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La fisica, l'uomo e Dio chiacchierata con Ezio Rosini (Parma 1914 - Roma 2002) Ezio Rosini, allievo di Fermi a via Panisperna, ha sempre insegnato fisica fino all'età della pensione, avvenuta intorno alla fine del 1980. Ma egli non aveva mandato il cervello in pensione, tutt'altro. Ha tenuto in funzione il cervello, si è aggiornato sui continui sviluppi di questa disciplina, e nonostante i malanni dai quali è stato afflitto non si è rifiutato mai di parlare, da conoscitore, della passione della sua vita. Lo scritto che segue è la trascrizione di una conversazione tenuta con circa 200 ragazzi, nel 1997, pubblicata con il suo permesso, sul sito WEB (http://www.qoelet.com/) per metterla a disposizione di tutti quelli che sono interessati all'argomento. E da questo sito lo abbiamo preso per metterlo a disposizione, anche dei nostri utenti. 1. Premessa Quella che segue è la trascrizione della registrazione effettuata il 6/1/1997, con i numerosissimi ritocchi che si rendono necessari quando si passa dal parlato estemporaneo allo scritto, nel quale si perdono le inflessioni della voce, le pause, i gesti. Sono inserite anche moltissime aggiunte e varianti ritenute utili; si è tuttavia mantenuta la forma diretta per conservare il carattere di semplice chiacchierata fatta con giovani sensibili ai problemi generali dell'uomo, in prevalenza già orientati verso altri interessi professionali o ancora in ricerca. Ne derivano manchevolezze e ripetizioni varie, ed anche qualche superficialità ed ingenuità: di tutto chiedo venia. In effetti, il mio impegno si è concentrato tutto sull'obiettivo che ho formulato come segue: lo scopo di questa chiacchierata è di darvi un'idea del perché lo sviluppo della fisica e della logica matematica avutosi nel

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La fisica, l'uomo e Diochiacchierata con Ezio Rosini

(Parma 1914 - Roma 2002)

Ezio Rosini, allievo di Fermi a via Panisperna, ha sempre insegnato fisica fino all'età della pensione, avvenuta intorno alla fine del 1980. Ma egli non aveva mandato il cervello in pensione, tutt'altro. Ha tenuto in funzione il cervello, si è aggiornato sui continui sviluppi di questa disciplina, e nonostante i malanni dai quali è stato afflitto non si è rifiutato mai di parlare, da conoscitore, della passione della sua vita. Lo scritto che segue è la trascrizione di una conversazione tenuta con circa 200 ragazzi, nel 1997, pubblicata con il suo permesso, sul sito WEB (http://www.qoelet.com/) per metterla a disposizione di tutti quelli che sono interessati all'argomento. E da questo sito lo abbiamo preso per metterlo a disposizione, anche dei nostri utenti.

1. Premessa

Quella che segue è la trascrizione della registrazione effettuata il 6/1/1997, con i numerosissimi ritocchi che si rendono necessari quando si passa dal parlato estemporaneo allo scritto, nel quale si perdono le inflessioni della voce, le pause, i gesti. Sono inserite anche moltissime aggiunte e varianti ritenute utili; si è tuttavia mantenuta la forma diretta per conservare il carattere di semplice chiacchierata fatta con giovani sensibili ai problemi generali dell'uomo, in prevalenza già orientati verso altri interessi professionali o ancora in ricerca. Ne derivano manchevolezze e ripetizioni varie, ed anche qualche superficialità ed ingenuità: di tutto chiedo venia.

In effetti, il mio impegno si è concentrato tutto sull'obiettivo che ho formulato come segue: lo scopo di questa chiacchierata è di darvi un'idea del perché lo sviluppo della fisica e della logica matematica avutosi nel corso di questo secolo deve essere considerato come un'autentica rivoluzione non solo rispetto alle conoscenze scientifiche dei secoli scorsi, ma anche circa le basi stesse della piattaforma culturale dell'umanità (culturale nel senso umano del termine, non nel senso di erudizione), come si è venuta formando nel corso dei millenni.

Da quando l'uomo è sulla terra, a poco a poco, la sua esperienza l'ha portato ad un insieme di cognizioni, di modi di fare, di pensare, di essere ecc..., da cui quella che quì viene chiamata base culturale.

La portata di tale rivoluzione è così vasta e traumatica, così radicale nei cambiamenti destinata ad operare nelle convinzioni più profonde degli uomini, che la maggioranza degli studiosi al corrente di questa

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rivoluzione, compresa una parte non piccola degli stessi fisici e matematici, non vuole accettarla.

E' cominciata agli inizi del secolo e, alla fine, c'è ancora una parte notevole che non vuole accettarla. Cercano perciò di minimizzarla, di mimetizzarla, di dimostrare che non è vera, ma per quanti sforzi facciano non ci riescono; purtroppo quei principi e quei teoremi sono veri; in particolare uno che nominerò dopo, di logica matematica, è vero e in sessanta anni di accanimento non sono riusciti a buttarlo giù.

Cercano anzi di impedire che la cognizione di questa rivoluzione venga diffusa e recepita dalla gente, mascherandola come un certo mirabile progresso tecnico, tecnologico e informatico ma semplice, senza addentellati più profondi. Che il progresso sia stato enorme è vero e tutti lo sanno, ma tale aspetto applicato non rappresenta che la superficie.

Quindi, già una distinzione tra la scienza di base mirante all'ampliamento e approfondimento delle conoscenze, aspirazione originaria degli uomini, e la tecnologia, con le finalizzazioni e applicazioni sotto tutte le varie forme. La scienza di base è ricerca della verità, sempre buona, mentre la tecnologia è buona o cattiva, talora perversa, a seconda degli scopi.

Darvi un'idea della sostanza di questa rivoluzione è stata la molla che mi ha fatto decidere, perché voi siete quelli che vivranno nel prossimo secolo, e sarà nel prossimo secolo che la radicalità della rivoluzione stessa comincerà ad entrare nella vita reale della gente.

Poi debbo aggiungere, dinanzi all'impresa di tradurre in uno schema definito l'intendimento di comunicarvi con una semplice chiacchierata la nozione di un cambiamento tanto profondo, a mio giudizio epocale, ho avuto la misura di tutta la mia inadeguatezza e presunzione, la mia debolezza. Non faccio nulla per nasconderla, anzi v'invito a recepirla come realtà umana.

Così è venuto il contraccolpo, ora aumentato nel vedervi in tanti. Sono però abituato a prendere tutto sul serio, dal problema più piccolo al problema più grosso, dalla presenza più elementare di un bambino alla presenza di gente qualificata, come molte volte mi sono trovato a dover fronteggiare in sede internazionale, in congressi di centinaia di cervelloni. Bene, per me sono allo stesso piano e so che ogni volta o mi ci impegno del tutto o fallisco miseramente.

E allora viene la paura e in questi casi mi affido ad una frase che amo ripetere, e forse conoscete già: "butta il cuore oltre l'ostacolo e affrontalo per andare a riprendertelo, per continuare a vivere". Però adesso sono quì e voi state ad ascoltarmi, anche se voi potete sempre alzarvi e

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andarvene. Comunque, il getto del cuore è avvenuto ieri, dopo di che ho ripreso a metter giù una traccia e degli appunti schematici.

2. La fisica un secolo fa

Una rivoluzione deve prendere le mosse dalla situazione sulla quale si inserisce e, quindi, non possiamo fare a meno di dare uno sguardo alla scienza, in particolare alle fisica, e solo per alcuni aspetti, alla matematica alla fine del secolo scorso. Naturalmente con una grossissima limitazione: si tratta solo di darvi un'idea quindi senza scendere nello specifico di nessun problema, per non degenerare in una lezione, come sarei abituato a fare.

Debbo accennare due premesse che vi sembreranno un po' aride, perché a scuola generalmente si comincia con esse e tutti sbadigliano: il metodo scientifico e la misurabilità dell'oggetto.

Sul metodo scientifico c'è in me una punta polemica, perché oggi sento uno storico che dice di aver studiato con metodo scientifico, un teologo che afferma di affrontare la Bibbia con metodo scientifico, un critico letterario che dice la stessa cosa; ma non è così: loro confondono.

E come mai sono arrivati a tale confusione? Dopo preciserò cosa confondono, ma il perché sta nella bomba di Hiroshima. Io ero già al lavoro e voi non eravate ancora nati quando scoppiò. Essa non solo ha fatto centinaia di migliaia di vittime, non solo ha spazzato via tante altre cose, ha spazzato via anche quella figura piuttosto comica dello scienziato sbadato, con la testa tra le nuvole, che talvolta prima poteva anche essere vera, ma oggi è assolutamente anacronistica.

Lo scoppio della bomba atomica mostrò alla gente che gli scienziati sono uomini come gli altri, con in più la possibilità di occuparsi di cose drammaticamente reali e concretamente importanti e, quindi, in possesso di un potere misterioso e temibile.

Per contraccolpo, ora tutti ostentano la scientificità del loro lavoro. Ma confondono il metodo scientifico con l'uso della ragione.

In realtà in tutte le epoche e in tutti i campi del sapere gli studiosi seri hanno sempre cercato di adoperare al meglio la ragione, usando i metodi di volta in volta più appropriati e disponibili; questo è indiscutibile e sarebbe sciocco negarlo.

Però il metodo scientifico è un'altra cosa, rientra nella razionalità in una sua specifica maniera. Esso ha un inizio ed un padre con nome e cognome: Galileo Galilei, nato a Pisa nel 1564 e morto ad Arcetri nel 1632. Sinteticamente, il metodo scientifico consiste nella:

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analisi quantitativa delle osservazioni disponibili e/o dei dati sperimentali;descrizione puntuale degli esperimenti eseguiti e verifica della loro riproducibilità;formulazione di ipotesi e teorie che spieghino i fenomeni osservati ed i risultati degli esperimenti eseguiti; ciò di regola richiede l'uso della matematica a volte molto sofisticato;prova della validità della teoria attraverso l'ideazione e realizzazione di nuove osservazioni ed esperimenti da essa suggeriti; allora, se i risultati sono giudicati soddisfacenti la teoria è accettata, altrimenti cade.Però, e questo si collega con la seconda premessa che dovevo fare (quella della misurabilità) tutto ciò è legato alla misura dell'oggetto: un oggetto interessa la fisica e la scienza e si può e si deve adottare il metodo scientifico, se è misurabile; se non è misurabile non succede niente di grave, ma non rientra nella fisica e nella scienza in generale.

