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Jules Verne - Mistress Branican

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Racconto

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JULES VERNE

Mistress Branican

Disegni di Georges Roux

incisi da Vroment, A.-E. Hamel, A.F. Fannemaker e J.A. Peulot Copertina di Carlo Alberto Michelini

MURSIA

Titolo originale dell'opera MISTRESS BRANICAN

(1891)

Traduzione integrale dal francese di FRANCA GAMBINO

Proprietà letteraria e artistica riservata – Printed in Italy © Copyright 1974 U. Mursia editore

1629/AC – U. Mursia editore – Milano – Via Tadino, 29

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Indice PRESENTAZIONE ________________________________________5

MISTRESS BRANICAN _________________________________ 8

PARTE PRIMA ________________________________________ 9 Capitolo I ________________________________________________9 Capitolo II_______________________________________________20 Capitolo III ______________________________________________29 Capitolo IV ______________________________________________38 Capitolo V_______________________________________________47 Capitolo VI ______________________________________________57 Capitolo VII _____________________________________________65 Capitolo VIII ____________________________________________74 Capitolo IX ______________________________________________84 Capitolo X_______________________________________________93 Capitolo XI ______________________________________________99 Capitolo XII ____________________________________________110 Capitolo XIII ___________________________________________123 Capitolo XIV____________________________________________135 Capitolo XV ____________________________________________149 Capitolo XVI____________________________________________161 Capitolo XVII ___________________________________________167

PARTE SECONDA ___________________________________ 177 Capitolo I ______________________________________________177 Capitolo II______________________________________________187 Capitolo III _____________________________________________200 Capitolo IV _____________________________________________211

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Capitolo V______________________________________________221 Capitolo VI _____________________________________________234 Capitolo VII ____________________________________________246 Capitolo VIII ___________________________________________259 Capitolo IX _____________________________________________271 Capitolo X______________________________________________283 Capitolo XI _____________________________________________295 Capitolo XII ____________________________________________308 Capitolo XIII ___________________________________________319 Capitolo XIV____________________________________________330 Capitolo XV ____________________________________________339 Capitolo XVI____________________________________________347

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PRESENTAZIONE

Qualcuno ha notato che, nella vasta produzione avventurosa di Verne, le figure femminili sono state alquanto trascurate; vi entrano come un ornamento, più per la loro grazia patetica e romantica che per una reale e vitale esigenza. Questo romanzo basterebbe da solo a smentire almeno in parte una tale osservazione. Esso infatti ha come protagonista una donna, Mistress Branican, o meglio Dolly — come dolcemente la chiama lo stesso autore — e va detto subito che la sua figura è stata ritratta con una straordinaria penetrazione psicologica.

Dolly è, al tempo stesso, una figura dolce e tragica, al centro di una serie di sventure che mettono a dura prova la sua resistenza fisica e mentale, fino al limite di una trasognata follia. Ma la sua personalità, pur così fragile e sensibile, è dotata di una segreta energia, di nascoste risorse di recupero, tanto che saprà risalire l'abisso in cui è stata gettata dalla cattiva sorte, ritrovando l'equilibrio e la serenità.

L'impianto della vicenda è tipicamente romantico e avventuroso. Dolly è sposata con John Branican, capitano della goletta

Franklin. Mentre il marito è in mare, una grave sciagura sì abbatte sulla povera donna: il figlioletto le muore annegato in un incidente verificatosi nel porto di San Diego, ed ella, sconvolta, perde la ragione. Quasi non bastasse, giunge nel frattempo un'altra terribile notizia: la goletta ha fatto naufragio e c'è motivo per ritenere che John Branican sia scomparso per sempre con la sua nave.

Al destino avverso si aggiunge ora anche la malvagità degli uomini, impersonata dalla losca figura di Len Burker, il tutore di Dolly. Si tratta di un individuo subdolo, ipocrita, profittatore astuto e senza scrupoli, che per interesse ha sposato Jane, cugina di Dolly, e che ora si intromette nella vicenda di quest'ultima sotto la maschera del falso protettore, pieno dì affetto e di premure, ma in realtà con l'intento di spogliarla d'ogni suo avere.

Il realismo psicologico di Verne, nel tratteggiare questi

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personaggi e queste situazioni, ha momenti di grande vigore, con pagine contrastate, ricche di luci e di ombre. Egli conduce la vicenda con rara sapienza, fino al suo punto culminante. Quindi, con quei colpi di scena di cui è maestro, capovolge all'improvviso la situazione. Dolly guarisce, recupera l'uso della ragione, e questo è il primo passo perché tutto il mondo (che si era annebbiato e incupito attorno a lei) torni a risplendere nella luce di una nuova speranza.

Il modo con cui lo scrittore, muovendo i fili della sua trama romanzesca, riesce a risolvere via via le più svariate situazioni della lunga storia, è davvero insospettato e singolare. Ma nella figura di Dolly, che riacquista la sua felicità di sposa e di madre, Verne ha espresso ancora una volta il suo fondamentale ottimismo, la sua fiducia nella vita e nel trionfo della giustizia.

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JULES VERNE nacque a Nantes l'8 febbraio 1828. A undici anni,

tentato dallo spirito d'avventura, cercò di imbarcarsi clandestinamente sulla nave La Coralie, ma fu scoperto per tempo e ricondotto in famiglia. A vent'anni si trasferì a Parigi per studiare legge, e nella capitale entrò in contatto con il miglior mondo intellettuale dell'epoca. Frequentò soprattutto la casa di Dumas padre, dal quale venne incoraggiato nei suoi primi tentativi letterari. Intraprese dapprima la carriera teatrale, scrivendo commedie e libretti d'opera; ma lo scarso successo lo costrinse nel 1856 a cercare un'occupazione più redditizia presso un agente di cambio a Parigi. Un anno dopo sposava Honorine Morel. Nel frattempo entrava in contatto con l'editore Hetzel di Parigi e, nel 1863, pubblicava il romanzo Cinque settimane in pallone.

La fama e il successo giunsero fulminei. Lasciato l'impiego, si dedicò esclusivamente alla letteratura e un anno dopo l'altro – in base a un contratto stipulato con l'editore Hetzel – venne via via pubblicando i romanzi che compongono l'imponente collana dei «Viaggi straordinari – I mondi conosciuti e sconosciuti» e che costituiscono il filone più avventuroso della sua narrativa. Viaggio al centro della Terra, Dalla Terra alla Luna, Ventimila leghe sotto i mari, L'isola misteriosa, Il giro del mondo in 80 giorni, Michele Strogoff sono i titoli di alcuni fra i suoi libri più famosi. La sua opera completa comprende un'ottantina di romanzi o racconti lunghi, e numerose altre opere di divulgazione storica e scientifica.

Con il successo era giunta anche l'agiatezza economica, e Verne, nel 1872, si stabilì definitivamente ad Amiens, dove continuò il suo lavoro di scrittore, conducendo, nonostante la celebrità acquisita, una vita semplice e metodica. La sua produzione letteraria ebbe termine solo poco prima della morte, sopravvenuta a settantasette anni, il 24 marzo 1905.

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MISTRESS BRANICAN

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PARTE PRIMA

CAPITOLO I

IL «FRANKLIN»

QUANDO si parte per un lungo viaggio, ci sono due probabilità di non rivedere più gli amici da cui ci si separa: quelli che erano rimasti potrebbero non esserci più al ritorno, quelli che erano partiti non ritornare.

Ma di questa eventualità non parevano preoccuparsi i marinai che facevano i preparativi a bordo del Franklin la mattina del 15 marzo 1885.

Quel giorno il Franklin, sotto la guida del capitano John Branican, stava per lasciare il porto di San Diego – California – per un viaggio attraverso i mari settentrionali del Pacifico. Il Franklin era una bella e veloce nave di novecento tonnellate, attrezzata a goletta di tre alberi, con rande, fiocco, vela di gabbia e pappafico al suo albero di trinchetto. Molto rialzato a poppa, leggermente rientrante nelle opere vive, la prua disposta ad angolo acuto per tagliare meglio l'acqua, l'alberatura un po' inclinata e rigorosamente parallela, l'attrezzatura di fili galvanici rigidi come barre metalliche, sembrava il tipo più moderno di quegli eleganti clippers di cui l'America del nord si serve con tanto vantaggio per il grosso commercio e che possono competere in velocità con i migliori steamers della sua flotta mercantile.

Il Franklin era costruito in modo tanto perfetto e comandato da uomini tanto coraggiosi che nessuno, nel suo equipaggio, avrebbe accettato d'imbarcarsi su un'altra nave anche se avesse avuto la certezza di una paga più alta. Partivano tutti doppiamente tranquilli

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perché sicuri di trovarsi su una buona nave e guidati da un buon capitano.

Il Franklin era alla vigilia d'intraprendere il suo primo lungo viaggio per conto della ditta William H. Andrew di San Diego. Doveva recarsi a Calcutta passando per Singapore con un carico di mercanzie fabbricate in America e riportare un carico di prodotti indiani destinati a uno dei porti del litorale californiano.

Il capitano John Branican era un giovane di ventinove anni, dalla fisionomia attraente ma risoluta, con lineamenti energici; possedeva un grande coraggio morale — che è di gran lunga più importante di quello fisico – quel coraggio «delle due dopo mezzanotte», come diceva Napoleone, il coraggio, cioè di far fronte all'imprevisto in ogni momento. La sua testa più che bella, era caratteristica, con capelli ispidi, occhi animati da uno sguardo vivace e leale che dardeggiava dalle pupille nere. Difficilmente si sarebbe immaginata in un uomo della sua età una costituzione più robusta. Il vigore delle sue strette di mano esprimeva l'ardore del sangue e la forza dei muscoli, ma soprattutto la sua anima, racchiusa in quel corpo di ferro, era quella di un essere generoso e buono, pronto a sacrificare la vita per il suo simile. John Branican aveva il temperamento di quei salvatori cui la freddezza d'animo permette di compiere, senza esitare, atti d'eroismo. Aveva avuto le sue esperienze ancor molto giovane.

Un giorno, in mezzo ai ghiacci spezzati; un altro giorno a bordo d'una lancia capovolta, aveva salvato dei ragazzi, ragazzo lui stesso. Più tardi non avrebbe smentito gli impulsi generosi che avevano caratterizzato la sua prima età.

Già da alcuni anni John Branican aveva perduto il padre e la madre quando sposò Dolly Starter, orfana, appartenente a una delle migliori famiglie di San Diego.

La dote della ragazza era modestissima e si adattava alla condizione non meno modesta del giovane marinaio, semplice ufficiale a bordo d'una nave mercantile. Ma si sperava che un giorno o l'altro Dolly avrebbe avuto l'eredità di uno zio ricchissimo, Edward Starter, che viveva in campagna nella parte più selvaggia dello stato del Tennessee. Intanto bisognava vivere in due, anzi in tre, giacché il

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piccolo Walter – Wat per abbreviazione – venne al mondo nel primo anno di matrimonio. Ma Branican, e sua moglie lo capiva, non poteva pensare di lasciare la vita di mare. In seguito, forse, avrebbe pensato al da farsi, caso mai la fortuna lo avesse favorito per l'eredità o per essere divenuto ricco al servizio della ditta Andrew.

Del resto, la carriera del giovane era stata rapida. Era capitano di lungo corso a un'età in cui la maggior parte dei suoi colleghi non sono ancora che primi o secondi ufficiali a bordo delle navi mercantili. Le sue capacità, è vero, erano una giustificazione a tutto questo ma la sua carriera era dovuta anche a quelle circostanze che a ragione avevano richiamato l'attenzione su di lui.

Infatti, John Branican era popolare a San Diego come nei diversi porti della costa californiana. I suoi atti generosi lo avevano brillantemente messo in luce non solo ai marinai, ma anche agli armatori e ai commercianti dell'Unione.

Qualche anno prima l'equipaggio di una goletta peruviana, la Sonora, finita presso la costa all'ingresso del Coronado Beach, sarebbe certamente scomparso se Branican non fosse riuscito a stabilire una comunicazione fra la terra e la nave.

Portare un ormeggio attraverso gli scogli significava correre rischio della vita al cento per cento. John Branican non esitò a buttarsi in mezzo ai cavalloni che si scontravano con estrema violenza, venne sbattuto sugli scogli e respinto sul greto da una terribile risacca. Vedendo che voleva ancora sfidare il pericolo incurante della propria vita, si cercò di trattenerlo; ma egli resistette, si precipitò verso la goletta, riuscì a raggiungerla, e grazie a lui, gli uomini della Sonora furono salvi.

Un anno dopo, durante un uragano scatenatosi a cinquecento miglia al largo nell'ovest del Pacifico, John Branican ebbe ancora occasione di mostrare ciò di cui era capace. Ufficiale a bordo del Washington, il cui capitano era perito in una tempesta insieme a mezzo equipaggio, era rimasto a bordo della nave disalberata con una mezza dozzina di marinai, quasi tutti feriti. Preso il comando del Washington, che era rimasto senza guida, riuscì a dominarlo, a rimettere gli alberi di fortuna, e a ricondurlo nel porto di San Diego. Questo scafo, che appena si poteva manovrare, conteneva un carico

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di pini di 500.000 dollari e apparteneva alla ditta Andrew. Che accoglienza fu fatta al giovane marinaio quando la nave si fu

ancorata nel porto di San Diego! Poiché il caso lo aveva voluto simbolicamente promosso capitano, tutta la popolazione richiese all'unanimità che questo grado gli fosse confermato. La ditta Andrew gli offrì il comando del Franklin, che aveva fatto costruire proprio allora, l'ufficiale accettò, sentendo di avere la capacità di comandare, e non ebbe che da scegliere per reclutare il suo equipaggio, tanta era la fiducia che tutti avevano in lui. In queste condizioni dunque, il Franklin si accingeva al suo primo viaggio sotto gli ordini di John Branican.

Quella partenza era un avvenimento per la città. La ditta Andrew era a ragione considerata una delle più importanti di San Diego, con sicure relazioni e un forte credito. La dirigeva con mano esperta William Andrew in persona; e non solo quest'ottimo armatore era stimato, ma era anche amato. La sua condotta verso John Branican fu approvata da tutti.

Nessuna meraviglia, se quella mattina del 15 marzo un gran numero di spettatori – una vera folla di amici, conoscenti o sconosciuti – si pigiava sulla banchina del Pacific-Coast-Steam-ship per salutarlo con un ultimo evviva al suo passaggio.

L'equipaggio del Franklin era composto da dodici uomini, compreso il nostromo, tutti buoni marinai addetti al porto di San Diego, che avevano già avuto le loro esperienze sul mare ed erano lieti di appartenere all'equipaggio di John Branican. Il secondo della nave, Harry Felton, era un ottimo ufficiale. Pur essendo più anziano del suo capitano di cinque o sei anni, non si sentiva umiliato di essere alle sue dipendenze, né era geloso del suo superiore. Secondo lui, John Branican meritava il posto che occupava. Avevano già navigato insieme e si stimavano vicendevolmente. Del resto, ciò che faceva William Andrew era ben fatto. Harry Felton e i suoi uomini gli erano molto affezionati. Si erano già imbarcati quasi tutti su qualcuna delle sue navi, e costituivano quasi una numerosa famiglia d'ufficiali e di marinai, affezionata ai suoi capi, che continuava ad aumentare con la prosperità della ditta.

Era quindi senza nessuna apprensione, anzi con vero entusiasmo

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che l'equipaggio del Franklin si preparava ad iniziare questo nuovo viaggio. Padri, madri, parenti erano là per salutarlo, ma come si fa con gente che si rivedrà di lì a poco. «Buon viaggio, e arrivederci». Infatti si trattava di un viaggio di sei mesi, una semplice traversata durante la bella stagione, fra la California e l'India, un'andata e ritorno da San Diego a Calcutta, e non di una di quelle spedizioni di commercio o di uno di quei viaggi di scoperta che impegnano una nave per lunghi anni nei mari più pericolosi dei due emisferi. Quei marinai avevano visto ben altro, e le loro famiglie avevano assistito a partenze più preoccupanti.

I preparativi erano giunti al termine; il Franklin, ancorato in mezzo al porto, si era già staccato dagli altri bastimenti, il numero dei quali attesta la importanza del porto di San Diego. Dato il posto che occupava, il tre alberi non avrebbe avuto bisogno di farsi aiutare da un rimorchiatore per uscire dai passi. Appena l'ancora fosse stata a picco, sarebbe bastato spiegare le vele, perché una bella brezza lo spingesse rapidamente fuori della baia senza che dovesse mutare le mure. Il capitano John Branican non avrebbe potuto desiderare un tempo più propizio, un vento più favorevole sulla superficie di questo mare scintillante al largo delle isole Coronado sotto i raggi del sole.

In quel momento – le dieci del mattino – tutto l'equipaggio si trovava a bordo. Nessuno dei marinai doveva tornare a terra, e già per loro il viaggio si poteva considerare cominciato. Alcune lance del porto, accostate alla scala di dritta, aspettavano tutti coloro che avevano voluto abbracciare un'ultima volta parenti e amici. Queste imbarcazioni li avrebbero ricondotti alla banchina appena il Franklin avesse issato i suoi fiocchi. Benché le maree siano deboli nel bacino del Pacifico, era preferibile partire col riflusso, che non avrebbe tardato.

Fra i visitatori bisogna ricordare soprattutto il capo della casa di commercio, William Andrew, e mistress Branican, seguita dalla balia che portava il piccolo Wat. Erano accompagnati da Len Burker e da sua moglie, Jane Burker, cugina prima di Dolly. Il secondo, Harry Felton, non avendo famiglia, non ricevette saluti da nessuno. Non gli sarebbero mancati gli auguri di William Andrew, ed egli non chiedeva altro, tranne che di avere anche quelli della moglie del

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capitano John, ma questo sarebbe certamente avvenuto. Harry Felton si trovava in quel momento sul castello di prua, dove

una mezza dozzina di uomini cominciavano a tirar l'ancora con l'argano. Si udirono i colpi dell'argano battere con rumore metallico. Già il Franklin cominciava a muoversi lentamente e la catena strideva attraverso le cubie.

La banderuola, con lo stemma della casa Andrew, sventolava al pomo dell'albero maestro, mentre la brezza, al picco di randa, tendeva quella americana, col suo stemma rigato e le stelle federali. Le vele erano pronte a essere issate non appena la nave si fosse mossa, spinta dalle vele di trinchetto e dai fiocchi.

Davanti alla sua cabina, attento ai particolari dei preparativi, John Branican riceveva le ultime raccomandazioni di William Andrew relative alla dichiarazione delle mercanzie che costituivano il carico del Franklin.

Poi l'armatore consegnò la nave al giovane capitano, aggiungendo: — Se le circostanze v'obbligassero a cambiare rotta, fate il meglio

che potete nel nostro interesse, e mandateci notizie non appena avrete toccato terra. Forse il Franklin dovrà arrestarsi in una delle Filippine, poiché non avrete certamente l'intenzione di passare dallo stretto di Torres…

— No, signor Andrew — rispose il capitano John — non conto di avventurare il Franklin in quei pericolosi mari dell'Australia del nord. Il mio itinerario sarà le Hawaii, le Marianne, Mindanao delle Filippine, le Celebes, lo stretto di Makasar, per giungere a Singapore attraverso il mar di Giava. Per andare da quel punto a Calcutta, la via è segnata; non credo dunque di dover cambiare questo itinerario a causa dei venti che troverò nell'ovest del Pacifico. Perciò se dovrete telegrafare qualche ordine importante, mandatelo a Mindanao, dove può darsi che io mi fermi, o a Singapore, dove mi fermerò certamente.

— D'accordo, John; da parte vostra avvertitemi il più presto possibile delle quotazioni delle merci a Calcutta. Può darsi che in base a queste quotazioni io sia costretto a cambiare intenzioni per il carico del Franklin al ritorno.

— Non mancherò, signor Andrew — rispose John Branican. A

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questo punto, Harry Felton, accostandosi, disse: — Siamo a picco, capitano. — E il riflusso? — Comincia. — Bene. Poi, rivolgendosi a William Andrew, il capitano John, pieno di

riconoscenza ripeté: — Vi ringrazio d'avermi dato il comando del Franklin, e spero di

saper meritare la vostra fiducia. — Non ne dubito, John, — rispose William Andrew — non potrei

affidare a un uomo migliore gli affari della mia casa. L'armatore strinse con forza la mano del giovane capitano e si

diresse verso la parte posteriore del camerino. Mistress Branican, seguita dalla balia e dal neonato, aveva

raggiunto il marito coi coniugi Burker. Il momento della separazione era imminente. Al capitano John Branican non restava che salutare la moglie e la famiglia.

Come sappiamo, Dolly era sposata da circa due anni, e il bambino aveva appena nove mesi. Benché fosse profondamente addolorata da quella separazione, non voleva che alcuno se ne accorgesse e cercava di nascondere la propria emozione, mentre sua cugina Jane, debole di temperamento e poco coraggiosa, non riusciva a fare altrettanto. Ella amava molto Dolly, che spesso l'aveva confortata quando il carattere imperioso e violento del marito l'aveva fatta soffrire. Ma anche se Dolly riusciva a nascondere i suoi veri sentimenti, Jane non li ignorava. Il capitano John sarebbe stato certamente di ritorno fra sei mesi, ma era ugualmente una separazione, quella, la prima dopo il loro matrimonio, e se Dolly riusciva coraggiosamente a trattenere le lacrime, si può quasi dire che Jane piangesse per lei. Quanto a Len Burker, era un uomo che non s'era mai commosso per nulla, e con gli occhi asciutti e le mani in tasca, passeggiava assorto in chissà quali pensieri. Evidentemente egli non condivideva i sentimenti dei visitatori che erano venuti su quella nave in partenza, spinti dall'affetto per i loro cari.

Il capitano John prese le mani di sua moglie, la trasse a sé, e le disse con voce commossa:

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— Cara Dolly, io parto; la mia assenza non sarà lunga… mi rivedrai fra qualche mese e non temere di nulla. Con la mia nave, col mio equipaggio, non correremo rischi. Sii forte come dev'essere la moglie d'un marinaio. Quando io tornerò, il nostro piccolo Wat avrà quindici mesi, sarà più grande, parlerà, e la prima parola che sentirò al mio ritorno…

— Sarà il tuo nome, John — rispose Dolly; — il tuo nome sarà la prima parola che gli insegnerò. Parleremo di te tutti e due, e sempre! Scrivimi, John, in ogni occasione. Con quanta impazienza aspetterò le tue lettere! e dimmi tutto quello che avrai fatto e tutto quello che avrai intenzione di fare. Fa' che io senta la mia memoria nei tuoi pensieri.

— Sì, cara Dolly, ti scriverò, ti terrò informata del mio viaggio… Le mie lettere saranno il tuo giornale di bordo, ma con le mie tenerezze in più.

— John, io son gelosa di questo mare che ti porta tanto lontano! Che bella cosa amarsi e non essere costretti a separarsi!… Ma no!… Ho torto a dire così…

— Moglie mia, pensa che parto per il nostro bambino… e anche per te… per assicurare ad entrambi l'agiatezza e la felicità. Se le nostre speranze un giorno si realizzeranno, noi non ci lasceremo mai più!

In questo momento Len Burker e Jane si avvicinarono, e il capitano si rivolse a loro:

— Mio caro Len, vi lascio mia moglie, vi lascio mio figlio; li affido a voi come agli unici parenti che rimangano loro a San Diego.

— Contate su di noi, John — rispose Len Burker, cercando di rendere più dolce il tono della sua voce dura. — Siamo qui io e Jane, e a Dolly non mancheranno premurose cure…

— Né consolazioni — aggiunse mistress Burker. — Tu sai quanto ti voglio bene, mia cara Dolly; ogni giorno verrò a passare qualche ora con te; parleremo di John…

— Sì, Jane — rispose mistress Branican — penserò a lui continuamente. Harry Felton venne a interrompere un'altra volta la conversazione.

— Capitano — disse — è ora.

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— Bene Harry, — rispose John Branican — fate issare il gran fiocco e la randa.

Il secondo si allontanò per eseguire quegli ordini che annunciavano la partenza immediata.

— Signor Andrew — disse il giovane capitano rivolgendosi all'armatore — il canotto vi ricondurrà alla banchina con mia moglie e i miei parenti… Quando vi piacerà…

— Subito, John, — rispose William Andrew — e ancora una volta, buon viaggio!

— Sì, buon viaggio! — ripeterono gli altri visitatori, cominciando a scendere nelle barche accostate a dritta del Franklin.

— Addio, Len! addio, Jane! — disse John stringendo loro le mani. — Addio, addio! — rispose mistress Burker. — E tu, cara Dolly, va'; è necessario — aggiunse John; — il

Franklin parte. E infatti la randa e il fiocco imprimevano un po' di rullio alla

nave, mentre i marinai cantavano.

Ed ecco una, La bella una! Una se ne va, andrà bene, Due tornano, ecco va bene! Ed ecco due, La bella due! Due se ne vanno, andrà bene, Tre tornano, ecco va bene…

E così di seguito. Frattanto il capitano John aveva accompagnato sua moglie, e

mentre ella iniziava a scendere la scala, non riuscendo a parlarle, cosa di cui ella stessa si sentiva incapace, non poté far altro che abbracciarla in silenzio. E allora il bimbo, che Dolly aveva tolto alla balia, tese le piccole braccia verso il papà, agitò le manine sorridendo e pronunciò:

— Pa…pà! Pa…pà! — Prima di separarti da lui — esclamò Dolly — hai inteso la sua

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prima parola! E il giovane capitano nonostante la sua energia, non riuscì a

trattenere una lacrima che bagnò la guancia del piccolo Wat. — Dolly! — egli mormorò — addio, addio! Poi per porre fine a quella scena penosa, gridò con voce energica: — Staccate! Un attimo dopo la barca si allontanava, dirigendosi verso la

banchina, dove i passeggeri sbarcarono subito. Il capitano John era tutto intento ai movimenti della partenza.

L'ancora cominciava a risalire verso le cubie. Il Franklin, sciolto dall'ultima gomena, andava già con le vele, sbattute con violenza dal vento. Il gran fiocco era già in cima, e la randa spinse leggermente la nave, appena fu bordata sulla boma.

Questa manovra doveva permettere al Franklin di voltare per evitare altri bastimenti ancorati all'entrata della baia.

Ad un nuovo comando del capitano Branican, la gran vela e la trinchettina furono issate con un insieme che faceva onore alle braccia dell'equipaggio. Poi il Franklin, con un quarto di giro a sinistra, prese il largo in modo da uscire senza urtare le mura.

Dalla banchina molto affollata tutti stavano a guardare le manovre.

Era maestoso quel bastimento quando il vento lo costringeva a piegarsi sotto le sue spinte capricciose.

Durante la sua evoluzione dovette avvicinarsi all'estremità della banchina, dove si trovavano William Andrew, Dolly, Len e Jane Burker a meno di mezza gomena.

Così il giovane capitano poté ancora vedere la moglie, i parenti, gli amici e dar loro un ultimo addio.

Tutti risposero al suo saluto, che si udì distintamente, e alla mano che egli tendeva verso gli amici:

— Addio, addio! — Urrà! — gridò la folla, mentre centinaia di fazzoletti venivano

sventolati. Era proprio amato da tutti, il capitano John Branican! Non era

forse egli il figlio di cui la città andava più orgogliosa? Sì, e tutti sarebbero stati là al suo ritorno, quando la sua nave fosse riapparsa al

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largo della baia. Il Franklin, che si trovava già di fronte alla goletta, dovette fare

un giro per evitare una lunga nave che entrava in quel momento. Le due navi si salutarono con le bandiere dai colori degli Stati Uniti d'America.

Sulla banchina, mistress Branican, immobile, guardava il Franklin sparire a poco a poco spinto dal vento di nord-est. Ella voleva seguirlo con lo sguardo finché la sua alberatura fosse stata visibile sopra la punta Island.

Ma il Franklin non tardò a fare il giro delle isole Coronado, poste fuori della baia. Per un attimo si vide ancora la bandiera che sventolava alla cima dell'albero maestro, poi essa disparve.

— Addio, mio John, addio! — mormorò commossa Dolly. Perché un oscuro presentimento non le permise di aggiungere:

«Arrivederci»?

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CAPITOLO II

SITUAZIONE DI FAMIGLIA

È NECESSARIO, a questo punto, descrivere più accuratamente mistress Branican, di cui si parlerà spesso nel corso di questa narrazione.

A quel tempo Dolly1 aveva ventun anni. Era di origine americana, ma senza risalire troppo la scala dei suoi antenati si sarebbe incontrata la generazione che la congiungeva alla razza spagnola, o meglio messicana, da cui avevano origine le principali famiglie del paese. Sua madre infatti era nata a San Diego, e San Diego era già fondata quando la bassa California apparteneva ancora al Messico. L'ampia baia, scoperta da circa tre secoli e mezzo dal navigatore spagnolo Juan Rodriguez Cabrillo, chiamata dapprima San Miguel, cambiò nome nel 1602. Poi, nel 1840, questa provincia cambiò anche la bandiera dai tre colori per le sbarre e le stelle della Confederazione, e da allora fa parte degli Stati Uniti d'America.

Statura media, faccia animata da due grandi occhi profondi e neri, colorito roseo, capigliatura abbondante e scura, mani e piedi un po' più grossi di quelli che si trovano generalmente nel tipo spagnolo, mosse decise ma piene di grazia, fisionomia che denunciava un carattere energico e un animo buono: ecco mistress Branican. Ci sono donne che nessuno riuscirebbe a guardare con occhio indifferente, e prima del suo matrimonio Dolly godeva giustamente fama d'essere una delle giovinette di San Diego — dove tuttavia la bellezza non è rara – più meritevoli d'attrarre l'attenzione. Tutti la conoscevano come una fanciulla seria, riflessiva, intelligente, doti morali che certo il matrimonio avrebbe contribuito a sviluppare in lei sempre più.

1 Abbreviazione di Dorotea. (N.d.A.)

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In qualsiasi circostanza, per quanto grave, Dolly, divenuta mistress Branican, avrebbe saputo fare il proprio dovere. Avendo guardato alla vita nella sua realtà e non attraverso il prisma ingannatore delle illusioni, possedeva un'anima alta e una forte volontà. L'amore per suo marito l'avrebbe resa anche più decisa nel compimento del suo dovere. Avrebbe saputo dare la vita per John, se ce ne fosse stato bisogno, come John avrebbe dato la propria per lei, come entrambi l'avrebbero data per il loro figliolo. Quel bambino, che aveva balbettato appena la parola «papà», nel momento in cui il giovane capitano doveva separarsi dai suoi cari, era davvero adorato. La somiglianza del piccolo Wat col papà era già straordinaria, nei lineamenti soltanto però, perché il colorito era quello di Dolly. Di costituzione robusta non aveva niente da temere dalle malattie dell'infanzia; e del resto, le cure non gli sarebbero mancate… Ah! quanti sogni per il futuro aveva già concepito l'immaginazione dei genitori per quell'essere in cui la vita cominciava appena a fiorire!

Certo, mistress Branican sarebbe stata la donna più felice se le possibilità finanziarie di John gli avessero permesso di lasciare la professione di marinaio che li costringeva a rimanere tanto tempo lontani uno dall'altra. Ma come avrebbe potuto concepire il pensiero di trattenerlo mentre gli veniva affidato il comando del Franklin? E poi non bisognava forse pensare ai bisogni della famiglia che forse avrebbe presto avuto altri figlioli? La dote di Dolly sarebbe bastata appena al necessario; John Branican doveva contare sull'eredità che lo zio avrebbe lasciato a sua nipote. Eredità del resto più che sicura, dal momento che Edward Starter, quasi sessagenario, non aveva altri eredi che Dolly. Infatti sua cugina Jane Burker, appartenendo al ramo materno della famiglia, non aveva nessun grado di parentela con lo zio di Dolly, la quale dunque sarebbe senz'altro diventata ricca, non prima però di dieci o anche vent'anni. Per questo, almeno per il momento, John Branican avrebbe dovuto lavorare anche se non aveva preoccupazioni per l'avvenire. Egli dunque era deciso a continuare la navigazione per conto della casa Andrew, tanto più perché sulle operazioni del Franklin avrebbe avuto un interesse. Ora, poiché non era solo un buon marinaio ma anche uomo molto esperto in cose commerciali, tutto lasciava credere ch'egli avrebbe acquistato

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col proprio lavoro una certa agiatezza mentre attendeva l'eredità dello zio Starter.

A questo punto, è necessario presentare, sia pur brevemente, questo americano, che era spaventosamente eccentrico.

Egli era fratello del padre di Dolly e, di conseguenza, zio in primo grado della giovinetta divenuta mistress Branican. Il padre di Dolly, maggiore di lui di sei anni, l'aveva, per così dire allevato, perché erano orfani entrambi. Starter junior aveva sempre conservato per lui un vivo affetto e molta riconoscenza. Le circostanze lo avevano favorito, ed egli aveva seguito la ruota della fortuna, mentre Starter senior si smarriva imboccando strade traverse poco adatte a condurlo in buon porto. Egli aveva dovuto allontanarsi per tentare speculazioni fortunate, comprando e dissodando vasti terreni nello stato del Tennessee, ma aveva comunque conservato stretti rapporti col fratello trattenuto dagli affari nello stato di New-York. Quando questi divenne vedovo si trasferì a San Diego, città natale di sua moglie, dove morì quando era già deciso il matrimonio di Dolly con John Branican. Quel matrimonio fu celebrato dopo il lutto e la giovane coppia non ebbe altra fortuna tranne la modesta eredità lasciata da Starter senior.

Poco tempo dopo giunse a San Diego una lettera diretta a Dolly Branican da parte di Starter junior. Era la prima ch'egli scriveva a sua nipote e doveva essere l'ultima.

In sostanza, la lettera diceva in forma chiara e concisa che, sebbene Starter junior fosse lontanissimo da lei, ed egli non l'avesse mai vista, non si dimenticava che era sua nipote, figlia di un suo fratello. Se non l'aveva mai vista, era perché i due fratelli Starter non s'erano più rivisti da quando il fratello maggiore aveva preso moglie, anche a causa della distanza. Infatti, Starter junior abitava presso Nashville, nella parte più remota del Tennessee, mentre Dolly risiedeva a San Diego. Ora fra il Tennessee e la California corrono alcune centinaia di miglia, che Starter junior non aveva nessuna voglia di attraversare. Ma se Starter junior trovava troppo faticoso il viaggio per andare a vedere sua nipote, stimava altrettanto faticoso che sua nipote venisse a trovare lui; perciò la pregava di non disturbarsi.

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In realtà, questo personaggio era un vero orso: non già uno di quei grizzly d'America che hanno artigli e pelliccia, ma uno di quegli orsi umani che preferiscono vivere al di fuori delle relazioni sociali.

Del resto questo non aveva alcuna importanza per Dolly. Ella era la nipote di un orso, ma quest'orso possedeva un cuore di zio e questo zio non avrebbe potuto dimenticare quanto doveva a suo fratello maggiore, e la figlia di suo fratello sarebbe stata l'unica erede delle sue ricchezze.

Starter junior aggiungeva che valeva la pena aspettare di raccogliere il frutto delle sue ricchezze poiché allora ammontavano ancora a cinquecentomila dollari – due milioni e cinquecentomila franchi – e sarebbero senz'altro aumentate, poiché il dissodamento nello stato del Tennessee fruttava bene.

E poiché questa eredità sarebbe stata costituita da terre e bestiame, sarebbe stato facile realizzarla e a buoni prezzi, e non sarebbero mancati gli acquirenti.

Ciò era detto in quella maniera positiva e un tantino brutale propria degli americani di vecchio stampo, ma era detto chiaramente. Il patrimonio di Starter junior era destinato tutto a mistress Branican o ai figlioli nel caso che la famiglia prolificasse per le sue cure.

Se invece mistress Branican fosse morta senza lasciare discendenti diretti o indiretti, le ricchezze sarebbero passate allo Stato, che sarebbe stato certamente contentissimo di accettarle.

Bisogna ricordare ancora due particolari. Innanzitutto Starter junior era celibe e tale sarebbe rimasto. «La

corbelleria che si fa generalmente fra i venti e i trent'anni lui non l'avrebbe fatta a sessanta», queste precise parole diceva nella lettera. Nulla avrebbe potuto dunque cambiare il destino che egli aveva stabilito per quelle sue ricchezze per cui esse dovevano per forza finire in casa Branican, come il Mississippi si getta nel golfo del Messico.

Secondo, Starter junior avrebbe fatto tutti gli sforzi possibili – e sarebbero stati sforzi sovrumani – per non arricchire la nipote che al più tardi possibile. Avrebbe cercato di vivere fino a cent'anni né bisogna condannarlo se voleva prolungare tanto la propria vita.

Infine Starter junior pregava mistress Branican — anzi le ordinava

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di non preoccuparsi di rispondere alla sua lettera anche perché fra la città e la regione remota che egli occupava nel fondo del Tennessee le comunicazioni erano molto difficili. Quanto a lui, ormai avrebbe scritto solo per annunciare la propria morte, e certamente questa lettera non avrebbe potuto scriverla lui.

Era questa la strana lettera ricevuta da mistress Branican. Ella sarebbe quindi stata l'erede senza dubbio, la legataria universale dello zio Starter, destinata a possedere un giorno quella ricchezza di cinquecentomila dollari, aumentata probabilmente dal lavoro di quel dissodatore di foreste. Ma poiché Starter junior manifestava chiaramente la propria intenzione di superare l'età di cent'anni – e sappiamo quanto sono tenaci questi Americani del Nord -John Branican aveva saggiamente pensato di non abbandonare il mare. La sua intelligenza e il suo coraggio, coadiuvati dalla sua volontà, potevano procurare a sua moglie e a suo figlio una certa agiatezza, ben prima che lo zio Starter si fosse deciso a morire.

La famiglia si trovava dunque in questa situazione quando il Franklin si preparava a partire per i paraggi occidentali del Pacifico. Chiarite queste cose, come era necessario per una migliore comprensione dei fatti che si svolgeranno in questo racconto, è necessario adesso parlare dei soli parenti che Dolly Branican avesse a San Diego, cioè i coniugi Burker.

Len Burker, americano d'origine, a trentun anni era andato a stabilirsi nella capitale della bassa California. Questo yankee della Nuova Inghilterra, dall'aspetto severo, dai lineamenti duri, dal fisico robusto, possedeva una gran fermezza, intraprendenza e controllo di sé. Non lasciava mai trapelare nulla dei suoi pensieri, e non diceva nulla di quello che faceva. Esistono caratteri che sono paragonabili a delle case ermeticamente chiuse che non aprono mai la porta a nessuno. A San Diego non era mai corsa alcuna diceria maligna sul conto di quell'uomo poco comunicativo, che il matrimonio con Jane Burker aveva imparentato con John Branican. Non c'era dunque da stupirsi che quest'ultimo, non avendo nessun altro parente fuorché i Burker, avesse raccomandato loro Dolly e il proprio figlio. Ma in realtà era soprattutto alle cure di Jane che egli li affidava, sapendo bene l'affetto profondo che legava le due cugine.

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Ma il capitano John non avrebbe avuto tanta fiducia se avesse saputo con esattezza chi era Len Burker e se avesse conosciuto la furberia di quell'uomo nascosta dietro l'impenetrabile maschera della sua fisionomia e la scarsa importanza che egli attribuiva alle convenienze sociali, al rispetto di se stesso e ai diritti altrui. Ingannata dalle sue maniere abbastanza seducenti, da una specie di fascino che egli esercitava su di lei, Jane l'aveva sposato cinque anni prima a Boston, dove ella abitava con la mamma, che morì poco tempo dopo questo matrimonio destinato ad avere conseguenze tanto dolorose. La dote di Jane e l'eredità materna avrebbero dovuto bastare all'esistenza degli sposi, se Len Burker fosse stato un uomo semplice e facile a contentarsi. Ma non fu così. Dopo aver in parte dissipato il patrimonio di sua moglie, Len Burker, perduto il proprio credito a Boston, decise di lasciare questa città. Nell'altra parte dell'America la sua reputazione dubbia non lo avrebbe seguito, e quei paesi quasi nuovi gli avrebbero offerto tutto ciò che non poteva più trovare nella Nuova Inghilterra.

Jane, che ormai conosceva suo marito, non esitò ad approvare l'idea della partenza, lieta di lasciare Boston, dove la situazione di Len Burker provocava spiacevoli commenti, felice, del resto, d'andare a trovare l'unica parente che le rimanesse. Così giunsero entrambi a San Diego, dove Dolly e Jane si ritrovarono. Ormai Len Burker abitava da tre anni in questa città, ma non aveva mai fatto sorgere alcun sospetto, tanto era abile a nascondere ciò che v'era di losco nei suoi affari.

Erano state queste le circostanze che avevano avvicinato le due cugine quando Dolly non era ancora mistress Branican.

L'affetto aveva legato la giovane sposa e la fanciulla: anche se Jane poteva dare, a prima vista, l'impressione che avrebbe dominato Dolly, avvenne il contrario. Dolly era forte, Jane era debole, e la fanciulla divenne presto il sostegno della giovane moglie. Quando fu deciso il matrimonio tra John Branican e Dolly, Jane se ne mostrò felicissima, poiché era un matrimonio che prometteva di non assomigliare al suo. Quanto conforto avrebbe potuto trarre dal caldo affetto di quella giovane coppia se fosse stata capace di confidare le sue pene segrete!

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Intanto la situazione di Len Burker si faceva sempre più grave. I suoi affari andavano male, il poco che rimaneva del patrimonio della moglie quando erano partiti da Boston era quasi del tutto esaurito, perché quell'uomo giocatore, o meglio speculatore sfrenato, era di quegli individui che affidano tutto al caso e soltanto dal caso si aspettano qualcosa. Questo temperamento, ribelle ai consigli della ragione, non poteva che dare – come infatti dava – risultati deplorevoli.

Appena arrivato a San Diego, Len Burker aveva aperto un ufficio in Fleet-Street, uno di quegli uffici che puzzano di taverna, dove qualsiasi idea buona o cattiva è la base per concludere un affare. Abile nel far apparire i vantaggi di un piano, senza nessuno scrupolo per i mezzi adoperati, buono a mutare gli scherzi in argomenti validi, abituato a considerare come propria la roba altrui, non tardò a cacciarsi in venti speculazioni che fallirono tutte, dopo averci perduto lui stesso. Al tempo in cui comincia questa storia, Len Burker si era ridotto a vivere di espedienti, e l'imbarazzo era entrato in casa; ma poiché egli teneva sempre celati i suoi loschi affari, godeva ancora di un po' di credito e se ne serviva per ordire nuovi inganni, nuove speculazioni.

Questa situazione, però, doveva necessariamente causare una catastrofe. Si sarebbero certamente avuti ben presto dei reclami. E forse, a questo avventuroso yankee trapiantato nell'America dell'ovest sarebbe presto toccato di lasciare San Diego come già aveva lasciato Boston. Tuttavia in mezzo a quella città illuminata, così fervida di attività commerciali, un uomo intelligente e onesto avrebbe potuto trovare cento volte occasione di far fortuna. Ma per far questo bisognava avere quello che a Len Burker mancava, cioè sentimenti retti, idee giuste, intelligenza onesta.

È importante ricordare che né John Branican, né William Andrew, né altri sospettavano nulla degli affari di Len Burker. Nel ceto commerciale e industriale tutti ignoravano che quell'avventuriero andava dritto verso una catastrofe. Anzi, al sopraggiungere di questa, forse i più avrebbero pensato a lui come a un uomo sfortunato, e non già come a uno di quegli individui disonesti ai quali pare che tutti i mezzi siano buoni per arricchire. Perciò, pur non avendo mai provato

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per lui eccessiva simpatia, John Branican non aveva però neanche mai avuto diffidenza nei suoi riguardi. Era dunque sicurissimo che durante la sua assenza sua moglie avrebbe goduto di ogni attenzione da parte dei coniugi Burker. In qualunque occasione Dolly avesse dovuto rivolgersi a loro, certo non lo avrebbe fatto invano; la loro casa le sarebbe stata aperta ed ella vi avrebbe trovato l'accoglienza dovuta a una sorella.

A questo proposito, d'altro canto, non c'era ragione di dubitare dei sentimenti di Jane Burker perché l'affetto profondo ch'ella nutriva per la cugina, era addirittura illimitato. Lungi dal biasimare la sincera amicizia che legava le due giovani donne, Len Burker l'aveva anzi incoraggiata, certamente vedendo in essa i probabili vantaggi che in futuro avrebbero potuto scaturire da quel legame. Inoltre sapeva che Jane non avrebbe mai detto nulla di ciò che egli voleva tenere segreto, che avrebbe sempre taciuto prudentemente sulla loro situazione personale e soprattutto sui loschi affari in cui il marito si era cacciato e sulle difficoltà in cui essi cominciavano a trovarsi. Su queste cose Jane avrebbe di sicuro taciuto, né avrebbe mai osato lamentarsi. Dominata totalmente dal marito, ne subiva l'influenza pur sapendolo un uomo senza coscienza, senza senso morale, capace di commettere imperdonabili errori. E dopo tante disillusioni come avrebbe potuto, lei, continuare a stimarlo?

Ma questo era il punto: ella lo temeva e nelle mani di lui era come una bambina e a un suo cenno lo avrebbe seguito ancora in qualunque parte del mondo, se fosse stato obbligato a fuggire. E infine, non foss'altro che per un personale ritegno, ella non avrebbe mai lasciato scorgere le miserie che sopportava, nemmeno alla cugina Dolly che forse lo sospettava senza averne avuto mai la confidenza.

Ora la situazione di John e di Dolly Branican da una parte, quella di Len e di Jane Burker dall'altra, sono state abbastanza chiarite da rendere agevole la comprensione dei fatti che seguiranno. Nessuno avrebbe potuto supporre, a quest'epoca, in che modo e in quale misura questa situazione fosse destinata a cambiare, in maniera rapida e radicale.

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CAPITOLO III

PROSPECT-HOUSE

TRENT'ANNI fa la bassa California, che è circa un terzo dello stato di California, contava solo trentacinquemila abitanti. Oggi la sua popolazione è di centocinquantamila. A quel tempo i territori di questa provincia posta ai confini dell'America dell'ovest, erano completamente incolti e sembrava fossero adatti solo all'allevamento del bestiame. Chi avrebbe potuto indovinare l'avvenire riservato a una regione così abbandonata, quando i mezzi di comunicazione si riducevano, per terra a poche stradicciole aperte dal passaggio dei carri, e per mare ad una sola linea di battelli che facevano gli scali della costa?

Eppure fin dall'anno 1769 esisteva già in embrione una città posta a qualche miglio nell'interno, al nord della baia di San Diego, e la città odierna può vantarsi d'essere stata il più antico stabilimento della regione californiana.

Quando il nuovo continente, congiunto alla vecchia Europa da semplici legami coloniali che il Regno Unito voleva tener troppo serrati, ruppe quei legami, sorse l'unione degli Stati dell'America del Nord sotto la bandiera dell'Indipendenza. L'Inghilterra ne conservò solo dei lembi: il Dominion e la Colombia, destinati in ogni caso a tornare ben presto alla Confederazione.

Il movimento separatista si era propagato attraverso le popolazioni del centro, le quali non ebbero altro pensiero, altro scopo che liberarsi dalle loro pastoie.

Non era però sotto il giogo anglo-sassone che allora la California piegava il capo; essa apparteneva ai messicani e appartenne loro fino al 1848. In quell'anno, liberatasi per entrare nella repubblica federale, la municipalità di San Diego, fondata undici anni prima, divenne ciò che avrebbe dovuto essere sempre: americana.

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La baia di San Diego è magnifica. Fu paragonata al golfo di Napoli, ma il paragone sarebbe forse più esatto con quelli di Vigo o di Rio de Janeiro. Dodici miglia di lunghezza per due di larghezza sono uno spazio sufficiente per ancorare una flotta mercantile, e anche per le manovre di una squadra, poiché questa baia è considerata come un porto militare. Forma una specie d'ovale, è aperta all'ovest da una stretta gola chiusa tra la punta Island e la punta Lorna o Coronado, ed è riparata da tutti i lati. I venti d'alto mare non la toccano, l'onda del Pacifico turba appena la sua superficie, le navi vi si muovono senza difficoltà e possono ancorarsi ad almeno ventitré piedi di profondità. È il solo porto sicuro e praticabile, favorevole agli ancoraggi, che il litorale dell'ovest offra a sud di San Francisco e a nord di San Quintino.

Con tanti vantaggi naturali era evidente che l'antica città si sarebbe trovata ben presto allo stretto nel suo perimetro. Già erano state fatte apposite tettoie per un distaccamento di cavalleria sui terreni coperti di cespugli. Per iniziativa del signor Horton, per merito del quale si fece un ottimo affare, fu costruito in quel punto un edificio. Oggi esso è diventato la città che sorge sui colli al nord della baia. L'ampliamento avvenne molto celermente, come è proprio degli americani. Un milione di dollari fu impiegato nella costruzione di case private, pubblici edifici e ville. Nel 1885 San Diego contava già quindicimila abitanti e oggi ne conta trentacinquemila. La sua prima ferrovia risale al 1881. E oggi l'Atlantic and Pacific road, il Southern California road, il Southern Pacific road la mettono in comunicazione col continente, mentre la Pacific Coast Steamship le assicura frequenti rapporti con San Francisco.

È una graziosa e comoda cittadella con un clima vantato da tutti. Nei dintorni la campagna è molto fertile; accanto agli alberi, ai frutti e ai legumi del nord del paese, crescono la vite, l'ulivo, l'arancio e il cedro: sembra quasi un misto di Provenza e Normandia.

La città di San Diego, invece, è costruita con quella libertà pittoresca e con quel capriccio individuale che giovano tanto all'igiene quando non si difetta di spazio. Vi sono piazze, squares, strade larghe, cosa che giova molto al benessere fisico, se si pensa ai metri cubi d'aria generosamente concessi a quella popolazione

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fortunata. E dove si potrebbe andare a cercare un progresso maggiore che in

una città moderna, soprattutto quando questa città è americana? Gas, telegrafo, telefono: gli abitanti hanno tutto. Basta che facciano un cenno e hanno la luce, si scambiano messaggi, si parlano all'orecchio da un quartiere all'altro. Ci sono persino degli alberi alti circa quarantacinque metri per fornire la luce elettrica alle vie della città. Non siamo ancora arrivati al latte distribuito a pressione da una General Milke Company, né i marciapiedi mobili che si muovono con una velocità di quattro leghe all'ora funzionano ancora a San Diego, ma in futuro avremo anche quelli.

Si aggiungano a questi vantaggi le varie istituzioni che regolano la vita dei grandi agglomerati urbani: una dogana che diventa sempre più importante, due banche, la camera di commercio, un ufficio emigrazione, molti uffici dove si trattano affari enormi riguardanti legnami e farine; chiese dedicate a diversi culti, tre mercati, un teatro, un ginnasio, tre grandi scuole: Russ County, Court House, Maronic and old fellows, destinate ai ragazzi poveri, e infine un gran numero di istituti per gli studi superiori e universitari – e si potrà prevedere quale sarà il futuro di una città ancor giovane, ma così tenacemente sollecita dei suoi interessi morali e materiali. Non le mancano neanche le gazzette; San Diego dispone infatti di tre giornali quotidiani, fra gli altri l'«Herald», ed essi pubblicano ciascuno un'edizione ebdomadaria. Né accade che i forestieri non riescano a trovare alloggio, o comodi sufficienti, perché senza contare gli alberghi di seconda categoria, sono a loro disposizione tre magnifici stabilimenti, l'Horton-House, il Florence-Hotel, il Gerard-Hotel con le sue cento camere, e sulla sponda opposta del golfo dominante i massi della punta Coronado, in una splendida posizione fra graziose ville, un albergo nuovo costato non meno di cinque milioni di dollari.

Da tutti i paesi del vecchio continente e da tutti i punti del nuovo, accorrano pure i viaggiatori, per visitare questa giovane e vivace capitale della California meridionale: vi saranno accolti ospitalmente dai generosi abitanti, né potranno rimpiangere di essere venuti.

San Diego è una città piena di vita, molto vivace ma anche molto ordinata nell'andamento dei suoi affari, come la maggior parte delle

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città americane. Se il movimento è indice di vita, si può dire che là la vita è molto intensa. Il tempo basta appena per le transazioni commerciali. Ma se è così per le persone ormai coinvolte in quel vortice impetuoso non si può affermare la stessa cosa quando si tratta di coloro che trascorrono il loro tempo continuamente in ozio. Quando il movimento si ferma, le ore sembrano eterne.

Fu l'esatta sensazione che provò mistress Branican dopo la partenza del Franklin. Dopo il suo matrimonio ella aveva preso parte a tutti i lavori del marito. Anche quando il capitano non navigava, i suoi rapporti con la casa Andrew lo tenevano continuamente occupato. Oltre alle operazioni mercantili, cui prendeva parte, aveva dovuto seguire la costruzione del tre-alberi che avrebbe poi comandato. E con che zelo, con che amore, potremmo dire, ne curava ogni minimo particolare! Vi metteva proprio l'attenzione interessata del proprietario che si fa costruire la casa dove trascorrere tutta la vita. E forse ancora di più, perché la nave non è soltanto la casa, non è soltanto uno strumento della fortuna, ma è fatta del legname e del ferro da cui dipende l'esistenza di tanta gente. E d'altra parte essa è anche quasi un frammento staccato dalla terra natale, che vi ritorna per lasciarla ancora e il cui destino, purtroppo, non è sempre quello di terminare la propria carriera marittima nel porto che la vide nascere.

Spesso Dolly accompagnava il capitano John al cantiere. Quello scheletro che vedeva sulla chiglia inclinata, quelle curve che sembravano l'ossatura d'un gigantesco mammifero marino, quei fasciami, quello scafo dalla forma così complicata, quel ponte in cui si aprivano larghi vani destinati all'imbarco e allo sbarco del carico, quegli alberi che giacevano in attesa di essere rizzati al loro posto, le disposizioni interne, il posto dell'equipaggio, il casseretto e le sue cabine: come poteva tutto ciò. non interessarla? Era la vita di John e dei suoi compagni, che il Franklin avrebbe dovuto difendere dai marosi dell'Oceano Pacifico. Perciò non c'era una tavola che Dolly non considerasse come una salvezza, né un colpo di martello nel frastuono del cantiere che non echeggiasse nel suo cuore.

John la rendeva partecipe di tutto quel lavorio, le spiegava la funzione di ogni pezzo di legno o di metallo e il disegno della

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costruzione. Ed ella si era affezionata a quella nave di cui suo marito doveva essere l'anima, il padrone, dopo Dio. E talvolta desiderava di poter salpare anche lei con il capitano, per dividere con lui i pericoli del viaggio.

Sì, avrebbe voluto non doversi separare da suo marito!… E del resto, l'esistenza di quelle famigliole di marinai che per lunghi anni navigavano insieme, non è da tanto tempo divenuta un costume delle popolazioni del nord, nel vecchio e nel nuovo continente?

Ma c'era Wat, il bimbo, e Dolly non avrebbe potuto affidarlo alle cure d'una nutrice privandolo delle sue carezze materne. No, né poteva condurlo in mare ed esporlo ai rischi d'un viaggio tanto pericoloso per un bambino così piccolo. Sarebbe rimasta con suo figlio per assicurargli la vita che gli aveva dato, non lo avrebbe lasciato un solo minuto, dandogli tutto il suo affetto, tutte le sue tenerezze, affinché, pieno di salute, potesse sorridere al ritorno del papà. Del resto, l'assenza del capitano John sarebbe durata solo sei mesi. Appena rifatto il carico a Calcutta, il Franklin sarebbe ritornato nel suo porto. E la moglie d'un marinaio doveva pure abituarsi a quelle indispensabili separazioni, anche se il suo cuore non vi si fosse mai rassegnato.

Fu dunque necessario darsi pace. Ma dopo la partenza di John, quanto la sua vita movimentata divenne più monotona, quanto sarebbe sembrata vuota, desolata se ella non fosse stata tutta presa dalle cure per quel bambino cui dedicava tutto il suo amore!

La casa di John Branican occupava uno degli ultimi piani di quelle alture che incorniciavano il litorale al nord del golfo. Era una specie di villetta rustica in mezzo a un piccolo giardino di aranci e di ulivi, chiuso da un semplice steccato di legno. Il pianterreno, preceduto da un corridoio su cui si aprivano le finestre e la porta del salotto e della sala da pranzo, un piano superiore con un balcone che correva lungo tutta la facciata, e, sopra, un cornicione ornato con eleganti trafori. Tale era quella abitazione semplice ed attraente. A piano terra il salotto e la sala da pranzo, modestamente ammobiliati; al primo piano due camere, quella di mistress Branican e quella del figlio; dietro la casa un piccolo fabbricato per la cucina e la dispensa. Prospect-House godeva di una bellissima posizione perché esposta a

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mezzogiorno. La vista si stendeva su tutta la città e attraverso il golfo fino agli stabilimenti della punta Lorna. Era un po' lontana dal quartiere degli affari, ma questo lieve svantaggio era compensato dalla posizione e dall'aria buona che mandavano le brezze del sud, pregne dei sentori salini del Pacifico.

In quella casa Dolly avrebbe trascorso le lunghe ore dell'attesa. Come servitù, le bastavano la nutrice e una domestica; le sole persone che le facessero visite frequenti erano i coniugi Burker: raramente Len, spesso Jane. Anche William Andrew, come aveva promesso, le faceva visita, spesso desideroso di comunicarle tutte le notizie del Franklin che giungessero per via diretta o indiretta. Prima che le lettere giungano a destinazione, i giornali marittimi riferiscono gli incontri delle navi, i loro ancoraggi nei porti e i fatti di mare di ogni genere che interessano gli armatori. Dolly dunque era informata di tutto. Relazioni mondane, rapporti di vicinato, non ne aveva cercati essendo abituata alla solitudine di Prospect-House. Un solo pensiero riempiva la sua vita e quand'anche i visitatori fossero venuti in folla alla casina, le sarebbe sembrata vuota ugualmente: John non c'era più e dunque la casa sarebbe rimasta vuota fino al ritorno di lui. I primi giorni furono penosissimi; Dolly non si staccava da Prospect-House, dove Jane Burker veniva ogni giorno a trovarla.

Si occupavano entrambe del piccolo Wat e parlavano del capitano John. Di solito, quand'era sola, Dolly passava una parte della giornata sul balcone. Il suo sguardo si perdeva oltre il golfo, oltre la punta Island, oltre le isole Coronado. Valicava la linea di mare circoscritta all'orizzonte… Il Franklin era già lontano, ma ella lo raggiungeva col pensiero, vi si imbarcava, ed eccola accanto al marito; e quando una nave, venuta dall'alto mare, si accostava a terra, Dolly pensava che un giorno anche il Franklin sarebbe apparso da lontano, per farsi sempre più grande avvicinandosi a terra… e John sarebbe stato a bordo.

Ma la salute del piccolo Wat non permetteva una reclusione assoluta nel recinto di Prospect-House. Nella seconda settimana, dopo la partenza, il tempo si fece bellissimo e il venticello mitigava il caldo del giorno: allora mistress Branican pensò di fare qualche passeggiata; conduceva con sé la nutrice, la quale portava il piccino.

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Si andava a piedi quando la passeggiata si limitava ai dintorni di San Diego, fino alle case di Old-Town, la vecchia città. Il piccino, roseo e paffuto, sembrava avvantaggiarsi di queste passeggiate, e quando la nutrice si arrestava, egli batteva le manine sorridendo alla mamma. Altre volte, in occasione di gite più lunghe, una graziosa carrozzella, noleggiata nel vicinato, trasportava tutti e tre e anche tutti e quattro, perché talvolta mi-stress Burker li accompagnava. Un giorno andarono alla collina di Knob-Hill, sparsa di ville, dominata dal Florence-Hotel, e dove la vista si stende verso l'ovest fin oltre le isole. Un altro giorno andarono verso le rocce di Coronado-Beach, sui quali si avventano i marosi con scoppi di folgore. E poi ancora a visitare i «Lits de Mussel» dove l'alta marea copre di sabbia le superbe rocce del litorale. Dolly toccava col piede quell'oceano e aveva l'impressione che le portasse un'eco dei lontani mari dove John navigava in quel momento, di quei mari che assalivano forse il Franklin, migliaia di miglia al largo. E se ne stava là immobile, vedendo con la fantasia la nave del giovane capitano e mormorando il nome di lui.

Il 30 marzo, verso le dieci del mattino, mistress Branican si trovava sul balcone quando vide mistress Burker dirigersi verso Prospect-House. Jane affrettava il passo facendo un allegro cenno con la mano, segno che non recava nessuna brutta notizia. Dolly scese subito e si trovò alla porta della casina nel momento in cui s'apriva.

— Che c'è, Jane? — Cara Dolly — rispose mistress Burker — ti dirò una cosa che ti

farà piacere. Vengo da parte di William Andrew a dirti che il Bundary, che è entrato stamattina nel porto di San Diego, ha comunicato col Franklin.

— Col Franklin? — Sì, William Andrew ne era stato avvisato fin da quando

m'incontrò in Fleet-Street; ma avrebbe potuto recarsi qui solo dopo pranzo, perciò mi sono affrettata a portarti la notizia.

— E ci sono notizie di John? — Sì, Dolly. Otto giorni or sono il Franklin e il Bundary si sono

incontrati in alto mare scambiandosi notizie.

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— A bordo tutti bene? — Sì, cara Dolly. I due capitani erano tanto vicini da potersi

parlare, e l'ultima parola che si udì dal Bundary fu il tuo nome. — Povero John! — esclamò mistress Branican. E una lacrima di

tenerezza le spuntò sugli occhi. — Quanto a me sono contenta, cara Dolly — riprese mistress

Burker — d'esser stata la prima a darti questa notizia! — Se tu sapessi come mi hai fatta felice! Ah! se ogni giorno ne

potessi ricevere! Mio caro John!… Dunque il capitano del Bundary l'ha visto… John gli ha parlato… È come un altro saluto che egli mi manda!

— Sì, cara Dolly, tutto andava bene a bordo del Franklin. — Jane — disse mistress Branican — voglio vedere il capitano

del Bundary… Egli mi racconterà tutto particolareggiatamente… Dove si sono incontrate le due navi?

— Questo non lo so — rispose Jane — ma ce lo dirà il libro di bordo, e il capitano del Bundary potrà darti ampie informazioni.

— Ebbene, Jane, io mi vesto e andremo subito insieme da lui. — Non oggi Dolly — rispose mistress Burker: — non potremo

salire a bordo del Bundary. — E perché? — Perché è arrivato appena questa mattina e fa la quarantena. — Per quanto tempo? — Ventiquattr'ore, non più. È una formalità, ma nessuno può

andare a bordo. — E William Andrew in che modo è stato informato di questo

incontro? — Per mezzo della dogana, che gli ha comunicato la cosa per

incarico del capitano. Cara Dolly, sta' tranquilla, non può esserci dubbio su ciò che ti ho detto e domani ne avrai la conferma. Abbi pazienza ancora un giorno.

— Ebbene, Jane, a domani — rispose mistress Branican; — domani sarò da te, di mattina, verso le nove. Mi accompagnerai a bordo del Bundary?

— Volentieri, cara Dolly, t'aspetterò domani; finita la quarantena il capitano ci riceverà.

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— Il capitano Ellis, non è un amico di John? — domandò mistress Branican.

— Proprio lui, e il Bundary appartiene alla casa Andrew. — D'accordo, Jane, sarò da te… ma mi sembrerà tanto lunga

questa giornata… Perché non ti fermi a far colazione con me? — Se vuoi… mio marito è assente fino a stasera, e posso

rimanere. — Grazie, cara Jane, parliamo di John, sempre di lui, sempre. — E il piccolo Wat, come va il nostro piccino? — Va benissimo — rispose Dolly — è allegro come un uccellino.

Che gioia sarà per suo padre il rivederlo! Jane, vorrei condurlo con me domani con la nutrice… Tu sai che non mi piace separarmi da lui, nemmeno per poche ore… Non sarei tranquilla se non lo vedessi, se non l'avessi sempre con me.

— È una buona idea quella di far approfittare il piccolo Wat della nostra passeggiata; il tempo è bello, il golfo è tranquillo. Sarà il primo viaggio di mare di questo caro piccino. Dunque siamo intesi?

— Siamo intesi — rispose mistress Branican. Jane rimase a Prospect-House fino alle cinque del pomeriggio, poi

lasciando la cugina le ripete che l'avrebbe attesa l'indomani a casa sua verso le nove del mattino, per far visita al Bundary.

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CAPITOLO IV

A BORDO DEL «BUNDARY»

L'INDOMANI a Prospect-House ci si alzò di buon'ora. Era una giornata splendida, la brezza di terra spingeva al largo le ultime brume notturne. La nutrice vestì il piccolo Wat, mentre mistress Branican si preparava. Era stato stabilito che ella avrebbe fatto colazione in casa Burker, e perciò mangiò appena un boccone per poter aspettare fino a mezzogiorno, perché probabilmente la visita al capitano Ellis avrebbe richiesto due buone ore. Come sarebbe stato interessante il racconto di quel bravo capitano!

Mistress Branican e la nutrice, che teneva il piccino in braccio, lasciarono la casina quando gli orologi di San Diego suonavano appena le otto e mezzo. Le larghe vie dell'alta città, fiancheggiate di ville e di giardini coi loro recinti, furono percorse di buon passo e Dolly si cacciò nelle stradine più fitte di case, che formano il quartiere commerciale.

Len Burker abitava in Fleet-Street, poco lontano dalla banchina della compagnia del Pacific Coast Steam-ship: tutto sommato era una buona camminata, perché bisognava traversare tutta la città, e quando Jane aprì a mistress Branican l’uscio di casa, erano le nove.

Era una casa semplice, anzi d'aspetto malinconico, con le sue finestre che avevano generalmente le persiane chiuse. Poiché Len Burker riceveva in casa sua solo pochi uomini d'affari, non aveva nessuna relazione col vicinato. Lo si conosceva poco anche in Fleet-Street, perché le sue occupazioni lo obbligavano spesso ad assentarsi da mattina a sera. Egli viaggiava molto e per lo più si recava a San Francisco, per operazioni che sua moglie ignorava del tutto. Quel mattino non era in ufficio quando vi giunse mistress Branican. Jane Burker scusò il marito, che non poteva accompagnarle entrambe nella loro visita a bordo del Bundary, aggiungendo che senza dubbio

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sarebbe stato di ritorno per colazione. — Sono pronta mia cara Dolly — disse dopo avere abbracciato il

piccino — ma non ti vuoi riposare un momento? — Non sono stanca — rispose mistress Branican. — Non hai bisogno di nulla? — No, Jane!… Non vedo l'ora di parlare col capitano Ellis,

andiamo subito. La signora Burker aveva solo una vecchia per domestica, una

mulatta condotta da New York, quando suo marito era venuto a stare a San Diego. Questa mulatta si chiamava No, ed era stata la balia di Len Burker. Rimasta sempre al servizio della famiglia, si era affezionata molto a Len, e gli dava ancora del tu, come quando era bambino. Questa creatura rude e imperiosa era la sola che avesse esercitato un po' di influenza su Len Burker, il quale affidava a lei tutta la casa. Quante volte Jane ebbe a soffrire a causa di quella autorità che arrivava perfino alla mancanza di rispetto. Ma ormai subiva quella mulatta come subiva suo marito, e nella sua rassegnazione, che poi era solo debolezza, lasciava andare le cose come andavano mentre No ormai non la consultava neanche più per la direzione della casa.

Mentre Jane si accingeva ad andar via, la mulatta le raccomandò espressamente d'essere di ritorno prima di mezzogiorno, perché Len Burker non avrebbe tardato a ritornare e non bisognava farlo aspettare. E, tra l'altro, aveva da comunicare a mistress Branican un affare importante.

— Che cosa ti vorrà dire? — domandò Dolly a sua cugina. — Non lo so proprio — rispose mistress Burker. — Vieni, Dolly,

vieni. Non c'era tempo da perdere. Mistress Branican e Jane Burker,

accompagnate dalla nutrice e dal bambino, si diressero verso la banchina, dove giunsero in pochi minuti.

Il Bundary aveva finito la quarantena, ma non aveva ancora preso il suo posto di scarico lungo la banchina riservata alla casa Andrew. Era ancorato in fondo al golfo, a una gomena dalla punta Lorna. Bisognava dunque traversare la baia per recarsi a bordo della nave, la quale doveva scaricare un po' più tardi. Era un tragitto di circa due

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miglia, che i «steam-launches», specie di barche a vapore adibite a questo uso, fanno due volte all'ora.

Dolly e Jane Burker presero posto nello «steam-launche» insieme con una dozzina di passeggeri. La maggior parte erano amici o parenti dell'equipaggio del Bundary, che volevano approfittare dei primi istanti in cui l'accesso alla nave era libero. L'imbarcazione allentò l'ormeggio, si staccò dalla banchina e spinta dal suo elice, si diresse obliquamente attraverso il golfo.

In quella giornata limpidissima il golfo appariva in tutta la sua estensione, con l'anfiteatro delle case di San Diego, la collina dominante la vecchia città, la specie di canale aperto fra la punta Island e la punta Lorna, l'immenso albergo di Coronado, concepito come un palazzo e il faro che getta per largo tratto i suoi bagliori sul mare, appena il sole è tramontato.

C'erano diverse navi ancorate qua e là e lo «steam-launche» evitava con maestria di urtarle, come pure le barche che procedevano in senso contrario e i pescherecci che a vela spiegata volevano passare la punta.

Mistress Branican era seduta vicino a Jane sopra una panca di poppa; la nutrice, accanto a lei, teneva in braccio il bambino. Il piccolo non dormiva e i suoi occhi sembravano pieni di quella bella luce che la brezza sembrava ravvivare col suo alito; egli si agitava quando qualche coppia di gabbiani passava sopra l'imbarcazione, gridando con la sua vocetta acuta. Era pieno di salute con le sue guance fresche e le sue labbra di rosa, umide ancora del latte che aveva succhiato dal seno della nutrice prima di lasciare la casa dei Burker. La mamma lo guardava intenerita, chinandosi a baciarlo di tanto in tanto ed egli ritraendosi sorrideva.

Ma l'attenzione di Dolly fu ben presto polarizzata dalla vista del Bundary, che ora, staccato dalle altre navi, si disegnava nettamente in fondo al golfo, spiegando le sue bandiere sul cielo luminoso. Aveva la punta rivolta all'ovest, all'estremità della catena tesa, sulla quale si rompevano le ultime ondulazioni dei cavalloni.

Tutta la vita di Dolly era nel suo sguardo. Pensava a John che viaggiava su un bastimento che si poteva considerare fratello di questo. Non erano forse figli della stessa casa Andrew? Non erano

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nati nello stesso porto? Non erano usciti dallo stesso cantiere? Vinta dal fascino dell'illusione, l'immaginazione spronata dalle

memorie, Dolly si abbandonava al pensiero che John fosse là a bordo ad attenderla… che agitasse la mano vedendola… e che stesse per gettarsi fra le sue braccia.

Il nome di lui le veniva sulle labbra, lo chiamava, ed egli rispondeva pronunciando il suo…

Ma un leggero grido del piccino la richiamava alla realtà: era proprio il Bundary quello cui andava incontro, non il Franklin, lontano allora, lontanissimo, separato dalla costa americana da un'infinità di chilometri.

— Un giorno esso sarà là, a quel posto — mormorò guardando mistress Burker.

— Sì, cara Dolly — rispose Jane — e sarà John che ci riceverà a bordo. Ella comprendeva la vaga inquietudine che stringeva il cuore della giovane sposa quando pensava all'avvenire.

Intanto lo «steam-launch» aveva superato in un quarto d'ora le due miglia che separano il porto di San Diego dalla punta Lorna. I passeggeri sbarcarono sul ponte, dove mistress Branican scese con Jane, con la nutrice e col bambino. Ora c'era solo da ritornare verso il Bundary, distante poco più di una gomena.

E proprio ai piedi del ponte, sotto la sorveglianza di un marinaio, c'era una barca che faceva il servizio del tre-alberi. Mistress Branican disse il suo nome e gli uomini si prepararono a condurla a bordo del Bundary, quando ella fu sicura che il capitano Ellis vi si trovava già.

Bastarono pochi colpi di remi, e il capitano Ellis, avendo riconosciuto mistress Branican, le venne incontro, mentre ella saliva la scala, seguita da Jane, dopo aver raccomandato alla balia di stare attenta al bambino. Il capitano la condusse sul casseretto, mentre il secondo faceva i preparativi per condurre il Bundary al porto di San Diego.

— Signor Ellis — domandò subito mistress Branican — mi hanno detto che avete incontrato il Franklin.

— Sì, mistress — rispose il capitano — e vi posso assicurare che tutto andava per il meglio, come ho già detto a William Andrew.

— E avete visto John?

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— Il Franklin e il Bundary sono passati uno rasente all'altro a contro bordo, tanto vicino che ho potuto scambiare qualche parola col capitano Branican.

— Sì, voi l'avete proprio visto — ripeté mistress Branican, quasi che parlando a se stessa cercasse nello sguardo del capitano un riflesso della visione del Franklin.

Mistress Burker fece allora molte domande, che Dolly ascoltava attentamente, pur tenendo sempre gli occhi rivolti all'orizzonte.

— Quel giorno il tempo era buono — disse il capitano Ellis — e il Franklin correva a vele spiegate. Il capitano John era sul casseretto col cannocchiale in mano. Egli aveva orzato d'una quarta per accostarsi al Bundary, perché io non potevo mutare la mia rotta, trovandomi a procedere di bolina strettissima.

Le parole adoperate dal capitano Ellis non erano troppo chiare per mistress Branican, la quale comprendeva solo questo: che quell'uomo aveva visto John e aveva potuto parlare un attimo con lui.

— Quando siamo stati di fronte — egli aggiunse — vostro marito mi mandò un saluto con la mano, gridando: «Tutto va bene, Ellis! quando arrivate a San Diego date mie notizie a mia moglie, alla mia cara Dolly!» Poi le due navi si sono separate, e ci siamo perduti di vista.

— E in quale giorno avete incontrato il Franklin? — domandò mistress Branican.

— Il 23 marzo — rispose il capitano Ellis — alle undici e venticinque del mattino.

Il capitano diede ancora qualche particolare e indicò perfino sulla carta il punto preciso in cui la sua nave si era incontrata col Franklin. Era a cento-quarantotto gradi di longitudine e venti di latitudine, cioè a millesettecento miglia al largo di San Diego. Se il tempo continuava a essere favorevole – e c'era molta probabilità che così fosse, perché si era nella bella stagione — il capitano John avrebbe fatto una bella e rapida navigazione nei paraggi del Nord Pacifico. Inoltre, poiché, giunto a Calcutta, doveva trovare il carico pronto, sarebbe rimasto pochissimo nella capitale dell'India, e il suo ritorno in America si sarebbe compiuto nel più breve tempo possibile. L'assenza del Franklin si sarebbe prolungata dunque per pochi mesi,

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conforme alle previsioni della casa Andrew. Mentre il capitano Ellis rispondeva ora alle domande di mistress

Burker, ora a quelle di mistress Branican, quest'ultima continuando a correre con la immaginazione si vedeva a bordo del Franklin e nell'uomo che le parlava non vedeva più Ellis, ma John. Ed era proprio convinta di udire la voce di lui.

In quel momento il secondo salì sul casseretto ad avvertire il capitano che i preparativi erano quasi conclusi; i marinai, sul castello di prua, aspettavano solo un ordine per sciogliere l'alzaia.

Il capitano Ellis offrì allora a mistress Branican di farla condurre a terra, sempre che non preferisse rimanere a bordo. In questo caso, avrebbe potuto attraversare il golfo sul Bundary, e sbarcare quand'esso si fosse accostato alla banchina: sarebbe stato, al massimo, affare di due ore.

Mistress Branican avrebbe volentieri accettato l'offerta del capitano, ma era attesa a colazione per mezzogiorno, e comprese che Jane, dopo quanto le aveva detto la mulatta, sarebbe stata molto inquieta se non avesse potuto fare ritorno a casa prima che suo marito fosse stato di ritorno. Pregò dunque il capitano Ellis di farla ricondurre al ponte, per non mancare alla prima partenza dello «steam-launch».

Vennero dati ordini in proposito. Mistress Branican e mistress Burker si congedarono dal capitano e precedendo la balia si imbarcarono sul canotto di bordo che li ricondusse al ponte.

Aspettando l'arrivo dello «steam-launch» che aveva lasciato il molo di San Diego, mistress Branican guardò con vivo interesse le manovre del Bundary: al rude canto del mastro d'equipaggio, i marinai levarono l'ancora, e il tre-alberi venne ad accostarsi lungo la catena, mentre il secondo faceva issare il gran fiocco, la vela di trinchetto e la randa. Con questa velatura la nave si sarebbe portata al suo posto agevolmente.

Poco dopo l'imbarcazione a vapore era vicina; mandò qualche fischio per chiamare i passeggeri e due o tre ritardatari affrettarono il passo risalendo la punta davanti all'albergo Coronado.

Lo «steam-launch» non si sarebbe fermato più di cinque minuti. Mistress Branican, Jane Burker, la nutrice vi presero posto e vennero

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a sedersi a dritta, mentre gli altri passeggeri, che erano circa una ventina, andavano e venivano da prua a poppa. Un ultimo fischio, poi l'elica si mise in moto e l'imbarcazione si allontanò dalla costa.

Erano appena le undici e mezzo, e mistress Branican sarebbe giunta a casa abbastanza presto, poiché per attraversare il golfo bastava appena un quarto d'ora.

A mano a mano che la barca si allontanava, gli sguardi di Dolly rimanevano fissi sul Bundary. L'ancora era a picco, le vele spiegate e la nave cominciava a lasciare il suo ancoraggio. Quando fosse stata ormeggiata dinanzi alla banchina di San Diego, Dolly avrebbe potuto far visita in qualunque momento al capitano Ellis.

Lo «steam-launch» filava rapidamente. Le case della città sembravano crescere sul pittoresco anfiteatro di cui occupavano i diversi piani. Rimaneva solo un quarto di miglio per toccare lo sbarco.

— Attenzione! — gridò in quel momento un marinaio posto a prua. E si rivolse verso l'uomo del timone, che se ne stava in piedi sopra un piccolo ponticello, dinanzi al fumaiolo.

Sentendo quel grido, mistress Branican guardò verso il posto dove si faceva allora una manovra, che anche altri passeggeri avevano notato. Infatti la maggior parte si erano portati a prua.

Un grosso brick-goletta, che si era staccato dalle navi schierate lungo i moli, si disponeva ad uscire dal golfo con la prua diritta verso la punta Island, aiutato da un rimorchiatore, che doveva guidarlo fuori del canale, e aveva già preso una certa velocità.

Questo brick-goletta si trovava sulla rotta della barca a vapore, anzi così vicino a questa che era necessario passargli dietro il più presto possibile per evitarlo. Perciò il marinaio aveva gridato per avvertire il timoniere.

Un senso di inquietudine si impadronì dei passeggeri, cosa abbastanza giustificata, perché il porto era pieno di navi, ormeggiate qua e là. E istintivamente tutti si fecero indietro a poppa.

La manovra era evidente: bisognava fermarsi per lasciare posto al rimorchiatore e al brick, e rimettersi in moto soltanto quando il passaggio fosse libero. Alcuni pescherecci, passando in quel momento, rendevano il passaggio ancora più difficile.

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— Attenzione! — ripeté il marinaio di prua. — Sì, sì — rispose il timoniere — non c'è niente da temere, c'è

spazio a sufficienza. Ma confuso per l'improvvisa apparizione di un grosso steamer che

lo seguiva, il rimorchiatore fece un movimento inaspettato, e ritornò direttamente a sinistra.

Si udirono delle grida, cui si aggiunsero quelle dell'equipaggio del brigantino-goletta, che cercava d'aiutare la manovra del rimorchiatore, governando nella stessa direzione.

Forse in quel momento tra il rimorchiatore e lo «steam-launch» c'erano solo sei metri all'incirca.

Jane, sbigottita, si era alzata in piedi; mistress Branican, per istinto, aveva preso il piccolo Wat dalle braccia della nutrice, e se lo stringeva al seno.

— A dritta, a dritta! — gridò vivamente il capitano del rimorchiatore al timoniere della barca, accennando con la mano la direzione da seguire.

Quell'uomo che non aveva perduto il suo controllo, diede un violento colpo di timone per gettarsi fuori della rotta del rimorchiatore, poiché questo non poteva fermarsi e il brigantino-goletta avendo già preso l'aire rischiava di urtarlo nel fianco.

Sotto il colpo di timone datogli con vigore, lo «steam-launch» piegò bruscamente la banda a dritta, e naturalmente i passeggeri, perdendo l'equilibrio, si gettarono tutti da quella parte.

Nuove grida, e questa volta furono grida di terrore, perché tutti pensarono che la barca stesse per rovesciarsi.

In quel momento mistress Branican, che si trovava in piedi presso il parapetto, non riuscendo a rimettersi in equilibrio, fu scaraventata in mare col bambino.

Il brigantino-goletta passava in quel momento rasente alla barca senza neppure sfiorarla: ogni pericolo di urto era del tutto scomparso.

— Dolly, Dolly! — gridò Jane, mentre uno dei passeggeri la tratteneva nel momento in cui anche lei stava per cadere.

Quasi contemporaneamente uno dei marinai dello «steam-launch» si precipitò in mare scavalcando il parapetto, in aiuto di mistress Branican e del bambino.

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Dolly, tenuta su dai vestiti, galleggiava sull'acqua, tenendo il piccino tra le braccia, e stava già per calare a fondo, quando il marinaio la raggiunse.

Una barca era intanto sopraggiunta, e a quel marinaio, robusto e buon nuotatore non sarebbe stato difficile raggiungerla portando con sé mistress Branican. Disgraziatamente, nel momento in cui egli la afferrava per il capo, le braccia dell'infelice donna si aprirono, e mentre ella si dibatteva quasi soffocata, il bambino era scomparso. Quando Dolly fu portata a bordo e deposta sul ponte, era priva di sensi.

Quel coraggioso marinaio – un uomo sulla trentina, chiamato Zach Fren – si rituffò in mare parecchie volte, frugò le acque tutt'intorno alla barca, ma invano: non riuscì a ritrovare il bimbo, certamente trascinato da una corrente sottomarina.

Intanto i passeggeri prestavano tutte le cure del caso a mistress Branican; mentre Jane smarrita e la nutrice fuori di sé, cercavano di farla rinvenire. Lo «steam-launch», immobile, aspettava che Zach Fren avesse rinunciato alla speranza di salvare il piccolo Wat.

Finalmente Dolly cominciò a riprendere i sensi; balbettò il nome di Wat, gli occhi si aprirono e il suo primo grido fu:

— Mio figlio! Ella vide Zach Fren risalire a bordo per l'ultima volta… Wat non

era nelle sue braccia. — Mio figlio! — gridò ancora Dolly. Poi respinse tutti coloro che la circondavano e corse a poppa. Se non l'avessero trattenuta si sarebbe precipitata in mare. Bisognò tener ferma la povera madre, mentre lo «steam-launch»

riprendeva la rotta verso il molo di San Diego. Mistress Branican, con la faccia convulsa, era ricaduta sul ponte

rimanendo immobile. Qualche minuto dopo la barca aveva raggiunto il molo e Dolly

veniva trasportata in casa di Jane. Len Burker era appena tornato e a un suo ordine la mulatta corse a chiamare un medico, che arrivò subito, e con molta fatica riuscì a far rinvenire mistress Branican, che, dopo averlo fissato a lungo, disse:

— Che è stato? Ah! io so… so tutto… Poi sorridendo:

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— È il mio John, egli ritorna… ritorna! — esclamò — per rivedére sua moglie e il suo bambino!… John!… ecco il mio John!

Mistress Branican aveva smarrito la ragione.

CAPITOLO V

PASSANO TRE MESI

COME DESCRIVERE l'effetto che produsse a San Diego quella doppia catastrofe, della morte del bambino e della follia della madre? È noto quanto la famiglia Branican fosse amata da quella gente, e quanto tutti si interessassero al giovane capitano del Franklin. Egli era partito solo da quindici giorni e già non era più padre… e la sua povera moglie era pazza… Tornando nella sua casa vuota, non avrebbe più trovato il sorriso del suo piccolo Wat, né le tenerezze di Dolly, che forse nemmeno lo avrebbe riconosciuto. Il giorno in cui il Franklin fosse tornato in porto, non sarebbe stato salutato dagli evviva della folk.

Ma non si doveva aspettare il suo ritorno per informare John Branican della terribile sventura che lo aveva colpito.

William Andrew non poteva lasciare il giovane capitano all'oscuro di quanto era accaduto, affidando al caso il compito di metterlo al corrente della spaventosa catastrofe. Bisognava mandare immediatamente un telegramma a uno dei corrispondenti di Singapore, per informare il capitano John sulla terribile verità prima che fosse giunto alle Indie.

Tuttavia, William Andrew non volle mandar subito quel telegramma. Forse la ragione di Dolly non era irrimediabilmente perduta. Chissà che adeguate cure non potessero rendergliela! E

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allora perché colpire doppiamente il povero John, comunicandogli la morte del figlio e nello stesso tempo la pazzia della moglie, se questa pazzia poteva ancora guarire?

Dopo essersi messo d'accordo con Len e Jane Burker, William Andrew decise di aspettare finché i medici avessero fornito una diagnosi più precisa sullo stato mentale di Dolly. Questi casi di pazzie improvvise a volte lasciano maggior speranza di guarigione di altri dovuti a una lenta degenerazione cerebrale. Ecco perché era meglio aspettare qualche giorno anzi qualche settimana.

Tutta la città era costernata. La gente non cessava di andare avanti e indietro dalla casa di Fleet-Street per aver notizie di mistress Branican. Frattanto erano state fatte minuziose ricerche per ritrovare il corpo del bambino, ma senza alcun risultato. Probabilmente il corpicino era stato trascinato dai flutti e poi ripreso dalla marea scendente. La povera creaturina non avrebbe neanche potuto avere una tomba, su cui la sua mamma recuperata la ragione, venisse a pregare.

Da principio i medici avevano constatato che la pazzia di Dolly aveva carattere di una dolce melanconia. Nessuna crisi nervosa, né alcun atto di quelle inconsulte violenze che rendono necessario il ricovero e la sorveglianza di quegli ammalati. Né sembrò necessario prendere precauzioni contro gli eccessi a cui spesso si abbandonano i pazzi contro se stessi e contro gli altri. Dolly era solo un corpo senz'anima, una mente assopita, che non conservava alcun ricordo della sciagura che l'aveva colpita. I suoi occhi erano asciutti, lo sguardo spento. Ella sembrava non vedere e non sentire. Non apparteneva più a questo mondo e si sarebbe potuto dire che vegetasse più che vivere.

Nei primi mesi dopo l'incidente mistress Branican rimase in questo stato. Si era discusso sulla possibilità di farla entrare in una casa di salute, dove avrebbe trovato speciali cure; questo era il parere di William Andrew, e sarebbe stato seguito se Len Burker non avesse avanzato un'altra proposta.

