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Liceo Scientifico “Gaetano Salvemini” Progetto Envirad LA MECCANICA QUANTISTICA Ciro Chiaiese esposizione divulgativa di Ciro Chiaiese

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Liceo Scientifico “Gaetano Salvemini”

Progetto Envirad

LA MECCANICA QUANTISTICA

Ciro Chiaiese

esposizione divulgativa di Ciro Chiaiese

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Introduzione

Alla fine del 1800 il compito della Fisica sembravapraticamente giunto al termine: Maxwell avevasvelato le leggi dell’elettromagnetismo, le leggi diNewton spiegavano i fenomeni meccanici, anche lastruttura della materia era stata spiegata tramitel’atomo di Thomson. Pareva ci fossero solo pochi

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l’atomo di Thomson. Pareva ci fossero solo pochielementi da mettere ancora a posto, ma la strutturaportante sembrava chiara e ben definita, potente nellasua capacità di spiegare quasi tutto e, quel che restavafuori, si era certi di riuscire a inquadrarlo in quelleteorie.Fu a questo punto che tutto crollò.

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Introduzione

La Meccanica Quantistica (MQ) trova il suofondamento nell’ipotesi quantistica di Planck, che giàintrodusse un elemento di forte innovazione nellaFisica Classica (FC), per quanto essa fosse intesa dallostesso Planck relativa solo ad un particolare

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stesso Planck relativa solo ad un particolarefenomeno: il corpo nero. Successivamente, Einsteinadotta l’ipotesi quantistica del corpo nero perspiegare l’effetto fotoelettrico e ipotizza che taleipotesi sia valida per ogni interazione dellaradiazione elettromagnetica con la materia.

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Introduzione

Ma è solo con l’ipotesi di de Broglie, enunciata perrisolvere il dilemma della doppia natura della luce,che si apre un nuovo ramo della Fisica e che portaalla MQ, caratterizzata da principi e risultatifortemente contrastati dagli stessi Planck, Einstein e

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fortemente contrastati dagli stessi Planck, Einstein ealtri colleghi che, paradossalmente, ebbero un ruolodeterminante nella nascita di questa teoria.

Vediamo, quindi, appena un po’ più in dettaglio, ipassi che hanno portato alla nascita di questa teoria.

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1900 - Il corpo nero e l’ipotesi di Planck

Nella metà del XIX secolo, Kirchhoff si occupò dell’emissione edell’assorbimento della radiazione e.m. in funzione dellatemperatura e pervenne ad un’interessante scoperta: perquanto l’emissione e l’assorbimento dipendesse dalla naturadel corpo, il loro rapporto risultava essere una funzioneuniversale, detta radianza, che dipendeva unicamente dalla

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universale, detta radianza, che dipendeva unicamente dallatemperatura e dall’emissione:

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1900 - Il corpo nero e l’ipotesi di Planck

Il corpo nero è uno dei tanti modelli fisici ed è inteso essere un corpo capace diassorbire qualsiasi frequenza di una radiazione em che lo investe senza rifletternealcuna (attenzione, riflettere e non riemettere successivamente). Poiché i colori chenoi attribuiamo ai corpi sono in realtà le frequenze che esso riflette (e che arrivanoai nostri occhi), ne deriva che un corpo che non riflette alcuna radiazione apparenero, da cui la denominazione. Per quanto il corpo nero sia un modello (quindidefinito da caratteristiche ideali) esistono molte situazioni in natura e in laboratorioche ne danno un’ottima approssimazione.

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che ne danno un’ottima approssimazione.L’assorbimento della radiazione, comportando un incameramento di energia,determina un aumento della temperatura del corpo; inoltre, lo spettro di emissionedel corpo nero si estende a tutte le frequenze. In base alla teoria classica dellaMeccanica e dell’Elettromagnetismo, l’emissione em è proporzionale alla secondapotenza della frequenza (Rayleigh-Jeans) e questo comporta che un corpo nerodeve emettere una quantità infinita di energia a qualsiasi temperatura, anche amodeste temperature (catastrofe ultravioletta). Naturalmente, questa conclusione erainverosimile anche teoricamente, oltre che palesemente contraddetta dai datisperimentali.