La fisica, essendo un fisico, la esalto perché di fatto a poco a poco le altre scienze diventano autentiche scienze in quanto vengono a rientrare come capitoli, sia pure vastissimi, sia pure fondamentali e importantissimi, della fisica trattata matematicamente. Così la chimica lo è diventata e così lo sta diventando, faticosamente, anche la biologia. Ai miei tempi i biologi facevano un esamino di matematica e di fisica molto leggero perché tanto non interessava, mentre adesso sono la base e questo perché occorre inquadrare entro la fisica-matematica tutto il possibile.

In prima approssimazione possiamo forse sintetizzare così: oggetto della scienza è tutto ciò che rientra nella realtà spazio-temporale (materiale) e nella sua espressione matematica; molto più vasto è il campo aperto alle indagini della ragione; più vasta ancora è la realtà esistenziale dell'uomo con le sue aspirazioni i suoi sentimenti e il suo destino.

Torniamo alla misurabilità. Se un oggetto è misurabile occorrono strumenti di misura, i quali però hanno una precisione limitata. Tuttavia, prima si è sempre creduto che la precisione, affinando le tecniche, potesse crescere indefinitamente, mentre oggi sappiamo che vi è un limite teorico invalicabile, individuato anche numericamente dal Principio di Indeterminazione di Heisenberg; anzi, questo è uno dei cardini della rivoluzione scientifica del secolo, su cui torneremo.

Ma anche senza arrivare al limite teorico, l'imprecisione delle misure, espressa ad esempio dal sigma degli statistici, impone un limite alla "verità" delle teorie scientifiche: queste, se spiegano i fatti finora accertati attraverso le misure eseguite, sono da considerare vere, almeno entro i limiti di errore delle misure stesse. Se, poi, nuovi fatti o misure più precise mettono in evidenza altri aspetti della realtà, la teoria

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può risultarne confermata, magari con opportune modifiche ed ampliamenti, oppure uscirne non più difendibile e viene superata.

Queste varie possibilità hanno come conseguenza la clamorosa smentita di uno dei luoghi comuni più diffusi e tenaci: la "certezza scientifica" di cui si è tanto parlato ed abusato non esiste, perché o non è scientifica o non è certezza.

Non so se sono riuscito a darvi la sensazione di questo fatto: se è scientifica, vuol dire che si basa sulle misure e le misure, essendo per loro natura imprecise, non sono mai lo specchio della verità assoluta; se poi è certezza, significa che proviene da altre fonti, non dalla scienza.

Ma attenzione a non cadere nella sciocchezza opposta, secondo cui la storia della scienza sarebbe la storia degli errori umani in quanto le teorie prima o poi cadono, superate da altre più fini e generali. Invece, è la storia interessantissima del progresso di conoscenza dell'uomo, costellato di conquiste rese possibili di volta in volta dalla conquista precedente.

Una teoria che vale entro un certo intervallo di precisione e non oltre (l'ottica geometrica ne è un esempio classico) rimane utilizzabile fin dove è possibile trascurare i fenomeni per essa marginali: è cioè vera nell'ambito della sua validità, che è quello delle misure dalle quali sorge.

Spero di essere stato chiaro su questo punto fondamentale; poi torneremo sul significato da dare alla così detta "certezza matematica".

Abbiamo detto che una rivoluzione parte da una situazione di fatto, che per noi è quella della fine del secolo scorso. La scienza era dominata dalla concezione meccanicistica la quale, come è stato scritto da un'infinità di gente anche autorevole, vedeva l'universo come una enorme ma sterile macchina, con una meccanica destinata alla degenerazione e al decadimento finale, in virtù o per colpa del secondo principio della termodinamica.

Nella forma più banale, questo enuncia che il calore non può passare spontaneamente da un corpo più freddo ad uno più caldo; perciò, in natura si verifica solo il passaggio inverso e ciò significa che il sistema tende ad una temperatura uniforme intermedia, rispettando il primo principio della termodinamica (detto della conservazione dell'energia totale), ma con qualcosa che va degradando senza possibilità di ritorno. La grandezza fisica che misura questa degradazione (che è anche dissipazione e disordine dilagante) è l'entropia, che con il suo costante, irreversibile aumento decreta la cessazione finale di ogni forma di moto e di scambio energetico, la morte dell'universo.

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Quindi, la realtà dell'universo era concepita un secolo fa tutta meccanica e tutto in accordo al secondo principio della termodinamica.

Per il primo aspetto, associato alla convinzione che le misure sarebbero divenute senza limite più precise, si ipotizzava (o meglio si decretava assiomaticamente) che, una volta conosciuto con esattezza lo stato attuale di un sistema, lo sviluppo futuro fosse completamente e meccanicamente determinato: ecco il determinismo assoluto, valido per il passato e per il futuro (esso ovviamente escludeva la presenza di Dio, cioè lo poteva ignorare visto che comunque non aveva possibilità di intervenire).

Per il secondo aspetto si decretava senza appello il degradamento totale, cioè come abbiamo detto la degenerazione, il decadimento finale: prospettiva lontana ma cupa senza speranza alcuna, prospettiva di morte (ma allora, se Dio ci fosse, sarebbe solo un Maligno che crea qualcosa per il gusto di vederla in seguito autodistruggersi?). Non insisto, ma quì sta il nocciolo della conclamata contrapposizione tra scienza e fede, cardine della cultura laica che ha imperato fino a poco fa (accompagnata, è doveroso dirlo, da una gran confusione di idee nel campo dei credenti), e che ancora resiste con tenacia benché la fisica del XX secolo ne abbia scientificamente demolito le basi. Ma su questo torneremo.

Per inciso, forse è il caso di far notare a voi giovani nati in una società altamente elettrificata, che invece un secolo fa l'elettricità e l'elettromagnetismo avevano ancora un ruolo assai modesto, sia sul piano concettuale che applicativo, benché se ne conoscessero le leggi fondamentali e le prime applicazioni.

Un altro aspetto caratteristico della fisica dei secoli scorsi si riferisce al concetto che allora si aveva della materia, sul quale poi hanno speculato i materialisti di tutti i generi, le razze e i livelli. La materia era qualcosa di solido, di compatto, di continuo, di impenetrabile: se spingo un dito sul tavolo, hai voglia a spingere, non entra! Questo concetto è uno di quelli che poi saranno più rivoluzionati.

Già era stato scoperto che le varie sostanze chimiche sono fatte di molecole, ciascuna della sua specie, e queste a loro volta sono l'aggregazione di due o più particelle più piccole, gli atomi, essi ritenuti davvero i costituenti ultimi della materia.

Fu una grande conquista individuare le novantadue specie di atomi, combinando chimicamente i quali potevano formarsi le numerosissime molecole già note, ed anzi, fabbricarne sempre di nuove in base ad analogie ed affinità che la famosa Scala degli Elementi di Mendelejef metteva in evidenza. In realtà dunque la materia non sempre è così

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compatta ed impenetrabile, difatti vi sono i liquidi e gli aeriformi; ma tali caratteristiche rimanevano valide per gli atomi, le palline solide già preconizzate dalla teoria atomistica di Democrito: atomi, cioè a-tomi, indivisibili, duri ecc. La materia perciò rimaneva ancora quella cosa inerte, sorda e muta come un cadavere che piaceva tanto ai negatori dello spirito. Era vero che l'atomo chimico mostrava molte varietà e novità ben poco compatibili con una realtà così chiusa e confinata, ma è anche vero che le conoscenze scientifiche allora disponibili non aiutavano a concepire altre possibili spiegazioni.

A parte la chimica, vi erano almeno due aspetti del mondo fisico inconciliabili con quella mentalità. Il primo è il peso di un corpo.

Ogni oggetto pesa (anche se, in condizioni particolarissime, il peso può essere controbilanciato, ad esempio dalla forza centrifuga come nei satelliti), ed io peso fin dalla nascita come i miei antenati non uno escluso, per cui il peso è talmente connaturato con la mia identità che non mi viene in mente di farne un problema.

Poi Galileo iniziò le indagini scientifiche e mostrò che il peso aveva per così dire due genitori, uno interno al corpo stesso (la sua massa) e uno esterno che ne faceva una forza verticale verso terra. Newton completò il concetto e lo fece divenire la gravitazione universale: ogni corpo, per il solo fatto di esistere, ha una massa ed esercita una forza di attrazione su ogni altro oggetto, uno scuro ma misurabile vicendevole richiamo fra ciascun atomo e la terra, il sistema solare, le più lontane galassie, l'universo intero.

Però l'unica manifestazione della gravitazione direttamente percepibile dall'uomo era il peso degli oggetti sulla terra, e ciò era talmente consueto che certo non poteva far notizia, e nessuna spiegazione era in vista. Perciò la scoperta non preoccupò più di tanto i materialisti.

Debbo aggiungere che sulla gravitazione non è che oggi se ne sappia molto di più, oltre averla controllata come fatto universale: su tutto il resto abbiamo fatto progressi prodigiosi, ma la gravitazione resta ancora uno scoglio molto duro per i fisici.

Il secondo aspetto della materia che collega un oggetto a tutto il suo ambiente e determina un incessante scambio energetico a distanza, già molto studiato nel secolo scorso, è l'irraggiamento termico.

Però in questo caso, diversamente dall'attrazione di gravità, è accertato che, per il solo fatto di esistere, la materia emette qualcosa che irraggia finché non viene assorbita da un altro oggetto. Questo qualcosa è energia, la sua entità dipende dalla temperatura dell'oggetto (cresce molto fortemente con questa), come anche ne dipende la sua qualità

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esprimibile come composizione spettrale di onde, che si propagano tutte alla stessa velocità, la velocità della luce. Sull'irraggiamento termico per ora non aggiungeremo altro.