Egli, venuto a trovare William Andrew nel suo ufficio, gli disse: — Oramai siamo certi che la follia di Dolly non ha una forma

pericolosa per cui non mi sembra necessario un ricovero, e poiché

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ella non ha altra famiglia che noi, la vogliamo in casa. Dolly voleva molto bene a mia moglie, e forse la presenza di Jane sarà più efficace che non quella di gente estranea. Se sopravverranno crisi in seguito, avremo tempo di provvedere. Che ve ne pare, signor Andrew?

L'armatore esitò un momento prima di rispondere: egli nutriva poca simpatia per Len Burker, anche se ignorava tutto sui suoi loschi affari, e non c'era motivo che sospettasse della sua onorabilità. In fin dei conti l'amicizia che Dolly e Jane avevano avuto l'una per l'altra era stata profonda, e poiché mistress Burker era l'unica sua parente, era meglio senza dubbio che Dolly fosse affidata alla sua custodia. L'essenziale era che la disgraziata donna potesse avere le cure costanti ed affettuose che il suo stato richiedeva.

— Se volete assumervi questo compito — rispose William Andrew — io non vedo nessun inconveniente che Dolly sia affidata a sua cugina, che ha per lei un affetto indubitabile.

— Affetto che non le mancherà mai — aggiunse Len Burker. Ma disse queste parole con quell'accento freddo, positivo,

spiacevole, che gli era proprio. — La vostra condotta è lodevole — aggiunse William Andrew. —

Vorrei semplicemente domandarvi se la vostra casa di Fleet-Street, in mezzo al rumoroso quartiere del commercio, sia l'ideale per favorire la guarigione della povera Dolly. Sono calma e aria aperta che le sono necessarie.

— Infatti — rispose Len Burker — è nostra intenzione ricondurla a Prospect-House e abitarvi con lei. Quella casina le è familiare, e il vedere gli oggetti noti potrà avere un'efficace influenza sul suo spirito. Là, inoltre, ella sarà al sicuro dagli importuni, la campagna è a due passi, Jane le farà fare delle passeggiate nei dintorni che le sono noti e che percorreva col bambino. Se John fosse qui, non approverebbe forse quello che propongo? Cosa ne penserebbe egli se al suo ritorno trovasse la moglie in una casa di cura, affidata ad estranei? Signor Andrew, non dobbiamo trascurare nulla di ciò che potrebbe giovare favorevolmente alla mente sconvolta della nostra povera Dolly.

Certamente le intenzioni di quell'uomo erano ottime. Ma perché le parole di lui non riuscivano mai a ispirare fiducia?

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Comunque bisognava accettare la sua proposta così com'era fatta e William Andrew non poté fare altro che ringraziare, aggiungendo che il capitano John gli sarebbe stato profondamente riconoscente.

Il 27 aprile mistress Branican fu trasportata a Prospect-House, dove Jane e Len Burker si trasferirono la stessa sera. E quella decisione fu approvata da tutti.

Si può facilmente indovinare quali fossero le intenzioni segrete di Len Burker. Il giorno stesso della catastrofe aveva deciso di parlare a Dolly d'un certo affare: chiederle cioè in prestito una certa somma di denaro. Ma poi la situazione era cambiata. Probabilmente Len Burker sarebbe stato incaricato di curare gli interessi della sua parente, forse in qualità di tutore, e nell'adempiere queste funzioni avrebbe potuto procurarsi dei mezzi, certamente illeciti, ma che gli permettessero di guadagnare tempo. Jane aveva avuto questo presentimento e, mentre si sentiva felice di consacrarsi tutta alla sua Dolly, tremava sospettando i propositi di suo marito mascherati da un presunto sentimento d'umanità.

Le cose stavano dunque così in quel momento a Prospect-House. Dolly occupò la stessa camera dalla quale era uscita per andare incontro alla spaventosa sciagura. Ma non era più la madre di allora: era un essere privo di ragione.

La casina tanto amata, il salotto dove alcune fotografie del marito ne conservavano il ricordo, il giardino dove entrambi avevano vissuto giorni così lieti, non le ricordavano nulla del passato. Jane occupava la camera attigua a quella di mistress Branican, e Len Burker si era sistemato nella sala a pian terreno, che era lo studio del capitano John.

Da quel giorno, Len Burker riprese le consuete occupazioni; ogni mattina scendeva a San Diego, nell'ufficio di Fleet-Street, dove continuava il suo commercio. Ma, contrariamente al suo solito, tornava ogni sera a Prospect-House, e le sue assenze fuori della città cominciarono a diventare brevi e sporadiche.

Naturalmente la mulatta aveva seguito il padrone nella nuova casa, dove continuava a essere ciò che era sempre stata, cioè una persona di fiducia. La nutrice del piccolo Wat era stata licenziata pur essendosi offerta di stare al servizio di mistress Branican. La

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domestica però era rimasta nella casina per aiutare No nelle faccende di casa.

D'altra parte, nessuno avrebbe potuto essere più utile di Jane nel curare Dolly. La sua amicizia era divenuta più salda dopo la morte del bimbo, della quale si accusava d'essere stata la prima causa. Se non fosse venuta a trovare Dolly a Prospect-House, se non le avesse suggerito l'idea di andare a far visita al capitano del Bundary, ora il bimbo si troverebbe ancora con la sua mamma a consolarla nelle lunghe ore di attesa… e Dolly non sarebbe pazza!

Era certamente interesse di Len Burker dare l'impressione, a quanti si interessavano dello stato di mistress Branican, che fossero sufficienti le cure che Jane le prodigava. William Andrew dovette perfino riconoscere che la povera donna non avrebbe potuto trovarsi meglio. Durante le sue visite, osservava soprattutto se lo stato di Dolly tendesse a migliorare. Voleva ancora sperare che il primo telegramma mandato al capitano John a Singapore o alle Indie, non gli dovesse annunciare la doppia sventura del figlio morto… e della moglie… non era forse come se fosse morta anche lei? Eppure no, non riusciva a credere che Dolly nella forza della gioventù, con il suo spirito elevato, col temperamento energico, fosse stata irrimediabilmente colpita nell'intelligenza. Chissà che il fuoco non fosse solo nascosto sotto le ceneri. Una scintilla avrebbe potuto ravvivarlo, un giorno. Eppure erano già trascorse cinque settimane, e nessun barlume di ragione aveva dissipato quel buio. I medici sembravano non nutrire alcuna speranza di fronte a quella pazzia tranquilla, riservata, languente, assolutamente priva di sovraeccitamenti fisiologici; tanto che cominciarono a diradare le loro visite. Lo stesso William Andrew disperando della guarigione, cominciò a recarsi solo raramente a Prospect-House, tanto gli riusciva penoso trovarsi dinanzi a quella disgraziata, indifferente e incosciente.

Quando Len Burker era obbligato per un motivo, qualsiasi a passare una giornata fuori di casa, la mulatta aveva ordine di sorvegliare attentamente mi-stress Branican. Senza intralciare affatto le cure di Jane, ella non la lasciava mai sola con Dolly, e riferiva fedelmente al padrone tutto quanto aveva notato nello stato

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dell'inferma. Inoltre si adoperava a ingannare le poche persone che ancora

venivano a chiedere notizie alla casina. I medici non permettevano, diceva; l'ammalata aveva bisogno di

tranquillità assoluta… veder la gente poteva turbarla… e la stessa signora Burker dava ragione a No quando allontanava i visitatori, come fossero importuni, e non avessero nulla da fare a Prospect-House.

Così si veniva a creare come un isolamento intorno a mistress Branican.

«Povera Dolly!» pensava Jane. «Se il suo stato peggiorasse, se la sua pazzia diventasse furiosa, se si abbandonasse a eccessi, bisognerebbe chiuderla in una casa di cura… sarebbe perduta per me… ma Dio voglia che rimanga con me… chi la curerebbe con un affetto maggiore del mio?»

Durante la terza settimana di maggio Jane volle tentare qualche passeggiata nei dintorni della palazzina, pensando che sua cugina potesse trarne giovamento. Len Burker non vi si oppose, ma a condizione che anche No andasse con loro.

Del resto, era una precauzione prudente: la passeggiata, l'aria aperta potevano produrre un turbamento in Dolly, forse far nascere nel suo spirito l'idea della fuga e Jane non avrebbe avuto la forza di trattenerla. Tutto si può temere da una pazza; ella può anche essere tentata di uccidersi… non bisognava esporla a un'altra disgrazia.

Un giorno dunque mistress Branican uscì appoggiata al braccio di Jane. Si lasciava condurre macchinalmente in qualsiasi posto, senza interessarsi a nulla.

All'inizio, queste passeggiate non provocarono nessun incidente. La mulatta però non tardò ad accorgersi che il comportamento di Dolly non era più lo stesso. Alla sua calma abituale succedeva una manifesta eccitazione che avrebbe potuto avere spiacevoli conseguenze. Più di una volta la vista dei bambini incontrati per via provocò in lei una crisi nervosa. Era un ricordo del figlio perduto? Forse le veniva in mente Wat? Comunque anche se era un buon segno, l'agitazione che ne seguiva aggravava il male.

Un giorno mistress Burker e la mulatta avevano condotto

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l'inferma sulle alture di Knob-Hill. Dolly si era seduta con la faccia volta verso l'orizzonte marino, ma sembrava che il suo spirito fosse vuoto di pensieri, così come i suoi occhi erano privi di sguardo.

A un tratto la sua faccia si animò, un sussulto la scosse, la sua pupilla ebbe uno strano guizzo e ella accennò con mano tremante a un punto splendente in alto mare.

— Là, là! — esclamò. Era una vela bianca nettamente stagliata contro il cielo illuminata

da un raggio di sole che ne faceva risaltare il candore. — Là, là! — ripeteva Dolly. E la sua voce profondamente alterata non sembrava quasi più

umana. Mentre Jane la guardava spaventata, la mulatta crollava il capo mesta, e si affrettò a prenderle il braccio ripetendo:

— Venite, venite. Dolly non l'udiva nemmeno. — Vieni, Dolly, vieni! — disse Jane. E cercava di tirarla a sé e di sviarne gli sguardi dalla vela. Dolly

resistette. — No, no — esclamò, e respinse la mulatta con una forza di cui

non la si sarebbe creduta capace. Mistress Burker e No cominciarono a preoccuparsi, temendo che

Dolly sfuggisse loro e che irresistibilmente attratta da quella visione che la turbava e che forse le ricordava John, volesse discendere le balze di Knob-Hill e precipitarsi verso il mare.

Ma quell'eccitamento cessò d'improvviso perché il sole era scomparso dietro una nuvola e la vela non si scorgeva più all'orizzonte.

Dolly era ridiventata inerte, con le braccia abbandonate, lo sguardo spento, estranea a quanto le accadeva attorno. I singhiozzi che prima l'avevano scossa erano cessati, e sembrava che con essi anche la vita l'avesse abbandonata. Allora Jane le prese la mano ed ella si lasciò guidare senza opporre resistenza e tornò tranquillamente a Prospect-House.

Da quel giorno Len Burker volle che Dolly non varcasse più il recinto della casina, e Jane dovette obbedire.

Fu allora che William Andrew decise di informare il capitano

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John di tutto l'accaduto, non vedendo alcuna speranza di miglioramento nella salute di mistress Branican. Spedì dunque un lungo telegramma, ma non a Singapore, da dove il Franklin doveva essere già partito al termine della sua sosta, ma a Calcutta, dove John lo avrebbe trovato arrivando alle Indie.

Eppure, benché William Andrew non avesse alcuna speranza riguardo alla guarigione di Dolly, stando ai medici un mutamento nel suo stato mentale era ancora possibile, se la poveretta avesse subito una violenta scossa; per esempio il giorno che suo marito le fosse riapparso dinanzi. Questa era la sola speranza che rimanesse, e per quanto lieve, William Andrew non volle tacerla nel telegramma a John Branican. Perciò, dopo averlo supplicato di non disperarsi lo consigliava di affidare al secondo, Harry Felton, il comando del Franklin, e ritornarsene a San Diego per la via più breve. Quell'eccellente uomo avrebbe sacrificato i suoi maggiori interessi pur di tentare anche questa prova su Dolly e chiedeva al giovane capitano risposta telegrafica su quanto avesse deciso di fare.

Quando Len Burker fu informato del telegramma che William Andrew aveva mandato, lo approvò, esprimendo tuttavia il timore che il ritorno di John non producesse alcun beneficio. Ma Jane si attaccò alla speranza che la vista di John potesse ridare la ragione a Dolly, e Len Burker promise di scrivergli in questo senso affinché non ritardasse la partenza per San Diego. Ma non mantenne la promessa.

Nelle settimane successive le condizioni di mistress Branican rimasero stazionarie. Se la sua salute dal punto di vista fisico, non lasciava a desiderare, l'alterazione del suo viso era molto evidente. Non era più la giovanissima donna di un tempo, i suoi lineamenti si erano fatti marcati e il colorito smunto, come se in lei si fosse spento il fuoco dell'anima. Raramente la si sarebbe potuta vedere a meno di essere nel giardino della casina, seduta su qualche panca, o a passeggiare accanto a Jane che la curava con zelo indefesso.

Erano già due mesi e mezzo, ai primi di giugno, che il Franklin aveva lasciato il porto di San Diego. Dopo il suo incontro col Bundary non se ne avevano più avute notizie. In quel periodo, dopo aver fatto sosta a Singapore, salvo contrarietà doveva essere sul

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punto di giungere a Calcutta. Non era stata segnalata alcuna tempesta nel nord del Pacifico e nell'Oceano Indiano, per cui non avrebbe dovuto esserci alcuna occasione di ritardo per un veliero di prim'ordine.

Tuttavia, William Andrew era stupito di questa mancanza di notizie; e non si sapeva spiegare come mai il suo corrispondente non gli avesse segnalato il passaggio del Franklin a Singapore. Come pensare che non si fosse già ancorato, visto che il capitano John aveva in proposito ordini precisi? La faccenda si sarebbe chiarita fra qualche giorno, quando il Franklin fosse arrivato a Calcutta.

Passò una settimana. Il 15 giugno non si avevano ancora notizie. Allora fu mandato un telegramma al corrispondente della casa Andrew chiedendo notizie immediate di John Branican e del Franklin.

La risposta giunse due giorni dopo. Non si sapeva niente del Franklin a Calcutta. Il tre-alberi americano non era mai stato incontrato nei paraggi del golfo del Bengala.

La meraviglia di William Andrew si mutò in preoccupazione, e poiché era impossibile a San Diego tenere segreto un telegramma, si sparse la notizia che il Franklin non era arrivato né a Calcutta né a Singapore.

La famiglia Branican sarebbe stata colpita da un'altra sciagura che si sarebbe estesa anche alle famiglie di San Diego che avevano persone care tra l'equipaggio del Franklin?

Len Burker fu molto impressionato nell'apprendere quelle notizie, ma il suo affetto per il capitano John non era mai stato eccessivo, ed egli era un uomo che non si affliggeva troppo delle disgrazie altrui, anche se riguardavano la sua famiglia. Comunque fosse, dal giorno in cui si cominciò ad essere inquieti sulla sorte del Franklin, egli sembrò diventare più triste, più turbato, più chiuso nei suoi rapporti con gli altri e anche nei suoi affari. Raramente lo si vedeva per le vie di San Diego, al suo ufficio di Fleet-Street, e sembrava aver intenzione di voler ormai trascorrere la sua vita dentro il recinto di Prospect-House.

Quanto a Jane, la sua faccia pallida, gli occhi rossi per le lacrime versate, la fisionomia profondamente abbattuta denunciavano la sua

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estrema sofferenza. Fu verso quest'epoca che nel personale della casina avvenne un

mutamento. Senza che apparentemente ce ne fosse motivo, Len Burker licenziò la domestica che fino allora aveva tenuto a servizio e di cui nessuno avrebbe potuto lamentarsi.

La mulatta rimase l'unica incaricata delle faccende domestiche, e tranne Jane e lei nessuno poté più penetrare nella camera di mistress Branican. William Andrew, la cui salute era stata molto scossa da quei colpi della cattiva sorte, aveva dovuto cessare le sue visite a Prospect-House. E poi, temendo perduto il Franklin, che cosa avrebbe potuto dire e fare? Egli però sapeva che Dolly aveva ricuperato tutta la sua calma e che i turbamenti nervosi erano scomparsi da quando aveva smesso le passeggiate; che viveva o meglio vegetava nello stato d'incoscienza proprio della pazzia, e che la sua salute non richiedeva cure speciali.

Alla fine di giugno William Andrew ricevette un nuovo telegramma da Calcutta. Le corrispondenze marittime non segnalavano il Franklin in nessun punto della rotta che avrebbe dovuto seguire attraverso i paraggi delle Filippine, delle Celebes, del mar di Giava e dell'Oceano Indiano. Ora, avendo la nave lasciato da tre mesi il porto di San Diego, si doveva per forza pensare che si fosse perduta o per collisione o per naufragio, prima di arrivare a Singapore.

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CAPITOLO VI

FINE D'UNA TRISTE ANNATA

QUESTA SERIE di catastrofi di cui la famiglia Branican era stata vittima, metteva Len Burker in una situazione di cui è necessario parlare.

Le condizioni finanziarie di mistress Branican, come si ricorderà, erano modestissime, ma la giovane doveva essere l'unica erede di suo zio, il ricco Edward Starter. Sempre ritirato nel suo ampio dominio, relegato per così dire nella parte più inaccessibile dello Stato del Tennessee, quell'uomo originale si era proposto di non dare mai notizie di sé. E poiché egli aveva appena cinquantanove anni, la sua eredità poteva anche farsi aspettare a lungo.

Forse avrebbe anche mutato le proprie disposizioni testamentarie, se fosse venuto a sapere che mistress Branican, l'unica parente diretta rimastagli di tutta la famiglia, era impazzita dopo la morte del suo figliolo. Ma egli ignorava quella duplice sventura, e non avendo mai acconsentito a ricevere lettere e a scrivere, non avrebbe potuto apprenderla mai. Len Burker avrebbe potuto, è vero, rompere il divieto a causa dei mutamenti sopravvenuti nell'esistenza di Dolly, e Jane gli aveva lasciato capire che era doveroso avvisare Edward Starter; ma egli le aveva imposto silenzio, e si era ben guardato dal seguire quel consiglio.

Il fatto è che egli aveva tutto l'interesse di tacere, e fra l'interesse e il dovere, non era uomo da esitare un istante. I suoi affari andavano ogni giorno peggio, e non volle sacrificare quest'ultima possibilità di tentare la fortuna.

Infatti le condizioni erano semplicissime; se mistress Branican fosse morta senza figli, sua cugina Jane, unica parente che avesse qualità di erede, si sarebbe avvantaggiata dell'eredità. Ora, poiché il piccolo Wat era morto, Len Burker aveva certamente visto crescere i

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diritti di sua moglie sulla eredità di Edward Starter, cioè i propri. E in realtà sembrava che tutto fosse predisposto per procurargli

questa enorme fortuna. Non solamente il bambino era morto, non solamente Dolly era pazza, ma a parere dei medici solo il ritorno del capitano John avrebbe potuto modificare le sue condizioni mentali.

E ora si era anche in vive inquietudini sulla sorte del Franklin. Se fossero continuate a mancare le notizie per qualche settimana ancora, se John Branican non fosse stato incontrato in mare, se la casa Andrew non fosse riuscita a sapere che la sua nave si era potuta ancorare in un porto qualsiasi, sarebbe stato segno che non c'erano più speranze di rivedere né il Franklin né il suo equipaggio a San Diego. Allora solo Dolly sarebbe rimasta, così priva di ragione, a frapporsi tra la fortuna che doveva toccarle e Len Burker. Che cosa non avrebbe tentato quest'uomo senza coscienza, che si trovava in una situazione disperata, quando la morte di Edward Starter avesse messo Dolly in possesso della sua ricca eredità?

Ma perché mistress Branican ereditasse, bisognava che sopravvivesse a suo zio. Era dunque interesse di Len Burker che la disgraziata donna vivesse fino al giorno in cui l'eredità di Edward Starter fosse toccata a lei. Ormai c'erano soltanto due ostacoli per lui: la morte di Dolly e il ritorno del capitano John, in caso avesse dovuto riuscire a rimpatriare, magari dopo aver naufragato in qualche isola sconosciuta. Ma quest'ultimo evento era molto improbabile, e la perdita totale del Franklin si doveva considerare come certa.

Questa era la situazione, questo l'avvenire che Len Burker intravvedeva, nel momento in cui si sentiva ridotto a dover vivere di espedienti. Infatti se per caso la giustizia avesse deciso di mettere occhio nelle sue faccende, egli avrebbe dovuto rispondere di truffa, perché una parte dei fondi che gli erano stati affidati da gente fiduciosa, o che egli aveva carpito con loschi maneggi, non era più in cassa.

E benché si servisse dei denari degli uni per compensare gli altri, i reclami sarebbero pure arrivati un giorno o l'altro: questo stato di cose non poteva durare a lungo. La rovina si avvicinava, e oltre alla rovina, il disonore. Senza contare la cosa che più di tutte preoccupava un uomo come lui: l'arresto sotto gravi imputazioni.

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Mistress Burker sospettava certamente che il marito si trovasse in una situazione molto critica, ma non sospettava nemmeno che dovesse addirittura risolversi con un intervento della giustizia, tanto più che nella casina di Prospect-House questa situazione non aveva ancora creato gravi squilibri.

Da quando Dolly era impazzita e suo marito era assente, era stato necessario nominarle un tutore. Len Burker era proprio l'uomo designato a svolgere questa funzione, perché era imparentato con mistress Branican, e aveva di fatto l'amministrazione del suo patrimonio. Il denaro che il capitano John aveva lasciato partendo per provvedere ai bisogni di casa era dunque rimasto a sua disposizione, ed egli lo aveva adoperato per le sue necessità personali.

Si trattava di poca cosa, perché l'assenza del Franklin non doveva durare più di cinque o sei mesi, però c'era anche il patrimonio che Dolly aveva portato in dote, e sebbene questo ammontasse solo a poche migliaia di dollari, Len Burker, servendosene per far fronte ai bisogni più urgenti, sarebbe stato in grado di guadagnare tempo, e questo era l'essenziale.

Così quell'uomo disonesto non si faceva scrupolo di abusare del suo mandato di tutore. Stornò i titoli che componevano il patrimonio di mistress Branican, che era insieme sua parente e sua pupilla. E grazie a queste risorse illecite, poté ottenere un po' di tregua e avventurarsi in nuovi affari non meno equivoci. Messo sulla strada che conduce al delitto, Len Burker, all'occorrenza, l'avrebbe certo percorsa tutta.

Del resto, il ritorno del capitano John appariva ogni giorno più improbabile. Passavano le settimane e la casa Andrew non riceveva alcuna notizia del Franklin, la cui presenza non era stata segnalata in nessun posto da sei mesi. Passarono agosto e settembre, a Calcutta ed a Singapore le corrispondenze non avevano dato il più lieve indizio che potesse permettere di sapere che cosa fosse avvenuto del tre-alberi americano. Ormai lo si considerava a ragione assolutamente perduto, e a San Diego era un lutto pubblico. Come era finito? Qui nessuno poteva dare molte spiegazioni, né dire qualcosa di sicuro. Infatti, dopo la partenza del Franklin, molte navi mercantili che avevano la sua stessa meta, avevano necessariamente seguito la

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stessa strada. Ora, poiché nessuna ne aveva trovato alcuna traccia, era il caso di pensare che il Franklin, investito da una violenta tempesta, da uno di quei terribili tornado che battono i paraggi del mare di Celebes e del mare di Giava, fosse colato a fondo, e che non fosse sopravvissuto al disastro nemmeno un marinaio. Il 15 ottobre 1875 erano sette mesi che il Franklin aveva lasciato San Diego, e tutto faceva credere che non dovesse tornare mai più.

Tutti allora in città avevano questa convinzione, tanto che si erano aperte sottoscrizioni a favore delle famiglie colpite da quella catastrofe. L'equipaggio del Franklin, ufficiali e marinai, apparteneva al porto di San Diego, e c'erano là mogli, figli e genitori che versavano nell'indigenza e che bisognava soccorrere.

L'iniziativa delle sottoscrizioni fu presa dalla casa Andrew che firmò per una somma considerevole. Per interesse, e anche per prudenza, Len Burker volle contribuire a quell'opera caritatevole, e le altre case di commercio, industriali e negozianti seguirono l'esempio. Così le famiglie dell'equipaggio furono generosamente soccorse, e questo alleviò alquanto le conseguenze della disgrazia.

William Andrew reputava suo dovere assicurare a mistress Branican, priva della vita intellettuale, almeno la vita materiale. Egli sapeva che prima della sua partenza il capitano John aveva lasciato in casa il necessario per le spese calcolando all'incirca la propria assenza per un periodo di sei o sette mesi, ma pensando che queste risorse potessero esaurirsi e non volendo che Dolly fosse a carico dei parenti, decise di affrontare quest'argomento con Len Burker.

Il 17 ottobre, nel pomeriggio, anche se non si era ancora rimesso bene in salute, l'armatore prese la via di Prospect-House, e dopo aver risalito l'alto quartiere della città giunse dinanzi alla casina.

All'esterno nulla era mutato, tranne alcune persiane delle finestre a pian terreno e al primo piano ch'erano chiuse ermeticamente. La si sarebbe detta una casa disabitata, avvolta nel mistero.

William Andrew suonò alla porta che si apriva fra le barriere del recinto. Non comparve nessuno. Pareva perfino che il visitatore non fosse stato né visto né sentito.

Che in quel momento fossero tutti assenti? Secondo colpo di campanello, seguito, questa volta, dal rumore di

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una porta laterale che s'apriva. Apparve la mulatta, che riconoscendo il visitatore ebbe un gesto di

disappunto, del quale d'altronde egli non poté accorgersi. La mulatta si avvicinò e senza attendere che la porta venisse

aperta, William Andrew, parlandole dal cancello, domandò: — Mistress Branican è in casa? — È uscita, signor Andrew — rispose No con una strana

eccitazione mista a paura. — Dov'è andata? — chiese Andrew facendo cenno di voler

entrare. — È a passeggio con mistress Burker. — Credevo avesse rinunciato alle passeggiate. Non le

cagionavano delle crisi? — Sì, certamente — rispose No — ma da qualche giorno… ha

ricominciato a uscire un po'… sembra che questo le faccia bene… — Mi dispiace non essere stato avvertito. Il signor Burker è in

casa? — Non lo so… — Andate a vedere, e se c'è ditegli che desidero parlargli. Prima che la mulatta potesse rispondere, e sarebbe stata

imbarazzatissima nel farlo, la porta del pianterreno s'aprì. Len Burker comparve sulla scala, attraversò il giardino e si fece avanti dicendo:

— Degnatevi di entrare, signor Andrew. Jane è assente con Dolly e mi permetterete di ricevervi.

Queste parole non furono dette con il solito accento freddo di Len Burker, ma con voce lievemente turbata.

E poiché William Andrew era venuto a Prospect-House proprio per veder lui, egli entrò nel recinto. Poi, rifiutando l'offerta fattagli di entrare nel salotto, andò a sedersi su una panca del giardino.

Len Burker, allora, iniziando per primo il discorso, confermò ciò che la mulatta aveva detto: da alcuni giorni mistress Branican aveva ricominciato le passeggiate nei dintorni di Prospect-House perché questo faceva bene alla sua salute.

— Dolly tornerà presto? — domandò William Andrew. — Non credo che Jane pensi di riportarla a casa prima di cena —

rispose Len Burker.

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William Andrew sembrò molto scontento, perché doveva assolutamente essere di ritorno allo studio per l'ora del corriere. Del resto Len Burker non gli offrì nemmeno di restare ad aspettare mistress Branican.

— Non si nota nessun miglioramento nella salute di Dolly? — No purtroppo, signor Andrew, e c'è da temere che si tratti d'una

pazzia di cui né le cure né il tempo potranno avere ragione. — Chissà, signor Burker! Ciò che sembra impossibile agli uomini,

è sempre possibile a Dio. Len Burker crollò il capo con un gesto che diceva chiaramente

quanta poca fiducia nutrisse nell'intervento divino. — La cosa peggiore — riprese a dire William Andrew — è che

non possiamo contare sul rientro del capitano John. Bisogna quindi rinunciare alle liete prospettive di un ritorno che forse avrebbe potuto mutare lo stato mentale della povera Dolly. Perché voi certamente non ignorate, signor Burker, che ogni speranza di rivedere il Franklin è perduta.

— Non lo ignoro, signor Andrew, ed è una sciagura nuova e maggiore delle altre. Eppure, senza disturbare la Provvidenza — aggiunse con un accento ironico che in quel momento risultò fuori luogo — il ritorno del capitano John, a parer mio, non sarebbe affatto straordinario.

— Dopo sette mesi trascorsi senza aver notizie del Franklin, e dopo le informazioni inutili chieste dappertutto…

— Ma nulla prova che il Franklin sia colato a fondo in alto mare — riprese Len Burker; — può avere naufragato sopra uno dei numerosi scogli di quei paraggi che ha dovuto attraversare. Chissà che John e i suoi marinai non si siano rifugiati in un'isola deserta. E se è così, questi uomini forti e coraggiosi sapranno ben rimpatriare. Potranno costruirsi una barca coi rottami della nave… i loro segnali saranno notati da qualche bastimento di passaggio…

Certamente, perché succedano queste cose, è necessario un po' di tempo. No, io non dispero del ritorno di John: se non sarà fra qualche settimana sarà fra qualche mese. Abbiamo avuto molti esempi di naufraghi che si credevano perduti e che invece sono tornati in porto.

Len Burker aveva parlato questa volta con una vivacità insolita.

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La sua faccia impassibile si era animata. E sembrava che esprimendosi in questo modo, facendo valere ragioni più o meno buone per quanto riguardava i naufraghi, non rispondesse a William Andrew, ma a se stesso, alle proprie ansie, alla paura che provava sempre di vedere se non il Franklin segnalato al largo di San Diego, almeno un'altra nave che riportava a casa il capitano John e il suo equipaggio. Sarebbe stato il capovolgimento di tutto il suo avvenire.

— Sì — riprese allora William Andrew — a volte accadono casi quasi miracolosi; tutto ciò che avete detto, signor Burker, me lo son detto anch'io, ma mi è impossibile conservare la minima speranza. Comunque sia, io sono venuto per parlarvi d'una cosa: dirvi cioè che è mio desiderio che mistress Branican non rimanga a vostro carico.

— Signor Andrew! — No, signor Burker, voi permetterete che le spettanze del

capitano John rimangano a disposizione di sua moglie, finché ella vivrà.

— Vi ringrazio per lei — rispose Len Burker. — Questa generosità…

— Non credo di far altro che il mio dovere — riprese William Andrew — e siccome immagino che il denaro lasciato da John prima di partire debba essere stato speso in gran parte…

— È vero, signor Andrew — rispose Len Burker — ma Dolly ha una famiglia, ed è anche nostro dovere di venirle in aiuto, e poi le vogliamo bene…

— Sì, so che ci si può fidare dell'affetto di mistress Burker, tuttavia lasciate che anch'io intervenga almeno in parte, per assicurare alla moglie del capitano John, alla sua vedova forse, l'agiatezza e le cure che non le sarebbero mai mancate da parte vostra, ne sono certo.

— Come desiderate, signor Andrew. — Vi ho portato, signor Burker, ciò che considero legittimamente

dovuto al capitano Branican dopo la partenza del Franklin, e nella vostra qualità di tutore potrete ogni mese riscuotere alla mia cassa gli emolumenti.

— Se lo desiderate… — rispose Len Burker. — Mi favorirete una ricevuta per la somma che vi ho portato.

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— Volentieri, signor Andrew. E Len Burker andò nel suo studio a scrivere la ricevuta. Quando tornò in giardino, William Andrew, dolentissimo di non

aver incontrato Dolly e di non poterne aspettare il ritorno, lo ringraziò delle cure che insieme a sua moglie usava per la povera donna. Restava inteso che egli sarebbe subito stato avvisato in caso di qualche cambiamento nello stato di salute di quella poveretta. Poi si congedò e venne accompagnato fino alla porta del recinto; là si arrestò un istante per vedere se Dolly non stesse per caso già tornando a Prospect-House in compagnia di Jane e ridiscese verso San Diego.

Appena egli fu lontano, Len Burker chiamò la mulatta e le disse: — Jane sa che è venuto il signor Andrew? — Si: l'ha visto entrare e l'ha visto andarsene. — Se si ripresentasse, ma credo che non lo farà almeno per un po'

di tempo, bada bene che non veda Jane e soprattutto Dolly. Mi hai ben capito, No?

— Ci baderò, Len. — E se Jane insistesse… — Oh, quando tu hai detto non voglio — rispose No — non

cercherà di lottare contro la tua volontà. — Sì, ma bisogna stare attenti alle sorprese… potrebbero

incontrarsi per caso e… allora sarebbe rischiare tutto. — Ci sono io — rispose la mulatta — e non hai nulla da temere:

nessuno entrerà a Prospect-House, fintanto che… fintanto che ci converrà.

E infatti nei due mesi successivi la casina rimase chiusa più che mai. Jane e Dolly non uscivano più nemmeno nel giardinetto né sotto la veranda, né si affacciavano alle finestre del primo piano che rimanevano sempre chiuse. La mulatta usciva solo per fare la spesa giornaliera, ma stava assente il meno possibile, e solo quando Len Burker era in casa in modo che Dolly non rimanesse mai sola con Jane nella casina. Inoltre, negli ultimi mesi dell'anno Len Burker andò raramente al suo ufficio di Fleet-Street e vi furono settimane intere durante le quali non vi comparve affatto, come se volesse diradare i suoi affari e prepararsi un nuovo avvenire.

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Fu in queste condizioni che finì l'anno 1875 tanto funesto alla famiglia Branican: John disperso in mare, Dolly impazzita, il loro piccolo annegato nei gorghi della baia di San Diego!

CAPITOLO VII

EVENTI DIVERSI

NESSUNA NOTIZIA del Franklin durante i primi mesi dell'anno 1876, nessun indizio del suo passaggio nei mari delle Filippine, di Celebes e di Giava. Né si seppe nulla per quanto riguardava il suo passaggio per i paraggi dell'Australia settentrionale. Del resto, come si poteva esser sicuri che il capitano John si fosse avventurato attraverso lo stretto di Torres? Soltanto una volta, a nord dell'isola della Sonda, a trenta miglia da Batavia, un pezzo di nave era stato ripescato da una goletta federale e riportato a San Diego per vedere se appartenesse al Franklin; ma un attento esame dimostrò che quel rottame era di legno più vecchio del materiale usato dai costruttori del veliero perduto.

Del resto, quel frammento non si sarebbe staccato dalla nave se essa non si fosse fracassata contro uno scoglio o non fosse stata urtata in alto mare. Ma in questo caso la cosa si sarebbe venuta a sapere, a meno che le navi non fossero colate a fondo insieme dopo l'urto. Ma non essendo stata segnalata a quel tempo la scomparsa di nessun'altra nave, l'ipotesi d'una collisione era da scartare, come pure quella di un naufragio nelle vicinanze di una costa. Era dunque più probabile che il Franklin dovesse essere colato a fondo per uno di quei tornado che spesso si abbattono sulla Malesia e contro i quali nessuna nave può lottare.

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Trascorso un anno dalla partenza, il Franklin fu definitivamente messo nella categoria delle navi disperse o ritenute tali, che gli annali dei disastri marittimi registrano in quantità.

L'inverno 1875-76 era stato molto rigido anche in quella regione della bassa California che generalmente gode di un clima mite. Persistendo un freddo intenso fino alla fine di febbraio nessuno poteva meravigliarsi che mistress Branican non fosse mai uscita da Prospect-House, nemmeno per prendere un po' d'aria nel piccolo giardino.

Tuttavia, se questa reclusione si fosse prolungata, sarebbe certamente sorto il sospetto negli abitanti del vicinato, che si sarebbero chiesti se la malattia di mistress Branican si fosse aggravata, pur senza arrivare a supporre che Len Burker potesse avere un interesse qualsiasi a tenere nascosta l'inferma. La parola «sequestro» non poteva certamente venire in mente a nessuno. Quanto a William Andrew, era rimasto chiuso in casa per gran parte dell'inverno ma, impaziente di vedere di persona in quale stato si trovasse Dolly, si proponeva d'andare a Prospect-House appena fosse in grado d'uscire.

Ora nella prima settimana di marzo ecco mistress Branican riprendere le passeggiate nei dintorni di Prospect-House, in compagnia di Jane e della mulatta. Poco tempo dopo, in una visita fatta alla casina, William Andrew notò che la salute della giovane donna non suscitava preoccupazioni e che fisicamente il suo stato era abbastanza soddisfacente. Psicologicamente, bisogna ammetterlo, non era migliorata affatto: incoscienza, perdita di memoria, mancanza d'intelligenza continuavano a caratterizzare il suo squilibrio mentale. Anche durante le passeggiate che avrebbero potuto richiamarle qualche ricordo, alla vista dei bambini che incontrava per via, dinanzi a quel mare solcato da vele lontane in cui si perdeva il suo sguardo, mistress Branican non si sentiva più profondamente turbata come accadeva in passato. Non cercava di fuggire e ormai la si poteva lasciar sola, custodita da Jane. Ogni idea di resistenza, ogni velleità di reazione si erano spente in lei: era ormai rassegnata e indifferente a tutto. Così che quando William Andrew vide Dolly ripeté a se stesso che la sua follia era incurabile.

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In quel periodo gli affari di Len Burker navigavano più che mai in cattive acque: il patrimonio di mistress Branican, di cui si era servito, non era bastato a colmare l'abisso apertosi sotto i suoi piedi. Persistendo in quella situazione, avrebbe ben presto dato fondo anche alle sue ultime risorse; qualche mese ancora, forse poche settimane, e sarebbe stato minacciato di atti giudiziari, che avrebbe potuto evitare solo abbandonando San Diego.

Una sola circostanza avrebbe potuto salvarlo, ma non pareva che dovesse accadere, o perlomeno non in tempo utile. Infatti, se mistress Branican era viva, anche lo zio di lei continuava a vivere in buona salute. Con infinite precauzioni perché egli non si accorgesse di nulla, Len Burker era riuscito a procurarsi notizie di quello yankee confinato in fondo alle sue terre del Tennessee.

Nella pienezza della salute e delle sue facoltà fisiche e morali a sessantanni appena, Edward Starter passava la vita all'aria aperta, in mezzo alle praterie e alle foreste di quel territorio immenso: andava a caccia attraverso quella regione ricca di selvaggina o pescava nei numerosi fiumi che la bagnano, e percorreva le sue terre a piedi o a cavallo, amministrando egli stesso i suoi vasti domini. Decisamente, era uno di quei rudi fittavoli dell'America del Nord che muoiono centenari senza che neanche allora si riesca a comprendere come mai si siano finalmente risolti al gran passo.

Non c'era dunque da fare assegnamento sulla prossima eredità, e tutto anzi lasciava credere che lo zio dovesse sopravvivere alla nipote. Le speranze che Len Burker aveva concepito, crollavano, e l'inevitabile catastrofe ormai lo sovrastava.

Passarono due mesi, due mesi durante i quali le cose si aggravarono ancora. Corsero dicerie inquietanti sul suo conto a San Diego, e fuori; molti creditori gli rivolsero minacce. Per la prima volta William Andrew ebbe un'esatta visione della situazione, e molto impaurito per gli interessi di mistress Branican, decise di obbligare il tutore a rendere i conti. In caso di necessità la tutela di Dolly sarebbe stata affidata a un uomo più degno di fiducia, anche se non si poteva rimproverare niente a Jane Burker, che voleva sinceramente bene a sua cugina. Allora i due terzi del patrimonio di mistress Branican erano già stati dissipati e a Len Burker rimaneva

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appena un migliaio e mezzo di dollari. Con i debiti di cui era pieno, un migliaio e mezzo di dollari erano

una goccia d'acqua nel golfo di San Diego. Ma quello che non bastava per pagare i creditori, poteva bastare benissimo per una fuga. E oramai non aveva altra scelta.

Infatti non passò molto tempo che furono presentate alcune querele contro Len Burker, querele per truffa e per abuso di fiducia, e fu presto spiccato contro di lui mandato d'arresto. Ma quando gli agenti si presentarono al suo ufficio di Fleet-Street, seppero che dal giorno prima egli non vi si faceva vedere. Gli agenti si recarono subito a Prospect-House. Len Burker aveva lasciato la casina nel cuor della notte, e sua moglie era stata costretta a seguirlo. Soltanto No, la mulatta, era rimasta con mistress Branican.

Furono allora ordinate ricerche a San Diego, poi a San Francisco e in diversi punti dello Stato di California per trovare le tracce di Len Burker, ma esse non portarono ad alcun risultato.

Appena la notizia della sua fuga si sparse in paese ognuno ebbe le proprie recriminazioni da fare contro l'indegno agente di commercio, il cui deficit, come si seppe subito, era di portata considerevole.

Quel giorno, 17 maggio, di buon mattino, William Andrew recatosi a Prospect-House notò che non era rimasto nulla degli oggetti di valore che erano appartenuti a mistress Branican. Dolly era ormai completamente priva di mezzi e il suo infedele tutore non aveva neanche lasciato il necessario per provvedere ai suoi più urgenti bisogni.

William Andrew prese il solo partito conveniente, quello cioè di far entrare mistress Branican in una casa di salute dove fosse ben curata, e di congedare quella No che non gl'ispirava fiducia.

Dunque se Len Burker aveva sperato che la mulatta restasse accanto a Dolly per informarlo dei mutamenti che la salute o la fortuna di lei potevano subire, aveva fatto male i conti.

No, obbligata a lasciare Prospect-House, parti lo stesso giorno. Pensando che potesse raggiungere i coniugi Burker, la Polizia la fece pedinare per qualche tempo. Ma quella donna, diffidente e astuta, riuscì a prendersi gioco degli agenti e sparì senza che si potesse sapere più niente di lei.

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Ora la casina di Prospect-House era abbandonata, quella casina dove John e Dolly avevano vissuto così felici, dove avevano fatto tanti sogni per la felicità della loro creatura.

Mistress Branican fu dunque condotta da William Andrew nella casa di salute del dottor Brumley che l'aveva già curata. Il suo stato mentale forse avrebbe risentito del mutamento della sua esistenza? Lo si sperò invano; rimase indifferente, com'era a Prospect-House. Unico particolare degno di nota era una specie d'istinto naturale che sembrava galleggiare nel naufragio della sua ragione. Talvolta le accadeva di mormorare una canzone infantile, quasi avesse voluto addormentare un bambino sulle braccia. Ma non le usciva mai dalle labbra il nome del piccolo Wat.

Durante l'anno 1876 nessuna notizia si ebbe di John Branican. Le poche persone che ancora si sforzavano di credere a un possibile ritorno del capitano e dell'equipaggio nonostante la perdita del Franklin, dovettero rinunciare a questa speranza. La speranza non può resistere all'azione distruttiva del tempo. L'idea di ritrovare i naufraghi, indebolita ogni giorno, fu ridotta a zero quando, alla fine dell'anno 1877, si constatò che erano ormai trascorsi diciotto mesi senza notizie della nave scomparsa.

Lo stesso accadde per ciò che riguardava i coniugi Burker. Tutte le ricerche erano state vane. Non si sapeva in quale paese fossero andati a rifugiarsi, si ignorava il luogo dove entrambi si nascondevano sotto un falso nome.

E in verità avrebbe avuto ragione di dolersi della sua sfortuna quel Len Burker che non aveva potuto salvare la sua situazione all'ufficio di Fleet-Street. Infatti, due anni dopo la sua scomparsa, la sorte su cui aveva tanto sperato si compì e si può dire quindi ch'egli avesse naufragato quando già era giunto in porto.

Verso la metà del mese di giugno 1878 William Andrew ricevette una lettera indirizzata a Dolly Branican. Questa lettera l'avvisava della morte improvvisa di Edward Starter, perito in un incidente di caccia: la palla d'uno dei suoi compagni, rimbalzando, l'aveva colpito al petto e ucciso sul colpo.

Aperto il suo testamento si seppe ch'egli lasciava tutte le sue sostanze alla nipote Dolly Starter moglie del capitano Branican. Le

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condizioni in cui si trovava l'erede non avevano potuto nulla mutare delle sue disposizioni, perché egli ignorava che fosse impazzita, come ignorava la scomparsa del capitano John. Nessuna di queste notizie era pervenuta allo stato del Tennessee, in quell'inaccessibile e selvaggio dominio dove, per volere di Edward Starter, non penetravano lettere né giornali.

Fra fattorie, greggi, foreste, valori industriali di vario genere, il suo patrimonio poteva essere valutato due milioni di dollari.2

A tanto ammontava l'eredità che la morte di Edward Starter procurava a sua nipote. Con quanta gioia San Diego avrebbe applaudito a quella ricchezza capitata alla famiglia Branican, se Dolly fosse stata ancora sposa e madre e nel pieno possesso della sua intelligenza, e John fosse stato accanto a lei a dividere tanta ricchezza! E come l'avrebbe impiegata bene la caritatevole donna! Quanti infelici avrebbe soccorso! Così invece le rendite di questo patrimonio, depositato in Banca, si sarebbero accumulate a vuoto, senza vantaggio per nessuno. Nessuno sapeva se Len Burker, dal suo nascondiglio, avesse avuto notizia della morte di Edward Starter e dell'eredità che lasciava.

William Andrew, amministratore del patrimonio di Dolly, decise di vendere le terre del Tennessee: praterie, foreste e prati che a tanta distanza sarebbe stato difficile amministrare. Si presentarono molti acquirenti, e le vendite furono fatte ad eccellenti condizioni. Le somme ricavate, mutate in valori sicuri e unite a quelle che già formavano gran parte dell'eredità di Edward Starter, furono depositate nelle casse della Consolidated National Bank. Le spese per il mantenimento di Dolly nella casa del dottor Brumley assorbivano solo una minima parte delle rendite, per cui queste, accumulandosi, avrebbero finito per costituire uno dei più grandi patrimoni della bassa California.

Nonostante questo capovolgimento della situazione, nessuno pensò di togliere mistress Branican dalla casa del dottore. William Andrew non lo giudicò necessario perché quella casa offriva all'ammalata tutte le comodità e le cure che gli amici potevano

2 10 milioni di franchi. (N.d.A.)

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desiderare per lei. Ella dunque vi rimase, destinata senza dubbio a finirvi quella misera e vana esistenza cui un tempo pareva che l'avvenire promettesse tanta felicità.

Ma anche se era trascorso molto tempo, il ricordo dei dolori patiti dalla famiglia Branican era sempre vivo in San Diego, e la simpatia che Dolly ispirava era sincera e profonda come il primo giorno.

Iniziò l'anno 1879, e tutti coloro che credevano che sarebbe stato uguale agli altri, si ingannavano.

Infatti, nei primi mesi del nuovo anno, il dottor Brumley e i medici della sua casa di cura furono colpiti da alcuni vistosi mutamenti nello stato mentale di mistress Branican. La calma disperante e l'apatia da lei dimostrate in tutti i particolari della vita materiale venivano gradatamente meno, per dar luogo ad una caratteristica agitazione. Non erano più crisi seguite da una reazione in cui l'intelligenza si perdeva più di prima. Si sarebbe potuto credere piuttosto che Dolly sentisse il bisogno di rendersi ancora conto di quanto accadeva attorno a lei, che la sua anima cercasse di rompere i lacci che la trattenevano. I bambini che le furono presentati ottennero da lei uno sguardo e talvolta un sorriso. A Prospect-House, nel primo periodo della pazzia, ella aveva avuto degli scatti istintivi che finivano con la crisi; ora, al contrario, le impressioni tendevano a persistere; Dolly sembrava interrogarsi e cercare ricordi lontani in fondo alla sua memoria.

Era forse vicina alla guarigione? Avrebbe riacquistato la pienezza della sua vita spirituale? Eppure, pensando che non aveva più il figlio né il marito, c'era veramente da augurarsi il miracolo di una guarigione che l'avrebbe resa maggiormente infelice?

Ma, che questa guarigione fosse desiderabile o meno, i medici intravidero la possibilità di ottenerla, e ci si adoperò con ogni mezzo per produrre in mistress Branican scosse che avessero un effetto salutare e la cui impressione non fosse passeggera. Sembrò perfino più opportuno farle lasciare la casa di cura, ricondurla a Prospect-House e ridarle la camera della sua casina. E, fatto ciò, ella sembrò avere coscienza di quel mutamento e interessarsi ad esso.

Con le prime giornate di primavera — si era allora nel mese d'aprile — ricominciarono le passeggiate nei dintorni. Mistress

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Branican fu condotta più volte sulle rocce della punta Island. Ella seguiva con lo sguardo le poche navi che passavano in lontananza e la sua mano si tendeva verso l'orizzonte; ma non cercava più di fuggire, come una volta, e di sottrarsi al dottor Brumley che l'accompagnava. Non era spaventata dal rumore delle onde che, rincorrendosi, coprivano la spiaggia di spuma. Seguiva forse con l'immaginazione la rotta del Franklin, lasciando il porto di San Diego, nel momento in cui le sue vele scomparivano dietro le alture della banchina? Era così, probabilmente, e le sue labbra un giorno mormorarono distintamente il nome di John.

Era chiaro che la malattia di mistress Branican era ormai giunta a un punto in cui era necessario studiare attentamente le varie fasi. Un po' alla volta, a mano a mano che si abituava a vivere nella casina, la malata riconosceva gli oggetti che le erano stati cari. La sua memoria si ricostituiva in quell'ambiente che era stato suo per tanto tempo. Cominciava a fissare attentamente un ritratto del capitano John appeso alla parete della sua camera. Ogni giorno lo guardava più insistentemente, e una lacrima ancora inconscia a volte le inumidiva gli occhi.

Sì. Se il Franklin non si fosse perduto, se John fosse riapparso all'improvviso, forse Dolly avrebbe ricuperato la ragione! Ma sul ritorno di John non c'era più da contare.

Pertanto il dottor Brumley decise di provocare nella malata una scossa che avrebbe potuto essere anche pericolosa. Voleva agire prima che il miglioramento osservato potesse scemare, prima che l'inferma fosse ricaduta in quella indifferenza che aveva caratterizzato i suoi quattro anni di pazzia. Poiché la sua anima sembrava ancora sensibile ai ricordi, bisognava ad ogni costo colpirla in modo decisivo. Qualsiasi cosa era preferibile che veder ricadere Dolly in quel nulla peggiore della morte.

Questo fu anche il parere di William Andrew che incoraggiò il dottor Brumley a tentare la prova.

Un giorno, il 27 maggio, vennero entrambi a prendere mistress Branican a Prospect-House. Una carrozza che li aspettava alla porta condusse tutti e tre attraverso le vie di San Diego fino al porto e si fermò allo sbarco, dove lo «steam-launch» caricava i passeggeri che

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volevano recarsi alla punta Lorna. Il dottor Brumley non intendeva ricostruire la scena della

catastrofe, ma voleva rimettere la signora Branican nella posizione in cui si trovava quando aveva perso improvvisamente la ragione.

In quel momento lo sguardo di Dolly era animato da una luce singolare ed ella sembrava in preda a una strana eccitazione, come se fosse sconvolta in tutto il suo essere.

Il dottor Brumley e William Andrew la condussero verso lo «steam-launch» e appena ella ebbe messo piede sul ponte furono entrambi vivamente stupiti: per istinto la donna aveva ripreso il posto occupato nell'angolo della panca di dritta quando teneva il bimbo in braccio; poi volse lo sguardo verso l'estremità del golfo dalla parte della punta Lorna quasi cercasse il Bundary al suo ancoraggio.

I passeggeri della barca avevano riconosciuto mistress Branican, William Andrew li aveva avvertiti del tentativo in corso, e tutti erano profondamente commossi. Avrebbero potuto assistere alla resurrezione… di un'anima?

Erano state prese tutte le precauzioni perché in caso di una crisi Dolly non si buttasse in mare. Era già stato percorso mezzo miglio e gli occhi di Dolly non s'erano ancora abbassati verso la superficie del golfo. Rimanevano fissi alla punta Lorna e quando se ne staccarono fu solo per osservare le manovre di una nave mercantile che a vele spiegate si presentava all'ingresso del canale, recandosi al suo posto di quarantena.

Allora la faccia di Dolly fu come trasformata, si drizzò, guardò la nave.

Non era il Franklin… Ma ella si turbò, e crollando la testa disse: — John! Mio John! Anche tu tornerai presto, e io sarò qui per

riceverti!… A un tratto i suoi sguardi parvero frugare nelle acque di quel golfo

che aveva riconosciuto; mandò un grido straziante, e rivolgendosi a William Andrew disse:

— Signor Andrew… voi… e lui… il mio piccolo Wat… figlio mio! povero figlio mio!… là, là… mi ricordo tutto… tutto!

Cadde in ginocchio, sul ponte della barca, con gli occhi pieni di lacrime.

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CAPITOLO VIII

SITUAZIONE DIFFICILE

MISTRESS BRANICAN che recuperava la ragione era come una morta tornata alla vita. Poiché aveva resistito al dolore di quel ricordo, alla rievocazione di quella scena, poiché il ritorno della memoria non l'aveva fulminata, si poteva forse, si doveva sperare che quel ritorno in sé fosse duraturo? La sua intelligenza non avrebbe subito un altro tremendo colpo venendo a sapere che da quattro anni mancavano notizie del Franklin, che bisognava considerarlo perduto e che non avrebbe rivisto mai più il capitano John?

Prostrata dalla violenta emozione, Dolly era stata subito ricondotta a Prospect-House. William Andrew e il dottor Brumley non avevano voluto lasciarla e alcune donne addette al suo servizio le prestarono le cure del caso.

Ma la poverina aveva ricevuto una scossa così violenta che fu assalita da una febbre altissima accompagnata da delirio, che rese molto inquieti i medici, sebbene Dolly avesse pienamente recuperato le sue facoltà mentali. Quante precauzioni si sarebbero dovute prendere quando fosse giunto il momento di farle conoscere tutta la portata della sua sventura!

La prima volta che Dolly chiese da quanto tempo era priva di senno, il dottor Brumley, già preparato alla domanda, rispose:

— Due mesi. — Due mesi soltanto! — mormorò. E le pareva un secolo. — Due mesi! — aggiunse. — John non può essere ancora di

ritorno, perché è partito solo da due mesi… E sa che il nostro bambino?…

— Il signor Andrew ha scritto — replicò subito il dottore. — E ci sono notizie del Franklin? Le fu risposto che il capitano John doveva aver scritto da

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Singapore, ma che le sue lettere non erano ancora arrivate; però dalla corrispondenza marittima si aveva ragione di credere che il Franklin fosse ormai nei pressi delle Indie; di giorno in giorno si attendevano suoi telegrammi.

Poi Dolly chiese perché Jane Burker non fosse al suo fianco, e il dottore le rispose che i coniugi Burker erano in viaggio e non avevano fissato il tempo del ritorno.

Toccava a William Andrew il compito di comunicare a mistress Branican la catastrofe del Franklin, ma si stabilì che egli gliene avrebbe parlato solo quando la poveretta fosse stata giudicata dai medici abbastanza forte da reggere a quel nuovo colpo. Egli avrebbe anzi avuto cura di svelarle a poco a poco i fatti, perché ella potesse arrivare gradualmente da sola alla conclusione che non rimaneva nessun superstite dei naufraghi.

Non si parlò neanche della faccenda dell'eredità che la morte di Edward Starter aveva procurato. A mistress Branican sarebbe importato poco sapersi ricca, ora che suo marito non avrebbe potuto dividere con lei la nuova ricchezza.

Nei quindici giorni che seguirono mistress Branican non ebbe alcuna comunicazione col mondo esterno. William Andrew ed il dottor Brumley erano i soli che venissero da lei. La febbre, che si era presentata altissima, cominciò ben presto a diminuire lasciando sperare in una pronta guarigione. Così per giovare alla salute dell'inferma e anche per non dover rispondere a domande troppo precise ed imbarazzanti, il dottore aveva prescritto all'ammalata il silenzio assoluto. Dinanzi a lei veniva soprattutto evitata ogni allusione al passato e tutto ciò che avesse potuto farle capire che erano trascorsi quattro anni dalla morte del suo bambino e dalla partenza del capitano John. L'anno 1879 doveva rimanere per lei ancora per qualche tempo l'anno 1874.

D'altra parte Dolly aveva un solo desiderio, o, per dir meglio, un'impazienza ben naturale: ricevere una lettera di John. Ella calcolava che la casa Andrew fosse lì lì per ricevere qualche dispaccio, visto che il Franklin doveva ormai trovarsi in vista di Calcutta, se non già in quel porto addirittura. Il corriere transoceanico non si sarebbe fatto certo aspettare… e poi lei stessa, appena ne

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avesse trovato la forza, avrebbe scritto a John. Ahimè! che cosa dirgli in quella lettera, la sua prima per lui, dopo il matrimonio, visto che non erano mai stati separati prima della partenza del Franklin? Sì. Quante tristi cose bisognava chiudere dentro a quella busta!

Allora, ricordando il passato, Dolly si accusava d'aver cagionato la morte di suo figlio. Quel nefasto giorno del 31 marzo le tornava in mente… Se avesse lasciato il piccolo Wat a Prospect-House, egli non sarebbe morto!… Perché l'aveva portato con sé a far visita al Bundary?… Perché aveva rifiutato l'offerta del capitano Eiris, che le proponeva di rimanere a bordo fino all'arrivo della nave al porto di San Diego?… L'orribile sventura non sarebbe accaduta!… E perché, ancora, in un gesto irriflessivo aveva strappato il bambino dalle braccia della nutrice proprio nel momento in cui la barca piegava bruscamente per evitare l'abbordaggio? Era caduta, e il piccolo Wat le era sfuggito dalle braccia, a lei, sua madre! Non era riuscita a stringerlo al seno… e quando il marinaio l'aveva ricondotta a bordo, il piccolo Wat era in fondo al mare! Povero piccino, non aveva nemmeno una tomba su cui sua madre potesse andare a piangerlo!

Queste immagini, troppo vivamente evocate nel suo spirito, facevano perdere a Dolly la calma che le era tanto necessaria. Molte volte un delirio violento, prodotto dal salire della febbre, preoccupò il dottor Brumley. Per fortuna quelle crisi si calmarono, si fecero rare, infine scomparvero e non ci fu più da temere per lo stato mentale di mistress Branican. Si avvicinava il momento in cui William Andrew avrebbe potuto dirle tutto.

Appena Dolly fu entrata in convalescenza, ottenne il permesso di lasciare il letto. La fecero sedere in un seggiolone dinanzi alla finestra della sua camera, da dove lo sguardo abbracciava il golfo di San Diego e poteva spingersi oltre punta Lorna fino all'orizzonte del mare. Là, se ne rimaneva immobile per lunghe ore.

Poi Dolly volle scrivere a John. Aveva bisogno di parlargli del loro bambino ormai perduto, e lasciò traboccare il proprio dolore in una lettera che John non avrebbe mai ricevuto.

William Andrew la prese promettendo di consegnarla al suo corriere per le Indie, e allora mistress Branican ridivenne abbastanza tranquilla, vivendo solo della speranza di ottenere per via diretta o

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indiretta notizie del Franklin. Tuttavia questo stato di cose non poteva durare. Evidentemente

Dolly, presto o tardi, sarebbe venuta a conoscenza di ciò che finora le avevano tenuto nascosto, per una norma di prudenza, forse eccessiva. Più ella si illudeva nella speranza di ricevere al più presto una lettera di John, pregustando l'avvicinarsi del suo ritorno, e più il colpo sarebbe stato terribile.

E questo fu fin troppo evidente in seguito a un colloquio che mistress Branican ebbe con William Andrew il 13 giugno.

Per la prima volta Dolly era scesa nel giardinetto di Prospect-House dove Andrew la vide seduta sopra una panca, davanti alla scala della casina. Egli andò a sedersi accanto a lei, e prendendole le mani gliele strinse affettuosamente.

In quell'ultimo periodo di convalescenza, mistress Branican si sentiva già forte, sul suo viso era tornato il colorito caldo d'un tempo, benché gli occhi fossero sempre umidi di lacrime.

— Vedo che la vostra guarigione fa rapidi progressi — disse William Andrew. — State proprio meglio!

— È vero, signor Andrew — rispose Dolly — ma mi pare d'essere invecchiata molto in questi due mesi… come mi troverà cambiata al suo ritorno il mio povero John! E poi ora sono sola ad attenderlo… egli non ha più altri che me!

— Coraggio, cara Dolly, coraggio… Vi proibisco di lasciarvi abbattere… Ora io sono come un padre, il vostro padre e voglio che mi ubbidiate.

— Caro signor Andrew! — Andiamo… su! — La lettera che ho scritto a John è partita, non è vero? — Certamente, e bisogna aspettare la risposta con pazienza!

Questi corrieri delle Indie alle volte tardano molto! Ma voi tornate a piangere!… Ve ne prego, non piangete più!

— Ma come posso io, signor Andrew, se penso… E non sono stata forse io la causa?…

— No, mia cara, no! Dio vi ha colpita crudelmente, ma Egli pone fine a tutti i dolori!

— Dio — mormorò Dolly — Dio mi ricondurrà il mio John!

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— Cara Dolly, il dottore è venuto oggi a farvi visita? — Sì, e mi ha trovata migliorata… dice che le forze mi ritornano e

che presto potrò uscire. — Non prima però che io ve ne abbia dato il permesso. — No, signor Andrew, vi prometto di non fare imprudenze. — E io conto sulla vostra promessa. — Signor Andrew, non avete ricevuto notizie del Franklin? — No, e non me ne stupisco; le navi impiegano molto tempo a

recarsi alle Indie. — John non avrebbe potuto scrivere da Singapore? Non si è

ancorato? — Dev'essersi ancorato, Dolly, ma se solo ha perduto il corriere

per poche ore, ne è derivato un ritardo di quindici giorni nella corrispondenza.

— Dunque non siete meravigliato che John non vi abbia fatto pervenire finora una lettera?

— Niente affatto — rispose William Andrew imbarazzato da quella conversazione.

— I giornali marittimi non hanno menzionato il suo passaggio? — domandò Dolly.

— No… dopo l'incontro col Bundary… circa due mesi fa… — Già… circa due mesi… Oh, non fosse mai avvenuto

quell'incontro!… Senza di esso non sarei andata a bordo del Bundary… e il mio piccino…

La faccia di mistress Branican si era alterata e una lacrima le sgorgava dagli occhi.

— Dolly, mia cara Dolly — rispose William Andrew — non mettetevi a piangere, ve ne prego.

— Ah! signor Andrew, non so… a volte mi coglie un presentimento… è inesplicabile… mi sembra che una nuova disgrazia… sono inquieta per John!

— Non bisogna inquietarsi, Dolly, non ce n'è alcuna ragione. — Signor Andrew — domandò mistress Branican — non potreste

mandarmi qualcuno dei giornali che pubblicano le corrispondenze marittime? Vorrei leggerli.

— Certo, mia cara Dolly, lo farò… Ma se si sapesse qualche cosa

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riguardo al Franklin, sia che fosse stato incontrato in mare sia che fosse stato segnalato il suo prossimo arrivo alle Indie, sarei il primo ad esserne informato e subito…

Ma era meglio sviare quel discorso perché mistress Branican avrebbe finito col notare l'esitazione delle risposte di William Andrew, che abbassava lo sguardo dinanzi al suo quando ella gli rivolgeva qualche domanda precisa. L'armatore stava per parlarle della morte di Edward Starter e dell'immensa ricchezza toccatale in eredità, quando Dolly chiese:

— Jane Burker e suo marito sono in viaggio, mi hanno detto; è un pezzo che hanno lasciato San Diego?

— No, due o tre settimane. — E staranno assenti per molto tempo? — Non so… Non abbiamo più ricevuto nessuna notizia. — Non si sa dove sono andati? — Non si sa, cara Dolly. Len Burker si era impegnato in certe

faccende molto rischiose… può essere andato lontano… molto lontano…

— E Jane? — Mistress Burker ha dovuto accompagnare suo marito, e non

saprei dirvi che cosa sia accaduto. — Povera Jane! — disse mistress Branican — le voglio tanto

bene, e sarei contenta di rivederla! non è forse la sola parente che mi rimanga?

Ella non pensava nemmeno a Edward Starter, né alla propria parentela con lui.

— Come mai Jane non mi ha ancora scritto? — domandò. — Mia cara Dolly, voi eravate molto malata quando il signor

Burker e sua moglie sono partiti da San Diego. — È vero, signor Andrew: perché scrivere a chi non comprende

più? Cara Jane; sì, è da compiangere, la vita è stata dura per lei; io ho sempre temuto che Len Burker si cacciasse in qualche rischiosa speculazione! Forse anche John lo temeva!

— Eppure — rispose William Andrew — nessuno s'aspettava un epilogo così spiacevole…

— È dunque a causa dei cattivi affari che Len Burker ha lasciato

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San Diego? — domandò vivamente Dolly. E guardava William Andrew, che era visibilmente confuso. — Signor Andrew — disse — parlate, non mi lasciate ignorare

nulla, desidero sapere tutto. — Ebbene, Dolly, non vi voglio nascondere una disgrazia che non

tardereste a conoscere. Sì, in questi ultimi tempi la situazione di Len Burker si è aggravata, egli non ha potuto far fronte ai suoi impegni… ci sono state delle querele, e, minacciato d'arresto, egli è stato costretto a fuggire.

— E Jane l'ha seguito? — Deve averla costretta: sapete bene che ella non si opponeva

mai alla sua volontà. — Povera Jane! povera Jane! — mormorò mistress Branican. —

Se io fossi stata in grado di venirle in aiuto… — Avreste potuto farlo — disse William Andrew: — sì, avreste

potuto salvare Len Burker, se non per lui, che non merita proprio alcuna stima, almeno per sua moglie.

— E John avrebbe approvato, ne sono sicura, l'uso che avrei fatto della nostra modesta fortuna.

William Andrew non volle dirle che Len Burker aveva dissipato il suo patrimonio. Sarebbe stato come rivelarle che egli era stato il suo tutore ed ella avrebbe forse chiesto come mai in un tempo così breve, due mesi appena, si erano compiuti tanti avvenimenti.

Perciò William Andrew si accontentò di rispondere: — Non parlate di una vostra «modesta» fortuna, mia cara Dolly…

essa è molto mutata. — Che volete dire, signor Andrew? — Voglio dire che siete ricca, ricchissima. — Io? — Lo zio Edward Starter è morto. — Morto! e da quando? — Da… William Andrew fu sul punto di tradirsi dicendo la data precisa

della morte di Edward Starter, avvenuta già da due anni, e dire questo era come dire tutta la verità.

Ma Dolly in quel momento rifletteva che la morte di suo zio e la

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scomparsa di sua cugina la lasciavano senza famiglia. E quando apprese che per opera di quel parente che essa aveva conosciuto appena e di cui John e lei non consideravano l'eredità se non in un avvenire ancora molto lontano, era ricca di due milioni di dollari, vide in questo solo l'occasione di una buona azione che avrebbe potuto compiere.

— Sì, signor Andrew, io sarei venuta in aiuto della povera Jane, l'avrei salvata dalla rovina e dalla vergogna. Dov'è?… dove può essere? che sarà di lei?

William Andrew dovette ripetere che le ricerche fatte per ritrovare Len Burker non avevano dato alcun risultato; egli si era certamente rifugiato in qualche lontano territorio degli Stati Uniti, oppure aveva lasciato l'America. Era impossibile saperlo.

— Ma se sono soltanto poche settimane che Jane e suo marito sono scomparsi da San Diego, forse si potrà sapere…

— Sì, poche settimane — si affrettò a rispondere William Andrew. Ma in quel momento mistress Branican pensava questo solo: che grazie all'eredità di Edward Starter suo marito non avrebbe più avuto bisogno di navigare e perciò non avrebbero più dovuto separarsi… quel viaggio a bordo del Franklin, per conto della casa Andrew, sarebbe stato l'ultimo.

— Caro signor Andrew — esclamò Dolly — quando sarà di ritorno John non dovrà più navigare, la sua passione di marinaio la sacrificherà per amor mio… noi vivremo insieme, sempre insieme, e nulla potrà più separarci.

All'idea che tanta felicità sarebbe stata spezzata da una parola – da una parola che prima o poi bisognava ben decidersi a dire – William Andrew non si sentiva padrone di sé. Si affrettò a troncare il colloquio, ma prima di allontanarsi ottenne da mistress Branican la promessa di non commettere nessuna imprudenza, di non uscire, di non tornare alla normale vita di un tempo finché il dottore non lo avesse permesso. E, per quanto lo riguardava, promise che appena avesse notizie del Franklin si sarebbe affrettato a comunicarle a Prospect-House.

Quando William Andrew ebbe riferito quella conversazione al dottor Brumley, questi non nascose il proprio timore che il caso

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potesse rivelare la verità a mistress Branican. Sì, era meglio che fosse William Andrew o egli stesso a informare

Dolly della situazione, prendendo beninteso tutte le precauzioni possibili.

Fu dunque deciso che trascorsa ancora una settimana, quando non ci fosse stato più motivo di vietare a mistress Branican di lasciare la casina, le si sarebbe rivelata ogni cosa.

— E Dio le conceda la forza di resistere a questa prova! — disse William Andrew.

Nell'ultima settimana di giugno mistress Branican continuò a condurre a Prospect-House la vita di sempre. Ella recuperava nello stesso tempo la forza fisica e l'energia morale, grazie alle cure di cui era circondata. Tuttavia William Andrew si sentiva sempre più confuso quando Dolly gli faceva tante domande a cui non poteva rispondere.

Il pomeriggio del giorno 23 egli venne a vederla per mettere a sua disposizione una grossa somma di danaro, e per renderle conto del suo patrimonio depositato in valori mobili alla Consolidated National Bank di San Diego.

Quel giorno mistress Branican si mostrò molto indifferente a quanto William Andrew le andava dicendo; lo ascoltava appena, parlava solo di John, non pensava che a lui.

Come! Non era ancora giunta nessuna lettera? Ella era molto inquieta di questo silenzio. Come mai la casa di Andrew non aveva ancora ricevuto il dispaccio che annunciava l'arrivo del Franklin nelle Indie?

L'armatore cercò di calmare Dolly dicendole che aveva mandato dei telegrammi a Calcutta e che da un giorno all'altro avrebbe ricevuto risposta. Gli riuscì di sviare le sue idee, tuttavia rimase molto turbato quando Dolly gli chiese:

— Signor Andrew, c'è un uomo di cui non vi ho parlato finora, ed è colui che m'ha salvato e che non è riuscito a salvare il mio bambino… quel marinaio…

— Quale marinaio?… — rispose William Andrew esitando. — Sì, quell'uomo coraggioso, a cui devo la vita. È stato

ricompensato?

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— Sì, Dolly. Ed era la verità. — Si trova a San Diego, signor Andrew? — No, mia cara Dolly, no… Ho sentito dire che si è imbarcato.

Era vero anche questo. Dopo aver lasciato il servizio del golfo quel marinaio aveva fatto

molte campagne mercantili e ora navigava. — Ma almeno mi potete dire come si chiama? — domandò

mistress Branican. — Si chiama Zach Fren. — Zach Fren! Va bene; vi ringrazio, signor Andrew — riprese

Dolly. E non insistette oltre su quanto concerneva il marinaio. Ma da quel giorno Zach Fren occupò il pensiero di Dolly. Egli era

oramai indissolubilmente legato nel suo spirito al ricordo della catastrofe avvenuta nel golfo di San Diego.

Ella lo avrebbe ritrovato, quel Zach Fren, alla fine del suo viaggio. Egli era partito solo da qualche settimana… sarebbe ben riuscita a sapere a bordo di quale nave s'era imbarcato… una nave del porto di San Diego, probabilmente. Questa nave avrebbe pur dovuto tornare fra sei mesi… fra un anno… e allora… certamente il Franklin sarebbe stato di ritorno prima di lui, e John sarebbe stato d'accordo con lei nel voler ricompensare Zach Fren, pagandogli il debito della loro riconoscenza… Sì, John non poteva tardare a ricondurre in porto il Franklin… e a lasciarne il comando… E allora non si sarebbero più separati l'uno dall'altra.

«Eppure, quel giorno» pensava Dolly «i nostri baci saranno bagnati di lacrime!»

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CAPITOLO IX

RIVELAZIONI

WILLIAM ANDREW desiderava e temeva insieme quel colloquio nel quale mi-stress Branican avrebbe dovuto venire a conoscenza della scomparsa definitiva del Franklin e della perdita del suo equipaggio e del suo capitano – perdita di cui tutta San Diego era sicura. La sua ragione, scossa una prima volta, sarebbe stata in grado di resistere a quell'ultimo colpo? Benché fossero trascorsi quattro anni dalla partenza di John, per Dolly sarebbe stato come se la sua morte datasse dalla vigilia. Il tempo passato su tanti altri dolori umani, si era fermato per lei.

Finché mistress Branican fosse rimasta a Prospect-House c'era da sperare che nessuno avrebbe potuto rivelarle la verità prima del tempo. William Andrew e il dottor Brumley avevano preso tutte le precauzioni al riguardo perché non arrivassero alla casina giornali o lettere. Ma Dolly si sentiva abbastanza forte per uscire e anche se il dottore non gliene avesse ancora data l'autorizzazione, poteva accadere che ella lasciasse Prospect-House senza dir nulla. Non bisognava più esitare dunque, e, secondo quanto avevano stabilito, Dolly era ormai prossima a conoscere la tremenda realtà: non c'era da sperare mai più in un ritorno del Franklin.

Ora, dopo la conversazione avuta con William Andrew, mistress Branican aveva deciso di uscire senza avvertire le governanti, certa che queste avrebbero fatto di tutto per dissuaderla. Se ad uscire non c'era nessun pericolo per la sua salute, potevano tuttavia verificarsi deplorevoli conseguenze nel caso che ella fosse venuta a conoscere la verità senza essere preparata.

Lasciando Prospect-House, mistress Branican si proponeva di chiedere informazioni sul conto di Zach Fren.

Dacché conosceva il nome del marinaio aveva sempre avuto un

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pensiero: «Sì, si sono occupati di lui, gli avranno dato un po' di denaro, ma

io non ho fatto nulla per lui. Zach Fren è partito da parecchie settimane… ma egli ha forse una famiglia, ha la moglie, ha i figlioli… povera gente, è mio dovere andarli a visitare, provvedere alle loro necessità. Sì, li vedrò e dimostrerò loro la mia riconoscenza».

E del resto, se mistress Branican avesse consultato William Andrew a questo proposito, come egli avrebbe potuto impedirle quest'atto di carità?

Il 21 giugno Dolly uscì di casa verso le nove del mattino. Nessuno l'aveva notata; vestiva a lutto per il suo bambino che, come lei pensava, era morto solo da due mesi; e profondamente emozionata uscì dalla porta del giardino e s'avviò sola, per la prima volta da quando era ammalata.

Il tempo era bello, e faceva caldo in quelle prime settimane dell'estate californiana, ma l'afa era attenuata dalla brezza marina.

Mistress Branican s'inoltrò fra le vie della città alta, assorta nella riflessione di quanto si proponeva di fare; distratta com'era, non badò a certi mutamenti sopravvenuti in quel quartiere, né ai recenti edifici che avrebbero dovuto colpirla, o almeno ne ebbe solo una percezione indistinta. D'altra parte le modifiche non erano tali che lei potesse confondersi nell'individuare la sua strada attraverso le vie che scendevano al golfo. Non notò neppure due o tre persone che, avendola riconosciuta, la guardavano con una certa meraviglia.

Passando davanti a una cappella cattolica, vicina a Prospect-House, e di cui ella era stata una delle assidue devote, Dolly sentì un desiderio irresistibile di entrarvi. Il prete incominciava a dir Messa in quella cappelletta nel momento stesso in cui lei s'inginocchiava sopra una panca in un cantuccio. Là ella cominciò a pregare per il suo piccino, per il marito e per tutte le persone amate. I pochi fedeli che assistevano alla Messa non l'avevano notata, e quando lei si ritirò avevano già lasciato la cappelletta.

Allora il suo spirito fu colpito da un particolare che la lasciò molto meravigliata. Le sembrò che l'altare non fosse più quello dinanzi al quale era solita pregare. Era un altare più ricco, di nuovo stile ed era

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dinanzi a una abside che sembrava costruita di recente. La cappella era stata forse ingrandita da poco?

Ma fu solo un'impressione fugace che sparì quando mistress Branican ebbe cominciato a scendere per le vie di quel quartiere mercantile animatissimo. Ma ad ogni passo la verità poteva saltarle agli occhi: un annuncio con una data… un orario di ferrovie… un avviso di partenza delle linee del Pacifico… l'annuncio di una festa o di uno spettacolo che portasse l'anno 1879… E allora Dolly avrebbe appreso bruscamente che William Andrew e Brumley l'avevano ingannata, che la sua pazzia era durata quattro anni e non poche settimane, con la conseguenza che non da due mesi soltanto, ma da quattro anni il Franklin aveva lasciato San Diego… e se gliel'avevano nascosto, il motivo era che John non era tornato e non sarebbe ritornato mai più.

Mistress Branican si dirigeva rapidamente verso la banchina del porto, quando le venne l'idea di passare davanti alla casa di Len Burker. Ciò avrebbe prolungato di poco la sua strada.

— Povera Jane! — mormorò. Giunta di fronte all'ufficio di Fleet-Street stentò a riconoscerlo e

provò con la meraviglia una vaga inquietudine. Infatti, invece della casa stretta e tenebrosa che conosceva, c'era là

un edificio grandioso di stile anglosassone, con molti piani e alte finestre difese da inferriate a pianterreno. Sopra il tetto si innalzava un lucernario su cui sventolava una bandiera con l'iniziale H. W. Presso la porta c'era una scritta con queste parole in lettere dorate:

HARRIS WADANTON AND CO.

Dolly credette di essersi sbagliata, guardò a destra e a sinistra. No,

era proprio qui all'angolo di Fleet-Street, la casa dove veniva a trovare Jane Burker…

Dolly si mise le mani sugli occhi, un inesplicabile presentimento le strinse il cuore… non riusciva a rendersi conto di ciò che provava…

La casa di commercio di William Andrew non era lontana. Dolly, affrettando il passo, la vide alla svolta della via. Il suo primo

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pensiero fu di andarci. Ma no, ci si sarebbe fermata al ritorno… dopo aver fatto visita alla famiglia di Zach Fren. Si proponeva di domandare il recapito del marinaio all'ufficio delle «steam-launches» in vicinanza dell'imbarcadero.

Con la mente confusa, lo sguardo incerto e il cuore che le martellava, Dolly continuò la sua strada. Ora guardava con insistenza le persone che incontrava e provava quasi un irresistibile bisogno d'avvicinarsi a loro, interrogarle, domandare loro… che cosa? l'avrebbero presa per pazza… Ma era poi sicura che non avrebbe di nuovo smarrito la ragione? Quante lacune nella sua memoria!

Mistress Branican giunse al porto. Il golfo si mostrava di là in tutta la sua estensione. Alcune navi si dondolavano ferme all'ancoraggio sotto le onde; altre si preparavano per la partenza. Quali ricordi per Dolly in tutto quel movimento del porto! Due mesi appena erano trascorsi da quando ella si era collocata all'estremità di quella banchina!… Da quel punto aveva visto il Franklin dirigersi al canale, ed era là che aveva ricevuto l'ultimo addio di John. Poi la nave aveva oltrepassato la punta Island, le vele alte si erano disegnate un istante sopra il litorale, poi il Franklin era scomparso in alto mare.

Alcuni passi ancora e Dolly si trovò dinanzi all'ufficio delle «steam-launches» presso il ponte dei passeggeri. Una delle barche se ne staccava in quel momento spingendosi alla punta Lorna. Dolly la seguì con lo sguardo porgendo orecchio al rumore del vapore ansimante all'estremità del fumaiolo.

A quali tristi ricordi si lasciò andare il suo spirito! Il suo piccino che le acque non avevano restituito… quelle acque che l'attiravano, l'affascinavano… si sentiva venir meno, come se le mancasse il terreno… le girava la testa e fu sul punto di cadere.

Un attimo dopo mistress Branican entrava nell'ufficio delle «steam-launches».

Vedendo quella donna col viso contratto, la faccia pallida, l'impiegato seduto davanti al tavolino s'alzò, accostò una seggiola e disse:

— Vi sentite male, signora? — Non è nulla, signore — rispose Dolly; — ho avuto un

momento di debolezza, ora mi sento meglio.

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— Sedete, ve ne prego, la prossima partenza sarà fra dieci minuti. — Vi ringrazio, sono venuta solo per domandare un'informazione;

forse voi potete darmela. — Di che si tratta, signora? Dolly si era seduta, e dopo aver portato la mano alla fronte come

per raccogliere le proprie idee, disse: — Voi avete avuto al vostro servizio un marinaio chiamato Zach

Fren? — Sì, mistress — rispose l'impiegato. — Quel marinaio non

rimase un pezzo con noi, ma l'ho conosciuto perfettamente. — Ed è lui, non è vero, che arrischiò la vita per salvare una

donna… una disgraziata madre? — Sì, mi ricordo… mistress Branican… Fu lui, proprio lui. — E ora egli è in mare? — In mare. — Su che nave è imbarcato? — Sul tre alberi Californian. — Di San Diego? — No, mistress, di San Francisco. — Destinazione? — I mari d'Europa. Mistress Branican, più stanca di quanto lei stessa avrebbe

immaginato, tacque per alcuni istanti e l'impiegato aspettò che gli rivolgesse altre domande. Quando fu un po' rinfrancata chiese:

— Zach Fren è di San Diego? — Sì, mistress. — Potete dirmi dove abita la sua famiglia? — Ho sempre sentito dire che Zach Fren era solo al mondo. Non

credo che gli rimanga alcun parente a San Diego né altrove. — Non è ammogliato? — No, mistress. Non c'era motivo di dubitare delle risposte di quell'impiegato che

conosceva benissimo Zach Fren. Nulla da fare dunque, per ora, visto che il marinaio non aveva

famiglia: bisognava aspettare il ritorno del Californian in America. — Si sa quanto deve durare il viaggio di Zach Fren? — chiese

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Dolly. — Non ve lo saprei dire, mistress, giacché il Californian è partito

per una navigazione lunga. — Vi ringrazio, signore — disse mistress Branican. — Mi farà

molto piacere incontrare Zach Fren, ma ci vorrà certamente molto tempo.

— Sì, mistress. — Ma è possibile che fra qualche mese o fra qualche settimana si

abbiano notizie del Californiani — Notizie? — rispose l'impiegato. — Ma la casa di San Francisco, a cui appartiene la nave, deve averne ricevute molte.

— Di già? — Sì, mistress. — Molte? Ripetendo queste parole mistress Branican, che si era levata in

piedi, guardava l'impiegato, come se non avesse inteso nulla di quel che aveva detto.

— Ecco, mistress — rispose costui porgendo un giornale; — ecco lo «Shipping-Gazette»: annunzia che il Californian ha lasciato Liverpool otto giorni or sono.

— Otto giorni or sono? — mormorò mistress Branican, pigliando il giornale con mano tremante.

Poi, con voce così soffocata che l'impiegato a stento l'intese, domandò:

— Da quanto tempo Zach Fren è partito? — Da circa diciotto mesi. — Diciotto mesi! Dolly dovette appoggiarsi al tavolino: il suo cuore aveva cessato

di battere per alcuni istanti. A un tratto i suoi sguardi si fermarono sopra un avviso appeso a

una parete che indicava le ore di servizio degli «steam-launches» per la stagione estiva.

In cima all'avviso si leggeva questa parola e questa cifra:

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MARZO 1879 Marzo 1879!… L'avevano dunque ingannata!… Da quattro anni

dunque suo figlio era morto… e da quattro anni John aveva lasciato San Diego… Ella era stata pazza per quattro anni interi… Sì! E se William Andrew e il dottore Brumley le avevano lasciato credere che la pazzia era durata soltanto due mesi, era perché avevano voluto nasconderle la verità sul Franklin… Era perché da quattro anni si era privi di notizie di John e della nave.

Con grande spavento dell'impiegato, mistress Branican fu presa da uno spasimo violento. Ma con uno sforzo supremo si dominò, e lanciandosi fuori dell'ufficio camminò velocemente verso le contrade della bassa città.

Coloro che videro passare quella donna con la faccia pallida, lo sguardo smarrito pensarono certamente che fosse pazza.

Del resto se la povera Dolly non era pazza, non stava forse per impazzire un'altra volta?… Dove andava? Andava verso la casa di William Andrew, e vi giunse in pochi minuti quasi senza accorgersene. Attraversò gli uffici, passò in mezzo ai commessi che non ebbero tempo di fermarla, spinse l'uscio dell'ufficio dov'era l'armatore.

Sulle prime, William Andrew fu stupito, vedendo mistress Branican, poi spaventato dal suo viso disfatto e dal suo incredibile pallore.

Prima ch'egli potesse rivolgerle la parola, Dolly esclamò: — So tutto… Mi avete ingannata!… Sono stata pazza quattro

anni! — Mia cara Dolly, calmatevi! — Rispondete! Il Franklin?… È partito da quattro anni, non è

vero? William Andrew curvò il capo. — E non ne avete più notizie da quattro anni?… Da quattro anni?

L'armatore taceva sempre. — Il Franklin dunque è perduto… Non ritornerà nessuno

dell'equipaggio? E io non rivedrò più John? Le lacrime furono la risposta che poté dare William Andrew. Mistress Branican cadde sopra una poltrona priva di sensi.

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William Andrew chiamò una delle donne di casa per aiutare Dolly; uno dei commessi fu mandato dal dottor Brumley che abitava nel quartiere e che accorse prontamente.

William Andrew lo informò di tutto. Per una indiscrezione, o chissà per quale caso, mistress Branican aveva saputo ogni cosa. A Prospect-House, o nelle vie di San Diego, poco importava dove; il fatto è che ora sapeva tutto. Sapeva che dalla morte del suo piccino erano trascorsi quattro anni, che per quattro anni era stata priva di senno, che da quattro anni non si aveva nessuna notizia del Franklin.

A stento il dottor Brumley riuscì a rianimare la poveretta, domandandosi se la sua intelligenza avrebbe resistito a quell'ultimo colpo, più terribile di tutti.

Quando mistress Branican ebbe ripreso a poco a poco i sensi, era cosciente di tutto. Ella era tornata alla vita perfettamente in sé, e attraverso le lacrime interrogava con lo sguardo William Andrew che le teneva le mani, inginocchiato davanti a lei.

— Parlate, parlate, signor Andrew! E furono le sole parole uscite dal suo labbro. Con voce rotta dai singhiozzi William Andrew le raccontò quante

inquietudini avesse cagionato la mancanza di notizie del Franklin, le disse delle lettere e dei dispacci mandati a Singapore e alle Indie dove la nave non era mai arrivata, delle inchieste fatte sul tragitto della nave di John senza che mai alcun indizio potesse gettare un po' di luce sul naufragio.