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1900 - Il corpo nero e l’ipotesi di Planck

Qui di seguito si riporta a sinistra il grafico lunghezza d’onda–energia diemissione teorizzato dalla legge di R-J per un fissato valore di T e a destraquello rilevato empiricamente per vari valori di T.

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1900 - Il corpo nero e l’ipotesi di Planck

Il problema del corpo nero fu un importante punto di crisidella FC, e la sua risoluzione si deve ad un’ardita ipotesiformulata nel 1900 da un fisico tedesco: Max Planck. Egli sirese conto che se si supponeva che, per qualche strano motivo,il corpo non emettesse energia in forma continua ma, ad ognifrequenza, emettesse solo per multipli di una particolare

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frequenza, emettesse solo per multipli di una particolarequantità, si otteneva una grafico in accordo con i datisperimentali. La funzione di emissione che egli determinò fu laseguente

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in cui f è la frequenza, T la temperatura, K la costante diBoltzmann e h un nuova costante introdotta da Plancksuccessivamente denominata costante di Planck.

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1900 - Il corpo nero e l’ipotesi di Planck

Esprimendo questa funzione rispetto alla lunghezza d’onda edintegrando per ricavare E, per ogni fissato valore di T, siottiene una curva del genere riportato in figura

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1900 - Il corpo nero e l’ipotesi di Planck

Planck giunse alla funzione di emissione del corpo nerosupponendo che il corpo non emettesse energia in maniera continuama con valori discreti, distribuita in unità indivisibili (quanti).Inoltre, seconda fondamentale ipotesi, egli suppose che la quantitàdi energia portata da ogni quanto fosse direttamente proporzionalealla frequenza.

E=hf

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E=hfComunque, Planck stesso ammise di non riuscire a giustificare perquale strana legge di natura, in questo fenomeno, l’emissione dienergia avvenisse in tal modo. Vedremo come, in realtà, il corponero fu solo il fenomeno che rese evidente ciò che era unacaratteristica di tutte le interazioni fra radiazioni em e materia.

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1905 - Einstein e l’effetto fotoelettrico

Nel 1887, durante alcuni esperimenti sui fenomeni elettrici neigas, Hertz si accorse casualmente che la scarica che sisprigionava fra due sfere metalliche ad alto potenziale era piùintensa se una delle sfere era investita da raggi UV. Studiandopiù attentamente questo fenomeno, si rese conto che laradiazione em stimolava la fuoriuscita dal metallo di elettroni

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radiazione em stimolava la fuoriuscita dal metallo di elettroniche andavano a formare una corrente se sottoposti adopportuno campo elettrico. Ma, cercando di inquadrare ilfenomeno nell’ambito della teoria classica, alcune cose nontornavano anzi, ciò che la teoria prevedeva era in nettocontrasto con ciò che si osservava.

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1905 - Einstein e l’effetto fotoelettrico

Previsioni della FC:1) per ottenere l’emissione deve essere necessaria una radiazione

opportunamente intensa;2) più intensa è la radiazione più energetici devono essere gli elettroni emessi;3) maggiore è la frequenza della radiazione più numerosi devono essere gli

elettroni emessi.

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Risultati sperimentali:1) per ottenere l’emissione è necessaria una determinata frequenza, al di sotto

della quale, indipendentemente dall’intensità, non accade nulla;2) più intensa è la radiazione più numerosi sono gli elettroni emessi;3) maggiore è la frequenza della radiazione più energetici sono gli elettroni

emessi.

