienda ha risolto la formazione con un Cd che veniva fatto visionare al neoassunto, con emissione di una stampa che attestava l'avvenuto "corso"; sembra che adesso non sia più sufficiente e quindi potremmo trovarci fuori legge. Vorremmo sapere se questa autoformazione è ancora valida e, se non lo dovesse essere, da quando. Occorre considerare in primo luogo che la formazione per la "sicurezza" ha la peculiare caratteristica di non configurarsi soltanto quale strumento per elevare la professionalità dei lavoratori, ma come processo psicologico e culturale volto a rendere il destinatario (discente) atto a prendersi cura della propria e dell'altrui salute e sicurezza. Inoltre, tutte le forme "commerciali" (comprese centinaia di supporti informatici) di prodotto formativo si sono rivelate irrilevanti per tendere o addirittura raggiungere l'obiettivo teorizzato (e propagandato). Premesso ciò, dalla domanda posta, fra l'altro non si evincono le forme giuridiche, il settore merceologico, il tipo dell'azienda interessata, i previsti destinatari della formazione e

le caratteristiche del sistema sicurezza aziendale. In generale, si può dire che ogni azienda dovrebbe avere un servizio di sicurezza (Spp interno o esterno) in grado, con l'apporto del suo responsabile (Rspp), di chiarire le specifiche necessità formative aziendali. In linea con il Dlgs 81/08 si configurano destinatari dell'obbligo di formazione i seguenti soggetti (con necessità formative evidentemente diversificate) : tutti i lavoratori; il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; i lavoratori incaricati dell'attività di primo soccorso, antincendio ed evacuazione; il datore di lavoro che intenda svolgere direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione, nonchè di prevenzione incendi ed evacuazione; il

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responsabile e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione.La formazione deve avvenire al momento dell'assunzione, del trasferimento o cambiamento di mansioni, dell'introduzione di nuove attrezzature, tecnologie, sostanze e preparati pericolosi e, comunque, deve essere periodicamente ripetuta «in relazione all'evoluzione dei rischi ovvero all'insorgenza di nuovi rischi». Dai dati in possesso emerge che la "formazione" è stata vissuta dalla aziende italiane più come un obbligo, che come un'opportunità per rendere tutti i soggetti attori partecipi dell'organizzazione aziendale della sicurezza. Per quanto concerne società o enti con strutture di formazione specifiche, ricordiamo che tutte le strutture imprenditoriali da tempo offrono servizi di supporto e consulenza in materia. Specifici e qualificati sportelli vi sono presso le singole regioni e presso le Camere di commercio. Per concludere, in estrema sintesi: la normativa legislativa di riferimento non prevede la formazione con " Cd"; non è da ritenere valida la didattica basata esclusivamente su supporti informatici; la formazione con " Cd" può essere, in determinati casi, ritenuta integrativa di interventi didattici qualificati; chi ha praticato tale metodologia (solo Cd) deve sottoporsi (o far sottoporre) a idonea e qualificata formazione (lezioni frontali, attive con esercitazioni e valutazioni intermedia e finale). 27. Sono un architetto e assolvo l'incarico di Rspp esterno da due anni. Devo frequentare un corso di formazione specifico? In caso negativo, posso rilasciare attestati di formazione Rspp ad altri soggetti? Il mio collaboratore diplomato perito meccanico, dotato di attestato di formazione, che svolge funzione di Rspp esterno in aziende da tre anni, può conferire attestati ad altri soggetti? Pur in possesso della laurea in Architettura occorre l'attestato di frequenza ai corsi di formazione. Solo le strutture didattiche possono rilasciare gli attestati di formazione per Rspp. Il perito meccanico non può conferire attestati di Rspp o di addetto ai Spp. 28. L'articolo 34 del decreto legislativo 81/08, prevede che il datore di lavoro che intende svolgere i compiti del servizio di prevenzione e protezione dai rischi "deve frequentare apposito corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro". Poiché questi corsi di formazione risultano organizzati e gestiti da svariati soggetti senza che l'organo di vigilanza abbia nulla da eccepire, sembrerebbe che l'inciso "promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro" possa essere inteso nel senso che tale formazione può essere promossa da "chiunque" ivi comprese le associazioni dei datori di lavoro. E' corretta questa interpretazione? Nel decreto legislativo 81/08 la norma si limita ad affermare che il datore di lavoro, che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare apposito corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo del lavoro, promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro. Circa la formazione del "rappresentante dei lavoratori per la sicurezza viene affermato che le modalità e i contenuti specifici "sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale di categoria con il

rispetto di determinati contenuti minimi. Successivamente si afferma che gli organismi paritetici (costituiti tra organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori) hanno (ove costituiti) funzioni di orientamento e di promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori. Le funzioni di tali organismi sono, dalla norma, definite "di orientamento e di promozione di iniziative formative". Teoricamente, quindi, la "collaborazione" anzidetta non contempla né la "gestione dei corsi" e l'attività didattica, né l'organizzazione dei corsi stessi. L'azienda interessata notifica all'organo paritetico, ove costituito, l'intenzione di attuare la "formazione" prevista dalla normativa; l'organo paritetico può attivarsi per un

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migliore "orientamento" delle strutture aziendali preposte. In assenza dell'attivazione anzidetta, l'azienda programma autonomamente tutta l'attività formativa, tenendo anche presenti gli accordi sindacali specifici che prevedono i contenuti e la durata minima della formazione dei rappresentanti dei lavoratori. 29. Sono un medico dentista in contabilità ordinaria; ho sostenuto la spesa per frequentare il corso di responsabile della sicurezza obbligatorio ai fini della D.Lgs 81/08. Vorrei sapere se è deducibile totalmente (essendo obbligatorio) o nella misura del 50% come gli altri corsi di aggiornamento. L'articolo 50 del Tuir prevede che: "le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno, sono deducibili nella misura del 50% del loro ammontare". Questa regola deve essere applicata anche al caso prospettato nel quesito. La disposizione contenuta nell'articolo citato, infatti, non prevede un diverso trattamento fiscale per la partecipazione a corsi obbligatori.

30. In qualità di amministratore di condominio, ho provveduto nei mesi addietro e per alcuni dipendenti di fabbricato, ad adempiere agli obblighi previsti dal Dlgs 81/08, dando l'incarico a uno studio specializzato in sicurezza del lavoro, che ha provveduto in seguito al corso di formazione-informazione per i dipendenti, a elaborare le dovute certificazioni. E' corretta questa procedura? L'articolo 51 del Dlgs 81/08 richiede la costituzione, a livello territoriale, di organismi paritetici tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori con funzioni limitate all'orientamento e alla promozione di iniziative formative. La norma non richiede interventi di orientamento e promozione, in tutti i casi; inoltre non prevede espressamente la collaborazione nella gestione complessiva dei corsi stessi. 31. Un datore di lavoro che ha nominato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e ha assunto in proprio i compiti di prevenzione incendio e di evacuazione e di pronto soccorso deve seguire specifici corsi per i ruoli assunti? Sì. Questi compiti, contemplati D.Lgs 81/08 e richiedono apposita formazione. 32. Svolgo da anni l'attività di esperto in sicurezza sul lavoro. Sono in possesso anche di certificazione che attesta questa posizione e, da due anni, in occasione dell'entrata in vigore delle nuove norme sulla sicurezza ricopro la funzione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione per varie aziende. Posso ritenermi esente, anche parzialmente, dal corso di 120 (o 60) ore previsto dalla <direttiva cantieri>?

Esistono specifici requisiti professionali per lo svolgimento dell'attività di coordinatore per la progettazione e di coordinatore per l'esecuzione dei lavori. L'attestato di frequenza al corso non è richiesto per i dipendenti in servizio presso pubbliche amministrazioni che svolgono nell'ambito delle stesse amministrazioni le funzioni di coordinatore e per coloro che, non piu' in servizio, abbiano svolto attività tecnica in materia di sicurezza nelle costruzioni, per almeno cinque anni, in qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio. Lo stesso vale anche per coloro che producano un certificato universitario attestante il superamento di uno o piu' esami del corso o diploma di

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laurea, equipollenti ai fini della preparazione conseguita con il corso o l'attestato di partecipazione a un corso di perfezionamento universitario con le medesime caratteristiche di equipollenza. Tali requisiti non sono richiesti per le persone che: a) sono in possesso di attestazione comprovante il loro inquadramento in qualifiche che consentono di sovraintendere altri lavoratori e l'effettivo svolgimento di attivita' qualificata in materia di sicurezza sul lavoro nelle costruzioni per almeno quattro anni, rilasciata da datori di lavoro pubblici o privati; l'attestazione e' accompagnata da idonea documentazione comprovante il regolare versamento dei contributi assicurativi per i periodi di svolgimento dell'attivita'; b) dimostrano di avere svolto per almeno quattro anni funzioni di direttore tecnico di cantiere, documentate da certificazioni di committenti pubblici o privati e in tal caso vidimate dalle autorità che hanno rilasciato la concessione o il permesso di esecuzione dei lavori. 33. I lavoratori incaricati di attuare le misure relative al pronto soccorso, alla prevenzione incendi e alla gestione dell'emergenza, devono essere adeguatamente informati sul programma degli interventi da eseguire e devono ricevere, pertanto, una formazione adeguata a cura del datore di lavoro. In proposito vorrei sapere se questi corsi di formazione devono essere effettuati solamente dalle autorità istituzionali oppure possono essere effettuati anche da ditte od operatori specializzati. Il D.Lgs 81/08 prevede espressamente che il datore di lavoro assicuri che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro o alle proprie mansioni. Per quanto concerne la prevenzione incendi e l'emergenza, le attività di informazione e formazione appaiono così regolate: A) Obblighi informativi - Il datore di lavoro deve provvedere affinche' ogni lavoratore riceva un'adeguata informazione su: a) rischi d'incendio legati all'attivita' svolta nell'impresa; b) rischi d'incendio legati alle specifiche mansioni svolte; c) misure di prevenzione e protezione incendi adottate in azienda; d) ubicazione delle vie di esodo e uscite; e) procedure da adottare in caso d'incendio e in particolare: azioni da attuare quando si scopre un incendio; come azionare un allarme; azioni da attuare quando si sente un allarme; procedure di evacuazione fino al punto di raccolta; modalita' di chiamata dei Vigili del fuoco; f) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di prevenzione incendi, lotta antincendio, evacuazione e pronto soccorso; g) la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Il servizio di prevenzione e protezione è istituzionalmente preposto all'attivita' di informazione. B) Obblighi formativi - In attuazione delle disposizioni dettate dall'articolo 37 del D.Lgs 81/08, il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco provvede alle attività di

vigilanza e a quelle relative alla formazione del personale mediante le proprie strutture operative, tecniche e didattiche e avvalendosi del personale addetto. 34. Amministro una piccola azienda commerciale di macchine utensili che ha sei dipendenti di cui: tre addetti alla amministrazione (nessuno videoterminalista), un magazziniere dotato di muletto elettrico per la movimentazione dei carichi, uno addetto ai collaudi e alle piccole riparazioni delle macchine presso i laboratori dei clienti che a volte mette in funzione, per dimostrazione, qualche macchina presso il nostro magazzino.

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Ritenendo il nostro un caso di scarsa pericolosità, vorrei svolgere io direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi. E' possibile?

Dove posso svolgere il corso di formazione? Nel caso prospettato il titolare di una azienda individuale o amministratore/datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione. I corsi possono essere promossi anche dalle associazioni dei datori di lavoro.

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CAPITOLO 7

VALUTAZIONE DEI RISCHI

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1. Nella mia qualità di datore di lavoro di una piccola impresa, vorrei sapere quali devono essere gli obiettivi di miglioramento aziendale di cui devo tener conto nell’ambito del processo di valutazione dei rischi? La necessità che nell'impresa si proceda ad una stretta integrazione tra la produzione, tutte le funzioni aziendali ad essa collegate (direzione lavori, acquisti, gestione del personale, manutenzione, etc.), e la prevenzione dei rischi da essa derivanti al fine di progettare "lavoro sicuro", è chiaramente esplicitata tra le misure generali di tutela indicate nell'art. 15. Tra queste, infatti, viene indicata la programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell'azienda nonchè l'influenza dei fattori dell'ambiente di lavoro. La valutazione del rischio deve essere, pertanto, uno strumento fortemente finalizzato alla programmazione delle misure di prevenzione e più in generale alla organizzazione della funzione e del sistema prevenzionale aziendale. L'esame sistematico dei problemi di prevenzione in tutti gli aspetti dell'attività lavorativa non dovrà

trascurare le situazioni di lavoro che esulano dalla routine (manutenzione, pulizia, arresto e riattivazione di impianti, cambio di lavorazioni, ...), come chiaramente indicato negli orientamenti CEE. Non va persa di vista la natura di processo partecipato che la valutazione deve assumere, sia a garanzia di aver raccolto tutta l'informazione disponibile sui fattori di rischio (tra cui le trasformazioni che l'organizzazione del lavoro "formale" subisce, all'atto della sua concreta messa in pratica da parte dei lavoratori), sia per ottenere il coinvolgimento attivo di tutte le parti in causa nella ricerca delle soluzioni più efficaci e nella loro applicazione. Non va infatti dimenticato, per esempio, che gli studi del fenomeno infortunistico che utilizzano un approccio solo "deterministico", mirato ad identificare cause di infortunio solo in errori umani o in inconvenienti tecnici o in deficienze strutturali, presentano limiti importanti ed insolubili se non affrontano anche le interconnessioni con il tessuto organizzativo della produzione. A quanto sopra detto rimanda peraltro, in modo esplicito, anche lo stesso art. 15 del D.Lgs 81/08.