Ne ho parlato quì soprattutto per mettere in evidenza i due collegamenti che erano già noti come insopprimibili caratteristiche di ogni corpo, cioè la gravitazione e l'irraggiamento. Volendo concederci un breve intervallo di fantasia, possiamo dire che, mentre la prima è un richiamo sommesso rivolto da tutti a tutti, un appello costante che non conosce ostacoli e barriere né mutamenti di umore, il secondo è un'offerta viva, una emissione incessante e mutevole (con la temperatura) per la quale l'oggetto emittente cerca i suoi partners e comunica loro energia, e se poi non ne ricevesse in cambio, non cesserebbe di donare, fino a morirne esausto (ridotto allo zero assoluto).

L'universo quindi non è un'accozzaglia di monadi ciascuna chiusa in sé stessa, come era nella concezione ottocentesca della materia, ma un tutto unitario, vivo, con una storia ininterrotta e piena di sorprese.

Ci siamo così affacciati su un altro scenario misterioso al quale l'uomo è legato da sempre e che sempre ha suscitato in lui inappagati interrogativi: vivere, avere una storia significa partecipare allo scorrere del tempo, con un prima e un dopo. Ma cosà è il tempo? Più tardi torneremo sull'argomento; quì mi interessa soffermarmi su un aspetto di fondamentale importanza, anch'esso già messo a fuoco nei secoli precedenti ma al quale mi riferisco alla luce del travaglio critico successivo.

Il tempo, analogamente al peso e allo spazio, fa parte dell'esperienza primordiale nella quale l'uomo è venuto al mondo ed è vissuto: lui e tutti i suoi predecessori umani e preumani. Vi siamo immersi indissolubilmente, è per noi un assoluto dal quale ci è impossibile prescindere. Fra altre conseguenze, quando assistiamo ad un evento non possiamo non domandarci se qualcosa precedentemente avvenuta lo abbia prodotto, cercare una causa della quale esso è l'effetto, questa causa dunque cercarla nel passato (al limite nel presente) e non nel futuro, e spesso finiamo per trovarla o, almeno, ragionevolmente ipotizzarla.

Nasce così il Principio di Causalità, divenuto il cardine della ricerca scientifica. E' questo, applicato con il metodo scientifico introdotto da Galileo, che ha permesso un così rigoglioso progresso di conoscenza. Ma basta per spiegare tutto? Secondo gli studiosi del secolo scorso questo basta, e così si ribadiva il determinismo fisico, con la sua forza di stimolo all'indagine scientifica e al tempo stesso le sue magagne filosofiche e (a me piace usare estensivamente questo termine) esistenziali.

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Infatti, con una disparità di atteggiamento di cui non si avvertiva l'arbitrarietà, si riconosceva come scientifica la ricerca delle cause, mentre si respingeva come puramente fideistica la possibilità che qualcosa potesse spiegarsi con la individuazione di un fine da raggiungere: cioè che un evento, oltre ad essere prodotto da una causa, si verificasse anche in vista di un qualche obiettivo futuro.

Ora, che la ricerca scientifica delle cause abbia operato un radicale salto di qualità nelle indagini, lo ripetiamo, è un dato di fatto che ha permesso di spazzar via un cumulo di sovrastrutture, sia di tipo magico e superstizioso sia timorosamente basate sull'autorità di qualche antico saggio di aristotelica memoria. Ma questo non basta, oggettivamente, per giustificare la convinzione che se c'è una causa non occorre Dio, invece se c'è un fine allora guai, significa entrare nel fideismo, occorrerebbe un Dio: perché di questo si tratta, nella realtà storica dell'Illuminismo e nella sua scia.

Ecco, ve lo debbo dire, quando mi sono reso conto della situazione, da allora sono nel numero di coloro che si domandano (e vi assicuro che mi trovo in buona compagnia): ma come ha fatto la scienza ad accettare la causa e rifiutare il fine? Se c'è una causa, è misterioso come essa esista; e se c'è un mistero per le cause, lo stesso può valere per i fini.

Siamo ai due capi di uno stesso tempo, di qualcosa che scorre, di cui viviamo di giorno in giorno solo il presente. Esiste solo l'oggi? Se debbo ammettere un passato con le sue incognite, sono costretto ad ammettere anche un futuro con le proprie (o le stesse?) incognite, in una misteriosa simmetria.

Ma un secolo fa molti erano convinti che ormai la fisica avesse spiegato quasi tutto, rimanevano solo pochi dettagli da sistemare, e ciò li rendeva superbi: l'uomo non aveva bisogno di nessuno al di fuori di se stesso. Come quel ricco del Vangelo dopo un ottimo raccolto, non sapeva che la stessa notte sarebbe arrivata una frustata ad uccidere quella superbia.

3. Qualche cenno sulla matematica e la statistica

Per quanto riguarda la matematica, solo un cenno ai due aspetti del secolo precedente che interessano direttamente il nostro discorso. Il primo prende spunto dalla geometria, soprattutto per chiarire la distinzione tra matematica in sé e matematica come ausilio prezioso della fisica e, più in generale, della conoscenza sistematica delle realtà aventi un supporto materiale.

La geometria parte dalla considerazione delle forme dei corpi così come si presentano ai nostri occhi, a cominciare dalla struttura più semplice cioè la linea retta. Già questo elemento basilare è visto dalla geometria

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con un alto grado di astrazione: è una sequenza continua e diritta di "punti matematici" senza dimensioni, quindi non ha spessore; è illimitata da ambedue i lati, quindi ha lunghezza infinita; un suo segmento ha lunghezza finita ma è anch'esso costituito da un'infinità di punti contigui.

Che i punti siano contigui e allineati, cioè formino un continuo dritto, ce lo dicono gli occhi, mentre che siano un'infinità tanto nel segmento quanto nell'intera retta ce lo dice l'intelletto come deduzione dalla dimensione nulla di ciascun punto. In queste condizioni la linea retta è "vera" in sede matematica, perché è dichiarata nella sua definizione assiomatica, e ciò basta.

In sede fisica oggi la cose si presentano assai meno semplici, dopo il lavorio critico del secolo, ma non c'è dubbio che prima la retta era una verità indiscutibile, alla quale la realtà fisica si avvicinava tanto più quanto più si riusciva a correggerne le imperfezioni rispetto al modello matematico.

Ciò vale anche per la geometria nel suo insieme, che è basata su un piccolo numero di affermazioni assiomatiche (i postulati) considerate evidenti di per sé, verità indimostrabili ma necessarie per procedere. Alcuni dei postulati sono pure e semplici regole logiche, altri sono geometrici come il famoso postulato delle parallele: per un punto esterno ad una retta passa una e una sola parallela alla retta. Questo, senza dirlo esplicitamente, postula uno spazio euclideo, cioè a tre dimensioni fra loro ortogonali, come sembra essere lo spazio nel quale siamo immersi e ci ospita da sempre, perché si mostra rispondente alla realtà fisica per tutto ciò che è alla portata diretta dell'esperienza umana.

Ma i matematici già nel secolo scorso avevano provato a negare il postulato delle parallele ed avevano verificato, non senza stupore, che in tal modo si potevano costruire geometrie altrettanto logiche in se stesse, quindi matematicamente "vere", come anche si potevano concepire geometrie a quattro o più dimensioni tutte fra loro ortogonali. Queste ultime, peraltro potevano solo essere concepite, ma non immaginate, perché la nostra mente non è in grado di andare oltre le tre dimensioni. Comunque tutto ciò era considerato come una gratuita speculazione matematica, perché nessuno pensava che la realtà fisica potesse uscire dall'ambito dello spazio tridimensionale ortogonale.

Il secondo aspetto della matematica, cui quì accenniamo, si ferma alla più elementare delle proposizioni numeriche: 1+1 = 2 (da cui 2+1 = 3, ..., e poi tutta l'aritmetica e tutta l'algebra). Essa si presenta come un verità assoluta, quindi come certezza. In realtà non fa che esprimere implicitamente la base di tutta la varietà di deduzioni (teoremi) che è possibile trarre da un'unica affermazione: se stabiliamo che 1+1 = 2, tutto ne viene di conseguenza.

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Ma quali sono le implicazioni di tale affermazione? Se la rifiuto, che succede? E posso rifiutarla? Sì, posso. Essa consta di un atto espresso dal segno + con il quale associo due entità per farne una sola, e di una asserzione, = 2 , che qualcuno potrebbe contestare come arbitraria. Infatti, per essa la nuova entità è puramente e semplicemente data dall'accostamento (logico, non fisico) delle due entità di partenza, accostamento che chiamo somma.

Dal punto di vista matematico, invero, nessuno può impedirmi di stabilire questa, come tante altre definizioni; ma dal punto di vista della realtà ciò non basta per dichiararla "vera" a priori: lo sarebbe solo se le entità di partenza fossero assimilabili alle palline sorde e mute di cui abbiamo già parlato. Ma queste sono inesistenti, perché anche in sede puramente fisica tutto è collegato con tutto.

Quindi, la definizione stessa non è l'espressione di una verità oggettiva, ma piuttosto di una convenzione. Ora, che la convenzione sia in pratica accettabile in un gran numero di situazioni del nostro mondo reale, è un dato di fatto che ne giustifica ampiamente la convenienza; ma il passaggio all'assoluto non c'è.

Nel mondo della chimica, ad esempio, le entità originarie sono le molecole e il segno + rappresenta la loro combinazione chimica: per l'acqua, 2+1 = 2 perché due molecole di idrogeno si combinano con una di ossigeno per formare due molecole di acqua. Non parliamo poi degli esseri umani: quando due di sesso diverso si uniscono può essere 1+1 = 1 (famiglia) e contemporaneamente 1+1 = 2, 3, 4, ... (esseri umani, secondo il numero dei figli generati); può anche essere 1+1 = 1 e 1, quando l'unione produce una realtà fittizia seguita da un fallimento, con separazioni e complicazioni altrettanto reali e spesso drammatiche per tutti, a cominciare dai figli. Si dirà che tutto ciò è associato a realtà ben individuabili: ma a me quì basta aver messo in evidenza l'approccio critico alla presunta "certezza matematica".