ANCORA UNA VOLTA L’ESATTO CONTRARIO DI QUANTO PREVISTO

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1905 - Einstein e l’effetto fotoelettrico

Nel 1905 Einstein pubblicò un articolo in cui proponeva unaspiegazione per l’effetto fotoelettrico: l’articolo si fondavasull’ipotesi che tutte le radiazioni em, come per il fenomenodel corpo nero, fossero caratterizzate non da un flussocontinuo e uniforme di energia ma piuttosto da unaconcentrazione dell’energia in pacchetti (fotoni) ognuno dei

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concentrazione dell’energia in pacchetti (fotoni) ognuno deiquali trasportava un’energia proporzionale alla frequenzadell’onda della radiazione:

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hfE

E essendo l’energia di un fotone, f la frequenza e h la costantedi Planck.

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1905 - Einstein e l’effetto fotoelettrico

Con questa ipotesi Einstein spiega perfettamente ilcomportamento riscontrato sperimentalmente () . L’ipotesidei fotoni, per quanto spiegasse e permettesse di superarel’impasse dell’effetto fotoelettrico, non fu ben accettata dallacomunità scientifica che mal vedeva questo riacquisito aspettocorpuscolare della luce a cui, all’epoca, sembrava

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corpuscolare della luce a cui, all’epoca, sembravadefinitivamente riconosciuta una natura ondulatoria. Circa 15anni dopo (1921) il fisico Arthur Compton dimostrò chel’interazione em con gli elettroni ha un comportamentoidentico all’urto fra due particelle, confermando così l’aspettocorpuscolare della luce (effetto Compton). Quello stesso anno fuattribuito ad Einstein il Nobel per il suo lavoro sull’effettofotoelettrico.

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1922 – Il modello atomico di Bohr

Parallelamente, dagli ultimi anni del 1800 ai primi del 1900,cominciò a svilupparsi la teoria atomica della materia. Prima adopera di J.J. Thomson che scoprì l’elettrone e propose il primomodello atomico (noto come modello a panettone), che vedeva l’atomocome una sfera formata di materiale di carica positiva in cui eranodistribuiti gli elettroni (come l’uvetta nel panettone) in manierauniforme e con carica negativa che complessivamente neutralizzava

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uniforme e con carica negativa che complessivamente neutralizzavaquella positiva. Successivamente, un suo collaboratoreneozelandese, Ernest Rutherford, studiando gli effetti di unaradiazione alfa su una sottile lamina d’oro si rese conto che ilmodello di Thomson non era adatto a spiegare i risultatisperimentali. Propose così un nuovo modello che vedeva la caricapositiva concentrata nel centro dell’atomo (nucleo) e gli elettroniorbitanti, con raggi relativamente molto elevati, intorno ad esso:nasceva il modello planetario dell’atomo.

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1922 – Il modello atomico di Bohr

Ben presto, ci si rese conto che anche questo modello non si accordava conaltri fatti sperimentali:1) in base alla teoria di Maxwell, gli elettroni, eseguendo un moto

accelerato, dovevano emettere onde em e quindi perdere continuamenteenergia, cosa che li avrebbe dovuti portare a collassare in brevissimotempo sul nucleo in contraddizione con la reale stabilità degli atomi.

2) la nascente scienza della spettroscopia, aveva rivelato che gli atomi

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2) la nascente scienza della spettroscopia, aveva rivelato che gli atomidegli elementi presentavano uno spettro caratterizzato da lineediscontinue, cioè da righe ben separate, contrariamente alla previsioneclassica che prospettava uno spettro in cui le frequenze sfumavano unanell’altra in maniera continua (ancora una volta si scopre una realtàdiscreta laddove se ne ipotizzava una continua).

E’ a questo punto che entra in gioco un giovane danese, assistente diRutherford che, focalizzando l’attenzione sull’atomo dell’elemento piùsemplice, l’idrogeno, propone una teoria in grado di superare entrambi ipunti.