Immobile, muta, lo sguardo fisso, mistress Branican ascoltava, e quando William Andrew ebbe finito il racconto:

— Il mio bambino morto, mio marito morto! — mormorò. — Perché Zach Fren non m'ha lasciato morire?

Ma il suo viso si rianimò a un tratto e la sua energia naturale si manifestò con tanta forza che il dottor Brumley ne fu spaventato.

— Dopo le ultime ricerche — disse ella con voce risoluta — non si è saputo più nulla della nave?

— Nulla! — rispose William Andrew. — E la considerate perduta? — Sì, perduta. — E neanche di John e dell'equipaggio si è più saputo nulla?

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— Nulla, mia povera Dolly! E ormai non abbiamo più speranza. — Nessuna speranza! — rispose mistress Branican con accento

quasi ironico. Si era rialzata, accennando con la mano a una delle finestre, dalla

quale si scorgeva l'orizzonte del mare. William Andrew e il dottor Brumley temevano che stesse per

smarrire ancora la ragione. Ma Dolly era in sé, e con lo sguardo acceso dal fuoco dell'anima,

ripeté: — Non più speranza!… Avete detto: non più speranza! Signor

Andrew, se John è perduto per voi, non è perduto per me… La ricchezza che m'appartiene non la voglio senza di lui. Io la consacrerò a ricercare John e i suoi compagni del Franklin, e con l'aiuto di Dio li troverò… sì, li troverò!

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CAPITOLO X

PREPARATIVI

UNA NUOVA vita cominciava per mistress Branican. Se la morte del suo bambino era ormai una cosa assolutamente sicura, non era così per ciò che riguardava suo marito. John e i suoi compagni potevano essere sopravvissuti al naufragio della loro nave, essersi rifugiati su una delle molte isole di quei mari delle Filippine, di Celebes o di Giava. Era dunque impossibile che essi fossero trattenuti presso qualche popolazione indigena, senza possibilità di fuggire? Questa speranza era la sola che rimanesse a mistress Branican, ed ella vi si attaccò con tale ostinazione che ben presto trasmise la propria convinzione anche agli abitanti di San Diego. No, ella non credeva, non riusciva a credere che John e il suo equipaggio fossero periti, e forse fu proprio l'ostinazione in questa idea che le consenti di conservare la ragione.

Alcuni erano propensi a credere che quella fosse una specie di monomania, quasi una febbre della speranza. Ma non era così, come potremo constatare in seguito.

Mistress Branican era rientrata nel pieno possesso delle sue facoltà mentali; aveva ricuperato quella sicurezza di giudizio ch'era stata sempre sviluppatissima in lei. Uno scopo solo – ritrovare John – vedeva sulla sua strada, e si dispose all'azione con un'energia che le circostanze avrebbero certamente reso maggiore. Poiché Dio aveva permesso che Zach Fren la salvasse da una prima catastrofe e la ragione le ritornasse, poiché aveva messo nelle sue mani tutto il potere che dà la ricchezza, era segno che John era vivo e che bisognava salvarlo. Dolly dunque avrebbe impiegato la sua ricchezza in continue ricerche, distribuendo ricompense. Non un'isola, non un isolotto dei paraggi attraversati dal giovane capitano sarebbero sfuggiti alle perlustrazioni. Quello che lady Franklin aveva fatto per

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John Franklin, mistress Branican lo avrebbe fatto per John Branican, e sarebbe riuscita là dove la vedova dell'illustre ammiraglio aveva fallito.

Da quel giorno gli amici di Dolly compresero che era necessario aiutarla in questa nuova fase della sua vita, incoraggiarla nelle ricerche, unire i loro sforzi a quelli di lei. E così fece anche William Andrew. Pur disperando di ritrovare i superstiti del naufragio, divenne il consigliere più devoto di mistress Branican, coadiuvato in questo dal comandante del Bundary, la cui nave era allora a San Diego in stato di disarmo. Il capitano Ellis, uomo risoluto, di cui ci si poteva fidare, perché era anche amico devoto di John, fu invitato ad un colloquio con mistress Branican e William Andrew.

Ci furono a Prospect-House molti incontri. Per quanto fosse ricca, mi-stress Branican non aveva voluto lasciare la modesta casina. John l'aveva lasciata là quand'era partito, e là doveva ritrovarla al suo ritorno. Nessun cambiamento doveva avvenire nelle sue abitudini finché il marito non fosse ritornato a San Diego. Sempre la stessa vita semplice come prima, facendo solo le spese che le erano abituali, tranne che per quanto riguardava le spese delle ricerche e delle elemosine.

La notizia si sparse subito in città e crebbe la simpatia verso la coraggiosa donna che non si rassegnava a essere la vedova di John Branican. Senza ch'ella se ne accorgesse, tutti l'ammiravano, anzi la veneravano, poiché le sue sventure l'avevano resa degna di venerazione. E non solo molti facevano voti perché le sue ricerche avessero buon esito, ma si sforzarono di credere al suo successo, e quando Dolly, scendendo dai quartieri alti, si recava alla ditta Andrew o dal capitano Ellis, vedendola seria e pensosa nei suoi vestiti a lutto, invecchiata di dieci anni – e ne aveva venticinque appena – la gente si scopriva rispettosamente il capo e s'inchinava al suo passaggio. Ma ella non s'accorgeva neppure di quella deferenza che le veniva rivolta.

Durante gli incontri di mistress Branican, di William Andrew e del capitano Ellis, il primo lavoro fu quello di ricostruire l'itinerario che il Franklin aveva dovuto seguire. Questo era ciò che importava stabilire con precisione.

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La Casa Andrew aveva mandato la sua nave alle Indie dopo un ancoraggio a Singapore, ed era in questo porto che si doveva scaricare parte della mercanzia prima di proseguire. Ora, pigliando il largo all'ovest della costa americana, era molto probabile che il capitano John fosse andato all'arcipelago delle Hawaii o Sandwich.

Lasciando le zone della Micronesia, il Franklin aveva dovuto toccare le Marianne, le Filippine, e, attraverso il mare di Celebes e lo stretto di Makasar, giungere al mar di Giava, limitato al sud dalle isole della Sonda, per giungere a Singapore. All'estremità ovest dello stretto di Malacca, formato dalla penisola di questo nome e dall'isola di Giava, si apre il golfo del Bengala, nel quale, fuorché nelle isole Nicobare e nelle isole Andamane, i naufraghi non avrebbero potuto trovar rifugio. D'altra parte era fuor di dubbio che John Branican non era apparso nel golfo del Bengala. E dal momento che non s'era ancorato a Singapore — cosa purtroppo certa — bisognava pensare che fosse perché non aveva potuto passare il limite del mar di Giava e dell'isola della Sonda.

Quanto a supporre che il Franklin, invece di prendere la rotta della Malesia, avesse cercato di recarsi a Calcutta per i difficili passi dello stretto di Torres, lungo la costa settentrionale del continente australiano, nessun marinaio avrebbe potuto ammetterlo.

Il capitano Ellis affermava che mai John Branican avrebbe potuto commettere l'imprudenza di arrischiarsi fra i pericoli di quello stretto. L'ipotesi dunque fu scartata; solo sui paraggi malesiani si dovevano fare le ricerche.

Infatti nel mare delle Caroline, di Celebes e di Giava gli isolotti si contano a migliaia, e se fosse sopravvissuto a un sinistro marittimo là soltanto l'equipaggio del Franklin poteva essere abbandonato o trattenuto da qualche tribù senza trovar modo di rimpatriare.

Stabilite queste premesse, fu deciso l'invio di una spedizione nei mari della Malesia. Mistress Branican fece una proposta che riteneva molto importante, domandando al capitano Ellis se accettava il comando della spedizione.

Il capitano Ellis era libero, allora, perché il Bundary era stato disarmato dalla casa Andrew e perciò, sebbene l'inattesa proposta lo trovasse impreparato, egli non esitò a mettersi a disposizione di

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mistress Branican, con l'approvazione di William Andrew, che anzi lo ringraziò vivamente.

— Non faccio altro che il mio dovere — egli rispose — e farò tutto quanto starà in me per ritrovare i superstiti del Franklin… Se il capitano è vivo…

— John è vivo! — disse mistress Branican con tanta sicurezza che neanche i più scettici avrebbero osato contraddirla.

Il capitano Ellis volle discutere diversi punti che bisognava risolvere. Sarebbe stato facile reclutare un equipaggio capace di aiutarlo; ma rimaneva il problema della nave. Evidentemente non si poteva pensare al Bundary per una simile spedizione, perché era impensabile che un bastimento a vela potesse intraprendere un viaggio di questo genere; un vapore era quello che occorreva.

Nel porto di San Diego c'erano allora molti steamers proprio adatti a questa esplorazione. Mistress Branican incaricò dunque il capitano Ellis di comperare il più veloce di quegli steamers e mise a sua disposizione i fondi necessari all'acquisto. Parecchi giorni dopo l'affare era concluso e mistress Branican era proprietaria del Davitt, a cui fu mutato il nome in quello di Dolly-Hope, di lieto augurio.3

Era uno steamer a elica di novecento tonnellate, disposto in modo da imbarcare una gran quantità di carbone nelle stive, cosa che poteva permettergli di compiere un lungo viaggio senza dover rinnovare le provviste. Attrezzato come goletta a tre alberi, fornito di una robusta velatura e di una macchina della forza effettiva di milleduecento cavalli, faceva una media di quindici nodi all'ora. In queste condizioni di velocità e di tonnellaggio, il Dolly-Hope rispondeva a tutte le esigenze di una traversata per mari stretti, sparsi d'isole e di scogli. Sarebbe stato difficile fare scelta migliore per questa spedizione.

Non ci vollero più di tre settimane per rimettere il Dolly-Hope in buono stato, visitare le sue caldaie, verificare la macchina, riparare gli attrezzi e la velatura, regolare la bussola, caricare il carbone, assicurare i viveri d'un viaggio destinato a durare più di un anno. Il capitano Ellis era deciso a non abbandonare i paraggi dove il

3 Letteralmente: Speranza-Dolly. (N.d.A.)

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Franklin aveva potuto perdersi, se non dopo averne esplorato tutti i rifugi… Aveva dato la sua parola di marinaio e non era uomo da venire meno alle sue promesse.

Fornire una buona nave di un buon equipaggio vuol dire rendere maggiori le probabilità del successo e di ciò il capitano Ellis poté solo rallegrarsi per la collaborazione offertagli dalla popolazione marittima di San Diego. I migliori marinai si offrirono di servire sotto i suoi ordini. Si faceva a gara per andare alla ricerca delle vittime che appartenevano tutte alle famiglie del porto.

L'equipaggio del Dolly-Hope fu composto di un primo e di un secondo ufficiale, di un primo e un secondo nostromo e di ventitré uomini compresi i meccanici e i macchinisti. Il capitano Ellis era sicuro di ottenere tutto ciò che voleva da quei marinai affezionati e coraggiosi, per quanto lunga e aspra dovesse essere quella campagna attraverso i mari della Malesia.

Si capisce naturalmente che, mentre si facevano i preparativi, mistress Branican non era rimasta inoperosa. Ella aiutava il capitano Ellis col suo intervento continuo, risolvendo tutte le difficoltà a prezzo d'oro, non volendo trascurare niente di ciò che poteva assicurare la buona riuscita della spedizione.

Intanto la caritatevole donna non aveva dimenticato le famiglie che la scomparsa della nave aveva lasciato nelle strettezze o nella miseria. Così facendo aveva reso completa l'opera svolta, a suo tempo, dalla casa Andrew e dalle sottoscrizioni pubbliche. Ormai quelle famiglie avrebbero potuto provvedere alle loro necessità finché il tentativo di mistress Branican avesse restituito i naufraghi del Franklin.

Ciò che Dolly aveva fatto per le famiglie crudelmente provate da quella sciagura non avrebbe potuto farlo anche per Jane Burker? Ella sapeva quanto la povera donna si fosse mostrata buona con lei durante la malattia, sapeva che Jane non l'aveva lasciata un istante e che in quello stesso momento Jane sarebbe stata ancora a Prospect-House a dividere la sua speranza, se la disastrosa speculazione del marito non l'avesse costretta a lasciare San Diego e senza dubbio anche gli Stati Uniti.

Per quanti rimproveri meritasse Len Burker, è certo che la

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condotta di Jane era stata quella d'una parente affezionata. Dolly le aveva perciò conservato una profonda amicizia, e pensando alla sua situazione sentiva il più vivo rammarico di non poterle testimoniare la propria gratitudine venendole in aiuto. Ma nonostante tutta la diligenza di William Andrew non era stato possibile sapere dove i coniugi Burker si fossero rifugiati. È vero che se anche il luogo della loro dimora fosse stato conosciuto, mistress Branican non avrebbe potuto richiamarli a San Diego, poiché Len Burker era sotto processo per querele di truffe, ma almeno si sarebbe affrettata a far pervenire a Jane i soccorsi che a quell'infelice dovevano certamente essere necessari.

Il 27 luglio il Dolly-Hope era pronto a partire. Mistress Branican si recò a bordo durante la mattinata per raccomandare un'ultima volta al capitano Ellis di non trascurare nulla per scoprire le tracce del Franklin. Non dubitava del resto ch'egli sarebbe riuscito a ritrovare John e il suo equipaggio. Ripeté queste parole con tanta convinzione che i marinai batterono le mani. Tutti condividevano la sua fiducia e così pure gli amici e i parenti venuti per assistere alla partenza del Dolly-Hope.

Il capitano Ellis, rivolgendosi allora a mistress Branican e insieme a William Andrew, che l'aveva accompagnata a bordo, disse:

— Davanti a voi, mistress, e davanti a William Andrew, a nome dei miei ufficiali e del mio equipaggio, giuro di non lasciarmi scoraggiare da nessun pericolo, da nessuna fatica per ritrovare il capitano John e gli uomini del Franklin. Questa nave da voi armata si chiama ora Dolly-Hope, e saprà essere degna del nome che porta!

— Con l'aiuto di Dio e con l'affetto di coloro che ripongono confidenza in Lui! — rispose mistress Branican.

— Evviva! Evviva John e Dolly Branican! Queste grida furono ripetute dalla folla riunita sulla banchina del

porto. Allentati gli ormeggi, il Dolly-Hope, obbedendo ai primi giri

d'elica, uscì dal golfo; poi, passato il canale, si diresse a sud-ovest e sotto la spinta della potente macchina presto perse di vista la terra americana.

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CAPITOLO XI

PRIMA CAMPAGNA NELLA MALESIA

DOPO UN viaggio di duemila e duecento miglia, il Dolly-Hope arrivò in vista del monte Mauna Kea che domina di quindicimila piedi l'isola Hawaii, la più meridionale del gruppo delle Sandwich.

Indipendentemente dalle cinque grandi isole e dalle tre piccole, quel gruppo conta ancora un certo numero di isolotti, nei quali non era il caso di ricercare le tracce del Franklin. Certamente si sarebbe venuti subito a conoscenza del naufragio se esso si fosse verificato sopra i numerosi scogli di quell'arcipelago, o anche su quelli di Medo-Manu, sebbene siano popolati solo da un'infinità di uccelli marini. Infatti le isole Sandwich hanno una popolazione abbastanza numerosa — centomila abitanti solo nell'isola Hawaii — e grazie ai missionari francesi, inglesi e americani che si trovano su quelle isole, la notizia del disastro sarebbe giunta subito ai porti della California.

Del resto, quattro anni prima, quando il capitano Ellis si era incontrato col Franklin, le due navi si trovavano già oltre il gruppo delle Sandwich. Il Dolly-Hope continuò dunque la sua rotta verso sud-ovest, attraverso quel meraviglioso mare del Pacifico che giustifica il suo nome durante i pochi mesi della stagione calda.

Sei giorni dopo, il rapido steamer aveva superato la linea convenzionale che i geografi hanno tracciato dal sud al nord tra la Polinesia e la Micronesia. In questa parte occidentale dei mari polinesiani, il capitano Ellis non aveva alcuna ricerca da fare. Ma al di là, i mari micronesiani formicolano d'isole, d'isolotti e di scogliere e là il Dolly-Hope aveva il gravoso compito di cercare gli indizi del naufragio.

Il 22 agosto lo steamer gettò l'ancora a Otia, la più grossa isola del gruppo delle Marshall, visitata da Kotzebue e dai russi nel 1817.

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Questo gruppo,4 distribuito su 30 miglia da est ad ovest e su 13 miglia da nord a sud, conta almeno sessantacinque isolotti.

Il Dolly-Hope, che avrebbe potuto rifare senza difficoltà la sua provvista d'acqua a poche ore di distanza dall'isola, prolungò tuttavia la sua sosta per cinque giorni. Imbarcato sulla lancia a vapore, il capitano Ellis ebbe modo di convincersi che nessuna nave aveva fatto naufragio su quegli scogli negli ultimi quattro anni. Incontrò bensì qualche rottame negli isolotti Mulgrave, ma erano solo tronchi di abete, di palmizi e di bambù portati dalle correnti del nord o del sud e di cui gli indigeni si servono per le loro piroghe. Il capitano Ellis apprese dal capo dell'isola Otia che dal 1872 una sola nave si era infranta sugli scogli dell'est ed era un brick inglese il cui equipaggio era poi riuscito a tornare in patria.

Giunto fuori dell'arcipelago delle Marshall il Dolly-Hope fece rotta verso le Caroline. Nel passaggio staccò la sua lancia sull'isola Oualam che fu diligentemente esplorata ma senza alcun risultato. Il 3 settembre si cacciò nell'ampio arcipelago che si stende fra il 12° di latitudine nord e il 3° di latitudine sud da una parte, e dall'altra fra il 129° di longitudine est e il 170° di longitudine ovest, ossia duecentoventicinque leghe da nord a sud dell'Equatore, e mille leghe circa da ovest ad est.

Il Dolly-Hope rimase tre mesi sui mari delle Caroline, abbastanza noti ora per i viaggi di Lutke, coraggioso navigatore russo, e per quelli dei francesi Duperrey e Dumont d'Urville. Tale tempo fu impiegato per visitare successivamente i principali gruppi dell'arcipelago delle Peliù, le Pericolose Mannaie, le Martiri, le Saavedra, le Sonsorol, le isole Mariera, Anna, Lord-North ecc.

Il capitano Ellis aveva preso come base delle sue operazioni Yap o Guap, che appartiene al gruppo delle Caroline comprendente circa cinquecento isole.

Fu di là che lo steamer diresse le sue investigazioni nei punti più lontani. Numerosi naufragi erano avvenuti in quell'arcipelago, fra cui si ricordano quello famoso dell1'Antilope nel 1793, su cui si trovava il capitano americano Barnard, avvenuto sulle isole Mortz, e quello

4 A causa di questo arcipelago delle Caroline avvenne il dissidio fra la Germania e la Spagna che minacciò disastrose conseguenze per l'Europa. (N.d.A.)

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di Lord-North nel 1832. In questo periodo gli uomini del Dolly-Hope si resero veramente

degni di lode. Nessuno badò né a rischi né a fatiche durante la navigazione fra quei numerosi scogli, attraverso quegli stretti passi i cui fondali sono irti di escrescenze coralline. Inoltre la cattiva stagione cominciava a farsi sentire in quei paraggi dove i venti si scatenano con impeto tremendo, e dove i naufragi sono ancora molto frequenti.

Ogni giorno le imbarcazioni di bordo frugavano le insenature in fondo alle quali le correnti avrebbero potuto gettare qualche rottame. Quando i marinai sbarcarono erano bene armati, giacché questa volta non si trattava di ricerche simili a quelle fatte per l'ammiraglio Franklin, ossia in terre deserte delle regioni artiche. Queste isole erano per lo più abitate e il compito del capitano Ellis era soprattutto di agire come fece d'Entrecasteaux quando esplorò gli scogli dove immaginava si fosse perduto Laperouse. L'importante era di mettersi in rapporto con gli indigeni. L'equipaggio del Dolly-Hope fu spesso accolto con dimostrazioni ostili da certe popolazioni tutt'altro che ospitali verso gli stranieri. Vi furono aggressioni che si dovettero respingere con la forza e due o tre marinai ricevettero perfino ferite le quali, per buona sorte, non ebbero gravi conseguenze.

Dall'arcipelago delle Caroline, il capitano Ellis poté mandare le prime lettere a mistress Branican, per mezzo delle navi che facevano rotta verso il litorale americano. Ma esse non davano nessuna buona notizia riguardo al Franklin e ai naufraghi. Dicevano solo che i tentativi risultati vani nelle Caroline dovevano essere ripresi all'ovest nell'ampio sistema della Malesia. Là le speranze di ritrovare i superstiti della catastrofe erano veramente maggiori, forse sopra uno di quei numerosi isolotti la cui presenza è stata messa in luce dai lavori idrografici, anche dopo le tre ricognizioni fatte in quella parte del Pacifico.

Settecento miglia ad ovest delle Caroline, in data 22 dicembre, il Dolly-Hope giunse ad una delle grandi isole Filippine, il più importante degli arcipelaghi Malesi, il maggiore di quelli rilevati dai geografi e anche di tutta l'Oceania. Questo gruppo scoperto da Magellano nel 1521 si stende dal 5° al 21° di latitudine settentrionale

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e dal 114° al 120° di longitudine orientale. Ma il Dolly-Hope non si ancorò alla grande isola Luzon che ha

anche il nome di Manila. Era assurdo, infatti, pensare che il Franklin si fosse spinto tanto in alto nei mari della Cina dal momento che era diretto a Singapore! Perciò il capitano Ellis prese come zona base per le investigazioni l'isola Mindanao a sud di detto arcipelago, seguendo cioè lo stesso itinerario che senza dubbio era stato quello di John Branican per giungere al mar di Giava.

Il Dolly-Hope era ancorato sulla costa sud ovest dal porto di Zamboanga, residenza del governatore da cui dipendono i tre alcaldi dell'isola.

Mindanao comprende due parti, una spagnola, l'altra indipendente sotto il dominio di un sultano che ha fatto di Selagan la sua capitale.

Naturalmente il capitano Ellis avrebbe cominciato con l'interrogare il governatore e gli alcaldi circa un naufragio avvenuto sul litorale di Mindanao. Le autorità si misero cortesemente a sua disposizione, ma nella regione spagnola non era accaduto nessun sinistro marittimo almeno da cinque anni.

È vero che sulle coste della parte indipendente dell'isola dove abitano i Mindanai, i Caragos, i Lutas, i Subani e altre popolazioni selvagge sospette di cannibalismo, possono avvenire disastri senza che se ne venga a sapere nulla, dal momento che quei popoli hanno tutti i motivi per tacere. Vi si incontrano tra l'altro molti Malesi, che fanno i corsari. Con le loro leggere navi armate di cannoncini, danno la caccia ai bastimenti mercantili che i venti d'ovest spingono sui loro litorali, e quando se ne impadroniscono li distruggono. Se una sorte simile fosse toccata al Franklin, certamente il governatore non ne avrebbe saputo nulla. Le sole notizie che egli poté fornire sulla parte dell'isola soggetta alla sua autorità, erano insufficienti.

Così il Dolly-Hope dovette sfidare quei mari che in inverno sono tanto tempestosi. Molte volte furono effettuate soste in vari punti della costa e i marinai si arrischiarono tra le meravigliose foreste di tamarischi, di bambù, d'ebani neri, di mogani selvatici, legno di ferro e mangli, che formano una delle ricchezze delle Filippine. In mezzo a quelle fertili campagne, in cui si trovano mescolati i prodotti delle zone temperate e delle zone tropicali, il capitano Ellis e i suoi uomini

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visitarono alcuni villaggi con la speranza di trovarvi qualche indizio, qualche rottame di naufragio o qualche prigioniero trattenuto dalle tribù malesiane.

Ma le loro ricerche risultarono vane e lo steamer fu costretto a tornare a Zanboanga mal ridotto dal brutto tempo, scampato per miracolo agli scogli sottomarini di quei paraggi.

Le esplorazioni nell'arcipelago delle Filippine durarono due mesi e mezzo. Si dovette sostare in più di cento isole, di cui le più importanti, dopo Luzon e Mindanao, sono Mindoro, Leyte, Samar, Panay, Négros, Zebù, Masbate, Palawan, Catanduanés, ecc.

Il capitano Ellis esplorò il gruppo del Bassilan al sud di Zamboanga, poi si diresse verso l'arcipelago di Holo dove giunse il 25 febbraio 1880.

Quello era un vero nido di pirati, dove gli indigeni formicolano in mezzo a numerose isolette coperte di un viluppo di giuncheti, sparse fra la punta sud del Mindanao e la punta nord di Borneo. Un solo porto è talvolta frequentato dalle navi che attraversano il mar della Cina e i bacini della Malesia, il porto di Bevuan, situato sull'isola principale che ha dato il proprio nome al gruppo.

A Bevuan venne ad ancorarsi il Dolly-Hope. Là alcuni contatti si poterono stabilire con il sultano e i Datus che governano una popolazione di seicento o settecentomila abitanti. È vero che il capitano Ellis fu prodigo di doni e ottenne così che gli indigeni gli indicassero le tracce di diversi naufragi avvenuti in quelle isole, difese da una loro cintura di coralli e di madrepore.

Ma fra i rottami che furono raccolti, nessuno se ne trovò che appartenesse al Franklin, e d'altra parte i naufraghi erano morti o rimpatriati.

Il Dolly-Hope, che aveva rifatto la provvista di carbone durante la sosta a Mindanao, era già molto alleggerito alla fine di questa navigazione attraverso i meandri del gruppo di Holo. Gli rimaneva però abbastanza combustibile per attraversare il mare di Celebes dirigendosi alle isole Maratubas e giungere al porto di Bandger-Massing, posto al sud del Borneo.

Il capitano Ellis si lanciò in mezzo a quel bacino chiuso come un lago dalle grandi isole malesi da una parte, e da una cintura d'isolotti

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dall'altra. Il mare di Celebes, nonostante queste barriere naturali, non è abbastanza difeso dalla violenza degli uragani, e se si può vantare lo splendore delle sue acque formicolanti di zoofiti dagli splendidi colori e di molluschi di mille specie, se l'immaginazione dei naviganti può giungere fino a paragonarlo ad una aiuola di fiori, i tifoni che lo devastano gettano però un'ombra ben cupa su questo meraviglioso quadro.

Il Dolly-Hope ne fece l'esperienza nella notte dal 28 al 29 febbraio. Tutta la giornata il vento era rinforzato a poco a poco, e sebbene verso sera si fosse calmato, nuvole enormi e scure ingombravano l'orizzonte facendo presagire una notte agitata.

Infatti verso le undici l'uragano si scatenò violentissimo, e in breve il mare fu sconvolto in modo incredibile.

Il capitano Ellis giustamente preoccupato per la macchina del Dolly-Hope, cercò di prevenire eventuali incidenti che potessero compromettere la spedizione; a tale scopo si mise alla cappa in modo da non forzare il movimento dell'elica tranne che per la velocità che era indispensabile perché la nave fosse sensibile al timone.

Nonostante queste precauzioni, l'uragano si scatenò con tanta violenza e le onde si avventarono con tale furia che il Dolly-Hope dovette sostenere una dura lotta contro gli urti; un centinaio di tonnellate d'acqua precipitate sul ponte sfondarono il boccaporto e si accumularono nella stiva. Ma i tramezzi resistettero, e impedirono all'acqua di spandersi fin negli scompartimenti del fuochista e della macchina. Fu una fortuna, giacché se il Dolly-Hope avesse avuto i fuochi spenti, sarebbe stato in balia della tempesta, e non governando più, investito di traverso dalle onde, sarebbe affondato.

L'equipaggio dimostrò coraggio e sangue freddo in queste occasioni: fu un valido aiuto per il comandante e gli ufficiali e si rese degno del capitano che l'aveva scelto fra i migliori marinai di San Diego. Così la nave fu salva grazie all'abilità e alla precisione delle manovre.

Dopo quindici estenuanti ore di tempesta il mare si calmò a poco a poco e fu completamente tranquillo all'avvicinarsi alla grande isola di Borneo. La mattina del 2 marzo il Dolly-Hope giunse in vista delle isole Maratubas.

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Queste isole, che geograficamente dipendono da Borneo, furono attentamente esplorate nella prima quindicina di marzo. Grazie ai doni che furono elargiti i capi delle popolazioni si prestarono a tutte le esigenze dell'inchiesta, tuttavia non si riuscì a sapere nulla circa la scomparsa del Franklin. Poiché questi passaggi della Malesia sono troppo spesso corsi dai pirati, si poteva temere che John Branican e il suo equipaggio fossero stati trucidati tutti.

Un giorno il capitano Ellis, parlando col secondo di questa possibilità gli disse:

— La perdita del Franklin potrebbe esser dovuta a un attacco di questo genere, cosa che spiegherebbe il motivo per cui non abbiamo finora scoperto nessun indizio del naufragio. Quei pirati non stanno a vantarsi delle loro imprese. Quando una nave scompare, la catastrofe viene attribuita a un tifone.

— Voi avete ragione, capitano — rispose il secondo — su questi mari i pirati sono molto numerosi e dovremo anche essere più attenti nel discendere lo stretto di Makasar.

— Certamente — riprese il capitano Ellis — ma noi ci troviamo in condizioni migliori in confronto a John Branican per sfuggire a quei malfattori. Coi venti irregolari e mutevoli, una nave a vela non può manovrare come vuole. Noi invece, finché la nostra macchina funzionerà, non dobbiamo temere nulla dalle imbarcazioni malesi. Tuttavia raccomando la più grande attenzione.

Il Dolly-Hope imboccò lo stretto di Makasar che separa il litorale di Borneo da quello dell'isola Celebes, capricciosamente frastagliato. Per due mesi, dal 15 marzo al 15 maggio, dopo aver rinnovato la provvista di carbone al porto di Damaring, il capitano Ellis esplorò tutte le insenature dell'est.

Quest'isola Celebes, scoperta da Magellano, misura ben centonovantadue leghe di lunghezza ed è larga venticinque. Essa è disegnata in modo tale che alcuni geografi poterono paragonarla a una tarantola di cui le penisole raffiguravano le enormi zampe. La bellezza dei suoi paesaggi, la ricchezza dei suoi prodotti, la felice disposizione delle sue montagne la fanno pari alla superba Borneo. Ma la costa è talmente frastagliata da offrire facile rifugio alla pirateria, per cui la navigazione dello stretto è pericolosissima.

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Ciò nonostante il capitano Ellis volle svolgere il suo compito con la massima precisione. Le sue caldaie erano sempre in pressione ed egli esplorava le insenature con le barche di bordo pronto a tornarvi alla minima avvisaglia di pericolo.

Avvicinandosi all'estremità meridionale dello stretto il Dolly-Hope poté navigare in condizioni meno pericolose. Infatti questa parte dell'isola Celebes è sotto il dominio olandese; la capitale di quei possedimenti è Makasar, un tempo Wlaardingen, difesa dal forte Rotterdam. Proprio là il capitano Ellis venne ad ancorarsi il 17 maggio per far riposare l'equipaggio e rifornirsi di combustibile. Se egli non aveva scoperto nulla che potesse metterlo sulle tracce di John Branican, apprese però in questo porto una notizia importantissima sull'itinerario che il Franklin aveva dovuto seguire: il 3 maggio 1875 la nave era stata segnalata a dieci miglia al largo di Makasar diretta verso il mare di Giava. Era dunque sicuro che non era perita nei temuti mari della Malesia, e che bisognava cercare le sue tracce oltre Celebes e Borneo, cioè nel mare di Giava, spingendosi fino a Singapore.

In una lettera diretta a mistress Branican da quell'estremo punto dell'isola Celebes, il capitano Ellis la informò della situazione promettendo ancora di informarla anche sulle nuove ricerche che da quel momento sarebbero state fatte tra il mare di Giava e le isole della Sonda.

Infatti, era conveniente che il Dolly-Hope non oltrepassasse il meridiano di Singapore che doveva essere il termine della sua campagna verso ovest. Avrebbe completato le ricerche al ritorno esplorando le rive meridionali del mar di Giava, e visitando la corona d'isole che lo delimitano; poi dirigendosi al gruppo delle Molucche sarebbe ritornato all'oceano Pacifico e di là alla terra americana.

Il Dolly-Hope lasciò Makasar il 23, rasentò la parte inferiore dello stretto, che separa l'isola Celebes dall'isola Borneo e venne ad ancorarsi a Bandger-Massing. È questa la sede del governatore dell'isola di Borneo, o meglio Kalematan, se la si vuole chiamare col suo vero nome geografico.

Vennero fatte tutte le ricerche del caso sui registri della marina, ma non fu trovato alcun indizio che potesse far pensare al passaggio

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del Franklin per quei paraggi. E del resto questo era logico dal momento che esso s'era tenuto in alto mare da Giava.

Dieci giorni dopo il capitano Ellis, essendosi portato a sud-ovest, gettò l'ancora nel porto di Batavia, all'estremità di quella grande isola di Giava d'origine prettamente vulcanica da dove esce sempre del fumo.

Bastarono pochi giorni all'equipaggio per rifare le provviste in quella gran città che è la capitale dei possedimenti olandesi nell'Oceania. Il governatore generale, informato dalle corrispondenze marittime, dei tentativi di mistress Branican per ritrovare i naufraghi, ricevette con gentilezza il capitano Ellis, ma purtroppo non poté fornire nessuna notizia sul Franklin. Allora i marinai di Batavia pensavano che il tre-alberi americano, disalberato da una burrasca, fosse colato a fondo. Nei primi sei mesi del 1875 molte navi erano scomparse senza che nessuno avesse saputo nulla né le correnti avessero mai gettato alcun rottame sulla costa.

Lasciando Batavia il Dolly-Hope lasciò a sinistra lo stretto della Sonda che mette in comunicazione il mar di Giava e il mar di Timor; poi toccò le isole Billitow e di Banga. Una volta i paraggi di queste isole erano infestati dai pirati e le navi che vi si recavano per imbarcare minerali di ferro e di stagno evitavano a stento i loro assalti. Ma ormai da parecchio la polizia marittima li aveva distrutti e dunque non c'era motivo di immaginare che il Franklin ed il suo equipaggio fossero stati vittime delle loro aggressioni.

Continuando a risalire verso nord-ovest, visitando le isole del litorale di Sumatra, il Dolly-Hope, rilevata la punta della penisola di Malacca, si ancorò a Singapore la mattina del 20 giugno dopo una traversata ritardata da venti contrari.

Il capitano Ellis fu obbligato a fermarsi in porto quindici giorni per certe riparazioni alla macchina. L'isola è poco estesa, al massimo duecentosettanta miglia quadrate. Ma è importantissima per il movimento del suo commercio con l'Europa e con l'America; ed è divenuta uno dei possedimenti più ricchi dell'estremo Oriente dal giorno che gli inglesi vi fondarono il loro primo stabilimento nel 1818.

Sappiamo che a Singapore il Franklin doveva consegnare parte

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del suo carico per conto della casa Andrew prima di recarsi a Calcutta; e sappiamo anche che il tre-alberi americano non vi era mai apparso: tuttavia il capitano Ellis volle approfittare del suo soggiorno per ottenere informazioni relative ai naufragi avvenuti nei mari di Giava negli ultimi anni.

Poiché il Franklin era stato segnalato al largo di Makasar, e poiché però a Singapore non era arrivato, bisognava per forza ammettere che avesse naufragato fra quei due punti. A meno che il capitano John Branican avesse lasciato il mar di Giava e attraversato uno di quegli stretti che separano le isole della Sonda per scendere al mare di Timor… Ma perché avrebbe dovuto far questo se la sua destinazione era Singapore? Era inesplicabile, inammissibile.

Avendo dato le ricerche risultati negativi, il capitano Ellis non poté fare altro che accommiatarsi dal governatore di Singapore per ricondurre la sua nave in America.

Il 25 agosto cominciarono i preparativi mentre il tempo era burrascoso; il caldo era eccessivo, come è generalmente nel mese di agosto in quella parte della zona torrida, posta a qualche grado sotto l'Equatore.

Il Dolly-Hope fu molto battuto dal maltempo durante le ultime settimane del mese; tuttavia, seguendo le molte isolette della Sonda non ne lasciò inesplorata neppure una. Successivamente si recò all'isola di Madura, una delle venti reggenze di Giava, a Bali che è un possedimento fra i più mercantili, e a Lombok e Sumbava, in cui il vulcano Tombovo minacciava allora una eruzione disastrosa come quella avvenuta nel 1815.

Fra queste diverse isole si aprono altrettanti stretti che comunicano col mare di Timor.

Il Dolly-Hope dovette usare molta prudenza nelle manovre per evitare le correnti a volte così impetuose da trascinare le navi fin entro il monsone dell'ovest. È noto quanti pericoli corra chi si avventura su quei mari, soprattutto se si tratta di navi a vela, che non hanno la potenza locomotrice. Da ciò derivano le catastrofi marittime tanto frequenti intorno alla zona malesiana.

Partendo dall'isola di Flores, il capitano Ellis seguì la catena delle altre isole che chiude al sud il mare delle Molucche, ma inutilmente.

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Nessuna meraviglia se, date le delusioni subite, l'equipaggio fosse scoraggiato. Tuttavia non bisognava rinunciare alla speranza di trovare il Franklin, finché l'esplorazione non fosse terminata. Poteva anche darsi che il capitano John, invece di scendere lo stretto di Makasar, lasciando Mindanao delle Filippine, avesse attraversato l'Arcipelago ed il mare delle Molucche per arrivare al mar di Giava e mostrarsi al largo dell'isola Celebes.

Intanto il tempo passava, e il libro di bordo non poteva segnalare nulla sulla sorte del Franklin. A Timor e nei tre gruppi che formano l'arcipelago delle Molucche, il gruppo d'Amboine, residenza del governatore generale, che comprende Ceram e Buru, il gruppo di Banda e quello di Gilolo, nessuno sapeva niente di una nave che si fosse perduta nella primavera del 1875.

Dal 23 settembre, data dell'arrivo del Dolly-Hope a Timor, al 27 dicembre, data del suo arrivo a Gilolo, erano trascorsi tre mesi interi, tutti occupati in ricerche, cui gli olandesi si erano prestati volentieri. Ma nessun indizio esse avevano dato sul naufragio.

Il Dolly-Hope aveva terminato la sua spedizione. Nell'isola Gilolo, la più importante delle Molucche, si chiudeva il cerchio che il capitano Ellis si era proposto di seguire intorno alle regioni Malesiane. L'equipaggio si concesse allora qualche giorno di riposo, e ne aveva ben diritto, ma se fosse comparso anche solo un piccolo indizio, quella brava gente non avrebbe lasciato nulla di intentato, anche a costo di sfidare i più gravi pericoli.

A Ternate, capitale dell'isola Gilolo, dove risiede un residente olandese, il Dolly-Hope si rifornì di viveri e carbone, per il viaggio di ritorno. Così si concluse anche l'anno 1881, il sesto dalla scomparsa del Franklin.

La mattina del 9 gennaio, il capitano Ellis si diresse a nord-est. Si era nella cattiva stagione, e la traversata fu difficoltosa, poiché i

venti sfavorevoli furono causa di lunghi ritardi. E solo il 23 gennaio l'arrivo del Dolly-Hope fu segnalato a San Diego.

Quella spedizione era durata diciannove mesi. Nonostante gli sforzi del capitano Ellis e i sacrifici del suo equipaggio, il segreto del Franklin rimaneva sepolto nel misterioso dedalo dei mari.

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CAPITOLO XII

ANCORA UN ANNO

LE LETTERE ricevute da mistress Branican durante la spedizione, non facevano sperare nel successo dell'impresa. Quindi, dopo l'arrivo dell'ultima lettera mistress Branican aveva poca fiducia nei risultati delle ricerche che il capitano Ellis doveva fare nei paraggi delle Molucche.

Quando mistress Branican seppe che il Dolly-Hope era al largo di San Diego, si recò al porto, accompagnata da William Andrew, e appena la nave fu ancorata entrambi si fecero condurre a bordo.

L'espressione del capitano Ellis e dell'equipaggio diceva chiaramente che il secondo periodo della campagna non aveva avuto esito migliore del primo.

Mistress Branican, porgendo la mano al capitano, si fece innanzi agli uomini profondamente stanchi dopo un viaggio simile e con voce ferma disse:

— Vi ringrazio, capitano Ellis, e anche voi, amici. Avete fatto tutto quanto da voi ci si poteva aspettare, ma non siete riusciti e forse pensate che sia impossibile riuscire. Ma io non dispero, no, non dispero di rivedere John e i suoi compagni del Franklin; la mia speranza è in Dio, e Dio non la deluderà.

Queste parole, pronunciate con straordinaria fermezza, dimostravano una così rara energia, denunciavano tanta risoluzione in mistress Branican, che la sua convinzione avrebbe dovuto comunicarsi a tutti i cuori. Tuttavia, benché tutti la ascoltassero con rispetto, ormai nessuno metteva in dubbio la perdita definitiva del Franklin e del suo equipaggio.

Eppure, non era forse meglio affidarsi a quella intuizione speciale che spesso la donna possiede per natura? Mentre l'uomo misura col metro della ragione i fatti e le loro conseguenze, talvolta la donna

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prevede meglio l'avvenire grazie al suo intuito. Una specie di istinto la guida dandole quasi la facoltà di prevenire gli avvenimenti. Chissà che un giorno i fatti dessero ragione a mistress Branican contro l'opinione generale?

William Andrew e Dolly si erano portati sul quadrato del Dolly-Hope, dove il capitano Ellis fece un racconto minuzioso della spedizione. Le carte della Polinesia e della Malesia, spiegate sul tavolino, permettevano di seguire la rotta dello steamer, i suoi ancoraggi, i numerosi punti esplorati, le informazioni raccolte nei principali porti e nei villaggi indigeni, le ricerche fatte in mezzo agli isolotti con pazienza e zelo infaticabile.

Poi il capitano Ellis disse: — Permettetemi, mistress Branican, di farvi notare soprattutto

questo particolare: il Franklin è stato visto per l'ultima volta alla punta sud delle Celebes il 3 maggio 1875, circa sette settimane dopo la partenza da San Diego, e, da quel giorno, non è stato più incontrato in nessun luogo. Dunque, poiché non è giunto a Singapore, è certo che il naufragio è avvenuto nel mar di Giava. In che modo? Si possono fare due supposizioni: la prima è che il Franklin sia colato a fondo, o che sia perito in uno scontro senza lasciare traccia. La seconda è che si sia spezzato contro gli scogli o che sia stato distrutto dai pirati malesi; ma stando a questi due ultimi casi avremmo dovuto trovare qualche rottame. Invece, nonostante le nostre ricerche, non siamo riusciti ad avere la prova materiale della distruzione del Franklin.

Risultava chiaro, da questo discorso, che bisognava stare ad uno dei casi della prima ipotesi, quella che attribuiva la perdita del Franklin alle violente tempeste, così frequenti nei paraggi della Malesia. Infatti, nel caso di una collisione, è molto raro che una delle navi abbordate non continui a tenere il mare e prima o poi la notizia dello scontro si viene a sapere. Era dunque impossibile continuare a sperare.

Era questo che il capitano Ellis intendeva dire e abbassava tristemente il capo dinanzi allo sguardo di mistress Branican, che continuava ad interrogarlo.

— Ebbene no — ella concluse — il Franklin non è colato a

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fondo! John e il suo equipaggio non sono periti! E poiché Dolly continuava a far domande, il capitano Ellis dovette

riferirle ogni cosa fin nei minimi particolari, ed ella tornava poi a domandare le stesse cose, a discutere, senza arrendersi dinanzi all'evidenza dei fatti.

Il colloquio durò tre ore, e quando mistress Branican si accomiatò dal capitano Ellis, costui le domandò se era sua intenzione che il Dolly-Hope fosse disarmato.

— Assolutamente no, capitano — ella rispose; — mi dispiacerebbe davvero se voi ed il vostro equipaggio voleste abbandonare l'impresa. Come possiamo sapere che non sopravverranno nuovi indizi inducendoci ad intraprendere una nuova spedizione? Se voi acconsentite a rimanere al comando del Dolly-Hope…

— Lo farei volentieri — rispose il capitano Ellis — ma io appartengo alla casa Andrew ed essa potrebbe aver bisogno dei miei servigi.

— Questa considerazione non vi trattenga, mio caro Ellis — rispose William Andrew — io sarò lieto che voi rimaniate a disposizione di Dolly se lo desidera.

— Sono ai suoi ordini, signor Andrew, il mio equipaggio ed io non lasceremo il Dolly-Hope.

— E vi prego, capitano — aggiunse mistress Branican — di provvedere perché tutto sia pronto per riprendere il mare.

Dando il proprio consenso, l'armatore aveva voluto semplicemente accondiscendere ai desideri di Dolly, ma il capitano Ellis era convinto che alla povera signora sarebbe toccato di dover rinunciare ad una seconda campagna, dopo gli inutili risultati della prima. Se il tempo non avrebbe mai affievolito in lei il ricordo della catastrofe avrebbe almeno distrutto, prima o poi, ogni resto di speranza.

Dunque, secondo i desideri di mistress Branican, il Dolly-Hope non fu disarmato. Il capitano Ellis e i suoi marinai continuarono a figurare nei ruoli d'equipaggio e a riscuotere lo stipendio come se fossero stati in corso di navigazione.

C'erano del resto importanti riparazioni da fare, dopo aver

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trascorso diciannove mesi sui tempestosi mari della Malesia; lo scafo doveva passare nel bacino di carenaggio, l'attrezzamento doveva essere in parte rinnovato, le caldaie sostituite come anche qualche pezzo della macchina. Quando questi lavori furono ultimati, il Dolly-Hope imbarcò i viveri, riempì la stiva di carbone e fu pronto per intraprendere un nuovo viaggio.

Mistress Branican aveva ripreso la vita consueta a Prospect-House dove, tranne William Andrew e il capitano Ellis, non si riceveva nessuno. Ella viveva interamente assorta nei ricordi e nelle speranze, con la mente sempre rivolta al pensiero della doppia sventura che l'aveva colpita. Il piccolo Wat avrebbe avuto ora sette anni, l'età in cui le prime luci della ragione si risvegliano nei cervelli giovani e sensibili. Ma il piccolo Wat era morto!

Poi il pensiero di Dolly si volgeva a colui che si era sacrificato per lei, a quel Zach Fren, che avrebbe voluto conoscere e che ancora non era di ritorno a San Francisco. Ma questo non sarebbe durato ancora a lungo. Spesso gli annali marittimi avevano dato notizie sul Californian, e certamente l'anno 1881 non si sarebbe concluso senza che esso fosse tornato in porto. Appena vi fosse giunto, mistress Branican avrebbe chiamato Zach Fren, e gli avrebbe pagato il suo debito di riconoscenza assicurandogli l'avvenire.

Intanto mistress Branican non cessava di venire in aiuto delle famiglie colpite dalla perdita del Franklin. In effetti ella lasciava Prospect-House e scendeva ai bassi quartieri della città solo per visitare le loro casupole modeste, aiutare in ogni modo, fare opera di carità verso di loro.

Dimostrava in tutti i modi la sua generosità occupandosi dei bisogni materiali e morali dei suoi protetti; e proprio all'inizio dell'anno ella consultò William Andrew in merito a un progetto che intendeva realizzare al più presto.

Si trattava di fondare un ospizio per raccogliere i fanciulli abbandonati, gli orfanelli, ed ella voleva fondarne uno a San Diego.

— Signor Andrew — disse all'armatore -— in memoria del nostro bambino voglio pensare a questa istituzione ed assicurarle il necessario perché prosperi. John mi approverà al suo ritorno. Potremmo fare, infatti, un uso migliore delle nostre ricchezze?

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E poiché William Andrew non aveva obiezioni da fare, si mise a disposizione di mistress Branican per tutte le pratiche necessarie per la fondazione d'un istituto di quel genere. A quello scopo sarebbero stati destinati centocinquantamila dollari, prima per l'acquisto di un edificio conveniente, poi per le spese necessarie ai diversi servizi.

La cosa fu rapidamente conclusa, grazie anche alla collaborazione prestata dal municipio della città. Non ci fu bisogno di fabbricare, bastò acquistare un ampio edificio, in posizione salubre, sulla collina di San Diego, dalla parte di Old-Town. Un abile architetto lo adattò alla sua nuova destinazione, e lo dispose in modo che potesse alloggiare una cinquantina di ragazzi e un personale sufficiente per allevarli, curarli ed istruirli. Circondato da un ampio giardino, ben ombreggiato, fornito di acqua corrente, l'edificio aveva, per quanto riguarda l'igiene, tutto ciò che era necessario.

Il 19 maggio questo ospizio, cui era stato dato il nome di Wat-House, fu inaugurato di fronte a tutta la città che volle dimostrare in quell'occasione tutta la sua simpatia a mistress Branican. La caritatevole donna non comparve alla cerimonia; non aveva voluto lasciare la sua casina, ma quando un certo numero di bambini furono raccolti a Wat-House, si recò tutti i giorni a visitarli, come se fosse stata la loro madre. I fanciulli potevano rimanere fino a dodici anni nell'ospizio. Appena l'età lo consentiva, veniva loro insegnato a leggere e a scrivere e veniva loro data un'istruzione morale e religiosa; nello stesso tempo si insegnava loro un mestiere secondo le attitudini. Alcuni, appartenenti a famiglie di marinai, se mostravano passione per il mare venivano avviati al mestiere di mozzi o novizi, e in verità sembrava che Dolly sentisse per questi un affetto particolare, certamente in memoria del capitano John.

Alla fine del 1881 nessuna notizia relativa al Franklin era giunta a San Diego né altrove. Sebbene grossi premi fossero stati offerti a chiunque ne avesse ritrovato il minimo indizio, non era stato possibile far intraprendere al Dolly-Hope una seconda spedizione. Tuttavia mistress Branican non disperava. Forse il 1882 sarebbe stato più propizio del 1881.

E dei coniugi Burker cosa era avvenuto? Dove si era rifugiato Len per sfuggire alla giustizia? La polizia federale aveva ormai

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abbandonato ogni inchiesta in proposito, e così mistress Branican aveva dovuto rinunciare a sapere che cosa era avvenuto di Jane.

Questo le causava un vero dolore, poiché non cessava di pensare a lei. Si stupiva di non aver ricevuto mai nessuna lettera di Jane, eppure avrebbe anche potuto scriverle senza compromettere con questo il marito. O forse entrambi ignoravano che Dolly, ormai guarita, aveva mandato una nave in cerca del Franklin, e che questa spedizione non aveva dato nessun risultato? Era inammissibile. I giornali di tutto il mondo avevano seguito le diverse fasi di quell'impresa, e non si poteva immaginare che Len e Jane Burker non ne avessero avuto notizia. Dovevano anzi aver appreso che mistress Branican era stata arricchita dalla morte dello zio Edward Starter e che era in grado di venir loro in aiuto. Tuttavia, né l'una né l'altro avevano cercato di entrare in corrispondenza con lei, sebbene si trovassero in una situazione difficile.

Gennaio, febbraio e marzo erano già trascorsi e tutto faceva credere che l'anno 1882 non dovesse più portare nessuna novità, quando accadde qualcosa che sembrò poter gettare luce sul naufragio del Franklin.

Il 27 marzo lo steamer Californian, su cui era imbarcato il marinaio Zach Fren, venne ad ancorarsi nel golfo di San Francisco, dopo una campagna di molti anni attraverso i mari d'Europa. Appena mistress Branican seppe del ritorno della nave, scrisse a Zach Fren che era allora nostromo d'equipaggio a bordo del Californian, invitandolo a partire immediatamente per recarsi presso di lei a San Diego.

E poiché Zach Fren aveva appunto l'intenzione di ritornare nella città natale per riposarvisi qualche mese, rispose che appena gli fosse possibile sbarcare si sarebbe recato a San Diego, e la sua prima visita sarebbe stata per Prospect-House. Era questione di pochi giorni.

Ma nello stesso tempo si sparse una notizia che, se fosse stata confermata, avrebbe avuto un'eco vastissima negli stati della Confederazione.

Sembrava che il Californian avesse raccolto un rottame del Franklin. Un giornale di San Francisco aggiungeva che il Californian aveva trovato quel relitto al nord dell'Australia nei

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paraggi compresi fra il mare di Timor e il mare di Arafura al largo dell'isola Melville, all'ovest dello stretto di Torres.

Appena la notizia giunse a San Diego, William Andrew e il capitano Ellis, che erano stati avvisati per telegramma, accorsero a Prospect-House.

Alle prime parole mistress Branican si fece pallidissima, e con quell'accento fermo che denunciava la sua assoluta convinzione, disse:

— Dopo il rottame si troverà il Franklin e dopo il Franklin si troveranno John e i suoi compagni.

Il ritrovamento di quel rottame era davvero un fatto importantissimo.

Era la prima volta che si trovava una traccia della nave perduta. Per andar sul luogo della catastrofe, mistress Branican possedeva ora un anello della catena che congiungeva il presente col passato.

Subito fece portare una carta dell'Oceania, poi William Andrew e il capitano Ellis dovettero studiare il progetto di una nuova spedizione, perché ella voleva prendere una decisione immediatamente.

— Dunque — osservò William Andrew — il Franklin non avrebbe seguito la rotta per Singapore attraversando le Filippine e la Malesia.

— Ma questo è impossibile! — rispose il capitano Ellis. — Eppure — soggiunse l'armatore — se avesse seguito questo

itinerario, come mai questo pezzo di nave si sarebbe trovato nel mare di Arafura a nord dell'isola Melville?

— Non so spiegarlo, non lo capisco, signor Andrew — rispose il capitano Ellis; — ma io so che il Franklin è stato visto quando è passato a sud-ovest dell'isola Celebes dopo essere uscito dallo stretto di Makasar. Ora, se è passato per questo stretto è evidente che è venuto dal nord e non dall'est; e non ha dunque potuto entrare nello stretto di Torres.

La questione fu lungamente discussa e alla fine l'opinione del capitano Ellis sembrò la più accettabile. Mistress Branican ascoltava le risposte senza fare alcuna osservazione, ma una ruga verticale della sua fronte indicava la sua tenacia, la sua ostinazione nel non

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voler ammettere la perdita di John e dei suoi compagni. No, non avrebbe potuto crederci finché non avesse avuto una prova materiale della loro morte.

— Va bene, — disse William Andrew — sono d'accordo con voi, mio caro Ellis, che il Franklin ha dovuto attraversare il mare di Giava facendo rotta per Singapore.

— Almeno in parte, signor Andrew, perché il naufragio è avvenuto fra Singapore e l'isola Celebes.

— Certamente, ma come mai il rottame è andato alla deriva fino ai paraggi dell'Australia, se il Franklin si è spezzato su qualche scoglio del mar di Giava?

— Questo si può spiegare solo in un modo — rispose il capitano Ellis — ammettendo cioè che il rottame sia stato trascinato attraverso lo stretto della Sonda o qualche altro stretto di quelli che separano le isole dei mari di Timor e d'Arafura.

— Le correnti portano da quella parte?… — Sì, signor Andrew; anzi se il Franklin era disalberato a causa di

una tempesta, è possibile che sia stato spinto in uno di quegli stretti e che sia finito poi contro le scogliere al nord del litorale australiano.

— Questa è, in verità, — rispose William Andrew — l'unica ipotesi accettabile, e se un rottame è stato trovato al largo dell'isola Melville sei anni dopo il naufragio, ciò dipende probabilmente dal fatto che si è staccato di recente dagli scogli contro i quali il Franklin si è infranto.

Questa spiegazione era valida e nessun marinaio avrebbe pensato di metterla in dubbio.

Mistress Branican, che aveva sempre tenuto lo sguardo fisso sulla carta spiegata davanti a lei, disse:

— Poiché il Franklin è stato sbattuto sulla costa dell'Australia, e poiché i superstiti del naufragio non sono comparsi vuol dire che sono prigionieri di un popolo indigeno.

— Questo non è impossibile. — Eppure… — rispose William Andrew. Mistress Branican voleva protestare energicamente contro il

dubbio lasciato a mezz'aria dalla risposta di William Andrew quando il capitano Ellis disse:

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— Rimane da appurare se il relitto ripescato dal Californian appartiene veramente al Franklin.

— Ne dubitate? — domandò Dolly. — Lo sapremo presto — rispose l'armatore — giacché ho dato

ordine che questo relitto ci sia mandato. — E io — aggiunse mistress Branican — do ordine che il Dolly-

Hope si tenga pronto a riprendere il mare. Tre giorni dopo quel colloquio il nostromo d'equipaggio Zach

Fren, appena arrivato a San Diego, si presentava alla casina di Prospect-House.

Allora sui trentasette anni, robusto e d'aspetto deciso, con la faccia abbronzata dall'aria marina, la fisionomia franca e simpatica, egli era uno di quei marinai che ispirano fiducia e che vanno dritti dove si dice loro d'andare.

L'accoglienza di mistress Branican fu tanto cordiale che il bravo marinaio non sapeva come rispondere.

— Amico mio — ella gli disse dopo essersi abbandonata alle prime effusioni — siete voi che mi avete salvato la vita, voi che avete fatto di tutto per salvare il mio bambino. Che cosa posso fare io per voi?

Il marinaio rispose di aver fatto soltanto il proprio dovere, e che se un marinaio non agiva come lui aveva agito, non sarebbe stato un marinaio, ma solo un mercenario.

Il suo solo dolore era di non aver potuto restituire alla madre il bambino, ma non aveva alcun merito per quello che aveva fatto… ringraziava mistress Branican delle sue buone intenzioni, e con il suo permesso sarebbe tornato a vederla fin che fosse rimasto a terra.

— Da molti anni, Zach Fren, aspetto il vostro arrivo — riprese mistress Branican — e spero che sarete accanto a me il giorno in cui il capitano John sarà di ritorno.

— Il giorno che il capitano John sarà di ritorno? — Zach Fren, voi credete… — Che il capitano John sia perito? Questo no di certo — rispose il

marinaio. — Dunque voi sperate? — Di più, mistress Branican, io sono assolutamente certo del suo

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ritorno. Un capitano come lui non si perde come un berretto a un colpo di vento. No, non è mai accaduto.

Le parole di Zach Fren, che denunciavano la sua fede assoluta, fecero battere il cuore di mistress Branican. Dunque non era sola a credere che John sarebbe tornato! La sua opinione era condivisa da altri, e quest'altro era la stessa persona a cui essa doveva la vita. In questa combinazione ella scorgeva come un disegno della provvidenza.

— Grazie, Zach Fren — disse — voi non sapete il bene che mi fate; ripetetemi che il capitano John è sopravvissuto al naufragio.

— Ma sì, si mistress Branican, e la prova che è sopravvissuto è che prima o poi sarà ritrovato, e se questa non è una prova…

Poi mistress Branican chiese a Zach Fren molti particolari sulle circostanze in cui il relitto del Franklin era stato pescato dal Californian. E infine gli disse:

— Zach Fren, io ho deciso di intraprendere immediatamente nuove ricerche.

— Bene, e questa volta riusciremo e ci sarò anch'io, se me lo permettete…

— Accettereste di unirvi al capitano Ellis? — Di tutto cuore. — Grazie, Zach Fren… mi pare che essendo voi a bordo del

Dolly-Hope, ci sia quasi una speranza di più. — Lo credo, mistress Branican — rispose il marinaio,

ammiccando — e sono pronto a partire. Dolly aveva preso la mano di Zach Fren e la stringeva come

quella d'un amico; forse la sua immaginazione le faceva vedere le cose in una dimensione sbagliata, ma voleva credere che quell'uomo sarebbe riuscito là dove altri avevano tentato inutilmente.

Tuttavia, come aveva fatto osservare il capitano Ellis, per quanto la convinzione di mistress Branican fosse incrollabile, bisognava prima essere certi che il rottame pescato dal Californian appartenesse veramente al Franklin.

Mandato a San Diego dietro richiesta di William Andrew, il relitto giunse per ferrovia e fu subito portato ai cantieri della marina. Là fu esaminato dall'ingegnere e dai tecnici che avevano diretto la

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costruzione del Franklin. Quel frammento di nave, trovato dall'equipaggio del Californian

al largo dell'isola Melville, a una diecina di miglia dalla costa, era un pezzo di ruota di prua o meglio quel tagliamare scolpito che raffigura solitamente la prua delle navi a vela. Sembrava fosse stato deteriorato non tanto da una lunga permanenza nell'acqua, quanto piuttosto da una lunga esposizione alle intemperie. I tecnici ne dedussero che era rimasto certamente per molto tempo sulle scogliere contro le quali la nave si era infranta, e che si era staccato per chissà quale motivo, forse a causa della corrente. Probabilmente, quando i marinai del Californian lo avevano visto, erano già molte settimane, per non dire mesi, che se ne andava alla deriva. Ma la nave era poi quella del capitano John? Sì, perché gli avanzi di sculture riconosciute in quel frammento assomigliavano a quelle che ornavano il tagliamare del Franklin.

Questo conclusero i tecnici di San Diego. In proposito, i costruttori non avevano dubbi. Il legno adoperato per il tagliamare proveniva appunto dalle provviste del cantiere. Fu notata anche la traccia di un'armatura di ferro che fissava il tagliamare alla prua, e gli avanzi d'uno strato di pittura rossa con fili d'oro.

Il rottame portato dal Californian apparteneva dunque senza dubbio alla nave della casa Andrew, di cui invano si erano fatte ricerche nel bacino della Malesia. Ma allora bisognava prestar fede alla spiegazione data dal capitano Ellis. Poiché il Franklin era stato segnalato nel mare di Giava al sud-ovest delle isole Celebes, bisognava per forza pensare che qualche giorno dopo fosse stato trascinato attraverso lo stretto della Sonda o qualche altro passo aperto nel mare di Timor o nel mare di Arafura, per andare infine ad infrangersi contro la costa australiana.

Date queste premesse fu quindi deciso di inviare una nave in esplorazione nel bacino compreso fra le isole della Sonda e il litorale nord dell'Australia. Questa nuova campagna avrebbe avuto più fortuna di quella delle Filippine, delle Celebes e delle Molucche? Tutti volevano sperarlo.

Questa volta mistress Branican manifestò il desiderio di prendere parte personalmente al viaggio imbarcandosi sul Dolly-Hope; ma

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William Andrew e il capitano Ellis, ai quali si unì Zach Fren, riuscirono, benché a fatica, a dissuaderla. Una donna a bordo avrebbe potuto compromettere un viaggio già così pieno di difficoltà e che, tra l'altro, sarebbe stato anche lungo.

Zach Fren naturalmente fu imbarcato come nostromo d'equipaggio sul Dolly-Hope, e il capitano Ellis prese le ultime disposizioni perché la nave potesse salpare il più presto possibile.

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CAPITOLO XIII

CAMPAGNA NEL MARE DI TIMOR

IL «DOLLY-HOPE» lasciò il porto di San Diego alle dieci del 3 aprile 1882. Portatosi al largo, il capitano Ellis fece rotta verso sud-ovest, ma in una direzione un po' inferiore a quella della prima campagna. Infatti aveva intenzione di giungere al mare d'Arafura per la strada più breve, valicando lo stretto di Torres oltre il quale era stato rinvenuto il frammento del tagliamare del Franklin.

Il 26 aprile la nave giunse in vista delle isole Gilbert, sparse in quei paraggi dove le calme del Pacifico, in quel periodo dell'anno, rendono la navigazione lenta e difficile per le navi a vela. Lasciati al nord i due gruppi di Scarborugh e di Kingsmill, che compongono questo arcipelago, posto a ottocento miglia dal litorale californiano a sud-est delle Caroline, il capitano Ellis penetrò nel gruppo di Vanikoro, segnalato ad una quindicina di leghe dal monte Kapogo, che si ergeva all'orizzonte.

Quelle isole lussureggianti, interamente coperte di impenetrabili foreste, appartengono all'arcipelago Viti. Sono unite da scogliere madreporiche che le rendono pericolosissime per le chiglie delle navi. Si sa che proprio lì Dumont d'Urville e Dillon ritrovarono gli avanzi delle navi di Lapérouse, la Recherche e l'Espérance, partite da Brest nel 1791, finite sugli scogli di Vanikoro, e mai più tornate in porto.

Giunti in vista di quell'isola così tristemente celebre, veniva spontaneo un accostamento agli uomini del Dolly-Hope: che il Franklin avesse subito la stessa sorte delle navi di Lapérouse? Come già era accaduto a Dumont d'Urville e Dillon, al capitano Ellis sarebbe forse toccato di imbattersi soltanto nei rottami della nave perduta? Oppure, non potendosi scoprire il luogo della catastrofe, il destino di John Branican e dei suoi compagni sarebbe rimasto per

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sempre avvolto nel mistero? Duecento miglia più avanti il Dolly-Hope attraversò obliquamente

l'arcipelago delle Salomon, chiamato un tempo Nuova Georgia o Terre Arsacidi.

Quest'arcipelago racchiude una decina di grandi isole sparpagliate per una lunghezza di duecento leghe e una larghezza di quaranta. Fra esse ci sono le isole Carteret, altrimenti dette isole del Massacro, nome che sta a indicare di quali scene sanguinose siano state teatro.

Il capitano Ellis non aveva nessuna informazione da chiedere agli indigeni di quel paese, nessuna ricerca particolare da fare in quei paraggi, perciò non vi si fermò e preferì affrettarsi verso lo stretto di Torres, impaziente quanto Zach Fren di giungere a quel punto del mare d'Arafura in cui era stato scoperto il rottame. Era là che l'inchiesta doveva essere minutamente e pertinacemente condotta. E chi sa che non potesse dare un buon risultato.

Le terre della Papuasia, chiamata anche Nuova Guinea, non erano molto lontane. Alcuni giorni dopo aver varcato l'arcipelago delle Salomon, il Dolly-Hope avvistò l'arcipelago delle Luisiadi. Passò al largo delle isole Rossel, d'Entrecasteaux, Trobriand, e di un gran numero di isolotti interamente ricoperti da una distesa di alberi di cocco.

Finalmente, dopo una traversata di tre settimane, le vedette scorsero all'orizzonte le alte terre della Nuova Guinea, poi le punte del capo York sul litorale australiano che limitano al nord e al sud lo stretto di Torres.

Si tratta di una zona pericolosissima. I capitani di lungo corso si guardano bene dall'avventurarvisi, a meno che proprio non vi siano costretti. Lo stretto è tanto pericoloso che le Compagnie d'Assicurazioni marittime non garantiscono dai rischi di naufragio.

Sono soprattutto perniciose le correnti che di continuo vanno dall'est all'ovest, portando le acque del Pacifico al mare delle Indie. I bassi fondi rendono la navigazione estremamente pericolosa. Del resto non è possibile avventurarcisi tranne che per poche ore del giorno, quando la posizione del sole permette di scorgere gli scogli sott'acqua.

Quando la nave fu nei pressi dello stretto di Torres, il capitano

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Ellis, parlando col suo secondo ufficiale e con Zach Fren, domandò al nostromo:

— Il Californian ha ripescato il rottame del Franklin proprio all'altezza dell'isola Melville?

— Precisamente — rispose Zach Fren. — Bisognerebbe dunque calcolare all'incirca cinquecento miglia

attraverso il mare d'Arafura dopo lo stretto? — Proprio così, capitano, e capisco perfettamente come la cosa

possa sembrarvi strana. Stando alle correnti regolari che portano dall'est all'ovest, e considerato che questo pezzo di tagliamare è stato raccolto al largo dell'isola Melville, bisognerebbe concludere che il Franklin si sia perduto all'entrata dell'isola di Torres.

— Senza dubbio, Zach Fren. Ma allora dobbiamo anche pensare che John Branican sia andato a scegliere proprio quel passo così pericoloso per recarsi a Singapore; e questo io non l'ammetterò mai. Salvo circostanze che io non posso sapere, persisto nel credere che abbia dovuto attraversare i paraggi della Malesia, come abbiamo fatto noi nella nostra prima campagna, perché è stato visto per l'ultima volta al sud dell'isola Celebes.

— E se questo fatto è fuori discussione — osservò il secondo — ne deriva che il capitano Branican può essere entrato nel mare di Timor solo attraverso uno degli stretti che separano le isole della Sonda.

— Questo è certo — rispose il capitano Ellis — e non capisco come il Franklin abbia potuto essere risospinto verso est. Ora, i casi sono due: era disalberato o non lo era; se era disalberato, le correnti hanno dovuto trascinarlo per centinaia di miglia a ovest dello stretto di Torres. Se non lo era, perché sarebbe tornato verso lo stretto, mentre Singapore è nella opposta direzione?

— Non so cosa pensare — replicò il secondo. — Se il rottame fosse stato trovato nel mar delle Indie, tutto si potrebbe spiegare con un naufragio avvenuto sulle isole della Sonda o sul litorale ovest dell'Australia.

— E invece il relitto è stato ripescato all'altezza delle isole Melville — rispose il capitano Ellis — e questo sta ad indicare che il Franklin s'è perduto nella parte del mare d'Arafura vicina allo stretto

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di Torres, o anche nello stretto stesso. — Probabilmente — fece osservare Zach Fren — ci sono contro-

correnti lungo la costa australiana, che hanno respinto il rottame verso lo stretto. In questo caso il naufragio potrebbe essersi verificato a ovest del mare d'Arafura.

— È quel che vedremo — disse il capitano Ellis. — Ma, intanto, manovriamo come se il Franklin si fosse perduto nello stretto di Torres.

— E se manovreremo bene — rispose Zach Fren — ritroveremo il capitano John.

Non c'era niente di meglio da fare e così fu fatto. La larghezza dello stretto di Torres è all'incirca di una trentina di

miglia. È difficile immaginare il numero dei suoi isolotti e dei suoi scogli, di cui solo i migliori idrografi riescono a stabilire la posizione. Se ne contano almeno novecento, la maggior parte a fior d'acqua, e i più vasti misurano tre o quattro miglia di circonferenza. Sono popolati da tribù di Andamani, pericolosi per gli equipaggi che cadono nelle loro mani, come prova l'eccidio dei marinai del Chesterfield e dell'Hormuzier.

Servendosi delle loro leggere piroghe, di costruzione malese, gli indigeni di queste zone possono andare senza fatica dalla Nuova Guinea all'Australia o dall'Australia alla Nuova Guinea. Dunque, se il capitano John e i suoi compagni si fossero rifugiati in uno di quegli isolotti, sarebbe stato loro facile raggiungere la costa australiana, poi qualche borgata del golfo di Carpentaria o della penisola del capo York. Dopo di che il rimpatrio era cosa abbastanza tranquilla. Ora, poiché nessuno dell'equipaggio era ricomparso, la sola ipotesi ammissibile era che fossero caduti in potere degli indigeni dello stretto. In questo caso c'erano ben poche speranze di ritrovare ancora dei superstiti: da quei selvaggi che uccidono senza pietà, non bisogna certo aspettarsi il rispetto dei prigionieri.

Questa era la convinzione del capitano Ellis e degli uomini del Dolly-Hope. Tale doveva essere stata la sorte dei superstiti del Franklin, se la nave si era perduta nello stretto di Torres. Rimaneva da esaminare la possibilità che non si fosse cacciata in quello stretto. Ma allora, come spiegare quel frammento di tagliamare, incontrato al

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largo delle isole Melville? Il capitano Ellis penetrò coraggiosamente attraverso quei paesi

temuti, prendendo però con la massima prudenza ogni possibile precauzione. Disponendo di uno steamer efficiente, di ufficiali vigilanti, di un equipaggio coraggioso e dotato di sangue freddo, era sicuro di cavarsela in quel labirinto di scogli riuscendo anche, all'evenienza, a fronteggiare gli indigeni se avessero tentato di assalirlo.

Quando – per una qualsiasi ragione – le navi imboccano lo stretto di Torres, solcato da banchi di corallo dalla parte dell'oceano Pacifico, seguono la costa australiana. Ma, nel sud della Papuasia, esiste una grande isola, l'isola Murray, che bisognava visitare con cura particolare.

Perciò il Dolly-Hope avanzò fra le due pericolose scogliere chiamate Eastern-Fields e Boot-Reef. Quest'ultima, per la disposizione delle sue rocce, presentava da lontano l'aspetto d'una nave naufragata, tanto che per un attimo l'equipaggio del Dolly-Hope pensò di essere di fronte ai resti del Franklin. Fu però un'emozione di breve durata, perché la scialuppa a vapore permise ben presto di constatare che si trattava semplicemente d'un bizzarro cumulo di massi corallini.

Molti canotti, fatti di tronchi d'albero scavati col fuoco o con l'accetta, provvisti di bilancieri che assicurano l'equilibrio in mare, maneggiati con la pagaia da cinque o sei indigeni furono visti in vicinanza dell'isola Murray. Gli indigeni si accontentarono di gridare, anzi, di urlare come belve. Il Dolly-Hope poté comunque fare il giro dell'isola senza essere costretto a respingere con la forza la loro aggressione.

In nessun luogo furono trovate tracce del naufragio. Sulle isole e sugli isolotti niente altro che neri indigeni dalle forme atletiche, con capigliatura lanosa, tinti di rosso, dalla pelle lucente, dal naso grosso e non schiacciato. Per manifestare la propria ostilità, agitavano lance, archi e frecce dopo essersi riuniti sotto gli alberi di cocco che si contano a migliaia in quelle regioni dello stretto.

Per tutta la durata di un mese, cioè fino al 10 giugno, dopo aver rinnovato la provvista di commestibili a Somerset, uno dei porti

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dell'Australia meridionale, il capitano Ellis perlustrò minutamente lo spazio compreso fra il golfo di Carpentaria e la Nuova Guinea. Si ancorò nelle isole Mulgrave, Banks, Horn, Albany, all'isola Booby disseminata di caverne oscure, in una delle quali è stata collocata la buca delle lettere dello stretto di Torres. Ma i navigatori non si accontentano di deporre le loro lettere in questa cassetta, la cui levata, come si può bene immaginare, è tutt'altro che regolare. Una specie di convenzione internazionale obbliga i marinai dei diversi Stati a far deposito di carbone e di viveri su quell'isola Booby, e non c'è da temere che siano depredati dagli indigeni, giacché la violenza delle correnti non permette alle loro fragili imbarcazioni di accostarsi.

Molte volte, adescati da regali di poco conto, alcuni mados – o capi – di quelle isole si lasciarono avvicinare. Essi offrivano in cambio del «kaiso» o scaglie di tartaruga, e degli «incras», conchiglie infilate usate come monete. Non potendo farsi intendere, né capire il loro linguaggio, fu tuttavia impossibile sapere se quegli Andamani avessero notizie di un naufragio che fosse coinciso con la scomparsa del Franklin. Non sembrava, però, che possedessero oggetti di fabbricazione americana, armi o utensili. Non si trovarono né oggetti di ferro, né pezzi di scafo, né frammenti di alberatura o di pennoni che sembrassero provenire dalla demolizione d'una nave. Ragione per cui, quando il capitano Ellis lasciò gli isolani dello stretto di Torres, se non poteva affermare con certezza che il Franklin non fosse andato a sfracellarsi su quegli scogli, però non aveva neanche raccolto nessun indizio in proposito. Restava ora da esplorare il mare d'Aratura, e subito dopo il mare di Timor fra la catena di isolette della Sonda al nord e il litorale australiano al sud. Quanto al golfo di Carpentaria, il capitano Ellis non ritenne opportuno visitarlo, poiché se fosse avvenuto un naufragio sulle coste non sarebbe rimasto sconosciuto ai coloni vicini. Egli si riprometteva invece di investigare il litorale della Terra di Arnhem e al ritorno la parte settentrionale del mare di Timor e i numerosi passi che vi danno accesso fra le isole.

Questa navigazione sui mari della terra d'Arnhem, seminati di isolotti e di scogliere, durò per un mese intero, e fu fatta con zelo e

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con un coraggio quasi inverosimile. Ma dappertutto, dalla punta occidentale del golfo di Carpentaria fino al golfo di Van Diemen, il risultato fu identico: nessuna notizia. L'equipaggio del Dolly-Hope non riuscì a trovare da nessuna parte qualche resto d'una nave naufragata. Gli indigeni australiani e i cinesi, che praticano il commercio in quei mari, non fornirono schiarimenti di sorta. Inoltre, se i superstiti del Franklin fossero stati fatti prigionieri dalle tribù australiane di quella regione, che sono tribù cannibali, di loro nessuno si sarebbe salvato se non per miracolo.

L'11 luglio, giunti al 130° di longitudine, il capitano Ellis dette inizio alla ricognizione dell'isola Melville e dell'isola Bathurst, separate l'una dall'altra da un passo strettissimo. Il rottame del Franklin era stato raccolto dieci miglia al nord di questo gruppo. Se esso non era stato portato più lontano all'ovest, significava che le correnti l'avevano staccato dagli scogli soltanto poco prima dell'arrivo del Californian. Era dunque possibile che il teatro della catastrofe non fosse lontano.

L'esplorazione durò quasi quattro mesi, comprendendo non solo le due isole, ma anche le linee costiere delle Terre d'Arnhem fino al canale della Regina e alla foce del Victoria-River.

Era difficilissimo inoltrarsi all'interno. Significava arrischiare troppo senza alcuna probabilità di ottenere informazioni. Le tribù che frequentano i territori al nord del continente australiano sono assai temibili. Alcuni fatti di cannibalismo erano accaduti recentemente in quei paraggi: il capitano Ellis lo aveva saputo in una delle soste effettuate lungo il suo viaggio. L'equipaggio d'una nave olandese, il Groningue, attirato da finte dimostrazioni amichevoli degli indigeni dell'isola Bathurst, era stato trucidato e divorato da quelle belve (non è forse questo l'unico nome che a loro si attaglia?). Chiunque diventi loro prigioniero può considerarsi votato alla morte più spaventosa.

Tuttavia, il capitano Ellis, pur rendendosi conto che doveva rinunciare al tentativo di sapere dove e quando l'equipaggio del Franklin fosse per caso caduto fra le mani di quei cannibali, sperava di riuscire a scoprire qualche indizio del naufragio. E tanto più lo sperava perché non erano ancora otto mesi che il Californian aveva raccolto quel frammento di tagliamare al nord dell'isola Melville.

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Il capitano Ellis e il suo equipaggio si diedero allora a perlustrare le insenature e gli scogli della costa senza badare né alle fatiche né ai pericoli cui si esponevano. Ciò spiega la durata di quella esplorazione che fu lunghissima perché condotta con estrema minuzia.

Più di una volta il Dolly-Hope corse rischio d'infrangersi contro gli scogli infidi di quei mari. Altre volte corse rischio d'essere invaso dagli indigeni, di cui dovette respingere le piroghe a schioppettate quand'erano lontani, a colpi d'accetta se tentavano l'abbordaggio.

Ma né sulle isole Melville e Bathurst; né sulla Terra d'Arnhem fino alla foce del Victoria, né sullo stretto di Torres le ricerche diedero qualche frutto. In nessun luogo si vide traccia qualsiasi di un naufragio.

Ecco a che punto era la spedizione il 3 novembre. Che decisione doveva prendere il capitano Ellis? Doveva considerare la sua missione come compiuta, almeno per ciò che riguardava il litorale australiano, con le sue isole e i suoi isolotti? Doveva pensare al ritorno dopo avere esplorato le isolette della Sonda nella parte settentrionale di Timor? Insomma sentiva d'aver fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità?

Quel bravo marinaio esitava a dare per compiuta la sua impresa, pur avendola proseguita fino alle spiagge dell'Australia.

Un incidente troncò le sue esitazioni. La mattina del 4 novembre egli passeggiava con Zach Fren a

poppa dello steamer, quando il nostromo gli mostrò alcuni oggetti galleggianti a mezzo miglio dal Dolly-Hope. Non erano rottami di legno, fasciature di navi o tronchi d'alberi, ma enormi fardelli d'erbe, specie di sargassi giallastri strappati dalle profondità sottomarine e che seguivano il profilo della costa.

— È una cosa molto strana — fece osservare Zach Fren. — Non mi chiamo più Zach Fren se queste erbe non provengono dall'ovest anzi dal sud-ovest. Deve esserci una corrente che le porta verso lo stretto.

— Sì — rispose il capitano Ellis — e dev'essere una corrente locale che si dirige ad est, a meno che non ci sia uno spostamento di marea.

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— Non credo, capitano — rispose Zach Fren — poiché all'alba ho visto un gran numero di questi sargassi andare alla deriva verso terra.

— Nostromo, siete sicuro di quanto dite? — Come sono sicuro che finiremo col trovare il capitano John. — Ebbene, se questa corrente esiste — riprese a dire il capitano

Ellis — può darsi che il rottame del Franklin sia venuto dall'ovest seguendo la costa australiana.

— Sono d'accordo con voi — rispose Zach Fren. — Allora non c'è da esitare, nostromo, bisogna prolungare la

ricognizione di queste coste attraverso il mare di Timor fino all'estremità dell'Australia occidentale!

— Ne sono più che convinto, capitano Ellis, poiché è fuor di dubbio che deve esserci una corrente della costa che si dirige all'isola Melville. Supponendo che il capitano Branican si sia perduto nei paraggi dell'ovest, questo spiegherebbe come un pezzo della sua nave abbia potuto andare a finire dove l'abbiamo ripescato col Californian.

Il capitano Ellis fece venire il suo secondo e lo consultò sulla convenienza di continuare la navigazione in direzione ovest.

Il secondo fu del parere che l'esistenza di quella corrente locale esigeva che l'esplorazione fosse spinta almeno fino al punto in cui aveva origine.

— Proseguiamo la nostra rotta all'ovest — ordinò il capitano Ellis. — Non dobbiamo tornare a San Diego con i nostri dubbi, ma con la certezza che non resti più nulla del Franklin, se è perito sulla costa australiana.

Il Dolly-Hope risalì dunque fino a Timor per rifare la sua provvista di combustibile.

Dopo un riposo di quarantotto ore ridiscese verso quel promontorio di Londonderry che sporge all'angolo dell'Australia occidentale.

Lasciando il Queen's Channel, il capitano Ellis cercò di costeggiare più da vicino possibile il continente, a partire da Turtle-Point. In questo punto la corrente manifestava molto nettamente la sua direzione dall'ovest all'est.

Non era uno di quegli effetti di marea collegati col flusso e il riflusso, ma un trasporto permanente delle acque dal largo verso terra

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nella parte meridionale del mar di Timor. Era dunque il caso di risalirla, frugando le insenature e le scogliere finché il Dolly-Hope si trovasse in alto mare, al limite dell'oceano Indiano.

Giunto all'ingresso del golfo di Cambridge, che bagna la base del monte Cockburn, il capitano Ellis giudicò imprudente avventurare la nave in quella stretta insenatura piena di scogli e con le rive frequentate da tribù assai temibili. Perciò fece allestire la lancia a vapore, montata da mezza dozzina di uomini ben armati, la mise agli ordini di Zach Fren e le affidò l'incarico di perlustrare l'interno di questo golfo.

— Evidentemente — fece osservare il capitano Ellis — se John Branican è caduto in mano agli indigeni di quella parte del continente, non possiamo sperare che né lui né il suo equipaggio siano sopravvissuti. Ma ciò che più c'importa è sapere se c'è ancora qualche rottame del Franklin, nel caso che gli australiani l'avessero fatto andare a secco nel golfo di Cambridge.

— Cosa che non mi stupirebbe, da parte di quei furfanti — rispose Zach Fren.

Il compito del nostromo non era semplice ma egli lo adempì coscienziosamente e con molta attenzione. Condusse la sua scialuppa fino all'isola Adolphus, quasi in fondo al golfo, ne fece il giro, ma non scoprì nulla che lo inducesse a spingere oltre le sue ricerche.

Il Dolly-Hope riprese allora la rotta al di là del golfo di Cambridge, fece il giro del capo Dusséjour, e risalì verso nord-ovest, rasentando la costa che appartiene a una di quelle grandi divisioni dell'Australia, conosciute col nome di Australia occidentale. Anche qui ci sono molti isolotti e insenature capricciosamente frastagliate; ma né al capo Rhuliers, né al promontorio di London-derry alcun risultato venne a compensare l'equipaggio di tante fatiche coraggiosamente affrontate.

Le fatiche e i pericoli della navigazione diventarono anche più gravi quando il Dolly-Hope ebbe doppiato il promontorio di Londonderry. Sull'orlo di questa costa, assalita dalle ondate dell'oceano Indiano, i rifugi praticabili nei quali una nave disalberata possa ricoverarsi sono davvero ben pochi. Ora, uno steamer è sempre in balia del buon funzionamento della sua macchina, ma per

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l'appunto questo può venire a mancargli quando il beccheggio e il rullio sono troppo forti per i violenti colpi di mare. Da questo promontorio fino alla baia Collier, nel York Sound e nella baia Brunswich, si vede solo un gruppo di isolotti, un labirinto di bassi fondi e di scogliere paragonabili a quelli che formicolano nello stretto di Torres. Ai capi Talbot e Bugainville, la costa è difesa da una terribile risacca, tale che nemmeno alle navi degli indigeni è possibile accostarvisi, sebbene le loro piroghe siano rese saldissime dal contrappeso dei bilancieri. La baia Admiralty, che si apre fra il capo Bugainville e il capo Voltaire, è un tale groviglio di rocce che la scialuppa a vapore rischiò di perdersi più di una volta. Niente però poté frenare l'entusiasmo dell'equipaggio: i marinai facevano a gara nell'addossarsi le parti più difficili della pericolosa operazione.

Oltrepassata la baia Collier, il capitano Ellis si addentrò nell'arcipelago Buccaneer. Non aveva intenzione di passare il capo Leveque, la cui punta termina il King Sound al nord-ovest.

Del tempo, che tendeva a migliorare sempre più, nessuno ormai si preoccupava. In questa parte dell'oceano Indiano, posto nell'emisfero australe, i mesi di ottobre e novembre corrispondono ai mesi di aprile e maggio dell'emisfero boreale. Aveva ormai avuto inizio la bella stagione e la spedizione avrebbe potuto proseguire in condizioni favorevoli. Non si poteva però prolungarla indefinitamente; del resto si sarebbe conclusa quando la corrente litoranea che risaliva verso est portando dei rottami fino all'isola Melville, avesse cessato di farsi sentire.

Fu quello che avvenne alla fine del gennaio 1883, quando il Dolly-Hope ebbe concluso, senza risultato, la ricognizione del largo estuario del King Sound, in fondo al quale sfocia il fiume di Fitzroy. La lancia a vapore aveva anzi dovuto subire, alla foce di quel fiume, un furioso assalto degli indigeni. Due uomini erano stati feriti in quello scontro, sia pure lievemente, ma fu grazie al capitano Ellis che l'assalto non divenne un disastro.