Infine, prima di passare al secolo presente (di cui peraltro stiamo anticipando varie considerazioni, che non avremmo neppure immaginato se oggi non fossimo al suo termine) un accenno ad una disciplina secondo me basilare per la nostra comprensione del mondo reale: la statistica. La statistica riguarda le collettività di individui, siano essi persone, oggetti, misure ripetute di qualsiasi tipo o altro; essa con il suo strumento logico-matematico fornito dal calcolo delle probabilità è sorta nei secoli precedenti, ma a mio parere siamo ancora ben lontani dal riconoscerle quel ruolo fondamentale che invece riveste, imbevuti come siamo dello sfrenato individualismo che da molti secoli domina la nostra cultura. Di fatto non è pensabile una statistica basata su uno solo o pochissimi dati: ce ne vuole una adeguata numerosità.

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Ma questa è solo una parte di un principio più profondo e "simmetrico" che sembra ancora sfuggire ai più: se non è concepibile una collettività senza gli individui che la compongono, così non può esserci un individuo se non fa parte di una collettività specifica (già conosciuta o almeno chiaramente individuabile). Un individuo da solo non può esistere, non può generarsi, non può vivere. Anche nel mondo fisico, un pezzo di materia, o un intero pianeta, o anche un solo atomo non potrebbero sussistere se fossero soli: se non altro per l'irraggiamento termico che, come abbiamo detto, li ridurrebbe in poco tempo alla temperatura dello zero assoluto alla quale, per il terzo principio della termodinamica, svanirebbero nel nulla.

Ma a parte questa ed altre proprietà che coinvolgono l'unità dell'intero universo, la connessione inscindibile individuo-collettività si riscontra a tutti i livelli ed in tutti i campi, rivelandosi quindi come una caratteristica fondante di ogni realtà. Con un interessante corollario: la collettività (qualsiasi tipo di popolazione) non è fondata da replicanti tutti identici di un unico individuo, ma mostra sempre una varietà nei valori singoli, una dispersione entro un intervallo, cioè una distribuzione statistica anch'essa specifica.

Tutto ciò porta ad una conclusione: quelle che a noi si presentano come due realtà ben distinguibili, cioè l'individuo e il gruppo di cui esso fa parte, sono le due facce di una sola realtà, che però la nostra intelligenza non riesce a percepire nel suo insieme. Forse essa è l'immagine di una realtà ben superiore, che però esula dal nostro scopo presente. L'ultima affermazione, cioè l'incapacità della nostra intelligenza a recepire alcune realtà, la cui esistenza però la logica ci porta a dover ammettere, può forse sembrare ardita, fantasiosa, distruttiva. Non posso escludere che, a conti fatti, essa possa risultare inesatta in qualche applicazione specifica; ma certamente è valida per altre realtà.

Nell'affascinante fine secolo in cui ci troviamo a vivere, matematici e fisici sono arrivati a tale clamoroso convincimento con metodo scientifico, mediante deduzioni logiche (la logica di cui disponiamo) e conferme sperimentali: non può quindi risultare distruttivo, se non nella nostra presunzione che, essendo esseri pensanti, possiamo abbracciare tutto nella nostra mente. Quì ho introdotto questo convincimento partendo dalle realtà di cui si occupa la statistica; ma non vado oltre, con un grosso rammarico: la statistica aiuta a comprendere molte cose, anche essenziali, del vivere umano, eppure è praticamente ignorata nelle nostre scuole, anzi è misconosciuta dai nostri non illuminati (quantomeno non aggiornati) legislatori.

4. La radioattività

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Veniamo finalmente a questo secolo, che per la fisica cominciò con qualche anno di anticipo sul calendario. Cento anni fa arrivò il fatto-bomba dal quale prese l'avvio la maggior parte della fisica attuale: la scoperta della radioattività naturale. Come forse sapete, i coniugi Curie (probabilmente avete visto alla televisione il film fatto molto bene, lei polacca lui francese) analizzando chimicamente un minerale, la pecblenda, ad un certo punto del trattamento si accorsero di qualcosa di assolutamente estraneo ad ogni esperienza precedente: nell'oscurità il materiale emetteva una debole luce azzurrina. Proseguendo con emozione nell'analisi chimica, riuscirono ad isolare un elemento sconosciuto che chiamarono radium, dal quale usciva (senza apparentemente consumarsi) non solo quella debole luce, ma anche una vera e propria radiazione di energia e di materia: i raggi alfa, beta e gamma. I raggi alfa risultarono essere particelle (relativamente) pesanti, i protoni, dotati di carica elettrica positiva; i raggi beta particelle molto più leggere, gli elettroni, con carica negativa, eguale e contraria a quella dei protoni; i raggi gamma senza peso, né carica elettrica, in tutto simili alle onde luminose (cioè elettromagnetiche) ma con frequenze quasi tutte situate oltre l'ultravioletto e molto penetranti.

Questo fatto inaspettato portò innanzitutto due conseguenze, entrambe fondamentali: fece balzare in primo piano il ruolo delle cariche elettriche nella costituzione della materia e frantumò l'atomo stesso, perché evidentemente non potevamo più concepirlo come pallina indivisibile e compatta, visto che ne uscivano particelle e radiazioni.

Dopo oltre 10 anni, il grande fisico danese Bohr presentò il suo modello di atomo, compatibile con tutte le conoscenze vecchie e nuove acquisite. Secondo il modello di Bohr, che sostanzialmente è tuttora valido almeno come riferimento, l'atomo è formato da un piccolissimo nucleo nel quale è concentrata quasi tutta la massa, da uno a 92 elettroni a seconda dell'elemento chimico, che gli girano vorticosamente intorno. Il nucleo è costituito da protoni, tanti quanti sono gli elettroni intorno, più un numero variabile ma più o meno comparabile di neutroni, ciascuno dei quali è l'associazione strettissima di un protone con un elettrone.

Debbo però mettervi in guardia dalla facile illusione che, va bene, l'atomo non è a-tomo perché è divisibile e quindi occorre scendere per così dire al piano di sotto, ove sono altre particelle più piccole, ma queste saranno finalmente le famose palline compatte. Ebbene, anche ciò è falso: le ultime particelle sono anche, al medesimo tempo, pacchetti di onde, una specie di ondulazioni circoscritte, sono anzi onde di probabilità: la probabilità di trovare qualcosa entro l'ondulazione stessa, di cui l'unica proprietà che conosciamo con certezza è che non si tratta di palline ma di vibrazioni nel vuoto. Inoltre, fra un pacchetto ondulatorio e l'altro vi sono spazi vuoti enormi, rispetto alle loro dimensioni, per cui non più di un miliardesimo di un miliardesimo dello spazio "occupato" (si

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fa per dire) dalla materia solida quale appare ai nostri occhi, contiene davvero qualcosa che non sappiamo definire nella nostra immaginazione.

A questo vuoto, con qua e là qualche rara vibrazione, si riduce oggi la "materia concreta" che costituirebbe l'unica realtà secondo gli obsoleti materialisti. Però, direte, almeno rimane l'impenetrabilità di questo tavolo da parte del mio dito: certamente rimane; ma non perché alla materia del mio dito si oppone quella del tavolo, viceversa perché i relativi spazi quasi vuoti sono sede di forze, campi di forza, per me invincibili. Esistono però in natura particelle-pacchetti d'onda, oggi anche provocate dall'uomo (pensate all'energia nucleare e al disastro di Chernobil), che passano tranquillamente attraverso quegli spazi. Sulle particelle subnucleari conto di tornare più tardi.

5. La Relatività

Pochi anni dopo la scoperta della radioattività un altro evento dirompente scosse il non più tranquillo mondo dei fisici. Questa volta esso proveniva dal versante opposto a quello sperimentale, ad opera di uno studioso solitario munito solo di carta e penna, Albert Einstein. In una nota di poche pagine Einstein fece un'analisi critica dei concetti di spazio, tempo e massa, con considerazioni mai prima di allora neppure immaginate e pose le basi della Teoria della Relatività, che poi allargò negli anni successivi.

Questa teoria è oggettivamente difficile da capire, e sarei privo di senno se tentassi di darne anche solo un'idea nel corso di una semplice chiacchierata; perciò mi limiterò a nominare alcune delle sue conseguenze in relazione allo scopo prefissomi. Non posso però tacere che, malgrado la sua difficoltà (o forse anche a causa di questa), ebbe un impatto enorme negli ambienti della cultura, che poi è penetrato nell'opinione pubblica con reazioni emotive sconcertanti, spiegabili soltanto pensando che si andava a stuzzicare qualcosa di profondo nei recessi dell'animo umano.

Un episodio di cui ho vivo il ricordo vi mostrerà l'atmosfera di quei primi decenni del secolo. Nei primi anni 30 (ero ancora un ragazzo) mio fratello mi riferì di aver assistito ad una conferenza sulla Relatività tenuta da un eminente religioso, il quale ne parlò in termini terrificanti e finì con una accorata esortazione: "Dobbiamo pregare il Signore perché la Relatività non sia vera". Pensate al dramma interiore di quel buon religioso: convinto che se la teoria per disgrazia fosse risultata vera, la nostra fede ne sarebbe uscita distrutta e lo stesso Dio si troverebbe in serie difficoltà!

Fra le conseguenze della Relatività che mi limito a nominare, vi è anzitutto il tempo: per Einstein esso non è assoluto, unico per tutto

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l'universo come abbiamo sempre pensato, ma solo locale, ed anche questo non è univoco, salvo istante per istante, perché dipende dalla velocità con la quale si passa per quel punto (scorre tanto più lentamente quanto più la velocità si avvicina a quella limite della luce). Inoltre, non è possibile stabilire la contemporaneità di due eventi fra loro distanti nello spazio, e due orologi fra loro perfettamente accordati in un dato punto-istante, una volta separati proseguono ciascuno segnando un proprio tempo in dipendenza delle sue vicissitudini. Tutto ciò, peraltro, non è avvertibile alle velocità e distanze a dimensione umana, ma è stato verificato sperimentalmente in altre condizioni.