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1922 – Il modello atomico di Bohr

Bohr, un po’ come Einstein per la Relatività Ristretta, supera il primo puntoassiomatizzandolo, ossia partendo dal presupposto che l’elettrone lungo ilmoto orbitale non emetta radiazione em e quindi non perda energia. Essoscambia energia solo nel cambio di orbita. Inoltre, egli suppose che le orbitepermesse non potessero avere un qualsiasi momento angolare ma solomultipli di un valore fissato.Ipotesi di Bohr

lungo il moto orbitale l’elettrone non emette onde em;

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1) lungo il moto orbitale l’elettrone non emette onde em;2) esistono delle orbite stabili che l’elettrone tende a mantenere se non

sollecitato;3) le orbite che può occupare l’elettrone sono in numero discreto e sono

caratterizzate dalla seguente relazione

l essendo il momento angolare dell’elettrone (r p), n un numero intero e hancora una volta la costante di Planck.

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2h

nl

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1922 – Il modello atomico di Bohr

L’ipotesi 3 va sotto il nome di quantizzazione del momento angolare (poichéprevede che questo possa assumere solo valori multipli di un valorefissato) e da esso discendono la quantizzazione dei raggi orbitali e dei livellienergetici (). Pertanto, Bohr deduce che l’elettrone emette radiazione emsolo quando passa da un livello energetico ad uno inferiore sotto forma diun fotone di energia pari appunto alla differenza di energia fra i due livellie caratterizzato da una frequenza f che segue la legge di Einstein-Planck

hfE

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I valori di frequenza di emissione così calcolati si trovavano in perfettoaccordo con le righe spettrali osservate per l’idrogeno (serie di Balmer).Va detto, comunque, che successivamente furono osservate delle altre righenello spettro dell’idrogeno che non potevano essere spiegate con questomodello e che furono spiegate solo successivamente, insieme agli spettridegli altri elementi (ben più compositi), trovando oltre alla quantizzazionedei livelli energetici (primo numero quantico) anche la quantizzazione deipiani orbitali e delle forme orbitali (secondo e terzo numero quantico).

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hfE

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1924 – de Broglie propone il dualismo della materia

Intanto, con la conferma del fotone si apriva nella FC un nuovofondamentale punto di crisi: la luce (la radiazione em) era un fenomenocorpuscolare o ondulatorio (dualismo della luce)?Un giovane aristocratico francese, propone nella sua tesi di dottorato infisica un’ardita teoria: non c’è da determinare se la luce sia corpuscolare oondulatoria, è entrambe le cose. Inoltre, egli ipotizza che anche la materiapresenta entrambi gli aspetti, solo che l’aspetto ondulatorio non risulta

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presenta entrambi gli aspetti, solo che l’aspetto ondulatorio non risultafacilmente osservabile perché estremamente debole. Il de Broglie ipotizzache qualsiasi fenomeno naturale sia caratterizzato da una quantità di motop, che ne rappresenta l’aspetto corpuscolare, e da una lunghezza d’onda ad essa legata dalla seguente relazione

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p

h

in cui ritroviamo ancora una volta la costante di Planck h.Cinque anni dopo, nel 1929, per la prima volta viene attribuito il Nobel ad una tesi di dottorato.

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1924 – de Broglie propone il dualismo della materia

Naturalmente, l’interpretazione di cosa fossero queste ondeassociate ad un qualsiasi corpo in moto, che de Broglie chiamò ondedi materia, fu un aspetto cruciale che caratterizzò successivamente losviluppo della MQ fino a portare all’interpretazione di Copenaghen.L’ipotesi di de Broglie, per quanto interessante, sarebbe restataun’ipotesi se non avesse avuto dei validi argomenti a supporto. Unodi questi fu che essa spiegava la natura quantistica delle orbite

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di questi fu che essa spiegava la natura quantistica delle orbiteelettroniche e quindi forniva una spiegazione all’ipotesi di Bohr ()che aveva permesso di spiegare gli spettri dell’atomo di idrogeno.Ma quella più convincente fu una prova diretta della validitàdell’ipotesi: la prova sperimentale che l’elettrone possiede anche unaspetto ondulatorio, scoperta separatamente da C.J. Davisson eGermer e da G.P. Thomson (il figlio di J.J. che scoprì l’elettrone comeparticella!!!).