2. Esistono dei criteri o delle indicazioni oggettive che devono essere contemplate nella valutazione dei rischi? Caratteristica peculiare al processo di valutazione dei rischi è la sua “soggettività”. In particolare possono pesare negativamente nella valutazione quegli elementi di percezione soggettiva del rischio che spesso, più che caratterizzare un singolo soggetto, fanno parte di una certa "cultura d'impresa", là dove un'abituale sottostima del rischio ha alimentato l'abitudine a considerare "normali" procedure, attrezzature, metodi, del tutto inadeguati. In quelle situazioni si rende necessario uno sforzo rilevante, da parte del datore di lavoro, in termini di comunicazione e di formazione corretta sui rischi lavorativi, perchè la presa di coscienza dell'esistenza di un rischio non rappresenti un evento episodico, non condiviso e, come tale, non generatore di cambiamenti significativi. 3. Esistono delle modalità semplificate che possono essere utilizzate per

condurre la valutazione dei rischi in una piccola impresa? Per incentivare la massima estensione dell'attività di valutazione da parte dei datori di lavoro si favorirà, soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni e rischi modesti, la semplificazione delle procedure di valutazione, che dovranno essere tese a raccogliere le informazioni sufficienti, dati e notizie all’uopo pertinenti e rilevanti. A tal fine sarà utile, nelle indicazioni da fornire alle imprese, chiarire che per "valutazione del rischio" è da intendersi principalmente l'individuazione dei possibili centri/fonti di pericolo per la sicurezza e la salute dei lavoratori, l'identificazione dei lavoratori potenzialmente esposti a rischio e la valutazione dell'entità

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dell'esposizione. A tale proposito si potrà suggerire l'utilizzazione in prima istanza, ove possibile e adeguata, di metodi e criteri di valutazione approssimata del rischio in grado di distinguere chiaramente condizioni francamente accettabili da situazioni francamente non accettabili. Tali metodi possono consistere anche in valutazioni di tipo induttivo (quantità di materiale utilizzato, cubatura, ventilazione) o semiquantitativo. Sarà possibile di conseguenza identificare quelle situazioni in cui è necessario un approfondimento da realizzare con più complesse procedure analitiche. 4. Devo condurre la valutazione dei rischi nella mia azienda. Come posso valutare il rischio di incidenti? Devo a tal fine utilizzare stime o statistiche specifiche? Non è necessario, salvo casi particolari da individuare, che la "valutazione del rischio" comprenda stime probabilistiche di accadimento di guasti o di eventi accidentali così come, invece, previsto dalla normativa vigente per le imprese a rischio di incidente rilevante. Di grande utilità per l'utenza sarà l'avvalersi di linee guida di valutazione con riferimento al settore e al comparto produttivo tenuto conto della variabile distribuzione dei diversi rischi lavorativi. Da quanto sopra emerge l'indicazione che l'elemento centrale degli adempimenti previsti dall'art. 28 appare essere "l'individuazione delle misure preventive e di protezione" definite o programmate, per la cui realizzazione dovranno essere scelti tempi e metodi congrui con la valutazione di gravità del rischio. E' opportuno, a questo proposito, che vengano individuate scale qualitative circa l'urgenza dei provvedimenti da assumere, formulate anche in base ad eventuali programmi di sviluppo aziendali. Tenendo presente che non è accettabile mantenere in atto inadempienze a precisi obblighi di legge, dovranno essere definite misure accessorie di natura organizzativa o procedurale in grado di provvedere al controllo ed alla riduzione del rischio nel periodo che intercorre tra la sua individuazione e la messa in atto dell'intervento tecnico risolutivo. Poiché, tuttavia, non sempre è possibile fare a priori una stima significativa della gravità degli effetti derivanti da un'esposizione e della probabilità che tali effetti si manifestino, è preferibile affidarsi ad uno studio approfondito della specifica situazione lavorativa e procedere secondo una logica squisitamente prevenzionistica. 5. Qual’è il termine di legge previsto per svolgere la valutazione dei rischi secondo le modalità standardizzate indicate dal D.Lgs 81/08 Il termine per svolgere la valutazione dei rischi aziendali in conformità alle nuove disposizioni di legge è stato fissato in sede di prima applicazione al 1^ gennaio 2013. Poiché la valutazione dei rischi complessivi presenti in una azienda e la stesura dei conseguenti programmi di prevenzione è, per lo più, un atto tecnico tutt'altro che semplice, era stato a suo tempo suggerito ai datori di lavoro di reperire al più presto quelle competenze tecnico-professionali per metterli in grado di assolvere adeguatamente al proprio compito, al di là della formalizzazione degli incarichi.

6. Nel documento di valutazione dei rischi va sempre indicata la nomina del medico competente? Per quel che riguarda la figura del medico competente, esso potrà essere formalmente incaricato (con documentazione scritta) sin da subito in tutti quei casi in cui la normativa vigente prevede un obbligo già definito a priori di sottoporre i dipendenti ad accertamenti sanitari periodici. Nel caso, invece, in cui la necessità e l'obbligo di sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria sia condizionato dalla preventiva valutazione dell'esistenza del rischio, come ad esempio nel caso della movimentazione manuale di carichi, dell'esposizione a cancerogeni e ad agenti

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biologici, la nomina del medico competente potrà essere effettuata successivamente una volta conclusa la fase di valutazione. 7. L’obbligo di valutare i rischi aziendali ricade unicamente sul datore di lavoro? Può, questi, avvalersi o utilizzare competenze esterne? L'obbligo di realizzare il processo di valutazione, controllo e gestione dei rischi lavorativi riguarda essenzialmente il datore di lavoro. E' evidente tuttavia che dal punto di vista tecnico, operativo e procedurale il datore di lavoro dovrà allo scopo avvalersi di alcune competenze professionali e gestionali, peraltro in larga misura indicate dallo stesso D.Lgs 81/08. In primo luogo è opportuno prevedere che al processo di valutazione/gestione dei rischi partecipi l'intera "linea" aziendale rappresentata dai dirigenti e dai preposti; gli stessi sono infatti, al contempo, depositari di importanti conoscenze e titolari di obblighi, per cui è opportuno prevedere un loro ampio coinvolgimento in questa fase del processo. Alla valutazione collaborano altresì il responsabile (e/o gli addetti) del servizio di prevenzione e protezione nonchè, ove previsto, il medico competente: essi forniscono il loro contributo di conoscenze, per il rispettivo ambito professionale, utili all'inquadramento (e qualificazione) dei rischi lavorativi e alle strategie più idonee per il loro contenimento. La valutazione si avvale, inoltre, del contributo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza il quale da un lato, laddove adeguatamente formato, è a sua volta ravvisabile come una specifica risorsa tecnica, e dall'altro lato costituisce il punto di riferimento ed il collettore delle specifiche conoscenze, esperienza e valutazione dei lavoratori, che pure rivestono grande importanza nel processo di controllo dei rischi lavorativi, come d'altronde stabilito in diversi punti del decreto legislativo. Infine, al processo di valutazione e gestione dei rischi partecipano, più o meno direttamente, i progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori; gli stessi, infatti, devono anche fornire informazioni relative a criteri, ambiti e limiti per l'utilizzazione (sicura) di ambienti, impianti e strumenti di lavoro. La scrupolosa verifica del rispetto di tali criteri da parte degli altri soggetti protagonisti della valutazione rappresenta un ulteriore rilevante contributo al processo generale di valutazione e gestione dei rischi. 8. Devo predisporre il documento di valutazione dei rischi aziendali e, per la mia azienda è troppo costoso ricorrere a consulenti esterni. Vorrei sapere quali sono i passaggi che devo compiere e quali sono le varie fasi del processo valutativo. L’avvio del processo di valutazione dei rischi viene fatto solitamente coincidere con l’individuazione di aree omogenee in termini di pericolo; in più casi si dovrebbe ottenere una distribuzione dei pericoli sovrapponibile all’ area produttiva o funzionale (impianti, spedizioni, uffici, magazzini, etc.). L’individuazione delle aree omogenee va particolarmente studiata per un confronto ottimale con le presenze (addetti presenti nell’area di lavoro) e la tipologia delle attività svolte nell’azienda. Nella pratica applicativa, la valutazione dei rischi viene condotta con il procedimento sotto elencato:

a) L’attività in esame viene suddivisa in aree, in modo da rendere più precisa,

puntuale e mirata l’analisi dei pericoli e la susseguente valutazione dei rischi.

b) Per ognuna delle aree così individuate si procede al censimento dei pericoli e delle relative sorgenti, in relazione agli impianti, macchine, attrezzature, ciclo tecnologico e modalità operative adottati. Il censimento prende in considerazione quei pericoli potenziali che l’analisi degli estensori, l’esperienza degli addetti, i dati storici e l’esame impiantistico indicano come evidenti.

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c) Sono censiti gli addetti presenti nell’unità produttiva considerata, al fine di individuare la popolazione potenzialmente esposta ai pericoli; tra di essi sono evidenziati i soggetti tutelati, come disabili, invalidi, etc..

d) Vengono quindi censite le mansioni e per ciascuna area omogenea vengono individuate quelle mansioni così dette rappresentative alle quali è successivamente applicata l’analisi di rischio per mansione (JSA).

e) Si procede alla raccolta delle misure tecniche, organizzative e procedurali già predisposte per la prevenzione e protezione degli addetti esposti ai pericoli; nell’inventario vengono anche considerati i dispositivi di protezione individuale e collettiva.

f) Per le mansioni rappresentative si effettua l’analisi di rischio per mansione per la stima del rischio. Nel corso dell’analisi, mediante interviste dirette, si tiene conto dell’esperienza operativa degli addetti e si procede, ove necessario, a verifiche sul campo di quanto raccolto; si tiene infine conto della storia infortunistica e degli incidenti registrati nell’installazione.

g) Nei casi in cui si rinviene una motivata ed attuabile possibilità di riduzione

dei rischi si provvede ad indicarne le modalità di attuazione (misure definite per il miglioramento); le misure definite sono state organizzate, per tipologia di intervento (misure tecniche, organizzative/procedurali e DPI)

h) Si provvede infine a stendere il programma di realizzazione delle misure di prevenzione e protezione da secondo le priorità individuate.

9. Quali sono i principali pericoli da prendere in considerazione nell’ambito della valutazione dei rischi? Sono quei pericoli che si trovano generalmente presenti nella grande maggioranza delle attività produttive, collegati alla struttura fisica produttiva, sia come fabbricati che come impiantistica e attinenti possibilità di infortuni inerenti sia gli ambienti di lavoro, (passaggi, scale, pavimenti, illuminazione, etc.), sia macchine, attrezzature ed impianti, (accessibilità a parti in movimento, proiezioni di frammenti/schegge, mezzi di sollevamento e trasporto, elettrocuzione, etc.). I pericoli da individuare non possono riferirsi a situazioni di carenze o violazioni alle normative, intese in senso largo ovvero includenti standards e codici di buona tecnica conosciuti. Di seguito si riporta un elenco non esaustivo di pericoli riconducibili alla categoria ordinari o generici. Il pericolo di cadute dall’alto deve essere preso in considerazione per operazioni in quota (superiore a 2 m); la caduta è infatti sempre possibile anche in condizioni di assoluta regolarità delle protezioni, ad esempio in corrispondenza dei varchi per l’accesso o per necessità di manovre in prossimità dei parapetti. Il pericolo di scivolamenti, etc., si riferisce a pavimentazioni bagnate o irregolari Il pericolo di proiezioni di schegge e frammenti deve essere parimenti preso in considerazione per attività con apparecchiature a norma, che comunque possano liberare i frammenti o le schegge. Per quanto concerne i pericoli di elettrocuzione, questi si riferiscono a operazioni od interventi su quadri e parti in tensione accessibili, per manutenzione o necessità operative.

10. Esistono dei pericoli di natura ergonomia che devono essere presi in

considerazione nel documento di valutazione dei rischi? Se si quali sono? I c.d. pericoli ergonomici sono quei pericoli evidenziati dalla nuova normativa, collegati a criteri ergonomici errati, che in generale risultano non strettamente correlati in modo specifico al ciclo tecnologico sviluppato, come : - Movimentazione manuale dei carichi. - Posture incongrue. - Videoterminali. Per quanto riguarda la movimentazione manuale di carichi, il D.Lgs. 81/08, impone il limite massimo di 30 kg, come valore “a rischio”; il pericolo tuttavia permane

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anche per carichi assai minori, in conseguenze dei movimenti e delle frequenze; si suggerisce quindi di denunciare situazioni di pericolo in modo ampio, ove la movimentazione di carichi costituisca una attività operativa non sporadica; in sede di valutazione, con l’assistenza specifica del Medico Competente, si provvederà a individuare eventuali situazioni di rischio. Il pericolo di posture operative incongrue si riferisce non soltanto a posizioni di lavoro continuative ma anche ad operazioni di breve durata in posizioni difficili (ad esempio operazioni su apparecchiature, manovre su comandi o dispositivi posti in posizioni difficili da raggiungere). Per i videoterminali, premesso che la norma pone condizioni specifiche di tutela solo per i lavoratori che utilizzano una attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali per tutta la settimana lavorativa, si suggerisce di effettuare un censimento di tutte le apparecchiature assimilabili e di dichiarare il pericolo connesso; in sede di valutazione, con l’assistenza specifica del medico competente, si provvederà a individuare eventuali situazioni di rischio.

11. Quali sono i pericoli specifici da valutare e prevenire nel sistema aziendale della sicurezza sul lavoro? Sono quei pericoli che risultano maggiormente imputabili e correlati allo specifico procedimento di lavorazione o ciclo tecnologico adottato e che si manifestano durante l’espletamento dei compiti assegnati ai lavoratori, come : - Pericoli riconducibili ad agenti chimici pericolosi utilizzati sotto qualunque stato

fisico: solido, liquido, gas o vapore. - Pericoli riconducibili alla presenza di agenti fisici specifici delle lavorazioni,

quali: rumore, vibrazioni, radiazioni ionizzanti e non, polveri inerti, microclima. - Pericoli riconducibili alla presenza di agenti biologici utilizzati. Si sottolinea che ricadono in questa categoria i pericoli che si configurano durante le normali e prevedibili condizioni di esercizio. Anche in questo caso, i pericoli da individuare non possono riferirsi a situazioni di carenze o violazioni alle normative, intese in senso largo; si intendono pertanto rispettati i limiti imposti da norme, standards, contratti collettivi nazionali, etc… Per quanto concerne in particolare la presenza di agenti chimici nel ciclo di lavorazione, la semplice possibilità di contatti diretti (ad esempio prese campione a ciclo aperto, recipienti aperti, ecc…), l’adozione di organi di tenuta non ermetica (baderne, flange e guarnizioni, etc.), sono elementi sufficienti a determinare situazioni di pericolo, indipendentemente dalla concentrazione o reali possibilità di effetti dannosi, da accertare nel seguito. 12. Si può ritenere esistente il pericolo di assunzione per inalazione nel caso in cui le concentrazioni siano inferiori ai TLV7? Il pericolo di assunzione per inalazione può sussistere anche se le concentrazioni sono inferiori ai TLV7, anche in relazione alla sensibilità e reattività individuali; questa condizione sarà tuttavia valutata nella fase successiva, diretta proprio ad accertare i rischi per la salute. Per quanto concerne il pericolo di ingestione, eliminato per principio l’atto volontario, esso è prevalentemente collegato a forme

indirette di assunzione, come nel caso in cui si consumino cibi e bevande in ambiente contaminato, in carenza di precauzioni igieniche (lavaggio mani, cambio indumenti, etc.). 13. Come si determina il pericolo derivante dall’esposizione al rumore? Quali sono i criteri per determinarlo? Il pericolo rumore deve essere collegato ad una situazione emissiva e non di esposizione; ad esempio si può supporre che il pericolo rumore, in base al D.Lgs. 81/08, possa sussistere per apparecchiature con LAeq superiore a 80 dB(A); anche

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in questo caso la valutazione di eventuali situazioni di esposizioni a rischio viene effettuata in un secondo momento. Le polveri inerti che costituiscono sorgente di pericolo sono costituite dalla frazione inalabile; qualora le sostanze abbiano caratteristiche di nocività od effetti dannosi potenziali di tipo chimico, il pericolo va inserito fra quelli pertinenti agli agenti chimici pericolosi. 14. Nella valutazione dei rischi debbano essere considerati anche i pericoli di processo? Se si, quali sono e come si valutano? Sono quei pericoli che risultano strettamente correlati allo specifico ciclo tecnologico sviluppato, riconducibili alla possibilità di incidenti, anomalie o deviazioni delle normali condizioni operative o di funzionamento. Rientrano in questa categoria i seguenti pericoli: - Pericolo di rilasci di sostanze tossiche (in quantità considerevoli). - Pericolo di rilasci di energia termica/meccanica. - Pericolo di incendio. - Pericolo di esplosione. Gli eventuali incidenti possono avere conseguenze limitate all’area esaminata (incidenti minori) o conseguenze gravi (“incidente rilevante”), tali da poter interessare zone ampie, anche esterne allo stabilimento. 15. Come si configura e come si valuta il pericolo di rilascio di sostanze tossiche e quello derivante dal rilascio di energia termica? Il pericolo di rilasci di sostanze tossiche è principalmente connesso alla presenza di significative quantità di sostanze tossiche che possono essere immesse in atmosfera, sia tramite aperture funzionali (PSV, dischi di rottura, prese campione, etc.) che per cause di mancato contenimento (fessurazioni, rotture, etc.); in sede di valutazione, si provvederà a individuare eventuali situazioni di rischio. Per quanto concerne il pericolo di rilasci di energia termica/meccanica, il pericolo è connesso alla presenza di apparecchiature o recipienti che possono dar luogo a proiezione di parti o frammenti, a seguito di collasso e fluidi caldi o getti a pressione sia tramite aperture funzionali che per cause di mancato contenimento. In sede di valutazione, si provvederà a individuare eventuali situazioni di rischio; ad esempio, ad un recipiente a pressione, progettato, costruito, controllato e mantenuto in condizioni di conformità a norme e codici di buona progettazione, potrà essere assegnata una remota probabilità di collasso. 16. Come si configura e come si valuta il pericolo di incendio e quello di esplosione? Il pericolo di incendio è collegato alla presenza di agenti chimici infiammabili (o combustibili) in significativa quantità, dal momento che, salvo eccezioni, l’aria, comburente e le sorgenti di innesco si ritengono ineliminabili. Il pericolo di esplosione, salvo situazioni particolari, è collegato alla possibile formazione di atmosfere esplosive per la presenza di agenti chimici facilmente infiammabili, esplosive o reattive ed in grado di liberare sostanze facilmente infiammabili o di decomporsi in modo da liberare grandi quantità di gas.