Quanto allo spazio, la Relatività dimostra che la geometria tridimensionale euclidea, pur ampiamente sufficiente alla scala delle esperienze umane, è solo un'approssimazione della reale geometria del nostro universo, e ciò per due aspetti: primo, non si può parlare di spazio e di tempo come due entità indipendenti, senza connessioni fra loro, ma solo di un'unica realtà spazio-temporale con due componenti che possono essere concepite fra loro distinte, ma sono inseparabili di fatto; secondo, la componente spaziale è tridimensionale, ma non euclidea, con una curvatura variabile localmente a seconda delle masse contenute.

Per la mente umana lo spazio curvo è del tutto e per sempre inimmaginabile, comunque ne è concepibile in modo astratto la possibilità, se lo si suppone immerso in un iperspazio con una dimensione in più, cioè a quattro dimensioni, come abbiamo già notato prima. Data la sua importanza, di questa situazione possiamo renderci conto aiutandoci con una analogia. Se immaginiamo di vivere in uno spazio piatto, a due sole dimensioni (soltanto lunghezza e larghezza, senza profondità), che è una superficie, non potremmo mai avere l'immagine di una superficie ondulata né di una sua linea curva o sghemba perché queste figure sono visibili solo da un punto fuori della superficie stessa, cioè situato in una terza dimensione. Così potremmo immaginare uno spazio curvo solo ammettendo una quarta dimensione spaziale.

Concludendo, la Relatività dimostra che spazio e tempo sono un'unica realtà con almeno tre dimensioni spaziali ed una temporale, intimamente connesse. Ma poi, lo stesso Einstein ha mostrato, sviluppando la cosiddetta Relatività generale, che le masse incurvano lo spazio (quì, per non mettere troppa carne a cuocere, sorvoliamo sulla identità fra curvatura dello spazio e gravitazione universale di Galileo-Newton).

6. La Teoria dei quanti

Negli stessi anni iniziali del secolo si compì il terzo ed ultimo dei grandi eventi che sconvolsero la fisica e con essa le nostre vedute circa la

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natura e la costituzione dell'universo, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo: la formulazione della Teoria dei Quanti.

Il seguito fino ai nostri giorni, è stato lo sviluppo certo clamoroso e pieno di sorprese prima impensabili, di questa triade basilare. Ma mentre il primo, la scoperta della radioattività, fu interamente sperimentale e il secondo, la Relatività, fu altamente concettuale, il terzo, la Teoria dei Quanti, iniziò in sordina, quasi un'applicazione alla lettera del metodo scientifico: preso in esame un fenomeno già noto, cercare una giustificazione teorica che ancora non si trovava e provarne la validità per mezzo di conferme sperimentali.

Il fenomeno era l'irraggiamento energetico dei corpi, che come abbiamo già visto avviene mediante l'emissione di onde elettromagnetiche entro uno spettro di frequenze fortemente dipendente dalla temperatura. Tale emissione era ovviamente supposta continua, trattandosi di onde, ma non si riusciva ad esprimere in termini matematici coerenti le leggi sperimentalmente trovate che la regolano.

Il fisico tedesco Max Planck in un tentativo di soluzione provò ad introdurre una specie di trucco matematico, un espediente formale al quale non attribuì alcuna pretesa di realtà fisica, ma che mostrò di funzionare egregiamente: se l'emissione di onde elettromagnetiche invece che continua fosse pensata come espunzione di grumi di energia a sciami, si arriva ad una formula che racchiude in sé tutte le leggi del fenomeno con completa precisione. Fra i primi a intuire la fecondità dell'espediente fu Einstein, che contribuì grandemente allo sviluppo della teoria e alla sua conferma sperimentale attraverso altri fenomeni indicati e poi realizzati.

Il buffo è che sia l'deatore Planck sia il più grande fisico, Einstein, vita natural durante si rifiutarono di accettare quei grumi di energia, da essi chiamati quanti o fotoni come entità reali.

La teoria poi si approfondì ed allargò, comprese nuovi capitoli come la meccanica quantistica ed il Principio di Indeterminazione di Heisenberg che, fra l'altro, coinvolge l'osservatore nello svolgimento dei fenomeni (con conseguenze tuttora sconcertanti) e finì per dominare la scena della ricerca fisica, in particolare la così detta fisica delle particelle e l'astrofisica.

E naturalmente i fotoni risultarono entità reali cioè misurabili che, come tutte le altre particelle, sono dotate di una doppia natura ondulatoria e corpuscolare: sono onde o particelle, a seconda degli esperimenti cui vengono sottoposte.

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Sì, è proprio così: se le vogliamo studiare come onde, tali si comportano, ma se le vogliamo studiare come particelle, purché rinunziamo alla pretesa di considerarle come le famigerate palline, si prestano docilmente ai nostri desideri. Solo, mentre le particelle "materiali" (elettroni, protoni e neutroni, con i loro componenti e derivati) hanno un peso, dunque una massa, i fotoni essendo atomi di luce sono pura energia senza massa.

Ma anche questa affermazione va interpretata e integrata. Infatti una celeberrima formula di Einstein (ancora lui!) stabilisce una precisa equivalenza tra massa m ed energia E, data da E = mc2 dove c è la velocità della luce nel vuoto. L'equivalenza però non va presa nel senso dell'intercambiabilità a piacimento: la massa è massa e l'energia è energia; ma se in un evento scompare parte della massa, da qualche parte deve comparire l'energia equivalente. E viceversa.

Prima di cambiare argomento accenniamo alla quantità di energia di cui i quanti sono portatori (più esattamente, di cui sono costituiti). Essa non è la stessa per tutti, ma risulta proporzionale alla frequenza delle onde associate, o se si preferisce, è tanto maggiore quanto più la lunghezza d'onda è piccola. Perciò è massima nei raggi gamma, poi vengono nell'ordine i raggi X, la radiazione ultravioletta, la luce, l'infrarosso, le microonde e, più deboli di tutte, le onde radio. A tale energia sono legate sia l'indeterminazione di Heisenberg, che la forza dirompente e la precisione dei quanti, quando sono utilizzati come proiettili scagliati contro altre particelle o contro gli atomi.

7. La logica di Goedel

Il teorema di logica matematica al quale ho accennato all'inizio è dovuto a Goedel. Esso ha inferto una ferita profonda nel modo di pensare che, fin dagli antichi filosofi greci, era considerato naturale o addirittura ovvio. Tuttavia, trattandosi di matematica pura non poteva esservi un impatto sull'opinione pubblica vistoso come quello verificatosi con le grandi scoperte della fisica di cui abbiamo ora parlato, e tantomeno una conseguenza fragorosa come lo scoppio di Hiroshima. Inoltre, vi è stata l'omertà del silenzio da parte degli intellettuali (quelli, invero poco numerosi, che erano in grado di rendersi conto della situazione) impegnati acché non fossero messe in discussione le proprie prerogative e le proprie vedute.

La verità perciò si sta facendo faticosamente strada in ritardo e, solo ora, dopo oltre mezzo secolo, comincia a diffondersi il dubbio che la logica classica fin quì ritenuta ferrea, forse così ferrea non è, e mostra qua e là delle falle che occorrerà in qualche modo tappare.

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Pertanto, appena da pochi anni si è cominciato ad escogitare, come ha osservato acutamente qualcuno, "logiche più tolleranti", quali le logiche "a più valori" e le logiche "sfumate" (fuzzy) comparse recentemente. Ora, tenendo fede all'impegno assuntomi con questa chiacchierata cercherò di darvi un'idea del Teorema della Indecidibilità di Goedel e del suo significato.

Già abbiamo ricordato, parlando della geometria, che le costruzioni logiche si basano su alcune affermazioni di principio, gli assiomi o postulati, che risultano indimostrabili ma sono ritenuti evidenti e da tutti accettati come verità. Non sarà superfluo, credo, notare che l'analogo si verifica per ogni costruzione, edilizia o meno: essa non è sospesa nel vuoto, cioè autosufficiente, ma deve poggiare su di una base, il terreno o altro che non appartiene alla costruzione stessa, di cui però questa non può fare a meno. (Fra parentesi, da quì potrebbero trarsi interessanti riflessioni: ad esempio, quale consistenza avrebbe l'aritmetica del 1 + 1 = 2 per gli eventuali esseri intelligenti che vivessero in un mondo surriscaldato dove tutti i solidi sono ridotti allo stato fluido? Ma ci fermiamo subito).

I postulati dunque sono necessari per ogni sistema logico. Ma la logica tradizionale, aristotelica, è basata sulla certezza che essi sono anche sufficienti: una volta accettati, tutte le conseguenze (interne al sistema, ovviamente) sono vere, e fra di loro non può verificarsi alcuna contraddizione. Per contro, tutto ciò che partendo dai postulati dà luogo a qualche incoerenza, è falso. Tertium non datur, sentenziavano i sapienti quando si esprimevano in latino: una terza via non esiste, una affermazione entro il sistema, o è vera o è falsa. E se ancora non si è trovata la dimostrazione della sua verità o falsità si continui a cercarla, perché non può non esistere.

Ebbene, spunta Goedel il quale dimostra irrefutabilmente che, viceversa, non solo vi possono essere delle proposizioni, dei teoremi senza dimostrazione, cioè "indecidibili", pur rimanendo rigorosamente all'interno del sistema, ma che addirittura non possono non esserci: ogni sistema logico ha di necessità questa spina nel fianco, almeno un teorema indecidibile, del quale cioè non si può dimostrare né che è vero, né che è falso. Perciò il teorema di Goedel viene anche chiamato "di incompletezza", espressione che mette in cruda luce l'insufficienza intrinseca della logica umana a spiegare tutto, la sua distanza incolmabile da una intelligenza senza limiti, senza vuoti e senza ombre.