Appena il Dolly-Hope fu uscito dal King Sound venne ad ancorarsi all'altezza del Leveque. Il capitano Ellis si consultò allora col secondo e col nostromo d'equipaggio. Dopo aver esaminato attentamente le carte, fu deciso di porre fine alla spedizione lì, sul

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limite del diciottesimo parallelo dell'emisfero australe. Al di là del King Sound, la costa è libera, salvo pochi isolotti; la porzione della Terra di Tasman che essa delimita sul mare delle Indie, è ancora in bianco sulle carte dei più recenti atlanti. Non c'era nessun motivo di spingersi oltre verso il sud-ovest, né di perlustrare l'arcipelago Dampier.

Inoltre, ormai al Dolly-Hope rimaneva soltanto una piccola quantità di carbone, e quindi conveniva dirigersi subito a Batavia, dove si sarebbe potuto fare un carico di combustibile. Poi la nave avrebbe puntato verso il Pacifico attraversando il mare di Timor lungo le isole della Sonda. Fu fatta dunque rotta verso nord, e ben presto il Dolly-Hope perse di vista la costa australiana.

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CAPITOLO XIV

L'ISOLA BROWSE

IL TRATTO DI MARE compreso fra la costa nord-ovest dell'Australia e la parte occidentale del mar di Timor, non ha isole importanti: i geografi rilevano solo pochi isolotti. Ci sono, più che altro, bassifondi bizzarri, formazioni coralline, designate col nome di «banks», «rocks», «riffs» o «shoals». Per esempio, Lynher-Riff, Scotts-Riff, Seringapatam-Riff, Korallen-Riff, Courtier-Shoal, Row-ley-Shoal, Hibernia-Shoal, Sahul-Bank, Echo-Rock, ecc. La posizione di questi scogli è determinata per alcuni con esattezza, ma per altri solo in modo approssimativo. Probabilmente rimangono ancora da scoprire un certo numero di quelle temibili scogliere che si trovano a fior d'acqua. Perciò la navigazione è difficilissima e richiede una continua attenzione in mezzo a quei paraggi dove talvolta si arrischiano le navi provenienti dal mar delle Indie.

Il tempo era bello, il mare, lontano dagli scogli, tranquillo. La robusta macchina del Dolly-Hope non aveva mai avuto neanche un guasto, dopo la partenza da San Diego, e le sue caldaie funzionavano benissimo. Tempo e mare promettevano una traversata favorevole fra il capo Leveque e l'isola di Giava. Ma purtroppo quella era ormai la strada del ritorno. Il capitano Ellis non prevedeva altre soste, se non per qualche breve ispezione negli ancoraggi delle isolette della Sonda.

Nei primi giorni che seguirono la partenza, avvenuta all'altezza del capo Leveque, la navigazione si svolse nel modo più tranquillo. Gli uomini di guardia praticavano la più severa vigilanza. Inerpicati sull'alberatura avevano ordine di segnalare da lontano i shoals e i riffs, taluni dei quali emergevano dalle acque.

Il 6 febbraio, verso le 9 del mattino, uno dei marinai, appollaiato sui pennoni di trinchetto, gridò:

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— Uno scoglio a sinistra! Poiché gli uomini del ponte non potevano vederlo, Zach Fren si

lanciò sulle sartie per riconoscere con i propri occhi la posizione indicata.

Messosi a cavalcioni sul pennone, il nostromo vide distintamente un piano roccioso, sei miglia al largo, a sinistra.

In realtà non era né un rock né un shoal, ma un isolotto a schiena d'asino che si disegnava a nord-est. Data quella distanza era anche possibile che quell'isolotto fosse un'isola d'una certa dimensione supponendo che si presentasse nel verso della sua larghezza.

Qualche minuto dopo Zach Fren ridiscese e fece il suo rapporto al capitano Ellis il quale diede ordine di avvicinarsi all'isolotto.

All'osservazione del mezzogiorno, quando il capitano ebbe preso l'altezza e fatto il punto, annotò sul libro di bordo che il Dolly-Hope si trovava a 14 gradi e 7 primi di latitudine sud e 133 gradi e 18 primi di longitudine est. Questo punto, portato sulla carta, coincideva col giacimento d'una certa isola chiamata Browse dai geografi moderni e situata a duecentocinquanta miglia circa dallo York Sound della costa australiana.

Poiché quest'isola era press'a poco sulla rotta, il capitano Ellis decise di seguirne i contorni, benché non avesse intenzione di compiervi una tappa.

Un'ora dopo l'isola Browse era appena a un miglio in faccia al Dolly-Hope. Il mare, un po' agitato, produceva onde tumultuose e copriva di spruzzi un capo allungato verso nord-est. Non si poteva avere un'idea dell'estensione dell'isola perché lo sguardo la inquadrava obliquamente, ma si presentava con un piano ondulato senza alcuna tumescenza alla superficie.

Il capitano, per osservare meglio, aveva un po' rallentato le mosse, ma ormai, non avendo tempo da perdere, stava per dar ordine al meccanico di riprendere la rotta, quando Zach Fren richiamò la sua attenzione dicendo:

— Capitano, guardate un po' laggiù… non è l'albero di una nave quello che spunta su quel capo?

E il nostromo accennava con la mano il capo che si spingeva a nord-est e che terminava bruscamente con una roccia tagliata a picco.

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— L'albero? No, mi sembra che sia soltanto un tronco d'albero qualsiasi, — rispose il capitano.

E pigliando il cannocchiale guardò più attentamente l'oggetto segnalato da Zach Fren.

— È vero — disse; — avete ragione, nostromo, è l'albero d'una nave, e mi par di vedere un brandello di bandiera agitato dal vento… sì, sì, dev'essere un segnale.

— Allora faremo bene ad andare fin là — disse il mastro d'equipaggio.

— Lo credo anch'io — rispose il capitano Ellis; e diede ordine di dirigersi verso l'isola Browse a piccolo vapore.

L'ordine fu eseguito immediatamente e il Dolly-Hope cominciò ad avvicinarsi agli scogli che circondavano l'isola a trecento piedi al largo. Il mare li flagellava con impeto, non perché il vento fosse forte, ma per via delle violente correnti che spingevano le onde in quella direzione.

Presto fu possibile distinguere a occhio nudo ogni particolare della costa. Il litorale aveva un aspetto selvaggio, arido, desolato, senza alcuna vegetazione, ed era disseminato da profonde caverne, in cui la risacca penetrava con rumore di tuono. A intervalli, un pezzo di greto giallastro tagliava la linea delle rocce, sopra le quali si intrecciavano i voli degli uccelli di mare. Da questo lato non c'era alcuna traccia di naufragio, né pezzi d'alberatura, né fasciami di scafo. L'albero piantato alla punta estrema del promontorio, doveva consistere in un buttafuori di bompresso, ma quanto alla bandiera, di cui la brezza agitava i lembi, era impossibile riconoscerne i colori.

— Là ci sono dei naufraghi!… — esclamò Zach Fren. — O almeno ci sono stati — rispose il secondo. — Non c'è dubbio — disse il capitano Ellis — che una nave si è

arenata su quest'isola. — Ed è altrettanto certo — aggiunse il secondo — che i naufraghi

ci hanno trovato rifugio, visto che hanno rizzato quell'albero di segnale, e forse non l'hanno abbandonata perché è raro che le navi destinate all'Australia o alle Indie passino in vista dell'isola Browse.

— Avete intenzione di visitarla? — domandò Zach Fren. — Sì, nostromo, ma finora non ho visto neanche un punto in cui

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poterla accostare. Cominciamo dunque col farne il giro prima di prendere una decisione. Se è ancora abitata dai disgraziati naufraghi è impossibile che essi non ci vedano e non facciano dei segnali.

— E se non vediamo nessuno… che intenzioni avete? — domandò Zach Fren.

— Cercheremo di sbarcare appena ci sarà possibile — rispose il capitano. — Se non è abitata, l'isola può aver conservato gli indizi d'un naufragio, e ciò è molto interessante per noi.

— E forse… — mormorò Zach Fren. — Volete dire, nostromo, che il Franklin avrebbe potuto finire

sull'isola Browse, situata fuori della rotta che doveva seguire? — E perché no, capitano? — È molto inverosimile — rispose il capitano Ellis — ma ad ogni

modo non dobbiamo fermarci per una cosa che ci sembra impossibile e tenteremo di sbarcare lo stesso.

Il progetto di fare il giro dell'isola Browse fu subito messo in atto; tenendosi prudentemente a una gomena dalle scogliere, il Dolly-Hope non tardò a oltrepassare diverse punte che l'isola spingeva verso nord. L'aspetto del litorale era sempre lo stesso, rocce schierate come se fossero cristallizzate nella stessa forma, rive battute dai marosi, scogli coperti di spruzzi e tali da far apparire davvero poco consigliabile uno sbarco. Più indietro alcuni gruppi di alberi di cocco dominavano un piano roccioso, dove non appariva alcuna traccia di vegetazione. Assoluta mancanza di abitanti, di abitazioni, di lance, di canotti pescherecci. Mare deserto, come del resto l'isola. Solo numerosi stormi di gabbiani, che volavano da un punto all'altro, animavano la cupa solitudine.

Se non era quella precisamente l'isola che potrebbero desiderare dei naufraghi, tale da soddisfare i principali bisogni dell'esistenza, si trattava però pur sempre di un rifugio per i superstiti di un naufragio.

L'isola Browse misura circa sette miglia di circonferenza, come fu accertato quando il Dolly-Hope ebbe rilevato i suoi contorni a sud. L'equipaggio cercava inutilmente l'entrata d'un porticciolo o almeno d'un'insenatura in mezzo alle rocce, fra le quali lo steamer avesse potuto mettersi al riparo per poche ore. Si dovette concludere che uno sbarco sarebbe stato possibile solo adoperando le lance di bordo; e

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anche per queste comunque bisognava trovare un passo che permettesse di approdare.

Era la una dopo mezzogiorno quando il Dolly-Hope si trovò sotto vento dell'isola. Poiché in quel momento la brezza soffiava da nord-ovest, le ondate battevano con minor violenza le rocce. In quel punto la costa, aprendosi largamente, formava una specie di ampia rada, dove sembrava che una nave potesse ancorare senza imprudenza, almeno finché il vento non cambiasse. Fu subito deciso che il Dolly-Hope avrebbe, se non ancorato, almeno incrociato in quella zona a piccola velocità, mentre la lancia a vapore sarebbe andata a terra. Rimaneva da trovare il punto in cui gli uomini riuscissero a scendere fra le rocce, biancheggianti per la spuma della risacca.

Cercando col cannocchiale, il capitano Ellis riuscì a scoprire sul greto una depressione nel masso dell'isola, attraverso la quale si versava in mare un rigagnolo.

Quando ebbe guardato a sua volta, Zach Fren disse che lo sbarco era possibile ai piedi di quella insenatura. La costa sembrava meno ripida, e si scorgeva perfino uno stretto passaggio praticato attraverso lo scoglio e là dove il mare non si frangeva.

Il capitano Ellis diede ordine di armare la lancia a vapore: lavoro che non richiese più di mezz'ora. Vi scese con Zach Fren, col timoniere, col fuochista, col meccanico e con un altro marinaio. Per prudenza, furono presi a bordo due fucili, due accette e qualche rivoltella. Durante l'assenza del capitano, il secondo doveva tenere il Dolly-Hope in quella rada e badare a tutti gli eventuali segnali.

All'una e mezzo l'imbarcazione si staccò da bordo dirigendosi verso la spiaggia, distante un buon miglio, penetrò nel passo, e migliaia di gabbiani riempirono lo spazio con le loro grida stridenti. Qualche minuto dopo la lancia toccò il greto sabbioso, irto qua e là di scogli. Il capitano Ellis, Zach Fren e i due marinai sbarcarono subito, lasciando il meccanico e il fuochista a guardia della lancia che doveva essere mantenuta in pressione. Seguendo il letto del rigagnolo che andava a gettarsi in mare, giunsero tutti e quattro all'estremità del piano.

A un centinaio di metri di distanza sorgeva una roccia di forma bizzarra, alta sul greto una trentina di metri.

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Il capitano Ellis e i suoi compagni si diressero verso quel masso, a fatica vi si arrampicarono e da quell'altura l'isola apparve in tutta la sua estensione.

Non era, in realtà, che una massa ovale con la forma del guscio di tartaruga, con la coda raffigurata dal promontorio. Qua e là era ricoperta da un po' di terra; la sua formazione, inoltre, non era madreporica, come gli scogli della Malesia o i gruppi corallini dello stretto di Torres. Un po' di verde appariva fra i massi di granito; ma c'erano più muschi che erba, più pietre che radici, più cespugli che arbusti. Da dove usciva quel rigagnolo, il cui letto, in parte visibile, correva sinuoso attraverso il pendio? Si alimentava a qualche sorgente interna? Non sarebbe stato facile scoprirlo.

Dalla cresta del masso, il capitano Ellis ed i suoi uomini guardavano in tutte le direzioni. Non si vedeva fumo nell'aria e non apparve alcuna creatura umana. Se ne concluse che se l'isola Browse era stata abitata — e su questo non c'era dubbio — era però poco probabile che lo fosse ancora.

— Triste rifugio per dei naufraghi! — disse allora il capitano Ellis. — Se il loro soggiorno è stato lungo, come hanno fatto a sopravvivere?

— Certo — rispose Zach Fren — è solo una roccia, e quasi nuda… Ma, alla fin fine, non bisogna fare i difficili, quando si è naufraghi. Un pezzo di roccia sotto i piedi è sempre meglio che dell'acqua sopra la testa.

— In principio, sì — ribatté il capitano Ellis — ma dopo… — Del resto — fece osservare Zach Fren — può darsi che i

naufraghi che si erano rifugiati su quest'isola siano stati subito raccolti da qualche nave.

— Ma è anche possibile, nostromo, che abbiano dovuto soccombere a causa delle privazioni.

— Che cosa ve lo fa pensare, capitano? — Se in qualche modo avessero potuto lasciare l'isola, avrebbero

preso la precauzione di abbattere quell'albero di segnale. C'è da temere che quei disgraziati siano morti tutti senza essere stati soccorsi. Ma andiamo verso quell'albero; forse là troveremo qualche indizio sulla nazionalità della nave che qui ha fatto naufragio.

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Il capitano Ellis, Zach Fren e i due marinai ridiscesero la scarpata del colle e si avviarono verso il promontorio che si estendeva in direzione nord. Ma, dopo appena qualche passo, uno degli uomini inciampò contro un oggetto e si chinò per raccoglierlo.

— Cos'è questo? — disse. — Da' qua! — esclamò Zach Fren. Era la lama di un coltellaccio, simile a quelli che i marinai portano

alla cintura con un fodero di cuoio. Spezzata rasente il manico, tutta dentata, quella lama era stata certamente buttata via come inutile.

— Ebbene, nostromo? — domandò il capitano Ellis. — Sto cercando qualche traccia che indichi la provenienza di

questa lama. Infatti, essa avrebbe dovuto portare una marca di fabbrica, ma era così ossidata che per arrivare a vederla bisognava prima rimuovere uno spesso strato di ruggine.

Dopo .averlo fatto, Zach Fren riuscì, sebbene a fatica, a decifrare queste parole sull'acciaio: Sheffield England.

Dunque quel coltello era d'origine inglese. Ma questo non bastava per affermare che i naufraghi dell'isola Browse erano inglesi. Quell'utensile poteva essere appartenuto ad un marinaio di nazionalità differente, perché i prodotti della manifattura Sheffield sono sparsi per tutto il mondo. Soltanto se si fossero trovati altri oggetti inglesi, questa ipotesi avrebbe potuto diventare certezza.

Il capitano Ellis ed i suoi compagni continuarono ad avvicinarsi al promontorio. La strada non era facile, su quel terreno privo di sentieri. Ammettendo che piede umano l'avesse mai calpestato, la cosa doveva risalire ad un tempo difficile da determinare, poiché ogni impronta era scomparsa sotto l'erba e i muschi.

Dopo aver percorso circa due miglia, il capitano Ellis si fermò presso un gruppo di alberi di cocco, piuttosto stentati, le cui noci, cadute da un pezzo, ormai erano soltanto polvere e putredine.

Fino a quel momento non avevano trovato nessun altro oggetto, ma a qualche passo dagli alberi, sulla china d'un lieve avvallamento, notarono tracce di coltivazione in mezzo ai rari cespugli. Rimanevano appena patate selvatiche; ma uno dei marinai scoprì per caso anche una zappa abbandonata sotto i rovi fitti. Sembrava proprio di fabbricazione americana, e aveva l'armatura del ferro

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profondamente rosa dalla ruggine. — Capitano, che cosa ne dite? — domandò il nostromo

d'equipaggio. — È meglio di niente, per il momento — rispose il capitano Ellis. — Allora procediamo — replicò Zach Fren, facendo cenno ai suoi

uomini di seguirlo. Scese le balze del piano, arrivarono alla costa, collegata al

promontorio nord. In quel punto si apriva una stretta insenatura che permetteva di scendere senza troppa fatica fino a un piccolo greto sabbioso che misurava un acro circa, ed era incorniciato di rocce d'una bella tinta rossa che i colpi di risacca bagnavano continuamente.

Quella sabbia, su cui erano sparsi molti oggetti, denunciava un soggiorno prolungato, in quel punto dell'isola, di creature umane. Pezzi di vetro e di maioliche, cavicchi di ferro, scatole di conserve di evidente provenienza americana, ed altri utensili usati in marina, come frammenti di catene, anelli rotti, pezzi di attrezzi di ferro galvanizzati, un raffio, molte rotelle di puleggia, un anello d'ancora, una manovella di pompa, pezzi di pertica e di dromo ed altre cianfrusaglie, sull'origine delle quali i marinai della California non potevano sbagliarsi.

— Non è una nave inglese quella che si è arenata su quest'isola — disse il capitano Ellis; — è una nave degli Stati Uniti.

— Si potrebbe quasi affermare che è stata costruita in uno dei nostri porti del Pacifico — rispose Zach Fren, e la sua opinione fu condivisa dai due marinai.

Ma finora niente autorizzava a supporre che questa nave fosse stata il Franklin.

In ogni caso, veniva fatto di porsi una domanda: questa nave, qualunque fosse, era dunque affondata, dato che non si ritrovava più traccia del suo scafo? Ed era per mezzo delle sue imbarcazioni che l'equipaggio aveva potuto rifugiarsi sull'isola Browse?

No! E il capitano Ellis ebbe ben presto la prova che il naufragio si era verificato su quegli stessi scogli.

A una gomena circa dal greto, fra un cumulo di rocce a punta e di scogli a fior d'acqua, fu trovato il relitto d'una nave. Doveva essere

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stata scagliata contro la costa da un mare in tempesta e sfasciata dalle onde precipitose che vi si avventano tutto distruggendo, disperdendo e demolendo. La risacca poi doveva avere trasportato i resti fin oltre gli scogli.

Il capitano Ellis, Zach Fren e i due marinai guardavano profondamente commossi quello che rimaneva del disastro; pochi relitti sparpagliati sulle rocce. Dello scafo di quella nave restavano poche tavole sformate, fasciami irti di cavicchi rotti, barre storte, un pezzo di timone, molte tavole del ponte, ma nulla dei castelli esterni, dell'alberatura, sia che fosse stata tagliata dal mare oppure che, arenata, la nave fosse stata usata per i bisogni dei naufraghi. Non c'era pezzo di membratura intatto, non un pezzo di chiglia che fosse intero. Del resto non c'era da meravigliarsi che urtando contro scogli tanto taglienti la nave ne fosse stata stritolata a tal punto da non restarne intero alcun pezzo.

— Cerchiamo — disse il capitano Ellis — e forse troveremo un nome, una lettera, una marca che ci permetta di scoprire quale fosse la nazionalità del bastimento.

— Dio voglia che non sia il Franklin ad essere stato ridotto in questo stato! — rispose Zach Fren.

Ma esisteva l'indizio di cui andava in cerca il capitano? Anche ammettendo che la risacca avesse risparmiato un pezzo del quadro di poppa o della impavesata di prua, su cui viene scritto di solito il nome delle navi, le intemperie del cielo e le acque del mare non dovevano averlo cancellato?

Non furono trovati però né l'impavesata né il quadro; le ricerche furono inutili, e se alcuni oggetti raccolti sul greto erano di fabbrica americana, non si poteva solo per questo concludere che fossero appartenuti al Franklin.

Ma anche ammettendo che i naufraghi avessero trovato rifugio sull'isola Browse – e l'albero di segnale, rizzato all'estremità del promontorio ne dava prova – e che per un tempo indeterminato avessero vissuto in quel luogo, essi avevano certamente cercato riparo in fondo a una grotta, probabilmente vicino al greto, per potersi servire dei rottami accumulati fra le rocce.

Ben presto, uno dei marinai scoprì la grotta occupata dai superstiti

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del naufragio. Era scavata in un enorme masso granitico, all'angolo formato dal piano e dal greto.

Il capitano Ellis e Zach Fren si affrettarono a raggiungere il marinaio che li chiamava. Forse la grotta conteneva il segreto del naufragio e avrebbe svelato il nome della nave.

Si poteva penetrarvi solo attraverso una stretta apertura, presso la quale erano ancora visibili le ceneri di un focolare esterno che aveva annerito col fumo la parte rocciosa.

All'interno, alto circa dieci piedi, profondo venti e largo quindici, la grotta sembrava ampia abbastanza per alloggiare una dozzina di persone. Non c'erano altre suppellettili che una lettiera coperta da una vela a brandelli, una panca fabbricata con pezzi di fasciame, due sgabelli dello stesso genere e una tavola zoppa proveniente dalla nave — probabilmente la tavola del quadrato. Per utensili, pochi piatti di ferro battuto, tre forchette, due cucchiai, un coltello, tre bicchieri di metallo, tutti arrugginiti. In un canto un barile, che doveva servire alla provvista d'acqua fornita dal rigagnolo. Sulla tavola una lampada di bordo ammaccata, ossidata e fuori uso. Qua e là diversi oggetti di cucina e molti abiti a brandelli gettati sopra un giaciglio d'erbe.

— Disgraziati! — esclamò Zach Fren. — In che condizioni erano ridotti!…

— Non avevano salvato quasi nulla del materiale della nave — osservò il capitano Ellis — e questo dimostra con quanta violenza furono buttati sulla costa! Come avrà potuto provvedere al proprio sostentamento quella povera gente, rimasta priva di tutto? Forse avevano della carne salata, delle conserve che avranno vuotato fino all'ultima scatola. E certamente avranno tentato di seminare del grano. Ma chi sa che tremenda esistenza e quanto hanno dovuto soffrire!

Si, e aggiungendo il prodotto della pesca, doveva essere proprio così che i naufraghi avevano provveduto alle loro necessità. Quanto a dire se fossero ancora nell'isola, il quesito pareva già risolto negativamente. Ma, se fossero morti, avrebbero dovuto esserci i resti, almeno di colui ch'era morto ultimo. Invece, le minuziose ricerche fatte dentro e fuori la grotta non diedero nessun risultato.

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— Questo farebbe credere — fece notare Zach Fren — che i naufraghi abbiano potuto rimpatriare.

— E come? — rispose il capitano Ellis. — Erano forse in grado di costruire, con gli avanzi della loro nave, un'imbarcazione tanto grande da poter navigare?…

— No, capitano, e non avevano nemmeno tanto da costruirsi un canotto. Piuttosto può darsi che i loro segnali siano stati visti da qualche nave.

— Non sono del vostro parere, nostromo. — E perché, capitano? — Perché, se una nave li avesse raccolti, se ne sarebbe sparsa la

notizia in tutto il mondo, salvo che questa nave fosse poi anch'essa colata a fondo, cosa che non mi pare troppo credibile. Rifiuto l'ipotesi che i naufraghi dell'isola Browse siano stati salvati in queste condizioni.

— Può darsi — disse Zach Fren, arrendendosi di malavoglia. — Ma se non hanno potuto costruire una lancia, non è però nemmeno detto che tutta l'imbarcazione di bordo fosse perita nel naufragio, e in questo caso…

— Ebbene, anche in questo caso — rispose il capitano Ellis — poiché non è mai arrivata la notizia che un equipaggio scomparso sia stato raccolto in questi ultimi anni nei paraggi dell'Australia occidentale, bisogna pensare che l'imbarcazione sia affondata durante la traversata a molte centinaia di miglia tra l'isola Browse e la costa australiana.

Il ragionamento non faceva una grinza. Zach Fren se ne accorgeva, ma non volendo rinunciare a saperne di più sulla sorte dei naufraghi, disse:

— E ora, capitano, immagino che abbiate intenzione di visitare le altre parti dell'isola.

— Sì, per scarico di coscienza — rispose il capitano Ellis. — E prima di tutto andiamo a levare quel segnale perché altre navi non debbano deviare inutilmente dalla loro rotta, visto che qui non c'è nessuno da salvare.

Il capitano, Zach Fren e i due marinai, usciti dalla grotta, esplorarono ancora una volta il greto. Poi, risaliti sull'altopiano, si

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diressero verso l'estremità del promontorio. Dovettero fare il giro d'una profonda fossa, specie di stagno

sassoso nel quale si accumulavano le acque piovane; poi ripresero la direzione di prima.

A un tratto il capitano Ellis si fermò. In quel punto il terreno aveva quattro gobbe parallele.

Probabilmente la cosa sarebbe passata inosservata, se piccole croci di legno mezzo imputridite non avessero segnalato quei rilievi. Erano tombe. Quello era il cimitero dei naufraghi.

— Finalmente — esclamò il capitano Ellis — potremo sapere qualche cosa…

Non era mancare del rispetto dovuto ai morti frugare in quelle tombe: disseppellendo i corpi, si sarebbe potuto verificare in quale stato fossero ridotti, e cercare un indizio reale della loro nazionalità.

I due marinai si misero all'opera, e, scavando la terra coi loro coltelli, la gettarono ai lati. Ma dovevano essere passati molti anni dacché quei cadaveri erano là seppelliti, giacché nella terra non si trovarono altro che ossa. Il capitano Ellis allora fece ricoprire le buche scavate, e le croci furono rimesse sulle tombe.

Il mistero di quel naufragio era tutt'altro che risolto. Se quattro creature umane erano state sepolte in quel luogo, che cosa ne era di colui che aveva provveduto alla loro sepoltura? La morte aveva forse in seguito colpito anche lui? Ma in tal caso, dove era caduto? Non poteva forse succedere che ci si imbattesse nel suo scheletro abbandonato in qualche altro punto dell'isola?

Il capitano Ellis non lo sperava. — Non riusciremo a scoprire il nome della nave perduta nell'isola

Browse! — esclamò. — Ritorneremo dunque a San Diego senza aver scoperto i resti del Franklin, senza sapere che cosa ne è stato di John Branican e del suo equipaggio?

— E perché questa nave non potrebbe essere il Franklin? — chiese uno dei marinai.

— E perché dovrebbe esserlo? — rispose Zach Fren. Niente, in effetti, provava che i resti trovati sugli scogli dell'isola

Browse fossero quelli del Franklin; e sembrava che la seconda spedizione del Dolly-Hope non dovesse avere miglior esito della

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prima. Il capitano Ellis era rimasto silenzioso, con lo sguardo chino su

quella terra, dove i poveri naufraghi avevan trovato la fine della loro vita e, insieme, delle loro sofferenze. Erano forse dei compatrioti americani come lui? Erano proprio quelli che il Dolly-Hope era venuto a cercare?

— All'albero di segnale — disse. Zach Fren e i suoi uomini l'accompagnarono, mentre procedeva

seguendo la lunga china rocciosa per cui il promontorio si legava all'isola.

Ci vollero venti minuti per attraversare il mezzo miglio che li separava dall'albero, giacché il terreno era ingombro di rovi e di sassi.

Arrivati alla meta, il capitano Ellis e i suoi compagni videro che l'albero era profondamente conficcato in una fessura rocciosa, il che spiegava come avesse potuto resistere a tutte le intemperie. Come si era visto col cannocchiale, quell'albero era un buttafuori di bompresso proveniente dai rottami di una nave.

Il cencio inchiodato alla cima era un pezzo di tela di vela sfilata dal vento; da esso non si poteva rilevare nessun indizio di nazionalità.

Per ordine del capitano Ellis, i due marinai stavano già per abbattere l'albero, quando Zach Fren esclamò:

— Capitano, guardate là… — Che cosa, nostromo? — Quella campana!… Sopra un'impalcatura ancora robusta c'era una campana, con una

impugnatura di metallo, rosa dalla ruggine. Dunque i naufraghi non si erano accontentati di piantare l'albero

di segnale e di attaccarci una bandiera. Avevano anche trasportato la campana di bordo fin lì, sperando che potesse essere sentita da una nave che passasse in vista dell'isola… Ma quella campana doveva portare il nome della nave cui apparteneva, secondo l'uso comune a tutte le marine…

Il capitano Ellis stava dirigendosi verso l'impalcatura, ma si fermò di botto.

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Sotto alla campana giacevano gli avanzi di uno scheletro o, per meglio dire, un mucchio di ossa con indosso ormai solo pochi cenci.

Dunque i superstiti che avevano trovato rifugio sull'isola Browse erano cinque. Quattro erano morti prima, il quinto era rimasto solo…

Un giorno quest'unico superstite aveva lasciato la grotta, si era trascinato fino all'estremità del promontorio, aveva suonato quella campana per farsi sentire da qualche nave di passaggio al largo… ed era caduto per non rialzarsi mai più!…

Dopo aver dato ordine ai due marinai di scavare una tomba per chiudervi quelle povere ossa, il capitano Ellis fece cenno a Zach Fren di seguirlo per esaminare la campana.

Sul bronzo c'erano questo nome e queste cifre, ancora leggibili:

FRANKLIN 1875

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CAPITOLO XV

RELITTO VIVENTE

MENTRE il Dolly-Hope proseguiva la sua seconda campagna, attraverso il mare di Timor, e la finiva nelle condizioni che sappiamo, mistress Branican, i suoi amici e le famiglie dell'equipaggio scomparso vivevano tutte le angosce dell'attesa. Quante speranze per quel pezzo di legno raccolto dal Californian che apparteneva certamente al Franklin! Il capitano Ellis avrebbe potuto scoprire i resti della nave su una delle isole di questo mare, o in qualche punto del litorale australiano? Sarebbe riuscito a ritrovare John Branican, Harry Felton e i dodici marinai imbarcati ai loro ordini? Avrebbe forse finalmente ricondotto a San Diego uno o parecchi superstiti della catastrofe?

Dopo la partenza del Dolly-Hope, erano arrivate solo due lettere del capitano Ellis. La prima comunicava l'insuccesso dell'esplorazione fra i passi dello stretto di Torres, fino all'estremità del mare d'Arafura; la seconda rivelava che anche le isole Melville e Bathurst erano state visitate senza trovarvi tracce del Franklin. Mistress Branican sapeva che le ricerche dovevano estendersi, seguendo il mare di Timor, fino alla parte occidentale dell'Australia, in mezzo ai diversi arcipelaghi che confinano con la terra di Tasman. Il Dolly-Hope sarebbe tornato solo dopo aver esplorato tutte le isolette della Sonda, fino a perdere ogni speranza di poter raccogliere ancora qualche indizio.

Dopo quest'ultima lettera la corrispondenza era stata interrotta, erano trascorsi molti mesi e ora si aspettava da un giorno all'altro che il Dolly-Hope fosse segnalato dai semafori di San Diego.

Frattanto l'anno 1882 si era concluso e benché mistress Branican non avesse ricevuto notizie del capitano Ellis, non se ne preoccupava: le comunicazioni postali sono lente e irregolari

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attraverso l'oceano Pacifico. Non c'era insomma alcuna ragione di preoccuparsi per il Dolly-Hope, anche se tutti erano impazienti di rivederlo.

Alla fine di febbraio, tuttavia, William Andrew incominciò a pensare che la spedizione del Dolly-Hope durava ormai da troppo tempo. Ogni giorno c'era chi si recava alla punta Island sperando di vedere la nave al largo. Appena fosse stata visibile, anche senza che inviasse il suo numero i marinai di San Diego la avrebbero riconosciuta dalla sua stessa andatura, così come si può distinguere, da certe differenze, un francese da un tedesco e perfino un inglese da un americano.

Il Dolly-Hope comparve finalmente all'orizzonte la mattina del 27 marzo, a nove miglia al largo. Procedendo a tutto vapore, spinto da un fresco venticello di nord-ovest, entro un'ora avrebbe valicato il canale e si sarebbe ancorato nella baia di San Diego.

La voce dell'arrivo si era sparsa in tutta la città e la popolazione gremì le rive, sia dalla parte di punta Island, sia dalla parte di punta Lorna.

Mistress Branican, William Andrew e alcuni loro amici, impazienti di entrare in comunicazione col Dolly-Hope, si imbarcarono sopra un rimorchiatore per andargli incontro. Tra la folla serpeggiava una certa inquietudine, e quando il rimorchiatore rasentò l'ultima banchina per uscire dal porto, non si alzò un grido. Tutti pensavano che se il capitano Ellis fosse riuscito in quella seconda campagna, la notizia avrebbe già dovuto essere di dominio pubblico.

Venti minuti dopo mistress Branican, William Andrew e i loro compagni accostavano il Dolly-Hope.

Ancora pochi istanti, e poi tutti avrebbero saputo il risultato della spedizione. Al limite ovest del mare di Timor, sull'isola Browse, li aveva fatto naufragio il Franklin… Era là che avevano trovato rifugio i sopravvissuti… ed era là che erano morti!

— Tutti? — disse mistress Branican. — Tutti! — rispose il capitano Ellis. La costernazione era generale, quando il Dolly-Hope venne ad

ancorarsi in mezzo al golfo con la bandiera a mezz'asta in segno di

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lutto: lutto per i naufraghi del Franklin. Partito da San Diego il 3 aprile 1882, il Dolly-Hope vi ritornava il

27 marzo 1883. La sua campagna era durata quasi dodici mesi nel corso dei quali l'equipaggio non aveva mai voluto arrendersi, ma senz'altro risultato che quello di arrivare a distruggere anche le ultime speranze.

Durante il breve tempo in cui mistress Branican e William Andrew rimasero a bordo, il capitano Ellis diede loro un sommario resoconto dei fatti relativi al naufragio del Franklin sulle scogliere dell'isola Browse.

Sebbene avesse saputo che non c'era ormai alcun dubbio sulla sorte toccata al capitano John e ai suoi compagni, mistress Branican non aveva mutato il consueto atteggiamento. Non una lacrima era uscita dai suoi occhi, né aveva fatto domande. Poiché i rottami del Franklin erano stati ritrovati su quell'isola, poiché non rimaneva più neanche uno dei naufraghi che vi si erano rifugiati, che cosa avrebbe potuto domandare in quel momento? Il racconto della spedizione glielo avrebbero fatto dopo. Stretta la mano al capitano Ellis e a Zach Fren, era andata a sedersi a poppa del Dolly-Hope, concentrata in se stessa, e, non ancora rassegnata a disperare e a dispetto di tante prove inconfutabili, «non sentendosi ancora vedova di John Branican!».

Appena il Dolly-Hope gettò l'ancora nel golfo, Dolly, portandosi a prua, pregò William Andrew, il capitano Ellis e Zach Fren di volersi recare il giorno stesso a Prospect-House. Li avrebbe attesi nel pomeriggio, per sapere con precisione da loro i tentativi fatti durante quella esplorazione attraverso lo stretto di Torres, il mare d'Arafura e il mare di Timor.

Un'imbarcazione portò a terra mistress Branican. La folla le fece ala rispettosamente, mentre attraversava la riva per dirigersi verso il quartiere alto di San Diego.

Lo stesso giorno, un po' prima delle tre, William Andrew, il capitano Ellis e il nostromo si presentarono alla casina, dove furono immediatamente ricevuti nel salotto al pianterreno; mistress Branican stava aspettandoli.

Quando ebbero preso posto intorno alla tavola, su cui era spiegata una carta dei mari dell'Australia settentrionale:

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— Capitano Ellis — disse Dolly — volete raccontarmi la storia della vostra spedizione?

Allora, il capitano Ellis parlò come se avesse avuto sott'occhi il libro di bordo, non omettendo nessun particolare, nessun incidente, rivolgendosi qualche volta a Zach Fren perché confermasse la sua relazione. Raccontò minutamente l'esplorazione fatta nello stretto di Torres, nel mare d'Arafura, nelle isole Melville e Bathurst, fra gli arcipelaghi della Terra di Tasman, anche se era una cosa completamente inutile. Ma mistress Branican si interessava, ascoltando in silenzio e fissando sul capitano uno sguardo fermo, senza abbassarlo neanche per un attimo.

Quando il racconto arrivò all'episodio dell'isola Browse, il capitano dovette riferire ora per ora, minuto per minuto, tutto ciò che accadde dal momento in cui il Dolly-Hope aveva avvistato l'albero di segnale piantato sul promontorio. Mistress Branican, sempre immobile, con le mani che le tremavano leggermente, rivedeva con l'immaginazione tutti quegli incidenti, quasi si fossero svolti davanti ai suoi occhi: lo sbarco del capitano Ellis e dei suoi uomini alla foce del creek, la salita del colle, la lama del coltellaccio raccolta per terra, le tracce di cultura, la zappa abbandonata, il greto dove si erano accumulati i rottami del naufragio, gli informi avanzi del Franklin in mezzo alle rocce, contro le quali un violento uragano doveva averlo scagliato, la grotta in cui i superstiti si erano rifugiati, la scoperta delle quattro tombe, infine lo scheletro dell'ultimo di quegli sventurati abbandonato al piede dell'albero di segnale, accanto alla campana d'allarme… A quel punto, Dolly si alzò in piedi di scatto, quasi avesse udito i suoni di quella campana nella solitudine di Prospect-House.

Il capitano Ellis, levando di tasca un medaglione appannato dall'umidità, glielo porse.

Era il ritratto di Dolly: un medaglione fotografico, per metà cancellato, che ella aveva consegnato a John al momento della partenza, e che durante le ricerche era stato ritrovato in un angolo buio della grotta.

Se questo medaglione era la prova che il capitano John era fra i cinque naufraghi che si erano rifugiati nell'isola, non era forse logico

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dedurne che anche lui fosse tra quelli che avevano dovuto soccombere ai lunghi patimenti dovuti alla desolazione e alla solitudine?

La carta dei mari australiani era sulla tavola; quella carta sulla quale per sette anni Dolly aveva tante volte evocato il ricordo di John. Ella domandò al capitano che le facesse vedere l'isola Browse, quel punto appena percettibile perduto nei paraggi battuti dai tifoni dell'oceano Indiano.

— Se ci fossimo giunti qualche anno prima, — disse quasi fra sé il capitano Ellis — forse li avremmo trovati tutti vivi… John e i suoi compagni…

— Forse! — mormorò William Andrew: — era là che il Dolly-Hope avrebbe dovuto dirigersi nella sua prima campagna. Ma chi mai avrebbe potuto supporre che il Franklin fosse andato a perdersi in un'isola dell'oceano Indiano?…

— Non si poteva immaginarlo — rispose il capitano Ellis; — almeno secondo la rotta che doveva seguire e che ha seguito effettivamente, perché il Franklin è stato visto al sud dell'isola Celebes. Il capitano John, non essendo più padrone della sua nave, si è lasciato trascinare attraverso gli stretti della Sonda sul mare di Timor e fino all'isola Browse.

— Sì, non c'è dubbio che le cose siano andate così, — rispose Zach Fren.

— Capitano Ellis — disse allora mistress Branican — cercando il Franklin nei mari della Malesia, avete agito come si doveva. Ma bisognava andare prima di tutto all'isola Browse… Sì, là!

Poi, prendendo parte alla conversazione e volendo in certo modo appoggiare con cifre sicure la propria ostinazione nel serbare un barlume di speranza, disse:

— A bordo del Franklin c'erano il capitano John, il secondo Harry Felton e dodici marinai. Voi avete ritrovato sull'isola i resti di quattro uomini sepolti e di un quinto morto per ultimo ai piedi dell'albero di segnale. Che cosa pensate sia accaduto degli altri nove?

— Non Io sappiamo — rispose il capitano. — Lo so io — rispose mistress Branican insistendo; — ma vi

domando: voi, che cosa credete che ne sia stato di loro?

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— Probabilmente sono morti quando il Franklin si è spezzato contro gli scogli dell'isola.

— Voi dunque pensate che siano stati soltanto cinque i sopravvissuti al naufragio?

— Purtroppo è la spiegazione più plausibile — aggiunse William Andrew.

— Non la penso così — rispose mistress Branican. — Perché John, Felton e i dodici uomini dell'equipaggio non potrebbero aver raggiunto l'isola Browse sani e salvi? Perché non potrebbero essere riusciti a lasciarla soltanto nove di loro?

— E come, mistress Branican? — ribatté vivamente il capitano Ellis.

— Imbarcandosi sopra una lancia costruita con i resti della loro nave!

— Mistress Branican — intervenne il capitano — Zach Fren vi confermerà quello che io affermo, e cioè che a noi questa cosa è sembrata impossibile considerato lo stato in cui si trovavano quei resti.

— Ma… uno dei loro canotti… — I canotti del Franklin, anche ammettendo che non fossero

andati a pezzi, non avrebbero potuto affrontare una traversata fino alla costa australiana o alle isole della Sonda.

— E d'altra parte — fece osservare William Andrew — se nove marinai erano riusciti a lasciar l'isola, perché gli altri cinque avrebbero dovuto rimanere?

— Aggiungo — disse il capitano Ellis — che se hanno avuto una barca qualsiasi a loro disposizione, quelli che lasciarono l'isola devono essere morti in mare, oppure essere stati vittime degli indigeni australiani, visto che non sono più ricomparsi.

Allora mistress Branican, senza lasciar scorgere alcun segno di debolezza, rivolgendosi al nostromo disse:

— Zach Fren, la pensate anche voi come il capitano Ellis? -— Penso — rispose Zach Fren crollando il capo — che se le cose

non sono andate così, possono essere andate in un altro modo. — E perciò — rispose mistress Branican — il mio parere è che

non possediamo una certezza assoluta sulla sorte dei nove uomini di

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cui non è stata trovata alcuna traccia sull'isola. Voi e il vostro equipaggio, capitano, avete fatto tutto ciò che potevano fare degli uomini affezionati e coraggiosi.

— Avrei preferito riuscire, mistress Branican. — Noi ce ne andiamo, mia cara Dolly — disse William Andrew

giudicando che il colloquio fosse durato abbastanza. — Sì, amico mio — rispose mistress Branican — ho bisogno di

rimanere un po' sola. Ma ogni volta che il capitano Ellis vorrà recarsi a Prospect-House, sarò felicissima di riparlare con lui di John e dei suoi compagni.

— Sarò sempre a vostra disposizione — rispose il capitano. — E anche voi, Zach Fren — aggiunse mistress Branican — non

dimenticate che la mia casa è la vostra. — La mia? — rispose il nostromo. — Ma che ne sarà del Dolly-

Hope? — Il Dolly-Hope? — disse mistress Branican, come se la

domanda le sembrasse oziosa. — Non pensate mia cara Dolly — fece osservare William Andrew

— che se si presentasse l'occasione di venderlo… — Venderlo! — rispose vivamente mistress Branican —

Venderlo? No, signor Andrew, questo mai. Mistress Branican e Zach Fren si erano scambiati uno sguardo; si

erano compresi. Da quel giorno Dolly visse ritiratissima a Prospect-House, dove

aveva ordinato di trasportare i pochi oggetti raccolti sull'isola Browse, gli utensili di cui s'erano serviti i naufraghi, la lampada di bordo, il pezzo di tela inchiodato sull'albero di segnale, la campana del Franklin, ecc.

Quanto al Dolly-Hope, dopo essere stato ricondotto in fondo al porto e disarmato, fu affidato alla custodia di Zach Fren. Gli uomini dell'equipaggio, generosamente compensati, non avevano ormai bisogno di nulla.

Ma se un giorno il Dolly-Hope avesse dovuto riprendere il mare per una nuova, spedizione, si sarebbe potuto fare pieno assegnamento su di loro.

Zach Fren si recava spesso a Prospect-House, e a mistress

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Branican faceva piacere rivederlo, e chiacchierare con lui rievocando ad uno ad uno i diversi incidenti della sua ultima campagna. Avevano del resto la stessa maniera di considerare le cose, e questo li avvicinava sempre di più. Essi pensavano che, riguardo alla catastrofe del Franklin, non fosse ancora stata detta l'ultima parola. Spesso Dolly ripeteva al nostromo:

— Zach Fren, John e i suoi otto compagni non sono morti! — Degli otto non so — rispondeva invariabilmente il nostromo —

ma sono quasi sicuro che il capitano John è vivo. — Sì, vivo! Ma dove andarlo a cercare, Zach Fren? Dove sarà il

mio povero John? — Egli è dove è, certamente in qualche luogo, mistress Branican,

e se è vero che non possiamo andarci, ricéveremo però prima o dopo sue notizie. Non sarà per mezzo della posta, ma ne riceveremo certamente.

— John è vivo, Zach Fren! — Se non fosse così, mistress Branican, perché mai allora avrei

dovuto riuscire a salvarvi? Dio l'avrebbe permesso? No, sarebbe stato troppo mal fatto da parte sua.

E Zach Fren, con la sua maniera di dire le cose, e mistress Branican con l'ostinazione che vi metteva, insistevano nel conservare una speranza che William Andrew, il capitano Ellis e gli altri loro amici avevano ormai perduto.

Nell'anno 1883 non ci fu nessuna novità tale che potesse richiamare l'attenzione pubblica sulla faccenda del Franklin. Il capitano Ellis, con un incarico affidatogli dalla casa Andrew, aveva ripreso il mare. William Andrew e Zach Fren erano adesso i soli visitatori che venivano accolti nella casina. Quanto a mistress Branican, si consacrava interamente all'opera di Wat-House, da lei fondata per i bambini abbandonati.

Ormai una cinquantina di bambini, alcuni piccolissimi altri più grandicelli, erano allevati in quell'istituto, e mistress Branican andava a far loro visita tutti i giorni occupandosi personalmente della loro salute, della loro istruzione e anche del loro avvenire. La somma considerevole spesa per il mantenimento di Wat-House permetteva di rendere felici tanti bimbi, almeno per quanto possono esserlo delle

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creature senza mamma e papà. Quando erano cresciuti e potevano iniziare a lavorare, Dolly li collocava nelle officine, nelle case di commercio o nei cantieri di San Diego, continuando però a seguirli e a occuparsi di loro.

Quell'anno, tre o quattro figli di marinai si imbarcarono sotto il comando di onesti capitani degni di fiducia. Partiti mozzi, fra i tredici e i diciotto anni sarebbero diventati novizi, poi marinai, infine nostromi, e avrebbero avuto in mano un buon mestiere per l'età matura e una pensione assicurata per la vecchiaia. L'ospizio di Wat-House era destinato a formare il vivaio di quei marinai che sono il vanto della popolazione di San Diego e degli altri porti della California.

A tutte queste occupazioni, mistress Branican univa quella a lei consueta d'essere la benefattrice dei poveri. Nessuno picchiava invano alla porta di Prospect-House. Con le sue rendite, concorreva a tutte le buone opere, con particolare riguardo per le famiglie dei marinai del Franklin. Non conservava forse in cuor suo la speranza che qualcuno di quegli assenti dovesse tornare un giorno o l'altro? Questo era l'unico argomento dei suoi colloqui con Zach Fren. Quale era stata la sorte di quei naufraghi di cui non s'era trovata traccia sull'isola Browse? Perché essi non avrebbero potuto lasciarla con una barca costruita da loro stessi qualunque fosse, in proposito, l'opinione del capitano Ellis? Certo erano passati tanti anni ch'era quasi pazzia sperare ancora.

La notte, soprattutto, nel sonno agitato da strane visioni, Dolly rivedeva John. Egli era stato salvato dal naufragio e raccolto in quei mari lontani. La nave che lo rimpatriava era al largo… John era di ritorno a San Diego, e la cosa più strana era che quelle illusioni persistevano da sveglia con una intensità tale che Dolly le considerava realtà.

Zach Fren non era meno ostinato di lei. A credergli, quelle idee dovevano essersi fucinate a colpi di maglio nel suo cervello, come cavicchi nella membratura di una nave.

Ripeteva a se stesso che si erano trovati solo cinque naufraghi su quattordici, che questi potevano anche aver lasciato l'isola Browse, che non era poi detto che fosse tanto impossibile costruire una barca

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coi rottami del Franklin. Da tanto tempo, è vero, si ignorava tutto di loro, ma Zach Fren non ci voleva pensare; così William Andrew, preoccupato, lo vedeva alimentare le illusioni di Dolly. Non c'era forse il pericolo che quell'incitamento diventasse pericoloso per un cervello già una volta colpito dalla pazzia? Ma quando William Andrew cercava di farlo capire al nostromo, egli si ostinava e rispondeva:

— Io mi attacco come a un'ancora alla mia idea e non la voglio abbandonare, come non si abbandona un'ancora di robusta tenuta.

Passarono molti anni. Nel 1890 erano già quattordici anni che il capitano John Branican e gli uomini del Franklin avevano lasciato il porto di San Diego. Mistress Branican aveva allora trentasette anni, i suoi capelli cominciavano a incanutire, il caldo colorito del suo viso si faceva più pallido; ma gli occhi erano sempre animati dallo stesso fuoco d'un tempo. Ella non sembrava aver perduto nulla delle sue forze fisiche e morali, e nemmeno di quella energia che le era propria e che certamente si sarebbe di nuovo messa in luce, presentandosene l'occasione.

Perché ella, seguendo l'esempio di lady Franklin, non avrebbe dovuto organizzare spedizioni su spedizioni e spendere tutto il suo patrimonio per ritrovare le tracce di John e dei suoi compagni? Ma dove andarli a cercare? Tutti erano ormai convinti che quel dramma marittimo avesse avuto proprio lo stesso epilogo della spedizione dell'illustre ammiraglio inglese. I marinai del Franklin erano morti infatti nei paraggi dell'isola Browse come i marinai dell’Erebus e del Terrar erano periti in mezzo ai ghiacci dei mari artici…

In quei lunghi anni che non avevano apportato nessun schiarimento alla misteriosa catastrofe, mistress Branican non aveva mai smesso di raccogliere informazioni su Len e Jane Burker. Ma anche da questo lato, mancanza assoluta di notizie. Nessuna lettera era arrivata a San Diego e tutto faceva credere che Len Burker avesse lasciato l'America e si fosse recato, sotto falso nome, in qualche paese lontano. Per mistress Branican questo costituiva un vivo rammarico che veniva ad aggiungersi a tanti altri.

Che fortuna sarebbe stata per lei avere accanto Jane, quella cara e sfortunata donna! Sarebbe stata una buona amica… Ma era lontana,

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perduta, per Dolly, come il capitano John. I primi sei mesi dell'anno 1890 erano già passati, quando un

giornale di San Diego diede nel suo numero del 26 luglio una notizia che fece molto chiasso nei due continenti.

Questa notizia era riferita da un giornale australiano, il «Morning-Herald» di Sydney, ed ecco cosa diceva:

«Certamente tutti ricorderanno le ricerche fatte sette anni or sono dal Dolly-Hope allo scopo di ritrovare i superstiti del Franklin, e si sa che queste ricerche furono vane. Era opinione diffusa che i naufraghi fossero tutti morti prima d'aver toccato l'isola Browse o dopo averla lasciata.

«Ma la questione è tutt'altro che risolta. «Infatti, è arrivato a Sydney uno degli ufficiali del Franklin, Harry

Felton, il secondo del capitano John Branican. Trovato sulle rive del Parru, uno degli affluenti del Darling, quasi sul confine della Nuova Galles del sud e del Queensland, è stato condotto a Sydney. Ma il suo stato di debolezza è tale che non si può avere da lui nessuna informazione e c'è da temere che la morte lo colga da un giorno all'altro.

«L'avviso di questa comunicazione viene fornito agli interessati alla catastrofe del Franklin».

Il 27 luglio, quando William Andrew venne a conoscenza di questa notizia, giunta per telegrafo a San Diego, si recò a Prospect-House dove in quel momento si trovava anche Zach Fren.

Mistress Branican fu subito informata e la sua sola risposta fu questa:

— Parto per Sydney. — Per Sydney? — chiese William Andrew. — Sì — rispose Dolly. E volgendosi al nostromo: — Mi accompagnerete, Zach Fren? — In qualsiasi parte vorrete andare, mistress Branican! — Il Dolly-Hope è in grado di prendere il mare? — No — rispose William Andrew; — ci vorrebbero tre settimane

per armarlo. — Fra tre settimane io devo essere a Sydney — disse mistress

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Branican: — c'è un vapore in partenza per l'Australia? — L'Oregon lascerà San Francisco questa stessa notte. — Sarò a San Francisco questa sera stessa con Zach Fren. — Cara Dolly — disse William Andrew — che Dio vi riunisca al

vostro John. — Ci riunirà! — rispose mistress Branican. Quella sera, verso le 11, un treno speciale portava mistress

Branican e Zach Fren nella capitale della California. All'una del mattino, l'Oregon lasciava San Francisco diretto a

Sydney.

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CAPITOLO XVI

HARRY FELTON

Lo STEAMER Oregon aveva navigato alla velocità media di diciassette nodi, favorito da un tempo magnifico, cosa normale del resto, in quella parte del Pacifico e in quella stagione dell'anno. Quella brava nave condivideva l'impazienza di mistress Branican, come spesso ripeteva Zach Fren. Ufficiali, passeggeri ed equipaggio manifestavano a quella donna coraggiosa la simpatia di cui era tanto degna per le sue sventure e per la forza con cui le sopportava.

Quando l'Oregon fu a 33° 51' di latitudine sud e a 148° 40' di longitudine est, le vedette segnalarono terra. Il 15 agosto, dopo una traversata di settemila miglia, compiuta in diciannove giorni, lo steamer entrava nella baia di Port Jakson, fra quelle maestose rive che formano come una porta aperta sul Pacifico.

Lasciando a destra e a sinistra quei piccoli golfi, sparsi di ville e casine che portano i nomi di Watson, Valclusa, Rosa, Duble, Elisabetta, l'Oregon passò davanti a Farme-Love e a Sydney-Love e venne ad ormeggiarsi alla banchina di sbarco nel Darling-Harbor, il porto di Sydney.

Alla prima persona che si presentò a bordo – un agente dì dogana – mistress Branican domandò ansiosa:

— Harry Felton? — È vivo — le rispose l'agente che aveva subito indovinato

l'identità della sua interlocutrice. Tutta Sydney del resto sapeva che ella si era imbarcata

sull'Oregon ed era attesa con la massima impazienza. — Dov'è Harry Felton? — aggiunse Dolly. — All'ospedale della Marina. Mistress Branican, seguita da Zach Fren, sbarcò subito. La folla

l'accolse con la stessa deferenza con cui veniva accolta a San Diego e

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che certamente avrebbe trovato dappertutto. Una vettura li condusse all'ospedale della Marina, dove furono

ricevuti dal medico di servizio. — Ha potuto parlare Harry Felton? È in sé? — domandò mistress

Branican. — No, mistress — rispose il medico: — il poveretto non è tornato

in sé. Sembra che non possa parlare, e la morte può sopravvenire da un momento all'altro.

— Harry Felton non deve morire! — disse mistress Branican. — Soltanto lui sa se il capitano John e qualcuno dei suoi compagni vivono ancora! Lui solo può dire dove sono. Sono venuta per vedere Harry Felton e per ascoltarlo…

— Vi conduco subito da lui mistress — rispose il medico. Pochi minuti dopo, mistress Branican e Zach Fren venivano

introdotti nella camera occupata da Harry Felton. Sei settimane prima, alcuni viaggiatori attraversavano la provincia

di Ulakarara, nella Nuova Galles del sud, al confine meridionale del Queensland. Giunti in una zona a sinistra del Parru, videro un uomo coricato al piede di un albero. Era coperto di abiti a brandelli, sfinito dalle privazioni e dalla stanchezza e non riuscirono a fargli riprendere i sensi; nessuno avrebbe mai saputo chi era, se non si fosse trovato nelle sue tasche il suo «ingaggio» da ufficiale di marina.

Ed era Harry Felton, il secondo del Franklin. Da dove veniva? Da quale lontana e ignota parte del continente

australiano era partito? Da quanto tempo vagava attraverso quelle temibili solitudini dei deserti centrali? Era stato fatto, forse, prigioniero dagli indigeni ed era riuscito a fuggire? Dove aveva lasciato i suoi compagni, se gliene erano rimasti? O era forse l'unico superstite del disastro? Tutte queste domande erano rimaste fino ad allora senza risposta.

Tutti si chiedevano di dove venisse Harry Felton e quale esistenza potesse aver condotto dopo il naufragio del Franklin sugli scogli dell'isola Browse e finalmente quale fosse il segreto di questa catastrofe.

Harry Felton fu condotto alla stazione più vicina a quella d'Oley, e

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di qui per ferrovia lo si trasportò a Sydney. Il «Morning-Herald», informato prima d'ogni altro giornale del suo arrivo nella capitale dell'Australia, scrisse l'articolo che già conosciamo, aggiungendo che il secondo del Franklin non aveva ancora potuto rispondere a nessuna delle domande che gli erano state rivolte.

E adesso mistress Branican era dinanzi a Harry Felton, ma non avrebbe potuto riconoscerlo. Egli aveva allora appena quarantasei anni ma ne dimostrava sessanta. Ed era il solo uomo, quasi un cadavere, che fosse in grado di fare qualche rivelazione sulla sorte del capitano John e del suo equipaggio.

Fino a quel giorno le cure più assidue non avevano potuto migliorare per nulla lo stato di Harry Felton, dovuto evidentemente alle incredibili sofferenze patite per settimane, forse per mesi, quanto era durato il suo viaggio attraverso l'Australia centrale. E una sincope avrebbe potuto spegnere da un momento all'altro il soffio di vita che gli rimaneva. Da quando era ricoverato in ospedale, egli aveva aperto gli occhi solo qualche volta e non si sarebbe potuto dire se fosse cosciente di quanto accadeva intorno a lui. Veniva nutrito con poco cibo e del resto non se ne accorgeva nemmeno. Inoltre c'era da temere che le sofferenze eccessive avessero distrutto le sue facoltà mentali e la memoria, a cui era legata, forse, la salvezza dei naufraghi.

Mistress Branican aveva preso posto al capezzale di Harry Felton, spiando il suo sguardo, quando le sue palpebre si agitavano, il mormorio della sua voce e qualunque altro piccolo indizio le riuscisse di cogliere. Zach Fren, in piedi accanto a lei, cercava di sorprendere un barlume d'intelligenza, come un marinaio cerca un faro nella nebbia.

Ma quella luce non si accese, né quel giorno, né in quelli seguenti. Le palpebre di Harry Felton rimanevano ostinatamente chiuse, e quando Dolly le sollevava, si trovava di fronte solo uno sguardo incosciente.

Con tutto ciò, sia lei che Zach Fren continuavano a sperare. Anzi, egli badava a ripeterle:

— Se Harry Felton riconosce la moglie del suo capitano, bisognerà cercare di farsi comprendere anche senza parlare.

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Si: era importante ch'egli riconoscesse mistress Branican, e chi sa se il riconoscerla non potesse anche giovare a lui stesso… Si doveva però agire con estrema prudenza, per permettergli di abituarsi alla presenza di Dolly. A poco a poco, i ricordi del Franklin sarebbero riaffiorati alla sua memoria ed egli avrebbe potuto esprimere a cenni quello che non poteva dire.

Benché avessero consigliato a mistress Branican di non rimanere nella camera di Harry Felton, ella rifiutò di riposarsi e di andare a respirare un'altra aria, e non volle nemmeno abbandonare il capezzale del suo letto.

— Harry Felton può morire, e se la sola parola che da lui aspetto gli uscisse di bocca con l'ultimo respiro, io debbo essere qui per sentirla. Non lo lascerò mai.

Verso sera nello stato di Harry Felton sembrò manifestarsi un leggero miglioramento; aprì spesso gli occhi pur non rivolgendo mai lo sguardo a mistress Branican. Eppure, curva sopra di lui, Dolly lo chiamava ripetendo il suo nome e quello di John, capitano del Franklin di San Diego. Come mai questi nomi non gli richiamavano in mente i suoi compagni? Una parola… solo questo ella gli chiedeva: «Vivi?… Sono vivi?».

Intanto, Dolly pensava che anche il suo John doveva aver sofferto tutto quello che Harry Felton certamente aveva patito, per ridursi in quello stato. Poi le veniva in mente che John poteva esser caduto lungo la strada… Ma no, egli non aveva potuto seguire Harry Felton… era rimasto laggiù con gli altri… Dove?… Presso una tribù del litorale australiano? E quale era questa tribù? Solo Harry Felton poteva dirlo, e sembrava che la sua intelligenza fosse distrutta e che le sue labbra avessero disimparato la parola.

Durante la notte la debolezza di Harry Felton aumentò. Gli occhi non si riaprivano più, la mano si raffreddava, come se la poca vita che gli era rimasta si fosse ritirata verso il cuore. Sarebbe morto senza dire una sola parola? E Dolly rammentava che lei stessa aveva perduto la memoria e il senno per tanti anni! Come da lei allora non si sarebbe potuto ottenere nulla, così oggi niente si poteva ottenere da quel poveretto, niente di tutto ciò che lui solo poteva sapere.

Fattosi giorno, il medico, inquietissimo per lo stato di prostrazione

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di Harry Felton, esperimentò i più energici medicamenti, che non produssero però alcun effetto. La morte non poteva tardare.

Dunque mistress Branican doveva veder distrutte le speranze concepite alla notizia del ritorno di Harry Felton; alla luce che il superstite avrebbe potuto portare, stava per succedere un buio profondo! E allora tutto sarebbe finito.

Su richiesta di Dolly i più famosi medici della città si erano riuniti a consulto, ma dopo aver esaminato l'infermo dichiararono che non c'era più nulla da fare.

— Non c'è dunque un rimedio per questo poveretto? — domandò mistress Branican.

— No, mistress — rispose uno dei medici. — Almeno ridargli un minuto di coscienza, un attimo di

memoria? Quell'attimo, mistress Branican l'avrebbe pagato con tutta la sua ricchezza.

Ma quello che non possono gli uomini, lo può sempre Dio. A lui l'uomo deve rivolgersi quando rimane privo di ogni risorsa umana.

Appena i medici se ne furono andati, Dolly s'inginocchiò, e Zach Fren, arrivando, la trovò in preghiera al capezzale del moribondo.

A un tratto Zach Fren, che si era avvicinato per controllare se Harry Felton respirasse ancora, esclamò:

— Mistress, mistress. Dolly, credendo che il nostromo non avesse trovato ormai più

niente altro che un cadavere in quel letto, si alzò: — Morto? — No, mistress, no. Vedete… i suoi occhi sono aperti, egli ci

guarda… E veramente, sotto le palpebre sollevate, gli occhi di Harry Felton

brillavano in modo straordinario. La sua faccia si era colorata leggermente, e le sue mani si agitarono a più riprese. Egli parve uscire dal torpore in cui era così a lungo rimasto e mentre volgeva lo sguardo a mistress Branican, sembrò che un sorriso gli animasse le labbra.

— Mi ha riconosciuto! — esclamò Dolly. — Sì — rispose Zach Fren — è la moglie del capitano che gli sta

accanto; egli lo sa e parlerà.

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— E se non può parlare, Dio permetta almeno che si faccia comprendere. Allora, prendendo la mano di Harry Felton, che strinse dolcemente la sua, Dolly interrogò:

— John! John! Un movimento degli occhi indicò che Harry Felton aveva udito e

compreso. — Vivo? — insisté Dolly. — Sì! E per quanto debolmente fosse stato pronunciato quel sì, Dolly lo

sentì benissimo!…

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CAPITOLO XVII

SÌ E NO

MISTRESS Branican fece subito chiamare il medico, il quale nonostante il mutamento avvenuto nello stato di Harry Felton comprese che non si trattava di un miglioramento, ma solo dell'ultimo guizzo di vita, che la morte avrebbe presto spento.

Il morente sembrava vedere soltanto mistress Branican. Zach Fren e il medico non esistevano per lui. Quel barlume di coscienza che gli restava, lo concentrava tutto sulla moglie del suo capitano.

— Harry Felton — domandò mistress Branican — se John è vivo, dove l'avete lasciato, dove si trova, ora?

Harry Felton non rispose. — Non può parlare — disse il medico — ma forse potrebbe farsi

capire a cenni… — O almeno con lo sguardo, che io saprò interpretare — rispose

mistress Branican. — Aspettate — disse Zach Fren; — bisogna che le domande siano

fatte in un certo modo, come facciamo noi americani. Lasciate fare a me, mistress Branican; tenete la mano di Felton e non allontanate mai lo sguardo dai suoi occhi… io l'interrogo. Dirà si o no con lo sguardo e a noi basterà.

Mistress Branican si chinò su Harry Felton e gli afferrò una mano. Se Zach Fren avesse cominciato domandando dove si trovava il capitano John, non avrebbe potuto ottenere una indicazione soddisfacente, perché per Harry Felton era impossibile riuscire a pronunciare il nome d'una regione, d'una provincia, di un luogo qualsiasi. Dunque era meglio andare grado per grado, ricostruendo la storia del Franklin dall'ultimo giorno che era stato visto fino a quello in cui Harry Felton si era separato da John Branican.

— Felton — disse Zach Fren, con voce limpida. — Vi sta accanto

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mistress Branican, moglie di John Branican, comandante del Franklin, l'avete riconosciuta?

Le labbra di Harry Felton non si mossero, ma un movimento delle sue palpebre, una leggera pressione della sua mano, risposero di sì.

— Il Franklin — riprese Zach Fren — non è stato segnalato in nessun luogo, da quando fu visto al sud dell'isola Celebes… Felton, mi intendete?

Lo sguardo rispose di sì. — Ebbene — aggiunse Zach Fren — ascoltatemi, e a seconda se

aprirete o chiuderete gli occhi, saprò se quello che esprimo è esatto o no.

Non c'era dubbio che Harry Felton avesse compreso le parole di Zach Fren.

— Lasciando il mar di Giava — riprese il mastro — il capitano John è passato nel mare di Timor?

— Sì. — Per lo stretto della Sonda? — Sì. — Volontariamente? Questa domanda fu seguita da un cenno negativo sul quale non vi

era dubbio di sorta. — No — disse Zach Fren. Era proprio ciò che il capitano Ellis e lui avevano sempre pensato,

cioè che il Franklin non sarebbe passato dal mare di Giava nel mare di Timor se non vi fosse stato costretto.

— È successo durante un uragano? — domandò Zach Fren. — Sì. — Una violenta tempesta che vi ha sorpreso sul mar di Giava

forse?… — Sì. — E che vi ha spinti nello stretto della Sonda?… — Sì. — Il Franklin era forse disalberato, con il timone che non

funzionava più? — Sì. Mistress Branican, gli occhi fissi su Harry Felton, lo guardava

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senza aprir bocca. Zach Fren, che voleva ricostruire le diverse fasi della catastrofe,

continuò su questo tono: — Il capitano John non aveva potuto fare il punto da qualche

giorno, ed ignorava la sua posizione?… — Sì. — E dopo essere stato trascinato per un po' fino ad ovest del mare

di Timor, è venuto a perdersi sulle scogliere dell'isola Browse?… Un leggero sussulto del malato denunciò la sua sorpresa, la sua

meraviglia poiché egli ignorava certamente il nome dell'isola su cui il Franklin era andato ad infrangersi, isola della quale non era stato possibile determinare la posizione, nel mare di Timor.

Zach Fren riprese: — Quando vi siete imbarcati a San Diego c'erano a bordo il

capitano John, voi Harry Felton e dodici uomini d'equipaggio, in tutto quattordici. Eravate quattordici dopo il naufragio del Franklin?…

— No. — Alcuni degli uomini erano morti nel momento che la nave si

infrangeva contro gli scogli?… — Sì. — Uno o due?… Un segno affermativo approvò l'ultima cifra. Dunque due marinai mancavano quando i naufraghi erano sbarcati

sull'isola Browse. In quel momento il medico consigliò di dare un po' di riposo ad

Harry Felton, visibilmente affaticato dall'interrogatorio. Riprendendo le domande qualche minuto dopo, Zach Fren ottenne

altre informazioni, sul modo in cui il capitano John, Harry Felton e i loro dieci compagni erano riusciti a sopravvivere. Se non fosse stato per una parte del carico salvato, composto di conserve e di farine, e per la pesca, diventata in breve la fonte principale della loro alimentazione, i naufraghi sarebbero morti di fame. Qualche volta avevano visto delle navi passare al largo dell'isola, ma la loro bandiera issata sull'albero di segnale non era stata vista mai. Eppure la loro sola speranza di salvezza stava nella possibilità di essere

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avvistati da una nave. Quando Zach Fren domandò: — Per quanto tempo siete rimasti sull'isola Browse?… Un anno…

due anni… tre anni?… Fu a quest'ultima cifra che Harry Felton rispose di si con lo

sguardo. Dunque dal 1878 al 1880 il capitano John e i suoi compagni

avevano vissuto su quell'isola! Ma come erano riusciti a lasciarla? Questo era uno dei punti più

interessanti, e Zach Fren cercò di chiarirlo con questa domanda: — Siete forse riusciti a costruire una barca coi rottami della

nave?… — No. Era proprio quanto avevano pensato il capitano Ellis ed il

nostromo, quando esplorarono il luogo del naufragio: impossibile costruire qualcosa con quei resti in pessimo stato.

Arrivato a questo punto dell'interrogatorio, Zach Fren non riusciva a capire quali domande si sarebbero potute fare per arrivare a determinare il modo con cui i naufraghi avevano abbandonato l'isola Browse.

— Avete detto che nessuno ha visto i segnali?… — No. — Allora si è forse accostato un «prao» delle isole malesiane, una

barca degli indigeni dell'Australia?… — No. — Una lancia, forse? La lancia di una nave trascinata sull'isola?… — Sì. — Una lancia alla deriva?… — Sì. Chiarito questo punto, fu facile a Zach Fren dedurne le logiche

conseguenze. — Avete messo questa lancia in condizioni di prendere il mare?

— domandò. — Sì. — E il capitano John se ne è servito per arrivare alla costa più

vicina?…

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— Sì. Ma perché il capitano John e i suoi compagni non si erano

imbarcati tutti su quella lancia? Questo era un punto importante da chiarire.

— La lancia era forse troppo piccola per dodici passeggeri? — domandò Zach Fren.

— Sì. — E siete partiti in sette… il capitano John, voi e cinque

uomini?… — Sì. E nello sguardo del morente apparve chiara l'ansia per quelli che

erano rimasti nell'isola Browse e che forse aspettavano ancora che qualcuno venisse a soccorrerli.

A un cenno di Dolly, Zach Fren si astenne dal dire che i cinque marinai erano tutti morti dopo la partenza del capitano.

Ancora una volta bisognò lasciar riposare il malato, che in quel momento aveva chiuso gli occhi continuando a stringere la mano di mistress Branican.

Ora, trasportata dall'immaginazione nell'isola Browse, Dolly assisteva a tutte quelle scene, vedeva John tentare l'impossibile per la salvezza dei suoi compagni… lo vedeva… gli parlava… lo incoraggiava… s'imbarcava con lui… Dove aveva approdato la lancia?…

Gli occhi di Harry Felton si riaprirono e Zach Fren riprese a domandare:

— Dunque il capitano John, voi e cinque uomini avete lasciato l'isola Browse?…

— Sì. — E la lancia si è diretta ad est per raggiungere la terra più

vicina?… — Sì. — Era la terra australiana? — Sì. — La lancia è stata buttata in costa da una tempesta al termine

della traversata?… — No.

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— Siete riusciti ad approdare in un'insenatura del litorale australiano?…

— Sì. — Nei dintorni del capo Leveque, non è così? — Sì. — Forse a York Sound?… — Sì. — Sbarcando, siete caduti in mano degli indigeni?… — Sì. — E vi hanno presi prigionieri?… — Sì. — Tutti?… — No. — Alcuni di voi erano morti durante lo sbarco a York Sound?… — Sì. — Uccisi dagli indigeni?… — Sì. — Uno… due… tre… quattro?… — Sì. — Allora eravate soltanto in tre quando gli australiani vi hanno

condotti all'interno del continente?… — Sì. — Il capitano John, voi e uno dei marinai?… — Sì. — E questo marinaio è ancora col capitano John?… — No. — Era morto prima della vostra partenza?… — Sì. — Da molto tempo?… — Sì. Dunque il capitano John e il secondo Harry Felton erano i soli

superstiti del Franklin, e uno di loro aveva ormai solo poche ore di vita.

Non fu facile ottenere da Harry Felton tutte le altre notizie che riguardavano il capitano John, che richiedevano un'estrema precisione. Più di una volta Zach Fren dovette interrompere

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l'interrogatorio. Quando lo riprendeva, mistress Branican gli faceva fare domande su domande per sapere tutto quello che era avvenuto in quei nove anni, cioè dal giorno in cui il capitano John e Harry Felton erano stati catturati dagli indigeni. Seppero così che si trattava di australiani nomadi… I prigionieri erano stati costretti a seguirli nelle loro continue peregrinazioni attraverso la Terra di Tasman, conducendo un'esistenza miserabile. Come mai gli indigeni li avevano risparmiati?… Forse per ricavare da loro qualche servizio, oppure, se mai se ne fosse presentata l'occasione, per ottenere un riscatto dalle autorità inglesi? Era proprio così. Quel particolare così importante fu ricavato dalle risposte di Harry Felton. Riuscendo ad arrivare fino a quegli indigeni, non ci sarebbe stato altro da fare che trattare il riscatto. Altre domande permisero di comprendere meglio che il capitano John e Harry Felton erano stati sorvegliati così attentamente per nove anni da non poter trovare nessuna possibilità di fuga.

Finalmente si era presentata un'occasione. Venne fissato un luogo, nel quale i due prigionieri dovevano trovarsi per fuggire insieme; ma per una circostanza che Harry Felton ignorava, il capitano John non aveva potuto trovarsi al posto stabilito. Harry Felton aveva atteso molti giorni, non volendo fuggir solo; aveva cercato di raggiungere di nuovo la tribù, ma essa aveva cambiato località. Allora, deciso a liberare il suo capitano se fosse riuscito a raggiungere uno dei villaggi dell'interno, s'era cacciato attraverso le regioni del centro, nascondendosi per non ricadere nelle mani degli indigeni, sfinito dal caldo, esausto di fame e di stanchezza. Per mesi aveva vagato così, finché era caduto privo di forze sulle rive del Parru, sulla frontiera meridionale del Queensland.

Là era stato riconosciuto grazie ai documenti che portava con sé, e di là era stato portato a Sydney, dove aveva continuato a vivere miracolosamente perché potesse rivelare quello che da tanti anni tutti cercavano invano di scoprire.

Dunque, unico fra tutti i suoi compagni, il capitano John era vivo; ma prigioniero d'una tribù nomade che percorreva i deserti della terra di Tasman.

Quando Zach Fren ebbe fatto il nome di diverse tribù che

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frequentano quei territori, Harry Felton rispose con un cenno affermativo quando sentì il nome degli Indas. Zach Fren riuscì anche a capire che nella stagione invernale quella tribù si accampava in genere sulle rive del Fitzroy-River, uno dei corsi d'acqua che si gettano nel golfo Leveque, a nord-ovest del continente australiano.

— Noi andremo là a cercare John! — esclamò mistress Branican. — È là che lo ritroveremo.

E Harry Felton comprese le sue parole perché il suo sguardo si animò al pensiero che il capitano John dovesse essere finalmente salvato… salvato da lei!

Ora Harry Felton aveva compiuto la sua missione… Mistress Branican, sua ultima confidente, sapeva in quale parte del continente australiano doveva indirizzare le ricerche; ed aveva richiuso gli occhi non avendo più nulla da dire.

Ecco dunque in quale condizione era stato ridotto quell'uomo, così coraggioso e forte, dalle fatiche, dagli stenti e soprattutto dal terribile clima australiano. Per averlo sfidato, soccombeva proprio nel momento in cui le sue disgrazie potevano dirsi finite. E non sarebbe toccata la stessa sorte al capitano John se avesse tentato di fuggire attraverso i deserti dell'Australia centrale? E non erano forse minacciati dagli stessi pericoli coloro che volessero mettersi in cerca di quella tribù di Indas?…

Ma la mente di mistress Branican non fu nemmeno sfiorata da questo pensiero. Mentre l'Oregon la trasportava verso il continente australiano, aveva concepito il piano di una nuova spedizione: ora si trattava solo di metterlo in atto.

Harry Felton morì verso le nove del mattino. Dolly ancora una volta l'aveva chiamato per nome, ancora una volta egli l'aveva intesa… Le sue palpebre si erano rialzate, e finalmente dalle sue labbra era uscito un nome: «John, John!»

Poi i rantoli dell'agonia gli avevano gonfiato il petto e il suo cuore aveva cessato di battere.

Quella sera, al momento in cui mistress Branican usciva dall'ospedale, fu avvicinata da un ragazzino che aspettava sulla soglia.

Era un mozzo della marina mercantile, che prestava servizio sul

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Brisbane, uno dei battelli a vapore che fanno gli scali della costa australiana fra Sydney ed Adelaide.

— Mistress Branican?… — chiese il mozzo con voce commossa. — Che cosa volete, ragazzo mio? — rispose Dolly. — Harry Felton è morto? — È morto. — E il capitano John? — Vive! — Grazie, mistress Branican — rispose il mozzo. Dolly aveva appena intravisto i lineamenti di quel ragazzo che se

n'era andato senza rivelare la sua identità e il motivo delle sue domande.

L'indomani ebbero luogo i funerali di Harry Felton, cui assistettero i marinai del porto con gran parte della popolazione di Sydney. Mistress Branican seguì fino al cimitero la bara di colui che era stato devoto compagno e amico fedele del capitano John. Accanto a lei camminava quel giovane mozzo che ella non riconobbe fra tutti quelli che erano venuti a rendere gli ultimi onori al secondo del Franklin.

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PARTE SECONDA

CAPITOLO I

NAVIGANDO

TAGLIANDO l'istmo di Suez, si può dire che il signor di Lesseps abbia trasformato in un'isola il continente africano. Quando il canale di Panama sarà stato ultimato, si potranno allo stesso modo chiamare isole l'America del Sud e l'America del Nord, perché quei vasti territori saranno circondati di acqua da ogni parte. Ma poiché per la loro estensione rimarrà ad essi il nome di continente, è logico dare questo nome anche all'Australia o Nuova Olanda, che si trova nelle stesse condizioni.

Infatti, l'Australia si estende per tremilanovecento chilometri di lunghezza da est a ovest, e per tremiladuecento di larghezza da nord a sud. Ora il totale di queste due dimensioni costituisce una superficie di circa quattro milioni ottocentotrentamila chilometri quadrati, ossia i sette noni dell'area europea.

Attualmente, il continente australiano viene diviso, dagli autori degli atlanti più recenti, in sette province separate da linee tagliate arbitrariamente ad angolo retto senza tener conto dei monti e dei fiumi.

Ad est, nella parte più popolata, c'è il Queensland, con capitale Brisbane, la Nuova Galles del Sud, con capitale Sydney, Victoria, con capitale Melbourne.

Al centro, l'Australia settentrionale e la Terra Alexandra, senza capitali, e l'Australia meridionale, con capitale Adelaide.

Ad ovest, l'Australia occidentale, che si estende dal nord al sud, con capitale Perth.

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Bisogna aggiungere che gli australiani cercano di costituire una confederazione sotto il nome di «Commonwealth of Australia». Il governo inglese rifiuta per ora questa denominazione, ma essa verrà certamente accettata il giorno in cui la separazione sarà di fatto avvenuta.

Vedremo presto in quali province, le più pericolose e sconosciute di quel continente, mistress Branican andasse avventurandosi con quella vaga speranza, con quel pensiero quasi irrealizzabile di ritrovare il capitano John, strappandolo alla tribù che lo teneva prigioniero da nove anni. E d'altra parte non era il caso di chiedersi se gli Indas lo avessero ucciso, dopo che Harry Felton era riuscito a fuggire?

Il progetto di mistress Branican era di lasciare Sydney appena fosse stato possibile partire. Ella poteva contare sulla devozione di Zach Fren, sulla intelligenza ferma e pratica che gli era propria. Durante un lungo colloquio entrambi, studiando attentamente la carta dell'Australia, avevano cercato di stabilire il modo di agire più pronto e più pratico per tentare la nuova impresa con qualche possibilità di successo. Naturalmente, la scelta del punto di partenza era di estrema importanza, e, infine, fu stabilito quanto segue:

1. Una carovana, provvista dei migliori mezzi di ricerche e di difesa e fornita di tutto il materiale necessario per un viaggio attraverso i deserti dell'Australia centrale, sarebbe stata organizzata a spese di mistress Branican.

2. Dovendo l'esplorazione incominciare subito, i componenti la spedizione si sarebbero portati per la via più rapida di terra e di mare fino al punto estremo delle comunicazioni stabilite fra il litorale e il centro del continente.

Si trattò innanzitutto di decidere se conveniva sbarcare sul litorale nordovest, cioè sul luogo della Terra di Tasman dove avevano approdato i naufraghi del Franklin. Ma questo giro avrebbe apportato una grave perdita di tempo, per le reali difficoltà costituite tanto dal personale quanto dal materiale: l'uno e l'altro considerevoli. Inoltre niente poteva dire che dalla parte ovest dell'Australia ci fossero maggiori probabilità di trovare la tribù che aveva fatto prigioniero il capitano John, poiché gli indigeni nomadi percorrono la Terra

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Alexandra come il distretto dell'Australia occidentale. Si decise dunque che questa soluzione non era la più conveniente.

In secondo luogo si discusse sulla direzione da prendere al momento della partenza; era logico che dovesse essere la stessa che Harry Felton aveva seguito durante il suo percorso nell'Australia centrale e, anche se questa non si conosceva in modo preciso, si aveva almeno un punto di riferimento, quello in cui il secondo del Franklin era stato raccolto, vale a dire le rive del Parru, al confine del Queensland e della Nuova Galles del Sud, al nord-ovest di questa provincia.

Dal 1770 – anno in cui il capitano Cook aveva esplorato la Nuova Galles del Sud e preso possesso, in nome del re d'Inghilterra, del continente già esplorato dal portoghese Manuel Godenbho e dagli olandesi Verschoor, Hartog, Carpenter e Tasman – la parte orientale dell'Australia era stata colonizzata, sviluppata e incivilita. Nel 1787, sotto il governo di Pitt, il commodoro Philips aveva fondato una colonia penale a Botany-Bay, dalla quale in meno di un secolo, sarebbe sorto uno stato di circa tre milioni d'uomini. Ora, a questa parte del continente, non manca niente di tutto ciò che costituisce la ricchezza e la grandezza d'un paese: strade, canali, ferrovie che congiungono le innumerevoli località del Queensland, della Nuova Galles del Sud, di Victoria e dell'Australia meridionale e linee di navigazione che garantiscono i collegamenti fra i loro porti. Poiché mistress Branican si trovava a Sydney, avrebbe avuto modo, in quella ricca e popolosa capitale, di fare i rifornimenti necessari per una carovana in un lungo viaggio, tanto più che ora, dovendo lasciare San Diego, ella, per mezzo del signor William Andrew, si era fatta aprire un credito importante sulla Central Australian Bank. Poteva dunque procurarsi agevolmente uomini, animali da sella e da tiro e veicoli necessari per una spedizione in Australia, e perfino per una traversata completa dall'est all'ovest, cioè per un tragitto di circa duemiladuecento miglia.5 Ma era giusto scegliere la città di Sydney come punto di partenza?

Tutto sommato, anche secondo il parere del console americano —

5 Circa quattromila chilometri. (N.d.A.)

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che conosceva bene l'Australia – era meglio partire da Adelaide, capitale dell'Australia meridionale. Seguendo la linea telegrafica, che va da questa città fino al golfo di Van Diemen, cioè da sud a nord, pressappoco lungo il 139° meridiano, correva la prima parte di una ferrovia che incrociava il parallelo toccato da Harry Felton. Questa ferrovia poteva permettere al personale di arrivare più rapidamente in quelle regioni della Terra Alexandra e dell'Australia occidentale frequentate a quel tempo da ben pochi viaggiatori.

Presa questa prima risoluzione, fu deciso che quella terza spedizione destinata alla ricerca del capitano John sarebbe stata organizzata ad Adelaide per trasferirsi poi all'estrema punta della strada ferrata, che descrive, salendo al nord, un percorso di circa quattrocento miglia, ovvero settecento chilometri.

E adesso, per quale via mistress Branican si sarebbe recata ad Adelaide dopo essere partita da Sydney? Se la ferrovia fosse stata unita fra le due capitali, non ci sarebbe stato alcun problema. C'è, è vero, una ferrovia che attraversa il Murray sulla frontiera della provincia di Victoria, alla stazione di Albury, proseguendo poi per Benalla e Kilmore fino a Melbourne, e di qui prosegue per Adelaide; ma non tocca la stazione di Horsham, e, più avanti, le comunicazioni ancora poco sicure avrebbero potuto dar luogo a lunghissimi ritardi.

Perciò mistress Branican decise di andare ad Adelaide per mare. Era un percorso di quattro giorni, ma calcolando quarant'otto ore per lo scarico delle merci a Melbourne, poteva contare di sbarcare nella capitale dell'Australia meridionale dopo sei giorni di navigazione lungo le coste. Si era nel mese di agosto, che corrisponde al mese di febbraio dell'emisfero boreale. Ma il tempo era sereno, e coi venti che soffiavano da nord-ovest, lo steamer sarebbe stato riparato dalla terra, non appena avesse oltrepassato lo stretto di Bass. Ma mistress Branican, che era già venuta da San Francisco a Sydney, non temeva certamente la traversata da Sydney ad Adelaide.

Il Brisbane partiva appunto l'indomani alle undici di sera. Dopo aver scaricato a Melbourne, sarebbe arrivato al porto di Adelaide la mattina del 27 agosto. Vi furono prenotate due cabine, e mistress Branican provvide a far trasferire sulla Banca di Adelaide il credito che le era stato aperto in quella di Sydney. I direttori si misero

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cortesemente a sua disposizione per facilitarle questa operazione. Lasciando l'ospedale della Marina, mistress Branican s'era recata

all'albergo per scegliere l'appartamento in cui avrebbe abitato fino al momento della partenza. I suoi pensieri si riassumevano tutti in uno solo: John era vivo! Con gli occhi ostinatamente fissi sulla carta del continente australiano, lo sguardo smarrito in quelle immense solitudini del centro e del nord-ovest, in preda al delirio della sua immaginazione ella lo cercava… lo trovava… lo salvava…

Quel giorno, dopo il loro colloquio, Zach Fren comprendendo che era meglio lasciarla sola, era andato gironzolando per le vie di Sydney, che gli erano assolutamente sconosciute. Prima di tutto – e questo è naturalissimo in un marinaio – andò a visitare il Brisbane per assicurarsi che mistress Branican potesse trovarvi a bordo una sistemazione conveniente. La nave gli sembrò ben attrezzata per affrontare un viaggio lungo le coste. Chiese di visitare la cabina riservata alla viaggiatrice; vi fu condotto da un giovane mozzo e diede alcune disposizioni per renderla più comoda. Bravo Zach Fren! Sembrava che dovesse trattarsi di una lunga traversata.