17. Cosa si intende per pericoli organizzativi? Come si valutano e come si prevengono? Con la definizione di pericoli organizzativi si intendono quelle situazioni organizzative aventi una potenzialità di generare danni. Quando di parla di organizzazione, si intende l’insieme dei ruoli, delle funzioni e delle relazioni fra di essi. I pericoli organizzativi, sono quindi collegati a carenze, difetti o improvvise variazioni in uno qualunque di questi elementi costituitivi.

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Alcuni lati critici dell’organizzazione possono essere individuati sulla base dei seguenti punti. - Presenza di personale inesperto, non sufficientemente formato o addestrato; - responsabilità non chiaramente definite (suddivisione dei compiti non chiara e

precisa (potenziali conflitti e sovrapposizioni); - carenza o assenza di un sistema di autorizzazioni; - carenza di documentazione; - verifiche interne insufficienti / inadeguate. Questi aspetti sono considerati sempre più importanti ai fini della prevenzione di incidenti, anche gravi, la cui prevedibilità può sfuggire al vaglio delle tecniche di analisi fondate prevalentemente sull’esame di fattori “materiali”, di più facile valutazione, in quanto misurabili o rilevabili oggettivamente. Sempre più spesso, infatti, si osserva come le cause alla radice di incidenti gravi, sono riconducibili al fattore umano, dizione che raccoglie in sé una molteplicità di elementi, che coinvolgono gli aspetti sopra richiamati. Il pericolo “organizzativo” si risolve in generale come causa alla radice dei pericoli di altra natura.

18. Esistono delle particolari categorie maggiormente sensibili ai rischi che devono trovare una maggiore attenzione nell’ambito della valutazione dei rischi? La popolazione degli esposti può infine contenere delle categorie maggiormente sensibili ai rischi, quali ad esempio : - Portatori di handicap. - Donne in stato di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio. - Dipendenti con malattie croniche acquisite e che evidenziano malattie del

sistema immunitario. - Altro personale che, per età, formazione od altre cause può essere ritenuto

particolarmente sensibile ad alcuni rischi. Di questa particolare porzione della popolazione esposta va tenuto conto, non solo per quanto concerne aspetti relativi a particolare sensibilità ai pericoli e vulnerabilità in caso di rischio, ma anche in relazione alle misure di tutela, da attagliare ai casi specifici. Si pensi ad esempio al problema che presenta l’evacuazione in emergenza di una persona disabile e la necessità di programmare una necessaria assistenza. Per quanto riguarda le donne in stato di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio la normativa (D.Lgs. 151/2001) vieta che siano adibite alle attività riportate negli allegati A e B e prescrive che il datore di lavoro in adempimento all’art. 28 valuti i rischi per le lavoratrici ed in particolare i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici e biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C. Qualora i risultati della valutazione rivelino un rischio per la salute e la sicurezza delle lavoratrici, il datore di lavoro deve adottare le misure necessarie affinché l’esposizione al rischio sia evitata, modificandone temporaneamente le condizioni o l’orario di lavoro o la mansione. 19. Ho appena terminato di valutare i rischi della mia azienda. Posso

considerare conclusi i miei compiti o devo compiere altri passaggi? Ulteriore passo per l’esecuzione di una corretta valutazione dei rischi aziendali è quello di ricondurre l’insieme delle misure generali di tutela ad alcune categorie di riferimento. Ai fini della progettazione, della programmazione e della verifica degli eventuali interventi Se si considerano finalità ed oggetti, e seguendo un indirizzo già presente nella normativa, in generale le misure di tutela, preventive e protettive, possono essere suddivise in quattro principali categorie: - Misure tecniche.

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- Misure organizzative. - Misure procedurali. - Misure di protezione personale, individuali o collettive. Misure tecniche

In questa categoria sono compresi gli interventi sugli ambienti di lavoro, sugli impianti, sul ciclo tecnologico e sulle sostanze, sia di carattere preventivo che di mitigazione o di contenimento dei rischi per la salute e la sicurezza, come ad esempio: o Introduzione di sistemi a circuito chiuso (ad esempio nelle prese campione). o Sistemi di aspirazione. o Insonorizzazione di apparecchiature rumorose.

Misure organizzative Le misure di tutela a carattere organizzativo includono studi, interventi ed azioni atti a migliorare le prestazioni del fattore umano (organizzazione, persone e relazioni) ai fini della prevenzione o del contenimento dei rischi, come ad esempio: - L’impostazione di un sistema aziendale di gestione della salute e della sicurezza

dei lavoratori. - Le attività di informazione, formazione ed addestramento, il miglioramento

dell’efficienza ed efficacia nelle comunicazioni, la segnalazione dei pericoli/rischi, etc.

- Interventi sull’organizzazione del lavoro per ridurre livelli e tempi di esposizione a pericoli.

- Attività di controllo, sia ambientale che sanitario. Misure procedurali

In questa categoria si collocano gli interventi migliorativi sulle modalità e sulle pratiche di lavoro all’interno dell’attività considerata (interventi sul sistema di lavoro). Si includono pertanto le attività indirizzate alla verifica, estensione ed aggiornamento di tutti i regolamenti e le procedure interne finalizzati alla tutela della salute e della sicurezza, nonché altri strumenti necessari per realizzare le migliori condizioni di lavoro, come manuali, istruzioni, norme operative, etc. Misure di protezione personale

In questa categoria sono compresi: - I dispositivi di protezione individuale (DPI), come ad esempio calzature di

sicurezza, guanti, caschi, occhiali, cuffie, etc. - I dispositivi di protezione collettiva, ovvero dispositivi di protezione personale

non assegnati all’individuo ma disponibili nella collettività, come ad esempio autorespiratori, maschere antigas, etc.

20. Se dalla valutazione dei rischi aziendali emerge l’esistenza di fonti di pericolo, quali sono i passaggi che devo compiere? Come devo procedere? Devo nominare il medico competente?

- se nella conduzione della valutazione viene individuato un pericolo per la

salute o la sicurezza, la cui esistenza appare certa e fonte di possibile danno ai lavoratori, che sia riferibile o meno ad una mancata messa in atto di quanto previsto dalla normativa esistente, le misure di tutela eventualmente individuabili possono opportunamente essere attuate o programmate senza acquisire ulteriori elementi valutativi, se non quelli strettamente necessari alla definizione della priorità da assumersi per gli interventi stessi;

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- se un possibile pericolo, connesso all'attività lavorativa in esame, è stato in precedenza valutato con esito favorevole (rischio assente o molto limitato) ovvero il pericolo stesso è stato ridotto o eliminato con l'adozione di opportune misure (può essere il caso della valutazione dell'esposizione dei lavoratori a piombo, amianto e rumore), la valutazione dei rischi può limitarsi ad una presa d’atto di tali risultanze, previa verifica della loro attualità;

- al contrario, là dove l'esistenza di un pericolo risulti dubbia, o incerta la definizione delle possibili conseguenze, o complessa l'individuazione delle appropriate misure di prevenzione, appare opportuno condurre una valutazione dei rischi che si articoli in un percorso logico e procedurale più completo ed approfondito.

21. Quali sono le indicazioni per svolgere il processo di valutazione dei rischi? Come si rappresenta in un documento lo stato reale delle condizioni di lavoro della azienda? Al fine di una sua corretta collocazione temporale e maggiore rappresentatività delle reali condizioni di lavoro, la valutazione va fatta precedere da un'attenta ricognizione circa le caratteristiche dell'attività lavorativa (produzione di beni o di servizi, di serie o per campagne, produzione conto terzi etc. e relativa variabilità delle lavorazioni in relazione al variare della produzione...) con particolare riferimento all'esistenza di attività di servizio alla produzione (pulizia, manutenzione...) od occasionali (guasti, riattivazione di impianti...); non dovrà essere trascurata la considerazione di prestazioni eventualmente erogate dai lavoratori all'esterno dell'abituale luogo di lavoro (montaggi, riparazioni...) come pure la possibilità di presenza sul luogo di lavoro di dipendenti di altre aziende o di utenti. Dovrà essere scelta la sequenza logica che il valutatore riterrà più opportuno adottare nell'analisi dei pericoli e dei rischi:

- sequenza ordinata delle lavorazioni nel ciclo produttivo - compiti assegnati ai lavoratori - ambienti di lavoro - aggregati in base al linguaggio aziendale ("reparti", “linee”, “uffici”...), avendo

unicamente cura di: - esplicitare la scelta fatta - attenersi ad essa in modo coerente.

22. Esistono degli elementi o delle indicazioni per l’identificazione dei fattori di rischio aziendali? Esistono dei metodi utilizzabili al riguardo? Un'ulteriore fase preliminare da non trascurarsi è l’acquisizione e l’organizzazione di tutte le informazioni e le conoscenze già disponibili su elementi utili a connotare i fattori di rischio e/o gli eventuali danni riferibili al lavoro. A titolo esemplificativo, in tabella 1 viene proposta una lista di informazioni o fonti informative possibilmente presenti in azienda:

Tabella 1 Informazioni o fonti informative

• layout dei reparti

• numero di addetti ripartito per reparti e per mansioni con breve descrizione delle operazioni svolte

• denunce di impianti e verifiche periodiche

• registro delle manutenzioni ordinarie e straordinarie

• schede di sicurezza di sostanze/prodotti/apparecchiature/impianti in uso

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• schede tecniche e manuali operativi di macchine e impianti

• risultati di precedenti indagini condotte sulla sicurezza e sull'igiene del lavoro inclusi verbali di prescrizione degli organi di vigilanza

• risultati di eventuali misurazioni di igiene industriale

• risultati collettivi anonimi di controlli sanitari periodici

• denunce INAIL su casi di malattie professionali

• dati sugli infortuni (dall’apposito registro) e incidenti avvenuti

• atti autorizzativi

• procedure di lavoro scritte, ordini di servizio

• elenco e caratteristiche dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori

• modalità pratiche di distribuzione/ricambio dei dispositivi di protezione individuale

• conoscenze ed esperienze dei lavoratori e dei preposti

Tabella 2

Fasi per la conduzione della valutazione e la redazione del documento

• identificazione dei fattori di rischio

• identificazione dei lavoratori esposti

• stima dell'entità delle esposizioni

• stima della gravità degli effetti che ne possono derivare

• stima della probabilità che tali effetti si manifestino

• verifica della disponibilità di misure tecniche, organizzative, procedurali, per eliminare o ridurre l'esposizione e/o il numero di esposti

• verifica dell'applicabilità di tali misure

• definizione di un piano per la messa in atto delle misure individuate

• verifica dell'idoneità delle misure in atto

• redazione del documento

• definizione di tempi e modi per la verifica e/o l’aggiornamento della valutazione

23. Nella valutazione dei rischi deve essere ricompresa anche quella dello stress lavorativo? A norma di quanto disposto dall'articolo 28 del D.Lgs n. 81/2008, nel testo modificato dal D.Lgs 106/2009, la valutazione “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato18, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”. La valutazione dello stress lavoro-correlato è effettuata nel rispetto delle indicazioni elaborate dalla commissione consultiva per la salute la sicurezza sul lavoro di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 81/2008, e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle

18 Si ricorda che, in virtù dell’art. 32 del D.L. 30/12/08, n. 207, convertito dalla legge 27/02/09, n. 14 (G.U. n. 49 del 28/2/2009), la necessità di valutare i rischi derivanti da stress lavoro correlato è divenuta operativa dal 16 maggio 2009, termine successivamente prorogato.

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predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010. 24. Come deve essere condotta la valutazione dello stress? Relativamente a quest’ultimo profilo, la valutazione del rischio richiede l’adozione degli stessi principi e processi basilari di altri pericoli presenti sul luogo di lavoro: identificare le fonti di stress, decidere quali azioni è necessario intraprendere, comunicare i risultati della valutazione e revisionarli a intervalli appropriati. Le ricerche relative alle fonti di stress presenti nelle organizzazioni fanno di sovente riferimento a due tipi di rischi, quelli ambientali e quelli psicosociali. Se il problema di stress da lavoro è identificato, bisogna agire per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo. 25. Su chi ricade la responsabilità dello stress lavoro correlato? Sul datore di lavoro? Se si, come può il datore di lavoro svolgere da solo tale valutazione? Come deve fare? La responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare spetta al datore di lavoro. Queste misure saranno attuate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. È consigliabile, nel caso in cui l’azienda non disponga al suo interno di competenze sufficienti, ricorrere a competenze esterne in conformità alle leggi europee e nazionali, ai contratti collettivi e alle prassi. I problemi individuati possono essere affrontati nel quadro del processo di valutazione di tutti rischi, programmando una politica aziendale specifica in materia di stress e/o attraverso misure specifiche mirate per ogni fattore di stress individuato. Si possono introdurre misure di gestione e di comunicazione in grado di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare un sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e ai team di lavoro, di portare a coerenza responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro. A tali interventi devono affiancarsi iniziative formative e informative che introducano una maggiore conoscenza dello stress, delle sue possibili cause e dei rimedi. In particolare, lo stress legato all'attività lavorativa può essere prevenuto o neutralizzato riorganizzando l'attività professionale, migliorando il sostegno sociale e prevedendo una ricompensa adeguata agli sforzi compiuti dai lavoratori Tra i fattori da analizzare, l’Accordo europeo evidenzia: - inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro:

disciplina dell’orario di lavoro, grado di autonomia, corrispondenza tra competenze e requisiti professionali richiesti, carichi di lavoro ecc.