Affinché questo discorso acquisti ai vostri occhi una consistenza concreta, vi enuncio un teorema che appartiene al sistema logico più semplice possibile, quello dell'aritmetica dei numeri interi, notando che se l'indecidibilità si verifica in seno a tale sistema, a maggior ragione si verificherà in ogni altra costruzione, più complessa della matematica; e

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se vale per i sistemi matematici, costruzioni dalle linee nette e purissime, ancor più a ragione varrà per ogni sistema di idee appartenenti alla scienza, alla filosofia, alla sfera morale e sociale ecc., dove le affermazioni assiomatiche, senza neppure elencarle, coprono intere selve. Il teorema scelto come esempio è il seguente: ogni numero pari è la somma di una coppia di numeri primi (quelli cioè divisibili solo per l'unità e per se stessi). Esso risulta indecidibile, cioè non può essere dimostrato né vero né falso mediante un procedimento logico. Di fatto sappiamo che è vero, perché con i calcolatori è stato verificato fino a numeri pari scritti con una quantità impressionante di cifre; ma tale verifica è una prova a posteriori, non una dimostrazione logica, quindi non siamo autorizzati ad estenderla a numeri ancora più grandi.

Stiamo però sempre attenti a non farci irretire dagli eccessi contrapposti: quel che è caduto con Goedel non è la logica in sé, che rimane l'unico potentissimo strumento in possesso dell'uomo per farsi strada nelle dimostrazioni e analisi critiche, ma la pretesa di un potere illimitato, con i caratteri dell'assoluto, che la logica tradizionale si era attribuito. Non dimentichiamo che Goedel si scontra con i limiti della logica in virtù della logica stessa da lui utilizzata al meglio.

8. I limiti della conoscenza umana

Mi rendo conto che il presente scritto, iniziato come trascrizione corretta della chiacchierata del 6 gennaio 1997, si è poi trasformato in una nuova stesura degli stessi argomenti, pur mantenendo gli scopi e la forma discorsiva. A questo punto proseguo rivolgendomi a voi come se continuassi a parlarvi direttamente, pur senza fare più riferimenti a quanto ho effettivamente detto; d'altra parte la sostanza rimane la stessa. Il proposito di segnalarvi le profonde rotture verificatesi nel corso del presente secolo, circa le nostre conoscenze sulla natura e costituzione dell'universo di cui facciamo parte, si compone in realtà di due obiettivi distinti. Il primo si riferisce all'universo come veramente è, mentre il secondo riguarda noi stessi, le nostre reali possibilità di procedere nella effettiva conoscenza del mondo sensibile che è intorno a noi.

A proposito di questo secondo aspetto non meno importante dell'altro e che ora analizziamo per primo, possiamo sintetizzare come segue la situazione. L'uomo ha avuto sempre la percezione della propria limitatezza nello sviscerare le cose e comprenderne l'essenza, ma al tempo stesso si rende ben conto della potenza dei mezzi intellettuali e materiali che può utilizzare per spingere i propri sensi a rivelargli quanto è ben al di là delle loro possibilità dirette. Fino al tempo presente questa capacità di andare oltre la percezione immediata ha avuto buon gioco rispetto alle limitazioni effettive, le quali quindi si sono presentate come difficoltà crescenti da superare, ma non come confini invalicabili.

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Anzi, questi confini forse non esistono, qualcuno poteva supporre: con la possibilità illimitata, quindi, di costruire apparecchi e approntare metodi di misura sempre più complessi, ma anche sempre più precisi; di utilizzare strumenti teorici sia concettuali sia matematici capaci di far escogitare esperimenti prima inimmaginabili, che avrebbero aperto nuovi campi di indagine e quindi procurato nuove informazioni; di mettere a profitto tecnologie sempre più avanzate per la realizzazione di tali esperimenti.

Quest'ultima circostanza, cioè l'ingresso imperioso della tecnologia di alto livello nei laboratori scientifici, ha comportato un cambiamento radicale con un ampliamento di orizzonti prima impensabile: mentre agli antichi ricercatori, spesso solitari o in piccolo numero, in genere, di null'altro forniti che di un grande ingegno creativo, bastavano pochi mezzi per mettere subito alla prova gli esperimenti concepiti, adesso, nell'era nucleare, per andare avanti nelle indagini occorre un'organizzazione molto complessa e minutamente curata, nonché un team di studiosi ad altissima specializzazione e una strumentazione adeguata, cioè anche una disponibilità finanziaria sempre più imponente.

In questa situazione veniamo a sapere, come ho cercato di mostrarvi nelle pagine precedenti, che le nostre fonti di conoscenza, cioè l'osservazione e misurazione sperimentale e la deduzione logica, benché mezzi potentissimi di indagine, finiscono per infrangersi contro barriere, invero molto lontane dall'esperienza quotidiana, ma esistenti e insormontabili. Infatti, per il Principio di Indeterminazione di Heisenberg la realtà fisica non potrà mai essere conosciuta con esattezza assoluta quindi con certezza, e per il Teorema di Incompletezza di Goedel vi sarà sempre qualche affermazione, pur di capitale importanza per l'uomo, di cui non si potrà decretare mediante i soli ragionamenti logici né la verità né la falsità.

In altre parole rimarrà sempre il dubbio che ciò che vediamo con i nostri occhi, anche se muniti di microscopi e telescopi di sbalorditiva potenza, non sia la realtà ma una qualche sfocata immagine; e ciò che la ragione ci indica come vero e certo ha inevitabilmente qualche risvolto incerto, inconoscibile con la sola forza della ragione stessa.

Questo è il limite del sapere scientifico, stabilito dalla scienza stessa utilizzata al massimo delle sue possibilità: una finestra che si apre sull'infinito, ma con una leggera nebbia oltre la finestra. Guardando però all'interno della nostra esistenza una certezza l'abbiamo: non possiamo esserci creati da soli. E Chi ci ha creato ci ha fatto anche la grazia di non donarci solo la fredda ragione ma anche, forse soprattutto, qualcosa di caldo.

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Quì si inserisce, inaspettatamente, l'altra caratteristica dell'attività scientifica attuale, or ora lumeggiata: la necessità organizzativa con l'utilizzazione di risorse umane materiali e finanziarie imponenti. Oggi la ricerca fisica di base (con molti e crescenti interessi anche applicativi, soprattutto per la medicina) si è polarizzata nello studio delle particelle, delle quali diremo qualcosa in chiusura, perché si è convinti che praticamente lì si cela tutto il mistero dell'universo, dal (quasi) infinitamente grande e durevole del cosmo al (quasi) infinitamente piccolo e fuggevole della particella minima (fra l'altro ancora da scoprire), se ne esiste una.

Detto in poche parole e limitandomi a darvi un'idea molto approssimativa, tale studio viene condotto da alcuni decenni mediante macchine acceleratrici; le ultime più grandi e potenti, vengono chiamate "colliders", collisori. Vale la pena di dire su quale principio sono basate.

Vengono prodotti due fasci separati di particelle aventi cariche elettriche opposte e si dirigono l'uno contro l'altro con velocità crescente, poi si fanno incrociare. Alcune delle particelle contrapposte si scontrano e danno luogo a reazioni nucleari dipendenti dalla loro natura e dall'energia messa in gioco; i prodotti sono altre particelle di materia e/o energia, che schizzano via e lasciano tracce su opportuni rivelatori posti nelle vicinanze.

Dallo studio delle tracce si desumono poi la natura, il tragitto seguito, il tempo di vita e altre caratteristiche delle nuove particelle. L'elemento più vistoso dei collisori è il grande tubo (o tunnel) circolare a sezione ovale, entro il quale, in condizioni di vuoto molto spinto, i due fasci separati ma vicini vengono fatti viaggiare in senso opposto per miliardi di giri, accelerati dai numerosi elettromagneti posti, anch'essi circolarmente, intorno al tunnel.

Questa descrizione, pur sommaria ed imprecisa, mette in evidenza alcuni aspetti che quì ci interessano. Intanto, parlo per brevità di particelle, ma già abbiamo detto che si tratta di qualcosa di ben più complesso: la "particella" è uno spazio subatomico, piccolo oltre ogni nostra possibile immaginazione (10 alla meno 15 cm ed oltre; l'atomo è sui 10 alla meno 8 cm, quindi si tratta di decimilionesimi dell'atomo), entro il quale è confinato un potente campo di forze nucleari con distribuzione probabilistica e ondulatoria, in moto così rapido da avvicinarsi alla velocità della luce.

Malgrado questa sia la realtà degli oggetti in questione, che per la nostra esperienza normale è piuttosto una irrealtà, si può continuare a parlare di macchine, di tubi, di elettromagneti ecc., cioè di materia comune nei laboratori e nelle industrie, tanto per ricordarci, forse, che siamo ancora nel nostro mondo. Ma non del tutto: l'aspetto più interessante riguarda

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l'evento per il quale tutta questa complessa e costosissima organizzazione è messa in opera, cioè lo scontro violento fra due particelle. Ebbene, tale evento avviene nel chiuso del tubo a vuoto e nessuno, neppure ipoteticamente, può assistervi, può coglierlo e registrarlo. Si possono solo rilevare e registrare le conseguenze, e da esse risalire presumibilmente a ciò che è successo, su cui rimane una zona di incertezza, dovuta alla natura quantistica della realtà.

Per procedere nella conoscenza occorre aumentare l'energia delle particelle che collidono, in pratica mettere in funzione tubi circolari sempre più lunghi e/o perfezionare le tecniche. In tal modo si può scoprire se esistono particelle ancora più piccole, associate a quanti più energici (cioè di più alta frequenza). Il più grande collisore oggi in funzione è il LEP (Grande collisore elettrone-positone) con tunnel circolare di 27 Km posto a cento metri di profondità nel sottosuolo del CERN di Ginevra, il Centro europeo di ricerca nucleare sostenuto finanziariamente da quasi tutti i Paesi d'Europa. Nei prossimi anni dovrebbe essere costruito, utilizzando lo stesso tunnel il nuovo collider LHC (Large Hadron Collider) cento volte più potente; ma il condizionale indica l'incertezza crescente dell'operazione, dato il suo costo altissimo. Gli USA avevano progettato l'SSC (Superconducting Super Collider) con tunnel circolare lungo 87 Km, con il quale i fisici statunitensi contavano di riconquistare la leadership mondiale; ma poi il Presidente degli USA ha revocato il finanziamento già concesso perché troppo dispendioso per il bilancio federale. Alcuni fisici cominciano a pensare che la ricerca di base si fermerà, schiacciata dal suo stesso costo.