Nel momento in cui stava per andarsene, il giovane mozzo lo trattenne e con voce leggermente commossa gli chiese:

— È proprio sicuro, nostromo, che mistress Branican s'imbarcherà domani per Adelaide?

— Sì, domani — rispose Zach Fren. — Sul Brisbane? — Certamente. — Speriamo che possa riuscire nella sua impresa e ritrovare il

capitano John! — Puoi stare certo che faremo del nostro meglio. — Ne sono convinto, nostromo. — Anche tu sei imbarcato sul Brisbane? — Sì. — Ebbene, ragazzo mio, a domani. Le ultime ore trascorse a Sydney, Zach Fren le impiegò a

gironzolare in Pitt-Street e York-Street, strade fiancheggiate da belle costruzioni di pietra arenaria di color giallo-rossastro, poi in Victoria-Park e Hyde-Park ove sorge il monumento del capitano

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Cook. Visitò il Giardino Botanico, deliziosa passeggiata in riva al mare, dove crescono insieme le diverse piante dei paesi caldi e temperati, le querce, i cactus, i mangli, le palme e gli olivi. In definitiva, Sydney merita la fama che le è stata attribuita. È la più antica delle capitali australiane, e per quanto sia strutturata meno regolarmente delle sue sorelle minori, Adelaide e Melbourne, è più ricca di bellezze impreviste e di luoghi pittoreschi.

La sera dopo, mistress Branican e Zach Fren erano a bordo. Alle undici, il Brisbane, uscendo dal porto, attraversava la baia di Port Jakson. Dopo aver doppiato l'Inner-South-Head, fece vela verso sud, tenendosi qualche miglio lontano dalla costa.

Per tutta la prima ora di navigazione, Dolly rimase sul ponte, seduta a poppa, guardando le forme del litorale che apparivano confusamente in mezzo alla bruma. Era dunque quello il continente in cui ella avrebbe tentato di penetrare, come in una immensa prigione, da dove John non aveva potuto fuggire. Già da quattordici anni erano separati l'uno dall'altra.

— Quattordici anni! — mormorò Dolly. Quando il Brisbane passò davanti a Botany-Bay e Jorris-Bay,

mistress Branican andò a riposarsi. Ma l'indomani all'alba era già in piedi, proprio nel momento in cui il monte Dromedary, e un po' indietro il monte Kosciusko, del sistema delle Alpi australiane, si delineavano all'orizzonte.

Zach Fren la raggiunse sul ponte di controcoperta dello steamer, e tutti e due cominciarono a parlare dell'argomento che stava a cuore ad entrambi.

In quel momento, un giovane mozzo, timido ed emozionato, si avvicinò a mistress Branican per domandarle, da parte del capitano, se non avesse bisogno di nulla.

— No, caro — rispose Dolly. — Sei il ragazzo che mi ha ricevuto ieri quando sono venuto a

visitare il Brisbane — disse Zach Fren. — Sì, nostromo, sono io. — E come ti chiami? — Godfrey. — Ebbene, Godfrey, sei sicuro ora che mistress Branican è a

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bordo della tua nave… e sei soddisfatto, immagino? — Sì, nostromo, e siamo tutti soddisfatti a bordo! Sì. Tutti

facciamo voti perché le ricerche di mistress Branican riescano, e si possa finalmente liberare il capitano John!

Così dicendo, Godfrey la guardava con tanto rispetto ed ammirazione che Dolly si sentì profondamente commossa. E in quel momento la voce del ragazzo la colpì… quella voce credeva di averla già sentita, e le tornò alla memoria.

— Ragazzo mio — gli disse — non siete voi che mi avete parlato, giorni fa, a Sydney?

— Sono io. — E mi avete domandato se il capitano John era vivo? — Proprio io, mistress. — Fate dunque parte dell'equipaggio? — Sì… da un anno — rispose Godfrey. — Ma, se Dio vuole,

presto lo lascerò. Non volendo, o non osando, aggiungere altro, Godfrey si ritirò per

portare notizie di mistress Branican al comandante. — Ecco un ragazzino che ha tutta l'aria d'aver sangue di marinaio

nelle vene! — fece osservare Zach Fren. — Basta vederlo per capirlo… Ha lo sguardo franco, chiaro e deciso… La sua voce è ferma e dolce nello stesso tempo…

— La sua voce! — mormorò Dolly. Per quale illusione dei sensi le pareva che somigliasse tanto a

quella di John? Aveva fatto anche un'altra osservazione. Certamente si trattava di

un'altra illusione, ma anche i lineamenti di quel ragazzo le avevano ricordato quelli di John… di John, che non aveva neanche trent'anni quando il Franklin l'aveva portato lontano da lei e per tanto tempo…

— Vedete, mistress Branican — disse Zach Fren fregandosi le grosse mani — inglesi e americani: a tutti voi siete simpatica… In Australia troverete la stessa devozione che in America… e ad Adelaide sarà come a San Diego… tutti fanno voti come quel giovane inglese…

— È un inglese? — domandò mistress Branican, profondamente colpita. La prima giornata di navigazione era stata abbastanza

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soddisfacente. Il mare era calmissimo con quei venti di nord-ovest provenienti da terra, e tutto faceva pensare che sarebbe stato altrettanto tranquillo quando il Brisbane avesse doppiato il capo Howe, all'angolo del continente australiano, per dirigersi verso lo stretto di Bass.

Durante quella giornata, Dolly non lasciò quasi mai il ponte. I passeggeri le dimostravano un profondo rispetto e facevano a gara nel tenerle compagnia. Tutti erano interessati a quella donna, le cui sventure avevano suscitato tanta commozione e che non esitava a sfidare pericoli e fatiche, nella speranza di salvare suo marito, in caso la Provvidenza lo avesse protetto concedendogli di sopravvivere. Davanti a lei, del resto, nessuno metteva in dubbio questa possibilità. Come si poteva, d'altronde, non condividere la sua fiducia quando la si sentiva prendere certe decisioni e fare certi progetti? Quasi inconsciamente, veniva il desiderio di avventurarsi con lei in mezzo ai territori dell'Australia centrale. Ed erano in molti quelli che avrebbero accettato di accompagnarla fin là ben più concretamente che non col solo pensiero.

Ma a volte accadeva che Dolly, mentre parlava, si interrompesse d'improvviso. Il suo sguardo prendeva allora una strana espressione, vi si accendeva dentro come una fiamma e Zach Fren era il solo a comprendere quello sguardo.

Questo accadeva quando vedeva Godfrey. Il portamento del fanciullo, la sua andatura, i suoi gesti, l'insistenza con cui egli la guardava, quella specie d'istinto che sembrava attirarlo verso di lei, tutto ciò la colpiva e la commuoveva al punto da confonderlo nel suo pensiero all'immagine di John.

Dolly non aveva potuto nascondere a Zach Fren che le pareva di notare una strana somiglianza fra John e Godfrey. E Zach Fren seguiva con preoccupazione il suo abbandonarsi all'illusione di quella somiglianza, dovuta a una circostanza puramente casuale. Egli temeva, e ben a ragione, che quella vicinanza potesse suscitare in lei troppo vivo il ricordo del bambino perduto. Era veramente preoccupante che mistress Branican fosse tanto agitata dalla presenza di quel ragazzo.

Godfrey non era più tornato da lei, perché il suo servizio non lo

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destinava a quella parte della nave, esclusivamente riservata ai passeggeri di prima classe. Ma da lontano i loro sguardi si erano spesso incontrati, e Dolly era stata sul punto di chiamarlo… Sì! Sarebbe bastato un suo cenno per fare accorrere Godfrey… ma Dolly non fece quel cenno e Godfrey non si avvicinò.

Quella sera, mistress Branican disse a Zach Fren che stava riaccompagnandola in cabina:

— Zach, voglio sapere chi è quel ragazzo… a che famiglia appartiene… dove è nato… Forse non è d'origine inglese…

— È possibile, mistress — rispose Zach Fren. — Può darsi che sia americano. Del resto, se volete, vado a domandarlo al comandante…

— No, no, Zach, interrogherò io stessa Godfrey. E Zach sentì mistress Branican bisbigliare:

— Il mio bambino, il mio povero Wat, a quest'ora avrebbe quasi la stessa età!

«Ecco quel che temevo!» pensò Zach Fren, ritirandosi nella cabina.

L'indomani, 23 agosto, il Brisbane, che aveva doppiato il capo Howe durante la notte, continuò a navigare in ottime condizioni. La costa del Gippland, una delle principali province della colonia di Victoria, dopo essersi curvata verso il sud-est, si congiunge al promontorio Wilson, la punta più avanzata che il continente spinge verso sud. Questo litorale è meno ricco di baie, porti, capi geograficamente denominati, di quanto non sia la parte che si disegna in linea retta da Sydney fino al capo Howe. Si tratta di una pianura sconfinata, i cui confini incorniciati da montagne, sono troppo lontani perché si possano distinguere dal mare.

Mistress Branican, lasciata all'alba la cabina, aveva ripreso il suo posto sul ponte. Zach Fren la raggiunse quasi subito ed osservò che in lei era avvenuto un notevole cambiamento. Il suo sguardo non era più attirato dalla terra che si estendeva verso nord-ovest. Assorta nei suoi pensieri, rispose appena alla domanda di Zach Fren che si informava su come avesse passato la notte.

Egli non insisté. L'essenziale era che Dolly dimenticasse quella singolare somiglianza di Godfrey col capitano John, e che non pensasse più a rivederlo né ad interrogarlo. Forse, se avesse potuto

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rinunziarci, il suo pensiero si sarebbe rivolto ad altro; e in effetti, non chiese a Zach Fren di condurle il giovinetto, trattenuto a prua dalle necessità di servizio.

Dopo colazione, mistress Branican rientrò nella cabina e riapparve sul ponte soltanto verso le quattro del pomeriggio.

In quel momento il Brisbane filava a tutto vapore verso lo stretto di Bass, che separa l'Australia dalla Tasmania o Terra di Van Diemen.

Non c'è dubbio che la scoperta dell'olandese Janssen Tasman sia stata di vantaggio agli inglesi, né che quest'isola, naturale dipendenza del continente, si sia avvantaggiata dalla dominazione della razza anglo-sassone. Dal 1642, data della scoperta di quest'isola, lunga duecentottanta chilometri, il cui terreno è fertilissimo e le cui foreste sono ricche di piante superbe, la colonizzazione ha. fatto grandi progressi. A partire dall'inizio di questo secolo, gli inglesi hanno amministrato con severità, come è loro proprio, senza porsi alcun pensiero delle razze indigene; hanno diviso l'isola in distretti, hanno fondato città importanti, la capitale Hobbart-Town, Georges-Town e molte altre; hanno utilizzato le numerose insenature della costa per crearvi dei porti, dove le loro navi approdano a centinaia. Tutto bene. Ma della popolazione negra che occupava in origine questa contrada, che cosa ne è stato? Senza dubbio quella povera gente non era affatto civile, anzi era un vero e proprio ricettacolo di tutti i peggiori prototipi della razza umana: selvaggi considerati al disotto dei negri d'Africa e dei Fueghini della Terra del Fuoco. Se l'annientamento d'una razza è il fine del progresso coloniale, gli inglesi possono vantarsi di aver portato a compimento la loro opera di colonizzazione. Ma alla prossima Esposizione universale d'Hobbart-Town devono affrettarsi, se vogliono esibire qualche Tasmaniano… Non ne sarà rimasto più neanche uno alla fine del secolo XIX!

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CAPITOLO II

GODFREY

IL BRISBANE attraversò lo stretto di Bass verso sera. A quella latitudine dell'emisfero australe, durante il mese d'agosto il giorno dura appena cinque ore. La luna, che entrava nel suo primo quarto, scomparve subito fra le brume dell'orizzonte. La profonda oscurità non lasciava distinguere la posizione delle spiagge del continente.

Durante il passaggio dello stretto la marea provocò delle ondulazioni di cui, a bordo, i passeggeri risentirono. Le correnti erano molto violente in quello stretto passo aperto alle acque del Pacifico.

L'indomani, 23 agosto, all'alba, il Brisbane si presentò all'entrata della baia di Port Phillip. Non appena entrate in questa baia, le navi non hanno più niente da temere dal cattivo tempo, ma per entrarvi è necessario manovrare con prudenza e precisione, soprattutto quando si tratta di doppiare la lunga punta sabbiosa di Nepean da una parte e quella di Queenscliff dall'altra. La baia, ben chiusa, è divisa in più parti, in cui i bastimenti di grosso tonnellaggio trovano ottimi ancoraggi, come Geelong, Sandrige, Williamstown: di cui i due ultimi formano il porto di Melbourne. L'aspetto di quella costa è triste, monotono, senza attrattive. Poco verde sulle rive e l'aspetto è quello di un acquitrino quasi disseccato, che invece di laghi e stagni abbia solo incavi induriti e fessi da mettere in mostra. Soltanto l'avvenire potrà modificare la superficie di quelle pianure, sostituendo gli alberi scheletriti con boschi che il clima australiano saprà trasformare rapidamente in superbe foreste.

Il Brisbane si accostò ad una delle banchine di Williamstown, per sbarcarvi una parte dei passeggeri.

Sentendo che lo scalo si sarebbe protratto per trentasei ore, mistress Branican decise di trascorrere il tempo a Melbourne. Non

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aveva niente da fare in quella città, poiché era stato deciso che tutti i preparativi della spedizione, destinata forse a toccare i confini estremi dell'ovest dell'Australia, venissero fatti nella città di Adelaide. E allora, perché ella lasciava il Brisbane? Temeva forse d'essere oggetto di visite troppo frequenti? Non le sarebbe bastato, per sottrarvisi, confinarsi nella sua cabina? D'altra parte, recandosi in un albergo della città, dove la sua presenza sarebbe stata subito notata, non si esponeva alle stesse noie, forse ancora più inevitabili?

Zach Fren non sapeva spiegarsi la decisione presa da mistress Branican. Aveva notato che il suo atteggiamento era diverso da quello che aveva a Sydney. Affabilissima allora, adesso era diventata taciturna. Forse che, come già aveva osservato il nostromo, la presenza di Godfrey le aveva ricordato troppo vivamente suo figlio? Sì, Zach Fren non si sbagliava. La vista del giovinetto l'aveva turbata così profondamente, che sentiva il bisogno di isolarsi. Aveva rinunziato all'idea d'interrogarlo? Poteva darsi, perché non l'aveva fatto il giorno prima pur avendone espresso il desiderio. Ma se in quel momento voleva sbarcare a Melbourne e rimanervi per tutto il tempo della sosta, a costo di incorrere nel pericolo di essere riconosciuta, era per fuggire – non si può dire altrimenti – sì, per fuggire quel fanciullo di quattordici anni, verso il quale si sentiva attratta da una forza istintiva. Perché dunque esitava a parlargli, a chiedergli tutto ciò che l'interessava della sua nazionalità, della sua origine, della sua famiglia? Temeva – cosa molto probabile – che le sue risposte potessero distruggere irreparabilmente imprudenti illusioni, una chimerica speranza, cui la sua fantasia si era abbandonata e che la sua agitazione aveva rivelato a Zach Fren?

Mistress Branican sbarcò subito dopo l'approdo, accompagnata dal nostromo. Appena messo piede sul ponte, si voltò.

Godfrey era appoggiato ad una sbarra a prua del Brisbane; vedendola allontanarsi, il suo volto divenne triste, ed ebbe un gesto così espressivo come a volerla trattenere, che Dolly fu sul punto di dirgli: «Caro… ritornerò!». Ma si trattenne, fece segno a Zach Fren di seguirla e si recò alla stazione ferroviaria che collega il porto con la città.

Melbourne è situata infatti dietro il litorale sulla sponda sinistra

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del fiume Yarra-Yarra, alla distanza di due chilometri dal porto, che i treni percorrono in pochi minuti. Là sorge questa città con la sua popolazione di trecentomila abitanti, capitale della magnifica colonia di Victoria che ne conta circa un milione, e sulla quale si dice che il Monte Alexandre abbia versato tutto l'oro delle sue miniere, fin dall'anno in cui fu fondata, cioè il 1851.

Mistress Branican, benché avesse preso alloggio in uno degli alberghi meno frequentati, non avrebbe potuto sfuggire alla curiosità, che era comunque solo un senso di affettuosa simpatia, destata dovunque dalla sua presenza. Così preferì percorrere con Zach Fren le vie della città: vie di cui il suo sguardo, così stranamente lontano, non doveva del resto vedere quasi niente.

Un'americana in ogni modo non poteva provare alcuna sorpresa né grande piacere a visitare una città delle più moderne. Sebbene fondata dodici anni dopo San Francisco di California, Melbourne le assomiglia nell'aspetto peggiore, come si suol dire: strade larghe, tagliate ad angolo retto, piazze prive di alberi, banche a centinaia, uffici dove si trattano affari di una certa importanza, mercati, edifici pubblici, chiese, università, museo, biblioteca, ospedale, alberghi, edifici scolastici che hanno l'aspetto di palazzi, palazzi che sembrano scuole, un monumento innalzato ai due esploratori Burke e Wills, che persero la vita tentando di attraversare il continente australiano da sud a nord; poco frequentate quelle strade, quei bastioni, fuori del centro degli affari; un certo numero di stranieri, soprattutto ebrei di razza tedesca, che vendono il denaro come altri vendono il bestiame o la lana, e a un buon prezzo, per allietare il cuore di Israele.

Ma in questa parte di Melbourne dedita al commercio i commercianti abitano il meno possibile. È nei dintorni della città che si sono moltiplicate le ville, i cottages e le principali abitazioni: a Saint Kilda, a Hoam, a Emerald-Hill, a Brighton. Secondo Charnay, uno dei più importanti viaggiatori che abbiano visitato quel paese, questo aspetto rende Melbourne più interessante di San Francisco. Gli alberi sono già alti e danno un'ombra deliziosa ai sontuosi parchi, mentre le acque vive promettono per lunghi mesi una benefica frescura. E poche città hanno il privilegio d'essere così meravigliosamente incorniciate di verde.

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Mistress Branican prestò ben poca attenzione a quelle meraviglie, anche quando Zach Fren l'ebbe condotta fuori di città, in aperta campagna. Nessuna di quelle bellezze attirava il suo sguardo. Pareva sempre che, sotto l'impulso di una idea fissa, fosse sul punto di fare a Zach Fren una domanda che poi però non osava formulare.

Sul cadere della notte, tornarono entrambi all'albergo. Dolly si fece servire la cena nel proprio appartamento ma l'assaggiò appena. Poi andò a letto, ma il suo sonno fu più che altro un dormiveglia, sempre turbato dalle immagini di suo marito e del suo bambino.

Il giorno dopo, mistress Branican restò nella sua camera fino alle due. Scrisse una lunga lettera al signor William Andrew, per annunciargli la sua partenza da Sydney e il prossimo arrivo nella capitale dell'Australia meridionale. Gli ripeteva le sue speranze per la riuscita della spedizione. E ricevendo questa lettera, il signor William Andrew notò con sorpresa e preoccupazione che mentre Dolly parlava di John, come se fosse certa di ritrovarlo vivo, parlava anche del suo piccolo Wat come se non fosse morto. Egli si domandava se non vi fosse di. nuovo da temere che quella donna smarrisse la ragione.

I passeggeri che il Brisbane trasportava ad Adelaide erano quasi tutti a bordo, quando anche mistress Branican vi fece ritorno, accompagnata da Zach Fren. Godfrey stava aspettando il suo ritorno, e appena la vide da lontano il volto gli si illuminò di un sorriso. Egli si precipitò verso il ponte e si trovava già là quando Dolly mise piede sulla passerella.

Zach Fren ne fu molto contrariato e aggrottò le grosse sopracciglia. Avrebbe dato qualunque cosa perché il giovane mozzo lasciasse la nave, o almeno perché non si incontrasse con Dolly, visto che la sua presenza risvegliava in lei i più dolorosi ricordi.

Mistress Branican vide Godfrey. Si fermò un attimo a guardarlo, ma non gli parlò, e abbassata la testa andò a rinchiudersi nella sua cabina.

Alle tre del pomeriggio il Brisbane, allentando le gomene, si diresse al largo, e girando la punta di Queenscliff puntò verso Adelaide, rasentando a meno di tre miglia la costa di Victoria.

I passeggeri imbarcati a Melbourne erano circa un centinaio, la

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maggior parte abitanti dell'Australia meridionale che ritornavano nei loro distretti. C'erano alcuni stranieri, fra gli altri un cinese sui trenta o trentacinque anni, giallo come un limone, con un'aria di talpa addormentata, grasso come un mandarino a tre bottoni, e rotondo come un cocomero. Tuttavia non si trattava di un mandarino, ma di un semplice domestico al servizio di un personaggio che merita di essere descritto con una certa precisione.

Si pensi un figlio di Albione «britannico» quanto è possibile, alto, magro, ossuto, un vero esemplare da osteologia, tutto collo, busto e gambe. Questo tipico anglo-sassone, sulla cinquantina, si innalzava di circa sei piedi (inglesi) sopra il livello del mare. Barba bionda che portava folta, capigliatura ugualmente bionda a cui si mescolava qualche capello giallo-oro, occhietti investigatori, naso stretto alle narici, a forma di becco di pellicano o d'airone, e di una lunghezza poco comune, un cranio su cui sarebbe stato facile anche al più sprovveduto fra gli osservatori dei fenomeni frenologici scoprire i segni della monomania e della ostinazione: tutto ciò formava una di quelle teste che attirano l'attenzione e provocano il riso quando sono abbozzate da uno spiritoso disegnatore.

Questo inglese era correttamente vestito del costume tradizionale: berretto a doppia visiera, panciotto abbottonato fino al mento, abito con venti tasche, pantaloni a quadri, uose alte e con bottoni di nichel, scarpe a chiodi e spolverino biancastro che la brezza gli teneva incollato al corpo facendone risaltare l'eccessiva magrezza.

Chi era quell'originale? Nessuno lo sapeva, e sulle navi australiane nessuno si crede autorizzato, per il semplice motivo che si viaggia insieme, ad occuparsi degli altri viaggiatori per sapere dove vanno e da dove vengono. Sono passeggeri e tanto basta. Tutto ciò che lo steward avrebbe saputo dire, era che quell'inglese aveva fissato la cabina sotto il nome di Joshua Meritt -abbreviativo Jos Meritt – di Liverpool (Regno Unito), accompagnato dal suo domestico Gin-Ghi di Hong-Kong (Celeste Impero).

Del resto, appena imbarcato, Jos Meritt andò a sedersi sopra una delle panche del ponte e la lasciò solo all'ora di pranzo, quando sonò la campana delle quattro. Vi ritornò alle quattro e mezzo, l'abbandonò alle sette per la cena, vi ricomparve alle otto, tenendo

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costantemente l'atteggiamento di un fantoccio, con entrambe le mani aperte sulle ginocchia, senza mai voltare la testa né a destra né a sinistra, gli occhi rivolti verso la costa che si perdeva nelle brume della sera. Poi, alle dieci, rientrò nella sua cabina con un passo fermo, nonostante il rullio.

Mistress Branican, che era risalita sul ponte poco prima delle nove, vi si fermò a passeggiare fino a notte inoltrata, nonostante il freddo intenso. La mente turbata da autentiche allucinazioni, ella non sarebbe riuscita a prender sonno. Le sembrava di soffocare nella sua cabina, e aveva bisogno di quell'aria viva, impregnata a folate degli acuti profumi d'acacia che annunciano la vicinanza della terra australiana. Pensava forse di incontrare il ragazzo, parlargli, interrogarlo, sapere da lui… che cosa?

Godfrey aveva finito alle dieci il suo turno, e l'avrebbe ripreso solo alle due del mattino seguente, ma in quel momento Dolly, sfinita da quella lotta morale, era rientrata in camera.

Verso mezzanotte, il Brisbane doppiò il capo Otway all'estremità dello stretto di Polwarth. Da quel punto doveva risalire direttamente a nord-ovest fino all'altezza della baia Discovery, per dove corre la linea convenzionale tracciata sul centoquarantunesimo meridiano: linea che separa le province di Victoria e della Nuova Galles del sud dai territori dell'Australia meridionale.

Fin dal mattino si vide come al solito Jos Meritt nella panca del ponte, al posto consueto e nella consueta posizione come se non si fosse mai mosso di lì, mentre il cinese Gin-Ghi, dormiva in qualche punto a pugni serrati.

Zach Fren doveva essere abituato alle manie dei suoi compatrioti, perché gli originali non mancano nei quarantadue Stati federati attualmente compresi sotto la denominazione di U.S.A.6 Tuttavia non poté fare a meno di guardare stupito quel tipo così riuscito di meccanica umana.

E quale non fu la sua sorpresa quando, avvicinatosi a quel lungo ed immobile gentleman, si sentì interpellare in questi termini, con una vocina sottile:

6 Stati Uniti d'America.

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— Il signor Zach Fren credo? — In persona, — rispose Zach Fren. — Il compagno di mistress Branican? — Appunto. Ma voi sapete… — Lo so… alla ricerca di suo marito… assente da quattordici

anni… Bene!… oh, benissimo! — Come… benissimo? — Sì… Mistress Branican… Benissimo… Io pure… sono in

cerca… — Di vostra moglie? — Oh! non ammogliato… Benissimo… se avessi perduto mia

moglie non la cercherei… — Allora per… — Per ritrovare… un cappello. — Il vostro cappello?… Avete perduto il cappello?… — Il mio cappello… no!… È il cappello… lo so io… Presenterete

i miei omaggi a mistress Branican… Bene!… oh, benissimo!… Le labbra di Jos Meritt si strinsero e non lasciarono più sfuggire

una sillaba. «È matto» pensò Zach Fren. E gli sembrò sciocco continuare a occuparsi di lui. Quando Dolly ricomparve sul ponte, il nostromo andò a

raggiungerla ed entrambi sedettero quasi in faccia all'inglese. Egli non si mosse. Avendo incaricato Zach Fren di presentare i suoi omaggi a mistress Branican, senza dubbio riteneva inutile farlo di persona.

Del resto, Dolly non si accorse della presenza di quello strano personaggio, essendo impegnata in un lungo colloquio col suo compagno circa i preparativi di viaggio che sarebbero incominciati immediatamente dopo il loro arrivo ad Adelaide. Non c'era tempo da perdere. La spedizione doveva oltrepassare, se possibile, i territori del paese centrale prima che essi fossero stati disseccati dagli intollerabili calori della zona torrida. Fra i diversi pericoli inerenti ad una ricerca intrapresa in quelle condizioni, i più temibili rischiavano di essere quelli cagionati dai rigori del clima, e occorreva prendere tutte le precauzioni possibili per prevenirli. Dolly parlò del capitano

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John, del suo temperamento forte e dell'indomabile energia che certamente gli avevano permesso – non c'era da dubitarne – di resistere là dove altri, meno resistenti, si sarebbero arresi.

Non aveva però più fatto allusione a Godfrey, e Zach Fren sperava che la sua mente si fosse distolta dal pensiero di quel fanciullo. A un tratto però disse:

— Oggi non ho ancora visto il giovane mozzo… E voi, Zach, l'avete visto?

— No, mistress — rispose il nostromo un po' contrariato da quella domanda.

— Forse potrei fare qualche cosa per quel ragazzo… — riprese Dolly, ostentando un'indifferenza da cui Zach Fren non si lasciò ingannare.

— Quel ragazzo? — rispose. — Oh! egli ha un buon mestiere, mistress… farà strada… Lo vedo già nostromo fra qualche anno… Se avrà zelo e buona volontà…

— Non importa — riprese Dolly — egli m'interessa… M'interessa a un punto… Avete visto quella somiglianza, Zach? quella sua somiglianza straordinaria col mio povero John… e poi, Wat… il mio bambino… adesso avrebbe la sua età!

Così dicendo Dolly impallidiva, la sua voce si alterava e il suo sguardo, fisso su Zach Fren, pareva interrogarlo con tanto ardore, che questi non poté sostenerlo e abbassò il suo.

Dolly riprese: — Conducetelo da me nel pomeriggio, Zach… non ve ne

dimenticate… Voglio parlargli… Domani la traversata sarà finita… non ci rivedremo più… e prima di lasciare il Brisbane voglio sapere… si! sapere…

Zach Fren dovette promettere a Dolly di portare Godfrey da lei, ed ella si ritirò.

Il nostromo, molto impensierito e inquieto, continuò a passeggiare sul ponte, fino al momento in cui lo steward suonò per la seconda colazione. Allora s'incontrò con l'inglese, che sembrava regolare i suoi passi al suono della campana, mentre si dirigeva alla scala, e inciampò quasi contro di lui.

— Bene!… Oh, benissimo! — fece Jos Meritt. — Voi avete,

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dietro mio incarico… offerto i miei complimenti… Suo marito scomparso… Bene!… Oh, benissimo!

E se ne andò a prendere il posto che aveva scelto alla tavola del «dining-room»; la migliore naturalmente, e la più vicina alle cucine, cosa che gli permetteva di servirsi per primo e di scegliere i bocconi migliori.

Alle tre il Brisbane navigava al largo di Portland, il porto principale dello stretto di Normanby, dove va a fermarsi il treno di Melbourne; poi, doppiato il capo Nelson, passò al largo della baia Discovery e risalì quasi direttamente verso il nord, passando assai vicino alla costa dell'Australia meridionale.

Fu allora che Zach Fren andò ad avvertire Godfrey che mistress Branican voleva parlargli.

— Parlarmi? — esclamò il giovinetto. Il cuore gli batteva con violenza, mentre Zach Fren lo conduceva

alla cabina di mistress Branican, che lo stava aspettando. Dolly stette un pezzo a guardarlo. Egli era in piedi, davanti a lei,

col cappello in mano; ella seduta sul divano; Zach Fren, da un lato, vicino alla porta, li osservava preoccupato. Egli sapeva bene quello che Dolly voleva domandare a Godfrey, ma ignorava quale risposta avrebbe potuto dare il mozzo.

— Ragazzo mio — disse mistress Branican — desidero da voi alcune informazioni sulla vostra famiglia… Se vi interrogo è perché m'interesso… alla vostra posizione… Mi risponderete?

— Volentieri, mistress — rispose Godfrey con voce tremante per la commozione.

— Che età avete? — domandò Dolly. — Non lo so precisamente, mistress, ma devo avere dai

quattordici ai quindici anni. — Sì! dai quattordici ai quindici anni!… E da quando siete sul

mare? — Mi sono imbarcato quando avevo circa otto anni, e sono due

anni che faccio il mozzo. — Avete fatto lunghi viaggi? — Sì, mistress, sull'oceano Pacifico fino in Asia, e sull'Atlantico

fino in Europa.

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— Non siete inglese? — No, mistress, sono americano. — Però siete stato imbarcato su una nave inglese… — La nave su cui ero è stata ultimamente venduta a Sydney.

Allora, trovandomi disoccupato, mi sono imbarcato sul Brisbane, in attesa di poter riprendere il servizio a bordo di qualche nave americana.

— Bene, ragazzo mio — riprese Dolly, e fece segno a Godfrey di avvicinarsi.

Egli obbedì. — Ora — ella disse — vorrei sapere dove siete nato. — A San Diego, mistress. — Sì… A San Diego — ripeté Dolly per nulla stupita e come se

avesse previsto quella risposta. Quanto a Zach Fren, sembrava molto impressionato da quel

discorso. — Sì, mistress, a San Diego — riprese Godfrey. — Oh! vi

conosco, sì, vi conosco… Quando seppi che venivate a Sydney, ne ho provato un enorme piacere… Se sapeste, mistress, quanto m'interessa tutto quello che riguarda il capitano John Branican!

Dolly prese la mano del giovinetto e la trattenne qualche istante fra le sue senza parlare. Poi, con voce che tradiva la sua emozione, domandò:

— Il vostro nome? — Godfrey. — Godfrey è il vostro nome di battesimo… ma qual è il nome di

famiglia? — Non ho altro nome, mistress. — I vostri genitori? — Non ho genitori. — Senza genitori! — rispose mistress Branican. — Siete stato

dunque allevato?… — A Wat-House — rispose Godfrey. — Sì, mistress, e grazie a

voi. Oh! io vi ho visto spesso quando venivate a visitare i bambini dell'ospizio!… Voi non mi vedevate in mezzo a tutti i piccini, ma io vi vedevo bene!… e avrei voluto abbracciarvi!… Poi, siccome avevo

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inclinazione per la marina, quando ebbi l'età partii come mozzo… Come altri orfanelli di Wat-House che si sono imbarcati… e nessuno di noi dimenticherà mai quello che dobbiamo a mistress Branican… a nostra madre!

— Vostra madre! — gridò Dolly trasalendo come se quel nome le avesse risonato in fondo al cuore. Aveva attirato a sé Godfrey e lo copriva di baci, che il ragazzo le rendeva piangendo. C'era fra loro un abbandono affettuoso, di cui né l'uno né l'altra pensavano a stupirsi, tanto sembrava loro naturale.

Zach Fren, dal suo angolo, spaventato da quello che leggeva nell'animo di Dolly, mormorava:

— Povera donna! Povera donna!… Come si lascia trasportare! Ad un tratto, mistress Branican si alzò, dicendo:

— Andate Godfrey… andate, ragazzo mio!… Ci rivedremo… adesso voglio rimanere sola.

Il ragazzo la guardò un'ultima volta, e poi si ritirò lentamente. Zach Fren fece l'atto di seguirlo, ma Dolly lo fermò con un gesto:

— Restate qui, Zach. Poi: — Zach — prese a dire con straordinaria agitazione — Zach! quel

ragazzo è stato allevato con gli orfani di Wat-House… è nato a San Diego… ha circa quindici anni… e rassomiglia straordinariamente a John… la stessa fisionomia franca, lo stesso portamento deciso… come lui ama il mare… è figlio di un marinaio… è figlio di John… è mio figlio!… Sì, credevo che la baia di San Diego avesse per sempre inghiottito la mia povera creatura… ma Wat non era morto, ed è stato salvato!… Quelli che lo hanno salvato non conoscevano sua madre… E sua madre ero io… io che allora ero pazza! Questo fanciullo non si chiama Godfrey… si chiama Wat… È mio figlio!… e Dio ha voluto rendermelo prima di riunirmi a suo padre!

Zach Fren aveva ascoltato mistress Branican senza azzardarsi a interromperla. Si rendeva conto che la povera donna non poteva parlare diversamente. Tutte le apparenze le davano ragione, ed ella seguiva la sua idea con la inconfutabile logica di una madre… Il bravo marinaio si sentiva spezzare il cuore perché sentiva di dover distruggere quelle illusioni. Bisognava fermare Dolly su quella china che avrebbe potuto condurla in un abisso.

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Cosa che egli fece senza esitare, quasi brutalmente. — Mistress Branican — disse — voi vi sbagliate!… Non voglio,

non devo lasciarvi credere quello che non è!… Questa rassomiglianza è una pura coincidenza… il vostro piccolo Wat è morto nella catastrofe e Godfrey non è vostro figlio.

— Wat è morto? — gridò mistress Branican. — E che cosa ne sapete? Chi può affermarlo?

— Io, mistress. — Voi? — Sì! Otto giorni dopo la catastrofe della baia, il corpo di un

bambino è stato gettato sulla spiaggia, a punta Lorna… Sono io che l'ho trovato… Ne avvertii il signor William Andrew… e il piccolo Wat, riconosciuto da lui, è stato seppellito nel cimitero di San Diego dove spesso abbiamo portato fiori sulla sua tomba.

— Wat! mio piccolo Wat… laggiù al cimitero!… e non me l'hanno mai detto!

— No, mistress — rispose Zach Fren. — Allora non avevate la ragione, e quattro anni dopo, quando l'avete ricuperata si temeva… Il signor William Andrew temeva di risvegliare il vostro dolore… e ha taciuto! Ma il vostro bimbo è morto, mistress, e Godfrey non può essere… non è vostro figlio!

Dolly ricadde sul divano. I suoi occhi si chiusero e le sembrò che attorno a lei un buio profondo fosse bruscamente seguito ad una luce vivissima.

Fece un cenno, e Zach Fren la lasciò sola, immersa nel dolore e nei ricordi.

L'indomani, 26 agosto, mistress Branican non aveva ancora lasciato la cabina, quando il Brisbane, dopo aver oltrepassato il passo di Backstairs, fra l'isola Kangoroo ed il promontorio di Jervis, entrò nel golfo di San Vincenzo e si ancorò nel porto di Adelaide.

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CAPITOLO III

UN CAPPELLO STORICO

DELLE TRE capitali dell'Australia, Sydney è la maggiore, Melbourne la seconda e Adelaide la minore. L'ultima è la più giovane, ma anche la più bella. È nata nel 1853 dall'Australia meridionale, che ha acquistato un'identità politica solo dal 1837, e la cui indipendenza è stata ufficialmente riconosciuta solo nel 1856. È anche probabile che la giovinezza di Adelaide si prolungherà indefinitamente in un clima senza rivali, il più salubre del continente, in mezzo a quei territori che non conoscono né la tisi né le febbri endemiche, o altro genere di epidemie. Qualche volta si muore anche là, è vero; ma, come fece argutamente osservare Charnay, «potrebbe essere un'eccezione».

Se il suolo dell'Australia meridionale non racchiude, come quello della vicina provincia, miniere aurifere, è però ricco di miniere di rame; quelle di Capunda, di Burra-Burra, di Wallaroo e di Munta, scoperte da una quarantina d'anni, hanno fatto la fortuna della provincia, dopo avere attirato emigranti a migliaia.

Adelaide non si eleva sul limite litorale del golfo di San Vincenzo. Come Melbourne, è situata ad una dozzina di chilometri all'interno, ed una ferrovia la mette in comunicazione col porto. Ha un giardino botanico che può stare alla pari con quello della sua seconda sorella. Fondato da Schumburg, questo giardino possiede serre uniche in tutto il mondo, vaste piantagioni di rose ed ombre deliziose sotto i migliori alberi sia della zona temperata, che della zona semi tropicale.

Né Sydney né Melbourne possono reggere un paragone con Adelaide per la sua eleganza. Le larghe strade sono piacevolmente distribuite e tenute con molta cura, alcune possiedono splendidi monumenti, come, per esempio, King-William-Street. Il palazzo

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delle poste e quello di città meritano di essere notati per la loro architettura. In mezzo al quartiere dei commercianti, le strade Hindley e Glenell si animano chiassosamente di movimento. La gente circola affaccendata, con l'aria soddisfatta di chi ha concluso qualche buon affare.

Mistress Branican aveva preso alloggio in un albergo di King-William-Street, dove Zach Fren l'aveva accompagnata. Il suo cuore di madre aveva subito una dura prova per il cadere delle sue ultime illusioni. La somiglianza di Godfrey con suo figlio era tale che ella si era subito abbandonata a quell'assurda speranza. E adesso il disinganno le si leggeva sul viso, che appariva più pallido del solito, e negli occhi, arrossati per le molte lacrime. Dal momento in cui le sue speranze erano state inesorabilmente distrutte, non aveva più cercato di rivedere il giovane mozzo né aveva più parlato di lui. Le rimaneva solo il ricordo di quella incredibile somiglianza col suo John.

D'ora in poi Dolly si sarebbe data tutta alla sua impresa, cominciando con l'occuparsi immediatamente dei preparativi della spedizione. Avrebbe fatto appello a tutti quelli che volessero prestarle aiuto; avrebbe speso, all'occorrenza, tutto il suo patrimonio in queste nuove ricerche e stimolato con la promessa di grandi ricompense lo zelo di coloro che volessero unire i loro sforzi ai suoi in quell'estremo tentativo.

Avrebbe certamente trovato gente devota e pronta a sacrificarsi per la sua causa. Quella provincia dell'Australia meridionale è la patria per eccellenza di coraggiosi esploratori. È proprio di là che i più celebri pionieri sono partiti per avventurarsi in mezzo agli inesplorati territori del centro. Dalle sue viscere sono usciti i Warburton, i John Forrest, i Giles, gli Sturt, i Lindsay, i cui itinerari si incrociano sulle carte di quel vasto continente: itinerari che mistress Branican doveva tagliare obliquamente. Così il colonnello Warburton, nel 1874, attraversò l'Australia in tutta la sua larghezza sul ventesimo grado da est a nord-ovest fino a Nichol-Bay. John Forrest nello stesso anno era andato in senso contrario: da Perth a Port-Augusta. Anche Giles nel 1876 era partito da Perth per giungere al golfo Spencer, sul venticinquesimo grado.

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Era stato stabilito che i diversi elementi, materiale e personale, della spedizione si sarebbero riuniti non ad Adelaide, ma all'ultima stazione della ferrovia che risale verso il nord all'altezza del lago Eyre. Passare cinque gradi in quelle condizioni, voleva dire guadagnare tempo e risparmiare fatiche. In mezzo agli stretti segnati dal sistema orografico dei Flinders-Ranges, si sarebbero reperiti i carriaggi e gli animali necessari alla spedizione, cavalli di scorta e buoi destinati al trasporto dei viveri e degli oggetti necessari all'attendamento. Alla superficie di quegli sterminati deserti, di quelle immense steppe di sabbia, prive di vegetazione e quasi d'acqua, occorreva provvedere ai bisogni di una carovana di circa quaranta persone, compreso il personale di servizio e la piccola compagnia destinata a vegliare sulla sicurezza dei viaggiatori.

Dolly si occupò di tutto ad Adelaide stessa. Trovò del resto un valido e costante appoggio presso il governatore dell'Australia meridionale, che si era messo a sua disposizione. Grazie a lui, trenta uomini bene armati, alcuni di origine indigena ed altri scelti fra i coloni europei, accettarono le proposte di mistress Branican. Ella assegnò loro un forte salario per tutto il tempo di durata della spedizione, e un premio di cento lire per ciascuno ad opera finita, qualunque fosse stato il risultato. Sarebbero stati sotto gli ordini di un ex ufficiale della polizia provinciale, Tom Marix, uomo sui quarant'anni, robusto e coraggioso, del quale il governatore si rendeva garante. Fra quelli che si erano presentati – ed erano in molti – Tom Marix aveva scelto gli uomini più forti e si poteva avere la massima fiducia in quella scorta reclutata fra i migliori elementi.

Il personale di servizio sarebbe stato agli ordini di Zach Fren e non ci sarebbe stato pericolo di non filare dritti, come egli soleva dire.

Ma il vero capo di Tom Marix e di Zach Fren era mistress Branican, l'anima della spedizione.

Il credito aperto a mistress Branican alla Banca di Adelaide per cura dei corrispondenti del signor William Andrew era sostanzioso, ed ella poteva servirsene a volontà.

Terminati i preparativi, fu stabilito che Zach Fren partisse al più tardi il 30 per la stazione di Farina-Town, dove mistress Branican lo

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avrebbe raggiunto col personale quando la sua presenza non fosse stata più necessaria ad Adelaide.

— Zach — diss'ella — fate in modo che il vostro seguito sia pronto a partire alla fine della prima settimana di settembre. Pagate in contanti senza discutere sul prezzo. I viveri vi saranno spediti di qui per mezzo della ferrovia, e voi li farete caricare sui carri a Farina-Town. Non dobbiamo trascurare niente per assicurare la riuscita della nostra impresa.

— Tutto sarà pronto, mistress Branican — rispose Zach Fren. — Quando arriverete, avrete solo da dare il segnale della partenza.

Si può facilmente immaginare quanto da fare avesse Zach Fren durante gli ultimi giorni che trascorse ad Adelaide. Ma fu talmente attivo che il 20 agosto poteva già prendere il biglietto per Farina-Town. Dodici ore dopo, quando la ferrovia l'ebbe deposto a quest'ultima stazione della linea, annunciò telegraficamente a mistress Branican che una parte del materiale della spedizione era già sul posto.

Da parte sua, Dolly, aiutata da Tom Marix, aveva portato a termine il suo compito in merito alla scorta, al suo equipaggiamento e al suo vestiario. Bisognava mettere ogni cura nelle scelte dei cavalli, e la razza australiana poteva fornirne di eccellenti, abituati alle fatiche, ai rigori del clima e in perfetta salute. Durante tutto il percorso fra le foreste e nelle pianure, non c'era da preoccuparsi per il loro nutrimento; l'aria e l'acqua non mancavano in quei territori. Ma più in là, attraverso i deserti sabbiosi, si sarebbe dovuto sostituirli con i cammelli, cosa che sarebbe stata fatta quando la carovana fosse giunta alla stazione di Alice-Spring. Era di lì in avanti che mistress Branican ed i suoi compagni dovevano prepararsi a lottare contro gli ostacoli materiali che rendono così difficile e temibile una esplorazione nelle regioni dell'Australia centrale.

In mezzo a tutte le sue occupazioni, Dolly non aveva avuto il tempo di pensare molto agli ultimi avvenimenti del suo viaggio a bordo del Brisbane. La sua stessa attività l'aveva affaticata e non le lasciava un'ora di tregua.

Di tutta l'illusione cui si era per un momento abbandonata, dell'effimera speranza che Zach Fren aveva distrutta con una parola,

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le rimaneva solo il ricordo… E tuttavia… quella rassomiglianza del mozzo con John ogni tanto riusciva a confondere nel suo spirito le due immagini.

Dal giorno del suo arrivo, mistress Branican non aveva più rivisto il giovinetto e non sapeva se egli, nei primi giorni, l'avesse cercata. In ogni caso non pareva che Godfrey si fosse presentato all'albergo di King-William-Street. E del resto, perché avrebbe dovuto farlo? Dopo il suo ultimo colloquio con lui, Dolly si era rinchiusa nella cabina e non l'aveva più chiamato. Sapeva, altresì, che il Brisbane era ripartito per Melbourne, e che al ritorno della nave ad Adelaide, il ragazzo non sarebbe più stato a bordo.

Mentre mistress Branican affrettava i preparativi, un altro personaggio si occupava di un identico viaggio. Egli era sceso in un albergo di Kindley-Street. Un appartamento sul davanti e una camera che dava nel cortile interno dell'albergo, riunivano sotto lo stesso tetto quegli strani elementi di razza ariana e di razza gialla: l'inglese Jos Meritt e il cinese Gin-Ghi.

Da dove venivano quei due tipi, presi a prestito dall'estrema Asia e dalla estrema Europa? Dove andavano? Che cosa facevano a Melbourne e che cosa avrebbero fatto ad Adelaide? E infine, quale circostanza aveva unito quel padrone e quel servo, perché girassero il mondo insieme? Lo capiremo da una conversazione fra Jos Meritt e Gin-Ghi svoltasi la sera del 5 settembre, conversazione che sarà completata da una spiegazione sommaria.

Prima di tutto, se qualche tratto del carattere, qualche stranezza nel contegno e il modo con cui si esprimeva, hanno potuto dare una idea di quell'anglo-sassone, bisognava anche far conoscere colui che era al suo servizio, personaggio che aveva conservato il costume cinese tradizionale: camicetta «han chaol», tunica «ma coual», abito «haol» abbottonato sul fianco, e pantaloni stretti da una cintura di stoffa. Poiché si chiamava Gin-Ghi, egli si dichiarava «uomo indolente». Ed era in effetti indolente oltre ogni dire, tanto di fronte alla fatica quanto davanti al pericolo. Non avrebbe fatto dieci passi per eseguire un ordine, né venti per evitare un pericolo. Senza dubbio, Jos Meritt doveva avere una pazienza incredibile per tenere un tipo simile al proprio servizio.

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In verità, era solo questione di abitudine, perché da cinque anni essi viaggiavano insieme. Si erano incontrati a San Francisco, dove c'era un gran numero di cinesi, e l'inglese ne aveva fatto il suo domestico. «In prova», aveva detto: prova che tuttavia aveva l'aria di doversi prolungare fino a che uno dei due fosse morto. Bisogna anche dire che Gin-Ghi, allevato a Hong-Kong, parlava l'inglese come un cittadino di Manchester.

Del resto, Jos Meritt non si arrabbiava mai, essendo di temperamento essenzialmente flemmatico. Egli minacciava Gin-Ghi delle più spaventose torture in uso nel Celeste Impero, — dove il Ministero di giustizia si chiama più giustamente Ministero dei supplizi – ma non sarebbe stato capace neppure di toccarlo. Quando i suoi ordini non venivano eseguiti, se li eseguiva da sé; cosa che semplificava molto la situazione. Forse non era lontano il giorno in cui avrebbe fatto da servitore al suo domestico. Probabilmente quel cinese intravvedeva questa possibilità, e a parer suo sarebbe stata una cosa giusta. Tuttavia, in attesa di questo felice cambiamento, Gin-Ghi era costretto a seguire il padrone ovunque quella sua vagabonda fantasia piacesse trascinarlo. Su questo punto, Jos Meritt non transigeva. Avrebbe trasportato sulle spalle la valigia di Gin-Ghi piuttosto che lasciarlo indietro, quando il treno o la nave dovevano partire. Volente o nolente, egli doveva seguire i passi del suo padrone, salvo ad addormentarsi per la strada, travolto dalla sua incorreggibile pigrizia. In questo modo uno aveva accompagnato l'altro per migliaia di chilometri sul vecchio e nuovo continente, ed era in conseguenza di quella continua peregrinazione che allora si trovavano entrambi nella capitale dell'Australia meridionale.

— Bene!… Oh, benissimo! — aveva detto quella sera Jos Meritt. — Immagino che i nostri preparativi siano fatti!

Non si sa perché egli interrogasse Gin-Ghi su quell'argomento, visto che aveva dovuto preparare tutto con le proprie mani. Ma per abitudine non tralasciava mai di farlo.

— Diecimila volte terminati — rispose il cinese, che non aveva mai perduto l'abitudine di usare i giri fraseologici di cui si fa largo uso presso gli abitanti del Celeste Impero.

— Le nostre valige?

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— Sono chiuse. — Le nostre armi? — In ordine. — Le casse di viveri? — Voi stesso, padrone Jos, le avete depositate alla stazione. E del

resto è proprio necessario rifornirsi di viveri quando si è destinati a essere mangiati un giorno o l'altro?

— Essere mangiati, Gin-Ghi?… Bene!… Oh, benissimo!… Voi dunque pensate sempre che sarete mangiato?

— Ciò accadrà prima o poi, e poco mancò, sei mesi fa, che terminassimo il viaggio nel ventre di un cannibale… io specialmente.

— Voi, Gin-Ghi? — Sì, per l'ottima ragione che io sono grasso, mentre voi, padrone

Jos, siete magro, e quella gente là mi preferisce certamente. — Vi preferisce?… Bene!… Oh, benissimo! — E poi gli indigeni australiani hanno un gusto speciale per la

carne gialla dei cinesi, carne tanto più delicata, in quanto noi usiamo nutrirci di riso e di legumi.

— Perciò vi ho sempre raccomandato di fumare, Gin-Ghi — rispose il flemmatico Jos Meritt. — Lo sapete che gli antropofagi non amano la carne dei fumatori.

Era quanto faceva, senza scomporsi, il prudente cinese, fumando non l'oppio, ma il tabacco che Jos Meritt gli forniva a volontà. Gli australiani, a quanto pare, come i loro confratelli in cannibalismo di altri paesi, provano una invincibile ripugnanza per la carne umana quando è impregnata di nicotina. Motivo per cui Gin-Ghi si adoperava coscienziosamente a rendersi immangiabile.

Ma era proprio vero che lui e il suo padrone avessero già corso il rischio di essere divorati da antropofagi? Si: in alcune parti della costa d'Africa, Jos Meritt e il suo servo avevano rischiato di finire in quel modo la loro avventurosa esistenza. Dieci mesi prima nel Queensland, all'ovest di Rockhampton e di Gracemère, a qualche centinaio di miglia da Brisbane, le loro peregrinazioni li avevano condotti in mezzo alle più feroci tribù di aborigeni. Là il cannibalismo era ancora allo stato endemico. Perciò Jos Meritt e Gin-Ghi, caduti fra le mani di quei negri, avrebbero inevitabilmente fatto

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una brutta fine senza l'intervento della polizia. Liberati in tempo, avevano invece raggiunto la capitale del Queensland, e poi Sydney, dove si erano imbarcati per Adelaide. Ma ciò non aveva tolto all'inglese l'abitudine di esporre a gravi rischi la propria persona e quella del suo compagno poiché, a quanto diceva Gin-Ghi, essi si preparavano a visitare il centro del continente australiano.

— E tutto ciò per un cappello! — esclamò il cinese. — Ay ya… Ay ya!… Quando ci penso, le mie lacrime si sgranano come gocce di pioggia sui gialli crisantemi!

— Quando avrete finito di sgranare… Gin-Ghi? — replicò Jos Meritt aggrottando le sopracciglia.

— Ma questo cappello, se mai lo troverete, padrone Jos, ormai sarà soltanto un cencio…

— Basta, Gin-Ghi!… è troppo!… Vi proibisco di esprimervi in questo modo a proposito di quel cappello come del resto di qualunque altro! Mi capite? Bene!… Oh!… Benissimo! Se ricominciate, vi farò somministrare quaranta o cinquanta colpi di staffile sotto le piante dei piedi!

— Non siamo in Cina — rispose Gin-Ghi. — Vi terrò a digiuno! — Almeno riuscirò a dimagrire. — Vi farò tagliare la treccia fino al cuoio capelluto. — Tagliarmi la treccia?… — Vi metterò a dieta di tabacco! — Il dio Fò mi protegge. — Non vi proteggerà più. A quest'ultima minaccia, Gin-Ghi ridivenne umile e rispettoso. Di quale cappello si trattava in realtà, e perché Jos Meritt passava

la vita a correre dietro a un cappello? Quest'uomo originale, come abbiamo già detto, era un inglese di

Liverpool, uno di quei maniaci inoffensivi che non si trovano soltanto nel Regno Unito. Non ce ne sono forse anche sulle rive della Loira, dell'Elba, del Danubio o dell'Escaut, come nelle contrade bagnate dal Tamigi, dalla Clyde o dalla Tweed? Jos Meritt era molto ricco e conosciuto da molta gente nel Lancaster e nei contadi vicini, per la sua mania di collezionista. Non si trattava di quadri, libri,

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oggetti d'arte e nemmeno di gingilli. No! Egli raccoglieva con grandi sforzi e enormi spese qualunque acconciatura da uomo o da donna, tricorni, bicorni, petasi, cuffie, gibus, caschi, copri-orecchie, berretti, borgognotte, calotte, turbanti, tocchi, caschetti, fez, shako, kepi, colbacchi, tiare, mitre, schapskas, puffi, berretti da presidente, llantus degli Incas, acconciature del medio evo, infule o bende sacerdotali, calotte orientali, corni dogali, berretti da battesimo, ecc., e così pure centinaia e centinaia di simili indumenti più o meno rovinati, sfilacciati, senza fondo e senza tese: insomma un vero e proprio museo di copricapi antichi. A sentir lui, possedeva preziosi esemplari storici: il casco di Patroclo, del tempo in cui quest'eroe fu ucciso da Ettore all'assedio di Troia, il berretto che Temistocle portava alla battaglia di Salamina, quello di Galeno e d'Ippocrate, il cappello di Cesare che un colpo di vento gli aveva portato via al passaggio del Rubicone, l'acconciatura che Lucrezia Borgia portò ai suoi tre matrimoni con Sforza, Alfonso d'Este e Alfonso d'Aragona, il cappello di Tamerlano, quando questo guerriero toccò il Sind, quello che Gengis-Khan portava quando fece distruggere Bukhara e Samarkanda, l'acconciatura di Elisabetta alla sua incoronazione, quella di Maria Stuarda quando fuggì dal castello di Lockleven, quella di Caterina II quando fu incoronata a Mosca, il berretto di Pietro il Grande quando lavorava nei cantieri di Saardam, quello di Marlborugh alla battaglia di Ramilies, quello d'Olaùs re di Danimarca, ucciso a Sticklestad, il berretto di Gessler che rifiutò di salutare Guglielmo Tell, il tocco di William Pitt quando a ventitré anni entrò nel ministero, il bicorno di Napoleone I a Wagram, e così cento altri altrettanto singolari. Il suo più vivo dispiacere era di non possedere la calotta che copriva il capo di Noè il giorno in cui l'arca si fermò sulla cima del monte Ararat, ed il berretto che Abramo calzava nel disporsi a sacrificare Isacco. Ma Jos Meritt non disperava di venirne in possesso, un giorno. Quanto a quelli che dovevano portare Adamo ed Eva quando furono scacciati dal paradiso terrestre, aveva rinunciato a cercarli, avendo saputo da storiografi degni di fede che il primo uomo e la prima donna avevano l'abitudine di andare in giro a capo scoperto.

Da questa minuta esposizione delle curiosità componenti il museo

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di Jos Meritt, si può dedurre in quali occupazioni veramente puerili egli trascorresse la sua vita. Era un collezionista convinto, perché non dubitava affatto della antichità della sua raccolta, e non si può immaginare quanto corse e viaggiò per paesi e villaggi, frugando botteghe e baracche, visitando rigattieri, spendendo tempo e danaro per avere poi soltanto un cencio che gli veniva fatto pagare a peso d'oro! Metteva sottosopra il mondo intero per impadronirsi di qualche oggetto introvabile, e ora che aveva esaurito le risorse d'Europa, d'Africa, d'Asia, d'America e d'Oceania, non solo con le sue ricerche personali, ma anche per mezzo dei suoi agenti e dei suoi viaggiatori di commercio, ecco che si accingeva a frugare il continente australiano fin nelle sue più inaccessibili solitudini!

C'era, alla base di tutto questo, un motivo che ad altri sarebbe sembrato certamente insufficiente, ma che per lui aveva grandissimo peso. Era stato informato che i nomadi australiani si acconciavano volentieri con cappelli da uomo o da donna – ridotti in uno stato che si può bene immaginare… – Ora, sapendo che numerosi carichi di questi vecchi avanzi venivano regolarmente spediti nei porti dei litorali, ne aveva concluso che ci sarebbe stato da fare laggiù «qualche bel colpo», per usare il linguaggio degli amatori d'anticaglie.

Jos Meritt era in preda ad un'idea fissa, che minacciava di renderlo completamente pazzo e anzi lo era già in buona parte. Si trattava di ritrovare un certo cappello che, a sentir lui, sarebbe stato l'onore della sua collezione.

Di che meraviglia si trattava? Da quale antico o moderno cappellaio era stato confezionato quel prezioso copricapo? Su quale testa reale, nobile, borghese o umile si era posato, e in quale circostanza?

Era un segreto che Jos Meritt non aveva mai confidato a nessuno. Sulla base di preziose indicazioni, seguendo una traccia con l'ardore d'un Chingachgook, o d'una Volpe Astuta,7 aveva acquistato la certezza che quel cappello, dopo una lunga serie di vicissitudini, era destinato a finire la sua carriera sul cranio di qualche capo di tribù

7 Sono due personaggi de L'ultimo dei Mohicani di J.F. Cooper. (N.d.T.)

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australiana, giustificando doppiamente la sua denominazione di copricapo.

Riuscendo a trovarlo, Jos Meritt lo avrebbe pagato qualunque cifra; sarebbe giunto a rubarlo, in caso non glielo volessero vendere. Sarebbe stato il trofeo di quella campagna che lo aveva già condotto a nord-est del continente. Non essendo riuscito nel primo tentativo, si disponeva ora ad affrontare i gravi pericoli di una spedizione nell'Australia centrale. Ecco perché Gin-Ghi avrebbe di nuovo corso il rischio di finire l'esistenza sotto i denti dei cannibali, e di che cannibali!… I più feroci di quanti ne avesse fino allora affrontati. Ma in sostanza, bisogna pur riconoscerlo, il servo era talmente attaccato al padrone, per affetto e per interesse, che nonostante tutto non si sarebbe mai deciso a separarsi da lui.

— Domani mattina partiremo da Adelaide con l'espresso — disse Jos Meritt.

— Alla seconda veglia?… — rispose Gin-Ghi. — Alla seconda veglia, se siete d'accordo, e fate in modo che sia

tutto pronto per la partenza. — Farò del mio meglio, padrone Jos, ma vi prego di tener

presente che io non ho le diecimila mani della dea Couan-in! — Io non so se la dea Couan-in abbia diecimila mani — rispose

Jos Meritt — ma so che voi ne avete due, e vi prego di adoperarle entrambe al mio servizio…

— In attesa che me le mangino! — Bene!… Oh!… benissimo! Ma è certo che Gin-Ghi non si servì delle sue mani con maggior

sollecitudine del solito, preferendo lasciare che il padrone se la sbrigasse da sé.

L'indomani dunque, quei due tipi originali lasciarono Adelaide e il treno li trasportò a tutto vapore verso quelle regioni sconosciute, dove Jos Meritt sperava di scoprire finalmente il cappello che mancava alla sua collezione.

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CAPITOLO IV

IL TRENO DI ADELAIDE

ANCHE mistress Branican avrebbe lasciato, alcuni giorni dopo, la capitale dell'Australia meridionale. Tom Marix aveva completato il personale della scorta, che si componeva di quindici uomini bianchi che avevano già fatto parte della milizia locale, e di quindici indigeni già impiegati al servizio della provincia nella polizia del governatore. Questa scorta avrebbe dovuto proteggere la carovana contro i nomadi e non combattere le tribù degli Indas. Non bisogna dimenticare quello che aveva detto Harry Felton; bisognava cercare di liberare il capitano John a prezzo d'un riscatto, piuttosto che pretendere di strapparlo con la forza agli indigeni che lo tenevano prigioniero.

I viveri, sufficienti per una quarantina di persone durante un anno, occupavano due vagoni del treno. I vagoni sarebbero stati scaricati a Farina-Town. Ogni giorno una lettera di Zach Fren, datata da quella stazione, aveva tenuto Dolly al corrente di tutti i preparativi là in corso. I buoi e i cavalli, già comprati, erano stati affidati agli uomini destinati a servire da guide. I carri erano nelle rimesse della stazione, pronti a ricevere casse di viveri, colli di vestiario, utensili, munizioni, tende, insomma tutto il materiale della spedizione. Due giorni dopo l'arrivo del treno, la carovana avrebbe potuto mettersi in viaggio.

Mistress Branican aveva fissato al 9 settembre la partenza da Adelaide. Nel corso di un ultimo colloquio avuto con lei, il governatore della provincia, non le nascose quali pericoli stesse per affrontare.

— Sono pericoli di due specie, mistress Branican — la avvertì: — quelli costituiti dalle feroci tribù che vivono in regioni che noi non conosciamo, e quelli inerenti alla natura stessa di queste regioni. Privi di qualunque risorsa, soprattutto di acqua, perché le rive e i pozzi sono stati già prosciugati dalla siccità, questi territori offrono

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agli esploratori prospettive di terribili sofferenze. Perciò sarebbe stato forse meglio intraprendere la campagna fra cinque o sei mesi, cioè alla fine della stagione calda.

— Lo so, signor governatore — rispose mistress Branican — e sono preparata a tutto. Fin dalla mia partenza da San Diego, ho studiato il continente australiano leggendo e rileggendo le relazioni dei viaggiatori che lo hanno visitato, i Burke, gli Stuart, i Giles, i Forrest, gli Sturt, i Grégorys, i Warburton. Sono anche riuscita a procurarmi la cronaca di viaggio dell'intrepido David Lindsay che, dal settembre 1887 all'aprile 1888, è arrivato a toccare l'Australia fra Port-Darwin al nord e Adelaide al sud. No, non ignoro le fatiche e i pericoli di questa spedizione. Ma vado dove il dovere mi chiede di andare.

— L'esploratore David Lindsay — rispose il governatore — si è limitato a percorrere regioni già conosciute, poiché la linea telegrafica transcontinentale dà una traccia della loro superficie. Perciò egli aveva condotto con sé solo un giovane indiano e quattro cavalli da sella. Voi, invece, mistress Branican, andate in cerca di tribù nomadi e sarete costretta a dirigere la vostra carovana fuori di quella linea per avventurarvi nel nord-est del continente fino ai deserti della Terra di Tasman o della Terra di Witt…

— Andrò fin dove sarà necessario, signor governatore — rispose mistress Branican. — Quello che hanno fatto David Lindsay e i suoi predecessori, è andato a vantaggio della civiltà, della scienza e del commercio. Quello che farò io, sarà per liberare mio marito, che è oggi il solo superstite del Franklin. Dopo la sua scomparsa, e contro l'opinione generale, io ho sostenuto che John Branican era vivo, e ho avuto ragione. Se sarà necessario, percorrerò quei territori anche per mesi e per anni, con la certezza di ritrovarlo, e avrò ancora ragione. Conto sulla devozione dei miei compagni, signor governatore, e il nostro motto sarà: sempre avanti!

— È il motto dei Douglas, mistress, e sono certo che vi condurrà alla meta…

— Sì… con l'aiuto di Dio! Mistress Branican si accomiatò dal governatore ringraziandolo

dell'aiuto che le aveva prestato fin dal suo arrivo ad Adelaide. La sera

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stessa – 9 settembre – lasciava la capitale dell'Australia meridionale. Le ferrovie australiane sono veramente esemplari: vagoni comodi

che corrono senza scosse su strade in perfetto stato che danno la massima sicurezza. Il treno era composto di sei vetture, comprese le due carrozze-bagagliaio.

Mistress Branican occupava uno scompartimento riservato, in compagnia d'una donna chiamata Harriett, d'origine mezzo scozzese e mezzo indigena, che aveva preso al suo servizio. Tom Marix e la sua scorta avevano preso posto negli altri scompartimenti.

Il treno si fermava solo per rinnovare la provvista d'acqua e il combustibile per la macchina, e faceva soste brevissime solo nelle stazioni principali. Così la durata del tragitto sarebbe stata ridotta di circa un quarto.

Passata Adelaide,, il treno si diresse verso Gawler, risalendo lo stretto omonimo. A destra della linea ferroviaria, alture boscose dominavano quella parte del territorio. Le montagne dell'Australia non si distinguono per la loro altezza, che non va oltre i duemila metri, e in generale sono ammassate alla periferia del continente.

Si attribuisce loro una lontana origine geologica, poiché nella loro composizione prevale soprattutto il granito.

Quella parte del distretto, accidentata e piena di gole, era la causa della tortuosità della strada, che correva ora lungo strette vallate, ora in mezzo a foreste folte d'eucalyptus. Un po' più avanti, allontanandosi dalle pianure del centro, la ferrovia avrebbe seguito l'imperturbabile linea retta che è certamente la caratteristica delle ferrovie moderne.

Da Gawler, di dove si stacca una linea secondaria verso Great-Bend, il gran fiume Murray descrive bruscamente una curva piegando verso sud.

Il treno, dopo essersene allontanato costeggiando il confine del distretto di Light, giunse al distretto di Stanley, all'altezza del trentaquattresimo parallelo. Se non fosse stata già notte, si sarebbe potuto scorgere l'ultima cima del monte Bryant, la più elevata di quel sistema montuoso, che si spinge ad est della strada. Da quel punto i dislivelli del terreno sono piuttosto evidenti ad ovest, e la linea segue la base tortuosa di quella catena, di cui le cime principali sono i

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monti Bluff, Remarkable, Brown e Ardon. Le loro ramificazioni vanno a perdersi sulle rive del lago Torrens, vasto bacino che dev'essere in comunicazione col golfo Spencer, il quale scava profondamente la costa australiana.

L'indomani, al sorgere del sole, il treno passò in vista di quei Flinders-Ranges, di cui il monte Serie forma l'estrema propaggine. Attraverso i vetri del suo scompartimento, mistress Branican guardava quei territori che le erano così nuovi. Era dunque quella l'Australia che a ragione veniva chiamata la «Terra dei paradossi», il cui centro è solo una vasta depressione sotto il livello del mare; dove i corsi d'acqua, per la maggior parte usciti dalla sabbia, vengono assorbiti a poco a poco prima di arrivare al mare; dove l'umidità manca all'aria come alla luce; dove si moltiplicano gli animali più strani che esistano; dove vivono nomadi le tribù feroci delle regioni del centro e dell'ovest. Laggiù, a nord e ad ovest, si estendono i deserti sconfinati della Terra Alexandra e dell'Australia occidentale, in mezzo ai quali doveva avventurarsi la spedizione in cerca del capitano John. Ma quali tracce seguire una volta oltrepassata la zona delle borgate e dei villaggi? Le vaghe indicazioni avute al capezzale di Harry Felton non potevano certo bastare.

A questo proposito era stata fatta un'obiezione a mistress Branican. Era forse ammissibile che il capitano John, in nove anni che si trovava prigioniero di quegli australiani nomadi, non avesse mai trovato una buona occasione per fuggire?

Mistress Branican aveva risposto che secondo Harry Felton, a lui ed al suo compagno s'era presentata una sola occasione di fuga in quel lungo periodo, occasione di cui però John non aveva potuto approfittare. Quanto all'argomento fondato sul fatto che non era nelle abitudini degli indigeni di rispettare la vita dei loro prigionieri, verosimile o no, questa volta ciò era accaduto per i sopravvissuti del Franklin, ed Harry Felton ne era una prova. Del resto, esisteva pure un precedente, e cioè il caso dell'esploratore William Classen, scomparso da trentotto anni e che tutti credevano ancora presso una delle tribù dell'Australia settentrionale. Ebbene! Non era anche il caso del capitano John, poiché, al di là delle supposizioni, si aveva la dichiarazione formale di Harry Felton? Del resto, si aveva notizia

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anche di altri viaggiatori scomparsi da anni, ma a proposito dei quali non era possibile dimostrare che fossero morti. E chi sa che non si potesse chiarire un giorno qualcosa anche sul loro destino.

Intanto il treno correva rapidamente, senza fermarsi alle piccole stazioni. Se la strada ferrata fosse stata un po' più verso l'ovest, avrebbe costeggiato la riva del lago Torrens, che si curva ad arco: lago lungo e stretto presso al quale si accentuano le prime colline dei Flinders-Ranges. Faceva caldo; la temperatura era la stessa che nell'emisfero boreale nel mese di marzo per i paesi attraversati dal trentesimo parallelo, l'Algeria, il Messico o la Cocincina. C'era da temere qualche pioggia, o anche uno di quei violenti uragani che la carovana avrebbe forse, ma inutilmente, invocato quando fosse giunta più avanti nelle pianure interne. Così stavano le cose quando mistress Branican, alle tre del pomeriggio, arrivò alla stazione di Farina-Town.

La ferrovia non prosegue oltre: gli ingegneri australiani stanno progettando di prolungarne il corso verso nord in direzione di Overland-Telegraf-Line, dove la rete telegrafica estende i suoi fili fino al litorale del mare di Arafura. Se la linea ferroviaria continuerà a seguire questa rete, dovrà piegare verso ovest, per passare fra il lago Torrens ed il lago Eyre. Invece si svolgerà sui territori situati ad oriente di questo lago, se non abbandonerà il meridiano che risale ad Adelaide.

Quando mistress Branican scese dal vagone, Zach Fren ed i suoi uomini, che erano ad attenderla alla stazione, l'accolsero con grande simpatia e rispettosa cordialità. Zach Fren era vivamente commosso. Dodici giorni, dodici lunghi giorni senza vedere la moglie del capitano John! Questo non gli era mai capitato, dall'ultimo ritorno del Dolly-Hope a San Diego.

Dolly fu felicissima di ritrovare il suo compagno, l'amico sulla cui devozione poteva in ogni momento contare. E lei, che aveva quasi dimenticato il sorriso, sorrise stringendogli la mano.

La stazione di Farina-Town è di recente creazione, tanto che in alcune carte moderne nemmeno figura. Si tratta infatti di una di quelle città in embrione che le ferrovie inglesi o americane «producono» al loro passaggio, come gli alberi producono i frutti; ma

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questi frutti maturano presto grazie al genio pratico e improvvisatore della razza sassone. Alcune di queste stazioni, che si possono piuttosto chiamare villaggi, per la disposizione delle loro piazze, strade e bastioni, lasciano intuire che diventeranno città in poco tempo.

Era proprio il caso di Farina-Town che a quel tempo era il punto estremo della strada ferrata di Adelaide.

A mistress Branican non sarebbe toccato di doversi fermare in quella stazione. Zach Fren si era mostrato tanto intelligente quanto attivo. Il materiale della spedizione che aveva tutto riunito comprendeva quattro carri a buoi coi loro conducenti, e due buggys, a ciascuno dei quali erano attaccati due buoni cavalli con i rispettivi cocchieri. I carri erano già stati caricati di alcuni oggetti d'accampamento spediti da Adelaide. Quando i vagoni del treno fossero stati scaricati, la spedizione sarebbe stata pronta per la partenza. In uno spazio di ventiquattro ore o, al massimo, di trentasei, tutti i preparativi sarebbero stati ultimati.

Quello stesso giorno mistress Branican esaminò con gran cura il materiale. Tom Marix approvò le disposizioni prese da Zach Fren. In quelle condizioni si poteva arrivare senza inconvenienti all'estremo limite della regione, dove cavalli e buoi avrebbero trovato l'erba necessaria al loro nutrimento, e soprattutto l'acqua, rarissima invece nei deserti del centro.

— Mistress Branican — disse Tom Marix — fino a che seguiremo la linea telegrafica, il paese ci fornirà qualche risorsa e le nostre bestie non avranno molto da soffrire. Ma più in là, verso ovest, sarà necessario sostituire buoi e cavalli con cammelli. Solo questi animali possono affrontare quelle regioni estremamente calde e accontentarsi dei pozzi, che spesso distano intere giornate di cammino gli uni dagli altri.

— Lo so, Tom Marix — rispose Dolly — e mi fido della vostra esperienza. Riordineremo la carovana alla stazione di Alice-Spring, dove conto di arrivare al più presto possibile.

— I cammellieri sono partiti quattro giorni fa col convoglio dei cammelli — aggiunse Zach Fren — e ci aspetteranno a quella stazione.

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— E non dimenticate, mistress, che di là incominceranno le vere difficoltà della spedizione.

— Sapremo superarle! — rispose Dolly. Seguendo l'itinerario minuziosamente stabilito, la prima parte del

viaggio, che comprendeva un percorso di trecentocinquanta miglia, doveva compiersi con i cavalli, i buggys e i carri con i buoi. Dei trenta uomini di scorta, i quindici bianchi dovevano andare a cavallo, mentre i negri potevano seguire a piedi senza fatica la carovana, perché quelle folte foreste e quei territori capricciosamente accidentati non consentivano di percorrere la strada se non a brevi tappe. Dopo il riassetto della carovana alla stazione di Alice-Spring, i cammelli sarebbero stati montati dai bianchi, incaricati delle ricognizioni, sia per raccogliere informazioni sulle tribù erranti, sia per scoprire i pozzi disseminati per il deserto.

Bisogna ricordare a questo punto che le esplorazioni attraverso il continente australiano non si eseguivano in modo diverso dal tempo in cui i cammelli erano stati, con tanto vantaggio, introdotti in Australia. I viaggiatori del tempo dei Burke, degli Stuart, dei Giles, non sarebbero stati sottoposti a tante dure prove se avessero potuto disporre di quei validissimi aiuti. Nel 1856 Elder ne importò dall'India una notevole quantità con i relativi cammellieri afgani, e da allora la razza ha prosperato. Senza dubbio il colonnello Warburton deve all'impiego di quegli animali la riuscita della ardimentosa campagna incominciata da Alice-Spring per arrivare a Rockbonne sul litorale della Terra di Witt, a Nichol-Bay. Più tardi, David Lindsay era riuscito ad attraversare il continente dal nord al sud con cavalli da sella, solo perché si era allontanato di poco dalle regioni segnate dalla linea telegrafica, dove gli era possibile trovare acqua e foraggio, cose che invece mancano del tutto nei deserti australiani.

A proposito di questi intrepidi esploratori che non esitano a sfidare ogni sorta di pericoli e fatiche, Zach Fren osservò ad un tratto:

— Sapete, mistress Branican, che c'è qualcuno che ci precede sulla strada d'Alice-Spring?

— Qualcuno che ci precede? — Sì, mistress; vi ricordate di quell'inglese e del suo domestico

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che viaggiavano sul Brisbane da Melbourne ad Adelaide? — Certamente — rispose Dolly — ma quei passeggeri sono

sbarcati ad Adelaide. Non vi sono rimasti? — No, mistress. Tre giorni fa, Jos Meritt – l'inglese si chiama così

– è arrivato per ferrovia a Farina-Town. Mi ha anche chiesto dei particolari sulla nostra spedizione, e la strada che intendevamo seguire, limitandosi a rispondere: «Bene! oh! benissimo!» mentre il cinese, scuotendo il capo, sembrava dire: «male! oh! malissimo!». L'indomani, poi, sul far del giorno, entrambi hanno lasciato Farina-Town e si sono diretti verso il nord.

— E come viaggiano? — domandò Dolly. — A cavallo; ma una volta arrivati alla stazione di Alice-Spring

essi cambieranno, per modo di dire, il battello a vapore con un battello a vela. In sostanza faranno anche loro quello che faremo noi.

— Ma questo inglese è un esploratore? — Non pare; si direbbe piuttosto una specie di gentleman,

volubile come un vento di sud-ovest. — E non ha detto per quale motivo ha deciso di avventurarsi nel

deserto australiano? — Neanche una parola su questo punto, mistress. Tuttavia

immagino che, tutto solo com'è col suo cinese, non avrà proprio intenzione di esporsi a qualche brutto incontro fuori dalle regioni abitate della provincia. Io gli auguro buon viaggio! Forse lo ritroveremo ad Alice-Spring.

L'indomani, 11 settembre, alle cinque di sera, i preparativi erano terminati. I carri avevano ricevuto un carico di provviste sufficienti per tutti i bisogni del lungo viaggio. C'erano conserve di carne e di legumi delle migliori fabbriche americane, farina, tè, zucchero e sale, senza contare i medicinali chiusi nella farmacia portatile. La provvista di whisky, di gin e di acquavite riempiva un certo numero di barilotti che più tardi sarebbero stati caricati sul dorso dei cammelli. Tra le provviste figurava anche un importante stock di tabacco; indispensabile non solo per rifornire il personale ma anche per farne uso come merce di scambio con gli indigeni, che lo adoperano come moneta corrente. Con una buona provvista di tabacco e acquavite si potevano comprare intere tribù dell'Australia

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occidentale. Un grosso quantitativo di questo tabacco, qualche rotolo di tela stampata, alcuni oggetti di bigiotteria costituivano il riscatto del capitano John.

Quanto al materiale d'accampamento, tende, coperte, casse contenenti vestiario e biancheria, tutto ciò che era personale di mistress Branican e della sua cameriera Harriett, gli effetti personali di Zach Fren e del capo scorta, gli utensili necessari alla preparazione dei cibi, il petrolio che sarebbe servito per cuocere questi ultimi, le munizioni comprendenti cartucce a palle e cartucce a piombo per i fucili da caccia, e le armi affidate agli uomini di Tom Marix, tutto questo materiale aveva trovato posto sui carri trainati dai buoi.

Ormai non s'aspettava altro che il segnale di partenza. Mistress Branican, impaziente, fissò la data della partenza per il

giorno seguente. Fu deciso che all'alba la carovana avrebbe lasciato la stazione di

Farina-Town e si sarebbe diretta a nord, seguendo l'Overland-Telegraf-Line. Bovari, conducenti, uomini di scorta, in tutto quaranta individui arruolati sotto gli ordini di Zach Fren e di Tom Marix furono avvertiti di tenersi pronti per l'alba.

Quella sera verso le nove Dolly e la sua cameriera Harriett erano rientrate con Zach Fren nella casa vicino alla stazione che provvisoriamente occupavano. Dopo aver chiuso la porta stavano per andare a letto quando sentirono battere un leggero colpo all'uscio.

Zach Fren andò ad aprire e non poté trattenere un'esclamazione di sorpresa.

Davanti a lui, con un piccolo involto sotto il braccio e il cappello in mano, stava il giovane mozzo del Brisbane.

E sembrava che mistress Branican avesse indovinato che era lui!… Sì!… come spiegarlo?… Benché non si aspettasse di vederlo, aveva però sempre pensato che egli dovesse cercare in qualche modo di riavvicinarsi a lei… Fatto sta che, ancor prima che lo potesse scorgere un nome le era già sfuggito dalle labbra: «Godfrey!»

Godfrey era arrivato mezz'ora prima col treno di Adelaide. Qualche giorno prima della partenza della nave, dopo aver chiesto

al capitano del Brisbane il suo salario, il mozzo si era fatto sbarcare. Una volta a terra, non aveva voluto presentarsi all'albergo di King-

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William-Street, dove abitava mistress Branican. Ma quante volte l'aveva seguita, da lontano, cercando di non farsi vedere da lei! Egli si era informato e sapeva che Zach Fren era andato a Farina-Town per equipaggiare una carovana. Perciò, saputo che mistress Branican aveva lasciato Adelaide, aveva preso il treno per raggiungerla.

Che cosa voleva dunque Godfrey e a quale scopo era venuto? Quello che voleva, Dolly stava per saperlo. Introdotto in casa, Godfrey fu finalmente davanti a mistress

Branican. — Siete voi… ragazzo mio… voi, Godfrey? — disse ella

prendendogli la mano. — Già è lui, e che cosa vuole? — mormorò Zach Fren

indispettito, perché la presenza del mozzo gli sembrava estremamente spiacevole.

— Che cosa voglio? — rispose Godfrey. — Voglio seguirvi, mistress, seguirvi dovunque andrete, e non separarmi più da voi!… Voglio anch'io accompagnarvi nella ricerca del capitano Branican, ritrovarlo, ricondurlo a San Diego, renderlo ai suoi amici… al suo paese…

Dolly non riusciva a controllare la propria emozione: i lineamenti di quel giovane erano proprio quelli del suo John… Era l'immagine del suo amato John che quel fanciullo evocava ai suoi sguardi.

Godfrey, alle sue ginocchia, le mani tese verso di lei, in tono supplichevole ripeteva:

— Portatemi con voi, mistress… portatemi con voi! — Ebbene… vieni, fanciullo mio, vieni! — esclamò Dolly; e se lo

strinse al cuore.

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CAPITOLO V

ATTRAVERSO LA PROVINCIA DELL'AUSTRALIA MERIDIONALE

LA PARTENZA della carovana ebbe luogo il 12 settembre, nelle primissime ore del mattino.

Il tempo era bello, il caldo mitigato da una brezza leggera. Nuvole passeggere rendevano meno intenso il calore dei raggi solari. Là, al trentunesimo parallelo, in quel periodo dell'anno, la stagione calda cominciava a divenire stabile sul territorio australiano. Gli esploratori sanno anche troppo bene quanto questa stagione possa essere lunga e temibile quando né piogge né ombra vengono a temperarla sulle pianure del centro.

Era un peccato che, le circostanze non avessero permesso a mistress Branican di effettuare la spedizione cinque o sei mesi prima. Durante l'inverno le fatiche di un viaggio del genere sarebbero state più sopportabili. I freddi – in seguito ai quali il termometro scende a volte fino alla congelazione dell'acqua – sono sempre meno pericolosi di questo caldo che fa alzare vertiginosamente la colonnina di mercurio fino a oltre i quaranta gradi all'ombra. Prima del mese di maggio la grande umidità dell'aria provoca abbondanti acquazzoni. I creeks si ravvivano, i pozzi si riempiono. Non bisogna più trascorrere giornate intere a cercare un po' d'acqua salmastra sotto un cielo di fuoco. Il deserto australiano è ancor meno clemente per le carovane del Sahara africano: questo ha il vantaggio di possedere delle oasi, mentre quello si può giustamente chiamare: «il paese della sete».

Ma mistress Branican non aveva avuto possibilità di scelta quanto al luogo e al tempo. Partiva perché bisognava partire, e avrebbe sfidato le terribili asprezze del clima perché bisognava sfidarle. Ritrovare il capitano John, strapparlo agli indigeni, non era cosa che ammettesse ritardo, a costo di soccombere come era stato per Harry Felton. Non c'era motivo di temere che la sua spedizione, organizzata

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in modo da riuscire a vincere qualunque difficoltà, almeno nei limiti del possibile, dovesse sopportare gli stessi disagi e patimenti subiti da quel poveretto.

Sappiamo come era composta la carovana, che contava quaranta persone da quando Godfrey vi si era aggiunto. Ed ecco in quale ordine procedeva durante la strada al nord di Farina-Town, in mezzo a foreste e lungo i creeks, dove non c'era pericolo di incontrare ostacoli gravi.

In testa c'erano i quindici australiani, vestiti di pantaloni e di una casacca di cotone rigato, di un cappello di paglia e scalzi, com'è loro abitudine. Armati ciascuno di un fucile e di una rivoltella, la cartucciera alla cintola, essi formavano l'avanguardia, con a capo un bianco che fungeva da esploratore.

Dopo di loro, in un buggy tirato da due cavalli e guidato da un cocchiere indigeno, avevano preso posto mistress Branican e la cameriera Harriett. Un tettuccio adattato alla fragile vettura permetteva loro di ripararsi in caso di pioggia o di uragano.

In un secondo buggy viaggiavano Zach Fren e Godfrey. Per quanto disappunto avesse provato il nostromo all'arrivo del ragazzo, gli sarebbe presto divenuto amico vedendolo tanto affezionato a mistress Branican.

Venivano dietro i quattro carri a buoi, guidati da quattro bovari: tutta la carovana doveva marciare al passo con quegli animali, la cui recente introduzione in Australia si è rivelata molto vantaggiosa per i trasporti ed i lavori di coltivazione.

Ai lati e alla coda della piccola compagnia si alternavano gli uomini di Tom Marix, vestiti come il loro capo, con pantaloni affondati entro gli stivali, casacca di lana rossa stretta alla vita, cappello-casco di stoffa bianca, un leggero mantello di caucciù a bandoliera ed armati come i loro compagni indigeni.

Il compito principale di questi uomini a cavallo era quello di riconoscere la strada e di scegliere il luogo per la sosta del mezzogiorno o quello dell'accampamento, di sera, quando stava per concludersi la seconda tappa della giornata.

In quelle condizioni la carovana poteva fare dodici o tredici miglia al giorno su un terreno disuguale, a volte attraverso folte foreste dove

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i carri erano costretti a procedere molto lentamente. Venuta la sera, l'incarico di ordinare i letti era di Tom Marix. Poi uomini e bestie riposavano tutta la notte e si ripartiva all'alba.

Il percorso tra Farina-Town e Alice-Spring – circa trecentocinquanta miglia8 — non presentava gravi pericoli né pesanti fatiche, e perciò si prevedeva di compierlo in una trentina di giorni. Dunque la stazione opportuna per riordinare la carovana in vista di una esplorazione dei deserti dell'ovest, sarebbe stata raggiunta solo nella prima diecina del mese di ottobre.

Lasciando Farina-Town, la spedizione poté seguire per alcune miglia i lavori intrapresi per la continuazione della ferrovia. Quindi si inoltrò nell'ovest del gruppo dei Williuran-Ranges, seguendo una direzione già segnata dai pali dell'Overland-Telegraf-Line.

Strada facendo, mistress Branican chiedeva a Tom Marix, che cavalcava al suo fianco, qualche notizia su quella linea telegrafica.