- condizioni di lavoro e ambientali: esposizione a comportamenti illeciti, rumore, calore, sostanze pericolose, ecc.

- comunicazione: incertezza in ordine alle prestazioni richieste, alle prospettive di impiego o ai possibili cambiamenti, ecc.

- fattori soggettivi: tensioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alle situazioni, percezione di mancanza di attenzione nei propri confronti ecc.

26. La valutazione dello stress lavoro correlato ricomprende anche tutti i rischi psicosociali. Che differenza c’è con il mobbing? Il primo aspetto da porre in luce è che l'art. 28 non fa riferimento ai rischi psicosociali, ma al ben diverso fenomeno dello stress lavoro correlato: i contorni di questo tipo di rischio sono stati definiti nell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004. A differenza di quanto viene indicato, oggetto di valutazione, quindi, non sono né i rischi psicosociali in generale né il mobbing né la violenza sul lavoro né il disturbo post traumatico da stress. E' opportuno ricordare che il mobbing si sostanzia in una azione aggressiva cosciente e volontaria, protratta nel tempo, finalizzata a

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mettere uno o più lavoratori in una condizione di forte disagio col fine dell’espulsione dal contesto lavorativo (licenziamento o trasferimento) o della sottomissione (frustrarne cioè la capacità personale di contrattare, di difendere i propri diritti, di far valere le proprie ragioni). A differenza dello stress, che si sostanzia in una risposta dell’individuo in termini di adattamento a sollecitazioni provenienti dal contesto lavorativo o extralavorativo, il mobbing presuppone comportamenti volontariamente lesivi della dignità umana, che trovano già gli strumenti di reazione nell’ordinamento, in sede disciplinare, civile e penale. 27. Che differenza intercorre tra lo stress lavorativo e la vera e propria violenza nel posto di lavoro, che magari produce stress? La violenza nel posto di lavoro afferisce invece a comportamenti illeciti, sanzionati sotto i profili penale, civile e disciplinare, che nulla hanno a che vedere con la reazione individuale a sollecitazioni presenti nel contesto lavorativo o extralavorativo. La sindrome post traumatica da stress (disturbo post traumatico da stress), poi, differisce dallo stress in quanto si tratta di una risposta ritardata o protratta ad un evento fortemente stressante o a una situazione di natura altamente minacciosa o catastrofica in grado dì provocare diffuso malessere in quasi tutte le persone. Questo disturbo evidenzia un quadro clinico difficilmente correlabile ai rischi lavorativi. 28. La valutazione dello stress lavorativo deve essere condotta singolarmente per ciascun lavoratore? In tema di stress lavoro-correlato, un aspetto da porre in evidenza è il riferimento a “gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”: la precisa locuzione normativa consente di escludere un approccio olistico al tema dello stress, dovendosi, invece, individuare previamente gruppi di lavoratori eventualmente interessati dal rischio stress. 29. La valutazione dello stress deve essere condotta sempre o solo nei casi in cui questo possa incidere sulla sicurezza? La valutazione dello stress lavorativo deve essere condotta - per espressa previsione di legge - secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 e quindi dell’ accordo interconfederale stipulato il 9 giugno 2008. Quest’ultimo prevede che il dovere da parte del datore di lavoro di tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori si applica anche in presenza di problemi di stress lavoro-correlato “in quanto essi incidano su un fattore di rischio lavorativo rilevante ai fini della tutela della salute e della sicurezza”. Lo stress lavoro-correlato, quindi, rientra nell’iter di valutazione dei rischi ma occorre accertare che questo fattore incida su rischi rilevanti ai fini della sicurezza. 30. Lo stress lavorativo è una condizione puramente soggettiva. Anche la valutazione dello stress deve essere condotta in maniera soggettiva? La valutazione dello stress lavoro correlato dev’essere di tipo oggettivo: secondo l’accordo interconfederale, infatti, benché potenzialmente “lo stress possa

riguardare ogni luogo di lavoro ed ogni lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore di attività o dalla tipologia del contratto o del rapporto di lavoro, ciò non significa che tutti i luoghi di lavoro e tutti i lavoratori ne sono necessariamente interessati.” Innanzitutto, quindi, occorre verificare – anche attraverso l’organigramma o il funzionigramma aziendale - la presenza di gruppi omogenei di lavoratori che, svolgendo mansioni o compiti particolari (es. perché ripetitivi, monotoni, particolarmente rischiosi), potrebbero essere esposti al rischio stress. Se questa fase dovesse dare (ad esempio, per le ridottissime dimensioni dell’azienda) risultato negativo, la valutazione potrebbe concludersi con l’impegno a

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monitorare eventuali comportamenti anomali, magari su segnalazione del medico competente. 31. Esistono degli indicatori oggettivi di potenziale stress? Se l’organizzazione aziendale consente di individuare gruppi omogenei di lavoratori potenzialmente esposti a rischio stress, occorrerebbe valutare l’esistenza, nell’organizzazione aziendale o nell’ambiente di lavoro, di indicatori oggettivi di stress. Ad esempio, tra i segnali che possono denotare la presenza del problema, anche secondo l’Accordo, possono rientrare: - alto tasso di assenteismo - elevata rotazione del personale - frequenti conflitti interpersonali - lamentele da parte delle persone - infortuni - richieste di cambio mansione/settore - disfunzioni o episodi di interruzione/rallentamento dei flussi comunicativi Accanto a questi elementi, occorrerebbe indagare anche i flussi comunicativi bottom up e top down presenti in azienda. In assenza di uno di questi fattori (o similari) o di criticità ed in assenza comunque di cambiamenti comportamentali dei lavoratori tali da denotare un rischio di stress, o in presenza di azioni già messe in atto dal datore di lavoro prima dell’entrata in vigore della norma, la valutazione potrebbe concludersi con l’impegno a monitorare nel tempo eventuali comportamenti anomali, magari su segnalazione del medico competente o degli uffici del personale. 32. Come si conduce la valutazione dei rischi derivanti da stress lavorativo in mancanza di particolari elementi o indicatori oggettivi di stress? In assenza degli indici oggettivi di stress ma in presenza di mutamenti comportamentali all’interno del gruppo di lavoratori, occorrerebbe valutare il rischio stress e individuare i motivi della reazione soggettiva, al fine di verificarne il nesso con fattori lavorativi o extralavorativi e individuare gli strumenti di prevenzione compatibili con il contesto complessivo aziendale. Data la complessità del fenomeno stress, non vi è uno strumento o un metodo che esaurisca in sé la molteplicità degli aspetti. Può essere necessario, a seconda dei risultati della ricognizione, l’approccio organizzativo (metodi di lettura e interventi sulla organizzazione del lavoro), l’approccio psicologico, l’approccio medico, l’approccio comunicazionale o relazionale, in relazione al bisogno effettivo. Fondamentale è il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, anche eventualmente attraverso interviste o test. Se la risposta consente di correlare lo stress manifestato dal lavoratore a fattori lavorativi, potrebbe essere necessario approfondire i connessi problemi di ordine psicologico, organizzativo o medico. Se la risposta, al contrario, non evidenzia un nesso eziologico tra lavoro e stress, ovvero evidenzia fattori extralavorativi, non trattandosi di un rischio lavorativo, la valutazione dei rischi potrebbe concludersi con l’impegno a monitorare nel tempo eventuali comportamenti anomali, magari su

segnalazione del medico competente o degli uffici del personale. 33. Come si conduce la valutazione dello stress qualora vi siano in azienda determinati fattori che possono denotare la presenza di stress nel luogo di lavoro? In presenza di fattori che possono denotare la presenza di stress nel luogo di lavoro, ovvero comunque nel caso di mutamenti comportamentali del gruppo di lavoratori, si dovrebbe verificare quale sia la reazione soggettiva dei singoli lavoratori interessati in termini di percezione dello stress. Si dovrebbe, cioè, indagare che tipo

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di percezione hanno i singoli lavoratori facenti parte di un determinato gruppo rispetto all’organizzazione o all’ambiente di lavoro. Solo a questo punto potrebbe essere adottato un approccio individuale al tema stress, attraverso interviste o somministrazione di test. Se, nonostante l’evidenza di una reazione individuale da parte dei lavoratori, non vengono manifestati collegamenti con l’organizzazione e con l’ambiente di lavoro, la valutazione del rischio potrebbe concludersi con l’impegno a monitorare nel tempo eventuali comportamenti anomali, magari su segnalazione del medico competente o degli uffici del personale. Se, al contrario, la reazione individuale evidenzia un collegamento causale tra organizzazione o ambiente di lavoro e manifestazione di stress, occorre un intervento di tipo organizzativo, psicologico o medico per affrontare e ridurre o eliminare il rischio. 34. Sono titolare di una media azienda di servizi. All’esito del procedimento di valutazione dei rischi è emerso che alcuni dipendenti manifestavano evidenti problemi di stress lavorativo. Cosa devo fare? Quali misure devo prevedere? Nei casi in cui la valutazione si concluda con l’evidenziazione di un problema di stress lavoro correlato, occorre prevedere l’adozione delle misure di prevenzione o protezione. Nello scegliere le misure ed i provvedimenti di prevenzione adeguati, dato il carattere variabile del fenomeno stress, legato a fattori “imprevedibili” (es. le diverse reazioni dei gruppi - o del singolo - nei confronti della medesima scelta aziendale che sia tecnica, gestionale, organizzativa o un evento che subentra nella vita di una persona), si potrebbero adottare differenti misure. Tra queste: - misure tecniche, organizzative, procedurali - potenziamento di automatismi tecnologici - alternanza di mansioni nei limiti di legge e di contratto - riprogrammazione dell’attività - particolare formazione e addestramento - forme di comunicazione - forme di coinvolgimento - particolare sorveglianza sanitaria. Nonostante una nutrita serie di studi in materia di valutazione dello stress lavoro-correlato, la comunità scientifica non è ancora pervenuta ad un metodo scientifico consolidato. Le indicazioni che precedono, quindi, rivestono un carattere meramente indicativo, e si fondano esclusivamente sulle previsioni normative contenute nel D.Lgs n. 81/2008 e sui contenuti dell’accordo 8 ottobre 2004, come recepito nell’accordo interconfederale del 9 giugno 2008. 35. A seguito del processo di valutazione dei rischi in azienda sono emerse alcune aree di criticità e dei pericoli. Quali sono i passaggi da compiere e cosa va evidenziato nel documento di valutazione? In relazione alle situazioni pericolose messe in luce dalla prima fase della valutazione, si evidenzierà il numero dei lavoratori che è possibilmente esposto ai fattori di rischio, individualmente o come gruppo omogeneo. E’ opportuno che i lavoratori esposti siano identificati nominalmente, sia in funzione della eventuale segnalazione al medico competente per gli adempimenti in merito alla sorveglianza

sanitaria, sia per la programmazione dei successivi interventi di informazione/formazione. L’identificazione dei lavoratori esposti non potrà prescindere dalla rilevazione delle effettive modalità di lavoro; a tale fine si richiama l’esigenza di avvalersi di modalità partecipative nella raccolta delle informazioni in merito.

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36. Quali sono i casi in cui, a seguito della valutazione, è opportuno il ricorso a misure di igiene industriale o a criteri valutativi più specifici? La normativa

vigente fornisce in proposito delle indicazioni puntuali? A misure di igiene industriale sembra riferirsi anche l’art. 25, là dove prevede che il medico competente riceva i “risultati” del controllo dell’esposizione dei lavoratori, senza peraltro precisare quando ciò sia previsto. In prima approssimazione si può affermare che il ricorso a misure di igiene industriale o comunque a criteri più specifici ed approfonditi di valutazione dell’esposizione trova un suo opportuno campo di applicazione quantomeno nei casi indicati nella seguente tabella. Indicazione di casi in cui è opportuno il ricorso a misure di igiene industriale

o a criteri di valutazione più specifici

• nei casi in cui è esplicitamente previsto (cancerogeni, radiazioni ionizzanti, ecc)

• nei casi di esposizione a sostanze dotate di elevata tossicità

intrinseca e/o in grado di provocare incidenti (atmosfere infiammabili/esplosive) o danni alla salute in basse concentrazioni

• nella verifica di efficacia dei sistemi di prevenzione adottati

• se necessario ai fini della progettazione o realizzazione di idonei presidi di bonifica

• nel dirimere i casi dubbi o controversi

• qualora si siano verificati infortuni/incidenti gravi o con dinamiche ripetitive

Inoltre valutazioni igienistico-ambientali, eventualmente corredate da misurazioni, sono raccomandate ogni qualvolta vengano modificate sostanzialmente linee di produzione in modo tale da poter prevedere una variazione dell’esposizione dei lavoratori a fattori di rischio chimico-fisici, al fine di progettare contestualmente le più idonee misure di prevenzione. Di seguito si riportano i criteri d’analisi del processo produttivo ai fini della valutazione dei rischi chimico-fisici. a. Indagine preliminare

- materie prime, intermedi, prodotti finiti, rifiuti - fasi del processo, compreso il trattamento degli effluenti solidi, liquidi, gassosi - schemi di flusso - mansioni, esposizione a inquinanti - individuazione dei gruppi di lavoratori omogeneamente esposti - protezioni attive e passive - esposizioni conseguenti a trattamento degli effluenti solidi, liquidi, gassosi

b. Identificazione dei fattori di rischio e ipotesi di priorità nella loro quantificazione c. Valutazione delle modalità e dei punti di generazione e propagazione degli

inquinanti d. Strategia di campionamento e analisi degli inquinanti

e. Misura dell’efficienza e dell’efficacia dei sistemi di abbattimento f. Valutazione complessiva dei risultati ambientali g. Interazione con i risultati della sorveglianza sanitaria dei lavoratori 37. Quali sono le misure generali di tutela che devono essere ricompresse nel documento di valutazione dei rischi?

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Il datore di lavoro, nel corso della valutazione dei rischi, dovrà individuare le misure generali di tutela, facendo riferimento ai principi gerarchici della prevenzione dei rischi indicati dall’art. 15 del D.Lgs 81/08:

- evitare i rischi - utilizzare al minimo gli agenti nocivi - sostituire ciò che è pericoloso con ciò che non è pericoloso o lo è meno - combattere i rischi alla fonte - applicare provvedimenti collettivi di protezione piuttosto che individuali - limitare al minimo il numero di lavoratori che sono o che possono essere

esposti al rischio - adeguarsi al progresso tecnico - cercare di garantire un miglioramento del livello di protezione - integrare le misure di prevenzione/protezione con quelle tecniche e

organizzative dell’azienda. 38. E’ possibile avere un esempio pratico di quali devono essere le azioni da intraprendere in seguito alla conclusione della valutazione dei rischi? In merito alla programmazione degli interventi, le conclusioni desunte dall'identificazione dei fattori di rischio e dei lavoratori esposti, dell’entità dell’esposizione, della probabilità con cui possono verificarsi effetti dannosi e dell’entità delle possibili conseguenze, orienteranno le azioni conseguenti alla valutazione stessa. Un esempio di tale processo decisionale è riportato nella tabella seguente.