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1926 – Schrodinger e la sua equazione d’onda

Basandosi sull’assunto, ormai provato, che ad ogni particella èassociata un’onda, il fisico austriaco Erwin Schrodingersviluppò un teoria ondulatoria della materia in grado didescrivere l’evoluzione della funzione d’onda associata allaparticella. Pervenne, così, ad un’equazione, nota appuntocome equazione d’onda (poi chiamata anche equazione di

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come equazione d’onda (poi chiamata anche equazione diSchrodinger) la cui soluzione era una funzione (x,t), dettafunzione d’onda, in cui x rappresenta la posizione nello spazio et l’istante di tempo. Da questa funzione è possibile ricavare laprobabilità che in un certo istante la particella sia in un volumedi spazio V

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V

dxtxP 2)],([

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1927 – Heisenberg e Il principio di indeterminazione

Effettuare la misura di una qualsiasi grandezza comportainteragire con il fenomeno.

Questo vale anche con le osservazioni “dirette”, ossia fatte avista, poiché in realtà ciò che osserviamo è il frutto diun’interazione fra un raggio luminoso e l’oggetto cheosserviamo. Senza la luce non lo vedremmo.

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osserviamo. Senza la luce non lo vedremmo.

Le interazioni con i fenomeni che osserviamo modificano laquantità di moto p del fenomeno stesso e, quindi, ciò chemisuriamo non è esattamente quel che sarebbe stato senza ilnostro intervento.

L’entità del nostro intervento dipende dalla natura delfenomeno.

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1927 – Heisenberg e Il principio di indeterminazione

Se misuriamo la posizione x di un tir in moto, l’interazione deltir con la luce produce una variazione di p non rilevabile.Se misuriamo la posizione di un oggetto di dimensioneatomica, l’interazione con la radiazione usata (quella visibilenon basta più) produce una variazione di p significativa.Nel 1927, il fisico tedesco Werner Heisenberg pubblica un

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Nel 1927, il fisico tedesco Werner Heisenberg pubblica unlavoro in cui afferma il principio di indeterminazione: non èpossibile misurare con un qualsiasi livello di precisione la posizione equantità di moto di un fenomeno o, allo stesso modo, l’energia el’intervallo di tempo:

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4h

px 4h

tE

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1927 – Heisenberg e Il principio di indeterminazione

Quanto affermato da Heisenberg lo si può dedurre anche daquanto segue: il fotone di una radiazione di lunghezza d’onda ha un impulso , che trasmette alla particella con cuiinteragisce e che pertanto avrà un p pari ad esso.Del resto, per avere una risoluzione x è necessario utilizzareuna x e dunque risulta

h

p

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una x e dunque risulta

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(*)hpxp

hx

(*) Il risultato non coincide per un fattore dovuto ad approssimazioni un po’grossolane ma l’intento era quello di mostrare cosa determina questa limitazione.

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L’incredibile esperimento della doppia fenditura

Nel 1801, lo scienziato britannico Thomas Young eseguì uncelebre esperimento che, fino ai primi del 1900, determinò ilconvincimento che la luce fosse un fenomeno ondulatorio.Interponendo una parete provvista di due fenditure di oppor-tuna larghezza fra una sorgenteluminosa ed uno schermo egli

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luminosa ed uno schermo egliottenne una figura formata dabande alternate di luce e scuro(frange d’interferenza) chepotevano essere spiegate solo conun’interpretazione ondulatoriadella luce. Alla fine del 1800, leequazioni di Maxwell consolida-rono questa convinzione.