— Fu nel 1870, mistress — rispose Tom Marix — sedici anni dopo la dichiarazione d'indipendenza dell'Australia meridionale, che i coloni ebbero l'idea di creare questa linea, dal sud al nord del continente, fra Porto Adelaide e Porto Darwin. I lavori procedettero con tanta alacrità che alla metà del 1872 erano già ultimati.

— Ma non sarebbe stato necessario esplorare il continente in tutta questa estensione? — fece osservare mistress Branican.

— Infatti, mistress — rispose Tom Marix — dieci anni prima, nel 1860 e nel 1861, Stuart, uno dei nostri esploratori più intrepidi, l'aveva traversato, compiendo numerose ricognizioni all'est e all'ovest.

— E chi è stato a costruire questa linea? — domandò mistress Branican.

— Un ingegnere tanto coraggioso quanto intelligente, il signor Todd, direttore delle poste e telegrafi di Adelaide, uno dei nostri concittadini che l'Australia onora come egli merita.

— Ed è riuscito a trovare qui il materiale necessario ad un'opera simile?

— No, mistress — rispose Tom Marix — ha dovuto far venire

8 Circa settecento chilometri. (N.d.A.)

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dall'Europa gli isolatori, i fili e perfino i pali della linea. Attualmente invece la colonia sarebbe in grado di fornire ogni tipo di materiale per qualunque opera industriale si volesse intraprendere.

— E gli indigeni hanno lasciato eseguire questi lavori senza creare ostacoli?

— In principio ne creavano molti, di ostacoli, mistress. Distruggevano il materiale, i fili per procurarsi del ferro, ed i pali per farne delle asce. Perciò su un percorso di milleottocentocinquanta miglia9 ci furono continui scontri con gli australiani, per fortuna non a loro vantaggio. Tornarono alla carica, e in verità io credo che i lavori avrebbero dovuto essere interrotti se il signor Todd non avesse avuto una splendida intuizione, un vero lampo di genio. Fece catturare alcuni capi tribù e fece loro applicare per mezzo di una forte pila un certo numero di scosse elettriche. I poveretti furono tanto spaventati che i loro compagni non osarono più avvicinarsi agli apparecchi. Si poté così ultimare la costruzione della linea che, ora, funziona regolarmente.

— E non è sorvegliata da agenti? — domandò mistress Branican. — Da agenti, no — rispose Tom Marix — ma da squadre della

polizia nera, come diciamo noi. — Questa polizia non si spinge mai fino alle regioni del centro e

dell'ovest? — Mai, o per lo meno molto raramente, mistress. Ci sono già tanti

malfattori da inseguire nei distretti abitati… — Ma come mai nessuno ha pensato a mettere questa polizia nera

sulle tracce degli Indas, quando si è saputo che il capitano Branican era loro prigioniero… e da quindici anni?!…

— Voi dimenticate, mistress, che noi e voi stessa ne siamo a conoscenza soltanto da qualche settimana, grazie ad Harry Felton.

— È vero — rispose Dolly — qualche settimana!… — D'altra parte io so — riprese Tom Marix — che la polizia nera

ha ricevuto l'ordine di esplorare le regioni della Terra di Tasman, dove deve essere stato inviato un forte distaccamento; ma ho paura che…

9 Cioè tremilaquattrocento chilometri. (N.d.A.)

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Tom Marix tacque; mistress Branican non aveva badato alla sua pausa.

Per quanto fosse deciso ad espletare fino in fondo l'incarico che aveva accettato di assumersi, Tom Marix, bisogna dirlo, dubitava molto sul buon esito della spedizione. Egli sapeva quanto fosse difficile qualsiasi contatto con quelle tribù nomadi dell'Australia. Perciò non condivideva né la fede ardente di mistress Branican, né la convinzione di Zach Fren, né la fiducia istintiva di Godfrey. In ogni caso, però, era deciso a compiere tutto il suo dovere.

La sera del 15, nei pressi delle colline Deroy, la carovana si attendò nella borgata di Boorloo. Al nord si vedeva sorgere la cima del Mount-Attraction, dietro al quale si estendono le Illusion-Plains. Questo accostamento di nomi vuol forse significare che se la montagna attrae, la pianura inganna? La cartografia australiana presenta sovente tali denominazioni a doppio senso.

A Boorloo, la linea telegrafica si piega quasi ad angolo retto dirigendosi verso l'ovest e ad una dozzina di miglia essa attraversa il Cabanna-Creek. Ma ciò che riesce semplicissimo per chi dispone di fili aerei tesi da un palo all'altro, è assai più difficile per una compagnia di pedoni e di cavalieri. Fu necessario cercare un passaggio guadabile, ed il giovane mozzo non volle lasciare ad altri il compito di scoprirlo. Gettandosi risolutamente nella corrente rapida e tumultuosa egli non tardò ad avvistare un fondo alto dove i carri e le vetture avrebbero potuto passare per giungere sulla riva sinistra senza bagnarsi oltre il mozzo delle ruote.

Il 17 la carovana si attendò sulle ultime propaggini del monte North-West, che si eleva a circa dieci miglia al sud.

Il paese era abitato, e mistress Branican ed i suoi compagni ricevettero ottima accoglienza in una vasta fattoria comprendente parecchie migliaia di acri.10

L'allevamento di innumerevoli greggi di montoni, la coltivazione del grano in ampie pianure senza alberi, quella di sorgo e di miglio, vasti terreni preparati per le coltivazioni future, piantagioni d'ulivo e di altre piante tipiche di quelle calde latitudini, parecchie centinaia

10 Un acro equivale a 51 are e 29 centiare. (N.d.A.)

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d'animali da tiro e da soma, il personale necessario a tutta quella lavorazione — che, tra l'altro, viene sottoposto ad una disciplina quasi militare e le cui regole fanno degli uomini quasi degli schiavi – questi sono i domini che costituiscono la ricchezza delle province del continente australiano. Se la carovana di mistress Branican non fosse stata sufficientemente provvista al momento della partenza, avrebbe trovato in un posto simile tutto il necessario per soddisfare qualsiasi bisogno, grazie alla generosità dei ricchi fittavoli, i «free-selecters» proprietari di quelle campagne.

Del resto questo tipo di possedimento tende a moltiplicarsi. Estensioni immense che la mancanza d'acqua un tempo rendeva improduttive, saranno messe a profitto dalla coltivazione. Infatti il sottosuolo dei territori che la carovana attraversava allora, a dodici miglia nel sud-ovest del lago Eyre, era disseminato di stagni, e i pozzi artesiani, scavati di fresco, davano fino a trecentomila ydtons11 al giorno.

Il 18 settembre, Tom Marix fissò l'attendamento della sera alla punta meridionale del South-Lake-Eyre, che dipende dal North-Lake-Eyre, e che ha una notevole superficie. Su quelle rive boscose si trovava una gran quantità di quegli strani uccelli trampolieri di cui il «jabiru» è il migliore esemplare, e qualche branco di cigni neri confusi tra i marangoni e gli aironi dalle penne bianche, grigie o turchine.

La disposizione geografica di questi laghi è molto singolare. La loro corona si svolge dal nord al sud dell'Australia: il lago Torrens, la cui curva è percorsa dalla ferrovia, il piccolo lago Eyre, i laghi Frome, Bianche, Amedeo. Sono grandi pozze d'acqua salata che devono essere considerate quali resti d'un mare interno.

I geologi, infatti, sono propensi ad ammettere che il continente australiano fosse, in un'epoca non troppo lontana, diviso in due isole. Era già stato osservato che la periferia di questo continente, formatosi in particolari condizioni telluriche, tende ad innalzarsi sul livello del mare, e, d'altra parte, sembra accertato che il centro è sottoposto ad un continuo innalzamento.

11 Circa 1.350.000 litri. (N.d.A.)

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Il vecchio bacino, dunque, col tempo si colmerà e provocherà la sparizione di questi laghi scaglionati fra il 130° e 140° di latitudine.

Dalla punta del South-Lake-Eyre fino alla stazione d'Emerald-Spring, dove arrivò la sera del 20 settembre, la carovana percorse un territorio di circa diciassette miglia attraverso un paese coperto di magnifiche foreste, i cui alberi elevavano i loro rami a duecento piedi di altezza.

Dolly, per quanto abituata alle meraviglie delle foreste della California, ricche fra l'altro di gigantesche sequoie, avrebbe certamente ammirato quella straordinaria vegetazione, se il suo pensiero non l'avesse di continuo trasportata verso il nord e l'ovest, in mezzo a quegli aridi deserti, dove il terreno sabbioso nutre appena qualche magro arbusto. Ella non vedeva nemmeno quelle enormi felci di cui l'Australia possiede le specie più rare, né riusciva ad apprezzare quelle gigantesche macchie d'eucalipti dal fogliame piovente, a gruppi sulle leggere ondulazioni del terreno.

La cosa più strana, è che ai piedi di quegli alberi non c'è traccia di fogliame: il suolo in cui essi vegetano è pulito da frasche e da spine, e i loro primi rami cominciano a dodici o quindici piedi dalle radici. A terra c'è solo un'erba di color giallo oro, sempre fresca. Gli animali hanno distrutto i giovani germogli, il fuoco appiccato dagli squatters ha divorato cespugli ed arbusti. Perciò, benché non ci siano dei veri e propri sentieri battuti attraverso quelle immense foreste, tanto diverse dalle foreste africane nelle quali si cammina per sei mesi senza trovarne la fine, il passaggio è tuttavia abbastanza agevole. I buggys ed i carri della carovana andavano dunque quasi comodamente fra quegli alberi posti a larga distanza e sotto l'ampia volta formata dal loro fogliame.

Inoltre Tom Marix conosceva il paese avendolo percorso cento volte quando dirigeva la polizia provinciale di Adelaide. Mistress Branican non avrebbe potuto affidarsi a una guida più sicura di quella. Nessun capo scorta avrebbe unito tanto zelo a tanta intelligenza.

Tom Marix aveva anche trovato un aiutante attivo e capace nel giovane mozzo così affezionato a Dolly, ed era meravigliato di tanto ardore in un ragazzo di appena quattordici anni. Godfrey diceva che

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in caso di bisogno non avrebbe esitato ad avventurarsi anche da solo nelle regioni dell'interno. Se fosse stata scoperta qualche traccia del capitano, sarebbe certamente stato difficile, se non addirittura impossibile, impedirgli di gettarsi a capofitto nei più gravi pericoli. Il suo entusiasmo, quando si parlava del capitano, la sua assiduità nel consultare le carte dell'Australia centrale, nel prendere appunti, nell'occupare il tempo delle soste chiedendo informazioni invece di riposare dopo la fatica del lungo viaggio, tutto dimostrava in lui un'anima appassionata. Molto robusto per la sua età, già assuefatto alle aspre fatiche della vita di mare, egli spesso camminava in testa alla carovana e si allontanava fino a perdersi di vista. Se rimaneva al suo posto era solo perché Dolly glielo aveva ordinato. Né Zach Fren, né Tom Marix, benché Godfrey avesse per loro una profonda amicizia, avrebbero ottenuto ciò che ella otteneva con uno sguardo. Dolly, in presenza di quel ragazzo, si abbandonava ai propri sentimenti: egli era il ritratto vivente di John, ed ella non poteva non nutrire per lui un affetto materno. Se Godfrey non era suo figlio per natura, lo sarebbe stato almeno per adozione. Godfrey non doveva più lasciarla… e John avrebbe diviso l'affetto che lei nutriva per quel fanciullo.

Un giorno, dopo una lunga assenza, che l'aveva condotto qualche miglio più avanti della carovana, Dolly gli disse:

— Ragazzo mio, voglio che tu mi prometta di non allontanarti mai senza il mio permesso; quando ti vedo partire sono inquieta, e rimango in pensiero fino al tuo ritorno. Tu ci lasci per delle ore senza dirci nulla.

— Mistress Dolly — rispose Godfrey — bisogna che io vi informi…

Era stata vista una tribù di indigeni nomadi accampata sul Warmer-creek… Io ho voluto vedere il capo di questa tribù e interrogarlo…

— E che cosa ti ha detto?… — domandò Dolly. — Aveva sentito parlare di un uomo bianco, che veniva dall'ovest

dirigendosi verso il distretto del Queensland. — E quell'uomo chi era?… — Ho finito per comprendere che si trattava di Harry Felton e non

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del capitano Branican. Però lo ritroveremo… sì, lo ritroveremo!… Ah! mistress Dolly, io gli voglio bene quanto gliene volete voi, voi che siete una madre per me.

— Una madre! — mormorò mistress Branican. — Ma voi vi conosco, mentre lui, il capitano John, non l'ho mai

visto!… E se non fosse per questa fotografia che mi avete dato… che io porto sempre con me… alla quale io parlo… e che sembra rispondermi…

— Tu lo conoscerai un giorno, mio caro — lo interruppe Dolly — ed egli ti amerà quanto ti amo io.

Il 24 settembre, dopo essersi attendati a Strangway-Spring, poco oltre il Warmer-creek, la spedizione si fermò a William-Spring, quarantadue miglia al nord della stazione di Emerald. Dal nome «Spring» che significa «sorgente», dato alle diverse stazioni, si può capire quanto sia importante la rete «liquida» alla superficie di quei territori tracciati dalla linea telegrafica. Tuttavia, la stagione calda era già abbastanza inoltrata perché quelle sorgenti fossero sul punto di esaurirsi, e non sempre era facile che l'equipaggio trovasse di che dissetarsi quando c'era da attraversare qualche creek.

Si poteva osservare, d'altro canto, che l'abbondante vegetazione non accennava ancora a fermarsi. Se ora i villaggi si incontravano solo a lunghi intervalli, gli stabilimenti agricoli invece si succedevano a ogni tappa. Siepi di acacie africane, miste a qualche rosaio fiorito, il cui profumo si spandeva deliziosamente nell'aria, formavano dei recinti impenetrabili. Quanto alle foreste meno folte, gli alberi d'Europa, la quercia, il platano, il salice, il pioppo, il tamarisco, vi si facevano più rari a vantaggio degli eucalipti e soprattutto di quelle acacie gommifere che gli australiani chiamano «spotted-gums».

— Che sorta d'albero è quello? — esclamò Zach Fren, la prima volta che li vide. — Il loro tronco sembra dipinto con tutti i colori dell'iride.

— Quello che voi chiamate pittura, mastro Zach — rispose Tom Marix — è un colore naturale. La corteccia di questi alberi si colora in modo diverso a seconda che la vegetazione sia precoce o tardiva. Eccone qua di bianchi, altri rosa, altri rossi. Guardate quelli là, che

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hanno il tronco rigato di strisce azzurre e macchiettato di giallo… — Un'altra originalità da aggiungere a quelle che distinguono il

vostro continente — disse Zach Fren. — Sarà originalità finché volete, ma credete pure, Zach, che voi

fate un complimento ai miei compatrioti dicendo che il loro paese non rassomiglia a nessun altro. E sarà perfetto…

— Solo quando non ci sarà più neanche un indigeno, si capisce! — replicò Zach Fren.

È opportuno notare che nonostante l'insufficiente ombra degli alberi, un gran numero di uccelli ne andava in cerca. Erano gazze, pappagalli, stornelli del Messico, d'abbagliante bianchezza, scoiattoli volanti, fra cui il «polatou-che», che i cacciatori attirano imitando il grido degli uccelli notturni; uccelli del paradiso, e specialmente il «riflebird» dalle piume di velluto, considerato il più bello di tutte le specie ornitologiche australiane; alla superficie delle lagune si notavano invece coppie di gru e di quegli uccelli-loto, ai quali la conformazione delle zampe permette di correre sulle foglie delle ninfee.

Anche le lepri erano numerose e non si mancava di ucciderle, senza parlare delle pernici e delle quaglie; la qual cosa permetteva a Tom Marix di economizzare sulle provviste della spedizione. Questa selvaggina veniva cotta semplicemente alla graticola o arrostita sul fuoco dell'accampamento. Qualche volta si trovavano anche delle uova di iguana, che sono eccellenti e migliori dell'iguana stessa e che i negri della scorta mangiavano volontieri.

Quanto ai creeks, essi fornivano ancora qualche pesce persico, qualche luccio dal muso lungo, molti di quei muggini volanti che saltano fin sopra alla testa dei pescatori, e soprattutto anguille a migliaia. Ben presto sarebbe stato necessario guardarsi dai coccodrilli, assai pericolosi in quel territorio acquatico.

Come si vede, reti e lenze sono arnesi di cui il viaggiatore dell'Australia deve sempre premunirsi, come anche il colonnello Warburton ha espressamente raccomandato.

La mattina del 29, la carovana lasciò la stazione Umbum e s'inoltrò in un terreno montuoso, assai poco agevole per i pedoni. Quarantotto ore dopo, a ovest dei Denison-Ranges, si era alla

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stazione di The-Peak, recentemente fondata per soddisfare le esigenze del servizio telegrafico.

Come Tom Marix riferì a mistress Branican facendole un dettagliato resoconto dei viaggi di Stuart, fu da quel punto che l'esploratore risalì verso il nord, perlustrando quei territori quasi sconosciuti prima del suo arrivo.

Partendo da quella stazione, per un percorso di sessanta miglia circa, la carovana poté farsi un'idea delle fatiche connesse con una traversata del continente australiano. Il terreno su cui si camminava era assolutamente arido fino alle rive della Macumba-River, poi, più oltre, c'era da attraversare un altro territorio quasi uguale e parimenti difficoltoso fino alla stazione di Lady Charlotte.

Erano vaste pianure ondulate, appena animate qua e là da qualche gruppo d'alberi col fogliame ingiallito, in cui non mancava la selvaggina, sempre che sia giusto adoperare questo termine per quegli animali. Là vivevano canguri piccoli per razza, dei «wallabys», che fuggivano a grandi salti. Si notavano alcune coppie di casuari dallo sguardo fiero e provocante, come quello dell'aquila. Questi animali tuttavia hanno, in confronto agli uccelli, il vantaggio di fornire una carne grassa e nutriente quasi identica a quella di manzo. Gli alberi erano «bungas-bungas», specie d'araucarie che, nelle regioni meridionali centrali dell'Australia, raggiungono un'altezza di duecentocinquanta piedi. Quei pini, che qui sono di proporzioni più modeste, producono una grossa mandorla molto nutriente, di cui gli australiani abitualmente si nutrono.

Tom Marix aveva prevenuto i suoi compagni sulla possibilità di incontrare qualche orso, di quelli che hanno le loro tane nei tronchi incavati delle acacie gommose. L'incontro ebbe luogo, infatti: ma quei plantigradi, chiamati «potorous», non erano più terribili di normali marsupiali a lunghe grinfie.

Quanto agli indigeni, la carovana ne aveva incontrati ben pochi fino ad allora. Infatti, è solo al nord, all'est ed all'ovest dell'Overland-Telegraf-Line, che le tribù vanno da accampamento in accampamento.

Nell'attraversare quelle zone sempre più aride, Tom Marix poté usufruire di un particolare istinto, che è proprio dei buoi attaccati ai

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carri. Quell'istinto, che sembra essersi sviluppato nella loro razza da quando essa è stata introdotta nel continente australiano, spinge questi animali a dirigersi verso i creeks, dove possono dissetarsi. Raramente essi sbagliano direzione e il personale deve semplicemente seguirli. Questo istinto è talvolta prezioso, in alcune particolari circostanze.

Infatti, nella mattina del 7 ottobre, i buoi del carro che si trovava in testa si arrestarono bruscamente, e furono subito imitati da tutti gli altri. I conducenti ebbero un bello stimolarli con il pungiglione: non ottennero di farli avanzare di un solo passo.

Tom Marix, subito avvisato, si avvicinò al buggy di mistress Branican.

— So che cos'è, mistress — le disse. — Se non abbiamo ancora incontrato indigeni sulla nostra strada, in questo momento attraversiamo un sentiero che essi hanno l'abitudine di seguire; e siccome i nostri buoi hanno fiutato le loro tracce, rifiutano di andare innanzi.

— E qual è la ragione di questa ripugnanza? — chiese Dolly. — La vera ragione non si conosce — rispose Tom Marix; — ciò

nonostante il fatto è indiscutibile. Io sono propenso a credere che il primo bue importato in Australia sia stato maltrattato dagli indigeni, ed essendogli rimasto il ricordo di quei maltrattamenti, l'ha poi trasmesso di generazione in generazione.

Non si sa se quella singolarità dell'atavismo, indicata dal capo scorta, fosse o no la ragione della diffidenza dei buoi, ma è certo che non fu assolutamente possibile indurli a proseguire il cammino. Bisognò staccarli, farli voltare e a colpi di frusta e di pungiglione costringerli a fare una ventina di passi all'indietro. Solo così si riuscì a far loro oltrepassare quel sentiero, e quando furono rimessi sotto il giogo, ripresero la direzione del nord.

Quando la carovana arrivò alle rive del Macumba, tutti bevvero a volontà e poterono dissetarsi. L'acqua era però molto scarsa, a causa del forte caldo.

Ma anche dove non c'è acqua sufficiente per fare galleggiare uno scafo, ne resta comunque più del necessario per dissetare una quarantina di persone, e una ventina d'animali.

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Il giorno 6 la spedizione passò il creek Hamilton sulle pietre mezzo affondate che ingombravano il suo letto; l'8 essa lasciava all'est il monte Hammersley; la mattina del 10 fece sosta alla stazione di Lady Charlotte, dopo aver percorso trecentoventi miglia da Farina-Town.

Mistress Branican si trovava allora sul confine che separa l'Australia meridionale dalla Terra Alexandra, chiamata anche Northern-Territory: territorio scoperto dall'esploratore Stuart nel 1860, quando risalì il centotren-tunesimo meridiano fino al ventunesimo grado di latitudine.

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CAPITOLO VI

INCONTRO INASPETTATO

ALLA STAZIONE di Lady Charlotte, Tom Marix domandò a mistress Branican ventiquattro ore di riposo. Benché il tragitto fosse stato compiuto senza incidenti, il caldo aveva affaticato gli animali da tiro. La strada fino ad Alice-Spring era lunga e bisognava fare in modo che i carri carichi del materiale potessero arrivare nelle migliori condizioni.

Dolly si arrese a queste ragioni e si cercò di organizzare la sosta nel miglior modo possibile. La «stazione» consisteva soltanto in poche capanne abitate da un terzo della gente che costituiva la spedizione. Bisognava organizzare un accampamento. Ma uno squatter che dirigeva un importante stabilimento vicino, offrì a mistress Branican una più comoda ospitalità e le sue insistenze furono tali che ella dovette accettare di recarsi a Waldek-Hill, dove una bella casa venne messa a sua disposizione.

Questo squatter era il padrone di uno di quei vasti domini chiamati «runs» nella campagna australiana. Alcuni di questi «runs» comprendono fino a seicentomila ettari, specialmente nella provincia di Victoria. Benché quello di Waldek-Hill non raggiungesse simili dimensioni, era però ugualmente molto esteso. Circondato di «paddocks», che sono specie di recinti, esso era destinato soprattutto all'allevamento dei montoni, cosa che richiedeva un gran numero di impiegati, di pastori addetti alla vigilanza delle greggi e di cani selvatici il cui latrato assomiglia all'urlo del lupo.

Quando si tratta d'impiantare un «run», ciò che determina la scelta della località è la qualità del terreno: si preferiscono infatti le pianure dove cresce naturalmente il «salt bush», un'erba salata. Queste erbe dal succo nutriente che somigliano un po' alla pianta degli asparagi, e un po' a quella dell'anice, sono in special modo predilette da quei

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montoni che appartengono alla famiglia dei «pig's faces», cioè dalla testa di porco. Quando viene trovato il terreno adatto alla pastura, ci si occupa di trasformarlo in erba. Lo si abbandona cioè prima ai buoi ed alle vacche che si accontentano della prima erbetta, mentre i montoni, più difficili in fatto di cibo, non accettano se non l'erba fina che cresce in un secondo tempo.

Non bisogna dimenticare che la gran ricchezza delle province australiane è dovuta precisamente alla lana dei montoni, e che attualmente si contano nel paese centinaia di milioni di questi rappresentanti della razza ovina.

In quel «run» di Waldek-Hill, attorno alla casa principale ed all'alloggio del personale, larghi stagni alimentati da un creek provveduto di acqua in abbondanza erano destinati al lavaggio delle bestie prima della tosatura. Di fronte si ergevano delle tettoie dove venivano messe al riparo le balle di lana in attesa d'essere spedite al porto di Adelaide.

A quel tempo l'operazione della tosatura, nel «run» di Waldek-Hill, era al suo culmine. Da parecchi giorni una compagnia di tosatori nomadi, secondo l'uso, era venuta ad esercitarvi la sua lucrativa attività.

Quando mistress Branican accompagnata da Zach Fren ebbe oltrepassato il recinto, fu colpita dalla straordinaria animazione che vi regnava. Gli operai non perdevano tempo, e siccome i più abili arrivavano a tosare in un giorno anche un centinaio di montoni, erano stimolati dalla prospettiva di un guadagno che poteva ammontare perfino ad una lira. Lo stridere delle larghe forbici, fra le mani del tosatore, i belati delle bestie, quando ricevevano qualche colpo male applicato, le chiamate degli uomini fra loro, l'andirivieni degli operai incaricati di raccogliere la lana per trasportarla sotto le tettoie, tutto questo era uno spettacolo curiosissimo. E in mezzo a quel chiasso dominavano le voci di alcuni ragazzi che gridavano: «tar!… tar!» mentre portavano delle catinelle colme di catrame liquido per medicare le ferite prodotte dai tosatori inesperti.

A tutta questa gente occorrono dei sorveglianti perché il lavoro si compia in buone condizioni. Al «run» di Waldek-Hill, a parte gli impiegati dell'ufficio contabilità, ce n'erano parecchi: una dozzina

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circa fra uomini e donne che così si procuravano da vivere. Quale non fu la sorpresa di mistress Branican — e più che

sorpresa, forse stupore – quando sentì, dietro di sé, pronunciare il suo nome.

Era accorsa una donna, e si era buttata alle sue ginocchia, con le mani tese e lo sguardo supplichevole…

Era Jane Burker: Jane invecchiata più per le sofferenze che per gli anni; incanutita, quasi irriconoscibile, ma non per Dolly, che la riconobbe subito.

— Jane!… — esclamò. E le due cugine si buttarono una nelle braccia dell'altra. Quale era stata, da dodici anni, la vita dei Burker? Una vita

miserabile, delittuosa anzi, almeno per quanto riguardava il marito della disgraziata Jane.

Lasciando San Diego, nella fretta di sfuggire alle persecuzioni che lo minacciavano, Len Burker si era rifugiato a Mazatlàn, uno dei porti della costa occidentale del Messico. Sappiamo come egli avesse lasciato a Prospect-House la mulatta No, incaricata di sorvegliare Dolly Branican che a quel tempo non aveva ancora recuperato la ragione. Ma poco dopo, quando la povera signora era stata trasferita nella casa di salute del dottor Brumley, per cura del signor William Andrew, la mulatta, non avendo più motivo di rimanere nella palazzina, era partita per raggiungere il suo padrone, di cui conosceva il nascondiglio.

Len Burker aveva preso un falso nome per rifugiarsi a Mazatlàn, dove la polizia californiana non era riuscita a scoprirlo. Del resto non rimase in quella città più di quattro o cinque settimane. Tutto il suo avere consisteva in tremila piastre appena, residuo di tante somme dilapidate e specialmente della fortuna personale di mistress Branican.

Riprendere gli affari negli Stati Uniti non era più possibile, ed egli dunque decise di lasciare l'America. L'Australia gli parve un terreno favorevole per tentare la sorte con qualunque mezzo, prima d'essere ridotto all'ultimo dollaro.

Jane, sempre totalmente dominata dal marito, non avrebbe avuto la forza di opporsi. La sua unica parente, mistress Branican, a quel

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tempo era pazza. E quanto al capitano John, purtroppo non rimanevano dubbi sulla sua sorte…

Il Franklin era naufragato con tutto il suo equipaggio… John non sarebbe mai più tornato a San Diego. Niente oramai poteva strappare Jane al triste destino a cui la trascinava Len Burker, ed in tali condizioni ella fu trasportata sul continente australiano.

Len Burker era sbarcato a Sydney. Là impiegò le sue ultime risorse in altri affari e in nuove truffe, dimostrando maggiore abilità che non a San Diego. Poi non tardò a lanciarsi in speculazioni avventurose riuscendo a perdere i pochi guadagni fatti da principio.

Diciotto mesi dopo essersi rifugiato in Australia, Len Burker aveva dovuto allontanarsi da Sydney. Ridotto in condizioni che rasentavano la miseria, fu costretto a cercar fortuna altrove. Ma la fortuna non gli fu propizia neanche a Brisbane, di dove fuggì ben presto per rifugiarsi nei più lontani distretti del Queensland.

Jane lo seguiva. Vittima rassegnata, fu costretta a lavorare per sopperire ai bisogni della famiglia. Maltrattata e strapazzata da quella mulatta che continuava ad essere il cattivo genio di Len Burker, quante volte la poveretta pensò di fuggire, troncare la vita comune e finirla una buona volta con le umiliazioni e le amarezze!…

Ma il suo carattere debole e indeciso non sapeva trovare tanto coraggio. Povero cane bastonato, che non osa abbandonare la casa del padrone!

A quel tempo Len Burker aveva saputo dai giornali dei tentativi fatti per ritrovare i superstiti del Franklin. Le due spedizioni del Dolly-Hope, intraprese per conto di mistress Branican, lo avevano in pari tempo reso edotto sulla nuova situazione: 1) Dolly aveva ricuperato la ragione, dopo un periodo di quattro anni, durante i quali era rimasta sempre in casa del dottor Brumley; 2) Essendo morto in quel periodo lo zio Edward Starter nel Tennessee, l'enorme ricchezza toccatale per eredità le aveva permesso di organizzare quelle due campagne nei mari della Malesia e sulle coste dell'Australia settentrionale. Quanto al loro risultato definitivo, visto che i resti del Franklin erano stati ritrovati sulle scogliere dell'isola Browse, si doveva concluderne che l'ultimo superstite dell'equipaggio era morto in quell'isola.

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Fra la ricchezza di Dolly e Jane, sua unica erede, non si frapponeva più altro che una madre senza figlio, una sposa senza marito, con la salute probabilmente minata da tante sventure. Questo aveva pensato Len Burker. Ma che cosa poteva tentare? Riprendere l'antica relazione di famiglia con mistress Branican era impossibile. Chiederle aiuto per mezzo di Jane non osava, essendo ricercato e colpito da una minaccia di estradizione.

E d'altra parte, se Dolly fosse morta, come impedire che la sua successione sfuggisse a Jane, cioè a lui?

Il lettore non si sarà dimenticato che erano passati circa sette anni dal ritorno del Dolly-Hope, dopo la sua seconda campagna, al momento in cui l'incontro di Harry Felton rimise in questione la catastrofe del Franklin.

Durante quel periodo, l'esistenza di Len Burker divenne anche più miserabile di quanto non fosse stata per il passato. Dalle cattive azioni commesse senza rimorsi, era scivolato, lungo la china, fino al delitto. Non ebbe più domicilio fisso, e Jane fu costretta a intraprendere una vita nomade.

La mulatta No era morta; ma mistress Burker non ricavò alcun beneficio dalla morte di quella donna, la cui influenza era stata deleteria per suo marito. Essendo oramai la compagna di un malfattore, questi la costrinse a seguirlo in quei vasti e sperduti territori che assicurano l'impunità ai delinquenti.

Dopo l'esaurimento delle miniere aurifere della provincia di Victoria, e la dispersione di migliaia di «diggers» rimasti senza lavoro, il paese fu invaso da una popolazione poco abituata al rispetto delle leggi.

Venne dunque a formarsi una vasta popolazione di spostati e vagabondi, conosciuti nel distretto del Sud australiano con il nome di «larrikins». Essi, quando la polizia urbana li inseguiva troppo da vicino, battevano le campagne, facendone teatro delle loro abbominevoli gesta.

Ecco i compagni ai quali si associò Len Burker, quando la sua cattiva fama gli interdisse l'accesso nella città. A mano a mano che s'inoltrava attraverso le regioni meno sorvegliate, si univa a bande di scellerati nomadi, fra cui quei feroci «bushrangers» che comparirono

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fin dai primi anni della colonizzazione. Ecco fino a quale infimo gradino della scala sociale era sceso Len

Burker! Quanta parte avesse preso in quegli ultimi anni al saccheggio delle fattorie, ai furti sulla strada, a tutti i delitti che la giustizia fu impotente a reprimere, egli solo avrebbe potuto dirlo. Nelle sue male imprese tuttavia agiva da solo, perché Jane, quasi sempre abbandonata in qualche borgata, non seppe mai nulla di quei delitti. E forse le mani di quell'uomo ch'essa non stimava più, ma che, nondimeno, non avrebbe mai voluto tradire, avevano sparso sangue!

Erano passati dodici anni, quando la ricomparsa di Harry Felton appassionò di nuovo l'opinione pubblica. La notizia fu diffusa dai giornali, e specialmente da quelli australiani. Len Burker ne venne a conoscenza leggendo un numero del «Sydney Morning Herald» in una piccola borgata del Queensland, dove si era rifugiato, dopo un'impresa di rapina e di incendio che, grazie all'intervento della polizia, non si era risolta a vantaggio dei «bushrangers».

Informato dei fatti riguardanti Harry Felton, Len Burker veniva anche a sapere che mistress Branican aveva lasciato San Diego, arrivando a Sydney per mettersi in rapporto col secondo del Franklin. Quasi subito circolò la voce che Harry Felton era morto, dopo aver potuto dare certe indicazioni relative al capitano John. Circa quindici giorni dopo, Len Burker era a conoscenza del fatto che mistress Branican era sbarcata ad Adelaide per organizzarvi una spedizione di cui lei stessa avrebbe fatto parte, con lo scopo di visitare i deserti del centro e del nord-ovest dell'Australia.

Quando Jane seppe dell'arrivo di sua cugina sul continente, il suo primo pensiero fu di fuggire e di cercare rifugio presso di lei. Ma davanti alle minacce di Len Burker, che aveva immaginato le sue intenzioni, non osò mettere in atto il suo progetto.

Fu allora che il miserabile risolse di mettere subito a profitto quella situazione. Il momento era decisivo. Trovarsi con mistress Branican, rientrare nelle sue grazie con calcolate ipocrisie, ottenere di accompagnarla nel deserto australiano; niente di più facile, in sostanza, per arrivare alla meta tranquillamente.

Non era cosa probabile, infatti, che il capitano John, anche ammettendo che fosse ancora vivo, potesse essere trovato presso

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quegli indigeni nomadi; e inoltre era possibile che Dolly soccombesse durante quella pericolosa campagna. Tutta la sua fortuna allora sarebbe toccata a Jane, sua unica parente… Chissà! qualche volta si verificano casi così fortunati… quando si ha l'abilità di farli nascere…

Len Burker, s'intende, si guardò bene dall'informare Jane del suo progetto. Egli si separò dai «bushrangers», salvo servirsi ancora in seguito delle loro prestazioni se si fosse reso necessario ricorrere a qualche colpo di mano. Accompagnato da Jane, lasciò il Queensland, si diresse verso la stazione di Lady Charlotte da cui distava appena un centinaio di miglia, e dalla quale la carovana doveva necessariamente passare per raggiungere Alice-Spring. Ed ecco perché da tre settimane Len Burker si trovava al «run» di Waldek-Hill, dove adempiva alle funzioni di sorvegliante. Là egli attendeva Dolly, fermamente deciso a non indietreggiare davanti a qualsiasi delitto pur di impadronirsi della sua eredità.

Arrivando alla stazione di Lady Charlotte, Jane non dubitava di nulla, ed ecco il perché della sua commozione e dell'irresistibile ed insensato impulso al quale obbedì quando si trovò improvvisamente alla presenza di mistress Branican.

Ciò, del resto, secondava alla perfezione i progetti di Len Burker, e questi non pensò minimamente ad opporvisi.

Len Burker aveva allora quarantacinque anni. Essendo poco invecchiato era rimasto dritto e vigoroso. Aveva sempre lo stesso sguardo falso e fuggente, la stessa fisionomia dissimulatrice che ispirava diffidenza. Jane invece, coi lineamenti appassiti, i capelli incanutiti ed il corpo incurvato, pareva avere dieci anni più di suo marito. Nondimeno il suo sguardo spento dalla miseria, s'infiammò quando incontrò quello di Dolly.

Dopo averla stretta fra le braccia, mistress Branican aveva condotto Jane in una delle camere messe a sua disposizione dallo squatter di Waldek-Hill. Là le due donne ebbero tempo e modo per abbandonarsi ai loro sentimenti.

Dolly non ricordava le cure di cui Jane l'aveva circondata nella palazzina di Prospect-House. Non aveva in ogni modo nulla da rimproverarle, e sarebbe stata pronta a perdonare a suo marito se

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avesse acconsentito a lasciarle vicine per sempre. Parlarono lungamente. Jane raccontò del suo passato, almeno per

quanto poteva dirne senza compromettere Len Burker, e mistress Branican si mostrò riservatissima interrogandola in proposito. Ella capiva quanto avesse sofferto la povera creatura, e quanto dovesse soffrire ancora. Forse che questo non bastava a renderla degna di tutta la sua pietà e di tutto il suo affetto? Parlò soprattutto della situazione del capitano John, dell'incrollabile fiducia che continuava ad avere di ritrovarlo presto, degli sforzi che avrebbe fatto per riuscirci, poi parlò anche del suo piccolo Wat…

Quando ne ebbe cercato il ricordo, sempre vivo in lei, Jane divenne così pallida e il suo volto si alterò talmente, che Dolly credette stesse per svenire.

Jane riuscì a padroneggiarsi, e dovette raccontare la sua vita dal giorno fatale in cui la cugina era divenuta pazza, fino al tempo in cui Len Burker l'aveva costretta a lasciare San Diego.

— È possibile, mia povera Jane — disse allora Dolly — è mai possibile che in quei quattordici mesi, durante i quali mi prestavi le tue cure, non sia mai balenato nel mio spirito un lampo di luce? È possibile che non abbia mai ricordato il mio povero John?… che non abbia mai pronunciato il suo nome… e nemmeno quello del nostro piccolo Wat?…

— Mai, Dolly, mai! — mormorò Jane che non poteva trattenere le lacrime.

— E tu, Jane, tu, amica mia, tu che sei del mio stesso sangue, tu non hai saputo leggermi nel cuore?… non ti sei accorta dalle mie parole e dai miei sguardi, se avevo coscienza del passato?

— No… Dolly! — Ebbene, Jane, io ti dirò quello che non ho mai detto ad anima

viva. Sì… quando riebbi la ragione… sì… ebbi il presentimento che John era vivo, e che non ero vedova… E mi sembrò anche…

— Anche?… — domandò Jane aspettando con un terrore inesplicabile le parole di Dolly.

— Ebbene, sì, Jane… mi è sembrato d'essere ancora madre! Jane s'era alzata in piedi, agitando le mani come se volesse

scacciare una visione paurosa, e le sue labbra si muovevano senza

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che le riuscisse di pronunciare parola. Dolly, assorta nei propri pensieri, non notò quell'agitazione, e Jane aveva potuto calmarsi, almeno in apparenza, quando suo marito apparve sull'uscio della camera.

Len Burker, fermo sulla soglia, guardava sua moglie come volesse chiederle:

«Che cosa le hai detto?» Jane ricadde atterrita davanti a quell'uomo. Per l'invincibile

dominio di un carattere forte su uno debole, Jane annichiliva sotto lo sguardo di Len Burker.

Mistress Branican lo comprese. La vista di Len Burker le ricordò il suo passato e quello che Jane aveva dovuto sopportare con lui. Ma quella rivolta nel suo cuore non durò che un attimo.

Dolly era decisa a reprimere le sue recriminazioni e a vincere la ripugnanza che provava, pur di non essere più costretta a separarsi dalla povera Jane.

— Len Burker — diss'ella — voi sapete perché sono venuta in Australia. È un dovere al quale mi consacrerò fino al giorno in cui rivedrò John, perché John vive. Poiché il caso vi ha messo sul mio cammino, poiché ho ritrovato Jane, la sola parente che mi resta, vogliate lasciarmela e permettete ch'essa mi accompagni, come desidera….

Len Burker aspettò alquanto a rispondere. Sapendo quali prevenzioni esistessero contro di lui, voleva che mistress Branican completasse la sua proposta pregandolo di unirsi alla carovana. Ma poi, visto il silenzio di Dolly, pensò bene di offrirsi egli stesso.

— Dolly — disse — risponderò francamente alla vostra proposta, ed aggiungerò anzi che me l'aspettavo. Non rifiuterò, ed acconsento volentieri che mia moglie rimanga con voi. Ah! la vita è stata dura per entrambi da quando la sfortuna mi ha costretto ad abbandonare San Diego! Abbiamo sofferto molto in questi quattordici anni passati, e voi lo vedete, la fortuna non mi ha sorretto nemmeno in terra australiana, poiché sono ridotto a vivere alla giornata. Quando al «run» di Waldek-Hill sarà finita la tosatura, non saprò dove procurarmi un altro lavoro. Perciò, essendomi anche doloroso il separarmi da Jane, vi chiedo il permesso di unirmi alla vostra

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spedizione. Io conosco gli indigeni dell'interno, coi quali ho avuto parecchie volte dei rapporti, e sarò in grado di rendervi qualche servizio. Non ne dubitate, Dolly: sarò felice di unire i miei sforzi a quelli che voi ed i vostri compagni state facendo per liberare John Branican.

Dolly comprese subito che quella era una condizione formale imposta da Len Burker per acconsentire a lasciarle Jane. Con quell'uomo non c'era da discutere. Del resto, se era in buona fede, la sua presenza poteva esser utile, poiché per molti anni la sua vita errante lo aveva condotto attraverso le regioni centrali del continente. Mistress Branican si limitò dunque a rispondere per quanto assai freddamente:

— Resta inteso, Len Burker: voi sarete dei nostri, e tenetevi pronto a partire, poiché domani alle prime luci del giorno lasceremo la stazione di Lady Charlotte.

— Sarò pronto — rispose Len Burker, che si ritirò senza aver osato stendere la mano a mistress Branican.

Quando Zach Fren seppe che Len Burker avrebbe fatto parte della spedizione, dimostrò ben poca soddisfazione. Conosceva l'uomo anche troppo bene, e sapeva dal signor "William Andrew come questo tristo individuo avesse abusato della sua posizione per dissipare il patrimonio di Dolly. Non ignorando in quali condizioni quel disgraziato aveva dovuto scappare da San Diego, egli aveva molti sospetti sul tipo di esistenza che aveva dovuto condurre in quei quattordici anni passati in Australia… Tuttavia non fece commenti, ritenendo un caso fortunato che Jane avesse ritrovato Dolly. Promise però a se stesso di tenere d'occhio Len Burker.

La giornata finì senza altri incidenti. Len Burker, che non fu più visto, stava occupandosi dei preparativi della partenza, dopo aver regolato i suoi conti con lo squatter di Waldek-Hill.

Tutto si svolse senza difficoltà, e lo squatter si incaricò anzi di procurare un cavallo al suo ex impiegato per consentirgli di seguire la carovana fino alla stazione di Alice-Spring, dove la medesima sarebbe stata riorganizzata.

Dolly e Jane passarono insieme il pomeriggio e la serata nella casa di Waldek-Hill. Dolly evitò di parlare di Len Burker, e di fare la

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minima allusione alla vita che egli aveva trascorso dopo la partenza da San Diego, comprendendo bene che dovevano esserci cose che Jane preferiva non dover dire.

Durante la sera, né Tom Marix né Godfrey, incaricati di prendere informazioni presso gli indigeni sedentari, le cui capanne erano nelle vicinanze della stazione di Lady Charlotte, ricomparvero al «run» di Waldek-Hill. Fu solo il giorno dopo che mistress Branican ebbe occasione di presentare Godfrey a Jane, come suo figlio adottivo.

Jane fu a sua volta straordinariamente colpita dalla rassomiglianza di quel ragazzo col capitano John. La sua impressione fu anzi tanto profonda che osò appena guardarlo.

E come esprimere quello che essa provò quando Dolly le rivelò ciò che riguardava Godfrey e le circostanze in cui lo aveva incontrato a bordo del Brisbane… Era un trovatello raccolto nelle vie di San Diego… era stato allevato a Wat-House, aveva circa quattordici anni…

Jane, mortalmente pallida, col cuore stretto dall'angoscia, aveva ascoltato quel racconto muta, immobile…

E quando Dolly la lasciò sola, cadde in ginocchio a mani giunte. Poi il suo viso s'animò… e fu come trasfigurata…

Un istante dopo Jane aveva lasciato la casa di Waldek-Hill, e, attraversando il cortile interno, si era precipitata verso la sua abitazione per dire tutto a suo marito.

Len Burker era là, e stava sistemando in una valigia i pochi effetti di vestiario e altri oggetti che voleva portarsi dietro in viaggio. L'arrivo di Jane in quello stato di profondo turbamento, lo fece trasalire.

— Che cosa c'è? — le chiese bruscamente. — Parla dunque!… Che cosa c'è?

— È vivo! — gridò Jane… — è qui, vicino a sua madre… lui, che noi credevamo…

— Vicino a sua madre… vivo… lui? — esclamò Len Burker, fulminato da quella rivelazione.

Aveva capito subito a chi si riferiva quella parola «lui». — Lui!… — ripeté Jane — lui… il secondo figlio di John e di

Dolly Branican!

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Una breve spiegazione basterà a far capire ciò che era accaduto quindici anni prima a Prospect-House.

Un mese dopo la loro installazione nella palazzina di San Diego, il signore e la signora Burker si erano accorti che Dolly, diventata pazza dopo la tremenda disgrazia che l'aveva colpita, si trovava in uno stato che essa stessa ignorava. Sorvegliata rigorosamente dalla mulatta No, Dolly, nonostante le suppliche di Jane, fu per così dire sequestrata e sottratta alla vista dei suoi amici e dei vicini con il pretesto che era malata. Sette mesi più tardi, sempre pazza, aveva dato alla luce un secondo figlio senza che del fatto rimanesse alcuna traccia nella sua memoria.

A quel tempo, essendo stata generalmente ammessa la morte del capitano John, la nascita di quel bambino scompigliava i progetti di Len Burker relativi alla futura eredità di Dolly. Perciò aveva deciso di tenere nascosta questa nascita. Per questo motivo i domestici erano stati congedati dalla palazzina, ed i visitatori allontanati, senza che Jane, costretta a piegarsi alle triste esigenze di suo marito, potesse opporsi. Il bambino, nato da poche ore, era stato abbandonato da No sulla pubblica via, ma per fortuna raccolto da un passante e portato in un ospizio.

Più tardi, dopo la fondazione di Wat-House, all'età di otto anni, proprio di là era uscito per essere imbarcato in qualità di mozzo. E adesso tutto si spiega: la rassomiglianza di Godfrey col capitano John suo padre, e l'istintivo presentimento di Dolly. Dolly, madre senza saperlo!

— Sì, lui — esclamò Jane — è lui!… è suo figlio!… e bisogna confessare tutto.

Ma al pensiero di una rivelazione che avrebbe compromesso il piano dal quale dipendeva il suo avvenire, Len Burker fece un gesto minaccioso, mentre prorompeva in tremende bestemmie. Prendendo per mano la disgraziata Jane e guardandola fisso negli occhi, le disse con voce sorda:

— Nell'interesse di Dolly… come nell'interesse di Godfrey, ti consiglio di tacere!

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CAPITOLO VII

RISALENDO VERSO IL NORD

NON C'ERA possibilità di dubbio. Godfrey era proprio il secondo figlio di John e Dolly Branican. L'affetto che Dolly provava per lui, non era che istinto materno. Tuttavia ella ignorava che il giovane mozzo fosse suo figlio, e come avrebbe potuto venirne informata se Jane spaventata dalle minacce di Len Burker, taceva proprio per proteggere Godfrey? Parlare, sarebbe stato come mettere il giovinetto in balia di Len Burker, e quel miserabile, che lo aveva abbandonato una prima volta, avrebbe certamente saputo disfarsi di lui nel corso di quella pericolosa spedizione… Bisognava dunque che madre e figlio rimanessero completamente all'oscuro del legame che li univa.

Vedendo Godfrey, ricordando le circostanze della nascita, ed osservando quella straordinaria rassomiglianza con John, Len Burker non dubitò minimamente della sua identità. E così mentre egli riteneva certa la perdita definitiva del capitano John Branican, ecco che ricompariva all'orizzonte il suo secondo figlio. Ebbene, guai a quel fanciullo se Jane avesse parlato. Ma Len Burker era tranquillo; Jane non avrebbe certamente svelato il segreto!

L'11 ottobre, la carovana si rimise in cammino, dopo ventiquattro ore di riposo. Jane aveva preso posto nel buggy occupato da mistress Branican. Len Burker, che cavalcava un buonissimo cavallo, andava e veniva su e giù, parlando volentieri con Tom Marix dei territori ch'egli aveva già percorso lungo la linea telegrafica. Non cercava invece la compagnia di Zach Fren, il quale d'altro canto gli dimostrava un'antipatia più che evidente, ed evitava d'incontrare lo sguardo di Godfrey. Quando il giovane mozzo si avvicinava per prender parte alla conversazione di Dolly e di Jane, Len Burker se ne andava per non incontrarsi con lui.

A mano a mano che la spedizione procedeva verso l'interno,

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l'aspetto del paese andava gradatamente modificandosi. Qua e là qualche fattoria, dove il lavoro si riduceva all'allevamento dei montoni, vaste praterie che si estendevano a perdita d'occhio, macchie d'alberi, acacie gommose ed eucalipti in gruppi isolati che non ricordavano per nulla le foreste dell'Australia meridionale.

Il 12 ottobre, alle sei di sera, dopo una lunga tappa che il caldo aveva reso particolarmente faticosa, Tom Marix ordinò l'alt sulla sponda del Finke River, poco lontano dal monte Daniel, la cui cima si profilava all'ovest.

I geografi oggi sono concordi nel considerare questo fiume Finke – chiamato dagli indigeni Larra-Larra – come il principale corso d'acqua del cuore dell'Australia. Durante la sera, Tom Marix trattava di questo argomento con mistress Branican, mentre Zach Fren, Len e Jane Burker le tenevano compagnia sotto una tenda.

— Si trattava di sapere — disse Tom Marix — se il Finke River versasse le sue acque in quel vasto lago Eyre, di cui noi abbiamo fatto il giro al di là di Farina-Town. L'esploratore David Lindsay dedicò tutta la fine dell'anno 1885 a dirimere appunto tale questione. Dopo aver toccato la stazione di The-Peck, che noi abbiamo oltrepassato, seguì il fiume fino al punto in cui esso si perde nella sabbia al nord-est di Dalhusie. Ma ebbe motivo di credere che nella stagione delle grandi piogge, il corso delle sue acque deve arrivare fino al lago Eyre.

— E quale sviluppo avrebbe il Finke River? — domandò mistress Branican.

— Non meno di novanta miglia, si pensa — rispose Tom Marix. — E noi dovremo seguirlo per molto tempo? — Qualche giorno soltanto, perché fa tante giravolte e finisce per

risalire nella direzione dell'ovest attraverso il masso di James-Ranges.

— Ma io ho conosciuto questo David Lindsay di cui parlate — disse allora Len Burker.

— L'avete conosciuto?… — replicò Zach Fren con un tono che rivelava una certa incredulità.

— Che c'è di strano? — rispose Len Burker. — Io ho conosciuto Lindsay nell'epoca in cui si distrusse la stazione di Dalhusie. Egli

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andava alla frontiera est del Queensland, che io visitavo per conto d'una casa di Brisbane.

— Infatti — rispose Tom Marix — è quell'itinerario che egli ha scelto. Poi, ritornato ad Alice-Spring, completò il riconoscimento del fiume Herbert e ritornò verso il golfo di Carpentaria, dove finì il suo secondo viaggio dal sud al nord attraverso il continente australiano.

— Aggiungo — disse Len Burker — che David Lindsay era accompagnato da un botanico tedesco di nome Dietrich. La loro carovana si serviva soltanto di cammelli per i trasporti. Penso, Dolly, che anche voi contiate di riordinare la vostra dopo Alice-Spring, e sono certo che ci riuscirete come c'è riuscito David Lindsay…

— Sì, ci riusciremo, Len! — disse mistress Branican. — Nessuno ne dubita! — aggiunse Zach Fren. In sostanza pareva cosa certa che Len Burker avesse veramente

incontrato David Lindsay nelle circostanze da lui accennate; cosa, del resto, che anche Jane aveva confermato. Ma se Dolly gli avesse chiesto per conto di quale casa di Brisbane egli allora viaggiasse, forse la domanda lo avrebbe imbarazzato.

Nelle poche ore che mistress Branican e i suoi compagni passarono sulla sponda del Finke River, si ebbero indirettamente notizie dell'inglese Jos Meritt e del suo domestico cinese Gin-Ghi. Entrambi precedevano ancora la carovana d'una dozzina di tappe; tuttavia essa si avvicinava ogni giorno di più a loro, seguendo lo stesso itinerario.

Fu per mezzo degli indigeni che si seppe che cosa era avvenuto di quel collezionista di cappelli. Cinque giorni prima, Jos Meritt e il suo servitore avevano soggiornato nel villaggio di Kilna, distante un miglio dalla stazione.

Kilna conta parecchie centinaia di abitanti negri, uomini, donne e fanciulli, che vivono in povere capanne di corteccia. Queste capanne sono chiamate «villums» in australiano, e va notata la singolare analogia di questa parola indigena colle parole «villa» e «villaggio» della lingua di origine latina.

Questi aborigeni, di cui alcuni sono tipi veramente rimarchevoli, di statura molto alta, proporzioni perfette, corpi forti e flessibili, dalla tempra infaticabile, meritano una speciale osservazione. Per la

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maggior parte sono caratterizzati da quella conformazione facciale tipica delle razze selvagge; hanno sopracciglia sporgenti, capigliatura ondulata o addirittura crespa, fronte bassa e fuggente, naso schiacciato e dalle larghe narici, bocca enorme con dentature ferine. Invece non sono affatto frequenti le note caratteristiche di altri selvaggi, cioè un grosso ventre e le membra gracili, con eccezioni molto rare nei negri australiani.

Da dove arrivano gli indigeni di questa quinta parte del mondo? È veramente esistito, come parecchi dotti hanno voluto affermare, un continente del Pacifico, di cui non restano che le cime in forma d'isole sparse alla superficie di quel vasto bacino? Gli australiani, sono i discendenti della numerosa razza che in altri tempi popolava quel continente?

Queste teorie resteranno probabilmente sempre allo stato di ipotesi. Ma se la spiegazione fosse ammessa, bisognerebbe concluderne che la razza autoctona è singolarmente degenerata moralmente come fisicamente. L'australiano è rimasto selvaggio nei costumi e nei gusti, e per le sue abitudini inveterate di cannibalismo — almeno presso certe tribù — va collocato all'ultimo gradino della scala umana, quasi al posto di un semplice animale carnivoro. In un paese dove non si incontrano leoni, tigri e pantere, si potrebbe dire che esso li sostituisce almeno per ciò che riguarda l'antropofagia. Non coltivando la terra che a stento, vestito appena d'un cencio, mancando dei più semplici arnesi di lavoro, non possedendo se non armi rudimentali (la lancia a punta indurita, l'ascia di pietra, il «nolla-nolla», specie di mazza in legno durissimo, ed il famoso «boomerang», la cui forma elicoidale lo costringe a ritornare indietro dopo essere stato proiettato da una mano vigorosa) il negro australiano, ripetiamo, è un selvaggio nel senso più completo della parola.

Ad esseri simili la natura ha dato la donna che loro conviene, la «lubra», di costituzione abbastanza vigorosa per resistere alla fatica della vita nomade, sottoporsi ai più penosi lavori, portare i bambini e il materiale dell'accampamento. Le povere «lubra» sono vecchie a venticinque anni, e non solo vecchie, ma ributtanti, per l'uso malsano di masticare le foglie del «pituri», una droga eccitante che le sostiene

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durante le interminabili camminate, e le aiuta talvolta a sopportare lunghi digiuni.

Ebbene, chi lo crederebbe? Quelle che si trovano a contatto coi coloni europei nelle borgate, cominciano a seguire la moda europea. Sì! Vogliono degli abiti, e con lo strascico anche! Vogliono dei cappelli, e cappelli con piume! Anche gli uomini non sono indifferenti nella scelta della propria acconciatura, e per soddisfare il loro gusto, fanno accurate perlustrazioni nei fondachi dei rivenditori.

Senza alcun dubbio, Jos Meritt sapeva del lungo viaggio fatto da Carl Lumholtz in Australia. E come avrebbe potuto non ricordarsi del passaggio di quell'ardito viaggiatore norvegese, il cui soggiorno si prolungò oltre sei mesi in mezzo ai feroci cannibali del sud-est?

«Incontrai a mezza strada i miei due indigeni… Si erano fatti assai belli; uno si pavoneggiava in camicia, l'altro s'era messo in testa un cappello da donna. Questi abbigliamenti, molto apprezzati dai negri australiani, passavano da una tribù all'altra: dalle più incivilite che vivono vicino ai coloni a quelle che non hanno mai alcun rapporto coi bianchi. Parecchi dei miei uomini (indigeni) si imprestarono il cappello; essi mettevano una specie di orgoglio nell'adornarsi, uno per volta, di quell'acconciatura. Uno di quelli che mi precedevano in puris naturalibus, sudando sotto il peso del suo fucile, era proprio curioso a vedersi, con quel cappello da donna messo per traverso. Quali peripezie dovette attraversare quel cappellino nel corso del suo lungo viaggio dal paese dei bianchi fino ai monti dei selvaggi!»

Era appunto quel che sapeva Jos Meritt, e forse in mezzo ad una tribù australiana, sulla testa d'un capo dei territori del nord o del nord-ovest, egli avrebbe trovato quell'introvabile cappello, la cui conquista lo aveva già trascinato, con pericolo di vita, presso gli antropofagi del continente australiano. Bisogna osservare del resto, che se egli non era riuscito a nulla presso le popolazioni del Queensland, non pareva dovesse riuscir meglio fra gli indigeni di Kilna, poiché si era rimesso in viaggio e continuava la sua avventurosa peregrinazione risalendo verso i deserti del centro.

Il 13 ottobre, all'alba, Tom Marix diede il segnale della partenza. La carovana riprese la strada nell'ordine abituale. Per Dolly era una vera soddisfazione avere Jane presso di sé, e per Jane era una grande

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consolazione aver ritrovato mistress Branican. Il buggy che le trasportava e nel quale potevano isolarsi, permetteva loro di scambiarsi molti pensieri, molte confidenze. Perché Jane non osava lasciarsi andare in quelle fino in fondo, invece di essere costretta a tacere? A volte, nel vedere il grande affetto materno da un canto e filiale dall'altro che si manifestava ad ogni istante con uno sguardo, un gesto, una parola fra Dolly e Godfrey, le pareva che il suo segreto dovesse sfuggirle… Ma le minacce di Len Burker le tornavano in mente, e nel timore di danneggiare il giovinetto, essa ostentava anzi verso di lui una specie di indifferenza, che mistress Branican aveva notato con dispiacere.

Si pensi che cosa dovette provare quando Dolly un giorno le disse: — Tu devi capirmi, Jane, con questa rassomiglianza che mi aveva

così vivamente colpita, con quell'istinto che io sentivo in me, ho potuto credere che il mio bambino fosse scampato dalla morte senza che il signor William Andrew né alcun altro lo avesse saputo… Di qui a pensare che Godfrey fosse nostro figlio… il figlio mio e di John!… Ma no!… il mio piccolo Wat riposa ora nel cimitero di San Diego!

— Sì!… fu là che noi lo trasportammo, cara Dolly — rispose Jane. — Là è la sua tomba… in mezzo ai fiori!

— Jane!… Jane!… poiché Dio non ha voluto rendermi il mio bambino, mi renda almeno suo padre, il mio John!

Il 15 ottobre, alle sei di sera, dopo avere lasciato indietro il monte Humphries, la carovana si fermò sulla sponda del Palmer-creek, uno degli affluenti del Finke River. Quel creek era quasi a secco, non essendo alimentato che dalle piogge, come la maggior parte dei rigagnoli di quelle regioni.

Il passaggio dunque fu agevolissimo, come pure quello che si fece tre giorni dopo dell'Hughes-creek, trentaquattro miglia più al nord.

In quella direzione, l’Overland-Telegraf-Line, tendeva sempre i suoi fili aerei, quei fili d'Arianna che basta seguire da una stazione all'altra. Si trovavano qua e là gruppi di case, più raramente fattorie, dove Tom Marix, pagando bene, si procurava carne fresca mentre Godfrey e Zach Fren andavano in cerca di informazioni.

Gli squatters si affrettavano ad informarli sulle tribù nomadi che

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percorrevano quei territori: per caso avevano sentito parlare di un bianco, trattenuto prigioniero presso gli Indas del nord e dell'ovest? Sapevano se qualche viaggiatore si fosse di recente avventurato attraverso quei lontani distretti?

Ma le risposte erano negative: nessun indizio, per quanto vago, che potesse mettere sulle tracce del capitano John. Di qui, la necessità di affrettarsi per arrivare ad Alice-Spring, da cui la carovana era ancora lontana almeno ottanta miglia.

A partire da Hughes-creek, la strada si faceva più difficile, e la media del cammino tenuta fino a quel giorno, fu notevolmente diminuita.

Il paese era assai montuoso. Si incontravano di continuo strette gole, tagliate da burroni appena praticabili, insinuantisi fra le ramificazioni dei Water-House-Ranges. Tom Marix e Godfrey, in testa alla spedizione, cercavano i punti migliori. I pedoni ed i cavalieri vi trovavano facile passaggio, come anche i buggys, i cui cavalli tiravano senza troppa fatica, per cui non era il caso di preoccuparsi; ma i carri, pesantemente carichi, avanzavano con estrema fatica. L'essenziale era evitare gli incidenti, per esempio una rottura di ruote o di assi che avrebbe richiesto lunghe riparazioni, se non addirittura l'abbandono definitivo del veicolo.

Fu nella mattina del 17 ottobre che la carovana s'inoltrò su quei territori dove i fili telegrafici non potevano conservare una direzione rettilinea. La disposizione del terreno aveva reso necessario inclinarli verso l'est; direzione che Tom Marix dovette imporre al suo personale.

Quella regione, che presentava un terreno capricciosamente accidentato, poco propizio ad un'andatura rapida e regolare, era ridiventata assai boschiva grazie alla vicinanza delle montagne.

Bisognava girare di continuo attorno a quei «brigalows-scrubs», specie di boschi impenetrabili, ove domina la prolifica famiglia delle acacie. Sulle rive dei ruscelli si innalzavano gruppi di casuarine, così spoglie di fogliame come se il vento invernale avesse scosso i loro rami.

All'entrata delle gole nascevano alcuni di quegli alberi americani il cui tronco si allarga a forma di bottiglia e che gli australiani

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chiamano «bottle-trees». Così come l'eucalipto, che vuota un pozzo quando vi affonda le sue radici, quell'albero assorbe tutta l'umidità del terreno, e il suo legno spugnoso ne è talmente impregnato che l'umido che contiene può servire per nutrire e dissetare il bestiame.

I marsupiali vivevano in gran numero sotto quei «brigalows-scrubs» e, fra gli altri, wallabys così rapidi nella corsa che il più delle volte gli indigeni, se vogliono impadronirsene, sono costretti a chiuderli in un cerchio di fiamme dando fuoco alle erbe.

In certi luoghi abbondano il canguro nano e il canguro gigante, che i bianchi non cacciano se non per gusto di cacciare, giacché per nutrirsi della loro carne coriacea bisogna essere negri e negri australiani. Tom Marix e Godfrey riuscirono ad atterrare due o tre coppie di questi animali, che hanno la velocità di un cavallo al galoppo. Bisogna però dire che la coda del canguro fornisce una zuppa eccellente, e tutti a cena poterono apprezzarne il sapore.

Quella notte ci fu un allarme, perché il campo fu turbato da una invasione di topi. Se ne hanno spesso, di queste invasioni, in Australia, nella stagione in cui questi roditori emigrano. Nessuno avrebbe potuto dormire senza arrischiare d'essere morsicato.

Mistress Branican e i suoi compagni partirono il giorno seguente, 22 ottobre, maledicendo quelle brutte bestie. Al tramonto la carovana era giunta alle ultime ramificazioni dei Mac-Donnell-Ranges. Il viaggio ormai era destinato a compiersi in condizioni molto più favorevoli. Ancora una quarantina di miglia e la prima parte della campagna sarebbe finita, con l'arrivo alla stazione di Alice-Spring.

II 23 la spedizione dovette percorrere immense pianure svolgentisi a perdita d'occhio. Alcune ondulazioni le solcavano qua e là, mentre gruppi d'alberi ne rompevano ogni tanto la monotonia; i carri seguivano agevolmente lo stretto sentiero, tracciato ai piedi dei pali telegrafici che servono alle stazioni, poste molto lontane le une dalle altre. Era certamente incredibile che la linea, poco sorvegliata in quelle regioni deserte, fosse rispettata dagli indigeni.

Alle osservazioni che gli vennero fatte in proposito, Tom Marix rispose:

— Questi nomadi, che furono castigati «elettricamente» dal nostro ingegnere, s'immaginano che la folgore corra sui fili e si guardano

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bene dal toccarli. Credono perfino che i due capi siano attaccati al sole e alla luna e che se tirassero il filo quelle due grosse palle cadrebbero loro in testa.

Alle 11, come al solito, si fece la gran fermata della giornata; la carovana si accampò presso una macchia di eucalipti, le cui foglie, cadenti come i petali di cristallo di un lampadario, davano pochissima ombra. Là scorreva un rigagnolo, o meglio un filo d'acqua appena sufficiente a bagnare i ciottoli del suo letto.

Il riposo della carovana durava di solito fino alle due. Si evitava così di camminare durante le ore più calde; comunque era solo una fermata, non un attendamento. Tom Marix non faceva staccare i buoi, né togliere le briglie ai cavalli. Quegli animali mangiavano sul posto; non si piantavano tende, non si accendevano fuochi. Cacciagione fredda e conserve formavano questo secondo pasto, che era stato preceduto da una colazione al levar del sole.

Ciascuno venne a sedersi, o sdraiarsi, sull'erba. Dopo mezz'ora, i buoi e gli uomini della scorta, neri e bianchi, quietata la fame, dormivano aspettando la partenza.

Mistress Branican, Jane e Godfrey, formavano un crocchio a parte. La domestica indigena Harriett aveva loro portato un cesto con un po' di provviste. Facendo colazione discorrevano del prossimo arrivo alla stazione d'Alice-Spring. La speranza, che non aveva mai abbandonato Dolly, era pienamente condivisa dal giovane mozzo, e quando anche non ci fosse stata ragione di sperare, niente avrebbe potuto scuotere le loro convinzioni. Tutti, del resto, erano pieni di fede nel felice esito della campagna, essendo fermamente risoluti a non lasciare la terra australiana finché la sorte del capitano John non fosse del tutto chiara. S'intende che Len Burker, fingendo di avere le medesime idee, non risparmiava i suoi incoraggiamenti, se si offriva l'occasione.

Cosa abbastanza naturale, perché egli aveva tutto l'interesse che mistress Branican non tornasse in America, dove a lui era impossibile tornare. Dolly, non sospettando niente di tutti i suoi inganni gli era grata per l'appoggio che le forniva.

Durante questa fermata, Zach Fren e Tom Marix si erano messi a parlare del riordinamento che conveniva dare alla carovana, prima di

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lasciare la stazione di Alice-Spring. La questione era grave, perché allora sarebbero incominciate le vere difficoltà della spedizione attraverso l'Australia centrale.

Era la una e mezza circa, quando, in direzione nord, si udì un rumore sordo. Lo si sarebbe detto un tumulto prolungato, un rotolamento continuo i cui lontani rumori si propagavano fino al campo.

Mistress Branican, Jane e Godfrey si erano alzati tendendo l'orecchio.

Tom Marix e Zach Fren si erano accostati loro e ascoltavano, con espressione preoccupata.

— Da dove può venire questo rumore? — domandò Dolly. — Un uragano senza dubbio — disse il nostromo. — Sembra piuttosto la risacca delle onde sul greto — fece

osservare Godfrey. Tuttavia, non c'era nessun sintomo d'uragano e l'aria non era punto

satura di elettricità. Se si trattava d'un infuriare di acque, non poteva essere prodotto che da una improvvisa inondazione dovuta alla piena dei creek. Ma quando Zach Fren azzardò questa spiegazione del fenomeno, Tom Marix rispose:

— Una inondazione in questa zona del paese? in questa stagione, con tanta siccità! È assolutamente impossibile.

E aveva ragione. Nella cattiva stagione, succede talvolta che in seguito ad uragani

violenti sopravvengano delle piene, provocate da un eccesso di precipitazioni, oppure che le acque si spandano alla superficie di terreni bassi, ma alla fine d'ottobre la cosa non era neanche pensabile.

Tom Marix, Zach Fren e Godfrey s'erano arrampicati sulla scarpata e scrutavano inquieti verso nord e verso est.

Niente in vista sopra l'immenso spazio di pianura monotona e deserta. Solo sopra l'orizzonte si stendeva una nuvola di forma bizzarra, che non si poteva confondere con i vapori provocati dalla calura, lungo la linea periferica tra la terra e il cielo. Non sembrava trattarsi di un cumulo di brume ma piuttosto di un agglomerato di quelle volute che sono prodotte dalle scariche d'artiglieria. Quanto al rumore che usciva da quell'ammasso polveroso — non si poteva

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dubitare che fosse una enorme cortina di polvere — andava rapidamente crescendo, simile allo scalpitio cadenzato di una cavalleria colossale, che percorresse il suolo elastico dell'immensa prateria. Ma di dove veniva?

— Io lo so, son già stato testimonio di questo fatto: sono montoni! — esclamò Tom Marix.

— Montoni? — replicò Godfrey ridendo. — Se non sono che montoni…

— Non ridete Godfrey — rispose il capo della scorta — saranno forse migliaia e migliaia e li avrà presi il panico. Passeranno come una valanga, distruggendo ogni cosa sul loro passaggio.

Tom Marix non esagerava. Quando questi animali sono spaventati, per un motivo qualsiasi — il che succede spesso all'interno dei «runs» — non c'è niente che possa trattenerli: rovesciano le barriere e fuggono. Un vecchio proverbio dice che dinanzi ai montoni si arresta la carrozza del re. Ed è provato che un gregge di questi stupidi animali si lascia schiacciare piuttosto che cedere il passo. Ma se si lasciano schiacciare, a loro volta schiacciano, quando si precipitano avanti in massa.

Ed era proprio questo caso; vedendo la nuvola di polvere che si allungava per uno spazio di due o tre leghe, bisognava pensare che i montoni fossero non meno di centomila; ed era evidente che un cieco timor panico li lanciava contro alla carovana. Spinti da nord a sud, si svolgevano come un'ondata enorme alla superficie della pianura e si poteva star certi che non si sarebbero arrestati se non per cadere a terra sfiniti dalla corsa pazza.

— Che cosa dobbiamo fare? — domandò Zach Fren. — Ripararci alla meglio ai piedi della scarpata — rispose Tom

Marix. Non c'era altro partito da prendere, e ridiscesero tutti e tre. Le precauzioni suggerite da Tom Marix, per quanto insufficienti,

furono messe in atto. La valanga di montoni era a meno di due miglia dall'attendamento. La nuvola si innalzava a grosse volute nell'aria, e dal mezzo di essa usciva un formidabile baccano di belati.

I carri furono messi al riparo contro la scarpata; i cavalli e i buoi furono costretti a stendersi a terra dai loro cavalieri e dai conduttori, per meglio resistere a quell'assalto sperando che passasse sopra di

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loro senza toccarli. Gli uomini si riunirono contro la scarpata, aspettando, Godfrey si

collocò accanto a Dolly, per meglio proteggerla. Frattanto Tom Marix era risalito sulla cresta della scarpata,

volendo osservare un'ultima volta la pianura. Il gregge avanzava con gran clamore oscurando rapidamente l'orizzonte. Come Tom Marix aveva detto, quei montoni dovevano essere a un centinaio di metri. In meno di due minuti sarebbero arrivati all'attendamento.

— Attenzione, eccoli! — gridò Tom Marix. E si lasciò scivolare lungo la scarpata fino al luogo dove mistress

Branican, Jane, Godfrey e Zach Fren si erano rifugiati, stretti gli uni agli altri.

Quasi subito la prima fila di montoni apparve sulla cresta. Non si arrestò perché nulla avrebbe potuto arrestarla; gli animali precipitarono gli uni sugli altri e caddero a centinaia sul suolo, che veniva loro a mancare. Ai belati si mescolava il nitrito dei cavalli e il muggito dei buoi colti da terrore. La densa nuvola di polvere nascondeva ogni cosa, mentre la valanga si scatenava oltre la scarpata, travolta da un impulso irresistibile, vero torrente di animali.

La furia durò cinque minuti, poi Tom Marix, Godfrey e Zach Fren, che furono i primi a rialzarsi, videro le ultime linee di quella massa spaventata, che ondulavano verso il sud.

— Su, su! — gridò il capo della scorta. Tutti si alzarono in piedi: qualche contusione, un po' di guasto nei

carri; grazie al riparo della scarpata, il danno si limitava a questo soltanto.

Tom Marix, Godfrey e Zach Fren risalirono fino alla parte superiore della scarpata.

Verso il sud la frotta in fuga spariva dietro una cortina di polvere sabbiosa, al nord si stendeva la pianura immensa tutta calpestata alla superficie. Ma ecco Godfrey gridare:

— Laggiù… laggiù… guardate! A una cinquantina di passi dalla scarpata due corpi giacevano a

terra, due indigeni senza dubbio, trascinati, rovesciati e forse schiacciati da quei montoni irruenti.

Tom Marix e Godfrey si diressero subito verso quei corpi.

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Quale fu la loro sorpresa! Jos Meritt e il suo servitore Gin-Ghi erano là immobili, esanimi!

Tuttavia respiravano, e curati premurosamente, si rimisero presto da quel rude assalto.

Quand'ebbero aperto gli occhi, sebbene contusi, l'uno e l'altro si alzarono in piedi.

— Bene!… Oh!… benissimo!… — disse Jos Meritt. Poi, volgendosi, domandò:

— E Gin-Ghi? — Gin-Ghi è qui… o almeno quel che ne rimane — rispose il

cinese fregandosi le reni. — Troppi montoni, padrone Jos! mille e diecimila volte troppi!

— Mai troppe braciole! mai troppe costolette, Gin-Ghi! dunque mai troppi montoni! — rispose il gentleman. — Quello che dispiace è di non averne potuto pigliar uno al passaggio.

— Consolatevi! signor Meritt — rispose Zach Fren — ai piedi della scarpata ve ne sono centinaia al vostro servizio.

— Bene!… Oh! benissimo!… — concluse gravemente il flemmatico personaggio.

E rivolgendosi al suo servitore, il quale, dopo essersi fregate le reni, si fregava le spalle:

— Gin-Ghi? — Padrone Jos? — Due costolette per questa sera, due costolette al sangue! Jos Meritt e Gin-Ghi raccontarono allora l'accaduto. Essi

procedevano tre miglia dinanzi alla carovana quando erano stati sorpresi da quella scarica di bestie ovine. I loro cavalli erano fuggiti, nonostante i loro sforzi per trattenerli. Rovesciati, calpestati, per miracolo non erano rimasti schiacciati. Altra fortuna era che mistress Branìcan e i suoi compagni li avessero soccorsi in tempo.

Essendo tutti sfuggiti a quel grave pericolo, s'erano rimessi in viaggio, e verso le sei pomeridiane la carovana arrivò alla stazione di Alice-Spring.

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CAPITOLO VIII

AL DI LÀ DELLA STAZIONE DI ALICE-SPRING

L'INDOMANI, 24 ottobre, mistress Branican s'occupò di riordinare la spedizione per una campagna che prometteva di essere lunga, penosa e pericolosa, dovendo attraversare regioni quasi ignote dell'Australia centrale.

Alice-Spring è solo una stazione dell'Overland-Telegraf-Line. Una ventina di case, il cui insieme quasi non meriterebbe il nome di villaggio.

Prima di tutto mistress Branican si recò dal capo di quella stazione, il signor Flint. Chissà che non avesse notizie degli Indas. Questa tribù, che tratteneva prigioniero il capitano John, talvolta infatti scendeva l'Australia occidentale fino alla regione del centro.

Il signor Flint non poté dire nulla di sicuro in proposito, salvo che questi Indas percorrevano ogni tanto la parte ovest della Terra Alexandra. Non aveva mai sentito parlare di John Branican. Quanto ad Harry Felton, tutto quel che ne sapeva è ch'era stato raccolto ad ottanta miglia nell'est della linea telegrafica, sulla frontiera del Queensland. A parer suo, non c'era altro da fare che basarsi sulle informazioni precise che il disgraziato aveva fornito prima di morire; egli li invitava a proseguire questa campagna tagliando obliquamente verso i distretti dell'Australia occidentale. Sperava, del resto, che il risultato fosse felice, e che mistress Branican potesse riuscire là dove egli stesso, Flint, aveva fallito quando sei mesi prima era andato in cerca di Leichhardt: progetto che le guerre di tribù indigene l'avevano costretto ad abbandonare. Si metteva a disposizione di mistress Branican per procurarle tutto ciò che la stazione poteva offrire. Così egli aveva fatto per David Lindsay, quando questo viaggiatore si era fermato ad Alice-Spring, prima di dirigersi verso il lago Nash e i massi orientali dei Mac-Donnell Ranges.

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Ed ecco quale era a quel tempo la parte del continente australiano che la spedizione doveva esplorare risalendo a nord-ovest.

A duecentosessanta miglia dalla stazione di Alice-Spring, sul centoventisettesimo meridiano, si svolge la frontiera rettilinea che da sud a nord separa l'Australia meridionale, la Terra Alexandra e l'Australia settentrionale da questa provincia, designata col nome di Australia occidentale, e che ha per capitale Perth.

Essa è la più vasta, la meno conosciuta e anche la meno popolata delle sette grandi divisioni del continente. In realtà è solo determinata geograficamente dal perimetro delle sue coste che comprendono le terre di Nuyts, di Leeuwin, di Wlaming, di Endrack, di Witt e di Tasman.

I cartografi moderni indicano all'interno di questo territorio lontano e desolato, percorso solo da indigeni nomadi, tre deserti distinti:

1) A nord, il deserto compreso fra il trentesimo e il ventottesimo grado di latitudine, esplorato da Forrest nel 1869, dal litorale sino al centoventi-treesimo meridiano e che Giles attraversò tutto nel 1875.

2) Il Gibson-Desert, compreso fra il ventottesimo e il ventitreesimo grado, di cui lo stesso Giles percorse le immense pianure nel 1876.

3) Il Great-Sandy-Desert, compreso fra il ventitreesimo grado e la costa settentrionale, che il colonnello Warburton riuscì a valicare dall'est al nordovest nel 1873, affrontando chi sa quali pericoli.

Ora, era proprio su quel territorio che la spedizione di mistress Branican doveva fare le proprie ricerche. L'itinerario del colonnello Warburton era quello a cui bisognava attenersi, secondo le notizie date da Harry Felton. Il viaggio di questo audace esploratore aveva richiesto quattro mesi dalla stazione di Alice-Spring fino al litorale dell'oceano Indiano, e quindici mesi di durata totale, tra il settembre 1872 e il gennaio 1874.

Quanto tempo sarebbe stato necessario per portare a termine il viaggio che mistress Branican e i suoi compagni stavano per intraprendere? Dolly raccomandò a Zach Fren e a Tom Marix di non perdere un giorno, e loro, assecondati alacremente dal signor Flint, poterono accontentarla.

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Trenta cammelli, comperati a caro prezzo per conto di mistress Branican, erano stati raccolti già da una quindicina di giorni alla stazione di Alice-Spring e dovevano essere condotti da cammellieri afgani.

Erano solo trent'anni che l'Australia aveva importato i primi cammelli. Nel 1860 il signor Elder ne aveva fatti importare dall'India una certa quantità. Questi utili animali, sobri e robusti, sono capaci di portare un carico di centocinquanta chilogrammi percorrendo quaranta chilometri in ventiquattro ore, camminando sempre con lo stesso passo. Inoltre, possono rimanere una settimana senza mangiare; e senza bere, sei giorni d'inverno e tre d'estate. In quell'arido continente possono perciò rendere i medesimi servizi che danno nelle regioni ardenti dell'Africa. Là come qui, sopportavano quasi impunemente la mancanza d'acqua e il calore eccessivo. Il deserto di Sahara e il Great-Sandy-Desert non sono infatti attraversati dai meridiani corrispondenti dei due emisferi?

Mistress Branican disponeva di trenta cammelli: venti da sella e dieci da basto. Il numero dei maschi era maggiore di quello delle femmine. La maggior parte erano giovani, e in buone condizioni di forza e di salute. Come la scorta aveva per capo Tom Marix, così quegli animali avevano per capo un cammello maschio, più vecchio, al quale gli altri obbedivano volentieri. Esso li dirigeva, li radunava nelle fermate, impediva loro di fuggirsene con le cammelle. Se questo cammello guida avesse dovuto morire o ammalarsi tutto il gruppo avrebbe rischiato di sbandarsi e i conduttori non avrebbero saputo come mantenerne il buon ordine. Naturalmente questo prezioso animale fu affidato a Tom Marix, e questi due capi, l'uno in arcione all'altro, precedevano la carovana.

Fu convenuto che i cavalli ed i buoi che avevano trasportato il personale dalla stazione di Farina-Town fino alla stazione di Alice-Spring, sarebbero stati affidati alle cure del signor Flint. Al ritorno si sarebbero ritrovati coi buggys e coi carri. Infatti era molto probabile che la spedizione, tornando ad Adelaide, ripigliasse la via già segnata dai pali dell'Overland-Telegraf-Line.

Dolly e Jane avrebbero occupato insieme una «kibitka», specie di tenda molto simile a quella degli arabi, e che era portata da uno dei

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più robusti cammelli della carovana. Esse avrebbero potuto difendersi dai raggi solari dietro fitte cortine, e allo stesso modo proteggersi anche contro le piogge che violenti uragani versano a volte, per quanto raramente, sulle pianure centrali del continente.

Harriett, la cameriera di mistress Branican, avvezza alle lunghe camminate dei nomadi, preferiva andare a piedi. Quelle gran bestie a due gobbe le sembravano piuttosto fatte per trasportare bagagli che non creature umane.

Tre cammelli da sella erano riservati a Len Burker, a Godfrey e a Zach Fren, che avrebbero dovuto imparare ad abituarsi alle loro mosse traballanti. Del resto, bisognava conformare il passo all'andatura regolare di questi animali, dal momento che una parte del personale andava a piedi. Il trotto non sarebbe stato necessario a meno che non si presentasse la necessità di precedere la carovana per scoprire un pozzo o una sorgente nell'attraversare il Great-Sandy-Desert. Gli altri quindici cammelli da sella erano riservati ai bianchi della scorta. I negri, incaricati di condurre i dieci cammelli da basto, dovevano fare a piedi le dodici o quattordici miglia delle due tappe quotidiane. Ma per loro non sarebbe stata troppa fatica.

Così dunque fu riordinata la carovana per quel secondo periodo del viaggio. Tutto era stato preparato con l'approvazione di mistress Branican, e calcolato bene perché bastasse alle esigenze della campagna, per quanto lunga dovesse essere, risparmiando il più possibile fatiche agli uomini e agli animali.

Essendo meglio provvista di mezzi di trasporto, viveri ed effetti da campo, funzionando cioè in condizioni più favorevoli di quanto fosse mai stato possibile a qualsiasi altro esploratore del continente australiano, c'era da sperare che la carovana riuscisse nel suo intento.

Ma che cosa sarebbe stato di Jos Meritt? Il gentleman e il suo servitore Gin-Ghi dovevano rimanere alla stazione di Alice-Spring? O l'avrebbero lasciata per seguire la linea telegrafica diretta al nord? O non pensavano piuttosto di dirigersi all'est o all'ovest in cerca delle tribù indigene? Là veramente il collezionista avrebbe avuto probabilità di scoprire l'irreperibile copricapo di cui seguiva da tanto tempo le peste. Ma oramai privo di cavalcatura, senza bagaglio, sfornito di viveri, come avrebbe potuto riuscire a proseguire la

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strada? Molte volte, quando erano stati in relazione, Zach Fren aveva

interrogato Gin-Ghi in proposito. Ma il cinese aveva risposto che non sapeva mai ciò che il padrone avesse in mente, anche perché non lo sapeva nemmeno lui. Ciò che poteva affermare era che Jos Meritt non si sarebbe mai rassegnato a tornare indietro, finché la sua mania non fosse soddisfatta, e che egli, Gin-Ghi, originario di Hong-Kong, non avrebbe mai più potuto rivedere il paese dove le giovani cinesi, vestite di seta, colgono con le dita affusolate il fiore delle ninfee.

Si era alla vigilia della partenza, e Jos Meritt non aveva ancora detto nulla dei propri progetti, quando mistress Branican fu avvisata da Gin-Ghi che il gentleman chiedeva la cortesia di un colloquio particolare.

Mistress Branican, desiderosissima di essere utile, potendo, a quell'originale personaggio, fece rispondere che pregava l'onorevole Jos Meritt di recarsi alla casa del signor Flint, dove abitava da quando era arrivata alla stazione.

Jos Meritt vi andò subito — era il pomeriggio del 25 ottobre — e appena fu seduto in faccia a Dolly entrò in argomento.

— Mistress Branican… Bene!… Oh!… benissimo!… Non dubito, no, non dubito nemmeno un momento che voi troverete il capitano John. Magari potessi anch'io trovare quel cappello, alla scoperta del quale tendono tutti gli sforzi della mia esistenza! Bene!… oh!… benissimo! Voi dovete sapere perché io son venuto a frugare nelle più riposte regioni dell'Australia.

— Lo so, signor Meritt — rispose mistress Branican — e dal canto mio non dubito minimamente che un giorno sarete compensato di tanta perseveranza.

— Perseveranza!… Bene!… oh!… benissimo! Gli è che, sapete, mi-stress, quel cappello è unico al mondo.

— E manca alla vostra collezione? — Purtroppo! E darei la mia testa per potercelo mettere sopra! — È un cappello d'uomo? — domandò Dolly, interessandosi più

per bontà che per curiosità all'innocente capriccio di quel maniaco. — No, mistress, no! è un cappello da donna, ma di qual donna!

Voi mi scuserete se voglio conservare il segreto sul suo nome e sulla

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sua qualità, per timore della concorrenza. Pensate un po' mistress… se qualcun altro…

— Ma insomma, avete un indizio?… — Un indizio? Bene!… oh!… benissimo!… Io ho saputo a forza

di corrispondenze, d'inchieste e di peregrinazioni che quel cappello è venuto a finire in Australia dopo commoventi vicissitudini, e che partito dall'alto, sì, dall'altissimo, deve ora ornare la testa del sovrano di qualche tribù indigena.