Azioni conseguenti alle conclusioni possibili riguardo ai rischi

CONCLUSIONI

AZIONI

I rischi sono insignificanti ora e non è ragionevolmente prevedibile che aumentino in futuro.

Terminare ora le valutazioni. Non sono necessarie ulteriori misure.

I rischi sono sotto controllo ad un livello accettabile per es. conformemente alle norme della Comunità o a quelle nazionali.

E’ possibile apportare miglioramenti alla protezione. Terminare le valutazioni. Il mantenimento del rispetto delle norme compete ai sistemi di prevenzione del

datore di lavoro.

I rischi sono ora sotto controllo ma è legittimo pensare che aumenteranno in futuro, oppure i sistemi di controllo esistenti hanno la tendenza a funzionare male o ad essere male impiegati.

Stabilire le precauzioni per migliorare la protezione; mantenere, eliminare, controllare e minimizzare le possibilità di esposizioni maggiori. Determinare misure aggiuntive per riprendere il controllo in caso si verifichi una situazione ad alto rischio, malgrado le precauzioni.

Vi sono rischi possibili ma non vi sono prove che causino malattie o ferite.

Paragonare le misure esistenti alle norme di buona prassi. Se il paragone è negativo determinare cosa è stato fatto per migliorare le misure di prevenzione e di protezione.

I rischi sono adeguatamente controllati ma non sono rispettati i principi generali stabiliti all’art. 15 del D.Lgs 81/08.

Eliminare i rischi o modificare il regime di controllo in modo da conformarsi ai principi stabiliti, basandosi sulla buona prassi come guida.

Vi sono rischi elevati e non adeguatamente controllati. Identificare e porre in atto misure provvisorie

immediate per prevenire e controllare l’esposizione ai rischi (esaminare l’eventualità di bloccare il ciclo produttivo). Valutare le esigenze a lungo termine.

Non vi sono prove che esistano o meno rischi. Continuare a cercare altre informazioni a seconda della necessità finchè è possibile giungere ad una delle conclusioni di cui sopra. Nel frattempo applicare

i principi di sicurezza professionale per minimizzare l’esposizione.

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La valutazione delle misure di prevenzione e protezione non dovrà trascurare la verifica di idoneità e di efficacia di quelle già in essere e, progressivamente, di quelle via via adottate. Il piano di attuazione dovrà contemplare i tempi previsti per la realizzazione degli interventi, la verifica della loro effettiva messa in atto, la verifica della loro efficacia, la revisione periodica in merito ad eventuali variazioni intercorse nel ciclo produttivo o nell’organizzazione del lavoro che possano compromettere o impedire la validità delle azioni intraprese. 39. Quali sono i criteri di redazione del documento di valutazione dei rischi? Al termine del processo valutativo il datore di lavoro deve elaborare un documento scritto ove sono contenute le risultanze della valutazione aziendale. Il documento è elaborato con il contributo delle diverse componenti presenti in azienda e riporta quanto è stato intrapreso o viene programmato in tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Dovrà pertanto essere leggibile, sia per linguaggio che per esplicitazione delle tappe del percorso fatto. La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi deve provvedere con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantire la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione. Il documento di valutazione dei rischi dovrà quindi contenere:

- i criteri adottati: in questa voce possono essere comprese indicazioni circa l’individuazione delle aree/posizioni di lavoro, dei compiti/mansioni dei lavoratori, di macchine/impianti/lavorazioni etc. oggetto della valutazione; standard di riferimento adottati; modalità con le quali è stata ottenuta la collaborazione degli esperti e la consultazione del rappresentante per la sicurezza; criteri seguiti per l’assunzione delle decisioni..., etc.

- le conclusioni della valutazione: è opportuno elencare i fattori di rischio presi in considerazione, per i quali la valutazione concluda circa l’assenza di rischio o comunque per la non necessità di prevedere ulteriori misure di prevenzione; per gli altri rischi, invece, saranno riportati gli elementi utili a stimare gravità e probabilità delle possibili conseguenze, nonchè l’identificazione dei lavoratori esposti e, se disponibili, i relativi livelli di esposizione;

- l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione definite in conseguenza della valutazione, nonchè delle attrezzature di protezione utilizzate;

- il programma di attuazione di ulteriori misure previste per migliorare nel tempo i livelli di sicurezza.

40. Dove deve essere custodito il documento di valutazione dei rischi? Il documento di valutazione dei rischi deve essere tenuto a disposizione in azienda per la consultazione anche da parte dell'organo di vigilanza. 41. Sono un datore di lavoro di una piccola impresa che svolge direttamente i compiti di Rspp. Devo dare comunicazione di tale incarico? A chi e cosa devo

comunicare? Qualora l’imprenditore si avvalga della facoltà ex art. 34 per svolgere direttamente i compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dovrà darne informazione al rls. 42. E’ ancora valida la possibilità di non redigere il documento di valutazione dei rischi per le piccole imprese? Esistono dei criteri dimensionali d’impresaper rendere possibile tale esclusione?

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L’art. 29, comma 5 esonerava le aziende fino a 10 addetti dall’obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi, sostituendolo con l’obbligo di autocertificare l’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi ad essa collegati. Tale possibilità è venuta meno al 31 maggio 2013; tali imprese sono ora obbligate all’ applicazione delle procedure standardizzate approvate dalla Commissione consultiva il 16 aprile 2012 e recepite con decreto ministeriale del 27 novembre 2012. Va sottolineato con estrema chiarezza che il disposto normativo non attenua minimamente l’obbligo per il datore di lavoro di procedere alla valutazione dei rischi (né, tantomeno, attenua gli obblighi preventivi), ma costituisce semplicemente un alleggerimento degli obblighi documentali e burocratici. 43. Ho appena aperto un’attività commerciale. Quanti giorni ho per procedere alla valutazione dei rischi? Con una modifica introdotta dal D.Lgs 106/09, viene riproposta la previsione di cui all’articolo 96-bis del d.lgs. n. 626/1994, necessaria per consentire una più compiuta ed effettiva valutazione dei rischi di lavoro (entro il termine di 90 giorni) da parte di chi inizi una attività ex novo difettando egli della conoscenza di tutti i fattori di rischio che da tale attività possono discendere e della loro combinazione in concreto. Viene infatti previsto che in caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo documento entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività. 44. Ho sentito parlare della necessità di dover apporre la data certa al documento di valutazione dei rischi. Come si fa in pratica? Esistono delle alternative? Tra le possibilità che il datore ha per la datazione del documento di valutazione dei rischi, vi è quella di apporre sul documento stesso la data certa. Nell’anno 2000 il Garante per la protezione dei dati personali con il Provvedimento del 5/12/2000 - Misure minime di sicurezza - fornì alcuni chiarimenti sulla data certa dell'atto previsto dall'art. 1 della L. 325/2000. In proposito, per quanto di competenza, il Garante osservava che tale requisito si collega con la comune disciplina civilistica in materia di prove documentali e, in particolare, con quanto previsto dagli artt., 207319 e 270420 270521 del codice civile, i quali recano un'elencazione non esaustiva degli strumenti per attribuire data certa ai documenti, consentendo di provare tale data anche in riferimento a ogni "fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento". La legge n. 325/2000 presuppone quindi che il documento in questione sia collegabile ad

19 Art. 2703 (Sottoscrizione autenticata) Si ha per riconosciuta [c.p.c. 215] la sottoscrizione autenticata [c.c. 2022,

2023, 2206, 2296, 2300, 2333, 2648, 2652, 2702, 2821, 2834, 2835] dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato [c.p.c. 214]. L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive 20 Art. 2704 (Data della scrittura privata nei confronti dei terzi) La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento. La data della scrittura privata che contiene dichiarazioni unilaterali non destinate a persona determinata può essere accertata con qualsiasi mezzo di prova. Per l'accertamento della data nelle quietanze il giudice, tenuto conto delle circostanze, può ammettere qualsiasi mezzo di prova. 21 Art. 2705 (Telegramma) Il telegramma ha l'efficacia probatoria della scrittura privata [c.c. 2702], se l'originale consegnato all'ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo. La sottoscrizione può essere autenticata da notaio [c.c. 2703; c.p.c. 634]. Se l'identità della persona che ha sottoscritto l'originale del telegramma è stata accertata nei modi stabiliti dai regolamenti, è ammessa la prova contraria. Il mittente può fare indicare nel telegramma se l'originale è stato firmato con o senza autenticazione.

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un fatto oggettivo attribuibile al soggetto che lo invoca, ma sottratto alla sua esclusiva sfera di disponibilità.

In questa prospettiva, senza pretesa di indicare in modo esauriente tutti i possibili strumenti idonei ad assegnare al documento una data certa, il Garante richiama l'attenzione dei titolari del trattamento sulle seguenti possibilità che appaiono utilmente utilizzabili: - ricorso alla c.d. "autoprestazione" presso uffici postali prevista dall'art. 8 del

d.lg. 22 luglio 1999, n. 261, con apposizione del timbro direttamente sul documento avente corpo unico, anziché sull'involucro che lo contiene22;

- in particolare per le amministrazioni pubbliche, adozione di un atto deliberativo di cui sia certa la data in base alla disciplina della formazione, numerazione e pubblicazione dell'atto;

- apposizione della c.d. marca temporale sui documenti informatici (art. 15, comma 2, legge 15 marzo 1997, n. 59; D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513; artt. 52 ss. d.p.c.m. 8 febbraio 1999). Il sistema della marca temporale basa la propria modalità di certificazione della marca temporale su un procedimento

informatico regolamentato dalla legge italiana, che permette di datare in modo certo ed opponibile a terzi un oggetto digitale (file). La Data Certa è un servizio di certificazione temporale apposto, per es. tramite il servizio INFOCAMERE della Camera di Commercio che permette di datare in modo certo ed opponibile a terzi qualunque tipo di documento. Tra i profili probatori del documento informatico assume un'importanza fondamentale l'attribuzione della cosiddetta 'data certa' e cioè la prova della formazione del documento in un certo arco temporale o, comunque, della sua esistenza anteriormente ad un dato evento (art. 2704 codice civile). Nel tradizionale sistema di documentazione cartacea, l'attribuzione della data certa (efficace nei confronti dei terzi e non solo tra le parti) deriva principalmente dal riscontro di un'attestazione fatta da un soggetto terzo ed imparziale depositario di pubbliche funzioni. (autentica comunale). La marca temporale (digital time stamp) attesta infatti l'esistenza di un documento informatico (o meglio di un file informatico) ad una determinata data ed ora ('validazione temporale'). L'apposizione di una marca temporale produce l'effetto giuridico di attribuire 'ad uno o più documenti informatici una data ed un orario opponibili ai terzi' (art. 8 comma 1, e art 22, comma 1, lettera g, d.p.r. n. 445/2000) e, dunque, non solo efficaci tra le parti. La veridicità ed esattezza di una marca temporale, come per i certificati delle chiavi pubbliche si presume fino a prova contraria.

- Ricorso alla posta elettronica certificata. La posta elettronica certificata è il servizio di posta elettronica che fornisce al mittente la prova legale dell'invio e della consegna di documenti informatici. La posta elettronica certificata (PEC) è la trasmissione telematica di comunicazioni con ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna e avviene ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68. La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo della posta e ha valore legale. La data e l'ora di trasmissione e di ricezione di un

documento informatico trasmesso mediante posta elettronica certificata sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e alle relative regole tecniche. Nei casi

22 Il Decreto Legislativo 22 luglio 1999, n. 261 - "Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 1999 all’a rt. 8 (Autoprestazione) prevede: 1. E' consentita, senza autorizzazione, la prestazione di servizi postali da parte della persona fisica o giuridica che e' all'origine della corrispondenza (autoprestazione) oppure da parte di un terzo che agisce esclusivamente in nome e nell'interesse dell'autoproduttore.

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di invio o ricezione di messaggi verso caselle di posta elettronica tradizionale, il sistema non può eseguire tutti i passi previsti dal circuito della posta certificata e non esplica tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente. Per tale ragione la trasmissione dei messaggi non ha gli stessi effetti legali di validità e opponibilità.

- apposizione di autentica, deposito del documento o vidimazione di un verbale, in conformità alla legge notarile; formazione di un atto pubblico;

- registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio pubblico.

45. E’ sempre obbligatoria la data certa nel documento di valutazione dei rischi? Esistono delle esenzioni? In relazione alle ripetute segnalazioni ricevute in ordine alla complessità della procedura necessaria ad ottenere la certezza della data, il D.Lgs 3 agosto 2009, n. 106, al duplice fine di non gravare sulle imprese con un onere amministrativo piuttosto pesante in termini gestionali e di ribadire che il documento di valutazione del rischio è il frutto di una azione sinergica e condivisa dei soggetti delle sicurezza in azienda, ha introdotto il principio per il quale, in alternativa alla data certa, possa essere sufficiente l’attestazione della sottoscrizione del documento da parte del datore di lavoro (il quale solo, beninteso, ne assume la giuridica responsabilità) nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e dal medico competente, ove nominato. 46. Può riportare degli esempi di situazioni di situazioni e di attività lavorative che richiedono una valutazione dei rischi? 1. IMPIEGO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO

- Elementi in movimento rotatorio o traslatorio non sufficientemente protetti, che possono causare schiacciamenti, tagli, perforazioni, urti, agganciamenti o trazioni.

- Elementi o materiali in movimento libero (caduta, rotolamento, scivolamento, ribaltamento, dispersione nell'aria, oscillazioni, crolli) cui possono conseguire danni alle persone.

- Movimenti di macchinari e di veicoli. - Pericolo di incendio e di esplosione (per es: per attrito; serbatoi in

pressione). - Intrappolamento.

2. METODI DI LAVORO E DISPOSIZIONE DEGLI IMPIANTI - Superfici pericolose (bordi acuminati, spigoli, punte, superfici abrasive, parti protundenti).

- Attività in altezza. - Compiti che comportano movimenti/posizioni innaturali. - Spazi limitati (per es: necessità di lavorare tra parti fisse). - Inciampare e scivolare (superfici bagnate o comunque scivolose, etc.).

- Stabilità del posto di lavoro. - Conseguenze derivanti dalla necessità di indossare attrezzature di protezione personale su altri aspetti del lavoro.

- Tecniche nei metodi di lavoro. - Ingresso e lavoro in spazi confinati.

3. IMPIEGO DELL'ELETTRICITA' - Pannelli di comandi elettrici. - Impianti elettrici, per es: rete principale di adduzione, circuiti di

illuminazione.

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- Attrezzature, sistemi di controllo e di isolamento a comando elettrico. - Impiego di attrezzi elettrici portatili. - Incendi o esplosioni causati dall'energia elettrica. - Cavi elettrici sospesi.

4. ESPOSIZIONE A SOSTANZE O PREPARATI PERICOLOSI PER LA SICUREZZA E LA SANITA' - Inalazioni, ingestione e assorbimento cutaneo di materiale pericoloso per

la salute (compresi aerosol e polveri). - Impiego di materiali infiammabili e esplosivi. - Mancanza di ossigeno. - Presenza di sostanze corrosive. - Sostanze reattive instabili. - Presenza di sensibilizzanti.