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L’incredibile esperimento della doppia fenditura

Abbiamo visto, poi, che l’ipotesi di de Broglie assegna alla luce, comead ogni altra particella, la doppia natura di onda e corpuscolo. Persondare questa doppia natura, fu ripetuto l’esperimento di Youngma in una maniera molto particolare: si approntò un esperimentousando una sorgente con bassissima energia,in pratica in grado di emettere un fotone allavolta. Era come sparare dei proiettili contro le

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volta. Era come sparare dei proiettili contro lefenditure variando l’angolazione continua-mente. In tale situazione, ci si aspetterebbe ditrovare sullo schermo un addensamentomaggiore in prossimità delle fenditure (comevisualizzato nelle immagini a fianco).

immagine attesa sullo schermo

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L’incredibile esperimento della doppia fenditura

Quel che invece si osservò fu una figuracaratterizzata da frange d’interferenza, tipica diun comportamento ondulatorio.

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Inoltre, l’esperimento effettuato con pocheparticelle si mostra confacente ad un aspettocorpuscolare che, però, cambia all’aumentaredelle particelle fino a definire le franged’interferenza.

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L’incredibile esperimento della doppia fenditura

L’esperimento delle due fenditure è statosuccessivamente effettuato anche con particelle:

• prime fra tutte gli elettroni (anni ’60);• successivamente con neutroni (anni ‘70);

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• successivamente con neutroni (anni ‘70);• addirittura con molecole di fullerene, composte

da 60 atomi (1999), e fluorofullerene composte da oltre 100 atomi (2003)

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L’incredibile esperimento della doppia fenditura

Un ultimo interessante aspetto dell’esperimento delle duefenditure è legato al diverso risultato che si ottiene quando sitenta di monitorare le particelle che passano da ogni fenditura:in questo caso sparisce l’aspetto ondulatorio delle franged’interferenza e si evidenzia la natura corpuscolare dellostesso ottenendo una distribuzione tipica di questa natura.

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stesso ottenendo una distribuzione tipica di questa natura.

L’intervento di monitoraggio interagisce col fenomeno modificandone la sua evoluzione.

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Il Principio di complementarietà

L’impossibilità di osservare entrambi i comportamenti,corpuscolare e ondulatorio, portò Bohr ad enunciare ilfondamentale Principio di complementarietà nel quale si affermaquesta peculiarità:

E’ impossibile osservare, nello stesso esperimento, sia il

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E’ impossibile osservare, nello stesso esperimento, sia ilcomportamento corpuscolare sia quello ondulatorio di un datofenomeno.

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L’interpretazione di Copenaghen

Uno degli aspetti fondamentali e rivoluzionari della MQ è laperdita del determinismo delle scienze. Secondo la MQ, non è piùpossibile, pur immaginando di disporre di operatori estrumenti di misurazione ideali, pensare di misurareesattamente una grandezza e, di conseguenza, non è possibileimmaginare che una qualsiasi legge fisica possa predire in

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immaginare che una qualsiasi legge fisica possa predire inmodo esatto l’evoluzione di un fenomeno. Quanto detto,deriva direttamente da uno dei principi cardine della MQ: ilprincipio di indeterminazione di Heisenberg. In tale principio, fral’altro, si afferma che il misuratore diventa inevitabilmenteparte integrante della misura perché tale operazione (lamisura) è per sua natura il risultato dell’interazione fra ilfenomeno misurato e l’apparato di misurazione.

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L’interpretazione di Copenaghen

Ciò equivale ad affermare la soggettività della realtà poiché larealtà diventa ciò che appare nelle nostre osservazioni. Fino adallora (e per molti ancora oggi), un fenomeno osservatoscientificamente (ossia attraverso la misurazione dellegrandezze che lo caratterizzano) era identico per tutti; secondoi principi della MQ, invece, esso è frutto dell’interazione con

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i principi della MQ, invece, esso è frutto dell’interazione conogni diversa misurazione e quindi potrà discostarsi più omeno da quanto rilevato da altre misurazioni. Ciò, in sostanza,porta al fatto che il calcolo di una grandezza produce (aprescindere dalla stima dell’errore e quindi immaginata nonaffetta da esso) una banda di valori possibili secondo unadiversa probabilità. E’ l’espressione della funzione d’onda ()associata alla grandezza o, meglio, del suo quadrato (2).