— Ma quale tribù? — Una di quelle che percorrono il nord e l'ovest del continente.

Bene!… oh!… benissimo!… Ma se è necessario, lo visiterò tutto; e poiché mi è indifferente cominciare da una parte piuttosto che da un'altra, vi domando il permesso di seguire la vostra carovana fino agli Indas.

— Volentieri, signor Meritt — rispose Dolly — e darò ordini perché ci si procuri, se è possibile, altri due cammelli.

— Basterà uno solo, mistress, uno solo per me e per il mio domestico, tanto più che mi propongo di montare io la bestia mentre Gin-Ghi si accontenterà di andar a piedi.

— Sapete che dobbiamo partire domattina, signor Meritt? — Domani?… Bene!… oh!… benissimo! Non vi farò ritardare,

mistress Branican. Ma siamo intesi, non è vero? che io non mi occupo affatto di ciò che riguarda il capitano John; questa è una faccenda vostra; io mi occupo del mio cappello.

— Del vostro cappello, siamo intesi! — rispose Dolly. Ciò detto, Jos Meritt se ne andò dichiarando che questa energica,

intelligente e generosa donna meritava di ritrovare suo marito quanto lui di mettere la mano sul gioiello che avrebbe potuto completare la sua collezione di cappelli storici.

Gin-Ghi, avvisato di trovarsi pronto per l'indomani, dovette occuparsi di mettere in ordine i pochi oggetti scampati al disastro dopo la faccenda dei montoni. Quanto all'animale che il gentleman doveva dividere col suo servitore nella maniera che è stata detta, Flint riuscì a procurarlo, cosa che gli valse da parte del suo riconoscentissimo Jos Meritt queste parole: «Bene!… oh!… benissimo!…».

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Il giorno seguente, 26 ottobre, dopo che mistress Branican si fu congedata dal capo della stazione, venne dato il segnale della partenza. Tom Marix e Godfrey precedevano i bianchi della scorta, che erano montati sui cammelli. Dolly e Jane si accomodarono nella «kibitka», con Len Burker da un lato e Zach Fren dall'altro. Poi veniva, maestosamente piantato fra le due gobbe della sua cavalcatura, Jos Meritt seguito da Gin-Ghi. Per ultimi tre cammelli da basto e i negri formanti la seconda metà della scorta.

Alle sei del mattino la spedizione, lasciandosi a destra l'Overland-Telegraf-Line e la stazione di Alice-Spring, spariva dietro uno dei contrafforti di Mac-Donnell-Ranges.

Alla metà di ottobre, in Australia, il caldo è già eccessivo. Tom Marix aveva perciò consigliato di viaggiare nelle prime ore del giorno, dalle quattro alle nove, e nel pomeriggio, dalle quattro alle otto. Le notti cominciavano ad essere soffocanti e occorrevano lunghe fermate per dar modo alla carovana di abituarsi alle fatiche delle regioni centrali. Si andava incontro al deserto con l'aridità delle sue interminabili pianure, i suoi creeks asciutti, i suoi pozzi pieni solo di acque salmastre, quando non asciutti del tutto, a causa della siccità. Alla base della montagna si stendeva quella regione accidentata in cui si incontrano le ramificazioni dei Mac-Donnell e dei Strangways-Ranges solcata dalla linea telegrafica che si piega verso nord-ovest. La carovana però abbandonò ben presto questa direzione per portarsi direttamente all'ovest, quasi sul parallelo che si confonde col Tropico del Capricorno.

Era press'a poco la medesima strada che Giles aveva seguito nel 1872 e che tagliava quella di Stuart a venticinque miglia al nord di Alice-Spring.

I cammelli, su quei terreni molto accidentati, procedevano lentamente. Ogni tanto si incontravano dei rivoletti dove gli uomini potevano trovare, al riparo degli alberi, acqua corrente abbastanza fresca, della quale le bestie facevano provviste per molte ore.

I cacciatori della carovana, incaricati di procurare la selvaggina, nei vari boschetti poterono ammazzare qualche animale commestibile, soprattutto conigli.

Tutti sanno che il coniglio in Australia è come le cavallette in

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Africa. Questi roditori troppo prolifici riescono a rosicchiare ogni cosa, se non si sta continuamente in guardia. Fino allora il personale della carovana li aveva un po' sdegnati, perché la vera selvaggina abbondava nelle foreste e nelle pianure dell'Australia meridionale. C'era sempre tempo per cominciare a nutrirsi di questa carne un po' insipida, quando le lepri, le pernici, le ottarde, le anitre, i colombi ed altri animali venissero a mancare. Ma in quella regione che costeggia i Mac-Donnell-Ranges, bisognava pure accontentarsi di ciò che si trovava, vale a dire dei conigli che pullulavano.

La sera del 31 ottobre, Godfrey, Jos Meritt e Zach Fren riuniti, discorrevano di quella razza che urge distruggere, e Godfrey chiese se in Australia i conigli ci fossero sempre stati. Tom Marix rispose:

— No, ragazzo mio, furono importati solo una trentina d'anni fa. Un bel regalo, ci hanno fatto! Questi animali si sono moltiplicati talmente, che devastano le nostre campagne. Certi distretti ne sono infestati al punto che non si può più allevare né montoni né bestiame. I campi sono forati come schiumatole e l'erba è rosicchiata fino alla radice. È una vera rovina e sono propenso a credere che non i coloni mangeranno i conigli, ma i conigli mangeranno i coloni.

— Ma come mai non si ricorre a qualche mezzo potente per liberarsene? — domandò Zach Fren.

— Diciamo invece che si è ricorso a mezzi impotenti — rispose Tom Marix; — visto che il loro numero aumenta invece di scemare. Conosco un proprietario che ha dovuto spendere quarantamila lire sterline, un milione di franchi, per distruggere i conigli che devastano il suo «run». Il governo ha messo la taglia sulla loro testa, come per la tigre e per i serpenti nelle Indie inglesi. Ma simili alle teste dell'idra, le teste dei conigli rispuntano man mano che si tagliano, e rispuntano in più gran numero. Si è adoperata la stricnina, che ne ha avvelenati centinaia di migliaia, rischiando di diffondere la peste nel paese. Anche così però non si è ottenuto nulla.

— Ho sentito dire — disse Godfrey — che uno scienziato francese, Pasteur, aveva proposto di distruggere quei roditori innestando loro il colera delle galline.

— Forse il mezzo sarebbe più efficace, ma bisognerebbe averlo adoperato, cosa che non si è verificata benché a quello scopo fosse

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stato offerto un premio di ventimila lire sterline. Perciò il Queensland e la Nuova Galles del sud hanno piantato un graticolato lungo ottocento miglia per proteggere l'est del continente contro l'invasione dei conigli. È una vera calamità.

— Bene!… oh!… benissimo!… Vera calamità… — rispose Jos Meritt. — Allo stesso modo la razza gialla finirà coll'invadere le cinque parti del mondo. I cinesi sono i conigli dell'avvenire.

Fortunatamente Gin-Ghi non era presente, giacché avrebbe protestato contro quel paragone offensivo per i sudditi del Celeste Impero, o per lo meno si sarebbe stretto nelle spalle ridendo di quel riso proprio della sua razza, che assomiglia piuttosto a una lunga e rumorosa aspirazione.

— Dunque — disse Zach Fren — gli australiani rinunceranno a continuare la lotta?

— E che cosa potrebbero fare? — rispose Tom Marix. — Mi sembra però — disse Jos Meritt — che ci sarebbe un mezzo

sicuro per distruggere questi conigli. — E quale? — domandò Godfrey. — Sarebbe quello di ottenere dal Parlamento britannico un

decreto così concepito: «Non si porteranno più che cappelli di castoro in tutto il Regno Unito e nelle colonie che ne dipendono». Ora, siccome il cappello di castoro non è fatto mai altro che con pelo di coniglio… Bene!… oh!… benissimo!…

Così Jos Meritt finì la sua frase, con la sua esclamazione preferita. Comunque sia, in attesa che il decreto fosse emanato dal

Parlamento, la cosa migliore era nutrirsi dei conigli ammazzati per via. Sarebbero stati tanti di meno per l'Australia e fu data loro una caccia senza quartiere.

In quella zona non c'erano altri animali che potessero servire alla alimentazione; ma furono visti alcuni esemplari di mammiferi di due specie particolari interessantissime per i naturalisti. Un echino della famiglia dei monotremi, dal muso a forma di becco con le labbra cornee, col corpo irto di pungiglioni come un istrice, e il cui principale nutrimento si compone di insetti che esso piglia con la sua lingua filiforme tesa fuor della tana. E un ornitorinco con le mandibole di anitra, con pelo bruno rossiccio che copre un corpo

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schiacciato lungo un piede. Le femmine di queste due specie hanno la particolarità di essere ovovivipare; cioè fanno le uova, ma poi allattano i piccini che nascono.

Un giorno, Godfrey, che andava a caccia con gli uomini della carovana, fu tanto fortunato da scorgere e colpire uno «iarri», specie di canguro selvatico che, essendo stato solo ferito, riuscì a fuggire sotto le macchie vicine. Il giovane mozzo non ne fu punto dispiaciuto, perché, stando a quel che diceva Tom Marix, quel mammifero non ha altro valore che per la difficoltà di pigliarlo e non ha qualità commestibili. Fu la stessa cosa per un «bungari», animale assai grosso, di pelo nerastro, che si inerpica fra gli alti rami, alla maniera dei marsupiali, aggrappandosi con artigli di gatto e dondolandosi con la lunga coda. Questo essere essenzialmente nottambulo, si nasconde così abilmente fra i rami, che è difficile scorgerlo.

Per altro, Tom Marix fece osservare che il «bungari» è un cibo squisito, la cui carne è molto più saporita di quella del canguro, se la si fa arrostire sulla brace. Così tutti si rammaricarono di non poterlo assaggiare, tanto più che i «bungari» non si sarebbero più trovati andando avanti, in prossimità del deserto. Evidentemente, continuando ad avanzare verso ovest, sarebbe stato necessario che la carovana si riducesse a vivere solo delle proprie risorse.

Nonostante le difficoltà del terreno, Tom Marix riusciva a mantenere la media regolamentare di dodici o quattordici miglia ogni ventiquattr'ore. Benché il caldo fosse già intenso, 30 o 35 gradi all'ombra, il personale lo sopportava bene. Di giorno si trovavano ancora gruppi d'alberi, ai piedi dei quali si poteva piantare il campo in condizioni tollerabili; l'acqua non mancava, per quanto i rigagnoli fossero ridotti quasi a secco. Le fermate, effettuate regolarmente dalle nove alle quattro del pomeriggio, compensavano abbastanza uomini ed animali della fatica del camminare.

La regione era disabitata; gli ultimi «runs» erano stati lasciati indietro; non più «paddoks», non più recinti, non più quei montoni numerosi che non avrebbero trovato sufficiente nutrimento nell'erba corta e disseccata. Si incontrarono appena pochi indigeni diretti alle stazioni dell'Overland-Telegraf-Line.

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Il 7 novembre, nel pomeriggio, Godfrey, che si era portato avanti un mezzo miglio, ritornò segnalando la presenza d'un uomo a cavallo. Questo cavaliere seguiva uno stretto sentiero ai piedi dei Mac-Donnell-Ranges, la cui base è formata di quarzo e di arenaria metamorfica. Avendo visto la carovana, spronò e ben presto la raggiunse, al galoppo.

Il personale si era accomodato sotto magri eucalipti, un gruppo di poche piante che davano a mala pena un po' d'ombra. Là correva sinuoso un rigagnolo alimentato dalle sorgenti racchiuse nella catena centrale e la cui acqua era stata quasi tutta bevuta dalle radici di quegli eucalipti.

Godfrey condusse l'uomo alla presenza di mistress Branican, che gli fece dare un gran bicchiere di whisky, ed egli si mostrò riconoscentissimo di quella fortuna.

Era un bianco australiano sui trentacinque anni circa, uno di quegli eccellenti cavalieri avvezzi alla pioggia che scivola sulla pelle lucente come sopra una pelle incerata, avvezzi al sole che non ha più nulla da cuocere sulla loro faccia riarsa. Faceva il corriere adempiendo il suo incarico con zelo e buon umore: percorreva i distretti della provincia, distribuendo le lettere, portando le notizie di stazione in stazione, e anche nei villaggi disseminati all'est ed all'ovest della linea telegrafica. Tornava allora da Emu-Spring, posto della balza meridionale dei Bluff-Ranges, dopo avere attraversato la regione che si stende fino al massiccio dei Mac-Donnell.

Questo corriere, appartenente alla classe dei «rughmen», poteva essere paragonato al tipo bonario degli antichi postiglioni italiani; sapeva sopportare la fame e la sete, certo di essere cordialmente accolto dovunque facesse sosta, anche quando non aveva nessuna lettera da consegnare. Risoluto, coraggioso, robusto, con la rivoltella alla cintura, lo schioppo a tracolla, con una cavalcatura rapida e forte fra le gambe, egli andava in giro giorno e notte senza temere cattivi incontri.

Mistress Branican ebbe piacere a farlo discorrere, chiedendogli notizie della tribù aborigena con la quale si era trovato in rapporto.

Quel bravo corriere rispose cortesemente e con semplicità. Aveva sentito parlare, come tutti del resto, della catastrofe del Franklin, ma

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ignorava che una spedizione preparata dalla moglie di John Branican avesse lasciato Adelaide per esplorare le regioni centrali del continente australiano.

Mistress Branican gli disse anche che le rivelazioni di Harry Felton avevano svelato che il capitano John era da quattordici anni nelle mani della tribù degli Indas.

— Durante le vostre corse — gli domandò anche — avete avuto mai relazioni con gli indigeni di quella tribù?

— No, mistress; sebbene questi Indas si siano talvolta avvicinati alla Terra Alexandra — rispose il corriere — e abbia spesso sentito parlare di loro.

— Sapreste forse dirci dove si trovano ora? — domandò Zach Fren.

— Coi nomadi è cosa difficile; una stagione sono qui, un'altra sono là…

— Ma ultimamente?… — insisté mistress Branican. — Ultimamente, mistress, cioè sei mesi fa, quella tribù era nel

nordovest dell'Australia orientale, verso il fiume Fitz-Roy. Sono i territori che frequentano volentieri i popoli della Terra di Tasman. Ma per mille diavoli! sapete che per giungere in quella zona bisogna attraversare i deserti del centro e dell'ovest, e non c'è bisogno che vi dica che cosa si rischia… Ma del resto, col coraggio si fa strada. Fatene provvista, e buon viaggio, mistress Branican!

Il corriere accettò ancora una ciotola di whisky, e anche qualche scatola di conserva che infilò nelle tasche della sella. Poi, risalendo a cavallo, sparì dietro l'ultima punta dei Mac-Donnell-Ranges.

Due giorni dopo la carovana oltrepassava gli ultimi contrafforti della catena che domina la cima del monte Liebig. Era arrivata finalmente al limite del deserto, a centotrenta miglia al nord-ovest dalla stazione di Alice-Spring.

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CAPITOLO IX

GIORNALE DI MISTRESS BRANICAN

LA PAROLA deserto richiama alla mente il Sahara con le sue immense pianure di sabbia, interrotte da fresche e verdeggianti oasi. Tuttavia le regioni centrali del continente australiano non hanno niente in comune con le regioni settentrionali dell'Africa, se non la scarsezza dell'acqua.

«L'acqua si è messa all'ombra», dicono gli indigeni, e il viaggiatore è costretto a vagare di pozzo in pozzo, per lo più a grandi distanze l'uno dall'altro. Sebbene la sabbia copra gran parte del suolo australiano, qualche volta stendendosi in strati e qualche volta sollevandosi in dune, quella terra non è assolutamente arida. S'incontrano ogni tanto arbusti e qualche albero di piante della gomma, acacie ed eucalipti: tutto questo rende il paesaggio un po' meno triste che non quello assolutamente spoglio del Sahara. Ma quegli alberi, quegli arbusti non forniscono alle carovane né frutta né foglie commestibili, e si è sempre obbligati a portarsi dietro i viveri in quelle solitudini ove è già molto che la vita animale sia rappresentata dal volo degli uccelli di passaggio.

Mistress Branican redigeva con regolarità ed esattezza il suo giornale di viaggio. Poche note di questo giornale possono far conoscere, più chiaramente che non un semplice racconto, gli incidenti di quel viaggio faticoso, e faranno anche capire meglio quanto valesse l'anima ardente di Dolly, quanta fosse la sua fermezza nei pericoli, la sua incrollabile tenacia nel non disperare anche quando la maggior parte dei suoi compagni disperavano intorno a lei. Si vedrà infine di che cosa una donna sia capace quando si consacra al compimento d'un dovere.

10 novembre. — Abbiamo lasciato il nostro attendamento del monte Liebig alle quattro del mattino. Il corriere ci ha fornito

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preziose informazioni che concordano con quelle del povero Felton. Bisogna cercare la tribù degli Indas a nord-ovest e in particolare dalla parte del fiume Fitz-Roy. Quasi ottocento miglia di viaggio. Le faremo; dovessi anche arrivare sola, arriverò a costo d'essere fatta prigioniera dalla tribù. Se non altro sarò prigioniera con John.

Risaliamo verso nord-ovest press'a poco sulla strada del colonnello Warburton. Il nostro itinerario si confonderà col suo fino al fiume Fitz-Roy. Possa il cielo risparmiarci le prove ch'egli ha dovuto subire: auguriamoci di non dover lasciare indietro qualcuno dei nostri compagni morto di fatica! Purtroppo, le circostanze sono anche meno favorevoli. Il colonnello Warburton lasciò Alice-Spring nel mese di aprile, che corrisponde al mese d'ottobre del nord dell'America, vale a dire verso la fine della stagione calda. La nostra carovana, al contrario, è partita da Alice-Spring alla fine di ottobre, e ora siamo in novembre, cioè al principio dell'estate australiana. Perciò il caldo è già eccessivo, trentacinque gradi centigradi all'ombra, quando vi è ombra, e noi non possiamo aspettarne se non da una nuvola che passi sul suolo, o da un riparo che ci offre un gruppo d'alberi.

L'ordine adottato da Tom Marix è molto pratico. Il ritmo delle tappe è ben distribuito. Fra le quattro e le otto del mattino, prima tappa; poi fermata fino alle quattro di sera. Seconda tappa dalle quattro di sera alle otto, e tutta la notte riposo. Si evita così di camminare durante le ore più calde. Ma quanto tempo perduto! quanti ritardi! Ammettendo che non sopravvenga alcun ostacolo, è molto se saremo fra tre mesi sulle rive del fiume Fitz-Roy.

Sono soddisfattissima dei servizi di Tom Marix; Zach Fren e lui sono uomini risoluti, sui quali capisco di poter contare in qualunque situazione.

Godfrey mi spaventa per la sua indole appassionata. È sempre innanzi a tutti, e spesso lo perdiamo di vista. Stento a trattenerlo vicino a me: eppure questo ragazzo mi ama come se fosse mio figlio. Tom Marix gli ha rimproverato la sua temerarietà; spero che ne terrà conto.

Len Burker, quasi sempre dietro la carovana, sembra più propenso a legare con i negri della scorta che non con i bianchi. Conosce da un

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pezzo i loro gusti, i loro istinti, le loro abitudini. Quando incontriamo degli indigeni, egli ci è molto utile, giacché

parla la loro lingua abbastanza per farsi intendere. Magari il marito della mia povera Jane si fosse davvero ravveduto, ma temo che non sia così. Il suo sguardo non è cambiato: è sempre quello sguardo senza franchezza, che sfugge.

13 novembre. — Niente di nuovo in questi tre giorni. Che sollievo e che consolazione provo, vedendo Jane vicino a me! Quante chiacchiere facciamo nella «kibitka», dove stiamo tutt'e due! Ho comunicato la mia certissima convinzione di ritrovare John, ma la povera donna è sempre triste. Non l'interrogo più sul suo passato, dal giorno che Len Burker l'ha costretta a seguirlo in Australia. Capisco che per qualche motivo non può confidarsi interamente. Qualche volta mi sembra che stia per dir qualche cosa… Si direbbe che Len Burker la sorvegli, perché quando lo vede avvicinarsi, subito i suoi modi cambiano e la sua faccia si altera; è chiaro che ne ha paura. In ogni caso quell'uomo la domina e a un suo cenno lei certo lo accompagnerebbe in capo al mondo.

Jane sembra voler bene a Godfrey, eppure se questo caro ragazzo si avvicina alla nostra «kibitka» per parlare, non osa rivolgergli la parola e nemmeno rispondergli… Volge lo sguardo altrove e abbassa la testa. Si direbbe che soffra della sua presenza.

Oggi dobbiamo attraversare una lunga pianura acquitrinosa. Durante la tappa del mattino abbiamo incontrato molte pozze d'acqua salmastra, quasi salata. Tom Marix dice che questi acquitrini sono resti di antichi laghi che si congiungevano un tempo al lago Eyre e al lago Torrens per formare un mare che divideva il continente. Per fortuna, nella nostra fermata di ieri, abbiamo potuto fare una provvista d'acqua, e i cammelli sono dissetati bene.

Incontriamo parecchie lagune, non solo nelle parti depresse del terreno, ma anche in regioni più elevate.

Il terreno è umido e il piede delle cavalcature si stampa in una mota vischiosa dopo aver schiacciato lo strato salino che copre le pozze. Qualche volta la crosta resiste meglio alla pressione, e quando la zampa vi si conficca bruscamente, schizzano spruzzi di fango liquido.

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Facciamo una gran fatica ad attraversare questi acquitrini, che si estendono per dieci miglia verso nord-est.

Dopo la nostra partenza da Adelaide, abbiamo già incontrato alcuni serpenti. Sono sparsi un po' dovunque in Australia, e in maggior numero alla superficie di queste lagune, seminate di arbusti e arboscelli. Uno dei nostri uomini della scorta è stato anzi morsicato da un rettile velenoso lungo tre piedi, di color bruno e il cui nome scientifico mi hanno detto essere il Trimesurus ikaheca. Tom Marix ha subito cauterizzato la ferita con un pizzico di polvere che ha messo sul braccio del ferito e che ha poi acceso. L'uomo, un bianco, non ha nemmeno mandato un grido. Io gli tenevo il braccio durante l'operazione, e lui mi ha ringraziato; gli ho fatto dare un supplemento di whisky e abbiamo ragione di credere che la ferita non avrà conseguenze letali.

Bisogna badar bene a dove si mette il piede. Anche stando sopra il cammello, non si è al sicuro da quei serpenti. Temo sempre che Godfrey commetta qualche imprudenza, e tremo quando sento i negri gridare: «Vin'dohe!» parola che vuol dire serpente nella lingua indigena.

Una sera, al momento in cui si preparavano le tende per la notte, due dei nostri indigeni hanno ucciso un rettile molto grosso. Tom Marix dice che i due terzi dei serpenti che formicolano in Australia sono velenosi, però solo il veleno di cinque specie è pericoloso per l'uomo. Il serpente che hanno ucciso oggi, lungo dodici piedi, è una specie di boa. I nostri australiani hanno voluto cucinarlo per cena, e abbiamo dovuto lasciarli fare.

Ecco come fanno: Scavata una buca nella sabbia, un indigeno ci mette delle pietre,

scaldate prima su un braciere e sulle quali vengono stese foglie odorose. Il serpente, a cui vengono recise coda e testa, vien posto in fondo alla buca e coperto delle medesime foglie e di pietre calde. Poi si copre il tutto con uno strato di terra abbastanza alto perché il vapore della cottura non possa esalare.

Noi assistiamo a questa operazione culinaria non senza un po' di ripugnanza, ma quando il serpente, sufficientemente cotto, viene levato da quel forno improvvisato, bisogna convenire che la sua

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carne esala un odorino delizioso. Jane e io non ne abbiamo voluto assaggiare, ma Tom Marix assicura che la carne bianchiccia di quei rettili è piuttosto insipida, mentre il loro fegato è considerato un cibo saporitissimo.

«Si può paragonarlo» dice lui «alla selvaggina più squisita e specialmente alla gallinella.»

«Gallinella!… Bene!… oh!… benissimo! deliziosa la gallinella!» esclama Jos Meritt; e si fa servire un piccolo pezzo di fegato, poi ne chiede un pezzo più grosso e finisce col mangiarselo tutto. Che volete? è la disinvoltura britannica.

Quanto a Gin-Ghi non si fa pregare. Una bella fetta fumante di carne di serpente l'ha messo proprio di buon umore.

«Ai ya!» ha esclamato con un sospiro di rimpianto. «Se ci fosse qui qualche ostrica di Ning-Po e una fiala di vino di Tao-Ching parrebbe di essere al Tié-Cung-Yuan!»

E Gin-Ghi volle insegnarmi che cosa è il famoso spaccio di té dell’Arco di ferro a Pechino.

Godfrey e Zach Fren, superando la loro ripugnanza, mangiarono qualche pezzo di serpente. Per loro è abbastanza buono; io preferisco credere sulla, parola.

Il rettile vien divorato fino all'ultimo boccone dagli indigeni della scorta, che non trascurano neppure il poco grasso perduto dall'animale nella cottura.

Durante la notte il nostro sonno è stato turbato da urli sinistri che si sono fatti udire in distanza; era una frotta di dingos. Il dingo potrebbe essere chiamato lo sciacallo dell'Australia, giacché sta a mezzo fra il cane e il lupo; ha una pelliccia giallastra o di un rosso bruno e una lunga coda molto pelosa. Fortunatamente queste bestie si accontentano di urlare e non attaccano il nostro attendamento. Se fossero state in gran numero ci avrebbero fatto paura.

19 novembre. — Il caldo è accasciante, e i rigagnoli che incontriamo sono quasi asciutti. È necessario scavarne il letto se si vuole attingere un po' di quell'acqua di cui empiamo i bariletti. Fra poco non potremo più fare assegnamento che sui pozzi. I creek saranno scomparsi.

Devo riconoscere che c'è un'antipatia veramente inesplicabile,

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direi anzi istintiva, fra Len Burker e Godfrey. Non si rivolgono mai la parola e, appena possono, si evitano.

Ne ho parlato un giorno con Godfrey. «Non vuoi bene a Len Burker?» «No mistress» mi rispose «e non mi chiedete di volergliene.» «Ma egli è imparentato con la mia famiglia» ho risposto «e dal

momento che tu vuoi bene a me…» «Mistress Dolly, io voglio bene a voi, ma non ne vorrò mai a lui!» Caro Godfrey, qual è dunque il presentimento, la ragione segreta

che lo fa parlare così? 27 novembre. — Oggi si stendono davanti ai nostri occhi larghi

spazi, immense steppe monotone, coperte di cespugli spinosi giustamente chiamati «erba porcospino». Bisogna passare fra ciuffi che si alzano talvolta fino a cinque piedi da terra e le cui punte acutissime minacciano di ferire le nostre cavalcature. I germogli di quei cespugli hanno ormai quella tinta particolare che basta a indicare che non sono adatti come biada per gli animali. Quando questi germogli sono ancora gialli o verdi, i cammelli non rifiutano di mangiarli, ma in questa stagione li rifiutano e badano solo di non scontrarli passando.

In queste condizioni, il cammino diviene molto penoso e bisognerà pensare a qualche rimedio, perché avremo centinaia di miglia da percorrere in mezzo a questi cespugli. È l'arbusto del deserto, il solo che possa vegetare sugli aridi territori del centro dell'Australia.

Il calore cresce di continuo, l'ombra manca sempre. I componenti la carovana che non dispongono di cavalcature soffrono terribilmente di questo caldo torrido. E chi crederebbe che solo cinque mesi prima, come ha notato il colonnello Warburton, il termometro è sceso talvolta fin sotto zero, e che i creeks sono stati imprigionati da uno strato di ghiaccio grosso un pollice?

Col freddo i creeks si moltiplicano, ma ora, scavando a qualsiasi profondità il loro letto, non si troverebbe una sola goccia d'acqua.

Tom Marix ha dato ordine agli uomini della scorta a cavallo di cedere ogni tanto le loro cavalcature a quelli che vanno a piedi. Quest'ordine è stato impartito per dare soddisfazione ai reclami dei

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negri. Vedo con dispiacere che Len Burker si è messo dalla loro parte in questa circostanza. Certamente quegli uomini sono da compiangere; andarsene a piedi nudi in mezzo ai ciuffi di spinifere, con una temperatura insopportabile sia la sera sia il mattino, è cosa penosissima, ma non toccava a Len Burker eccitare la loro rabbia contro il drappello dei bianchi. Egli s'immischia in cose che non lo riguardano, e io lo prego di badare a quel che fa.

«Quello che faccio, Dolly, è nell'interesse comune.» «Voglio sperarlo», ho risposto. «Bisogna non aggravare gli uni più degli altri.» «Lasciate a me questa cura, signor Burker», disse Tom Marix

intervenendo nella conversazione. «Piglierò io le precauzioni necessarie.»

Mi accorgo che Len Burker se ne va indispettito, e dandoci un'occhiata cattiva. Jane se n'è accorta anch'essa al momento in cui gli occhi di suo marito si sono fissati su di lei, e la povera donna ha voltato il capo.

Tom Marix mi promette di fare tutto quanto starà in lui perché gli uomini della scorta, bianchi e negri, non abbiano a lamentarsi per alcuna ragione.

5 dicembre. — Durante le nostre fermate abbiamo patito molto per le formiche bianche. Questi insetti ci assalgono a miriadi. Invisibili sotto la sabbia fina, basta la pressione del piede perché compaiano alla superficie.

«Io ho la pelle dura e coriacea» mi disse Zach Fren «una vera pelle di pescecane; eppure quelle maledette bestie banchettano.»

La verità è che neanche il cuoio degli animali è abbastanza coriaceo per resistere al morso delle loro mandibole. Non possiamo sdraiarci per terra senza esserne coperti.

Per sfuggire a questi insetti, non ci sarebbe altro rimedio che esporci ai raggi del sole, perché essi non possono sopportarne l'ardore, ma sarebbe passare dalla padella nella brace.

Il cinese è fra noi quello che sembra meno maltrattato da queste formiche. Forse è troppo pigro perché quegli importuni morsi sveglino la sua indolenza? Non lo so, ma mentre noi cambiamo posto, irritati, il privilegiato Gin-Ghi, standosene all'ombra di una

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macchia di spinifere, se ne rimane immobile e dorme pacificamente, come se le malefiche bestiole rispettassero la sua pelle gialla.

Jos Meritt si mostra paziente quanto lui. Benché il suo lungo corpo offra agli assalitori un vasto campo da divorare, egli non si lagna. Con movimenti automatici e regolari, le sue braccia si alzano, ricadono e schiacciano migliaia di formiche, mentre egli si accontenta di dire, guardando il suo servitore incolume da ogni morsicatura:

«Quei cinesi sono creature veramente privilegiate dalla natura. Gin-Ghi?…»

«Padrone Jos.» «Bisognerà che barattiamo pelle.» «Volentieri» risponde il cinese «se al medesimo tempo cambiamo

condizione.» «Bene!… oh!… benissimo!… Ma per fare questo cambiamento di

pelle bisognerà prima scorticare uno di noi due, e si incomincerà da voi.»

«Parleremo di questo affare alla terza luna» risponde Gin-Ghi. Ed egli si riaddormenta fino alla quinta veglia, per usare il suo

poetico linguaggio, cioè fino al momento in cui la carovana si rimette in cammino.

10 dicembre. — Questo supplizio cessa soltanto alla partenza, al segnale dato da Tom Marix. Per fortuna queste formiche non riescono ad arrampicarsi sulle gambe dei cammelli. Gli uomini a piedi, invece, non sono mai del tutto liberi dagli insopportabili insetti.

Inoltre, durante la marcia, siamo attaccati da altri nemici non meno spiacevoli. Le zanzare che sono veramente uno dei flagelli più temuti dell'Australia. Sotto il loro aculeo, specialmente al tempo delle piogge, le bestie dimagriscono, deperiscono e muoiono, come colpite da epidemia, senza che si possa far nulla per salvarle.

Eppure, che cosa non avremmo dato per essere allora nella stagione delle piogge! Il flagello delle formiche e delle zanzare, in effetti, è niente al paragone della tortura della sete provocata dal caldo del mese di dicembre australiano. La mancanza d'acqua finisce col distruggere tutte le facoltà intellettuali e tutte le forze fisiche: le

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nostre provviste si consumano, i nostri barili sono quasi vuoti. Dopo essere stati riempiti all'ultimo creek, il poco liquido che conserviamo è caldo, denso, torbido per le scosse e non riesce più a spegnere la sete. La nostra condizione sarà fra poco uguale a quella dei fuochisti arabi a bordo degli steamer che attraversano il Mar Rosso. I disgraziati crollano ansimanti davanti al fuoco delle loro caldaie.

Non meno allarmante è il fatto che i nostri cammelli cominciano a trascinarsi invece di conservare il passo svelto che è loro proprio. Tendono il collo verso l'orizzonte della larga pianura rasa, senza alcuna ondulazione di terreno. Sempre la stessa steppa coperta dalle aride spinifere, che affonda nella sabbia con profonde radici. Non un albero in vista, non un indizio che possa far supporre la presenza di un pozzo o di una sorgente.

16 dicembre. — In due tappe la nostra carovana non ha fatto neanche nove miglia. Oggi e da molti giorni ho notato che la nostra media di cammino è diminuita di molto. I nostri animali, per quanto robusti, procedono con passo languido, specialmente quelli che trasportano il materiale.

Tom Marix va in collera quando vede i suoi uomini arrestarsi bruscamente, prima che egli abbia dato il segnale della fermata. Si avvicina ai cammelli da basto e li picchia con lo scudiscio, ma le percosse hanno ben poco effetto sul cuoio di quei rudi animali.

E Jos Meritt, con quella flemma che non l'abbandona mai dice: «Bene!… Oh!… benissimo!… signor Marix; ma vi do un buon consiglio, non sul cammello bisogna picchiare, bensì sul suo conduttore».

Credo che a Tom Marix non sarebbe dispiaciuto conformarsi a quel consiglio, se non fossi intervenuta per trattenerlo. Dobbiamo aver la prudenza di non aggiungere i maltrattamenti alle fatiche dei nostri uomini; alcuni finirebbero col disertare, e io temo che questo possa accadere, specialmente se ne viene l'idea ai negri della scorta, benché Tom Marix non cessi di rassicurarmi a tale riguardo.

Dal 17 al 27 dicembre. — Il viaggio prosegue in queste condizioni. Nei primi giorni della settimana il tempo è cambiato; il vento soffia più forte, poche nuvole di forma arrotondata sono salite dal nord: sembrano grosse bombe che una scintilla possa far

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scoppiare. Oggi, 23, la scintilla è spiccata, un lampo ha solcato lo spazio, la

folgore stridente si è udita con uno scoppio intenso, ma non seguito da quei brontolii prolungati che gli echi ripetono nei paesi montuosi. Nello stesso tempo le correnti atmosferiche si sono scatenate con forza tale che non abbiamo potuto restare sulle nostre bestie. È stato necessario scendere e buttarsi a terra. Zach Fren, Godfrey, Tom Marix e Len Burker hanno stentato molto a difendere la nostra «kibitka» dalle raffiche impetuose. Quanto a ripararsi da simili assalti ed a rizzare le nostre tende fra i ciuffi di spinifere non era neanche il caso di pensarlo. In un attimo tutto il materiale sarebbe stato disperso, lacerato e perduto.

«Non è nulla» disse Zach Fren «un uragano è presto passato.» «Viva l'uragano, se ci porta dell'acqua», esclama Godfrey. «Godfrey ha ragione. Acqua, acqua! questo è il nostro grido. Ma

pioverà poi?» Il punto è proprio questo, perché una pioggia abbondante sarebbe

per noi la manna del deserto. Disgraziatamente l'aria è così asciutta – e lo si intuisce dalla singolare brevità degli scoppi di tuono — che l'acqua delle nuvole potrebbe rimanere allo stato di vapore e non risolversi in pioggia. Eppure sarebbe stato difficile immaginare un uragano più violento e un rincorrersi più assordante di tuoni e di lampi.

Potei constatare allora ciò che mi è stato detto della attitudine degli aborigeni australiani in presenza di queste meteore. Essi non temono di essere colpiti dalla folgore, non chiudono nemmeno gli occhi dinanzi ai baleni, e non fremono agli scoppi del tuono. I negri della nostra scorta mandavano anzi esclamazioni di gioia. Essi non subiscono in nessun modo quell'impressione fisica che prova ogni altra creatura vivente quando lo spazio è carico di elettricità, nel momento in cui il fluido si manifesta con lo strappo delle nuvole nelle alture del cielo in fiamme.

In quegli esseri primitivi certamente l'apparato nervoso deve essere poco sensibile. Ma chi sa, forse salutano nell'uragano la pioggia che può promettere? In verità, questa attesa è il supplizio di Tantalo.

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«Mistress Dolly, mistress Dolly» mi diceva Godfrey «eppure è acqua, acqua pura e buona quella sospesa sul nostro capo! I lampi rompono le nuvole e niente viene giù!»

«Un poco di pazienza, ragazzo mio, non disperiamo.» «Le nuvole si fanno più dense e si abbassano», dice Zach Fren;

«se il vento potesse calmarsi, tutto questo frastuono finirebbe in un diluvio.»

Ma c'era da temere che l'uragano spingesse quel cumulo di vapori verso il sud, senza lasciare a noi neanche una goccia d'acqua.

Verso le tre del pomeriggio, pare che l'orizzonte dal nord cominci a sgombrarsi e che l'uragano voglia calmarsi. Sarà una delusione crudele!

«Bene!… Oh!… Benissimo!…» Jos Meritt ha lanciato la sua solita esclamazione, che però non fu

mai tanto giustificata. Il nostro inglese, sporgendo la mano, ha notato che si è bagnata di qualche gocciolone. Il diluvio non si fa aspettare. Ci ripariamo sotto le nostre coperture impermeabili, poi, senza perdere un minuto, tutti i recipienti che formano il nostro materiale sono disposti a terra per ricevere quell'acquazzone benefico.

Tendiamo perfino panni, tele, coperte, perché si inzuppino d'acqua; in seguito, spremuti, serviranno a dissetare gli animali.

Intanto i cammelli possono quetare la sete che li tortura. Si sono formate rapidamente pozze e ruscelli fra i ciuffi di spinifere. La pianura minaccia di trasformarsi in un ampio acquitrino; c'è acqua per tutti. Fin dal principio ci eravamo rallegrati di quella sorgente che la terra disseccata avrebbe assorbito come una spugna, e di cui il sole riapparso all'orizzonte non tardava ad evaporare l'ultima goccia.

Infine, era la nostra provvista d'acqua assicurata per molti giorni, e la possibilità di riprendere le nostre tappe quotidiane con un personale rianimato nel corpo e nello spirito, e con animali rimessi in forza.

I barili sono pieni fino all'orlo. Tutto ciò che non perde il liquido è stato adoperato come recipiente mentre i cammelli non hanno trascurato di empirsi la tasca interna di cui la natura li ha forniti, e dalla quale possono attingere per un certo tempo. Questa tasca interna contiene circa sessantasette litri.

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Disgraziatamente gli uragani nel continente australiano sono rari, almeno in quel tempo dell'anno in cui il calore estivo è in tutta la sua forza. Quello appena capitato era dunque un evento favorevole, ma sul quale sarebbe stato imprudente fare assegnamento per l'avvenire. L'uragano è durato tre ore appena, e il letto ardente dei creeks avrà ben presto assorbito ciò che gli è stato versato dal cielo. I pozzi, è vero, ne approfitteranno in più larga misura, e dobbiamo rallegrarcene se questo uragano non è stato locale. Speriamo che abbia rinfrescato qualche centinaio di miglia della pianura australiana.

29 dicembre. — In queste condizioni, quasi seguendo l'itinerario del colonnello Warburton, siamo giunti senza nuovi incidenti a centoquaranta miglia dal monte Liebig. La nostra spedizione tocca il centoventiseiesimo grado di longitudine che Tom Marix e Godfrey hanno rilevato sulla carta. Abbiamo superato il limite convenzionale stabilito con un tratto rettilineo da sud a nord fra le province vicine a quella vasta estensione di continente che porta il nome di Australia occidentale.

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CAPITOLO X

CONTINUA IL GIORNALE

WATERLOO-SPRING non è una borgata, non è nemmeno un villaggio. Poche capanne d'indigeni attualmente abbandonate, e nient'altro. I nomadi vi fanno tappa solo al tempo in cui la stagione delle piogge alimenta i corsi d'acqua di questa regione, il che permette loro di fermarsi per un certo tempo. Waterloo non giustifica in nessun modo l'aggiunta della parola Spring, del resto comune a tutte le stazioni del deserto. Nessuna sorgente esce dal suolo, e, come fu detto, se nel Sahara si incontrano fresche oasi riparate d'alberi, bagnate d'acque correnti, inutilmente si cercherebbe altrettanto nel deserto australiano.

Questa è l'osservazione che si legge nel giornale di mistress Branican, di cui riproduciamo ancora qualche frammento. Meglio della descrizione più esatta, questi brani serviranno a far conoscere il paese, a mostrare in tutto il loro orrore gli stenti degli intrepidi che osano avventurarvisi. Permetteranno anche di apprezzare la forza morale e l'indomabile energia di chi lo scrive, nonché la sua risoluzione ferma di arrivare allo scopo a prezzo di qualsiasi sacrificio.

30 dicembre. — Bisogna fermarsi quarantotto ore a Waterloo-Spring. Questi ritardi mi addolorano quando penso alla distanza che ci separa ancora dalla vallata in cui scorre il Fitz-Roy. E se poi si rendesse necessario cercare al di là di quella valle la tribù degli Indas? Dal giorno in cui Harry Felton l'ha lasciato, quale è stata l'esistenza del mio povero John? gli indigeni non si saranno vendicati sopra di lui della fuga del suo compagno? Non bisogna che ci pensi, perché questo pensiero mi ucciderebbe. Zach Fren cerca di rassicurarmi.

«Se per tanti anni il capitano John e Harry Felton sono stati

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prigionieri di quegli Indas» egli mi dice «è segno che essi avevano qualche interesse a mantenerli in vita. Harry Felton ve l'ha già fatto intendere, mistress; quegli indigeni hanno riconosciuto nel capitano un capo bianco di gran valore, e aspettano sempre l'occasione di restituirlo mediante un riscatto proporzionato. A parer mio, la fuga del suo compagno non deve aver peggiorato la condizione del capitano John.»

Dio voglia che sia così! 31 dicembre. — Oggi si è compiuto l'anno 1890. Sono quindici

anni da quando il Franklin salpò dal porto di San Diego. Quindici anni! e da quattro mesi e cinque giorni soltanto la nostra carovana ha lasciato Adelaide. Quest'anno che incomincia per noi nel deserto, come finirà?

1° gennaio. — I .miei compagni non hanno voluto lasciar passare questo giorno senza farmi i loro auguri di capo d'anno. La mia cara Jane mi ha abbracciata con viva commozione ed io l'ho tenuta a lungo fra le mie braccia. Zach Fren e Tom Marix hanno voluto stringermi la mano; io so d'avere in loro due amici devoti fino alla morte. Tutti i nostri uomini mi hanno circondata rivolgendomi le loro felicitazioni affettuose. Dico tutti, ma devo fare eccezione per i negri della scorta, il cui malcontento si manifesta ad ogni occasione. È chiaro che Tom Marix dura fatica a tenerli calmi.

Len Burker mi ha parlato con la sua solita freddezza, assicurandomi del successo della nostra impresa. Egli non dubita che si giunga alla meta. Si chiede però se quella che facciamo sia veramente la buona strada verso il fiume Fitz-Roy. Gli Indas,. a parer suo, sono nomadi che si incontrano più spesso nelle regioni vicine al Queensland, cioè all'est del continente. È vero, aggiunge Burker, che noi andiamo verso il luogo dove Harry Felton ha lasciato il suo capitano… ma chi può assicurare che gli Indas non abbiano cambiato posto… Tutto questo è detto con accento che non può ispirare fiducia; con quel tono che certuni prendono quando parlano senza guardarvi.

Quello che mi ha più vivamente commossa è stato il pensiero di Godfrey. Egli ha fatto un mazzo di quei fuscellini selvatici che crescono fra i ciuffi di spinifere e me l'ha offerto con tanta buona

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grazia, dicendomi cose tanto tenere, che mi sono salite le lacrime agli occhi. Come ho abbracciato il mio Godfrey… e come i suoi baci rispondevano ai miei! Mi ritorna il pensiero che il mio piccolo Wat avrebbe la sua età… che sarebbe buono come lui…

Jane era presente… era così commossa, è diventata così pallida dinanzi a Godfrey… ho creduto che si sentisse male, ma ha potuto rimettersi e suo marito l'ha condotta via… Io non ho osato trattenerla.

Abbiamo ripreso la strada lo stesso giorno, alle quattro di sera, con il tempo rannuvolato. Il caldo era un po' più sopportabile. I cammelli da sella e da basto, sufficientemente riposati dalle loro fatiche, hanno camminato con passo più svelto, tanto che è stato necessario frenarli perché i pedoni potessero seguirli.

15 gennaio. — Per alcuni giorni abbiamo conservato quest'andatura abbastanza rapida. Abbiamo avuto ancora due o tre volte piogge abbondanti; non abbiamo sofferto la sete, e la nostra provvista è stata rifatta. La faccenda dell'acqua è la più grave di tutte, ed anche la più spaventosa quando si tratta d'un viaggio in mezzo a questi deserti. Essa esige una costante preoccupazione. Infatti, i pozzi sembrano rari nell'itinerario che noi seguiamo. Il colonnello Warburton ha dovuto accorgersene nel suo viaggio che finì alla costa est della Terra di Tasman.

Oramai viviamo unicamente delle nostre provviste, perché non si può fare alcun assegnamento sulla caccia; in queste solitudini non abita alcun tipo di selvaggina. A mala pena si scorge qualche stormo di piccioni che non si possono avvicinare; essi riposano nei ciuffi di spinifere dopo lunghi voli, quando le loro ali non hanno più la forza di reggerli. Ma la nostra alimentazione è assicurata per parecchi mesi e da questo lato sono tranquilla. Zach Fren veglia scrupolosamente che siano distribuiti metodicamente e regolarmente conserve, farina, té e caffè. Anche noi ci siamo assoggettati alla sorte comune senza fare eccezione per nessuno. I negri della scorta non possono dire che siamo trattati meglio di loro.

Qua e là volteggiano alcuni passeri smarriti in queste regioni, ma non vale la pena di affaticarsi per catturarli.

Le formiche bianche, a miriadi, rendono sempre penosissime le nostre ore di fermata. Ma ci sono meno zanzare, perché la regione è

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troppo asciutta. «Le ritroveremo nei luoghi umidi» mi fa osservare Tom Marix.

Ebbene, meglio sopportare le loro punture. L'acqua vale bene questo prezzo.

Siamo arrivati a Mary-Spring, a novanta miglia da Waterloo, il 23 gennaio.

Un gruppo di magri alberi sorge in questo luogo, sono eucalipti che hanno bevuto tutto il liquido del terreno, eppure sono intisichiti.

«Le loro foglie pendono come lingue arse dalla sete» disse Godfrey.

Il paragone è esatto. Io osservo che questo giovinetto ardente e risoluto non ha perduto l'allegria propria della sua età. La sua salute non è alterata come potevo temere, essendo egli nell'epoca in cui dal bambino si sviluppa in pieno l'adolescente. Quella incredibile rassomiglianza mi turba sempre… Egli ha lo stesso sguardo quando i suoi occhi si fissano su di me… Ha le stesse intonazioni di voce quando mi parla… ed ha una maniera di dire le cose… di esprimere i suoi pensieri, che ricorda il mio povero John!

Un giorno ho voluto accennare a Len Burker questa particolarità. «Ma no, Dolly» mi ha risposto «è una vera illusione da parte

vostra; a me non sembra che somigli affatto. Questa somiglianza esiste solo nella vostra immaginazione. Ma, del resto, poco importa che somigli o no; e se è per questo motivo che v'interessate al ragazzo…»

«No, Len» gli ho risposto «io sento una viva affezione per Godfrey solo perché l'ho visto appassionarsi a tutto ciò che forma lo scopo della mia vita, ritrovare e salvare John. Mi ha supplicato di condurlo con me ed io ho acconsentito. E poi è uno dei miei figli di San Diego, una di quelle creature senza famiglia che sono stati allevati a Wat-House. Godfrey è come un fratello del mio piccolo Wat.»

«Lo so, lo so, Dolly» ha replicato Len Burker «fino a un certo punto vi comprendo… voglia il Cielo che non abbiate a pentirvi d'un atto in cui la vostra sensibilità ha più parte della ragione.»

«Non mi piace sentirvi parlare così, Len Burker» ho risposto vivacemente. «Queste osservazioni mi offendono. Che cosa potete

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rimproverare a Godfrey?» «Oh! niente per adesso… ma non vorrei che più tardi potesse

abusare della vostra affezione. Un trovatello non si sa mai da dove venga e che sangue gli scorra nelle vene.»

«Sangue di brava gente, ve l'assicuro!» ho esclamato. «A bordo del Brisbane era amato da tutti, dai suoi capi e dai compagni; e il capitano mi ha detto che Godfrey non aveva mai avuto un rimprovero. Zach Fren, che se ne intende, lo apprezza quanto me. Ma voi, Len Burker, perché non volete bene a quel ragazzo?»

«Io? Gli voglio bene e non gli voglio bene… mi è indifferente, ecco. Quanto alla mia amicizia, non la do così al primo venuto. Io penso a John, a strapparlo agli indigeni.»

Se Len Burker ha voluto darmi una lezione, si è sbagliato. Non dimentico mio marito per questo ragazzo, e sono contenta di pensare che Godfrey avrà unito i suoi sforzi ai miei. Sono certa che John approverà quel che ho fatto e intendo fare per l'avvenire di questo giovinetto.

Quando ho riferito questa conversazione a Jane, la povera donna ha chinato il capo e non ha risposto. In avvenire non insisterò. Jane non vuole, non può dar torto a suo marito. Comprendo la sua riservatezza perché è un suo dovere.

29 gennaio. — Siamo arrivati sull'orlo di un laghetto, che Tom Marix crede essere il White-Lake. Esso giustificherebbe il nome di lago bianco, giacché al posto dell'acqua, che si è evaporata, occupa il fondo del suo bacino uno strato di sale. Deve essere ancora un resto di quel mare interno che una volta separava l'Australia in due grandi isole.

Zach Fren ha rinnovato la provvista di sale, ma avremmo preferito trovar acqua da bere.

Nei dintorni c'è gran quantità di topi, più piccoli dei topi ordinari; bisogna difendersi contro i loro attacchi, perché sono animali così voraci che rodono tutto ciò che trovano.

I negri però hanno trovato che sono una selvaggina non disprezzabile; sono riusciti a catturare parecchie dozzine di questi topi, se li sono fatti cuocere e se li sono mangiati ghiottamente. Bisognerebbe che fossimo ben a corto di viveri per rassegnarci a un

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cibo così ripugnante. Dio voglia che non siamo mai ridotti a quest'estremo.

Eccoci oramai al limite del deserto, conosciuto col nome di Great-SandyjDesert.

Nel corso delle ultime venti miglia il terreno si è gradatamente modificato. I ciuffi di spinifere sono meno fitti, e il verde già scarso tende a scomparire del tutto.

Il terreno è dunque così arido da non bastare nemmeno per quella vegetazione così poco esigente? Chi non lo crederebbe vedendo l'immensa pianura ondulata di monticelli di sabbia rossa senza tracce di un letto di creek? Ciò fa supporre che in questi territori divorati dal sole non piova mai, nemmeno nella stagione invernale.

Dinanzi a questa aridità spaventosa non c'è neanche uno di noi che non si senta afflitto da tristi presentimenti. Tom Marix mi mostra sulla carta quelle solitudini desolate; è uno spazio lasciato in bianco, solcato solo dagli itinerari di Giles e Gibson.

A nord, quello del colonnello Warburton, indica chiaramente le incertezze delle sue mosse con le numerose giravolte in cerca di pozzi. Qui le sue genti ammalate, affamate, sono sfinite di forze. Là sono i suoi animali decimati, suo figlio morente: meglio non leggere il racconto del suo viaggio, se si vuole ricominciarlo dopo di lui.

Si sgomenterebbero anche i più coraggiosi, ma io l'ho letto e lo rileggo e non mi lascerò spaventare. Ciò che quell'esploratore ha sfidato per studiare le regioni ignote del continente australiano, io lo sfido per ritrovare John. È il solo scopo della mia vita e lo raggiungerò.

3 febbraio. — Da cinque giorni abbiamo dovuto ridurre ancora la media delle nostre tappe. È tanto di perduto sulla via da percorrere, ed è cosa spiacevole, perché la nostra carovana, impedita dalle irregolarità del terreno, è incapace di seguire la linea retta. Il suolo è tanto accidentato, che siamo obbligati a salire e scendere per chine talvolta ripidissime. In certi punti la regione è rotta da dune, che i cammelli sono costretti ad aggirare, poiché non possono valicarle. Ci sono anche colline sabbiose alte fino a cento piedi, separate da intervalli di sei o settecento. I pedoni affondano nella sabbia e il viaggio diventa sempre più faticoso.

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Il caldo è eccessivo, non si può immaginare quanto il sole sia cocente. Sono dardi di fuoco che ci trafiggono. Jane ed io a stento possiamo resistere al riparo della nostra «kibitka». Quanto devono soffrire i compagni, nelle tappe del mattino e della sera!

Lo stesso Zach Fren, che è robustissimo, è affranto dalla fatica, ma non si lamenta e non ha perduto niente del suo buon umore, quest'amico affezionato che ha fatto della sua esistenza una cosa sola con la mia.

Jos Meritt sopporta tutto con coraggio tranquillo, resiste alle privazioni con energia da invidiare. Gin-Ghi, meno paziente, si lamenta senza riuscire a commuovere il padrone. E quando si pensa che quell'originale si sottopone a simili torture per conquistare un cappello!

«Bene!… Oh!… Benissimo!…» risponde se gli si fa questa osservazione. «Ma che rarissimo cappello!…»

«Un vecchio berrettone da saltimbanco» mormora Zach Fren stringendosi nelle spalle.

«Un cencio!» risponde Gin-Ghi. Durante il giorno, fra le otto e le sedici, sarebbe impossibile fare

un passo; ci si accampa dove si può, e si rizzano due o tre tende soltanto. Gli uomini della scorta, bianchi e negri, si sdraiano all'ombra dei cammelli. Lo spaventoso è che l'acqua va di nuovo mancando… Che cosa sarà di noi se incontriamo pozzi asciutti? Tom Marix mi sembra inquietissimo, sebbene cerchi di nascondermi la sua ansietà. Ha torto. Farebbe meglio a dirmi tutto; io posso capire ogni cosa, ma non desisterò.

14 febbraio. — Sono passati undici giorni, nei quali abbiamo avuto soltanto due ore di pioggia; a mala pena abbiamo potuto riempire i nostri barili, ma almeno gli uomini hanno potuto dissetarsi e gli animali rifare la loro provvista d'acqua. Siamo arrivati a Emily-Spring, la cui sorgente è del tutto secca. I nostri animali sono sfiniti. Jos Meritt non sa più che mezzo adoperare per far andar avanti la sua cavalcatura. Però non la picchia, cerca di prenderla dal lato del sentimento. Lo sento che le dice:

«Vediamo, se devi penare, per lo meno non hai dispiaceri, povera bestia!»

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La povera bestia non sembra comprendere questa distinzione. Riprendiamo il cammino più inquieti che mai. Due animali sono

malati, si trascinano ed è evidente che non potranno continuare il viaggio. I viveri che portava un cammello da basto, hanno dovuto essere ammassati su un cammello da sella, tolto ad uno degli uomini della scorta.

Possiamo rallegrarci che il cammello maschio montato da Tom Marix abbia finora conservato tutta la sua vigoria. Senza di lui, gli altri, e specialmente le cammelle, si sbanderebbero, e più niente potrebbe trattenerle.

È necessario uccidere le povere bestie colpite dalla malattia. Lasciarle morire di fame o di sete dopo una lunga agonia, sarebbe più inumano che mettere fine d'un colpo alle loro miserie.

La carovana s'allontana e fa il giro d'una collina di sabbia. Si sentono due spari, Tom Marix torna a raggiungerci e il viaggio prosegue.

Ci preoccupa più di tutto la salute di due dei nostri. Essi si sono presi una tremenda febbre. Non risparmiamo loro il solfato di chinino, di cui la nostra farmacia è fornita in abbondanza. Ma sono divorati da una sete ardente. Non abbiamo più acqua e niente indica che nelle vicinanze esista qualche pozzo.

I malati sono sdraiati ciascuno sopra il dorso d'un cammello, che i compagni conducono a mano. Non possiamo certo abbandonare gli uomini come abbiamo abbandonati gli animali. È nostro dovere curarli, ma questa temperatura spietata li strugge a poco a poco.

Tom Marix, per quanto abituato alle sofferenze del deserto, e benché abbia messo molto spesso la propria esperienza a profitto per curare i suoi compagni della polizia provinciale, non sa più che cosa fare. Acqua, acqua! domandiamo alle nuvole, poiché la terra è incapace di darcene.

Quelli che resistono meglio alle fatiche e che senza troppo soffrire sopportano il caldo orrendo sono i negri della scorta.

Eppure, sebbene siano i meno abbattuti, ogni giorno cresce il loro malcontento. Invano Tom Marix tenta di calmarli. I più eccitati se ne stanno in disparte nelle ore di riposo, parlottano fra loro, e sembrano evidenti i sintomi d'una prossima rivolta.

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Nella giornata del 21 tutti, di comune accordo, hanno rifiutato di continuare il viaggio nella direzione del nord-ovest, dicendo che muoiono di sete. La situazione in effetti è fin troppo grave. Da dodici ore non c'è più una goccia d'acqua nei nostri barili. Siamo ridotti alle bevande alcooliche, il cui effetto è deplorevole, giacché danno alla testa.

Ho dovuto intervenire di persona fra quegli indigeni ostinati nella loro idea. Bisognava far loro intendere che fermarsi in tali circostanze non era il sistema migliore per metter fine alle loro sofferenze.

«E perciò» mi risponde uno di essi «vogliamo tornare indietro.» «Indietro? E fin dove?» «Fino a Mary-Spring.» «A Mary-Spring, lo sapete bene, non c'è più acqua.» «Se non c'è più acqua a Mary-Spring, ne troveremo un po' al

disopra, dalla parte del monte Wilson, in direzione di Sturt-creek.» Guardo Tom Marix. Egli va a prendere la carta speciale del Great-

Sandy-Desert, la consultiamo, e infatti a nord di Mary-Spring esiste un corso d'acqua abbastanza importante che forse non è del tutto disseccato. Ma come mai l'indigeno conosce l'esistenza di quel corso d'acqua? Lo interrogo. Egli prima esita, poi finisce col rispondere che ne ha parlato loro Burker. Anzi, la proposta di risalire verso lo Sturt-creek è partita da lui.

Sono contrariatissima dal fatto che Len Burker abbia avuto l'imprudenza – ma è poi solo imprudenza? – di istigare una parte della scorta a tornare nell'est. Ne risulterebbe non solo un grave ritardo, ma una deviazione del nostro itinerario, che ci allontanerebbe dal fiume Fitz-Roy.

Gliene parlo schiettamente. «Che cosa volete, Dolly» mi risponde «meglio esporci a ritardi e a

giravolte che ostinarci a seguire una strada dove mancano i pozzi.» «Signor Burker» disse vivamente Zach Fren «avreste dovuto fare

le vostre osservazioni a mistress Branican e non agli indigeni.» «Vi comportate in modo tale coi nostri negri, che non mi danno

più retta» aggiunse Tom Marix. «Siete voi il loro capo, signor Burker, o sono io?»

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«Le vostre osservazioni sono sconvenienti, Tom Marix!» replica Len Burker.

«Sconvenienti o no, sono giustificate dalla vostra condotta, signore, e vorrete tenerne conto.»

«Io non ricevo ordini da nessuno qui, tranne da mistress Branican.»

«Sta bene, Len Burker» ho risposto; «in avvenire, se avrete qualche osservazione da fare, vi prego di rivolgervi a me e non ad altri.»

«Mistress Dolly» disse allora Godfrey «volete che mi spinga avanti a cercare un pozzo? Finirò con l'incontrarlo.»

«Pozzi senz'acqua!» mormora Len Burker, allontanandosi e stringendosi nelle spalle.

Immagino quanto deve aver sofferto Jane che assisteva a questa discussione. La condotta di suo marito, così dannosa al buon accordo che doveva regnare nel nostro personale, può crearci le più gravi difficoltà. Ho dovuto unirmi a Tom Marix per ottenere dai negri che non si ostinassero nella loro intenzione di tornare indietro. Siamo riusciti nell'intento con molta fatica, tuttavia dichiarano che se fra quarantott'ore non avremo trovato un pozzo, se ne torneranno a Mary-Spring per arrivare allo Sturt-creek.

23 febbraio. — Oh, le indicibili sofferenze dei due giorni passati! Lo stato dei nostri due compagni ammalati era peggiorato. Altri tre cammelli erano caduti per non più rialzarsi, con la testa allungata sulla sabbia, le reni enfiate, incapaci di fare un movimento. Fu necessario ucciderli. Erano due animali da sella e uno da basto. Ora quattro bianchi della scorta sono ridotti a dover continuare a piedi il viaggio, già anche troppo faticoso per gente munita di cavalcature.

E non una creatura umana in questo Great-Sandy-Desert! Non un australiano delle regioni della Terra di Tasman per indicarci la situazione dei pozzi! Evidentemente la nostra carovana si è scostata dall'itinerario del colonnello Warburton, giacché egli non ha mai fatto così lunghe tappe senza aver potuto rinnovare la sua provvista d'acqua. Il più delle volte, è vero, i pozzi semi-inariditi contenevano solo un liquido denso, riscaldato, appena bevibile; ma noi ci saremmo accontentati.

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Oggi, finalmente, al termine della prima tappa, abbiamo potuto cavarci la sete. È stato Godfrey a scoprire un pozzo a poca distanza.

Il mattino del 23, il bravo ragazzo si è portato poche miglia innanzi, e due ore dopo l'abbiamo visto tornare in gran fretta:

«Un pozzo!… un pozzo!…» ha esclamato da lontano. A questo grido tutti si sono rianimati. I cammelli si sono tirati su,

quasi che quello montato da Godfrey avesse detto loro: «Acqua!… acqua!…» Un'ora dopo la carovana si fermava sotto un gruppo d'alberi, dai

rami disseccati, che ombreggiavano il pozzo. Fortunatamente sono acacie gommose e non eucalipti, perché questi alberi avrebbero asciugato il pozzo fino all'ultima goccia.

Ma i rari pozzi scavati alla superficie del continente australiano, bisogna pur dire che una compagnia un po' numerosa li vuoterebbe in pochi momenti.

L'acqua è tutt'altro che abbondante, e bisogna attingerla sotto gli strati di sabbia. Gli è che questi pozzi non sono opera della mano dell'uomo; sono cavità naturali formatesi al tempo delle piogge invernali. A mala pena passano i cinque o sei piedi di profondità, il che basta perché l'acqua, riparata dai raggi solari, non evapori e si conservi nei lunghi calori estivi.

Qualche volta questi serbatoi non sono segnalati in mezzo alla pianura da alcun gruppo d'alberi, così che è facilissimo passarci vicino senza vederli. Occorre dunque osservare la regione attentamente. È una raccomandazione fatta giustamente dal colonnello Warburton e perciò abbiamo cura di tenerne conto.

Stavolta Godfrey aveva avuto fortuna. Il pozzo presso cui il nostro campo si stabilì dalle 11 del mattino, conteneva più acqua del necessario per abbeverare i cammelli e rifare la nostra provvista. L'acqua rimasta limpida nel filtrare attraverso le sabbie, aveva serbato la sua freschezza, perché la cavità, situata ai piedi di un'alta duna, non riceveva direttamente i raggi del sole.

Ognuno di noi si ristorò deliziosamente bevendo in quella specie di cisterna; anzi si dovette raccomandare ai nostri compagni di non bere troppo perché si sarebbero ammalati.

Non si possono immaginare i benefici effetti dell'acqua se si è

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stati a lungo torturati dalla sete. Il risultato è immediato, i più affranti si rialzano, le forze ritornano a un tratto e con le forze il coraggio. Non è solo sentirsi rianimare, ma è sentirsi rinascere.

L'indomani, alle quattro del mattino, abbiamo ripresa la strada per arrivare a Joanna-Spring, a centonovanta miglia da Mary-Spring.

Queste poche note, ricavate dal giornale di mistress Branican, basterebbero a dimostrare che la forza d'animo non l'abbandonò un istante. Riprendiamo ora il racconto di questo viaggio, a cui l'avvenire riservava ancora tanti eventi impossibili da prevedere e così gravi nelle loro conseguenze.

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CAPITOLO XI

INDIZI E INCIDENTI

COME abbiamo visto nelle ultime righe del giornale di mistress Branican, il coraggio e la fiducia erano tornati al personale della carovana. Il cibo non era mai mancato ed era assicurato per molti mesi. L'acqua soltanto era mancata durante alcune tappe, ma il pozzo scoperto da Godfrey ne aveva fornito oltre il bisogno, e ora si ripartiva coraggiosamente.

In ogni modo si trattava sempre di sfidare un caldo accasciante, respirando l'aria arsa di quelle interminabili pianure senza alberi e senza ombra. E son pochissimi i viaggiatori che possono sopportare impunemente quelle temperature, quando non siano originari del paese australiano. L'indigeno resiste, lo straniero soccombe. Bisogna essere abituati a quel clima micidiale per potergli resistere.

Sempre la regione delle dune e delle sabbie rosse, con le loro ondulazioni di lunghe rughe simmetriche. Lo direste un terreno incendiato, il cui calore, accresciuto dai raggi solari, brucia gli occhi. Il terreno era caldo al punto che ai bianchi sarebbe stato impossibile camminare a piedi scalzi. I negri, la cui pelle è indurita, potevano invece impunemente viaggiare così, e non avrebbero dovuto lamentarsi di questo. Invece si lamentavano, e il loro malumore si manifestava di continuo. Se Tom Marix non avesse voluto conservare tutta la scorta, caso mai capitasse di doversi difendere da qualche tribù nomade, egli avrebbe pregato mistress Branican di congedare gli indigeni presi al suo servizio.

Del resto, Tom Marix vedeva crescere le difficoltà inerenti ad una simile spedizione; e quando pensava alle fatiche subite, e a quei pericoli sfidati in pura perdita, bisognava fosse molto padrone di sé per non lasciar trasparire i suoi pensieri. Ma Zach Fren l'aveva indovinato, e si doleva perché non aveva fiducia in lui.

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— Davvero, Tom — gli disse un giorno — non vi avrei creduto uomo da scoraggiarsi.

— Scoraggiarmi? vi ingannate, Zach Fren; almeno questo sento, che il coraggio di compiere il mio dovere fino all'ultimo non mi mancherà mai. Io non temo la traversata di questi deserti. Il mio timore è d'essere costretto a ritornare sui nostri passi senza essere riusciti a nulla.

— Credete dunque, Tom, che il capitano John sia morto dopo la partenza di Harry Felton?

— Io non so nulla, Zach, e voi non ne sapete più di me. — Si che lo so, come so che una nave si piega a tribordo quando

si mette il timone a babordo. — Voi mi parlate come parla mistress Branican a Godfrey,

scambiando le vostre speranze per certezza. Vi auguro che abbiate ragione. Ma il capitano John, se è vivo, è in potere degli Indas. E questi Indas dove sono?

— Sono dove sono, Tom! sono là dove andrà la carovana: dovessi anche camminare per sei mesi ancora. Che diamine, non si può voltare col vento in faccia, si volta quando si ha il vento di dietro, e ci si rimette sempre in cammino.

— In mare, sì, Zach, perché si sa a quale porto ci si dirige, ma attraverso questi territori, si sa forse dove si va?

— Se disperiamo, non lo sapremo mai. — Io non dispero, Zach. — Sì, Tom, e il peggio è che finirete col lasciarlo vedere. Colui

che non nasconde la propria inquietudine è un cattivo capitano e induce l'equipaggio allo scoraggiamento. Guardate bene, Tom, non per mistress Branican, che non si lascerebbe scoraggiare da nulla, ma per i bianchi della nostra scorta. Se essi facessero causa comune coi negri!…

— Rispondo di loro come di me stesso. — E come io rispondo di voi, Tom. Dunque non parliamo di

ammainar la bandiera finché gli alberi sono in piedi. — E chi ne parla, Zach? se non fosse per Len Burker… — Oh! quello là, se fossi il comandante, da un pezzo sarebbe in

fondo a una stiva con una palla per ogni piede. Ma stia in guardia,

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perché non lo perdo di vista. Zach Fren aveva ragione di sorvegliare Len Burker. Se la

spedizione si fosse messa male, ne avrebbero dovuto ringraziare lui solo, che eccitava al disordine quei negri sui quali Tom Marix credeva di poter fare assegnamento. Era quella una delle cause che rischiavano d'impedire la riuscita dell'impresa. Ma, anche se non ci fosse stata questa causa, Tom Marix non si faceva troppe illusioni sulla possibilità di incontrare gli Indas e di liberare il capitano John.

Benché la carovana non andasse a casaccio e si dirigesse sempre verso i dintorni del Fitz-Roy, poteva darsi che, per una causa qualsiasi, forse per eventi di guerra, gli Indas avessero lasciato la Terra di Tasman. Fra quelle tribù che possono contare da duecentocinquanta a trecento anime, è raro che ci sia pace. Ci sono odii inveterati, rivalità che sfociano nel sangue, e si sfogano con tanto più ardore, in quanto la guerra, in quei cannibali, non è altro che caccia. Il nemico non è solo il nemico, ma è la selvaggina, e il vincitore si mangia il vinto. Di qui lotte e inseguimenti che talvolta spingono gli indigeni a grandi distanze. Era dunque di grande interesse sapere se gli Indas non avessero abbandonato i loro territori, ma non si poteva saperlo se non incontrando qualche australiano venuto da nord-ovest.

A ciò tendevano gli sforzi di Tom Marix, assiduamente secondati da Godfrey, che nonostante le raccomandazioni e gli ordini di mistress Branican, si spingeva talvolta molte miglia distante. Se non andava in cerca di qualche pozzo, andava in traccia di qualche indigeno, ma fino allora senza risultato.

La regione era deserta, e in verità quale essere umano, per quanto di natura selvaggia, avrebbe potuto procurarsi in un luogo simile il necessario all'esistenza? Avventurarsi intorno alla linea telegrafica, forse era possibile, ma pur si vedeva a quali rischi si era esposti.

Finalmente l’8 marzo, verso le nove e mezzo del mattino, si udì echeggiare a breve distanza un grido formato di queste due parole: «coo-eeh!»

— Ci sono indigeni nei dintorni — disse Tom Marix. — Indigeni? — domandò Dolly. — Sì, mistress, è la loro maniera di chiamare.

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— Raggiungiamoli — disse Zach Fren. La carovana avanzò un centinaio di passi, e Godfrey segnalò due

negri fra le dune. Impadronirsi delle loro persone non doveva essere cosa facile, giacché gli australiani fuggono i bianchi appena li vedono da lontano. Infatti questi due cercarono di nascondersi dietro un'alta duna rossiccia fra ciuffi di spinifere; ma gli uomini della scorta riuscirono a circondarli, e furono condotti dinanzi a mistress Branican.

Uno era sulla cinquantina, l'altro era suo figlio e aveva vent'anni. Tutti e due si recavano alla stazione del lago Woods, che appartiene al servizio della rete telegrafica. Parecchi regali di stoffa e poche libbre di tabacco li addomesticarono subito, ed essi si mostrarono disposti a rispondere alle domande rivolte loro da Tom Marix, il quale traduceva le risposte per mistress Branican, Godfrey, Zach Fren e i loro compagni.

Gli australiani avevano dapprima detto dove erano diretti, cosa che interessava poco. Ma Tom Marix domandò loro da dove venissero e questo meritava molta attenzione.

— Noi veniamo di là… lontano… molto lontano — rispose il vecchio accennando il nord-ovest.

— Dalla costa? — No, dall'interno. — Dalla Terra di Tasman? — Sì, dal fiume Fitz-Roy. Appunto a questo fiume era diretta la carovana. — Di quale tribù siete? — domandò Tom Marix. — Della tribù dei Gursi. — Sono nomadi?… L'indigeno non parve comprendere che cosa volesse dire il capo

della scorta. — È una tribù che va da un attendamento all'altro — spiegò Tom

Marix — una tribù che non abita un villaggio? — Essa abita il villaggio di Gursi — rispose il figlio che sembrava

abbastanza intelligente. — E questo villaggio è vicino al Fitz-Roy? — Sì, a dieci giornate dal luogo in cui si getta in mare.

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Il Fitz-Roy si versa nel golfo del Re, ed è là appunto che la seconda campagna del Dolly-Hope era finita nel 1883. Le dieci giornate indicate dal giovinetto dimostravano che il villaggio di Gursi doveva essere situato a un centinaio di miglia dal litorale.

Ciò fu rilevato da Godfrey sulla carta dell'Australia occidentale, carta che portava la traccia del fiume Fitz Roy per ben duecentocinquanta miglia dalla sua origine in mezzo alle regioni poco note della Terra di Tasman.

— Conoscete la tribù degli Indas? — domandò allora Tom Marix agli indigeni.

Gli sguardi del padre e del figlio parvero infiammarsi quando quel nome fu pronunziato.

— Evidentemente sono due tribù nemiche, gli Indas e i Gursi: due tribù in guerra — fece osservare Tom Marix rivolgendosi a mistress Branican.

— È probabile — rispose Dolly; — questi Gursi devono sapere dove è ora la tribù degli Indas. Interrogateli, Tom Marix, e cercate d'avere una risposta precisa il più possibile. Da questa risposta forse dipende la riuscita delle nostre ricerche.

Tom Marix interrogò, ed il più vecchio degli indigeni affermò senza esitare che la tribù degli Indas occupava allora l'alto corso del Fitz-Roy.

— A quale distanza si trovano dal villaggio di Gursi? — domandò Tom Marix.

— A venti giornate, dirigendosi al levante — rispose il giovinetto. Questa distanza, riportata sulla carta, metteva l'accampamento

degli Indas a duecentottanta miglia circa dal luogo dov'era giunta la carovana, e questi indizi concordavano con quelli dati da Harry Felton.

— La vostra tribù — chiese Tom Marix — è spesso in guerra con quella degli Indas?

— Sempre — rispose il figlio. Il suo accento ed il gesto indicavano la violenza di quell'orda di

cannibali. — Noi li inseguiremo — aggiunse il padre — e saranno battuti

quando il capo bianco non sarà più là a dar loro consigli.

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Si pensi alla commozione di mistress Branican e dei suoi compagni, quando Tom Marix ebbe tradotto quella risposta. Quel capo bianco da tanto tempo prigioniero degli Indas, chi altri poteva essere se non il capitano John?

Dietro istanza di Dolly, Tom Marix tempestò di domande i due indigeni. Essi non potevano dare che informazioni assai incerte su quel capo bianco. Quel che però affermavano è che tre mesi prima, quando era avvenuta l'ultima battaglia fra i Gursi e gli Indas, era ancora in potere di questi ultimi.

— Senza di lui — esclamò il giovane australiano — gli Indas non sarebbero più che donne.

Che ci fosse esagerazione da parte di quegli indigeni, poco importava. Avevano detto quello che si voleva sapere. John Branican e gli Indas si trovavano a meno di trecento miglia, nella direzione del nord-ovest… Bisognava raggiungerli sulle rive del Fitz-Roy.

Al momento in cui si stava per levare l'accampamento, Jos Meritt trattenne un momento i due uomini, che mistress Branican aveva congedato, con nuovi doni. E allora l'inglese pregò Tom Marix di rivolgere loro una domanda relativamente ai cappelli di cerimonia che portavano i capi della tribù dei Gursi e quelli della tribù degli Indas.

Mentre attendeva la loro risposta, Jos Meritt non era meno commosso di quanto lo fosse stata Dolly durante l'interrogatorio degli indigeni.

Il degno collezionista ebbe motivo d'essere soddisfatto, ed i «Bene!… Oh!… Benissimo!…» risuonarono fra le sue labbra, quando apprese che i cappelli di fabbricazione estera non erano rari fra le popolazioni del nord-ovest. Nelle grandi cerimonie i cappelli ornavano di solito la testa dei principali capi australiani.

— Voi comprendete, mistress Branican — fece osservare Jos Meritt — ritrovare il capitano John, va bene!… ma mettere la mano su quel tesoro storico che io inseguo attraverso le cinque parti del mondo, è meglio ancora…

— Evidentemente — rispose mistress Branican. Non si era forse ormai abituata alla mania del suo strano

compagno di viaggio?

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— Avete inteso, Gin-Ghi? — aggiunse Jos Meritt rivolgendosi al suo domestico.

— Ho inteso, padrone Jos — rispose il cinese — e quando avremo trovato il cappello…

— Ritorneremo in Inghilterra, rientreremo a Liverpool, e là Gin-Ghi, elegantemente acconciato con una calotta nera, vestito di un abito di seta rossa, avvolto da una sciarpa di seta gialla, non avrete altro da fare che mostrare la mia collezione agli amatori. Siete soddisfatto?

— Come il fiore ha'itang che sboccia sotto la rugiada quando il coniglio di Iade è sceso verso l'occidente — rispose il poetico Gin-Ghi.

Però crollava la testa con aria poco convinta della sua felicità futura, come se il suo padrone gli avesse assicurato che sarebbe stato nominato mandarino a sette bottoni.

Len Burker aveva assistito alla conversazione di Tom Marix e dei due indigeni, di cui comprendeva il linguaggio, senza però prendervi parte. Neanche una domanda relativa al capitano John era venuta da lui. Ascoltava attentamente, tenendo a mente i particolari riguardanti l'attuale posizione degli Indas. Guardava sulla carta il luogo che probabilmente la tribù occupava allora verso il corso superiore del fiume Fitz-Roy e calcolava la distanza che la carovana avrebbe dovuto percorrere per giungervi, e il tempo che essa avrebbe presumibilmente impiegato ad attraversare quelle regioni della Terra di Tasman.

In realtà sarebbe stata questione di alcune settimane, se non fossero sopravvenuti ostacoli, se i mezzi di locomozione non avessero fatto difetto e se le fatiche del viaggio e le sofferenze dovute agli eccessi della temperatura fossero state tutte felicemente superati.

Perciò Len Burker, vedendo che la precisione di questi indizi ridonava a tutti il coraggio, provò una sorda rabbia. Come! la liberazione del capitano John allora stava davvero per compiersi? e in grazia del ritratto che portava con sé, Dolly sarebbe riuscita a strapparlo dalle mani degli Indas?

Mentre Len Burker rifletteva a questo concatenamento di combinazioni, Jane vedeva la sua fronte oscurarsi, iniettarglisi gli

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occhi e riflettersi nella sua fisionomia i perfidi pensieri che l'agitavano. Ne fu spaventata, ed ebbe il presentimento di una catastrofe vicina. Nel momento in cui gli sguardi di suo marito si fissavano nei suoi, si sentì venir meno.

La disgraziata donna aveva capito quel che passava nell'anima di quell'uomo, capace di ogni delitto pur di assicurarsi la fortuna di mistress Branican.

Infatti, Len Burker pensava che il ricongiungimento di John e Dolly sarebbe stato il crollo di tutto il suo avvenire. La loro situazione di fronte a Godfrey sarebbe stata presto o tardi riconosciuta. Sua moglie prima o dopo avrebbe finito col lasciarsi sfuggire il segreto, salvo che egli non la mettesse nell'impossibilità di parlare; eppure l'esistenza di Jane gli era necessaria, perché dopo la morte di mistress Branican la fortuna gli arrivasse per suo mezzo. Bisognava dunque separare Jane da Dolly; poi, per far scomparire John Branican, precedere la carovana presso gli Indas.

Per un uomo senza coscienza e risoluto com'era Len Burker, quel piano era facilmente realizzabile, e, d'altra parte, le circostanze non dovevano tardare a favorirlo.

Quel giorno, alle quattro di sera, Tom Marix diede il segnale della partenza e la spedizione si rimise in cammino nell'ordine consueto.

Si dimenticavano le passate fatiche. Dolly aveva comunicato ai compagni la sua energia. Si era vicini alla meta… Il successo sembrava certo. I negri della scorta anch'essi sembravano sottomettersi più volentieri e, forse, Tom Marix avrebbe potuto contare su di loro fino al termine della spedizione, se Len Burker non fosse stato là per istigare al tradimento e alla rivolta.

La carovana, rimessasi in cammino di buon passo, aveva ripreso a seguire grosso modo l'itinerario del colonnello Warburton. Il caldo intanto era aumentato e le notti erano più che mai opprimenti. Su quella pianura senza un solo albero, non si trovava ombra se non al riparo delle alte dune, ma quell'ombra era scarsissima per la quasi verticalità dei raggi solari.

Eppure, sotto quella latitudine, più bassa di quella del Tropico, cioè in piena zona torrida, non era per gli eccessi del clima che gli uomini avevano più da soffrire. La faccenda dell'acqua, ben

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altrimenti grave, si ripresentava ogni giorno. Bisognava cercare i pozzi a grandi distanze, e questo

scompigliava continuamente l'itinerario che si allungava in numerosi giri.

Quelli che più se ne occupavano erano Godfrey, sempre pronto, e Tom Marix, sempre infaticabile. Mistress Branican ogni volta che li vedeva allontanarsi si sentiva stringere il cuore. Ma ormai non si poteva più sperare aiuto dagli uragani, che sono rarissimi in quell'epoca dell'anno. Nel cielo, perfettamente sereno, non si vedeva un lembo di nuvole: l'acqua non poteva venire che dalla terra.

Quando Tom Marix e Godfrey avevano scoperto un pozzo, ci si dirigeva verso quel punto. Si riprendeva la strada, si sollecitava il passo degli animali, ci si affrettava sotto lo stimolo della sete, e che cosa si trovava il più delle volte?… Un liquido torbido in fondo a una cavità dove formicolavano i topi. Se i negri ed i bianchi della scorta non esitavano a berlo, Dolly, Jane, Godfrey, Zach Fren, Len Burker, avevano la prudenza d'attendere che Tom Marix facesse sgombrare i pozzi, buttar via lo strato sporco della superficie, scavare le sabbie per estrarne un'acqua meno impura. Allora si dissetavano e poi venivano riempiti i barili destinati a servire fino ai pozzi vicini.

Così si svolse il viaggio durante una settimana – dal 10 al 17 marzo -senza altri incidenti, ma con un aumento di fatiche che toccavano ormai il limite della sopportazione. Lo stato dei due infermi non migliorava; al contrario, c'era motivo di temere un esito fatale.

Con una carovana priva di cinque cammelli, Tom Marix trovava serie difficoltà a far fronte alle necessità del trasporto.

Il capo della scorta cominciava ad essere inquietissimo; non meno inquieta era mistress Branican, benché non lo lasciasse scorgere. Prima nelle marce, ultima nelle fermate, dava l'esempio del più straordinario coraggio, unito ad una fiducia incrollabile.

A quali sacrifici non avrebbe acconsentito per evitare quei ritardi continui e abbreviare quel viaggio interminabile!

Un giorno domandò a Tom Marix perché non puntasse direttamente verso l'alto corso del fiume Fitz-Roy, dove le informazioni degli indigeni stabilivano l'ultimo attendamento degli

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Indas. — Ci ho pensato — rispose Tom Marix — ma è sempre la

faccenda dell'acqua che mi trattiene e mi preoccupa. Andando verso Joanna-Spring non possiamo mancare di incontrare un certo numero di pozzi che il colonnello Warburton ha segnalato.

— Ma non se ne trovano anche nei territori del nord? — domandò Dolly.

— Forse, ma non ne ho la certezza — disse Tom Marix. — E d'altra parte bisogna ammettere la possibilità che questi pozzi ora si siano asciugati, mentre continuando la via verso l'ovest, siamo certi di giungere al fiume Okaover, dove il colonnello Warburton si è fermato. Ora, questo fiume è acqua corrente, e ci offrirà tutta la facilità di rifare la nostra provvista prima di incamminarci lungo la vallata del Fitz-Roy.

— Va bene, Tom Marix — rispose mistress Branican. — Se è necessario, dirigiamoci verso Joanna-Spring.

Così fu fatto, e le fatiche di quell'ultima parte di viaggio furono anche più pesanti di tutte quelle che fino allora la carovana aveva sopportato. Sebbene si fosse già al terzo mese della stagione estiva, la temperatura conservava la media intollerabile di quaranta gradi centigradi all'ombra, e con questa parola ombra si intende la notte, perché invano si sarebbe cercata una nuvola nelle alte zone del cielo, un albero alla superficie di quella pianura. Il viaggio si svolgeva in mezzo ad un'atmosfera soffocante; i pozzi non contenevano l'acqua necessaria ai bisogni del personale, e ogni tappa era ridotta a una diecina di miglia. I pedoni si trascinavano; le cure che Dolly e Jane e la domestica Harriett, anch'esse indebolite, prestavano ai due ammalati, non riuscivano a dar loro alcun sollievo. Sarebbe stato necessario arrestarsi in qualche villaggio, prendere un riposo lungo finché la temperatura si fosse fatta più clemente… Ma tutto questo non era possibile!

Nel pomeriggio del 17 marzo furono perduti ancora due cammelli da basto, e precisamente uno di quelli che trasportavano gli oggetti di baratto destinati agli Indas. Tom Marix dovette far passare il loro carico sopra ai cammelli da sella, il che smontava altri due bianchi della scorta. In ogni caso, queste brave persone non si lamentarono

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ed accettarono senza fiatare quell'aumento di sofferenze. Ben diversi i negri, che reclamando di continuo cagionavano a Tom Marix i più gravi impicci.

Non c'era da temere che un giorno o l'altro i negri abbandonassero la carovana, magari dopo qualche Saccheggio?

Finalmente la sera del 19 marzo, accanto ad un pozzo la cui acqua si era nascosta sei piedi sotto le sabbie, la carovana si fermò a cinque miglia circa da Joanna-Spring. Non era stato possibile prolungare oltre la tappa.

Il tempo era straordinariamente pesante; l'aria bruciava i polmoni come se uscisse da una fornace. Il cielo purissimo d'un azzurro crudo come appare in certe regioni mediterranee allo scatenarsi del maestrale, aveva un aspetto strano e minaccioso.

Tom Marix guardava quello stato dell'atmosfera con un'ansietà che non sfuggì a Zach Fren.

— Voi fiutate qualche cosa — gli disse il nostromo — qualche cosa che non vi va?…

— Sì, Zach — rispose Tom Marix — mi aspetto un colpo di simun del genere di quelli che devastano i deserti dell'Africa.