5. ESPOSIZIONE AD AGENTI FISICI - Esposizione a radiazioni elettromagnetiche (calore, luce, raggi X,

radiazioni ionizzanti). - Esposizione a laser. - Esposizione al rumore od a ultrasuoni. - Esposizione a vibrazioni meccanica. - Esposizione a sostanze/mezzi ad alta temperatura. - Esposizione a sostanze/mezzi a temperatura molto bassa. - Presenza di fluidi sotto pressione (aria, vapore, liquidi compressi).

6. ESPOSIZIONE AD AGENTI BIOLOGICI - Rischio di infezioni derivanti dalla manipolazione e dall'esposizione non

intenzionale a microorganismi, esotossine ed endotossine. - Rischio di infezioni dovute all'esposizione non intenzionale a

microorganismi (per es: legionella liberata dai sistemi radianti di raffreddamento).

- Presenza di allergeni. 7. FATTORI AMBIENTALI E AMBIENTE DI LAVORO

- Illuminazione non adeguata o tecnicamente errata. - Controllo inadeguato di temperatura, umidità, ventilazione. - Presenza di agenti inquinanti.

8. INTERAZIONE DEL POSTO DI LAVORO E DEI FATTORI UMANI - Dipendenza del sistema di sicurezza dalla necessità di ricevere ed

elaborare con cura le informazioni. - Dipendenza dalle conoscenze e dalle capacità del personale. - Dipendenza dalle norme di comportamento. - Dipendenza da una soddisfacente comunicazione e da istruzioni corrette

per far fronte a condizioni mutevoli. - Conseguenze di deviazioni ragionevolmente prevedibili dalle procedure di

lavoro in condizioni di sicurezza. - Adeguatezza delle attrezzature di protezione professionale. - Scarsa motivazione alla sicurezza. - Fattori ergonomici, quali la progettazione del posto di lavoro per venire

incontro alle esigenze del dipendente. 9. FATTORI PSICOLOGICI.

- Difficoltà di lavoro (intensità, monotonia). - Dimensioni dell'ambiente di lavoro, per es: claustrofobia, solitudine. - Ambiguità del ruolo e/o situazione conflittuale. - Contributo al processo decisionale con conseguenze sul lavoro e sulle

mansioni. - Lavoro molto esigente a scarso controllo. - Reazioni in caso di emergenza.

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10. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO - Fattori condizionati dai processi di lavoro (per es: lavoro in continuo,

sistemi di turni, lavoro notturno). - Sistemi efficaci di gestione e accordi per l'organizzazione, la pianificazione,

il monitoraggio e il controllo degli aspetti attinenti alla sicurezza e alla sanità.

- Manutenzione degli impianti, comprese le attrezzature di sicurezza. - Accordi adeguati per far fronte agli incidenti e a situazioni di emergenza.

11. FATTORI VARI - Pericoli causati da terzi, per es: violenza a colleghi, personale di

sorveglianza, polizia, attività sportive. - Lavoro con animali. - Lavoro in atmosfere a pressione superiore o inferiore al normale. - Condizioni climatiche difficili. - Integrità dei software. - Lavorare in prossimità di specchi d'acqua o sott'acqua. - Posti di lavoro variabili.

47. Un 'azienda esercente attività di trasporto e facchinaggio esplica servizi per conto di tre aziende appaltanti in tre depositi di stoccaggio merci diversi. Quanti Dvr deve redigere? I Dvr, conformi a quanto previsto dagli articoli 28 e 29 del Dlgs 81/2008, operando in tre distinte realtà, dovrebbero essere tre. Comunque, si ritiene possibile redigere un unico Dvr ma suddiviso in tre sezioni/parti distinte che tengano conto delle particolarità che i tre differenti siti, ove si svolge l’attività, sicuramente presentano. 48. Il titolare di una ditta individuale con un figlio come coadiuvante, ai fini del Testo unico 81/2008 è equiparato a un impresa con meno di 10 dipendenti e quindi con tutti gli oneri che ne derivano, o è equiparato a un lavoratore autonomo, e quindi non redige il Dvr, non nomina il medico competente, non nomina il Rspp e Rls, eccetera? In base a ciò che dispone l’articolo 21 del Dlgs 81/2008, i componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del Codice civile devono utilizzare attrezzature di lavoro a norma, e munirsi ed utilizzare Dpi a norma, oltre a dover indossare, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto, un’apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità. Peraltro, detti collaboratori familiari non vanno computati ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il Dlgs 81/2008 fa discendere particolari obblighi: ciò significa, ad esempio, che nel caso prospettato vi è esenzione dalla attività di valutazione dei rischi e di redazione del documento correlato (Dvr), così come da ogni obbligo conseguente (ad esempio la nomina del Rspp e del medico competente). 49. L'articolo 5, comma 2, lettera d) del Dm 37/08 prevede l'obbligo del progetto elettrico nei «locali adibiti ad uso medico». Un medico di base ha un

solo dipendente: è soggetto al Dpr 462/01, articolo 2 per la messa in esercizio dell'impianto e all'articolo 4, comma 1, per le verifiche periodiche biennali? E’ tenuto a frequentare il corso di formazione come datore di lavoro rspp? La risposta al primo quesito è affermativa. Riguardo il secondo quesito, il comma 2 dell'articolo 34 del citato decreto, impone al datore di lavoro che intende svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi, di frequentare uno specifico corso di formazione di durata minima 16 ore e massima di 48 ore.

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50. Vorrei sapere se la data del 16 maggio, per l'invio della relazione sullo stress correlato vedi Dl 81/2008, è stata prorogata e quali sono gli obblighi di

legge previsti. Posso fare la relazione anche io che sono consulente del lavoro? Il termine del 16 maggio 2009 per l’integrazione del Documento di valutazione dei rischi con la valutazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato, era stato prorogato 31 dicembre 2011. L’analisi del rischio e l’elaborazione del documento correlato sono di stretta ed esclusiva competenza del Servizio di prevenzione e protezione, ragion per cui è necessario il possesso dei requisiti di qualificazione professionale, nonché la designazione da parte del datore di lavoro. 51. In caso di trasferimento di sede in un'altra struttura, qual è il tempo massimo entro cui bisogna eseguire la valutazione dei rischi e produrre un nuovo Dvr? Per l'occasione, vorrei adottare una nuova struttura di documento, diversa dalla precedente, in modo che risulti più aderente all'attuale normativa. Ci sono controindicazioni al riguardo? Per quanto tempo è necessario conservare le precedenti versioni? Il Testo unico della sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008) non offre indicazioni specifiche al riguardo. Per altro verso è ragionevole ipotizzare un congruo lasso di tempo ai fini della elaborazione di un Dvr (documento di valutazione dei rischi) aderente ai profili di rischio insiti e/o correlati allo svolgimento dell'attività lavorativa nella nuova sede. Si può richiamare, quale parametro di medianità orientativa, quanto indicato nel D.Lgs 106/09 in base al quale il datore di lavoro che intraprende un'attività lavorativa è tenuto a elaborare il documento di valutazione dei rischi entro tre mesi dall'effettivo inizio dell'attività. Nessuna norma prevede poi un tempo di conservazione minima delle versioni precedenti di Dvr. 52. Rispetto all'obbligatorietà imposta dal Dlgs 81/08 di strutturare un Dvr all'interno di ogni organizzazione che abbia almeno un dipendente, esiste una categoria che si possa sentire esclusa? In una Snc che ha un'officina nella quale lavorano solo i due titolari, quali sono gli obblighi rispetto alla stesso decreto? Gli obblighi previsti dal Dlgs n. 81/2008 – tra i quali quello di valutazione dei rischi e di redazione del Dvr - operano alla condizione della presenza di un lavoratore (subordinato od equiparabile), senza alcuna condizione di esclusione dagli obblighi di legge correlata alla tipologia dell'attività di lavoro esercitata. 53. Nel caso di un lavoro edile, ad esempio la realizzazione della pavimentazione di una rampa per la quale il Comune non ha richiesto nessun documento (né Dia né permesso di costruire), affidato a una sola azienda il committente o il responsabile dei lavori devono ottemperare solo all'articolo 90, comma 9; non è richiesto Duvri, Pos o Dvr per lo specifico cantiere, solo il rispetto di quanto riportato dell'articolo 95 e 96. Se l'azienda subappalta a uno o più lavoratori autonomi deve rispettare anche l'articolo 97? Nel caso in cui in un cantiere temporaneo o mobile, in cui si svolgono lavori edili o di ingegneria civile, sia presente una sola impresa non sussiste l'obbligo di nomina

dei coordinatori per la progettazione e per l'esecuzione. Restano a carico del committente gli obblighi previsti dall'articolo 90 commi 1 e 9 del Dlgs 81/2008. A sua volta, il datore di lavoro dell'unica impresa presente in cantiere, dovrà adempiere agli obblighi previsti dall'articolo 95 e 96 del citato decreto che prevedono la redazione del Piano operativo di sicurezza. Nel caso in cui l'unica impresa presente subappaltasse parte dei lavori a uno o più lavoratori autonomi, essa dovrà chiedere autorizzazione espressa al committente, valutarne preventivamente l'idoneità tecnico professionale secondo quanto previsto dal punto 2 dell'allegato XVII al citato decreto, attuare quanto previsto dall'articolo 97 e prevedere nel

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proprio Pos anche le specifiche misure per il coordinamento dei lavoratori autonomi necessario per eliminare o ridurre al minimo i rischi interferenziali derivanti dalla copresenza, nello stesso spazio e nello stesso tempo, dell'impresa e dei lavoratori autonomi. Questi ultimi, a loro volta, saranno tenuti al rispetto di quanto previsto dall'articolo 94 (prima parte del periodo) del Dlgs 81/2008. 54. Con l'entrata in vigore del Dlgs 81/2008 le aziende devono procedere alla valutazione dei rischi. La normativa sulla sicurezza prevede un periodo transitorio per le aziende al di sotto dei 10 dipendenti in cui possono anche non ottemperare alla normativa sulla sicurezza e in particolare alla predisposizione della documento di valutazione dei rischi limitandosi a predisporre questa autocertificazione? Nel caso l'azienda ottemperi all'adempimento dell'autocertificazione, ma di fatto non provveda alla valutazione dei rischi, è in regola con la normativa sulla sicurezza? In caso di eventuali controlli è soggetta a sanzione? In riferimento al quesito, si ricorda che l'articolo 29, comma 5, del Dlgs 81/2008 chiede ai datori di lavoro delle imprese che occupano fino a 10 lavoratori di effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate (che vanno a sostituire l’autocertificazione). Applicando queste ultime il legislatore ha soltanto voluto agevolare l'obbligo per le piccole imprese della redazione formale scritta del documento di valutazione dei rischi. Gli obblighi di legge per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori devono sempre essere attuati e sono condizione minima ma irrinunciabile per la legittimità dell'esercizio dell'attività imprenditoriale. Quindi, resta fermo l'obbligo, anche per il datore di lavoro delle imprese che occupano fino a 10 lavoratori, di procedere sempre alla valutazione dei rischi al fine di verificare la conformità alle norme di legge vigenti e gli eventuali interventi per l'eliminazione (ove possibile) o la riduzione al minimo dei rischi presenti durante l'esecuzione dell'attività lavorativa. Se ciò non venisse concretamente fatto, l'azienda si troverà esposta, in caso di verifica ispettiva da parte degli enti di vigilanza, alle sanzioni previste dall'articolo 55 del Dlgs 81/2008 nonché a tutte le altre sanzioni previste in caso di constatata mancata rispondenza alla normativa vigente di attrezzature di lavoro, luoghi di lavoro, eccetera. 55. Quali sono i nuovi criteri stabiliti dal Testo Unico a cui deve essere adeguato il documento di Valutazioni dei Rischi? Il Datore di Lavoro per effettuare la Valutazione dei rischi (art. 28) di cui all’articolo 17, c. 1, let. a), si deve adeguarsi ai seguenti criteri: - valutazione dei rischi per la scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o

dei preparati chimici impiegate; nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro - valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi

quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato,

- valutazione dei rischi riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza,

- valutazione dei rischi connessi alla differenze di genere, all’età, alla provenienza

da altri Paesi. 56. In caso di nuova attività, quando deve essere effettuata la valutazione dei rischi? Il comma 3-bis dell’art. 28 del d.lgs. 81/08 e s.m.i. stabilisce che in caso di costituzione di nuova impresail datore di lavoro è tenuto ad effettuare

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immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo documentoentro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività. 57. Quali sono i contenuti minimi del Documento unico di valutazione dei rischi interferenti (Duvri)? Nella predisposizione del Documento il committente dovrà tener conto delle sovrapposizioni tra i lavoratori propri e i lavoratori dell'appaltatore e di eventuali subappaltatori. Il documento dovrà tenere conto dei rischi derivanti da tali eventuali sovrapposizioni di più attività svolte da operatori diversi, oppure di quelli immessi nel luogo di lavoro del committente dalle lavorazioni dell'appaltatore. La presenza del Documento unico di valutazione dei rischi interferenti non esonera l'appaltatore dal preparare il proprio documento di valutazione dei rischi, che sarà la base per il conteggio del costo per la sicurezza.

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Capitolo 8

Svolgimento della sorveglianza sanitaria

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1. In cosa si sostanzia la sorveglianza sanitaria? E’ possibile disporre

accertamenti preventivi sui lavoratori o esami clinici e biologici? A norma di quanto disposto dall’art. 41 del D.Lgs 81/08, nel testo integrato dal D.Lgs 106/09, la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente o a richiesta del lavoratore e comprende gli accertamenti preventivi intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati e gli accertamenti periodici per controllare il loro stato di salute ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. Tali accertamenti comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. 2. Quale ruolo ha il medico competente nell’ambito della sorveglianza sanitaria? Deve solo eseguire le visite mediche o la sua attività si esplica anche nella prevenzione primaria? L'attività del medico competente, soprattutto nella visione delle più recenti leggi in materia di medicina del lavoro, è molto ampia ed inserita in numerosi contesti aziendali; non è quindi limitata alla sola esecuzione delle visite mediche, che però rappresentano il momento più importante di contatto diretto con i singoli lavoratori nell'ambito della tutela della loro integrità psicofisica. Questi controlli medici, nella definizione classica della medicina del lavoro, vanno intesi come prevenzione secondaria, in quanto il loro scopo è quello di fare in modo che eventuali agenti nocivi, con cui il lavoratore viene a contatto per motivi professionali, non determinino uno stato di malattia o, quanto meno, che un'eventuale tecnopatia venga identificata precocemente. La prevenzione primaria è rappresentata da tutte quelle azioni utili ad evitare l'esposizione del lavoratore agli agenti nocivi; poiché questa prevenzione non può essere totale, si rendono necessarie le visite mediche che hanno lo scopo di ottimizzare il rapporto uomo_lavoro e di valutare la compatibilità tra l'esposizione ai vari fattori di rischio e lo stato di salute dei lavoratori. Le visite mediche, preventive e periodiche, non vanno quindi viste come eventuale selezione di soggetti più capaci o resistenti, né, tanto meno, come attività atta a tutelare interessi estranei al lavoratore o, peggio, riguardanti la sola produzione. 3. Quali determinazioni può assumere il medico competente qualora ravvisi la necessità di escludere un lavoratore da determinati rischi? Qualora, nel corso della visita, il medico competente ravvisi la necessità di escludere un lavoratore da determinati rischi, dovrà indirizzare il lavoratore stesso verso un'attività più confacente, oppure consigliare al datore di lavoro l'utilizzo di particolari precauzioni e l'attuazione di interventi preventivi, adattando quindi il lavoro all'uomo e non viceversa. 4. In quali casi deve essere effettuata la sorveglianza sanitaria? Qual’è la normativa di riferimento al riguardo? La sorveglianza sanitaria, disciplinata dall’articolo 41 (ex art. 16 del D.Lgs 626/1994) è effettuata dal medico competente:

a) nei casi previsti dalla normativa vigente; tali casi vengono periodicamente aggiornati tramite decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero del lavoro, adottato sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi; La sorveglianza sanitaria comprende:

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a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica, ivi compresa la verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e l’assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti per mansioni comportanti particolari rischi per la sicurezza e l’incolumità dei terzi;

b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;

c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;

d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica;

e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;

f) visita medica preventiva in fase preassuntiva; g) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per

motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’doneità delle mansioni. 5. E’ possibile effettuare visite mediche in fase preassuntiva? Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non è incompatibile con le disposizioni dell’articolo 39, comma 3, del D.Lgs 81/08.