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L’Interpretazione di Copenaghen

Questi limiti attribuiti alla misurazione cambianoradicalmente il modo di fare scienza e, poiché il ruolo dellascienza è quello di interpretare la realtà, la MQ produce unosconvolgimento che ha notevoli implicazioni anche filosofiche.La realtà non è più oggettiva ma è il frutto dell’interazione conchi la osserva, non ha senso porsi la domanda “come si

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chi la osserva, non ha senso porsi la domanda “come sisarebbe evoluto questo fenomeno se non l’avessi osservato?”;in ogni istante, le possibili evoluzioni di un fenomeno sonoinfinite (ma con diverse probabilità …), come si riveleràdipenderà solo dagli elementi che ne concretizzanol’osservazione in quell’istante. Questa lettura delle leggifornite dalla MQ è quella che va sotto il nome diInterpretazione di Copenaghen.

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Gli oppositori della Meccanica Quantistica

La natura probabilistica che la MQ assegnava allarealtà si scontrò non solo con il ruolo che la Fisicaaveva da sempre avuto di pervenire alle leggi cheregolavano l’universo ma alla unanime condivisionedi una visione deterministica della realtà che,progettata o no da un essere superiore, si evolveva

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progettata o no da un essere superiore, si evolvevanel tempo secondo un percorso ben preciso legatoindissolubilmente allo “stato” di un qualsiasi istantedi tale percorso. In sintesi, il retaggio era checonoscendo i valori delle grandezze in gioco e le leggidel suo funzionamento saremmo stati in grado dideterminare esattamente la sua evoluzione futura.

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Gli oppositori della Meccanica Quantistica

La MQ aveva pertanto creato un notevole sconvolgimento non solonella Fisica ma anche nella filosofia e nella teologia.Molti scienziati si trovarono non solo ad accettare il nuovo ruolodella Fisica ma anche a rivedere la propria visione della vita, la lorofede.Molti di essi, che pure avevano dato contributi essenziali alla nascitadella MQ, si discostarono da essa o, meglio, da quella che fu

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della MQ, si discostarono da essa o, meglio, da quella che ful’interpretazione data da Bohr, Heisenberg e dalla scuola diCopenhagen e che divenne la Meccanica Quantistica negli anni aseguire.Fra i più coriacei oppositori troviamo Albert Einstein, ma anchePlanck e lo stesso Schrodinger, che pure contribuirono al suosviluppo, successivamente non accettarono la nuova visione dellanatura che essa proponeva.

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Bohr e Einstein

La contrapposizione più significativa alla MQ si deve certamente adEinstein e il “duello” fra lui e Bohr, portato avanti nell’arco didecenni a colpi di paradossi proposti dal primo (il paradosso EPR neè l’esempio più rilevante) e le risoluzioni risposte dall’altro, spessodopo lunghe riflessioni, sono forse una delle immagini più positiveche la scienza abbia mostrato di come due massimi esponenti delloro campo si possano contrapporre conservando (addirittura

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loro campo si possano contrapporre conservando (addiritturaaccrescendo) la reciproca stima e le proprie posizioni. La storia,almeno fino ad oggi, ha decretato la vittoria di Bohr conl’interpretazione che la sua scuola ha dato alla MQ; Einstein è mortocon la “convinzione” che la natura non possa essere “regolata dalcaso”. Questa convinzione e il tentativo di unificare la gravitazionecon le altre tre forze fondamentali, sono state le due battaglie chehanno caratterizzato il suo impegno scientifico dopo la Relativitàfino alla sua morte.

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Bibliografia

Feynman Richard – La Fisica di FeynmanFeynman Richard – QEDAczel Amir D. – EntanglementKumar Manjit – QuantumLederman Leon – La particella di Dio

Ciro Chiaiese

Wilczek Frank – La leggerezza dell’essereWilczek Frank – La musica del vuotoCox B., Forshaw J. – L’universo quantistico svelatoEinstein A., Infeld L. – L’evoluzione della FisicaEinstein Albert – Autobiografia scientificaWikipedia – Articoli vari

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