— Ebbene… il vento… sarebbe dell'acqua, senza dubbio! — fece osservare Zach Fren.

— Nient'affatto, Zach; sarebbe una siccità anche più spaventosa e un vento simile nel centro dell'Australia non si sa di che cosa sia capace.

Questa osservazione, da parte di un uomo così esperto, era tale da procurare una profonda inquietudine a mistress Branican e ai suoi compagni.

Furono dunque prese tutte le precauzioni opportune in vista di un «colpo di vento», per usare una frase familiare ai marinai. Erano le nove di sera, le tende non erano state rizzate perché la cosa appariva inutile in quelle notti ardenti, in mezzo alle dune sabbiose della pianura. Dopo aver quietato la sete coll'acqua dei barili, ciascuno prese la sua porzione di viveri che Tom Marix aveva distribuito, ma gli uomini pensavano di mala voglia a soddisfarsi la fame. Si aveva bisogno di acqua fresca, senza contare che il ventre soffriva meno dei polmoni. Qualche ora di sonno avrebbe giovato a quei poveracci

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meglio che un boccone di cibo. Ma era possibile dormire in un'atmosfera tanto soffocante da

sembrare innaturale? Fino a mezzanotte non avvenne nulla di anormale, Tom Marix,

Zach Fren e Godfrey vegliavano, dandosi il cambio. Ora l'uno ora l'altro si rizzavano per osservare l'orizzonte del nord. Quest'orizzonte era d'una limpidità sinistra. La luna, calata allo stesso tempo del sole, era scomparsa verso le dune dell'ovest. Centinaia di stelle brillavano intorno alla croce del sud che scintilla al polo antartico del mondo.

Un po' prima delle tre quell'illuminazione del firmamento si cancellò, e un improvviso buio avvolse la pianura da un orizzonte all'altro.

— All'erta! — gridò Tom Marix. — Che cos'è stato? — domandò mistress Branican, alzandosi

bruscamente. Accanto a lei, Jane, la cameriera Harriett, Godfrey e Zach Fren

cercavano di riconoscersi nel buio. Gli animali, sdraiati a terra, drizzavano il capo e, spaventati, mandavano grida rauche.

— Ma che cosa è stato? — tornò a chiedere mistress Branican. — Il simun! — rispose Tom Marix. Furono le ultime parole che si poterono udire, giacché lo spazio si

era empito d'un tumulto tale che l'orecchio non riusciva a percepire un suono, più che gli occhi a cogliere un bagliore in quelle tenebre.

Era proprio il simun, come aveva detto Tom Marix, cioè uno di quegli uragani che devastano i deserti australiani per estensioni enormi. Una grossa nuvola si era levata dal sud e piombava sulla pianura; nuvola formata non solo di sabbia ma di ceneri strappate a quei terreni calcinati dal caldo.

Intorno all'attendamento, le dune, movendosi come fanno le onde del mare, si avventavano in un polverio impalpabile che accecava, assordava, soffocava. Si sarebbe detto che sotto quella raffica, scatenata rasente il suolo, il territorio dovesse spianarsi. Se le tende fossero state rizzate, non ne sarebbe rimasto un brandello.

Tutti sentivano l'irresistibile torrente d'aria e di sabbia passare come la mitraglia. Godfrey teneva Dolly con entrambe le mani, non volendo essere separato da lei, nel caso che quel formidabile assalto

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potesse spazzare via la carovana verso il nord. Fu proprio quel che accadde, senza che nessuna resistenza fosse

possibile. Durante questa tormenta che durò un'ora, e bastò a mutare

l'aspetto della regione, spostando le dune e modificando il livello generale del suolo, mistress Branican e i suoi compagni, compresi i due ammalati della scorta, furono trascinati per uno spazio di quattro o cinque miglia, rialzandosi ogni volta per ricadere rotolando come fuscelli di paglia in mezzo al turbine. Essi non potevano né vedersi né udirsi e rischiavano di non ritrovarsi più. Fu così che giunsero nei dintorni di Joanna-Spring presso le rive dell'Okaover-creek, nel momento in cui, sgombrato il cielo dalle ultime brume, si rifaceva giorno sotto i raggi del sole levante.

Erano tutti presenti all'appello? No. Mistress Branican, la domestica Harriett, Godfrey, Jos Meritt,

Gin-Ghi, Zach Fren, Tom Marix e i bianchi rimasti al loro posto, erano là, e con essi, quattro cammelli da sella. Ma i negri erano scomparsi!… Scomparsi pure gli altri venti cammelli, cioè quelli che portavano i viveri e quelli che portavano il riscatto del capitano John!…

E quando Dolly chiamò Jane, questa non rispose. Len e Jane Burker erano scomparsi.

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CAPITOLO XII

ULTIMI SFORZI

QUESTA scomparsa dei negri insieme con gli animali da sella e da basto, mettevano mistress Branican e quelli che le erano fedeli in una condizione disperata.

Tradimento fu la parola pronunziata da Zach Fren e ripetuta da Godfrey. E il tradimento era anche troppo evidente, date le circostanze in cui era avvenuta la scomparsa d'una parte del personale. Questo fu anche il parere di Tom Marix, che sapeva bene quale influenza funesta esercitasse Len Burker sugli indigeni della scorta.

Dolly voleva ancora dubitare, non potendo credere a tanta doppiezza, a tanta infamia.

— Len Burker non può forse essere stato trascinato come noi dal simun?

— Trascinato appunto con i negri — fece osservare Zach Fren — e per di più con i cammelli che portano i nostri viveri!…

— E la mia povera Jane — mormorò Dolly — separata da me senza che me ne sia accorta!…

— Len Burker non ha voluto che essa rimanesse accanto a voi — disse Zach Fren.

— Miserabile! — Miserabile!… Bene!… oh!… benissimo! Se tutto questo non è

tradimento io non voglio ritrovare mai più il mio cappello storico. E volgendosi al cinese: — Che cosa ne dite voi, Gin-Ghi? — Ai ya, padrone Jos! Io penso che personalmente avrei fatto

mille e diecimila volte meglio a non mettere piede in un paese così pericoloso.

— Può darsi — rispose Jos Meritt.

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Il tradimento era tanto evidente che mistress Branican alla fine dovette arrendersi.

— Ma perché mi ha ingannato? — si chiedeva. — Che cosa ho fatto io a Len Burker? Non ho dimenticato il suo passato? Non l'ho accolto come un mio parente, lui e la sua povera moglie? Egli ci abbandona, ci lascia senza mezzi e mi ruba il prezzo del riscatto di John. Perché?…

Nessuno conosceva il segreto di Len Burker, e quindi nessuno poteva rispondere a mistress Branican. Jane soltanto sarebbe stata in grado di svelare quanto sapeva dei loschi piani del marito.

Purtroppo, Len Burker aveva messo in atto un disegno che sembrava aver tutte le probabilità di riuscita. Con la promessa di una buona paga, i negri della scorta si erano prestati al suo gioco. Nel momento in cui l'uragano era più violento mentre due indigeni trascinavano Jane senza che si potessero udire le sue grida, gli altri avevano spinto verso il nord i cammelli dispersi intorno al campo. Nessuno aveva potuto vederli dato il profondo buio addensato dai turbini di polvere, e prima dell'alba, Len Burker e i suoi compagni erano già a qualche miglio a est di Joanna-Spring.

Jane era separata da Dolly. Suo marito non doveva più temere che, assalita dai rimorsi, ella tradisse il segreto della nascita di Godfrey. Del resto, sprovvisti di viveri e di mezzi di trasporto, c'erano tutti i motivi per credere che mistress Branican e i suoi compagni dovessero soccombere nelle solitudini del Great-Sandy-Desert.

Infatti, a Joanna-Spring, la carovana si trovava ancora a quasi trecento miglia dal Fitz-Roy. Nel corso di questo lungo viaggio, come avrebbe fatto Tom Marix a provvedere ai bisogni del personale, sia pure tanto ridotto?

L'Okaover-creek è uno dei principali affluenti del fiume Grey, che va a gettarsi in uno degli estuari della Terra di Witt, nell'Oceano Indiano.

Sulle sponde di questo fiume, che i calori eccessivi non riescono mai a prosciugare, Tom Marix ritrovò le stesse tracce, gli stessi luoghi che anche il colonnello Warburton riconobbe con un senso di gioia intensa.

Del verde, delle acque correnti dopo interminabili pianure

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sabbiose di dune e di spinifere. Oh! che bel cambiamento! Ma, se il colonnello Warburton, arrivato a questo punto, era quasi sicuro di essere giunto alla sua meta, poiché non gli rimaneva altro che ridiscendere il creek fino agli stabilimenti di Rockbonne sul litorale, per mistress Branican purtroppo le cose non stavano così. Al contrario, la situazione era destinata a peggiorare ancora nell'attraver-sare le aride regioni che separano l'Okaover dal fiume Fitz-Roy.

La carovana era ridotta a ventidue persone, delle quarantatre che contava alla partenza da Alice-Spring. Dolly e la cameriera indigena Harriett, Zach Fren, Tom Marix, Godfrey, Jos Meritt, Gin-Ghi, e con essi i quindici bianchi della scorta, due dei quali gravemente ammalati. Come animali da trasporto, quattro cammelli soltanto, gli altri se li era presi Len Burker, compreso il maschio, che serviva loro da guida, e quello che portava la «ki-bitka». Anche l'animale di cui Jos Meritt aveva tanto lodato le buone qualità, era scomparso, il che obbligava l'inglese a viaggiare a piedi come il suo servitore. Di viveri rimaneva solo qualche scatola di conserva, ritrovata per caso in una cassa che una cammella aveva lasciato cadere. Né farina, né caffè, né tè, né sale, nessuna bevanda alcoolica; più nulla della farmacia di viaggio.

E come poteva ora Dolly curare i due uomini divorati dalla febbre? Era l'assoluta povertà, in una regione che non offriva niente del più necessario per la vita.

Ai primi albori, mistress Branican radunò il personale. La coraggiosa donna aveva conservato intatta tutta la sua energia, davvero sovrumana, e con le sue parole incoraggianti riuscì a rianimare i compagni. Soprattutto li rincuorò dimostrando come ormai la meta era vicina.

Fu quindi ripreso il viaggio, in condizioni tanto penose che il più ottimista degli uomini non avrebbe potuto sperare di condurlo a buon fine. Dei quattro cammelli che rimanevano, due dovettero essere riservati agli ammalati che non si potevano abbandonare a Joanna-Spring, stazione disabitata come altre che il colonnello Warburton segnava nel suo itinerario. Ma quei poveretti avrebbero avuto la forza di sopportare il viaggio fino al Fitz-Roy, dove sarebbe stato forse possibile mandarli in qualche stabilimento della costa? Era molto

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improbabile e il cuore di mistress Branican si spezzava all'idea che due nuove vittime potevano aggiungersi a quelle che già contava la catastrofe del Franklin.

Tuttavia Dolly non voleva rinunciare ai suoi progetti. Niente poteva fermarla nel compimento del suo dovere, fosse pure rimasta completamente sola!

Lasciando la riva destra dell'Okaover-creek, il cui letto era stato passato a guado un miglio a monte di Joanna-Spring, la carovana si diresse a nord-nord-est. Prendendo questa direzione, Tom Marix sperava di arrivare al Fitz-Roy nel punto più vicino della curva irregolare ch'esso traccia prima di piegarsi verso il golfo del Re.

Il caldo era ora sopportabile; c'erano volute le più vive istanze, quasi ordini, da parte di Tom Marix e di Zach Fren, perché Dolly accettasse un cammello come bestia da sella. Godfrey e Zach Fren non cessavano di camminare di buon passo. Così pure Jos Meritt, le cui lunghe gambe erano rigide come un paio di trampoli, e quando mistress Branican gli offriva di prendere la sua cavalcatura, egli rifiutava, dicendo:

— Bene! oh! benissimo! Un inglese è un inglese, mistress, ma un cinese non è che un cinese, e io non vedo nessun inconveniente che voi facciate questa proposta a Gin-Ghi… Solo che io gli proibisco di accettarla.

E Gin-Ghi andava anch'egli a piedi, anche se brontolava pensando alle lontane delizie del Su-Tcheu, la città dei battelli fioriti, la città adorata dai cinesi.

Il quarto cammello serviva a Tom Marix, o a Godfrey, quando bisognava portarsi avanti. 'La provvista d'acqua, attinta all'Okaover-creek, non avrebbe tardato ad esaurirsi e allora il problema dei pozzi sarebbe diventato nuovamente gravissimo.

Lasciando le rive del creek si diressero verso il nord, in una pianura leggermente ondulata, solcata appena da dune sabbiose, che si stendeva fino agli estremi limiti dell'orizzonte. I ciuffi di spinifere vi formavano macchie più fitte, e diversi arbusti, ingialliti dall'autunno, davano alla regione un aspetto meno monotono. Chissà che la sorte non permettesse d'incontrarvi un po' di selvaggina! Tom Marix, Godfrey, Zach Fren, che non lasciavano mai le loro armi,

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avevano conservato, per fortuna, fucili e rivoltelle, e presentandosene il caso, avrebbero saputo farne buon uso. Poiché, però, le munizioni erano molto scarse, dovevano essere usate con parsimonia.

Si procedette così per alcuni giorni, una tappa al mattino e una alla sera. Il letto dei creeks che solcava questo territorio, era cosparso solo di ciottoli calcinati fra le erbe ingiallite per la siccità. La sabbia non mostrava traccia di umidità, ed era dunque necessario scoprire dei pozzi, anzi scoprirne uno ogni ventiquattr'ore, poiché Tom Marix non possedeva più barili per la riserva.

Perciò Godfrey si spostava continuamente a destra e a sinistra dell'itinerario, appena si credeva su qualche traccia di un pozzo.

— Ragazzo mio — gli raccomandava mistress Branican — non fare imprudenze, non esporti…

— Non espormi, quando si tratta di voi, mistress Dolly? di voi, e del capitano John? — rispondeva Godfrey.

Grazie a lui, per merito d'una specie d'istinto che lo guidava, furono scoperti alcuni pozzi, a distanza di molte miglia l'uno dall'altro nel nord e nel sud.

E perciò, se si dovette soffrire la sete, almeno le sofferenze non furono eccessive, in quella parte della Terra di Tasman compresa fra l'Okaover-creek e il Fitzroy River. Quello che procurava la maggiore fatica era l'insufficienza di mezzi di trasporto unita alla scarsezza del cibo, ormai ridotto a qualche avanzo di conserva; la mancanza di té e di caffè, la privazione di tabacco era penosissima per gli uomini della scorta; senza contare l'impossibilità di aggiungere qualche goccia d'alcool all'acqua quasi salmastra. Dopo due ore di cammino, i più energici cadevano sfiniti.

Inoltre gli animali trovavano da mangiare a stento in quel terreno che non dava a loro né un filo di paglia né uno stelo commestibili. Non si vedevano più le acacie nane la cui resina nutriente è ricercata dagli indigeni in tempo di carestia. Solo le spine di magre mimose unite ai ciuffi di spinifere; i cammelli, col collo allungato, le reni cascanti, trascinavano le zampe, cadevano in ginocchio, e ci volevano grandi sforzi per rimetterli in piedi.

Il 25, nel pomeriggio, Tom Marix, Zach Fren e Godfrey, riuscirono a procurarsi un po' di nutrimento fresco. C'era stato un

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passaggio di colombi selvatici che svolazzavano a frotte. Erano velocissimi a fuggire dalle macchie di mimose e non si lasciavano avvicinare troppo facilmente, ma si riuscì ugualmente ad ammazzarne qualcuno. Anche se non fossero stati troppo saporiti come in effetti erano, quegli uomini affamati li avrebbero tuttavia apprezzati come la più squisita selvaggina. Si accontentarono di farli arrostire sopra un fuoco di radici secche, e per due giorni Tom Marix poté risparmiare le conserve.

Ma quello che bastava a nutrire gli uomini non nutriva gli animali, e così la mattina del 26, uno dei cammelli che serviva a trasportare gli infermi, cadde pesantemente a terra e bisognò abbandonarlo, visto che non avrebbe più potuto rimettersi in cammino.

A Tom Marix toccò il compito di finirlo con un colpo di fucile; e non volendo perdere quella carne che rappresentava molti giorni di nutrimento, benché l'animale fosse magrissimo per le privazioni, venne tagliato a fette, come si fa in Australia.

Tom Marix sapeva che il cammello può essere utilizzato in tutte le sue parti per servire all'alimentazione. Con le ossa e una parte della pelle fatte bollire nell'unico recipiente rimastogli, ottenne un brodo che fu molto gradito da quegli stomaci affamati. Il cervello, la lingua e altre parti, convenientemente preparati, fornirono un nutrimento più ricco di sostanze. La carne, tagliata a strisce sottili e rapidamente disseccata al sole, fu conservata, e così fu per i piedi, che costituiscono la parte migliore dell'animale. Il guaio era che mancava il sale, perché quella carne, salata, si sarebbe conservata meglio. Il viaggio proseguiva in queste condizioni, facendo poche miglia ogni giorno; ma lo stato degli ammalati non migliorava, data la totale mancanza di rimedi, se non di cure. Non tutti forse avrebbero potuto arrivare alla meta a cui tendevano gli sforzi di mistress Branican: al fiume Fitz-Roy, dove molti mali avrebbero potuto trovare rimedio.

Infatti, il 28 e il 29 marzo i due bianchi dovettero soccombere alle conseguenze dello sfinimento prolungato. Erano uomini originari d'Adelaide, uno di venticinque anni appena, l'altro di quaranta, e la morte venne a colpirli tutti e due in quel deserto australiano.

Povera gente! erano le prime vittime dell'impresa, e i loro compagni ne furono addoloratissimi. Non era forse quella la sorte

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che li aspettava tutti, dopo il tradimento di Len Burker, ora che si trovavano abbandonati in quelle regioni dove nemmeno gli animali potevano riuscire a sopravvivere? E che cosa avrebbe potuto rispondere Zach Fren, quando Tom Marix gli disse:

— Ecco due uomini morti per salvarne uno, senza contare quelli che morranno ancora!

Mistress Branican fu molto addolorata e tutti condivisero il suo dolore. Ella pregò per quelle due vittime, e sulla loro tomba fu piantata una piccola croce, che il clima eccessivamente caldo avrebbe presto ridotto in polvere.

La carovana si rimise in viaggio. Dei tre cammelli che rimanevano, gli uomini più stanchi dovettero

servirsi a turno, per non provocare ritardo ai loro compagni, e mistress Branican rifiutò di avere uno di quegli animali unicamente per sé. Nelle soste, i cammelli erano adoperati alla ricerca dei pozzi, ora da Godfrey, ora da Tom Marix, perché non si trovava un indigeno che potesse dare qualche indicazione. Questo sembrava indicare che le tribù si erano portate verso il nord-est della Terra di Tasman. In questo caso sarebbe stato necessario seguire le tracce degli Indas fino al fondo della vallata del Fitz-Roy. Cosa molto spiacevole perché allungava il viaggio di parecchie centinaia di miglia.

Al principio d'aprile, Tom Marix s'accorse che la provvista di conserve era quasi esaurita. Bisognava sacrificare uno dei tre cammelli: alcuni giorni di nutrimento assicurato avrebbero senza dubbio permesso di giungere al Fitz-Roy, dal quale la carovana doveva essere lontana non più di una quindicina di tappe.

Essendo il sacrificio una misura indispensabile, convenne rassegnarvisi. Fu scelta la bestia che sembrava meno in grado di fare bene il suo servizio. Uccisa e squartata, fu ridotta in strisce che, seccate al sole, diventavano molto nutrienti, dopo aver subito una lunga cottura. Le altre parti dell'animale, senza dimenticare il cuore e il fegato, furono messe in disparte.

Frattanto, Godfrey riuscì ad ammazzare parecchie coppie di colombi; poca cosa, è vero, trattandosi di alimentare venti persone. Tom Marix intanto osservò che le acacie cominciavano a riapparire

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sulla pianura e si poterono adoperare come nutrimento i loro grani abbrustoliti sul fuoco.

Sì, era tempo di giungere alla vallata del Fitz-Roy, di trovarvi risorse che in quella regione maledetta sarebbero state ricercate inutilmente. Sarebbe bastato un ritardo di pochi giorni perché la maggior parte di quei poveretti non riuscisse ad arrivarvi.

Il 5 di aprile, non rimanevano più conserve, né più nulla della carne ricavata dai cammelli. Pochi grani d'acacia, ecco a che cosa erano ridotti mistress Branican e i suoi compagni! Tom Marix esitava a sacrificare le due ultime bestie sopravvissute. Pensando alla strada che ancora rimaneva da fare, non si sapeva decidere a questo passo, eppure alla fine dovette rassegnarvisi, e la sera stessa, perché da quindici ore nessuno aveva mangiato.

Ma al momento della fermata, uno degli uomini accorse gridando: — Tom Marix!… Tom Marix!… i due cammelli sono caduti. — Cercate di rialzarli. — Impossibile. — Allora ammazzateli subito. — Ammazzarli? — rispose l'uomo; — ma stanno morendo, se

non sono già morti! — Morti! — esclamò Tom Marix; e non poté trattenere un gesto

disperato, perché la carne degli animali morti non era più mangiabile. Seguito da mistress Branican, da Godfrey, da Zach Fren e da Jos

Meritt, Tom Marix si recò là dove i due animali erano caduti. Giacenti al suolo, si agitavano convulsamente, con la schiuma alla

bocca, le membra contratte, il petto ansimante: stavano morendo, e non di morte naturale.

— Che cosa è successo? — domandò Dolly; — non stanno morendo di fatica e nemmeno di fame.

— No — rispose Tom Marix; — io temo che sia l'effetto di qualche erba malefica.

— Bene! oh! benissimo!… io so che cosa è — rispose Jos Meritt. — Ho visto questo nelle province dell'est, nel Queensland. I cammelli sono stati avvelenati.

— Avvelenati?… — ripete Dolly. — Sì — disse Tom Marix — è il veleno!

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— Ebbene — riprese Jos Meritt — poiché non possiamo far altro, seguiamo l'esempio dei cannibali, se non vogliamo morire di fame! Che volete?… ogni paese ha le sue abitudini, e il meglio è di conformarvisi.

Il gentleman diceva questo con tale accento d'ironia che, con gli occhi ingranditi dal digiuno, più magro che mai, faceva paura a guardarlo.

Dunque due cammelli erano morti avvelenati, e questo avvelenamento – Jos Meritt non s'ingannava – era dovuto a una specie d'ortica velenosa, che tuttavia era rara in quelle pianure del nord-ovest: è la moroides laportea, che produce una specie di lampone, e le cui foglie sono guarnite di punte aguzze. Il solo contatto con le foglie provoca dolori vivissimi e durevoli. Il frutto è mortale se non lo si combatte col sugo della colocasia macrorhiza, altra pianta che il più delle volte cresce nello stesso terreno dell'ortica velenosa.

L'istinto, che impedisce agli animali di toccare le sostanze nocive, questa volta era stato vinto, e i due cammelli, non avendo potuto resistere al desiderio di mangiare quelle ortiche, erano morti fra orribili spasimi.

Come passassero i due giorni seguenti, né mistress Branican, né altri dei suoi compagni lo rammentano più. Era stato necessario abbandonare i due animali morti, giacché un'ora dopo erano in stato di perfetta putrefazione, tanto è rapido l'effetto di quel veleno vegetale. Poi, la carovana, trascinandosi verso il Fitz-Roy, sperava di scoprire i movimenti di terreni che incorniciano la valle. Avrebbero potuto giungervi tutti? No, e qualcuno domandava già di essere ucciso, per risparmiarsi una spaventosa agonia.

Mistress Branican andava dall'uno all'altro, cercando di rianimarli, supplicandoli di fare un ultimo sforzo. Diceva loro che la meta era vicina… poche tappe ancora… ed era la salvezza. Ma che cosa avrebbe potuto ottenere da quei disgraziati?

La sera dell'8 aprile, nessuno ebbe la forza di preparare il campo. I poveretti strisciavano ai piedi delle spinifere per masticarne le foglie polverose; non potevano più parlare… e certamente non sarebbero riusciti ad andare più avanti… Tutti caddero a questa ultima fermata!

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Mistress Branican resisteva ancora. Inginocchiato accanto a lei, Godfrey la avvolgeva in uno sguardo supremo. La chiamava: mamma!… mamma!, come un figlio che supplica colei da cui è nato, perché non lo lasci morire.

E Dolly, ritta in mezzo ai suoi compagni, scrutava l'orizzonte con lo sguardo, gridando:

— John!… John!… Quasi che dal capitano John soltanto potesse venirle l'ultimo

soccorso!

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CAPITOLO XIII

PRESSO GLI INDAS

LA TRIBÙ degli Indas, formata di molte centinaia d'indigeni, uomini, donne, fanciulli, occupava in quel tempo le rive del Fitz-Roy, a centoquaranta miglia dalla sua foce. Questi indigeni venivano dalle regioni della Terra di Tasman, bagnata dall'alto corso del fiume. Da qualche giorno, la loro vita nomade li aveva appunto condotti a venticinque miglia da quella parte del Great-Sandy-Desert, dove la carovana aveva fatto la sua ultima tappa, dopo una catena di sofferenze che avevano oltrepassato il limite della resistenza umana.

Presso questi Indas, il capitano John e il suo secondo Harry Felton avevano vissuto per nove anni. Grazie agli avvenimenti che seguirono, è stato possibile ricostruire la loro storia durante quel lungo periodo, e completare il racconto fatto da Harry Felton sul suo letto di morte.

Fra il 1875 e il 1881, l'equipaggio del Franklin aveva avuto per rifugio un'isola dell'Oceano Indiano, l'isola Browse, situata a duecentocinquanta miglia circa da Jork-Sound, il punto più vicino al litorale del nord-ovest del continente australiano. Essendo morti nell'uragano due dei marinai, i naufraghi, in numero di dodici, avevano vissuto sei anni in quest'isola, senza alcun modo per poter rimpatriare, quando venne ad approdare sulla costa una scialuppa alla deriva.

Il capitano John, volendo adoperare quella scialuppa per la salvezza comune, la fece mettere in stato di poter giungere alla terra australiana, e la approvvigionò per una traversata di parecchie settimane. Ma non potendo la scialuppa contenere più di sette persone, vi si imbarcarono solo il capitano John, Harry Felton e cinque dei loro compagni, lasciando nell'isola Browse gli altri cinque, ad aspettare una nave che avrebbe dovuto essere loro inviata.

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Si sa, come questi disgraziati fossero morti prima di essere stati raccolti, e in quali condizioni il capitano Ellis ritrovasse i loro resti nella seconda campagna del Dolly-Hope, nel 1883.

Dopo una pericolosa traversata in quegli orribili paraggi dell'Oceano Indiano, la scialuppa accostò il continente all'altezza del capo Leveque e riuscì a penetrare nel golfo stesso, dove si getta il fiume Fitz-Roy. Ma la cattiva sorte volle che il capitano John fosse assalito dagli indigeni. Nell'assalto furono uccisi due uomini che cercavano di difendersi.

Quegli indigeni, appartenenti alla tribù degli Indas, trascinarono verso l'interno il capitano John, il secondo Harry Felton e l'ultimo marinaio sfuggito all'eccidio. Questi non sarebbe più guarito delle sue ferite, e poche settimane dopo, John Branican e Harry Felton erano i soli superstiti della catastrofe del Franklin.

Allora cominciò per loro un'esistenza che, nei primi giorni, fu assai malsicura. Abbiamo detto che gli Indas, come tutte le altre tribù erranti o sedentarie dell'Australia settentrionale, sono feroci e sanguinari. I prigionieri che fanno nelle loro guerre continue fra tribù e tribù, li uccidono senza pietà e se li mangiano. Non c'è costume più profondamente inveterato del cannibalismo in quegli aborigeni che sono vere belve.

Perché il capitano John e Harry Felton furono risparmiati? Si sa che fra gli indigeni dell'interno e del litorale, lo stato di

guerra si perpetua di generazione in generazione. Le tribù sedentarie si attaccano da villaggio a villaggio, si distruggono e divorano i prigionieri che hanno fatto. I nomadi hanno le stesse abitudini: si combattono da accampamento ad accampamento, e la vittoria finisce sempre con spaventose scene di antropofagia. Questi eccidi inevitabilmente distruggeranno la razza australiana, come fanno gli anglosassoni, con altro sistema, benché in certe occasioni anche i loro sistemi siano d'una barbarie inaudita. Come si potrebbero qualificare altrimenti i loro atti? I negri cacciati dai bianchi, come selvaggina, con tutte le emozioni raffinate che può procurare questo genere di sport; gli incendi, propagati largamente affinché gli abitanti non siano risparmiati più dei «gunyos» di corteccia che formano le loro dimore? I conquistatori sono arrivati perfino a servirsi

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dell'avvelenamento in massa con la stricnina, per ottenere una più rapida distruzione, ed è stata citata questa frase, sfuggita alla penna di un colono australiano:

«Tutti gli uomini che incontro sui miei pascoli, li ammazzo a schioppettate perché mi uccidono il bestiame; tutte le donne, perché mettono al mondo della gente che ammazza il bestiame, e tutti i ragazzi, perché ammazzeranno anche loro il bestiame».

Si comprende dunque l'odio che gli australiani hanno votato ai loro carnefici; odio tramandato per atavismo. È raro che i bianchi caduti nelle loro mani non siano trucidati senza pietà. E perché dunque i naufraghi del Franklin erano stati risparmiati dagli Indas?

Probabilmente, se non fosse morto poco tempo dopo essere stato fatto prigioniero, il marinaio avrebbe subito la sorte comune. Ma il capo della tribù, un indigeno, chiamato Willi, avendo avuto relazioni coi coloni del litorale, li conosceva tanto da aver notato che il capitano John e Harry Felton erano due ufficiali, dai quali pensava si potesse ricavare un doppio partito. Nella sua qualità di guerriero, Willi avrebbe potuto approfittare dei loro talenti nelle lotte con le tribù rivali. Nella sua qualità di negoziante, che s'intendeva di affari, egli intravedeva un'ottima speculazione, cioè un riscatto dei due prigionieri.

Essi ebbero dunque salva la vita, ma dovettero piegarsi a quell'esistenza nomade, che riuscì loro tanto più penosa in quanto gli Indas li sorvegliavano continuamente. Spiati giorno e notte, non potendo allontanarsi dal campo, essi avevano tentato invano di fuggire, rischiando la vita.

Intanto, in occasione di quei frequenti scontri fra tribù e tribù, essi avevano dovuto intervenire almeno coi loro consigli, consigli veramente preziosi, dai quali Willi trasse un gran vantaggio, tanto che egli era ormai sicuro di vincere. Grazie alle sue vittorie, la tribù era ora una delle più potenti di quelle che frequentano i vari territori dell'Australia occidentale.

Queste popolazioni del nord-ovest appartengono probabilmente alle razze miste di australiani e di indigeni della Papuasia. A somiglianza dei loro congeneri, gli Indas portano i capelli lunghi e ricciuti; il loro colorito è meno scuro di quello degli indigeni delle

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province meridionali, i quali sembrano formare una razza più robusta. La loro statura, più modesta, sta fra una media che va da un metro e tredici a un metro e trenta. Gli uomini hanno una costituzione fisica più forte delle donne. Hanno fronte sfuggente, ma gli archi delle sopracciglia prominenti, indizio d'intelligenza, se si deve credere agli etnologi. Gli occhi, la cui iride è scura, hanno la pupilla accesa. I capelli, di color molto bruno, non sono crespi come quelli dei negri africani, ma il cranio è poco voluminoso. Vengono chiamati negri, ma non sono neri come i Nubiani; sono color di cioccolata, niente più.

Il negro australiano ha un olfatto finissimo, pari a quello dei migliori cani da caccia. Per riconoscere le tracce d'una creatura umana o di un animale gli è sufficiente fiutare il terreno, le erbe e i cespugli. Anche il loro udito è sensibilissimo, e possono, a quanto si dice, sentire perfino il rumore delle formiche che lavorano in fondo a un formicaio. A volerli classificare nell'ordine dei «rampicanti» non si sbaglierebbe di molto, giacché non vi è albero di gomma, per alto e liscio che sia, di cui non riescano a toccare la cima, servendosi di una canna flessibile che chiamano «kamin», e in grazia della conformazione un po' prensile del pollice dei loro piedi.

Come è già stato notato a proposito delle indigene del fiume Finke, la donna australiana invecchia presto e non supera la quarantina, mentre gli uomini arrivano in genere ai cinquanta in certe parti del Queensland. Queste povere creature devono compiere i più pesanti lavori di casa, sono schiave sottomesse al giogo di padroni spietati, costrette a portare fardelli, utensili, armi, a cercare le radici commestibili, le lucertole, i vermi, i serpenti, che servono a nutrire la tribù. Ma se qui ne riparliamo, è per dire che esse curano con affetto i loro figli, di cui i padri si curano poco o niente, giacché il figlio è un carico per la madre che non può più darsi esclusivamente a quell'esistenza nomade, la cui responsabilità pesa sopra di lei. Ragione per cui in certe popolazioni, sono visti i negri obbligare le loro donne a recidersi le mammelle per non poter allattare. Oppure, abitudine orribile, che sembra discordare con quella precauzione presa per scemarne il numero, quelle creaturine, in tempo di carestia, sono la riserva di carne per certe tribù indigene presso le quali il

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cannibalismo è spinto fino all'inverosimile. Gli è che presso quei negri australiani, degni appena d'appartenere

alla umanità, la vita è concentrata in un unico atto: «Ammeri!… Ammeri!…»; questa parola è continuamente ripetuta dagli indigeni e significa fame. Il gesto più frequente di quei selvaggi consiste nel battersi il ventre, che è quasi sempre vuoto. In quel paese, che manca di selvaggina e di vegetazione, si mangia a qualunque ora del giorno e della notte, quando si presenta l'occasione per farlo, col costante pensiero d'un digiuno prossimo e prolungato. E infatti, di che cosa possono nutrirsi questi indigeni, i più miserabili certamente di quanti uomini la natura abbia disseminati sulla superficie del continente? Di una specie di galletta grossolana, chiamata «damper», fatta con un po' di grano senza lievito, cotta non al forno, ma sotto ceneri calde; del miele, che essi raccolgono talvolta a patto di atterrare l'albero in cima al quale le api hanno messo i loro alveari; di «kadjerah», specie di pappa, ottenuta con lo schiacciamento dei frutti della palma velenosa, alla quale è stato estratto il veleno con una manipolazione delicata; di quelle uova di galline della giungla, nascoste nella terra, che il caldo fa schiudere artificialmente; di quei colombi, propri dell'Australia, che appendono i nidi all'estremità dei rami d'alberi. Infine essi si nutrono di certe specie di larve, coleotteri, che raccolgono dai rami delle acacie, o che disseppelliscono dalla putredine legnosa che ingombra il terreno delle forre, e nient'altro.

Ed ecco come, in questa lotta continua per l'esistenza, il cannibalismo si spiega con tutte le sue mostruosità. Non è neanche segno di una naturale ferocia, ma piuttosto la conseguenza d'un bisogno imperioso che il negro australiano deve soddisfare, perché muore di fame. E, in queste condizioni, che cosa succede?

Sul corso inferiore del Murray e presso i popoli delle regioni del nord, è costume uccidere i bambini per mangiarli, e nello stesso tempo si recide alle madri una falange del dito per ogni bambino che essa è costretta a dare a questi banchetti di antropofago Spaventoso particolare: quando la madre non ha più nulla da mangiare, arriva a mangiarsi la creaturina nata dalle sue viscere, e alcuni viaggiatori hanno udito queste disgraziate parlare di questa cosa spaventevole come dell'atto più naturale.

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Tuttavia, non è soltanto la fame che spinge gli australiani al cannibalismo. Essi hanno una passione per la carne umana, che chiamano «talgoro», la «carne che parla», secondo una delle loro espressioni di un raccapricciante realismo. Se essi non soddisfano il loro desiderio fra genti della medesima tribù, fanno però la caccia all'uomo grazie alle guerre incessanti. Le spedizioni hanno l'unico scopo di procurarsi il «talgoro», sia quello che si mangia ucciso di fresco, sia quello che è messo in disparte per le provviste. Afferma il dottor Carl Lumholtz che, durante il suo audace viaggio attraverso le province del nord-est, i negri della scorta non cessavano di parlare di cibo, e dicevano che per gli australiani non c'è nulla di meglio della carne umana, e bisogna che non sia carne di bianchi, perché trovano che questa sia salata in modo spiacevole.

C'è un altro motivo che predispone queste tribù alla reciproca distruzione. Gli australiani sono estremamente creduli. Si spaventano se sentono la voce del «Kvin'gan'», il cattivo spirito che vaga per le campagne e per le gole delle montagne, benché questa voce non sia altro che il canto melanconico di un leggiadro uccello, uno dei più curiosi della ornitologia australiana. Tuttavia, se essi ammettono l'esistenza di un essere superiore e cattivo, secondo quello che dicono i viaggiatori più autorevoli, un indigeno non fa mai una preghiera, e in nessun luogo si trovano tracce di pratiche religiose.

In realtà sono molto superstiziosi, e poiché credono fermamente che i loro nemici possono farli perire con sortilegi, si affrettano ad ucciderli, cosa che, aggiunta al cannibalismo, condanna queste regioni a una completa distruzione.

Bisogna notare che gli australiani hanno rispetto per i morti; non li mettono a contatto con la terra, circondano i corpi di strisce di fogliame e di scorza d'albero e li depongono in fosse poco profonde, con i piedi rivolti a levante, salvo che non li seppelliscano in piedi, come è uso presso alcune tribù. La tomba di un capo è allora coperta da una stuoia il cui ingresso è orientato verso l'est. Bisogna anche aggiungere che fra i meno selvaggi c'è questa credenza bizzarra, cioè che i morti devono rinascere in forma di uomo bianco, e, secondo quanto dice Carl Lumholtz, la lingua del paese adopera la stessa parola per designare lo spirito e l'uomo bianco. Secondo un'altra

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superstizione indigena, gli animali sarebbero stati, una volta, creature umane, secondo una specie di metempsicosi a rovescio.

Così sono quelle tribù del continente australiano, destinate senza dubbio a sparire un giorno, come sono scomparsi gli abitanti della Tasmania. Così erano quegli Indas, fra le mani dei quali erano caduti John Branican e Harry Felton.

Dopo la morte del marinaio, John Branican e Harry Felton avevano dovuto seguire gli Indas nelle loro peregrinazioni continue nelle regioni del centro e del nord-ovest. Ora attaccando le tribù ostili, ora da esse attaccati, gli Indas ottenevano comunque un'incontrastabile superiorità sopra i loro nemici grazie ai consigli dei due prigionieri, di cui Willi teneva molto conto. Centinaia di miglia furono percorse dal golfo del Re fino al golfo di Van Diemen, fra la vallata del Fitzroy e quella del Victoria e fino alle pianure della Terra Alexandra. Così il capitano John e il suo secondo attraversarono quelle regioni ignote ai geografi, rimaste bianche sulle carte moderne, nell'est della Terra di Tasman, della Terra d'Arnhem e del territorio del Great-Sandy-Desert.

Se questi interminabili viaggi a loro potevano sembrare estremamente faticosi, gli Indas invece non se ne davano nemmeno pensiero. È loro abitudine vivere così, senza badare alle distanze né al tempo, del quale è molto se hanno una nozione vaga. Infatti di un determinato avvenimento che si deve compiere fra cinque o sei mesi, per esempio, l'indigeno risponde in buona fede che avrà luogo fra due o tre giorni o nella prossima settimana. Ignora la propria età e non ha nozione del tempo: pare che l'australiano sia di una natura speciale nella scala degli esseri, come certi animali del suo paese.

John Branican e Harry Felton dovettero conformarsi a questi costumi e subire le fatiche provocate dai viaggi quotidiani. Dovettero accettare il nutrimento talvolta insufficiente, sempre ripugnante. Senza parlare delle spaventose scene di cannibalismo, che non poterono mai impedire, dopo le battaglie, nelle quali i nemici erano caduti a centinaia.

Mentre si assoggettavano così, il capitano John e Harry Felton avevano la ferma intenzione di eludere la vigilanza della tribù e fuggire appena se ne fosse presentata l'occasione. È noto tuttavia, da

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quel che sappiamo sul secondo del Franklin, come un'evasione in mezzo ai deserti del nord-ovest presentasse poche speranze di riuscire. Ma i due prigionieri erano così sorvegliati che le occasioni di fuggire furono rarissime; ed è molto se nel corso di nove anni John e il suo compagno poterono provare qualche volta ad approfittarne. Una sola volta, l'anno stesso che aveva preceduto la spedizione di mistress Branican in Australia, una sola volta il tentativo avrebbe potuto riuscire, ed ecco in quali circostanze.

In seguito alle guerre con le tribù dell'interno, gli Indas occupavano allora un campo sulle sponde del lago Amedeo, al sud della Terra Alexandra. Era raro che si inoltrassero così profondamente nel centro del continente. Il capitano John e Harry Felton, sapendo di essere solo a trecento miglia dall'Overland-Telegraf-Line credettero che fosse giunta l'occasione attesa e decisero di approfittarne. Riflettuto bene, sembrò loro opportuno fuggire separatamente, salvo ricongiungersi qualche miglio oltre il campo. Riuscito ad eludere la sorveglianza degli indigeni, Harry Felton ebbe la fortuna di poter giungere al territorio dove doveva aspettare il suo compagno. Per disgrazia John era stato chiamato da Willi che reclamava il suo aiuto per una ferita ricevuta nell'ultima battaglia. John non riuscì dunque ad allontanarsi e Harry Felton lo aspettò inutilmente per alcuni giorni… Allora, pensando che se fosse riuscito a raggiungere una borgata dell'interno o del litorale, avrebbe potuto preparare una spedizione per liberare il suo capitano, Harry Felton prese la direzione del sud-est. Ma le fatiche, le privazioni, gli stenti d'ogni sorta che dovette sopportare furono tali, che quattro mesi dopo la sua partenza, cadde morente sulle sponde del Parru nel distretto di Ulakarara nella Nuova Galles del Sud. Condotto all'ospedale di Sydney vi aveva languito per parecchie settimane, poi era morto, dopo aver potuto dire a mistress Branican quanto concerneva il capitano John.

Quella di non aver più il suo compagno al fianco, era stata per John una prova terribile e se egli non si era abbandonato alla disperazione, bisogna pur dire che ciò dipendeva dal fatto che la sua energia morale era pari alla sua robustezza fisica. Egli non aveva più nessuno con cui parlare di tutto ciò che gli era caro, del suo paese, di

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San Diego, degli esseri adorati che aveva lasciato laggiù, della sua coraggiosa moglie, del figlio Wat che cresceva lontano da lui e che forse non avrebbe mai conosciuto, di William Andrew e di tutti i suoi amici.

Già da nove anni John era prigioniero degli Indas, e quanti anni dovevano ancora passare prima che la libertà gli fosse ritornata? Tuttavia non si perdette d'animo, sorretto solo da questo pensiero, che riuscendo ad arrivare a una delle tribù del litorale australiano, Harry Felton avrebbe fatto quanto era umanamente possibile per liberare il suo capitano.

Nei primi tempi della sua prigionia, John aveva imparato la lingua indigena, la quale, per la logica della sua grammatica, per la precisione dei termini, per la delicatezza delle sue espressioni, sembra dimostrare che gli indigeni australiani un tempo avessero avuto una certa civiltà. Perciò egli aveva spesso detto a Willi dei vantaggi che avrebbe avuto lasciando i suoi prigionieri liberi di tornarsene al Queensland e nell'Australia meridionale, da dove sarebbero stati in grado di fargli pervenire il riscatto che pretendeva. Ma, diffidente per natura, Willi non aveva voluto arrendersi; se il riscatto fosse arrivato, egli avrebbe ridato la libertà al capitano John e al suo secondo. Ma fidarsi delle loro promesse, giudicando probabilmente gli altri secondo il suo metro, non gli pareva affatto sicuro.

L'evasione di Harry Felton lo fece andare dunque molto in collera, e lo rese più severo ancora verso il capitano John. Gli proibì di allontanarsi durante le soste o nelle marce e lo fece custodire da un indigeno che rispondeva di lui sulla propria testa. Passarono lunghi mesi senza che il prigioniero ricevesse alcuna notizia del suo compagno: non aveva ragione di credere che Harry Felton fosse morto durante la fuga? Se il fuggitivo fosse riuscito ad andare fino al Queensland o alla provincia di Adelaide, forse che non avrebbe già fatto un tentativo per strapparlo dalle mani degli Indas?

Nel primo trimestre dell'anno 1891 – cioè al principio dell'estate australiana – la tribù era tornata verso la valle del Fitz-Roy, dove Willi passava di solito la parte più calda della stagione e nella quale gli era più facile trovare il nutrimento necessario alla sua tribù.

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Era là che gli Indas si trovavano ancora nei primi giorni di aprile, e il loro attendamento occupava un gomito del fiume, nel punto in cui vi si gettava un piccolo affluente sceso dalla pianura del nord.

Da quando la tribù si era stabilita in quel luogo, il capitano John, immaginando che quella dovesse essere una zona molto prossima al litorale, aveva pensato di andarci. Se ci fosse riuscito, non gli sarebbe forse poi stato impossibile rifugiarsi negli stabilimenti situati più al sud, dove il colonnello Warburton aveva potuto terminare il suo viaggio. John era deciso ad arrischiare ogni cosa per farla finita con quella esistenza odiosa, a costo anche della morte.

Disgraziatamente i progetti degli Indas furono cambiati e così andarono in fumo le speranze concepite dal prigioniero. Infatti, nella seconda quindicina di aprile, fu chiaro che Willi si preparava a partire per ritornare al campo d'inverno riportandosi sull'alto corso del fiume.

Che cosa era accaduto e a quali ragioni doveva attribuirsi questo cambiamento d'abitudini della tribù?

Il capitano John riuscì, per quanto a stento, a saperlo: se la tribù cercava di risalire il fiume più all'est, era perché la polizia nera era stata segnalata sul corso inferiore del Fitzroy.

Non si è dimenticato ciò che Tom Marix aveva detto di quella polizia nera, che in seguito alle rivelazioni fatte da Harry Felton sul capitano John, aveva ricevuto l'ordine di portarsi nei territori del nord-ovest.

Questa polizia, molto temuta dagli indigeni, dimostra un accanimento di cui non ci si può fare un'idea, allorché ha qualche buona occasione di perseguitarli. Essa è comandata da un capitano chiamato «mani», che ha ai suoi ordini un sergente, una trentina di agenti di razza bianca e ottanta agenti di razza nera, montati su buoni cavalli armati di schioppi, di sciabole e di pistole.

Questa istituzione, conosciuta col nome di «native police», basta a proteggere gli abitanti nelle regioni che essa visita ogni tanto. Spietata nelle repressioni che esercita sugli indigeni, essa è biasimata dagli uni in nome dell'umanità, e dagli altri approvata in nome della sicurezza pubblica. Il servizio ch'essa svolge è energico e il suo personale si porta con incredibile rapidità da un territorio all'altro.

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Perciò le tribù nomadi temono molto di incontrarla, e Willi avendo saputo che si trovava vicina, si disponeva a risalire il corso del Fitz-Roy.

Ma ciò che era un pericolo per gli Indas, poteva essere la salvezza per il capitano John. Se fosse riuscito a raggiungere un drappello di questa polizia, la sua liberazione era sicura e il suo rimpatrio certo. Ora, durante la levata del campo non gli sarebbe stato possibile ingannare la sorveglianza degli indigeni?

Certamente però Willi sospettava qualcosa, perché la mattina del 20 aprile la porta della capanna dove John era chiuso non si aprì all'ora consueta. Un indigeno era di guardia presso quella capanna. Alle domande di John non rispose nulla. Quando chiese d'essere condotto da Willi non glielo consentirono, né il capo venne a fargli visita.

Che cosa era dunque successo? Gli Indas facevano forse i preparativi per levar le tende? Era molto probabile, perché John udiva degli andirivieni tumultuosi intorno alla sua capanna, dove Willi s'era accontentato di mandargli un po' di cibo.

Tutto un giorno passò e poi un altro. La situazione rimase immutata. Il prigioniero era sempre sorvegliato, ma durante la notte dal 22 al 23 aprile poté notare che i rumori esterni erano cessati e si domandò se gli Indas avessero abbandonato il campo del Fitz-Roy.

All'alba del giorno dopo, la porta della capanna si aprì bruscamente.

Un uomo – un bianco – comparve dinanzi al capitano John. Era Len Burker.

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CAPITOLO XIV

IL GIOCO DI LEN BURKER

ERANO trentadue giorni, dalla notte fra il 22 e il 23 marzo, che Len Burker aveva abbandonato mistress Branican ed i suoi compagni. Quel simun, fatale alla carovana, gli aveva fornito l'occasione di portare a buon fine i suoi progetti. Trascinandosi dietro Jane, seguito dai negri della scorta, si era spinto dinanzi i cammelli validi, e, fra gli altri, quelli che portavano il riscatto del capitano John.

Len Burker si trovava in condizioni più favorevoli di Dolly per raggiungere gli Indas nella vallata bagnata dal Fitz-Roy. Nella sua vita errante aveva già avuto frequenti rapporti con gli australiani nomadi, dei quali conosceva la lingua e le abitudini. Il riscatto rubato gli assicurava buona accoglienza da parte di Willi. Il capitano John, una volta liberato, sarebbe stato in suo potere, e stavolta…

Dopo aver abbandonato la carovana, Len Burker si era affrettato a prendere la direzione del nord-ovest, e all'alba, insieme ai suoi compagni, era a una distanza di molte miglia.

Jane provò allora a implorare il marito, a supplicarlo di non abbandonare Dolly e i suoi in quel deserto, a rammentargli che era un crimine aggiunto al delitto commesso alla nascita di Godfrey, a pregarlo di farsi perdonare la condotta abominevole restituendo il figlio a sua madre e unendosi agli sforzi che ella faceva per ritrovare il capitano John.

Ma non ottenne nulla. Nessuno avrebbe potuto impedire a Len Burker di camminare verso la meta che si era prefissa. Pochi giorni ancora e l'avrebbe raggiunta.

Morti di stenti Dolly e Godfrey e scomparso John Branican, l'eredità di Edward Starter sarebbe passata nelle mani di Jane, cioè nelle sue, e di quei milioni avrebbe ben saputo farne uso!

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Non c'era da aspettarsi niente da quel miserabile. Egli impose silenzio a sua moglie, che dovette piegarsi alle sue minacce, ben sapendo che se non avesse avuto bisogno di lei per entrare in possesso delle ricchezze di Dolly, l'avrebbe abbandonata da un pezzo, e avrebbe fatto anche qualcosa di peggio.

Quanto a fuggire, per tentare di raggiungere la carovana, non era neanche una cosa pensabile. E che cosa sarebbe stato di lei quando fosse rimasta sola? D'altra parte, due negri erano incaricati di sorvegliarla a vista.

Non occorre insistere sugli incidenti del viaggio di Len Burker. Non gli mancavano gli animali da soma, né i viveri; e in queste condizioni poté fare lunghe tappe, avvicinandosi al Fitz-Roy con uomini già assuefatti a quell'esistenza e che avevano sofferto meno dei bianchi da quando avevano lasciato Adelaide.

L'8 aprile, dopo diciassette giorni di viaggio, Len Burker giunse alla riva sinistra del fiume, precisamente il giorno in cui mistress Branican e i suoi compagni cadevano sfiniti, all'ultima fermata.

In quel punto, Len Burker fece l'incontro di alcuni indigeni, e da loro seppe delle attuali condizioni degli Indas. Informato che la tribù aveva seguito la vallata più all'ovest, decise di ridiscenderla, per mettersi in contatto con Willi.

Ormai il cammino non presentava più difficoltà. Nel mese d'aprile il clima delle regioni dell'Australia settentrionale è più dolce, per bassa che sia la loro latitudine. Era evidente che se la carovana di mistress Branican avesse potuto arrivare al Fitz-Roy, sarebbe stata al termine delle sue prove. Pochi giorni dopo avrebbe potuto comunicare con gli Indas, poiché solo ottantacinque miglia separavano allora John e Dolly.

Quando Len Burker ebbe la certezza di distare al massimo tre giorni di cammino, prese la decisione di fermarsi. Condurre Jane con sé, in faccia agli Indas, metterla in presenza del capitano John, sarebbe stato correre il rischio d'essere denunciato da lei, e questo non poteva convenirgli. Per suo ordine fu fatta una sosta sulla riva sinistra, e nonostante le sue preghiere, la disgraziata donna fu abbandonata alla custodia di due negri.

Ciò fatto, Len Burker, seguito dai suoi compagni e dai cammelli,

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proseguì verso ovest. Il 20 aprile Len Burker incontrò la tribù nel momento in cui gli

Indas si mostravano tanto inquieti per la vicinanza della polizia nera, la cui presenza era stata segnalata a dieci miglia a valle. Willi si preparava ad abbandonare l'accampamento per rifugiarsi sulle alte regioni di quella terra di Arnhem che appartiene alla provincia dell'Australia settentrionale.

Per suo ordine, e per impedire ogni tentativo d'evasione, John era stato chiuso in una capanna. Così egli non poteva venire a conoscenza dei contatti che si dovevano stabilire fra Len Burker e il capo degli Indas, contatti che avvennero senza nessuna difficoltà. Già prima, Len Burker aveva comunicato con quegli indigeni, conosceva il loro capo ed ebbe solo da trattare il riscatto del capitano John.

Willi si mostrò dispostissimo a restituire il prigioniero contro riscatto. Len Burker fece gran mostra di stoffe, di cianfrusaglie e di tabacco, e ciò impressionò favorevolmente il capo indigeno. Tuttavia, da negoziante avveduto, egli dimostrò che non si sarebbe separato senza rammarico da un uomo così importante come il capitano John, il quale da tanti anni viveva in mezzo alla tribù e gli rendeva vari servigi. D'altra parte sapeva che il capitano era americano, né ignorava che era stata organizzata una spedizione per liberarlo, cosa che Len Burker stesso confermò dicendo di essere lui in persona il capo di quella spedizione. E quando apprese che Willi era preoccupato per la presenza della polizia nera sul corso inferiore del Fitz-Roy, approfittò di questa circostanza per indurlo a trattare subito. Infatti, nell'interesse di Burker, bisognava che la liberazione del capitano rimanesse segreta, e allontanando gli Indas egli aveva ogni probabilità che i suoi maneggi rimanessero ignorati.

La scomparsa di John Branican non avrebbe mai potuto essere imputata a lui, se gli uomini della scorta avessero taciuto, e lui avrebbe saputo ben assicurarsi il loro silenzio.

Ne seguì che il riscatto fu accettato da Willi e il patto fu concluso il giorno 22 aprile. La sera stessa gli Indas abbandonavano il campo e risalivano il corso del Fitz-Roy.

Ecco ciò che Len Burker aveva fatto, ed ecco come era riuscito nel suo intento; ora si vedrà quale vantaggio voleva trarre da quella

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situazione. Erano le otto del mattino del 23, quando la porta della capanna era

stata aperta. John Branican si trovava in presenza di Len Burker. Erano passati quattordici anni dal giorno che il capitano gli aveva

stretto un'ultima volta la mano alla partenza del Franklin dal porto di San Diego. Egli non lo riconobbe, ma Len Burker fu colpito vedendo John così poco cambiato. Invecchiato senza dubbio – aveva quarantatre anni allora – ma meno di quanto si potrebbe credere dopo un così lungo soggiorno presso gli indigeni, aveva sempre i lineamenti marcati, lo sguardo risoluto il cui fuoco non s'era spento, la capigliatura folta per quanto un po' incanutita. Rimasto fisicamente robusto, John, meglio forse che Harry Felton, avrebbe sopportato le fatiche di una evasione attraverso i deserti australiani, mentre il suo compagno ne era morto.

Vedendo Len Burker, il capitano John sulle prime indietreggiò, essendo la prima volta che si trovava in faccia ad un bianco da quando era prigioniero degli Indas. Era anche la prima volta che uno straniero gli rivolgeva la parola.

— Chi siete? — domandò. — Un americano di San Diego. — Di San Diego? — Sono Len Burker. — Voi? Il capitano John si slanciò verso Len Burker, gli prese le mani e lo

strinse fra le sue braccia. Come, quell'uomo era Len Burker?… No, non era possibile… era solo un'apparenza… John aveva inteso male! Len Burker! il marito di Jane! In quel momento il capitano non pensava alla antipatia che Len Burker gli ispirava un tempo, all'uomo che aveva ingiustamente sospettato.

— Len Burker! — ripeté. — Io stesso, John. — Voi in queste regioni! Voi pure, Len, siete stato fatto

prigioniero? Come avrebbe potuto John spiegare altrimenti la presenza di Len Burker tra gli Indas?

— No — si affrettò a rispondere Len Burker; — no, John, io sono venuto qui per riscattarvi, per liberarvi.

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— Liberarmi? Il capitano John riuscì a dominarsi a fatica. Gli sembrò

d'impazzire. Finalmente, ritornato padrone di sé, provò l'istinto di gettarsi fuori della capanna, ma non osò. Len Burker gli aveva parlato della liberazione, ma era davvero libero? E Willi? e gli Indas?

— Parlate, Len, parlate! — disse incrociando le braccia quasi per impedire che gli scoppiasse il petto.

Allora Len Burker, fedele alla sua idea di dire solo una parte delle cose e di attribuirsi tutto il merito di quella campagna, voleva raccontare i fatti a modo suo, quando John con voce rotta dalla commozione, esclamò:

— E Dolly? Dolly? — È viva, John! — E Wat, il mio piccino? — Vivi tutti e due, e tutti e due… a San Diego. — Mia moglie! mio figlio! — mormorava John con gli occhi

bagnati di lacrime. Poi aggiunse: — E ora parlate, Len, parlate… ho la forza di ascoltarvi. Len Burker, spingendo l'audacia sino a guardarlo in faccia, disse: — John, alcuni anni or sono, quando nessuno poteva mettere in

dubbio la perdita del Franklin, mia moglie e io dovemmo lasciare San Diego e l'America. Gravi interessi mi chiamavano in Australia e mi recai à Sydney dove avevo fondato un'impresa. Dopo la partenza, Jane e Dolly non cessarono di scriversi, giacché sapete quanto si volevano bene.

— Sì, lo so! — rispose John. — Dolly e Jane erano due amiche e la separazione dovette sembrar loro crudele!

— Crudelissima, John — esclamò Len Burker; — ma dopo alcuni anni giunse il giorno in cui quella separazione doveva finire, ed erano già undici mesi che ci preparavamo a lasciare l'Australia per tornare a San Diego, quando una notizia inaspettata sospese la partenza. Avevamo saputo della sorte del Franklin e in quali paraggi s'era perduto, e nello stesso tempo si era sparsa la voce che il solo superstite del naufragio fosse prigioniero di una tribù australiana, ed eravate voi, John!

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— Ma come si è potuto sapere? Forse che Harry Felton?… — Sì, questa notizia era stata data da Harry Felton. Quasi al

termine del viaggio, il vostro compagno era stato raccolto sulle rive del Parru, nel sud del Queensland e trasportato a Sydney.

— Harry, mio bravo Harry! sapevo bene che egli non mi avrebbe dimenticato! E a Sydney ha preparato una spedizione?

— È morto — rispose Len Burker — morto di stenti. — Morto!… — ripeté John, — oh gran Dio! morto! Harry

Felton!… E non poté trattenere le lacrime. — Ma prima di morire — aggiunse Len Burker — Harry Felton è

riuscito a raccontare gli avvenimenti seguiti alla catastrofe del Franklin, il naufragio sugli scogli dell'isola Browse, come avevate toccato l'ovest del continente… Al suo capezzale io ho appreso tutto dalla sua bocca… poi gli si chiusero gli occhi, John, mentre ripeteva il vostro nome.

— Harry, mio povero Harry! — mormorava John al pensiero delle spaventose sofferenze che avevano ucciso il fedele compagno. Egli non avrebbe mai più potuto rivederlo.

— John — riprese Len Burker — la perdita del Franklin, del quale non si aveva notizia da quattordici anni, aveva fatto molto chiasso; potete immaginarvi l'effetto quando si seppe che eravate vivo, che Harry Felton vi aveva lasciato pochi mesi prima prigioniero d'una tribù del nord. Io telegrafai subito a Dolly per avvertirla che mi mettevo in viaggio per togliervi dalle mani degli Indas, giacché doveva trattarsi di un riscatto, secondo quanto aveva detto Harry Felton. Organizzata una carovana, Jane ed io lasciammo Sydney: son già sette mesi! Non abbiamo potuto giungere più in fretta al Fitz-Roy. Infine, con l'aiuto di Dio, siamo arrivati al campo degli Indas.

— Grazie, Len, grazie! — esclamò il capitano John. — Ciò che avete fatto per me…

— Voi pure l'avreste fatto per me in condizioni simili. — Certo; e vostra moglie, Len? la coraggiosa Jane che non ha

temuto di sfidare tante fatiche, dov'è? — A tre giorni di cammino a monte, con due dei miei uomini —

rispose Len Burker. — Dunque la vedrò…

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— Sì, John; essa non è qui perché non ho voluto che mi accompagnasse, non sapendo bene che accoglienza avrebbero fatto gli indigeni alla piccola carovana.

— Ma voi non siete venuto solo? — domandò John. — No, ho la mia scorta composta di una dozzina di negri. Da due

giorni sono arrivato nella valle. — Due giorni? — Sì, e li ho spesi a concludere il mercato. Quel Willi non voleva

lasciarvi andare, mio caro John, conosceva la vostra importanza, o piuttosto il vostro valore. E mi è toccato discutere molto per ottenere che vi ridonasse la libertà contro un riscatto.

— Allora sono libero?… — Libero come sono io stesso. — Ma gli indigeni? — Sono partiti col loro capo e non ci siamo che noi sul campo. — Partiti!… — esclamò John. — Guardate. Il capitano John si lanciò con un balzo fuori della capanna. In quel

momento sulle rive del fiume c'erano i negri della scorta di Len Burker, gli Indas non c'erano più.

Sappiamo quanto ci fosse di vero e di falso nel racconto di Len Burker. Della pazzia di mistress Branican non aveva detto nulla. Dell'eredità toccata a Dolly per la morte di Edward Starter non aveva parlato. Nulla dei tentativi fatti dal Dolly-Hope attraverso i paraggi dei mari delle Filippine e dello stretto di Torres negli anni 1879 e 1882. Nulla di quanto era accaduto fra mistress Branican e Harry Felton al letto di morte; nulla infine della spedizione organizzata da quella energica donna ora abbandonata in mezzo al Great-Sandy-Desert e di cui egli, indegno Burker, si attribuiva il merito. Egli aveva fatto ogni cosa, aveva rischiato la vita per salvare il capitano John.

E come avrebbe potuto John mettere in dubbio la veridicità di quel racconto? Come avrebbe potuto non ringraziare con trasporto colui che a costo di tanti sacrifici l'aveva strappato agli Indas per ridonarlo a sua moglie ed al suo figliolo?

E fu proprio quanto fece, e in termini che avrebbero commosso

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una creatura meno snaturata; ma i rimorsi non avevano presa sulla coscienza di Len Burker e niente poteva impedirgli di portare a termine i suoi criminosi disegni.

Intanto John Branican lo avrebbe seguito fino al campo dove Jane lo aspettava… Perché avrebbe dovuto esitare?… E, durante il tragitto, Len Burker avrebbe trovato l'occasione di farlo scomparire, senza dar sospetto ai negri della scorta, i quali nulla così avrebbero potuto mai testimoniare contro di lui.

Il capitano John, essendo impaziente di partire, pregò che la partenza si effettuasse lo stesso giorno. Il suo più vivo desiderio era di rivedere Jane, l'amica affezionata di sua moglie, di parlarle di Dolly e del suo piccino, di William Andrew e di tutti coloro che presto avrebbe ritrovato a San Diego.

Si misero in cammino nel pomeriggio del 23 aprile. Len Burker aveva viveri per alcuni giorni. Durante il viaggio, il

Fitz-Roy doveva fornire l'acqua necessaria alla carovana. I cammelli, che servivano da cavalcatura a John e a Len Burker, avrebbero consentito loro, al bisogno, di precedere la scorta di qualche tappa. Ciò poteva facilitare i disegni di Len Burker… Il capitano John non doveva arrivare all'accampamento e non vi sarebbe arrivato.

Alle otto pomeridiane, Len Burker si attendò sulla riva sinistra del fiume per passarvi la notte. Era ancora troppo lontano per mettere in esecuzione il suo progetto di precedere la scorta in quelle regioni dove c'era sempre da temere qualche cattivo incontro.

L'indomani, all'alba, riprese il cammino coi suoi compagni. La giornata seguente fu divisa in due tappe, interrotte solo da un

riposo di due ore. Non era sempre facile seguire il corso del Fitz-Roy, le cui sponde erano, a volte, profondamente scavate, o sbarrate da masse inestricabili di alberi da gomma e di eucalipti, cosa che costringeva gli uomini a lunghi giri.

La giornata era stata faticosa, e, dopo il pasto, i negri si addormentarono.

Qualche minuto dopo, anche il capitano John cedeva a un sonno profondo.

Forse era quella l'occasione propizia, perché Len Burker non dormiva. Colpire John, trascinare il suo cadavere a una ventina di

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passi, precipitarlo nel fiume: sembrava che tutto contribuisse a render facile il delitto. Poi, il giorno seguente, al momento della partenza tutti avrebbero cercato invano il capitano John…

Verso le due del mattino, Len Burker, alzandosi senza far rumore, strisciò verso la sua vittima con un pugnale in mano, e già stava per colpire quando John si svegliò.

— Mi è parso di sentirmi chiamare — disse Len Burker. — No, caro Len — rispose John; — nel momento in cui mi sono

svegliato, sognavo della mia cara Dolly e del piccino! Alle sei, il capitano John e Len Burker ripresero la loro strada

verso il Fitz-Roy. Durante la sosta del mezzogiorno, Len Burker, deciso a farla

finita, poiché quella sera doveva giungere al campo, propose a John di precedere la scorta.

John accettò, non vedendo l'ora di raggiungere Jane e di poterle parlare più intimamente di quanto non avesse potuto fare con Len Burker.

Stavano per partire entrambi, quando uno dei negri segnalò, a poche centinaia di passi, un bianco che avanzava con circospezione.

Len Burker gettò un grido… Aveva riconosciuto Godfrey.

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CAPITOLO XV

L'ULTIMO ATTENDAMENTO

TRASCINATO da una specie d'istinto, senza quasi aver coscienza di quanto faceva, il capitano John si era precipitato incontro al giovinetto.

Len Burker era rimasto immobile, come se fosse inchiodato al suolo.

Godfrey davanti a lui!… Godfrey, il figlio di Dolly e di John! Ma dunque mistress Branican e i suoi erano riusciti a sopravvivere… Ed erano là, a poche miglia, a poche centinaia di passi, sempre che Godfrey non fosse l'unico sopravvissuto di quelli che il miserabile aveva abbandonato…

Quell'incontro inaspettato poteva distruggere tutto il progetto di Len Burker. Se il giovane mozzo parlava, avrebbe detto che mistress Branican era a capo della spedizione… Che Dolly aveva sfidato mille pericoli e mille fatiche nel deserto australiano per venire in aiuto a suo marito… Avrebbe detto che ella era là, che lo seguiva risalendo il corso del Fitz-Roy.

E in realtà era proprio così. Il mattino del 22 marzo, dopo l'abbandono di Len Burker, la

piccola carovana si era rimessa in moto in direzione del nord-ovest. L'8 aprile, come sappiamo, quei poveretti, sfiniti dalla fame, tormentati dalla sete, erano ormai prossimi alla fine.

Sorretta da una forza superiore, mistress Branican aveva tentato di riarumare i suoi compagni, supplicandoli di camminare ancora, di fare un ultimo sforzo per giungere a quel fiume dove avrebbero certamente trovato qualche risorsa. Era come se avesse parlato a cadaveri; lo stesso Godfrey aveva perduto i sensi.

Ma in Dolly sopravviveva l'anima della spedizione, e fece lei stessa ciò che i suoi compagni non potevano più fare.

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Si lanciò in direzione nord-ovest, avendo visto che all'ultimo momento Tom Marix e Zach Fren tendevano le mani indebolite da quella parte.

Attraverso la pianura che si svolgeva immensa verso il tramonto, senza viveri, senza mezzi di trasporto, che cosa sperava quell'energica donna? Voleva forse raggiungere il Fitz-Roy e chiedere aiuto ai bianchi del litorale e agli indigeni nomadi? Neppure lei lo sapeva, e così fece parecchie miglia, una ventina in tre giorni. Infine le forze l'abbandonarono ed ella cadde a sua volta. Sarebbe morta se non fosse giunto un soccorso provvidenziale.

Verso quel tempo la polizia nera si aggirava sul limite del Great-Sandy-Desert. Dopo aver lasciato una trentina di uomini presso il Fitz-Roy, il suo capo, il mani, era venuto a fare una ricognizione in quella parte della provincia con una sessantina di soldati.

Fu lui a trovare mistress Branican. Appena ella ebbe ripreso i sensi, Dolly poté dire dove erano i suoi compagni e fu ricondotta verso di loro. Il mani e i suoi uomini riuscirono a rianimare i poveretti, nessuno dei quali sarebbe stato trovato vivo ventiquattr'ore dopo.

Tom Marix, che un tempo aveva conosciuto il mani nella provincia del Queensland, gli raccontò l'accaduto dopo la partenza da Adelaide. Quest'ufficiale non ignorava a quale scopo una carovana, diretta da mistress Branican, si fosse spinta attraverso le lontane regioni del nord-ovest; e poiché la Provvidenza aveva voluto che egli avesse potuto soccorrerla, si offrì di unirsi a lei, e quando Tom Marix ebbe parlato degli Indas, il mani rispose che questa tribù occupava allora la sponda del Fitz-Roy a meno di sessanta miglia.

Non c'era tempo da perdere se si volevano sventare i disegni di Len Burker, che il mani aveva già avuto incarico di inseguire quando scorreva con una banda di «bushrangers» la provincia del Queensland. Non c'era dubbio che se Len Burker fosse riuscito a liberare il capitano John, che non aveva nessuna ragione di diffidare di lui, sarebbe stato impossibile ritrovare le loro tracce.

Mistress Branican poteva contare sul mani e sui suoi uomini che divisero i loro viveri con i suoi compagni e prestarono loro i propri cavalli. Il drappello parti la sera stessa, e nel pomeriggio del 21 aprile

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apparvero, al limite del diciassettesimo parallelo, le alture della vallata.

In quel punto il mani ritrovò quelli dei suoi agenti rimasti a sorvegliare il nord del Fitz-Roy. Seppero che gli Indas erano allora attendati a un centinaio di miglia sul corso superiore del fiume. Bisognava raggiungerli al più presto, anche se mistress Branican non aveva più gli oggetti di baratto per pagare il riscatto del capitano.

D'altra parte il mani, forte di tutta la sua brigata, aiutato da Tom Marix, da Zach Fren, da Godfrey, da Jos Meritt e dai loro compagni, non avrebbe esitato ad usare la forza per strappare John agli Indas. Ma quando fu risalita la valle fino al campo degli indigeni, questi l'avevano già abbandonata. Il mani li seguì di tappa in tappa, e fu così che nel pomeriggio del 25 aprile, Godfrey, che si era portato un miglio avanti, si trovò a un tratto in presenza del capitano John.

Frattanto Len Burker era riuscito a ricomporsi e guardava Godfrey senza dir parola, aspettando ciò che il giovane mozzo avrebbe detto o fatto.

Godfrey non l'aveva nemmeno visto; i suoi sguardi non potevano staccarsi dal capitano. Benché non l'avesse mai visto, ne conosceva i lineamenti per la fotografia che mistress Branican gli aveva dato. Non c'era dubbio… Quell'uomo era il capitano John.

Dal canto suo, John guardava Godfrey con una commozione straordinaria; benché non potesse indovinare chi fosse quel giovinetto, lo guardava ansioso e gli tendeva le braccia, lo chiamava con voce tremante, come avrebbe fatto con suo figlio.

Godfrey si precipitò fra le sue braccia, gridando: — Capitano John! — Sì, sono io — rispose il capitano; — ma tu, ragazzo mio, chi

sei?… Come ti chiami?… Come mai conosci il mio nome?… Godfrey non poté rispondere. S'era fatto pallidissimo: aveva visto

Len Burker, e non riusciva a dominare l'orrore che gli dava la vista di quel miserabile.

— Len Burker! — esclamò. Dopo aver pensato alle conseguenze di quell'incontro, Len Burker

se ne rallegrava. Non era la più lieta combinazione questa che metteva in suo potere Godfrey e John insieme? Non era una fortuna

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insperata poter disporre del padre e del figlio? Perciò, voltosi ai negri, fece loro segno di separare Godfrey e John e di impadronirsi d'entrambi.

— Len Burker! — gridò Godfrey. — Sì, figliolo mio — rispose John — è Len Burker… colui che

mi ha salvato. — Salvato! — esclamò Godfrey. — No, capitano, Len Burker non

vi ha salvato!… Ha voluto perdervi, ci ha abbandonati tutti, rubando il vostro riscatto a mistress Branican…

A questo nome, John rispose con un grido, e afferrando la mano di Godfrey:

— Dolly! Dolly! — ripeteva. — Sì, mistress Branican, vostra moglie è qui vicino… — Dolly? — gridò John. — Questo ragazzo è pazzo! — disse Len Burker, avvicinandosi a

Godfrey. — Sì, pazzo! — mormorò il capitano; — il povero ragazzo è

pazzo! — Len Burker -— rispose Godfrey tremante di collera — siete un

traditore, un assassino! Se egli è qui, capitano, è solo perché vuole disfarsi di voi, dopo aver abbandonato mistress Branican e i suoi compagni.

— Dolly! Dolly! — esclamò il capitano John. — No… tu non sei pazzo, ragazzo mio!… Io ti credo… Vieni!… Vieni!…

Len Burker e i suoi uomini si precipitarono addosso a John e a Godfrey, che, con un revolver, colpì uno dei negri in pieno petto. Ma lui e John furono afferrati e i negri li trascinarono verso il fiume.

Fortunatamente, lo sparo era stato udito e vi risposero delle grida a poche centinaia di passi dalla valle. Quasi subito il mani ed i suoi agenti, Tom Marix e la sua scorta, mistress Branican, Zach Fren, Jos Meritt, Gin-Ghi accorrevano da quella parte.

Len Burker e i negri non erano abbastanza forti per resistere e un istante dopo John era nelle braccia di Dolly.

La partita era perduta per Len Burker. Se si fossero impadroniti di lui non doveva aspettarsi grazia, e, seguito dai suoi negri, prese la fuga risalendo il fiume.

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Il mani, Zach Fren, Tom Marix, Jos Meritt e una dozzina di agenti lo inseguirono.

Come dipingere i sentimenti, come dire la commozione che traboccava dal cuore di Dolly e di John? Piangevano, e Godfrey si univa ai loro abbracci, ai baci, alle lacrime.

La troppa gioia di Dolly fece ciò che tante traversie non avevano potuto; le forze l'abbandonarono e svenne.

Godfrey, inginocchiato accanto a lei, aiutava Harriett a rianimarla. John lo ignorava, ma essi sapevano che già un'altra volta Dolly aveva perduto la ragione per il troppo dolore. C'era forse il pericolo che la perdesse un'altra volta per la troppa gioia?

— Dolly! Dolly! — ripeteva John. E Godfrey, prendendo le mani di mistress Branican, esclamava: — Mamma! Mamma! Gli occhi di Dolly si riaprirono, la sua mano strinse quella di John,

traboccante di gioia, che tese le mani a Godfrey dicendo: — Vieni, Wat! Vieni, figlio mio! Ma Dolly non poteva lasciarlo in quell'errore, lasciargli credere

che Godfrey fosse suo figlio… — No, John — disse — Godfrey non è nostro figlio. Il piccolo

Wat è morto, morto poco tempo dopo la tua partenza. — Morto! — gridò il capitano John, che tuttavia non cessava di

guardare Godfrey. Dolly stava per dirgli della sciagura che l'aveva colpita quindici

anni prima, quando si udì uno sparo dalla parte in cui il mani e i suoi compagni inseguivano Len Burker.

Forse era stata fatta giustizia del miserabile, oppure si trattava di un nuovo delitto che Len Burker aveva commesso?

Quasi subito tutti riapparvero sulla riva del Fitz-Roy. Due agenti portavano una donna, che perdeva sangue da una larga ferita.

Era Jane. Ed ecco ciò che era accaduto. Nonostante la rapidità della sua fuga, gli uomini che inseguivano

Len Burker non l'avevano perduto di vista e poche centinaia di passi li separavano ancora da lui, quand'egli si arrestò scorgendo Jane.

Il giorno prima, la povera donna era riuscita a fuggire, scendendo

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il corso del Fitz-Roy. Andava a casaccio, e quando si udirono i primi spari era solo a un quarto di miglio dal luogo in cui John e Godfrey s'erano incontrati.

Ella affrettò la corsa e presto fu alla presenza di suo marito, che fuggiva da quella parte.

Len Burker, afferratala per un braccio, volle trarla con sé. Al pensiero che Jane avrebbe raggiunto Dolly, svelando il segreto della nascita di Godfrey, il furore lo accecò, e poiché Jane cercava di resistergli, la gettò a terra con un colpo di pugnale.

In quel momento si udì una schioppettata, accompagnata da queste parole, questa volta veramente opportune:

— Bene!… Oh!… Benissimo!… Era Jos Meritt, che dopo aver tranquillamente preso di mira Len

Burker, lo aveva fatto rotolare nelle acque del Fitz-Roy. Era la fine di quel miserabile, colpito al cuore per mano del

gentleman. Tom Marix si slanciò verso Jane, che respirava ancora, ma

debolmente. Due agenti raccolsero la povera donna fra le braccia e la portarono accanto a mistress Branican.

Vedendo Jane in quello stato, Dolly mandò un grido straziante. Curva sulla morente, cercava d'udire i battiti del cuore, di cogliere l'alito che sfuggiva dalla sua bocca.

Ma la ferita di Jane era mortale, perché il pugnale le aveva trapassato i polmoni.

— Jane, Jane… — ripeteva Dolly. A quella voce che le ricordava il solo affetto che avesse

conosciuto, Jane aprì gli occhi, guardò Dolly e le sorrise mormorando:

— Dolly… cara Dolly… A un tratto il suo sguardo si animò. Aveva scorto il capitano John. — John… voi, John… — disse. Ma con voce così bassa che appena si poteva udire. — Sì, Jane — rispose il capitano. — Sono io, Dolly è venuta a

salvarmi. — John… John qui — mormorò Jane. — Sì, accanto a noi — disse Dolly; — egli non ci lascerà più, lo

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ricondurremo con te, con te laggiù… Jane non ascoltava. Gli occhi parevano cercare qualcuno e

pronunziò questo nome: — Godfrey… Godfrey. L'angoscia si dipinse sui lineamenti scomposti dall'agonia.

Mistress Branican fece cenno a Godfrey, che si avvicinò. — Lui, lui, finalmente — esclamò Jane rizzandosi con un ultimo

sforzo. Poi, afferrando la mano di Dolly, aggiunse: — Avvicinati, Dolly, e voi anche, John, ascoltatemi. Entrambi si

curvarono su Jane per non perdere una parola. — John! Dolly! Godfrey è vostro figlio! — Nostro figlio — mormorò Dolly, e si fece pallida come la

morente, tanto il sangue le affluì al cuore. — Non abbiamo più figlio — disse John; — è morto. — Sì — rispose Jane — il piccolo Wat, laggiù nel golfo di San

Diego… ma voi avete avuto un altro figlio, e questo è Godfrey. In poche frasi, rotte dai rantoli della morte, Jane poté dire quanto

era accaduto dopo la partenza del capitano John, la nascita di Godfrey a Prospect-House, Dolly impazzita e divenuta madre senza saperlo… il piccino abbandonato per ordine di Len Burker… raccolto poche ore dopo e più tardi allevato all'ospizio di Wat-House col nome di Godfrey.

Jane aggiunse: — La mia colpa è di non aver avuto il coraggio di confessarti

tutto. Dolly, perdonami; perdonatemi, John. — Hai forse bisogno di perdono, Jane, quando ci restituisci nostro

figlio? — Sì! vostro figlio! — esclamò Jane — davanti a Dio, John e

Dolly, ve lo giuro, Godfrey è vostro figlio! E vedendo che entrambi stringevano Godfrey tra le braccia, un

sorriso di felicità passò sul suo volto. Poi si spense nell'ultimo sospiro.

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CAPITOLO XVI

EPILOGO

È INUTILE dilungarsi nella descrizione degli incidenti che chiusero questo viaggio avventuroso attraverso il continente australiano, e delle condizioni diverse in cui fu fatto il ritorno alla provincia di Adelaide.

Prima di tutto si cercò di stabilire se era più conveniente portarsi agli stabilimenti del litorale scendendo il Fitz-Roy; fra gli altri quelli di Rockbonne, ovvero dirigersi al porto Prince-Frederik nello York-Sound. Poteva darsi che trascorresse molto tempo prima che una nave giungesse a quel litorale, e perciò sembrò preferibile riprendere la via già percorsa.

Scortata dagli agenti della polizia nera, abbondantemente provvista di viveri grazie al mani, avendo a propria disposizione i cammelli da sella e da basto ripresi a Len Burker, la carovana non avrebbe dovuto temere cattivi incontri.

Prima della partenza il corpo di Jane Burker era stato deposto in una tomba scavata ai piedi di un gruppo d'alberi di gomma. Dolly si inginocchiò su quella tomba e pregò per l'anima della poveretta.

Il capitano John, sua moglie e i loro compagni lasciarono il campo del Fitz-Roy il 25 aprile sotto la direzione del mani che si era offerto d'accompagnarli fino alla più prossima stazione dell'Overland-Telegraf-Line.

Erano tutti così felici che non sentivano nemmeno le fatiche del viaggio; e Zach Fren nella gioia ripeteva a Tom Marix:

— Ebbene, Tom, l'abbiamo ritrovato il capitano? — Sì, Zach, ma perché l'abbiamo trovato? — Perché la Provvidenza ha dato un buon giro al timone, e

bisogna sempre fare un po' d'assegnamento sulla Provvidenza. Ma v'era un punto nero sull'orizzonte di Jos Meritt. Se mistress

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Branican aveva ritrovato il capitano John, il celebre collezionista non aveva trovato quel cappello la cui ricerca gli era costata tante pene e tanti sacrifici. Essere andato fino agli Indas senza entrare in comunicazione con quel Willi che forse metteva in testa ogni giorno quel copricapo famoso…

Ciò che consolò un po' Jos Meritt fu l'apprendere dal mani che la moda dei cappelli europei non era ancora arrivata presso le popolazioni del nordovest, contrariamente a ciò che Jos Meritt aveva già notato presso le popolazioni del nord-est.

Dunque il suo desideratum non si sarebbe potuto realizzare fra gli indigeni dell'Australia settentrionale; in compenso egli poteva felicitarsi della famosa schioppettata che aveva sbarazzato la famiglia Branican da quell'abominevole Len Burker, come diceva Zach Fren.

Il ritorno si compì il più rapidamente possibile. La carovana non dovette soffrire troppo la sete, poiché i pozzi erano già riempiti dalle abbondanti piogge d'autunno e la temperatura era sopportabile. D'altra parte, dietro consiglio del mani, si giunse direttamente alle regioni traversate dalla linea telegrafica, dove non mancavano le stazioni sufficientemente provviste, né i mezzi di comunicazione con la capitale dell'Australia meridionale.

Grazie al telegrafo, si seppe subito in tutto il mondo che mistress Branican aveva portato a buon fine la sua audace spedizione.

All'altezza del lago Wood, John, Dolly e i loro compagni giunsero ad una delle stazioni dell'Overland-Telegraf-Line. Là il mani e gli agenti della polizia nera dovettero accomiatarsi da John e da Dolly Branican. Essi ricevettero i calorosi ringraziamenti che meritavano, in attesa della ricompensa che il capitano fece loro pervenire subito dopo il suo arrivo ad Adelaide.

Ormai rimaneva solo da discendere i distretti della Terra Alexandra fino alla stazione di Alice-Spring, dove la carovana si fermò la sera del 16 giugno dopo sette settimane di viaggio.

Là Tom Marix ritrovò il materiale che aveva lasciato sotto la custodia del signor Flint, capo della spedizione: i buoi, i carri, i buggys ed i cavalli destinati alle tappe che rimanevano da percorrere.

Il 3 luglio tutto il personale giunse alla ferrovia di Farina-Town e il giorno seguente alla stazione di Adelaide.

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Quale accoglienza fu fatta al capitano John e alla sua coraggiosa compagna! Tutta la popolazione era là a riceverli. E quando il capitano John Branican comparve fra sua moglie e suo figlio al balcone dell'albergo di King-William-Street, gli evviva echeggiarono con tale intensità, che secondo Gin-Ghi giunsero fino al Celeste Impero.

Il soggiorno ad Adelaide non fu lungo. John e Dolly Branican avevano fretta di tornare a San Diego, di vedere i loro amici, di ritrovare la loro casina di Prospect-House, dove la felicità sarebbe rientrata con loro.

Presero dunque commiato da Tom Marix e dai suoi uomini, ricompensandoli generosamente dei loro servigi che non avrebbero mai potuto dimenticare.

Né avrebbero potuto dimenticare quell'originale di Jos Meritt, il quale si era pure deciso a lasciare l'Australia in compagnia del suo fedele servitore.

Ma in sostanza, poiché il suo cappello non si trovava là, dov'era mai?

Dove? In una dimora regale, dove era conservato con tutto il rispetto dovutogli.

Sì, Jos Meritt, sviato da false tracce, aveva inutilmente percorso le cinque parti del mondo per conquistare quel cappello… che si trovava al castello di Windsor, come si seppe sei mesi dopo. Era il cappello che portava Sua Graziosa Maestà nella sua visita al re Luigi Filippo nel 1845, e bisognava essere pazzi per immaginare che quel capolavoro d'una modista parigina avesse potuto finire la sua carriera sopra il cranio d'un selvaggio dell'Australia.

Per questa ragione, le peregrinazioni di Jos Meritt cessarono finalmente con gran gioia di Gin-Ghi, ma con dispiacere del celebre collezionista, che ritornò a Liverpool indispettito di non aver potuto completare la sua collezione con l'acquisto di quel cappello unico al mondo.

Tre settimane dopo aver lasciato Adelaide, dove si erano imbarcati sull'Abraham Lincoln, John, Dolly e Godfrey Branican, accompagnati da Zach Fren e dalla governante Harriett, arrivarono a San Diego.

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Fu là che il signor William Andrew e il capitano Ellis li ricevettero in mezzo agli abitanti di quella generosa città, orgogliosa d'aver ritrovato il capitano John e di salutare in lui uno dei suoi figli più gloriosi.