6. E’ possibile effettuare visite mediche per accertare stati di gravidanza? Le visite mediche non possono essere effettuate per accertare stati di gravidanza e, comunque, negli altri casi vietati dalla normativa vigente. 7. L’esito delle visite mediche deve essere comunicato al lavoratore o solo al datore di lavoro? Dove devono essere conservate le risultanze delle visite mediche? Le visite mediche, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio e predisposta su formato cartaceo o informatizzato. 6. Quali sono i giudizi che possono essere espressi dal medico competente al termine delle visite? Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

a) idoneità; b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni; c) inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente.

Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro.

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Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti temporali di validità. 9. E’ possibili proporre ricorso avverso i giudizi espressi dal medico competente? Se si, in che termini? Avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso. 10. Quali sono le modalità di esecuzione delle visite nei casi di lavorazioni che espongono all'azione di agenti chimici, fisici e biologici o che risultano comunque nocivi? Nelle lavorazioni che espongono all'azione di agenti chimici, fisici e biologici o che risultano comunque nocivi, i lavoratori devono essere visitati da un medico competente prima della loro ammissione al lavoro per constatare se essi abbiano i requisiti di idoneità al lavoro al quale sono destinati e successivamente, per constatare il loro stato di salute. Si ricorda che il D.Lgs. n. 81/2008 fa carico al medico competente di farsi parte attiva nel programmare, oltre che ovviamente eseguire, la sorveglianza sanitaria obbligatoria per legge. Deve inoltre predisporre dei protocolli sanitari (visite mediche, visite specialistiche, accertamenti strumentali e di laboratorio) calibrati sui rischi specifici, non dimenticando comunque lo stato generale di salute del lavoratore. 11. Qual è la periodicità con cui si devono effettuare le visite mediche? E' importante osservare come sia stata generalizzata per tutta la sorveglianza sanitaria l'indicazione ad una periodicità, di norma, annuale, così come era stata già introdotta per molti rischi specifici (ad esempio il rischio chimico). Ovviamente il medico competente può stabilire una diversa periodicità, sempre inferiore e sempre motivata sul DVR. Per quanto riguarda i lavori con rischio di esposizione alle radiazioni ionizzanti la sorveglianza sanitaria e le relative modalità sono regolamentate dal D.Lgs. n. 230/1995 che attribuisce al medico competente la facoltà di effettuare la sorveglianza medica esclusivamente nei confronti dei lavoratori esposti di categoria B. 12. Cos’è la visita medica preventiva? La sorveglianza sanitaria comprende la visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 2, lett. a)23. 13. In caso di lavoratori esposti alle radiazioni ionizzanti, come viene attivata la sorveglianza sanitaria? Deve essere disposta la visita medica preventiva? Il datore di lavoro deve provvedere a che i lavoratori esposti, prima di essere

destinati ad attività che li espongono alle radiazioni ionizzanti, siano sottoposti a visita medica a cura del medico addetto alla sorveglianza medica. Il datore di lavoro deve altresì rendere edotto il medico, all'atto della visita, della destinazione lavorativa del soggetto, nonché dei rischi, ancorché di natura diversa da quella radiologica, connessi a tale destinazione. La visita medica preventiva deve

23 Si ricorda che l’art. 32 del D.L. 30/12/08, n. 207, convertito dalla legge 27/02/09, n. 14 (G.U. n. 49 del 28/2/2009), ha prorogato al 16 maggio 2009 la disposizione relativa al divieto di effettuare le visite mediche in fase preassuntiva (anche per tale fattispecie era già stato previsto dalla L. 2 agosto 2008 n. 129 un primo differimento al 1° gennaio 2009). Il divieto è stato poi definitivamente abolito dal decreto correttivo.

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comprendere una anamnesi completa, dalla quale risultino anche le eventuali esposizioni precedenti, dovute sia alle mansioni esercitate sia a esami e trattamenti medici, e un esame clinico generale completato da adeguate indagini specialistiche e di laboratorio, per valutare lo stato generale di salute del lavoratore (D.Lgs. n. 230/1995, art. 84). Nel riportare, a titolo di esempio, le prescrizioni in merito alla visita preventiva per alcuni rischi di diversa natura, si vuole soffermare l'attenzione sullo scopo principale di questi accertamenti: quello cioè di controllare lo stato di salute generale del lavoratore e la presenza di eventuali malformazioni o malattie che lo rendano più suscettibile di danno in conseguenza dei rischi cui sarà esposto. Nel corso della visita il medico dovrà anche prestare una particolare attenzione nel raccogliere l'anamnesi lavorativa per annotare eventuali precedenti esposizioni allo stesso o ad altri rischi che possano presentare sinergismi d'azione, oppure essere motivo di confondimento medico legale nel caso si manifesti in futuro una malattia professionale. E' quindi essenziale che il medico competente sia stato preventivamente informato dal datore di lavoro sui rischi cui sarà esposto il lavoratore, possibilmente tramite una scheda di destinazione lavorativa e

sopralluoghi nei posti di lavoro, in modo da individuare gli organi critici e soffermarsi maggiormente su di essi nel corso della visita e stabilire gli accertamenti complementari ritenuti più utili. La visita medica preventiva rappresenta sicuramente un momento delicato della sorveglianza sanitaria cui sarà sottoposto il lavoratore: un errore di valutazione in questo momento può essere foriero di gravi conseguenze qualora determini l'esposizione ad un rischio specifico di un soggetto che, per le sue caratteristiche psicofisiche, presenti una minore capacità di sopportare il rischio stesso. E' ovvio che una visita medica deve essere considerata preventiva ad ogni variazione dell'attività lavorativa o, comunque, dell'esposizione al rischio, in quanto ogni visita medica è eseguita per rischi ben definiti e il conseguente giudizio d'idoneità è emesso per un lavoro specifico. 14. Oltre alle visite preventive, sono previste anche visite periodiche? Se si, come deve essere effettuata? Il medico competente deve eseguire accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 2, lett. b) con le periodicità previste per i singoli rischi. Lo scopo è quello di cogliere fin dall'inizio i sintomi di malattie attribuibili ad eventuali esposizioni lavorative, al fine di allontanare i soggetti dal rischio; questa è però una misura cautelativa tardiva, ben lontana dal concetto attuale di protezione dei lavoratori, e indice di un fallimento dei sistemi di prevenzione primaria. La visita riveste comunque una particolare importanza in relazione alla finalità di segnalare al datore di lavoro le carenze riscontrate e procedere quindi ad una nuova valutazione dei rischi e dei sistemi di prevenzione con sicuri benefici per la collettività. Anche la visita periodica deve essere eseguita con la metodologia utilizzata per la visita preventiva: valutare cioè l'idoneità del lavoratore a continuare ad essere esposto al rischio senza pregiudizio per la propria salute. In questa occasione sarà inoltre possibile controllare la correttezza delle valutazioni effettuate nel corso dei

precedenti accertamenti e la validità dei giudizi di idoneità formulati, e provvedere alle eventuali correzioni. Le visite mediche sono straordinarie quando, pur essendo eseguite nel contesto di una sorveglianza sanitaria già in atto, non rispettano la periodicità stabilita; è questo il caso delle visite eseguite su lavoratori precedentemente giudicati non idonei, per una loro eventuale riammissione, oppure nel caso in cui il medico addetto alla sorveglianza medica decida la prosecuzione della sorveglianza medica anche dopo la cessazione dell'esposizione al rischio da radiazioni ionizzanti (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85).

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15. Cosa si intende per visita straordinaria? Va considerata inoltre come visita straordinaria anche la visita conclusiva alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente che, oltre che prevista dall'art. 41, comma 2, lett. e), è sottintesa anche nell'obbligo che incombe al medico competente di fornire informazioni, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione. Per le radiazioni ionizzanti è invece espressamente statuito che il datore di lavoro deve far sottoporre a visita medica il lavoratore prima della cessazione del rapporto. In tale occasione il medico deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85, comma 5). 16. E’ fatto obbligo al medico competente di effettuare le visite mediche su richiesta del lavoratore? Il medico competente effettua le visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 2,

lett. c). E' degno di nota considerare che essendo tale tipo di visita inserita nel contesto della sorveglianza sanitaria, è fuor di dubbio che anche essa debba concludersi con un giudizio di idoneità. 17. Cos’è la visita medica eccezionale? Questo tipo di visita è prevista per i lavori con esposizione a rischi da radiazioni ionizzanti; infatti il datore di lavoro deve anche provvedere a che siano sottoposti a visita medica eccezionale, da parte di un medico autorizzato, i lavoratori che abbiano subito una esposizione a radiazioni ionizzanti tale da comportare il superamento dei valori stabiliti. Deve altresì provvedere a che i lavoratori in questione siano sottoposti a sorveglianza medica eccezionale, comprendente in particolare i trattamenti terapeutici, il controllo clinico e gli esami, che siano ritenuti necessari dal medico autorizzato a seguito dei risultati della visita medica. Le successive condizioni di esposizione devono essere subordinate all'assenso del medico autorizzato (D.Lgs. n. 230/1995, art. 91, comma 2). Una analoga visita, anche se non qualificata espressamente, è prevista per i lavori con esposizione al piombo: quando la piombemia individuale supera il valore di 60 mg di piombo per 100 ml di sangue, o 40 mg Pb/100 ml di sangue per le lavoratrici in età fertile. Solo per alcuni dei rischi lavorativi, sia fisici che chimici o biologici, è previsto un controllo di tipo eccezionale in caso di superamento di certi parametri, a meno che non si tratti di eventi accidentali; è comunque buona norma prevedere, qualora si abbia la certezza o anche solo il sospetto di una sovraesposizione ad agenti nocivi, l'esecuzione di accertamenti straordinari immediati mirati sugli effetti specifici attesi. In caso di agenti che siano caratterizzati da effetti patologici tardivi, gli accertamenti suddetti continueranno per il tempo ritenuto necessario. 18. Cosa sono gli accertamenti sanitari? In cosa consistono? Gli accertamenti sanitari comprendono esami clinici e biologici ed indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 4) che può avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri (D.Lgs. n. 81/2008, art. 39, comma 5). La moderna medicina non può prescindere dall'utilizzo di ausili diagnostici; anche in medicina del lavoro quindi, le visite mediche non possono essere limitate ad un semplice esame obiettivo del lavoratore _ peraltro sempre indispensabile per un approccio diretto _ ma devono comprendere anche tutti quegli accertamenti ritenuti indispensabili (secondo la valutazione professionale del medico competente) per effettuare una corretta prevenzione dai rischi lavorativi. Per alcuni rischi specifici la legge prevede

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un protocollo minimo di esami specialistici obbligatori; in altri casi è lasciata invece al medico competente la valutazione sulla necessità dei suddetti esami. 19. Quali sono gli accertamenti da eseguire in caso di rischi da radiazioni ionizzanti? Per quanto riguarda i rischi da radiazioni ionizzanti, non vengono indicati i tipi di accertamenti da eseguire, in quanto i possibili effetti lesivi sono molti e dipendono dal tipo di rischio specifico; viene però sancita l'obbligatorietà dell'effettuazione di indagini complementari nel corso della visita medica preventiva che deve comprendere adeguate indagini specialistiche e di laboratorio (D.Lgs. n. 230/1995, art. 84, comma 3), mentre le visite mediche periodiche sono integrate da tali indagini solo ove necessario (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85, comma 1). La medicina del lavoro è una branca medica che prevede lo studio di tutti gli organi ed apparati del corpo umano; è ovvio quindi che in alcuni casi il medico competente, oltre al ricorso ad accertamenti di laboratorio o strumentali, debba richiedere la collaborazione di colleghi specialisti. In tal caso la scelta dei medici specialisti è lasciata al datore di lavoro, che deve sopportare l'onere della spesa; non va però dimenticato che tali professionisti devono godere della massima fiducia del medico competente, dovendo egli formulare le proprie conclusioni anche sui loro giudizi diagnostici; è bene quindi che la scelta dei collaboratori sia effettuata di comune accordo. E' doveroso ricordare infine che le valutazioni conclusive ed il conseguente giudizio d'idoneità sono di competenza esclusiva del medico del lavoro, che ha la visione d'insieme dello stato di salute del lavoratore in rapporto ai rischi lavorativi, e non dei singoli specialisti, che devono limitare la propria opera ad una diagnosi inerente la propria specialità ed a fornire consulenza al medico competente sulla base di precisi quesiti. 20. E’ obbligo del medico competente comunicare gli esiti della visita medica? L’obbligo, eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità? Come conclusione della visita medica il medico deve comunicare per iscritto al datore di lavoro il giudizio d'idoneità, qualunque esso sia (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 8) e non più solo in caso di inidoneità, come prevedeva il D.Lgs. n. 626/1994; è obbligatorio precisare, in caso di inidoneità temporanea, i limiti temporali di validità (D.Lgs. n. 81/2008, art. 41, comma 8); è inoltre opportuno indicare chiaramente eventuali prescrizioni o limitazioni. 21. In caso di visite svolte su lavoratori esposti a rischi da radiazioni ionizzanti, è obbligo del medico competente comunicare gli esiti della visita medica? L’obbligo, eventualmente, vale per tutti i giudizi di idoneità? Anche per i rischi da radiazioni ionizzanti il medico comunica per iscritto al datore di lavoro il giudizio di idoneità ed i limiti di validità del medesimo (D.Lgs. n. 230/1995, art. 84, comma 5). Particolarmente importanti sono le informazioni relative all'evidenza di anomalie o malattie riscontrate in gruppi omogenei di lavoratori in quanto, in conseguenza di queste osservazioni, il datore di lavoro può effettuare una nuova valutazione del rischio e, ove sia tecnicamente possibile, una

misurazione della concentrazione dell'agente in aria per verificare l'efficacia delle misure adottate. Queste informazioni, che rappresentano un obbligo per il medico competente in caso di esposizione a determinati agenti nocivi quali i cancerogeni o mutageni (D.Lgs. n. 81/2008, art. 242, comma 4) ed i biologici (D.Lgs. n. 81/2008, art. 279, comma 3), dovrebbero comunque essere fornite tutte le volte che, per qualsiasi tipologia di rischio, vengano evidenziate anomalie che facciano sospettare una difettosa prevenzione primaria.