Nei tempi biblici gli uomini volevano costruire una torre che arrivasse a toccare il cielo, la Torre di Babele, ma Dio confuse la loro lingua. Forse oggi fermerà la ricerca dell'ultima particella supposta alla base di tutto, la "particella di Dio" come l'ha chiamata il Premio Nobel Lederman, ebreo, e lo farebbe bloccando la società attuale nel suo idolo, il denaro.

Ambedue le volte l'intervento divino non per impedire agli uomini il dominio del mondo, questo era già stato loro assegnato, ma per distoglierlo dalla pretesa di conseguirlo fidando superbamente sulle proprie forze, dimentichi della loro dipendenza e limitatezza. Il dominio del mondo potranno esercitarlo come lode al Creatore non come monumento a se stessi: "Se Dio non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori (Salmo 127).

9. Uno sguardo sull'universo e la sua storia

Abbiamo già notato che l'universo va pensato come uno sterminato complesso unitario, dove tutto è collegato con tutto nel rispetto dei tempi e degli spazi, che ne fanno un vero e proprio organismo in evoluzione, con una sua storia ininterrotta e piena di sorprese.

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Ora, dimostrerei una presunzione davvero imperdonabile se mi proponessi a conclusione della chiacchierata, di esporre pur sommariamente lo stato attuale delle conoscenze in proposito. Tuttavia non posso non tentare alcuni isolati flash su alcuni aspetti che mi sta maggiormente a cuore segnalare alla vostra attenzione.

Se l'universo è unitario, è logico supporre che le sue varie parti abbiano un ceppo comune. Ecco una delle caratteristiche della nuova fisica ormai strettamente collegata con la cosmologia: mentre prima si costatava una completa mancanza di idee sulle origini, anzi si vagava fra il dubbio e la negazione (quest'ultima davvero gratuita) che vi potesse essere stato un inizio, oggi abbiamo un modello molto approfondito e con molti riscontri indiretti ma controllati, che spiega la nascita unitaria dell'universo. Questa è avvenuta circa 15 miliardi di anni fa in modo istantaneo ed esplosivo, il notissimo Big Bang. Il modello ricostruisce la storia dell'universo dopo la sua nascita risalendo a ritroso nel tempo, a partire dalle conoscenze sulla situazione attuale. Finora si è riusciti a ricostruirla fino ad un istante estremamente vicino al tempo zero, quando erano trascorsi appena 10-38 secondi: in parole, un centesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo. Questo minuscolo tempuscolo tuttavia è ben distante dallo zero, perché gli avvenimenti si sono succeduti con crescente rapidità se li consideriamo come è stato necessario per ricostruirli, cioè procedendo a ritroso nei tempi.

Il Big Bang deve essere stato una colossale esplosione di energia, di inimmaginabile potenza e densità. Con essa sono nate insieme le dimensioni del tempo e dello spazio. Dunque, come si è espresso recentemente il fisico Ugo Amaldi (in "Le forze fondamentali e il primo secondo di vita dell'universo"): "Un'esplosione di spazio ed energia, non di energia nello spazio preesistente perché, come ha insegnato Einstein, senza energia non vi è spazio". Precisiamo che lo spazio di cui quì si parla è lo spazio-tempo che già conosciamo. Per inciso, ne "La città di Dio" S. Agostino si esprime come quì Einstein.

Ma cosa è realmente avvenuto all'istante dell'esplosione, come essa è avvenuta (e quì non ci domandiamo il perché essa sia avvenuta per non bloccarci) è un mistero che sembra non potrà mai essere svelato agli uomini; ma di questa impossibilità il perché è chiaro. Infatti, l'uomo fa parte dell'universo (ne è anzi il più alto e nobile prodotto, a quanto ne sappiamo), quindi vive al suo interno, da cui non può né immaginarsi né tantomeno vedersi. Sembra dunque intrinsecamente impossibile che in qualche modo, retrospettivamente, esso possa assistere alla nascita, cioè ricostruire le modalità dell'istante iniziale dell'universo.

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A questo punto permettetemi un'analogia a mio parere interessante, con la nostra nascita. Per ciascuno di noi i momenti fondamentali sono due, quelli della nascita e della morte. Ma, si dice correntemente, mentre del primo sappiamo molto e ne festeggiamo ogni anno l'anniversario, il secondo è incognito e solo per i santi, una volta proclamati tali, viene festeggiato. In realtà per ciascuno di noi sarebbero ambedue incogniti, benché indubitabili, se gli altri non ci avessero fatto conoscere la data della nostra nascita.

Ma c'è di più: la nascita reale non è quando siamo usciti alla luce, ma quando siamo venuti al mondo, collocandoci in un supporto materiale e con esso in un punto dello spazio-tempo. Cioè quando circa nove mesi prima, in un istante da nessuno registrato ed in un punto del seno materno da nessuno visto, uno spermatozoo fra le centinaia di migliaia in competizione è riuscito a perforare la membrana di un ovulo e si è formata per fusione una cellula, prima di quel momento inesistente, con un suo inedito codice DNA che poi ci accompagnerà per tutta la vita, diverso da tutti i DNA dei forse centotrenta miliardi di esemplari della specie homo sapiens finora venuti al mondo.

Ugualmente misteriosa per ciascuno di noi è la sua uscita dallo spazio-tempo, perché il supporto materiale direttamente derivante da quella prima cellula rimane soltanto come nostro cadavere.

Tornando alla nascita dell'universo, è evidente dove l'analogia con la nostra non vale: noi entriamo in uno spazio-tempo già esistente, già al lavoro, mentre la locuzione "prima che ci fosse l'universo" è difficile da evitare, ma non ha senso fisico, come abbiamo visto. Il tempo non è eterno, come lo spazio non è infinito: non vanno infatti oltre l'universo.

Abbiamo parlato all'inizio di spazi vuoti, estremamente più ampi di quelli occupati dalle particelle-materia, ma in essi che sono all'interno dell'universo, v'è l'irraggiamento termico della materia, si avverte la gravitazione, si sono trovate la "materia oscura" fra le galassie e la "radiazione fossile", residuo tuttora esistente dell'energia primordiale del Big Bang.

Si ipotizza anche il così detto "campo scalare di Higgs" che riempirebbe, appunto, tutto lo spazio dell'universo e proprio la sua presenza (per altro finora non confermata sperimentalmente) avrebbe reso possibile la formazione di particelle-materia stabili dotandole di una massa, quindi responsabile del mondo in cui viviamo. Però anch'esso, se esiste, sarebbe nato con l'universo.

Ma prima, ma fuori, quindi anche ma dopo? La fisica può dare una sola risposta: vi è il nulla.

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Se non c'è universo non c'è neppure spazio-tempo, quindi, per la fisica resta solo il nulla, che non può essere oggetto di indagine scientifica né di misurazioni.

Ovviamente, questa non è una risposta filosofica; tantomeno è una risposta di fede, positiva o negativa. Però essa sgombra il campo da inutili appesantimenti, da fantasie mascherate da ragionamenti, da sconfinamenti sia della scienza verso speculazioni ad essa non pertinenti sia da invasioni in senso inverso. Fra l'altro, anche dai cicli cosmici eternamente ricorrenti del pensiero orientale che tanta suggestione sembra suscitare dalle nostre parti.

Non può esservi un tempo eterno o eternamente oscillante, se non altro perché se il tempo fosse eterno ogni evento, avendo già avuto il tempo di realizzarsi da un'infinità di tempo, si sarebbe esaurito prima del tempo presente che, pertanto, sarebbe un tempo morto a tutti gli effetti: non è un bisticcio di parole, ma la conseguenza di un'incongruenza insanabile. A scanso di malintesi, quì parliamo di tempo infinito in senso fisico, non in senso matematico: quest'ultimo, come lo spazio infinito, può sempre essere introdotto; basta darne una definizione che sia compatibile con i postulati del sistema logico di riferimento.

Ed un'altra precisazione forse è utile. La Bibbia non è un libro di consultazione per idee e spiegazioni scientifiche: i riferimenti ad essa riguardano la fede, non servono per avallare o combattere le nostre vedute scientifiche, di cui si disinteressa totalmente. Occorre solo verificare, per un fisico credente, che non vi siano affermazioni essenziali per la fede rispetto alle quali una teoria presenti qualche incompatibilità logica insanabile. Nel campo della fisica oggi non ve ne sono, semmai si assiste alla scoperta di un numero crescente di compatibilità, prima ignote. La creazione dell'universo ed il Big Bang appare essere una di esse e riguarda anche lo spazio e il tempo: mi limito a ricordare l'affermazione esplicita del secondo libro dei Maccabei (7,28): "Contempla il cielo e la terra e quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti"; dunque, si legge nel commento, li ha fatti "ex nihilo", dal nulla. Certo la creazione è un mistero, non un'incompatibilità logica, e come abbiamo detto anche il Big Bang lo è, un mistero, e sembra destinato a rimanerlo. Del resto, sapete dirmi cosa non è mistero nella condizione umana? Solo chi si abbandona allo stordimento perde e non gusta il senso del mistero.

Avviamoci ormai rapidamente alla conclusione. Nell'intervallo tra 10-38 secondi e il tempo zero tutto ci è ignoto (hic sunt leones, scrive in una tabella riassuntiva degli spazi cosmici il fisico Tullio Regge nel libro "L'infinito", come nelle antiche mappe dell'Africa), ma si suppone che vigessero dimensioni estremamente piccole in rapido aumento, densità

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di energia enormi e temperature di miliardi di gradi in altrettanto rapida diminuzione.