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22. Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di informazione nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica? Come

possono essere assolti tali obblighi? Anche nei confronti del lavoratore uno dei principali obblighi di informazione è quello relativo al giudizio d'idoneità, che deve essere sottoscritto dal lavoratore sulla cartella sanitaria e di rischio oppure sul documento sanitario personale. La comunicazione al lavoratore potrebbero intendersi assolta con la suddetta firma, ma, considerando soprattutto che il lavoratore deve essere inoltre informato sul suo diritto di effettuare ricorso avverso il giudizio stesso, è opportuno inviare anche a lui copia del giudizio. Il medico competente fornisce informazioni ai lavoratori sul significato degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali agenti; informa inoltre ogni lavoratore interessato dei risultati degli accertamenti sanitari e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria (D.Lgs. n. 81/2008, art. 25, comma 1, lett. g) e h). In caso di esposizione a radiazioni ionizzanti, il medico, nell'ambito della visita, illustra al lavoratore esposto il significato delle dosi ricevute, delle introduzioni di radionuclidi, degli esami medici e radiotossicologici (D.Lgs. n. 230/1995, art. 84, comma 6) e, prima della cessazione del rapporto di lavoro, deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare (D.Lgs. n. 230/1995, art. 85, comma 5). 23. Il medico competente o il datore di lavoro hanno particolari obblighi di informazione nei confronti dei lavoratori sottoposti a visita medica in quanto esposti ad agenti biologici? Come possono essere assolti tali obblighi? Per quanto riguarda gli agenti biologici, il medico competente deve fornire ragguagli sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione (D.Lgs. n. 81/2008, art. 279, comma 5). Una corretta sorveglianza sanitaria prevede uno stretto rapporto di fiducia tra il medico competente e il lavoratore e molto spesso, considerando il carattere squisitamente preventivo delle visite, è proprio nel corso di queste che sono diagnosticati problemi sanitari asintomatici che non verrebbero altrimenti evidenziati. Proprio per questo motivo è essenziale una corretta ed approfondita informazione da parte del medico che aiuti il lavoratore a comprendere tutti i contenuti della sorveglianza sanitaria ed effettuare un'utile informazione al medico curante. Si ricorda infine che al lavoratore, al momento della risoluzione del rapporto di lavoro e comunque in ogni momento dietro sua richiesta, deve essere consegnata copia della cartella sanitaria e di rischio ovvero del documento sanitario personale (D.Lgs. n. 626/1994, art. 25, comma 1, lett. e) e D.Lgs. n. 230/1995, art. 90, comma 2). 24. Quali obblighi ha il medico competente verso il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza? In considerazione del ruolo assegnato ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, è stato introdotto l'obbligo per il medico competente di fornire loro

(ovviamente in forma anonima) informazioni sul significato degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti i lavoratori e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali agenti; inoltre il medico comunica, in occasione delle riunioni periodiche di prevenzione e protezione dai rischi, ai rappresentanti per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati (D.Lgs. n. 81/2008, art. 25, comma 1, lett. g) e i).

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25. Quali sono le modalità di formulazione del giudizio d'idoneità da parte del medico competente?

Le modalità di formulazione del giudizio d'idoneità sono così riassunte: - il medico competente esprime i giudizi di idoneità alla mansione specifica al

lavoro; - il medico competente fornisce informazioni ai lavoratori, nel caso di

esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta l'esposizione a tali agenti;

- il medico competente comunica sempre per iscritto il giudizio di idoneità al datore di lavoro ed al lavoratore.

La lettura combinata di questi punti sopraesposti permette di evidenziare i possibili giudizi di idoneità formulabili quale esito di una visita preventiva o periodica: a) idoneità; b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni; c) inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente. 26. Quali sono i giudizi di idoneità formulabili quale esito di una visita preventiva o periodica in caso di radiazioni ionizzanti? Per quanto riguarda le radiazioni ionizzanti, il D.Lgs. n. 230/1995 indica dei giudizi lievemente diversi: non è prevista la non idoneità temporanea, ma è data possibilità al medico addetto alla sorveglianza medica di proporre il reinserimento del lavoratore al cessare dei motivi di non idoneità; di fatto quindi questa continuazione della sorveglianza medica può essere interpretata come una non idoneità temporanea fino a nuova comunicazione del medico. Sempre per quanto riguarda le radiazioni ionizzanti, al termine di una attività a rischio è previsto che il medico possa emettere il seguente giudizio: lavoratori sottoposti a sorveglianza medica dopo la cessazione del lavoro che li ha esposti alle radiazioni ionizzanti. Si configura in questo caso, a differenza di quanto sancito dal D.Lgs. n. 81/2008, un obbligo di prosecuzione degli accertamenti sanitari. 27. Quali obblighi ha il datore di lavoro in caso, all’esito della visita medica, il medico competente formuli un giudizio di inidoneità alla mansione specifica? Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6 del D.Lgs 81/08 indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. 28. Il giudizio di idoneità deve essere trasmesso anche al lavoratore? Esistono particolari forme di comunicazione? I giudizi formulati dal medico competente devono essere trasmessi per iscritto di volta in volta al lavoratore ed al datore di lavoro per gli eventuali adempimenti di

competenza e costituiscono prova dell'avvenuta esecuzione delle relative visite mediche; pertanto è raccomandabile che, fatto salvo l'obbligo di inviare un eventuale giudizio di non idoneità, venga comunque trasmesso sempre anche il giudizio di idoneità. Essendo questo un obbligo sanzionato, è bene che il medico conservi prova dell'avvenuta trasmissione: raccomandata AR o verbale di ricevimento sottoscritto dai destinatari in caso di consegna a mano. In molti casi gli organi di vigilanza hanno ritenuto sufficiente il report di una trasmissione via fax allegata a copia del giudizio di idoneità o, nel caso di pubblica amministrazione, l'indicazione del numero di protocollo interno.

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29. E lecito formulare giudizi di idoneità in fase di visita preventiva?

In caso di visita preventiva, trattandosi di lavoratori per i quali non è ancora possibile un'esposizione al rischio, è meglio che il medico competente si astenga dal formulare il giudizio di idoneità fino alla cessazione di una eventuale situazione morbosa presente o fino al completamento di eventuali ulteriori accertamenti. All'atto pratico, qualora si preveda di dover prolungare oltre un certo tempo questa situazione di "assenza di giudizio", può essere utile che il medico, nel rispetto del segreto professionale, comunichi al datore di lavoro tale evenienza. Anche in caso di visita periodica, qualora l'esecuzione di accertamenti complementari o eventuali dubbi diagnostici non permettano di formulare in tempi brevi il giudizio d'idoneità, è consigliabile che il medico ne dia comunicazione al datore di lavoro proponendo anche, se ritenuta necessaria, una temporanea non idoneità fino all'emanazione del giudizio definitivo. Nel giudizio di idoneità devono essere anche precisati i limiti di validità del giudizio stesso; tali limiti possono essere intesi come temporali in quanto le varie leggi prevedono una diversa periodicità per diverse attività

lavorative. 30. In caso di inidoneità al lavoro, quali obblighi ha il medico competente? Nonostante l'ovvietà del giudizio di non idoneità, è bene che il medico ribadisca l'obbligo di allontanamento dal rischio del lavoratore non idoneo; considerando inoltre che ogni successiva esposizione lavorativa può avere gravi conseguenze sulla salute del lavoratore e comportare quindi gravi responsabilità penali, tale comunicazione deve essere effettuata nel più breve tempo possibile e va ribadita la necessità di un intervento immediato. E' importante prevedere anche una proposta di reinserimento, in occasione della cessazione di un eventuale periodo di non idoneità; per tale motivo il medico può predisporre la prosecuzione della sorveglianza medica e, in occasione di ogni visita, motivare dettagliatamente il giudizio di idoneità. Solo nel caso in cui il medico reputi che la non idoneità sia permanente può, se non sussistono altre motivazioni di ordine clinico, sospendere la sorveglianza medica. 31. Quali sono le caratteristiche della sorveglianza sanitaria e, in particolare, dei giudizi di idoneità nel caso di lavoratori esposti ad agenti nocivi? La sorveglianza sanitaria svolta su lavoratori esposti ad agenti nocivi che possono determinare danni alla salute a distanza nel tempo e la cui comparsa sia soggetta a probabilità statistica, quali ad esempio i cancerogeni o le radiazioni ionizzanti, presenta, com’è evidente, elementi di maggiore complessità. La formulazione del giudizio d'idoneità è più difficile proprio perché non è possibile stabilire a priori una diretta correlazione esposizione_danno. In linea di massima, si può affermare che ogni possibile cautela deve essere attuata verso quei soggetti i cui parametri clinico biologici, importanti nei riguardi dei rischi specifici, si allontanino in misura significativa da quelli del cosiddetto "uomo standard" o "uomo di riferimento". Poiché i parametri protezionistici (TLV, limiti di dose, ALI, ecc.) sono stati elaborati per l'uomo standard, tali scostamenti dalla norma potrebbero far sì che il rischio

"accettabile" per l'uomo di riferimento, divenga "inaccettabile" per i soggetti che presentino scostamenti significativi dalla norma. La formulazione del giudizio di idoneità per i lavoratori esposti al rischio da cancerogeni e radiazioni ionizzanti deve ovviamente tenere conto dei possibili effetti stocastici connessi appunto a tale rischio. Le caratteristiche di tali effetti sono le seguenti: - La dipendenza dalla dose è relativa alla frequenza di comparsa e non alla

gravità ("legge della tutto o nulla")

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- Relazione dose-effetto di tipo lineare con estrapolazione passante per l'origine (ipotesi conservativa: la mancanza di soglia di dose è una ipotesi scientificamente accettabile, ma non ha accertata)

- Induzione per danno ad una cellula o a poche cellule - Latenza lunga o molto lunga - Assenza di reversibilità (diversa, ovviamente, dall'assenza di curabilità) - Aspecificità (questi effetti sono indistinguibili dagli analoghi ad incidenza

"spontanea" nella popolazione umana) - Dimostrazione attraverso il confronto statistico tra popolazioni esposte al rischio

e popolazioni di controllo - Attribuzione dell'effetto nel singolo caso su base probabilistica. 32. Quali sono i criteri clinici che potrebbero motivare un giudizio medico di non idoneità o di idoneità con limitazioni e/o prescrizioni in caso di esposizione a radiazioni ionizzanti? Secondo le indicazioni, ormai classiche, elaborate per le radiazioni ionizzanti, in via

estremamente sintetica, è possibile schematizzare in quattro gruppi i più importanti criteri clinici che potrebbero motivare un giudizio medico di non idoneità o di idoneità con limitazioni e/o prescrizioni. 1. Il primo gruppo comprende quelle condizioni cliniche suscettibili di essere confuse con (o attribuite a) danni da esposizione al rischio specifico (anemie croniche, leucopenie, leucocitosi persistenti, trombocitopenie, ecc.). 2. Il secondo gruppo si riferisce a quelle forme morbose capaci di favorire l'assorbimento e/o la ritenzione di agenti nocivi (dermatiti, deficit dei vari emuntori: polmoni, fegato, reni, ecc.) 3. Il terzo gruppo riguarda condizioni cliniche che possono porre problemi di ordine terapeutico, ad esempio nel trattamento medico chirurgico di eventi accidentali con contaminazione con l'agente nocivo (dermatosi croniche, infiammazioni croniche delle mucose, ecc.). 4. Il quarto gruppo comprende condizioni cliniche virtualmente suscettibili di essere attivate o aggravate dall'esposizione all'agente nocivo (poliglobulie, stati preleucemici, lesioni precancerose, ecc.). 33. La visita medica preventiva, introdotta dal Dlgs 81/2008 in caso di attività lavorativa considerata pericolosa dalla normativa sulla sicurezza, deve essere effettuata prima dell’inizio dell’attività lavorativa o può essere effettuata anche qualche giorno dopo? Nel caso venga effettuata successivamente all’assunzione, sono previste sanzioni? La visita medica preventiva di cui all’articolo 41, comma 2, lettera a) del Dlgs n. 81/2008 intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica, è effettuata di regola dopo l’assunzione, ma prima dell’inizio dell’attività lavorativa. In caso di inosservanza, è prevista la sanzione dell’arresto fino a due mesi o dell’ammenda da 1.000 a 4.500 euro.

34. Come devono essere condotti da parte del medico competente gli accertamenti sull'uso di alcol in ambiente di lavoro (per le mansioni a rischio previste dalla legge) ?Attraverso l'audit test ed altre pratiche non invasive in prima istanza o direttamente attraverso prelievi di sangue atti a rilevare il tasso alcolemico?In caso di analisi invasive (prelievo sangue) è necesario il consenso da parte del lavoratore? I controlli alcolimetrici sul luogo di lavoro, previsti dall’articolo 15 della legge 30 marzo 2001, n. 125 (legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati), e

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dall’ Intesa della conferenza Stato-Regioni del 16 marzo 2006, sono quelli clinici, a fini diagnostici. Detti controlli rientrano nella competenza esclusiva del medico competente, ai sensi dell'articolo 2 comma 1, lettera h), del Dlgs 81/2008, nonché dei medici del lavoro dei servizi ispettivi della Ausl, con funzioni di vigilanza ex articolo 13 del Dlgs 81/2008.La legge 125/2001 non richiede esplicitamente il consenso dell’interessato a sottoporsi ai controlli; di talché, avuto riguardo alle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale in tema di analisi per l’accertamento dell’infezione da Hiv (gli accertamenti sanitari rivolti ad accertare l’assenza della patologia, sia pure nel rispetto della dignità della persona e della privacy, sono “condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi”: Corte costituzionale, sentenza 2 giugno 1994, n. 218), il rifiuto ingiustificato del lavoratore (comunque non coercibile) è sanzionabile disciplinarmente e con il mutamento delle mansioni coinvolgenti la sicurezza di terzi, e, nei casi più gravi, con la risoluzione del rapporto di lavoro. 35. Se il medico aziendale prescrive ai dipendenti delle visite specialistiche, chi ne sopporta il relativo onere economico? Nel caso in cui sia a carico del datore di lavoro, di quali strutture puo' avvalersi? Il medico competente puo' avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri. Il datore di lavoro puo' fare ricorso sia a strutture pubbliche che private. 36. Il decreto legislativo 81/08 prevede che <la sorveglianza sanitaria e' effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente. Si chiede quali sono in dettaglio questi casi e i relativi riferimenti legislativi, e inoltre se la sorveglianza riguarda anche piccole aziende a conduzione familiare e studi professionali con un solo dipendente. In primo luogo, occorre rilevare che la sorveglianza sanitaria riguarda tutti i casi esposti. Si deve organizzare la sorveglianza sanitaria e nominare il medico competente prevalentemente in relazione ai rischi sottoindicati. A) Lavorazioni industriali che espongono all'azione di sostanze tossiche o infettanti o che risultano comunque nocive: visite mediche preventive e periodiche B) Rischi amianto, piombo, rumore C) Rischio silicosi Aree di rischio: 1) dispositivi di protezione individuale; 2) movimentazione manuale dei carichi; 3) videoterminali 4) agenti cancerogeni; 5) agenti biologici.