Soprattutto, si suppone che tutto ciò fosse assolutamente simmetrico ed omogeneo in quello spazio occupato dall'energia, perché una serie ormai lunghissima di fatti ha portato alla convinzione che la simmetria è la legge fondamentale del mondo fisico fin dal suo inizio. A 10-38 secondi dopo il Big Bang si sarebbe verificata una improvvisa fortissima accelerazione del processo di espansione, provocando per la prima volta un nuovo fenomeno, cioè la comparsa di lievissime disomogeneità nel corpo ancora estremamente ridotto dell'incipiente universo.

Tali "violazioni" della legge di simmetria sono possibili in quanto rientrano, diciamo per intenderci, nei limiti fissati dal Principio di Indeterminazione dovuto alla natura quantistica della realtà fisica. Esse sono quindi minime, ma finiscono per generare conseguenze sproporzionatamente grandi nella storia successiva, della quale determinano e modificano radicalmente lo sviluppo. Fra l'altro, pur essendo sporadiche, vanno a mascherare e nascondere molte delle simmetrie originarie, rendendoci poi difficile o del tutto impossibile il compito di riscoprirle.

Alla su accennata prima rottura della simmetria si attribuisce l'origine della successiva differenziazione delle masse dell'universo, con la formazione degli ammassi di galassie, quindi delle galassie, delle stelle, dei sistemi planetari ecc. . Successivamente, l'espansione è proseguita in maniera più ordinata; essa continua tuttora. Entro il primo secondo la maggior parte dei giuochi si sarebbe già realizzata.

Dopo 300 000 anni (tempo enorme rispetto ai precedenti, ma ancora un soffio rispetto ai quindici miliardi attuali) l'espansione ha portato la temperatura al di sotto di diecimila gradi e l'universo, salvo la dimensione, ha preso sostanzialmente il suo aspetto attuale. Parte dell'energia è rimasta tale sotto forma di fotoni (i quanti) privi di massa: un'altra parte ha finito per trasformarsi in particelle-materia fra le quali quelle stabili che sono andate a formare gli atomi che costituiscono la materia di cui siamo fatti: elettroni, protoni e neutroni con le loro componenti dal nome divenuto famoso, i quark.

Vi è poi un numero rilevante di altre particelle-materia e particelle-forza, molte dalla vita brevissima, altre funzionanti da mezzo di scambio con vita propria effimera.

La novità maggiore è la scoperta, nel regno delle particelle, come conseguenza della legge di simmetria fondamentale, di una regola che sembra non avere eccezioni: ad ogni tipo di particelle deve corrispondere un tipo uguale e contrario. Perciò, in particolare, accanto alle particelle-

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materia di cui siamo fatti, debbono essere possibili le corrispondenti particelle-materia fatte di componenti opposte: ecco gli antiquark che vanno a formare l'antimateria, anch'essa stabile per suo conto.

Tutto ciò non solo è stato verificato, ma ha cominciato anche ad essere utilizzato nei colliders, con prospettive incognite ed affascinanti. Tuttavia, si è anche messa in luce un'ulteriore rottura di simmetria: il nostro mondo è fatto di materia, mentre l'antimateria rappresenta solo una rara e soprattutto momentanea eccezione. Infatti, quando due particelle, una di materia e l'altra di antimateria vengono a contatto, esse si annichilano a vicenda, dando luogo a sciami di particelle-forza nel rispetto della formula di Einstein. L'asimmetria dunque è risultata provvidenziale, perché ha reso possibile la stabilità del mondo e con essa la comparsa della vita sulla terra e la nostra stessa esistenza.

10. Conclusione

Noi ci fermiamo quì. Leggo, in chiusura e a conclusione, alcune frasi significative tratte da libri di divulgazione scritti da eminenti fisici e pensatori.

Innanzitutto, il già nominato Leon Lederman. Al suo libro su "La particella di Dio" egli dà il sottotitolo: Se l'universo è la domanda, quale è la risposta? Ma poi nelle ultime pagine ribalta i termini, forse cercando di celare un interrogativo interiore con un umorismo di facciata: "L'universo è la risposta, ma che sia dannato se conosciamo la domanda".

Cito poi un maestro della divulgazione scientifica, il fisico inglese Paul Davies. Egli nel libro "Il cosmo intelligente" si domanda "Se la ricchezza della natura è costruita in base alle sue stesse leggi, questo implica che lo stato attuale dell'universo è in certo senso predestinato? Esiste, per usare una metafora, un "disegno cosmico"? Questi quesiti esistenziali non sono naturalmente nuovi, perché filosofi e teologi se li pongono da millenni. Ciò che li rende oggi particolarmente pertinenti è il fatto che nuove importanti scoperte stanno drammaticamente alterando la prospettiva degli scienziati sulla natura dell'universo. Dopo il paradigma Newtoniano e quello termodinamico, per cui l'universo è una sterile macchina con degenerazione finale data dal secondo principio, adesso vi è un nuovo paradigma di un universo creativo, che riconosce il carattere progressivo e innovativo dei processi fisici. Quale è la sorgente di questa sbalorditiva potenza creativa? I processi fisici conosciuti possono spiegare l'inesauribile creatività della natura, o vi sono altri principi organizzativi, che plasmano la materia e l'energia e la spingono verso stati più elevati di ordine e complessità? Questo nuovo paradigma enfatizza gli aspetti collettivi, cooperativi ed organizzativi della natura; la sua prospettiva è sintetica e unitaria, piuttosto che analitica".

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Passo ora ad un Premio Nobel originalissimo, Ilya Prigogine, che concludendo il suo "La nascita del tempo" osserva: "Dobbiamo riesaminare il senso del secondo principio: invece di un principio negativo di distruzione, vediamo emergere un'altra concezione del tempo. L'evoluzione dell'universo, infatti, non è stata nella direzione della degradazione ma in quella dell'aumento della complessità, con strutture che appaiono progressivamente ad ogni livello, dalle stelle alle galassie ai sistemi biologici. Non possiamo quindi prevedere l'avvenire della vita o della società o dell'universo. La lezione vera e nuova del secondo principio è che questo avvenire rimane aperto, legato come è a processi sempre nuovi di trasformazione e di aumento della complessità. Gli sviluppi recenti della termodinamica ci propongono dunque un universo in cui il tempo non è né illusione né dissipazione-degradazione, ma nel quale il tempo è creazione".

Gli accenni all'universo creativo di Davies e al tempo come creazione di Prigogine mi indurrebbero a chiarire il senso di tali concetti, ma resisto alla tentazione e mi limito ad indicarne una traccia.

Con il Big Bang è comparsa una colossale quantità di energia allo stato puro. Secondo la vecchia definizione, sempre valida, l'energia è capacità di lavoro. La storia dell'universo è la realizzazione progressiva di questa capacità. Essa, dopo aver formato il mondo attuale, non si è limitata a manifestarsi solo nel significato tradizionale del lavoro fisico, cioè nell'ambito della meccanica e della termodinamica classiche, ma ha dato l'avvio a sempre nuove dimensioni. Una di queste è la produzione di strutture biologiche di complessità crescente, dal mondo inanimato ad organismi rudimentali ma vivi, fino all'uomo nell'insieme multiforme della sua realtà esistenziale, della psiche del cuore e della mente.

Un'altra dimensione prima ignorata ed ora in pieno sviluppo, è di natura informatica ed organizzativa, con estensioni e sbocchi oggi imprevedibili.

Non conosciamo quali, infine, ma non dubitiamo che i secoli futuri riserbano per l'umanità altre dimensioni e altri sviluppi. Intuiamo al tempo stesso che il mistero sostanziale, non svelato, diverrà sempre più affascinante.

Termino con alcune frasi del libro "Dio e la scienza" del filosofo cattolico Jean Guitton, scritto in collaborazione con due fisici, i fratelli Bogdanov. Guitton riporta un pensiero di Heisenberg, espresso qualche decennio fa: "Dopo l'esperienza della fisica contemporanea il nostro atteggiamento verso nozioni come quelle di spirito umano, anima, vita o Dio, sarà differente da quello che si aveva nel secolo XIX ". Già prima (oltre mezzo secolo fa), Eddington ancora a metà strada aveva ammesso: "Si potrà dire, forse, che dagli argomenti della scienza contemporanea bisogna

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trarre la conclusione che la religione è divenuta possibile, per uno scienziato ragionevole".

L'idea base di Guitton è la seguente: la realtà come entità indipendente ci è inaccessibile; il reale è svelato, esso determina ciò che osserviamo, ma in sé rimane per noi inconoscibile. Non è dunque come ci appare, ma sta dietro; questo è il "materialismo", fra materia e spirito. E conclude: "Resta dunque la domanda, l'ultima, la più temibile: quale è il significato dell'universo? O dove conduce tutto ciò? Perché c'è qualcosa invece di niente? Coloro che affrontano questo interrogativo conoscono la vertigine filosofica più intensa. Teilhard de Chardin aveva appena sette anni, quando, improvvisamente si trovò di fronte al mistero: sua madre gli aveva mostrato una ciocca di capelli, vi aveva avvicinato un fiammifero e la ciocca era stata distrutta. Spentasi la fiammata, il piccolo aveva sentito l'assurdità del nulla".

Come vedete la fisica attuale è riuscita a penetrare profondamente nella realtà dell'universo, ma è piena di interrogativi e sa che il nocciolo rimarrà nel mistero. Essa si domanda se c'è Qualcuno, dietro: non pretende più di dare una risposta, anzi, sa che non è compito della scienza darla e, più in generale, riconosce che la ragione umana non è idonea a fornirla in forma certa e irrefutabile. Ma sa pure che è ancor meno idonea a darla in negativo, come invece molti pensavano in precedenza. Ancor oggi parecchi vogliono farlo credere: essi non hanno capito (sono i ciechi del vangelo) che la luce vera viene da altrove, non dalla mente dell'uomo.

Roma 6 gennaio 1997